ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo I
La presenza straniera in Italia

Massimo Di Bello, 2000

Sezione I
Gli aspetti socio-giuridici delle migrazioni e la condizione giuridica dello straniero

1.1. L'evoluzione delle migrazioni: uno sguardo alla situazione europea - 1.2. Luci ed ombre dell'immigrazione in Italia - 1.3. La "condizione giuridica dello straniero" in Italia: regolarità ed irregolarità come parametri per il riconoscimento ed il diniego di diritti - 1.3.1. Gli obblighi a carico degli stranieri: i provvedimenti di autorizzazione all'ingresso e al soggiorno - 1.3.2. Le misure di contrasto all'illegalità.

1.1. L'evoluzione delle migrazioni: uno sguardo alla situazione europea

Il fenomeno migratorio rappresenta una dimensione importante delle trasformazioni sociali dell'ultimo secolo per l'elevato impatto sia sulla società di accoglienza che sulla popolazione immigrata. Esso costituisce una realtà complessa dai numerosi risvolti sia sul piano storico-politico che su quello socio-giuridico.

Naturalmente le emigrazioni non hanno assunto e non assumono lo stesso carattere. Le cause e le connotazioni che le caratterizzano nei vari contesti sociali ed economici differiscono secondo i periodi ed i luoghi e riguardano categorie sociali differenti. Possono avere un carattere di temporaneità e, dunque, essere accompagnate da uno "spirito di ritorno", o, al contrario, rivelare una decisa volontà a stabilirsi nel Paese di approdo e, dunque, di inserirsi nella società di accoglienza.

Durante il XIX secolo ed i primi quarant'anni del XX, l'Europa veniva attraversata da complessi movimenti migratori internazionali e transoceanici, spesso divenute migrazioni definitive: i poveri di tutto il continente hanno cercato fortuna in luoghi lontani, offrendosi come forza lavoro e contribuendo allo sviluppo della vita economica dei territori di nuovo insediamento. Si calcola che oltre cinquanta milioni di europei abbiano lasciato i propri Paesi di origine alla volta dell'America e dell'Oceania.

La seconda metà del XX secolo, invece, ha visto l'intensificarsi dei movimenti migratori all'interno del continente europeo. Alla conclusione del secondo conflitto mondiale, infatti, i flussi migratori mutano radicalmente e l'Europa comincia a diventare un continente importatore di manodopera. Siamo nella fase di ricostruzione post-bellica e di crescita strutturale delle economie europee. L'Europa si ricostruisce dalle macerie della guerra ed affronta un periodo di grande sviluppo economico ed industriale; dai Paesi dell'Europa centro-settentrionale, dal Regno Unito, dalla Svizzera arriva una forte domanda di manodopera, a cui rispondono i Paesi del continente meno sviluppati economicamente, come la Spagna, la Grecia, l'Irlanda, l'ex Jugoslavia, il Portogallo ed anche l'Italia. Con l'inizio degli anni '60 cominciano ad affacciarsi anche immigrati provenienti da altri continenti diretti verso i Paesi con tradizione coloniale: in Francia arrivano i maghrebini, in Germania i turchi, nel Regno Unito i caraibici e gli indiani. In Italia questa dinamica di spostamenti da zone sottosviluppate a regioni in pieno boom industriale si riproduce internamente con lo spostamento di ingenti masse di popolazione dal Mezzogiorno alle fabbriche del Nord.

Questa fase di sviluppo e di domanda di manodopera da parte dei Paesi ricchi si conclude nei primi anni '70, con l'inizio di una profonda crisi economica mondiale contrassegnata dal continuo aumento del prezzo del petrolio. Dal 1973 al 1982, le dinamiche dei flussi migratori assumono nuove caratteristiche: in parte a causa della crisi petrolifera di quegli anni, in parte per le tensioni sociali che la presenza degli immigrati aveva prodotto nel periodo precedente, l'eccezionale quanto imprevista consistenza di tali flussi ha indotto gli Stati industrializzati dell'Europa occidentale ad implementare politiche sempre più restrittive, anche in considerazione dei forti squilibri demografici e della precaria situazione occupazionale che si era venuta a creare nei Paesi di accoglienza. I governi di questi Paesi decidono di bloccare l'afflusso di lavoratori dall'estero, rendendo sempre più difficile l'entrata o varando programmi di incentivi finanziari per favorire i ritorni in patria. D'altra parte, anche quei Paesi europei, come l'Italia e la Spagna, il Portogallo e la Grecia, che fino a quel momento avevano visto i propri cittadini emigrare per cercare lavoro all'estero, ora diventano meta di immigrazione, dato l'aumentato livello di sviluppo ed il contemporaneo abbassamento degli indici di natalità.

Con l'inizio degli anni '80 si assiste ad una crisi senza precedenti dei Paesi del Terzo Mondo; si tratta di nazioni schiacciate da uno sviluppo demografico senza controllo in cui le condizioni di vita peggiorano costantemente, aumentando il divario che le separa dai Paesi ricchi (1). Si è trattato di correnti che hanno rivestito prevalentemente un carattere volontario, cui si sono associate vere e proprie emigrazioni forzate, provocate da guerre, rivoluzioni, persecuzioni (2). In queste condizioni, l'emigrazione non è più solo ricerca di nuove opportunità lavorative che consentono di realizzarsi con maggiore soddisfazione, quale poteva essere la situazione di un contadino del nostro meridione che andava a cercare fortuna nelle fabbriche della Germania.

Queste nuove ondate assomigliano più ad una fuga per la sopravvivenza da una condizione che compromette la stessa integrità fisica. Non a caso il Senegal, la Nigeria, il Marocco, la Tunisia, le Filippine sono tra i Paesi più poveri delle rispettive aree geografiche e contemporaneamente quelli con una maggiore spinta migratoria.

In un contesto di questo genere, per un emigrante le opportunità di lavoro offerte dai Paesi di approdo diventano sempre meno importanti: non è un caso, infatti, che la percentuale di disoccupati tra gli immigrati non sia mai stata così alta in tutti i Paesi di immigrazione. Anche per gli immigrati che riescono a trovare un'occupazione, tuttavia, questa è, in moltissimi casi, precaria e non regolarizzata. L'intero fenomeno dell'emigrazione tende, dunque, a "clandestinizzarsi", dato che l'offerta della propria forza lavoro sul mercato del lavoro nero sembra l'unica possibilità di aggiudicarsi una occupazione. Viene, così, a crearsi un doppio mercato del lavoro, uno per gli stranieri e l'altro per i lavoratori regolari con costi differenti per i datori di lavoro. Questa situazione è molto pericolosa perché è destinata, da una parte, ad alimentare dinamiche di sfruttamento e, dall'altra, a creare conflitti razziali con i lavoratori locali che vedono minacciate le loro conquiste sociali.

Attualmente, secondo le cifre più recenti (3), sono oltre 18 milioni gli stranieri che vivono nell'Unione Europea, il che equivale a un'incidenza del 5% circa sulla popolazione totale. In termini percentuali, il Lussemburgo e l'Austria sono i Paesi con la maggior presenza di immigrati (4), mentre la Germania è nettamente lo Stato membro con il numero più elevato di cittadini stranieri immigrati (5), seguita dalla Francia (6) e dal Regno Unito (7). L'Italia nel 1997 contava quasi 1,3 milioni di stranieri, pari al 2,2% sulla popolazione (8).

Le cifre vanno comunque considerate come approssimative, sia per i differenti sistemi di rilevamento tra i vari Paesi, sia soprattutto perché da alcuni anni non viene fatta una comparazione statistica tra i Paesi dell'UE da parte dell'Ufficio statistico delle comunità europee (eurostat). Ma in attesa di una politica comune (9), si possono comunque osservare molte tendenze e orientamenti simili nei 15 Paesi UE.

Dal 1993 sono generalmente in diminuzione i flussi d'ingresso regolari (che si attestano su valori di metà anni Ottanta) e le richieste d'asilo, mentre sono aumentati i ricongiungimenti familiari, i flussi temporanei e, soprattutto, quelli irregolari.

Negli ultimi anni, i flussi in entrata si sono stabilizzati nella maggior parte degli Stati membri, sono diminuiti in Germania, Francia e Svezia e sono invece leggermente aumentati (specie quelli illegali) nei Paesi mediterranei, di immigrazione più recente, come Italia, Spagna e Grecia. Questo è avvenuto principalmente perché tutti i Paesi europei hanno adottato politiche restrittive sugli ingressi e sull'asilo nell'ambito del cosiddetto Sistema Schengen, nato con gli accordi di cooperazione intergovernativa stipulati nel 1985 tra 5 Stati (Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi) e rafforzatosi con la Convenzione del 1990 che prevedeva la soppressione dei controlli interni all'area e un rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne, della lotta all'immigrazione irregolare e all'abuso del diritto d'asilo.

Nel corso degli anni, l'area di Schengen si è estesa a tutti gli Stati membri dell'UE, tranne Regno Unito e Irlanda, e tutti i Paesi che adottavano la Convenzione adeguavano le loro regole e norme interne a quelle stabilite dagli accordi intergovernativi. Oggi, il Sistema di Schengen è stato acquisito dall'ordinamento comunitario (si parla, infatti, di "acquis Schengen"), per cui le sue norme in materia di polizia e controlli alle frontiere esterne costituiranno presumibilmente le basi della futura politica europea comune.

Intanto, però, in questi ultimi anni le modifiche legislative apportate da tutti i Paesi dell'area Schengen (che ormai coincide all'incirca con quella dell'UE) hanno quasi completamente chiuso i canali regolari d'ingresso, hanno esteso la necessità del visto a un numero sempre maggiore di Paesi, reso molto più difficile l'ottenimento dell'asilo politico e della cittadinanza, inasprito il contrasto dell'immigrazione illegale. Tutto ciò ha fatto nascere la definizione di "Fortezza Europa" e in questa direzione si stanno orientando anche i Paesi dell'Europa centrale e orientale candidati a entrare nei prossimi anni nell'UE.

Non potendo accedere facilmente a canali d'ingresso regolari, le centinaia di migliaia di persone che ogni anno fuggono dai loro Paesi di origine per ragioni economiche, ambientali e politiche o semplicemente emigrano alla ricerca di un lavoro, e cercano di giungere in Europa, si sono trovate spesso costrette a seguire percorsi illegali. Il fenomeno è stato prontamente recepito dalle innumerevoli organizzazioni criminali esistenti a livello internazionale, che si sono attivate in vario modo per gestire e sfruttare economicamente l'enorme traffico di migranti. Questo è avvenuto a scapito della sicurezza e dei diritti fondamentali delle persone che hanno affrontato viaggi estenuanti, molto costosi e, quel che è peggio, pericolosissimi pur di raggiungere il territorio dell'UE: negli ultimi anni centinaia di persone hanno perso la vita in questo tentativo. Anche la corruzione, (ma in alcuni casi si può parlare di vera e propria concussione), di alcune ambasciate europee nei Paesi da cui provengono i flussi migratori hanno permesso a molte persone di immigrare nell'UE aggirando le restrizioni normative.

Le politiche adottate per limitare gli ingressi nei Paesi europei di cittadini non comunitari, dunque, hanno avuto come risultato principale quello di ampliare enormemente la popolazione di immigrati illegali, giunti cioè clandestinamente in territorio europeo. Così, tutti i Paesi dell'UE hanno dovuto ricorrere nel corso del tempo a procedure di regolarizzazione: considerando solo gli ultimi anni, l'Italia nel 1990, 1996 e 1998; la Spagna nel 1991 e 1996; il Portogallo nel 1993 e 1996; la Francia nel 1997 (oltre a numerose procedure, meno vistose, avvenute attraverso varie circolari); la Grecia nel 1998; il Belgio nel 1999. Per un totale di circa 2 milioni di persone regolarizzate.

Ma tutti gli immigrati non comunitari che vivono in Europa illegalmente (o perché entrati clandestinamente o perché non più nelle condizioni richieste per il rinnovo del permesso di soggiorno) e che non riescono ad accedere a procedure di regolarizzazione rientrano nella tipologia di persone per le quali i governi europei hanno deciso di inasprire i controlli interni per giungere alla loro individuazione ed espulsione. Queste pratiche sono differenti nei vari Paesi, ma sono tristemente frequenti casi di persone decedute durante l'esecuzione della loro espulsione dall'UE, mentre è ormai noto l'utilizzo da parte delle forze di polizia addette all'espulsione di metodi che violano i diritti umani, come l'uso di sostanze narcotizzanti o il legare e imbavagliare gli espellendi (10).

Per evitare poi che gli immigrati irregolari individuati facciano perdere le loro tracce cercando di non essere espulsi, in tutti i Paesi europei sono stati creati dei luoghi dove queste persone vengono trattenute in attesa dell'espulsione.

Denominati centri di trattenimento o permanenza temporanea (a seconda dei diversi Paesi), questi luoghi non vengono definiti in alcuna disciplina comunitaria e nemmeno nelle normative di Schengen (11).

Si tratta di strutture di vera e propria detenzione forzata che contano ormai già qualche anno di vita. Già dai primi anni Settanta, infatti, i Paesi di "antica" immigrazione decisero di "trattenere" gli immigrati illegali in attesa di eseguirne l'espulsione definendo metodi e regole del trattenimento. Così, nel 1971 il Regno Unito istituì i "detention centers" dove il periodo medio di detenzione è di 5 mesi; nel 1975 la Francia diede vita ai "céntres de rétention", più volte accusati di violare i diritti umani dei detenuti, e via via tutti gli altri Paesi si dotarono di questi centri: da Germania, Paesi Bassi, Austria, Belgio negli anni Ottanta fino all'Italia nel 1998. Queste strutture, fortemente contestate dalle associazioni per i diritti umani e da molti giuristi di tutta Europa, introducono un concetto pericoloso: la libertà delle persone può essere limitata come conseguenza di un provvedimento amministrativo, senza cioè l'esistenza di un reato. In molti casi, poi, i centri diventano luoghi di "non diritto" o di "diritto speciale" per stranieri, dove non vengono sufficientemente garantiti i diritti fondamentali come la difesa, la salute, i rapporti con l'esterno, le dignitose condizioni igienico-sanitarie.

Questo è il segnale più allarmante delle gravi difficoltà con cui l'Europa governa l'immigrazione.

1.2. Luci ed ombre dell'immigrazione in Italia

L'immigrazione in l'Italia è un fenomeno recente. Per oltre un secolo terra di emigrazione, il nostro Paese si trova oggi di fronte ad un repentino cambiamento di ruoli ed è chiamato a misurarsi, sul piano culturale e politico, con l'afflusso crescente di uomini e donne di culture, usi e religioni assai diverse tra loro: "società multietnica" ha smesso di essere un'espressione lontana per diventare di uso quotidiano, non più una realtà di là da venire, ma una realtà in cui siamo pienamente immersi. Un fenomeno dalle proporzioni crescenti e sempre più "visibili", che richiede, per essere ricondotto a dimensioni non esasperate e non patologiche, la graduale, autentica maturazione di una cultura dell'integrazione, fortemente ispirata a criteri e principi di solidarietà ed ancorata al rispetto dei diritti fondamentali dell'individuo.

Sul piano storico, l'arrivo dei primi flussi migratori comincia nei primi anni '70, con l'inizio della crisi del petrolio. L'Italia viene scelta dagli immigrati che non possono più raggiungere i ricchi Paesi dell'Europa centro-settentrionale a causa delle politiche restrittive e della chiusura delle frontiere da parte degli Stati più industrializzati. In questo periodo, l'opinione pubblica non immagina neppure che l'Italia sia diventato un Paese di immigrazione.

I primi nuclei di stranieri che si insediano nel Paese sono di provenienza molto varia: ci sono i cileni rifugiatisi in Italia dopo il golpe di Pinochet del 1973 ma, contemporaneamente a questi, a Milano sono già attive comunità cinesi, egiziane, eritree, a Mazzara del Vallo è già numerosa la comunità tunisina impiegata sui pescherecci. Molto alta, tra gli immigrati, la componente femminile che trova occupazione nei lavori domestici, un settore lavorativo dove la domanda da parte delle famiglie italiane è già alta e tende a crescere.

Nella prima metà degli anni '80 il problema comincia ad essere percepito dall'opinione pubblica e dall'amministrazione, gli studiosi intraprendono le prime ricerche sulla condizione degli immigrati e i più avveduti tra gli enti locali cominciano a supportare le organizzazioni del volontariato, cattolico prima e poi anche laico, nell'offrire servizi ai lavoratori stranieri come alloggi, assistenza sociale, corsi di italiano. Tra le comunità straniere prevalgono, in questo periodo, quelle di origine asiatica come la cinese, la filippina, la srilankese o americana, quella statunitense innanzi tutto, ma poi brasiliana, cilena o argentina.

Gli anni '80 sono però anche quelli del grande afflusso di emigranti dai Paesi africani, in particolare da Marocco, Tunisia e Senegal, che vanno ad aggiungersi agli altri gruppi nazionali africani già presenti nel nostro Paese (gli eritrei, i somali e gli egiziani). Già con la sanatoria del 1986, la percentuale degli immigrati di origine africana (91.466) arriva quasi ad eguagliare quella degli asiatici (95.309), mentre quella, leggermente superiore, degli americani (108.725) è falsata dalla presenza degli statunitensi che soggiornano numerosi nel nostro Paese, anche se non spinti dal bisogno.

Con la legge 39 del 1990, la cosiddetta "legge Martelli", sono numerosissimi gli immigrati di origine africana che riescono a regolarizzare il loro soggiorno in Italia, passando così da 99.878 del 1989 ai 238.130 del 1990, mentre gli asiatici nel 1990 raggiungono il numero di 145.812.

Nel corso degli anni '90 abbiamo assistito ad una ulteriore crescita di alcuni gruppi nazionali come i marocchini, i rifugiati ex jugoslavi, gli albanesi e i rumeni; mentre altri gruppi vanno stabilizzandosi, come i filippini o i senegalesi.

Attualmente l'Italia è il quarto Paese dell'Unione Europea per presenza di stranieri sul proprio territorio (12), ma è quello con la più alta incidenza di immigrati provenienti da Paesi non comunitari (circa l'88%) e uno di quelli più multietnici (13). Su 10 stranieri immigrati in Italia, all'incirca 4 sono europei (la maggior parte dell'Europa centrale e orientale), 3 africani (dei quali due provenienti dall'Africa settentrionale), 2 asiatici, 1 americano e, in generale, quasi la metà proviene da Paesi vicini geograficamente e politicamente. Come sottolinea l'ISMU nel suo V Rapporto sulle migrazioni 1999 (14), circa la metà degli stranieri regolarmente soggiornanti risiede in Italia da almeno 5 anni, "il tempo che il Testo Unico sull'immigrazione considera idoneo per divenire titolari di una carta di soggiorno illimitato e per godere dei diritti politici a livello locale".

Nonostante ciò, le politiche di integrazione vanno a rilento, si registrano ancora discriminazioni (soprattutto in ambito lavorativo e in tema di alloggi), non sempre i diritti fondamentali vengono garantiti e si manifestano forti atteggiamenti di chiusura da parte della popolazione italiana. Questo perché, ricorda ancora l'ISMU, è necessario "promuovere non solo il governo dell'immigrazione, ma anche una cultura dell'immigrazione, che del primo costituisce un ingrediente essenziale". Una "integrazione ragionevole", che persegua sostanzialmente alcuni importanti obiettivi: l'integrità della persona, la buona vita; l'interazione positiva, la pacifica convivenza. Un modello d'integrazione, cioè, poco rigido, poco ideologico, che porti a una convivenza sociale nella quale nessun gruppo percepisca l'altro come una fonte di comportamenti e atteggiamenti nocivi per la propria integrità (15).

Secondo la Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati, si sono registrati molti progressi in questa direzione ed i maggiori hanno riguardato i fatti, i comportamenti reali. Così, sono aumentati in modo significativo i ricongiungimenti familiari: dai circa 92.000 permessi di soggiorno per motivi familiari in vigore nel 1992 si è passati agli oltre 270.000 all'inizio del 1999, e solo tra il 1997 e il 1998 l'incremento è stato del 26,4%. Aumentano gli studenti stranieri nelle scuole, passati dai 13.668 dell'anno scolastico 1989-90 ai quasi 100.000 dell'anno scolastico in corso.

Sul versante del lavoro, poi, l'immigrazione ha costituito un importante elemento economico. Ha coperto segmenti importanti del mercato del lavoro (dove si registra un aumento degli stranieri occupati regolarmente - dai 130.000 del 1991 ai 564.000 del 1998 - e una diminuzione delle differenze tra immigrati stranieri e cittadini Italiani sia nel turn over che nei salari) lasciati scoperti dalla manodopera italiana, rivitalizzando importanti settori economico-produttivi: dalla pesca, all'agricoltura, alla pastorizia, all'industria delle costruzioni, all'industria manifatturiera; oltre al lavoro di assistenza a domicilio, particolarmente utile per gli anziani (più o meno) non autosufficienti. Ha contribuito, per di più, al mantenimento o anche alla creazione di posti di lavoro per gli italiani, a monte e a valle dei settori rivitalizzati. E nel prossimo futuro l'immigrazione straniera dovrebbe risultare ancora più conveniente per effetto dei possibili squilibri quantitativi del mercato del lavoro (16).

A fronte delle significative "luci" appena esposte, tuttavia, l'integrazione degli stranieri immigrati presenta ancora molte "zone d'ombra".

Innanzitutto, la quota di lavoratori non in regola tra coloro che invece risiedono regolarmente in Italia: percentuale piuttosto alta, che si aggira intorno al 30%, a dimostrazione del fatto che le regolarizzazioni del soggiorno non risolvono il problema del lavoro "nero", condizione caratterizzata da bassi salari, turni pesanti, condizioni insalubri e, in alcuni casi, vera e propria riduzione in schiavitù.

L'inserimento lavorativo degli immigrati, che segue un percorso non sempre parallelo a quello sociale, si presenta estremamente differenziato a seconda delle ripartizioni territoriali e del settore produttivo. La stessa diversificazione riguarda il ruolo (competitivo o complementare) rivestito dalla manodopera immigrata nei confronti di quella locale.

Se nel Nord-Est si può considerare prevalente, anche se non esclusivo, un inserimento complementare nelle occupazioni dequalificate del settore industriale e non alternativo alle innovazioni tecnologiche, in altre aree la disponibilità di manodopera immigrata sembra stia ritardando i processi di innovazione e di riconversione.

A Sud l'inserimento lavorativo degli immigrati, come peraltro quello degli autoctoni, si presenta piena di difficoltà. Esistono situazioni limite di concorrenzialità per occupazioni, spesso agricole, non solo dequalificate, ma anche inserite nel settore sommerso.

Del tutto peculiare risulta la realtà del Centro dove la manodopera immigrata trova collocazione nel terziario, in particolare nei servizi alle persone, in una situazione di complementarietà con quella italiana, ma che potrebbe sfociare in futuro in una situazione di concorrenza poiché sta cambiando il tipo di lavoro offerto agli immigrati (17).

Anche a livello abitativo permangono molti problemi: affitti esosi per abitazioni fatiscenti e sovraffollate, discriminazioni di fatto nell'accesso al mercato. Anche la scuola presenta problemi seri. Secondo una ricerca condotta nella provincia di Vicenza, ad esempio, il 31% degli allievi stranieri nella scuola elementare, quasi il 66,7% nella media inferiore e il 7 1,4% nella media superiore sono in ritardo rispetto all'età anagrafica. In tutti i gradi, inoltre, la percentuale dei bocciati è più alta tra gli alunni stranieri che tra quelli italiani: nelle scuole elementari lo scarto è contenuto tra il 97,68% di promossi tra gli Italiani e il 94,31% di promossi tra gli stranieri, mentre nelle medie al 93,88% del totale dei promossi corrisponde solo l'81,53% degli stranieri.

Infine la criminalità.

Si tratta di un tema specifico, delicato ed imbarazzante, ma anche di una lente di ingrandimento che, se per un verso, evidenzia gli aspetti più visibili del fenomeno immigratorio, per altro verso, pone in risalto i nodi dell'attuale dibattito in tema di criminalità e sicurezza sociale.

La sottovalutazione delle conseguenze che la criminalità di origine straniera e l'afflusso di clandestini possono avere sulla percezione di sicurezza e di integrità dei cittadini ha contribuito alla diffusione di atteggiamenti di chiusura, spesso sfociate in vere e proprie reazioni di xenofobia e di razzismo.

L'evoluzione verso una società multietnica è vista più come un'esposizione ai rischi di conflitti razziali (18) e all'intensificarsi dei fenomeni devianti che come un'occasione di crescita culturale. E poiché l'incidenza degli stranieri nell'area criminale è notevolmente cresciuta, come evidenziano numerosi indicatori (denunce, condanne, detenzione, arresti), l'immigrazione in Italia appare sempre più non solo una realtà radicata, ma anche un fattore criminogeno.

Un sondaggio condotto dall'Ispo-Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati, nel settembre-ottobre 1999, ha evidenziato che il 38,2% degli italiani è convinto che la presenza degli immigrati aumenti la delinquenza, il 35,3% è abbastanza d'accordo, mentre solo il 19,4% ritiene scarso il contributo degli stranieri ed appena il 7,1% lo ritiene inesistente. Complessivamente, il 73,5% degli italiani vede negli immigrati una minaccia alla sicurezza e all'ordine pubblico e, di conseguenza, il 61,8% ritiene che un immigrato clandestino debba essere immediatamente espulso ancorché non abbia commesso alcun reato.

Sicuramente una quota crescente di reati negli anni '90 è stata commessa da immigrati.

Vi sono reati che sono sotto gli occhi di tutti, come lo sfruttamento della prostituzione e lo spaccio di stupefacenti, in alcuni casi si arriva anche all'omicidio, alle violenze sessuali, alla ricettazione. Il fenomeno immigratorio ha poi portato all'aumento di alcune forme di violazione delle norme che non costituiscono reato, ma che pure creano senso di insicurezza e di allarme sociale nei cittadini.

L'insicurezza e l'allarme sociale degli italiani, dunque, non sono solo un problema di percezione, ma hanno a che fare realmente con l'esplosione della criminalità. Contrariamente a quanto molti osservatori ed uomini politici continuano a pensare, l'insicurezza soggettiva non è fenomeno irrazionale né una esagerazione, ma è legata all'andamento della criminalità; dipende da altri fattori definibili come "atti di inciviltà" e dalla frequenza con cui vengono violate le norme nel quartiere in cui vive la persona.

Tuttavia, la complessità e la continua evoluzione delle caratteristiche strutturali del fenomeno migratorio suggerisce l'opportunità di un atteggiamento pragmatico, fondato su un monitoraggio ed una verifica continui delle sue dinamiche. Anche se lo straniero comporta un'oggettiva valenza criminogena, questa, però, va esaminata in un contesto più ampio ed attraverso una cauta e rigorosa valutazione dei dati statistici.

È necessario esaminare i diversi aspetti del fenomeno che partono dalla presenza immigratoria, senza criminalizzarla nel suo complesso, ma valutandola alla luce della presenza criminale sul territorio, al fine di individuare le sacche di delittuosità che guastano il lavoro di tanti immigrati alla ricerca di una vita più dignitosa. Fondamentale appare, dunque, la comprensione di alcuni aspetti della natura dell'immigrazione che trova motivazioni, individuali come etniche, totalmente differenti e che presenta caratteristiche criminologiche differenti da zona a zona, da etnia ad etnia.

1.3. La "condizione giuridica dello straniero" in Italia: regolarità ed irregolarità come parametri per il riconoscimento e il diniego di diritti

La condizione giuridica dello straniero ha subito, nell'ordinamento italiano, una profonda trasformazione: fino alla seconda metà degli anni '80, essa era essenzialmente lasciata alle norme del diritto internazionale (19), mentre le scarse e frammentarie norme del diritto interno che disciplinavano la materia erano improntate a fini di polizia di sicurezza. I rapporti giuridici posti in essere degli stranieri, infatti, erano regolati sulla base delle norme del diritto di polizia (20) o delle norme del diritto internazionale privato. Peraltro, la normativa interna lasciava ampio spazio alle circolari ministeriali e, pur non ponendosi in palese contrasto con lo spirito della Costituzione, non poteva certo considerarsi in linea con i suoi principi.

Nel 1981 l'Italia ratificava la Convenzione oil (Organizzazione Internazionale del Lavoro) nr. 143 del 1975, concernente la promozione e l'uguaglianza di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti, recepita solo nel 1986 con la Legge 30 dicembre nr. 943. Con questa legislazione venivano introdotti nell'ordinamento italiano i principi di parità di trattamento e di piena uguaglianza dei diritti dei lavoratori stranieri residenti in Italia e delle loro famiglie con i lavoratori italiani; per la prima volta veniva introdotto il diritto del ricongiungimento familiare, il diritto alla rappresentanza dei cittadini stranieri attraverso l'istituzione delle Consulte regionali e le garanzie dei diritti relativi alla fruizione dei servizi socio-sanitari. Per i lavoratori che avessero la possibilità di accedere ad un lavoro regolare, la legge prevedeva anche un'occasione di regolarizzazione.

Nel 1990 veniva approvata la Legge 28 febbraio nr. 39, c.d. "Legge Martelli", che integrava la normativa precedente attraverso una nuova regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno degli stranieri per motivi di lavoro, di studio, di famiglia, di cura e di culto. Si disciplinava l'accesso al lavoro autonomo, alle libere professioni e si prevedeva la possibilità di costituire cooperative di lavoro. Venivano dettate specifiche disposizioni relative all'espulsione e si disciplinava la materia relativa ai rifugiati politici, abolendo la riserva geografica per il riconoscimento dello status di rifugiato in attuazione della Convenzione di Ginevra del 1951.

Nonostante tutti gli sforzi realizzati, l'immigrazione, però, veniva affrontata sempre come una "situazione di emergenza" (21).

Con il "Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero" (22), che costituisce il tentativo di governare gli attuali ed i futuri processi migratori e di abbandonare il precedente atteggiamento frammentario nell'affrontare il fenomeno, è possibile prendere atto dell'esistenza, per la prima volta, di una legislazione organica relativa ai diritti e doveri dei cittadini stranieri in Italia.

Il tema dei diritti dello straniero è contenuto nell'art. 2 T.U. il quale afferma un principio basilare in materia: il principio di estraneità, secondo il quale è legittimo prevedere per lo straniero un trattamento differenziato rispetto a quello riservato per legge al cittadino italiano.

Tuttavia, è bene precisare che la disparità di trattamento operata dalla norma non si riferisce generaliter a qualunque situazione, di fatto o di diritto, né a tutti gli stranieri presenti sul territorio. La discriminazione è contenuta in precise limitazioni oggettive e soggettive: essa si riferisce solo al riconoscimento o meno di alcuni diritti e riguarda solo gli immigrati in situazione di irregolarità. La norma in questione, infatti, nel definire i diritti spettanti allo straniero, traccia una distinzione tra quelli riconosciuti a tutti, anche se irregolari, comunque presenti alla frontiera o sul territorio nazionale, e quelli riconosciuti ai soli stranieri regolarmente soggiornanti.

Ma ciò equivale a dire che la discriminazione, in prima battuta, trova origine nella condizione regolare o irregolare in cui viene a trovarsi lo straniero ed è giustificata della stretta osservanza del più elementare principio di uguaglianza che, nella prospettiva della ragionevolezza, richiede al legislatore di trattare in modo uguale ciò che è uguale ed in modo diverso ciò che è diverso, secondo le sue peculiarità e le sue differenze (23). Tuttavia, la ragionevolezza della discriminazione si arresta al limite dei diritti fondamentali. Il principio personalistico cui si informa la nostra Costituzione limita l'ambito oggettivo della disparità di trattamento, imponendo l'uguaglianza tra "tutti" in riferimento ai diritti essenziali, a prescindere dalla situazione di regolarità o irregolarità.

Attraverso questa "ragionevole" distinzione, il legislatore ha inteso assicurare una tutela minima allo straniero. Così, a tutti gli stranieri, l'art. 2 comma 1 T.U. attribuisce i diritti fondamentali previsti dalle norme interne, dalle convenzioni internazionali e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti. È opinione consolidata che vadano riconosciuti in maniera incondizionata i diritti inviolabili dell'uomo (art. 2 Cost.); all'inviolabilità della libertà personale (art. 13 Cost.); all'inviolabilità del domicilio (art. 15 Cost.); alla libertà di religione e di culto (art. 19 Cost.); alla difesa (art. 24 Cost.) (24). Al cittadino straniero è, inoltre, riconosciuta la tutela giurisdizionale dei propri diritti ed interessi legittimi, nei rapporti con la pubblica amministrazione e con i pubblici servizi; il diritto di prendere contatto con le autorità del proprio Paese di origine e di essere in ciò agevolati dai pubblici ufficiali, salvo che esistano motivate e gravi ragioni attinenti alla amministrazione della giustizia e alla tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza nazionale (protezione diplomatica); il diritto alla protezione sociale da esercitarsi attraverso il diritto di godere di un permesso di soggiorno per tale motivazione; gli immigrati irregolari sono ammessi a godere di tutte le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali anche se continuative; si conferma non solo il diritto, ma anzi l'obbligo scolastico di tutti i bambini presenti sul territorio italiano.

L'impressione che deriva da questa elencazione è che in Italia la forbice dei diritti degli irregolari e dei regolari si sia ristretta. Ma si tratta di un'impressione errata perché la forbice ovviamente sussiste ed è ampia; infatti, in forza dei commi 2 e 3 dell'art. 2 T.U. vengono riconosciuti ai soli stranieri regolarmente soggiornanti: l'iscrizione anagrafica, l'instaurazione di rapporto di lavoro con cittadini stranieri residenti all'estero, la prestazione di garanzia per accesso al lavoro, il riconoscimento del diritto di soggiorno per motivi familiari, l'iscrizione a collegi professionali, la partecipazione ai programmi di accoglienza, l'istruzione scolastica ed universitaria, l'assegnazione di alloggi sociali, l'accesso alle misure di integrazione sociale, la tutela dalle discriminazioni etniche, nazionali e religiose, l'assistenza sociale, la partecipazione alla vita pubblica locale.

Sembra, dunque, che il legislatore abbia voluto inserire il tema dei diritti nella logica della premialità: la scelta della legalità è resa conveniente favorendo i regolari, arricchendo, in altre parole, il paniere dei loro diritti.

Questo non deve far credere, tuttavia, che la scelta della legalità sia un onere per lo straniero che voglia accedere alle misure di integrazione; la legalità è un obbligo sanzionato con misure di carattere amministrativo e penale.

Di più difficile soluzione è la questione relativa al riconoscimento di tutta una serie di diritti "a condizione di reciprocità", a condizione, cioè, che nel Paese di origine dello straniero sia accordato lo stesso trattamento agli italiani.

La reciprocità cui fa riferimento l'art. 2 comma 2 T.U. è stata introdotta nell'ordinamento italiano dall'art. 16 delle disposizioni preliminari al codice civile vigente, che così dispone: "lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salve le disposizioni contenute nella legge in generale. Questa disposizione vale anche per le persone giuridiche straniere" (25).

La reciprocità sembra svilire il più pregnante principio personalistico contenuto nella nostra Costituzione, che riconosce il valore della persona umana e dei suoi diritti fondamentali; ma contrasta anche con la tendenza, impressa dalla Carta Costituzionale, alla massima apertura verso la comunità internazionale nel suo complesso e non frammentata negli Stati che la compongono. In altre parole, la condizione di reciprocità, e la ritorsione in essa implicita, riduce la posizione dello straniero da persona umana, degna del rispetto che la nostra Costituzione le riserva, a suddito di un altro Stato al cui ordinamento interno il nostro dovrebbe commisurare il trattamento da riservargli (26).

Il denunciato contrasto con i valori espressi dalla Costituzione diventa più evidente di fronte al disposto dell'art. 10 comma 2 della Carta Costituzionale che così recita: "la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali" (27). La norma, infatti, si riferisce non solo ai trattati tra Stati, ma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciuto (richiamate dall'art. 10 comma 1), che tendono a garantire la tutela della persona a prescindere dalla nazionalità. Per queste ragioni, si dovrebbe ritenere che l'art. 16 delle preleggi sia stato superato dall'art. 10 della Costituzione e, di conseguenza, ritenere irrazionale il richiamo che l'art. 2 comma 2 T.U. fa alla condizione di reciprocità.

Sempre in ambito costituzionale, è da segnalare il dubbio circa l'estensione del campo dei diritti di cui possono godere gli stranieri, se cioè solo quelli che la Costituzione riferisce a "tutti", oppure anche dei diritti che essa riferisce ai soli "cittadini". Fermo restando il riconoscimento dei diritti fondamentali, in ossequio al principio personalistico cui si informa la nostra Costituzione, è da ritenere che agli stranieri possano essere riconosciuti anche altri diritti dal legislatore ordinario, senza, però che tale estensione sia costituzionalmente garantita. Del resto, nulla vieta che la legge italiana possa riconoscere allo straniero diritti non previsti dalle norme e dai trattati internazionali, atteso che il citato art. 10 Cost. non pone un limite ma impone solo un trattamento minimo.

1.3.1. Gli obblighi a carico degli stranieri: i provvedimenti di autorizzazione all'ingresso e al soggiorno

Perché allo straniero venga riconosciuta la parità di trattamento rispetto ai cittadini italiani è necessario che questi non si trovi in una condizione di illegalità. A ben vedere, però, la legge non definisce in modo chiaro detto stato.

La dottrina ha indicato nello stato d'illegalità la situazione dello straniero che si sia introdotto in Italia sottraendosi ai controlli di frontiera (28) e, dunque, clandestinamente. Tuttavia, dalla lettura delle norme sanzionatici, risulta evidente che la legge non circoscrive l'elemento oggettivo alla condizione di clandestinità, cosicché sembrerebbe meglio parlare di stato di permanente violazione della normativa dettata in materia di immigrazione. In altre parole, lo stato di illegalità, oltre che nei casi di ingresso clandestino, sussisterebbe anche per lo straniero che non abbia mai conseguito il permesso di soggiorno, che ne era in possesso e poi è scaduto, che non l'abbia rinnovato o al quale sia stato revocato. Più che di illegalità, dunque, dovrebbe parlarsi di soggiorno irregolare.

L'ingresso in Italia del cittadino extracomunitario è disciplinato dall'art. 4 T.U (29)., dall'art. K.1.3.a del Trattato sull'Unione Europea e dagli artt. 5 e 6 della Convenzione di attuazione dell'Accordo di Schengen.

È, ormai, dato acquisito che l'ingresso alla frontiera non è libero, ma condizionato. Le condizioni imposte dalla legge sono oggetto di controllo da parte dell'Autorità di frontiera ed il loro difetto dà luogo ai provvedimenti di respingimento e di impedimento dell'ingresso. Esse possono essere suddivise in condizioni che attengono in generale alla documentazione e ai mezzi di sostentamento e requisiti che, invece, attengono alla persona.

Sono condizioni positive:

  • il possesso di un valido documento di viaggio;
  • il possesso del visto, se prescritto;
  • il possesso della prescritta documentazione amministrativa atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la sussistenza dei mezzi sufficienti.

Sono condizioni negative:

  • la qualità di soggetto già destinatario di un provvedimento di espulsione in Italia, salva l'autorizzazione all'ingresso del Ministero dell'Interno o salvo che non sia trascorso il periodo di divieto di ingresso connesso al provvedimento di espulsione;
  • la qualità di persona che deve essere espulsa o di persona segnalata (anche in base ad accordi internazionali in vigore in Italia) ai fini del respingimento o della non ammissione per gravi motivi di ordine pubblico, di sicurezza nazionale e di tutela delle relazioni internazionali;
  • mancanza dei mezzi di sostentamento.

In sostanza, ferme restando le disposizioni relative ai flussi d'ingresso, l'Italia, in base agli obblighi assunti da specifici accordi internazionali, consente l'ingresso al cittadino straniero che dimostri di possedere la documentazione necessaria a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché i mezzi per la sussistenza e per il ritorno nel Paese di provenienza (i mezzi per il ritorno non sono richiesti per coloro che possiedono un permesso di soggiorno per motivi di lavoro).

Tra i motivi che legittimano l'ingresso, il T.U. prevede: motivi di lavoro, di turismo, familiari, di studio, di formazione, di giustizia, di attesa di emigrazione in altro Stato, di esercizio delle funzioni di ministro di culto, di cure mediche, di convivenza in istituti civili o religiosi, di protezione sociale, umanitari. La sussistenza di questi motivi è importante non solo a garantire la possibilità di accesso alla frontiera, ma si riflette anche sul tipo e sulla durata del visto, quando prescritto, sulla durata della permanenza e, in ultima analisi, sulla possibilità del soggiorno.

Le condizioni che legittimano la permanenza nel territorio dello Stato sono rappresentate dal possesso di un permesso di soggiorno o della carta di soggiorno. Le due precondizioni necessarie per ottenere il permesso di soggiorno sono:

  • non rappresentare una minaccia per l'ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato;
  • non versare in una delle situazioni di inammissibilità previste dall'art. 25 dell'accordo di Schengen e da altre convenzioni internazionali.

L'art. 5 del T.U. impone allo straniero extracomunitario che sia regolarmente entrato in Italia (secondo le prescrizioni dell'art. 4), di chiedere al questore della provincia nella quale si trova, nel termine perentorio di otto giorni lavorativi, il permesso di soggiorno (30).

Ai sensi del primo comma dell'art. 5, l'obbligo di munirsi di tale documento non si applica agli stranieri che siano già in possesso di permesso di soggiorno o titolo equipollente rilasciato dalla competente autorità di uno Stato appartenente all'Unione Europea, nei limiti ed alle condizioni previste da specifici accordi. Il novero di questi Stati, per ora, si restringe a quelli che aderiscono all'accordo di Schengen. Tali stranieri, però, pur se già autorizzati, non sono esentati dalla dichiarazione della loro presenza che comunque devono fare, entro gli otto giorni non lavorativi, al questore della provincia in cui si trovano, ricevendone ricevuta. Si ritiene, leggendo l'art. 21 della Convenzione di Schengen, che gli stranieri che fanno ingresso con tale titolo, non possano permanere in Italia per un periodo superiore ai 90 giorni.

Il permesso di soggiorno è l'atto amministrativo con il quale lo straniero regolarmente entrato nel territorio dello Stato viene autorizzato a stabilirsi in Italia per un periodo limitato.

Il questore della provincia presso cui lo straniero rende la propria dichiarazione di soggiorno ai sensi del secondo comma dell'art. 5, rilascia al medesimo il permesso di soggiorno per l'esercizio delle attività previste dal visto di ingresso o dalla vigente legislazione (31).

Nella richiesta lo straniero deve indicare: le proprie generalità complete nonché quelle dei figli minori conviventi, per i quali sia prevista l'iscrizione nel permesso di soggiorno del genitore; il luogo dove l'interessato dichiara di voler soggiornare; il motivo del soggiorno.

Sempre con la richiesta devono essere esibiti: il passaporto o altro documento equipollente da cui risultino la nazionalità, la data, anche solo con l'indicazione dell'anno, e il luogo di nascita degli interessati, nonché il visto di ingresso quando prescritto; la documentazione, nei casi di soggiorno diversi da quelli per motivi di lavoro, attestante la disponibilità dei mezzi per il ritorno nel Paese di provenienza.

Sotto la rubrica "Rilascio del permesso di soggiorno", l'art. 11 del Regolamento di attuazione del Testo Unico prescrive che il permesso di soggiorno è rilasciato, quando ne ricorrono i presupposti, per i motivi e la durata indicati nel visto d'ingresso o dal Testo Unico, ovvero per uno dei seguenti altri motivi: a) per richiesta di asilo e per asilo politico; b) per emigrazione in altro Paese, per la durata delle procedure occorrenti; c) per acquisto della cittadinanza o dello stato di apolide, a favore dello straniero già in possesso del permesso di soggiorno per altri motivi, per la durata del procedimento di concessione o di riconoscimento.

Il rinnovo del permesso di soggiorno, ai sensi dell'art. 5 comma 4 T.U. deve essere richiesto dallo straniero al questore della provincia in cui si trova almeno trenta giorni prima della scadenza ed è sottoposto alla verifica delle condizioni previste per il rilascio o delle diverse condizioni previste dal Testo Unico (in caso lo straniero intenda mutare il titolo del proprio originario permesso rilasciato per motivi di lavoro).

Fatti salvi i diversi termini previsti, il permesso di soggiorno è rinnovato per una durata non superiore al doppio di quella stabilita con il rilascio iniziale. Il permesso di soggiorno è rilasciato rinnovato o convertito entro venti giorni dalla data in cui è stata presentata la domanda, se sussistono i requisiti e le condizioni previsti dal testo unico e dal regolamento di attuazione. Rispettando i termini imposti dalla norma - trenta giorni prima della scadenza per la domanda, 20 giorni dopo per il rilascio - si dovrebbe verificare che il permesso è sempre rinnovato dieci giorni prima della scadenza. La fissazione di questi tempi burocratici fa superare tutta una serie di problemi pratici nati sotto la vigenza della legge Martelli in ordine ai frequenti casi in cui lo straniero si presentasse l'ultimo giorno utile (per cui il titolo rinnovato giungeva nelle sue mani a permesso abbondantemente scaduto) o addirittura quando si presentasse uno o due giorni dalla scadenza (facendo sorgere il dubbio sulla legittimità del rinnovo). Sempre in merito ai termini in argomento, sì è posta la questione dell'eventuale ritardo della domanda. In merito è stato osservato che trattandosi di una mera irregolarità amministrativa sanabile, essa non dovrebbe compromettere l'accettazione della domanda (32).

La durata del permesso di soggiorno coincide con quella del visto, ma la legge prevede alcune particolari durate (che possono essere superate solo in caso di documentate necessità contemplate dalla legge o dal regolamento di attuazione).

Motivo Durata
Visite Mesi 3
Affari Mesi 3
Turismo Mesi 3
Lavoro stagionale Mesi 6 (ma può essere esteso fino a 9 mesi)
Lavoro autonomo Anni 2
Lav. subordinato a tempo indeterminato Anni 2
Corsi di studio Anni 1
Corsi di formazione Anni 1
Corsi di studio pluriennali Anni 1 (rinnovabile annualmente)
Ricongiungimento familiare Anni 2
Matrimonio Durata del permesso di soggiorno dell'altro straniero con il quale ci si congiunge o ricongiunge
Genitore di figlio italiano, legittimo o naturale, di età minore residente in Italia Durata del permesso di soggiorno dell'altro straniero con il quale ci si congiunge o ricongiunge
Familiare straniero regolarmente soggiornante, in possesso dei requisiti per il ricongiungimento con il cittadino italiano o di altro Stato membro U.E. residente in Italia, ovvero con straniero regolarmente soggiornante in Italia (in tal caso il permesso del familiare è convertito in permesso di soggiorno per motivi di famiglia) Durata del permesso di soggiorno dell'altro straniero con il quale ci si congiunge o ricongiunge
Cure mediche (può estendersi all'accompagnatore) Durata del trattamento terapeutico
Protezione sociale Mesi 6 rinnovabili o in caso di concessione per ragioni di giustizia per la durata del periodo in cui necessita la presenza

A mente dell'art. 5 commi 5 e 6, il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati, e se il titolo è stato rilasciato è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso ed il soggiorno nello Stato, fatto salvo il caso di perdita del posto di lavoro ai sensi dall'art. 22 comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili.

Rifiuto e revoca, poi, possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano.

Da quanto detto, emerge chiaro che il legislatore, piuttosto che individuare una precisa casistica delle cause che fanno luogo al diniego o alla revoca, ha lasciato all'autorità competente al rilascio il compito di stabilire in concreto i casi.

Sono certamente requisiti la cui carenza darà luogo a rifiuto o ritiro:

  • la condizione di persona pericolosa per la sicurezza nazionale dello straniero;
  • la scadenza del titolo di viaggio;
  • l'accertamento di abusi incompatibili col titolo del permesso di soggiorno posseduto;
  • la sopravvenuta indisponibilità di mezzi da fonte legittima;
  • la segnalazione da parte di altro Stato aderente alla Convenzione di Schengen ai fini della inammissibilità dello straniero in quel Paese.

In ordine al rifiuto del permesso di soggiorno l'art. 12 del Regolamento prescrive che, salvo debba disporsi il respingimento o l'espulsione immediata con accompagnamento alla frontiera, quando il permesso di soggiorno è rifiutato il questore avvisa l'interessato, facendone menzione nel provvedimento di rifiuto, che sussistendone i presupposti, si procederà nei suoi confronti per l'applicazione dell'espulsione di cui all'art. 13 del testo unico. Con il provvedimento predetto, il questore concede allo straniero un termine, non superiore a dieci giorni lavorativi, per presentarsi al posto di polizia di frontiera indicato e lasciare volontariamente il territorio dello Stato, con l'avvertenza che, in mancanza, si procederà a norma dell'art. 13 T.U.

Fuori dei casi di espulsione, nei casi in cui occorra rimpatriare lo straniero, il prefetto ne avverte il console dello Stato di appartenenza per gli eventuali provvedimenti di competenza e può disporre il rimpatrio, munendolo di foglio di via obbligatorio, anche con la collaborazione degli organismi che svolgono attività di assistenza per stranieri, ovvero concedergli un termine, non superiore a dieci giorni, per presentarsi al posto di polizia di frontiera specificatamente indicato e lasciare il territorio dello Stato.

L'art. 9 del T.U. accorda allo straniero - per sé stesso, per il coniuge e per i figli minori conviventi - la facoltà di richiedere la carta di soggiorno. Questo documento rappresenta una autorizzazione a soggiornare che si pone a metà via tra il permesso di soggiorno ed il riconoscimento della cittadinanza. Tale autorizzazione rappresenta una novità della più recente legislazione sugli stranieri, non essendo tale istituto conosciuto né nel Testo Unico delle leggi di P.S., né nella legge Martelli. In realtà, la prefigurazione di tale titolo rappresenta il traguardo di un lungo iter orientato nel senso di assicurare maggiore stabilità allo straniero radicatosi ed integratosi nel tessuto sociale del Paese (33).

Può avanzare la richiesta lo straniero:

  • che soggiorni, regolarmente, nel territorio dello Stato italiano da almeno cinque anni (senza soluzione di continuità; per gli stranieri indicati nel secondo comma non necessita detto requisito poiché si applica la normativa di cui al comma 4 dell'art. 30) (34);
  • che sia in possesso di un permesso di soggiorno la cui natura consenta un numero indeterminato di rinnovi (quindi non i titolari di permessi di breve durata e nemmeno i titolari di permesso per studio salvo che non venga convertito a norma dell'art. 6);
  • che disponga di un reddito sufficiente per il sostentamento proprio e dei familiari (ovviamente, la natura della fonte di detto reddito deve essere legittima, anche se la norma non lo prevede in senso espresso; peraltro la legge non detta indicazioni sull'entità ritenuta sufficiente);
  • che non sia stato rinviato a giudizio per uno dei reati per i quali la legge prevede l'arresto nella flagranza di reato (artt. 380 e 381 [limitatamente ai delitti non colposi] cod. proc. pen.)
  • che non sia stato condannato, con sentenza anche non definitiva, per uno dei reati per i quali la legge prevede l'arresto nella flagranza del reato, salvo che non sia intervenuta la riabilitazione ai sensi degli artt. 178 e seguenti del codice penale;
  • che non versi in una delle condizioni che danno luogo all'espulsione.

A differenza del permesso di soggiorno, che è rilasciato per un periodo determinato, la carta di soggiorno è a tempo indeterminato.

Oltre che dal cittadino straniero che si trovi nelle predette condizioni, la carta di soggiorno può essere richiesta anche:

  • dallo straniero coniuge convivente di cittadino italiano o di altro Stato membro dell'Unione Europea residente in Italia;
  • dallo straniero minore, convivente, figlio di cittadino italiano o di altro Stato membro dell'Unione Europea residente in Italia.

Per tali categorie non è necessario il requisito dell'aver soggiornato per almeno cinque anni.

La carta di soggiorno conferisce allo straniero che la possiede oltre che tutti i diritti e le facoltà proprie del titolare di permesso di soggiorno, anche di fare ingresso nel territorio dello Stato in esenzione del visto, di svolgere nel territorio dello Stato ogni attività lecita, salvo quelle che la legge espressamente vieta allo straniero o riserva al cittadino italiano, di accedere ai servizi ed alle prestazioni erogate dalla pubblica amministrazione, salvo che sia diversamente disposto, di partecipare alla vita pubblica locale, esercitando anche l'elettorato quando previsto dall'ordinamento.

A proposito della richiesta della carta di soggiorno, l'art. 16 del Regolamento di attuazione prevede che per il rilascio del titolo l'interessato è tenuto a farne richiesta per iscritto rispettando una serie di formalità.

Il documento costituente la carta di soggiorno è soggetto a rinnovo decennale. Il nuovo documento è rilasciato a richiesta dell'interessato, corredato di nuove fotografie, salvo che debba essere disposta la revoca della carta di soggiorno.

La revoca della carta di soggiorno è disposta dal questore, a carico dello straniero: a) se a suo carico sia stata emessa sentenza di condanna, anche non definitiva, per i reati per i quali è previsto l'arresto (quando si tratta di uno di quelli previsti dall'art. 381 del cod. proc. pen., solo se non colposi); b) se versi nella situazione prevista dall'art. 25 dell'Accordo di Schengen, cioè sussista a suo carico una richiesta di inammissibilità da parte di uno Stato contraente.

Dopo la revoca allo straniero viene rilasciato il permesso di soggiorno, salvo che non versi nelle condizioni previste dagli artt. 13 (espulsione amministrativa), 15 (espulsione a titolo di misura di sicurezza) e 16 (espulsione a titolo di sanzione sostitutiva). Lo stesso titolo può essergli rilasciato in quanto versi nelle condizioni previste dall'art. 19 (divieti di espulsione e di respingimento) o dalla normativa internazionale.

Coerentemente con la finalità di tutelare la permanenza in Italia degli stranieri che nel nostro Paese hanno soggiornato a lungo, la nuova legislazione prevede precisi limiti all'espulsione del titolare di carta di soggiorno.

Il comma 5 dell'art. 9 prescrive che nei confronti del titolare della carta di soggiorno l'espulsione amministrativa può essere disposta solo per gravi motivi di ordine pubblico o sicurezza nazionale, ovvero quando lo stesso appartiene ad una delle categorie indicate dall'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituito dall'art. 2 della legge 3 agosto 1988, n. 327, ovvero dall'art. 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall'art. 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646, sempre che sia applicata, anche in via cautelare, una delle misure di cui all'art. 14 della legge 19 marzo 1990, n. 55.

La normativa citata rappresenta la struttura normativa fondamentale in materia di prevenzione e repressione del fenomeno della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale.

Contro i provvedimenti di cui agli artt. 5 e 9 è ammesso ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale.

1.3.2. Le misure di contrasto all'illegalità

In relazione alla violazione degli obblighi e delle formalità previste per l'ingresso ed il soggiorno, il T.U. disciplina specifici mezzi di contrasto alle situazioni di illegalità. Nella parte relativa alla disciplina dei respingimenti e delle espulsioni si rileva in modo chiaro l'obiettivo dell'attuale legislazione di contrastare definitivamente l'immigrazione clandestina e lo sfruttamento criminale dei flussi di immigrazione.

A) Il respingimento alla frontiera

L'art. 5, comma 2, della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen, prescrive che l'ingresso nel territorio dell'Unione Europea (e degli Stati contraenti) deve essere rifiutato allo straniero che non soddisfi tutte le condizioni dettate dalla convenzione medesima.

A voler ricercare, più in generale il fondamento del potere di respingimento (35), vale la pena ricordare che esso deriva dalla potestà di ogni ordinamento di decidere ed attuare la propria politica migratoria, cercando un equilibrio tra le considerazioni attinenti l'ordine pubblico interno, da un lato, e gli impegni assunti con gli accordi mediante i quali si è giunti alla determinazione di uno spazio unico europeo, dall'altro.

D'altra parte, lo straniero non può vantare il diritto ad accedere al territorio dell'Unione (o in particolare nel nostro Paese) ma solamente un interesse legittimo che si risolve nella pretesa che lo Stato, nell'applicare il provvedimento, rispetti le leggi e la normativa internazionale, nei limiti dei poteri e della discrezionalità in materia. Anzi, a ben vedere, la potestà di cui trattasi non è discrezionale ma vincolata all'accertamento della mancanza dei requisiti positivi o della sussistenza di motivi ostativi.

Quanto alla natura giuridica, il respingimento è uno strumento ostativo all'ingresso nel territorio dello Stato per quei soggetti che sono privi dei requisiti di legge (36).

Il primo comma dell'art. 10 T.U. (art. 8 L. 40/1998) prescrive: "La Polizia di frontiera respinge gli stranieri che si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti richiesti dal presente testo unico per l'ingresso nel territorio dello Stato" (ovvero, un valido documento di viaggio, il visto di ingresso se richiesto, la documentazione idonea a comprovare lo scopo del viaggio e la disponibilità di mezzi di sussistenza).

Il secondo comma, aggiunge "Il respingimento con accompagnamento alla frontiera è altresì disposto dal questore nei confronti degli stranieri: a) che entrando nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera, sono fermati all'ingresso o subito dopo; b) che nelle circostanze di cui al comma 1 (mancanza dei requisiti per l'ingresso) sono stati temporaneamente ammessi nel territorio per necessità di pubblico soccorso".

La nuova formulazione della norma ha risolto un frequente problema operativo conosciuto e non efficacemente contrastato, per la carenza di strumenti normativi, sotto l'imperio della legislazione abrogata. Infatti, per la legge Martelli non era più possibile irrogare detta misura quando lo straniero avesse, anche se clandestinamente, già messo piede in Italia. Si pensi al caso del passeggero clandestino di una nave che, sbarcando di nascosto, veniva sorpreso dalle pattuglie di polizia oltre la linea di frontiera: non rimaneva che fotosegnalare lo straniero ed accompagnarlo presso la locale questura per avviare le pratiche di espulsione. In sostanza il tutto si risolveva con l'ingiunzione a lasciare il territorio nazionale nel termine di quindici giorni.

La nuova legge ha superato il problema pur disgiungendo, in quanto alla competenza, la potestà ad adottare il provvedimento. Nella fase in cui lo straniero si trova ancora oltre la linea di frontiera provvederà la Polizia di frontiera, se invece lo straniero è riuscito ad eludere questo controllo ma viene sorpreso all'ingresso o subito dopo, provvede il questore.

Relativamente all'esercizio della potestà prevista dal comma 2 dell'art. 10 sorgono problemi interpretativi delle espressioni "fermati all'ingresso" e "subito dopo" poste a presupposto della misura.

In merito si osserva che pare trattarsi di presupposti di tempo più che di luogo. Per alcuni, invece, la norma introdurrebbe un criterio di immediatezza cronologica e spaziale insieme, disponendo che lo straniero venga bloccato subito dopo l'ingresso e nei pressi della frontiera o dei confini dello Stato (37). Entrambe le interpretazioni lasciano scoperta la possibilità di risolvere alcuni problemi pratici: si pensi allo straniero che sbarcato da una motonave riesce ad eludere i controlli ma viene sorpreso il giorno successivo, nascosto tra i containers. A rigore, il provvedimento non si potrebbe più adottare. Si tratta di un problema interpretativo, irrisolto, di non secondo momento visto che sull'interpretazione in argomento si gioca il discrimine tra l'adozione di una misura di immediata efficacia da parte del questore (l'accompagnamento in frontiera) ed una misura differita nel tempo e di volontaria esecuzione irrogata dal prefetto (l'espulsione amministrativa).

Il comma 4 dell'art. 10 T.U. esclude la possibilità di respingimento in casi in cui sulla necessità di protezione del territorio sottesa al provvedimento, prevalgono motivi di rispetto dei diritti fondamentali della persona umana.

La norma vieta il respingimento nei casi delle disposizioni vigenti che disciplinano l'asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero l'adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari.

Il comma 5 dell'art. 10 stabilisce che per lo straniero respinto è prevista l'assistenza presso i valichi di frontiera. La norma pone a favore dello straniero il diritto di essere assistito. Si tratta di una applicazione pratica della previsione contenuta nell'art. 2 che stabilisce: "Allo straniero comunque presente alla frontiera sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana..."

B) L'immigrazione clandestina

Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque compie attività dirette a favorire l'ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del T.U. è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire trenta milioni. Fermo restando quanto previsto nell'art. 54 del codice penale, non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato.

L'ipotesi in esame, già vigente nella precedente legislazione (38), è stata riproposta con un regime sanzionatorio più rigoroso nella legge n. 40/1998. La fattispecie in argomento (che sotto l'abrogata legislazione andava sotto la rubrica di "agevolazione dell'ingresso clandestino") è residuale e ricorre quando gli elementi che lo configurano non costituiscano al tempo stesso elementi propri di reati più gravi dai quali resta assorbita.

Tra detti reati, più gravi, nella vecchia legislazione, si annoverava innanzitutto per stretta parentela quello della "intermediazione di movimenti illeciti di lavoratori" previsto dall'art. 12 della legge 30 dicembre 1986, n. 943, oggi espressamente abrogato dall'art. 47 del TU 286/1998.

Per quanto concerne i reati più gravi richiamati dalla norma, si osserva che nel codice penale, sono previste ipotesi che possono avere a che fare con l'ingresso, relative alla tratta ed all'alienazione di schiavi (artt. 601 e 602 c.p.) punite con pene fino ai vent'anni di reclusione.

La norma dell'art. 12 comma 1 colpisce qualsiasi comportamento posto in essere allo scopo di favorire l'ingresso clandestino dello straniero. Il reato è integrato quando si riscontrano "atti" causalmente apprezzabili, diretti in modo non equivoco a creare le condizioni favorevoli all'ingresso abusivo, anche se detto illecito ingresso non si realizzi. Non è neppure necessario che sia provata la effettiva facilitazione, quando gli atti posti in essere, letti attraverso una prognosi postuma, presentavano comunque apprezzabile probabilità di riuscita. È evidente quindi, preso in esame l'elemento oggettivo, che la fattispecie vada ricondotta nell'ambito dei c.d. reati a consumazione anticipata (39).

Circa le modalità di realizzazione, si possono avere diverse soluzioni esecutive.

Configura il reato in esame la fornitura allo straniero di documenti falsi, o la fornitura di altri mezzi o documenti utili a simulare, al controllo di frontiera, condizioni che legittimano l'accesso.

In sede di frontiera marittima si può riscontrare l'attività del vettore marittimo diretta ad agevolare, prima del controllo di frontiera, l'accesso dei clandestini presenti a bordo. La presenza di clandestini a bordo, una volta denunciata, rappresenta un onere non indifferente per il Comandante della nave che si assume la sua responsabilità. Si ricordi - per inciso - che a norma del comma 6 dell'art. 12 medesimo, gli agenti marittimi raccomandatari, come i vettori aerei, e terrestri, devono riferire alle autorità di frontiera della presenza di clandestini a bordo: la mancata segnalazione è di per sé stessa sanzionata con pena pecuniaria applicata in via amministrativa, ma nei casi in cui il clandestino sbarchi per difetto di segnalazione e di vigilanza nei sui confronti, si integrano gli atti di favoreggiamento di cui all'ipotesi di reato in esame.

Invero, in merito ai rapporti tra primo e sesto comma dell'art. 12, c'è chi ha osservato che l'ultimo fa riferimento ad una condotta omissiva che di per sé non può essere riportata, con un semplice automatismo, alla sfera di operatività della norma incriminatrice oggetto di analisi (40). Questo non toglie, però, che anche detta omissione rafforzi la prova del dolo quando ci si trovi di fronte a condotte, come quelle prima descritte, dirette ad agevolare l'ingresso clandestino.

I modi per agevolare l'ingresso trovano spesso macchinazioni di più difficile accertamento.

Si è accertato (41), ad esempio, che gli agenti marittimi albanesi hanno proceduto più di una volta ad iscrivere sulle liste degli equipaggi soggetti che, ottenuto in modo illecito il libretto di navigazione, tentano di eludere i controlli di frontiera ai quali si presentano come personale marittimo.

Vanno soggetti alle sanzioni dell'art. 12/1º anche coloro che forniscono allo straniero una dichiarazione di garanzia con la quale questi possa dissimulare la propria mancanza di mezzi di sussistenza all'atto della presentazione di visto all'ambasciata.

Quest'accertamento, naturalmente avviene in un momento successivo, quando si riscontri che il garante non ospita effettivamente lo straniero oppure che lo straniero sia entrato per ragioni diverse da quelle specificate nella dichiarazione o che la ditta invitante assuma per poi licenziare subito dopo il soggetto, cosicché la garanzia sia servita semplicemente da passepartout presso le sedi diplomatiche e quindi alla frontiera.

Sotto il profilo soggettivo, trattandosi di delitto e non essendo prevista l'ipotesi colposa, si richiede la sussistenza del dolo cioè della coscienza e volontà a commettere atti di agevolazione dell'ingresso.

Circa le modalità esecutive, generalmente il reato in esame riguarda le ipotesi in cui si favorisce il passaggio clandestino non tanto ai valichi di frontiera ma sulla linea di confine, in zone ove sia possibile eludere il controllo (ad esempio gli sbarchi in mare, prima di giungere in porto). La fattispecie legislativa di cui all'art. 12, però, non si riferisce esclusivamente all'ingresso clandestino di stranieri fuori dei valichi di frontiera, ma contempla altresì l'ipotesi di presentazione di stranieri alle autorità di frontiera in frode alle disposizioni di legge. Pertanto risponde del reato in esame colui il quale, raccolto un consistente gruppo di cittadini stranieri assicurando loro un ingresso illegittimo in Italia mediante frode, abbia violato, ai fini di lucro, le vigenti disposizioni sull'ingresso e soggiorno (42).

Infine, si osserva che si tratta di un reato istantaneo che reprime le attività dirette a favorire l'ingresso non solo clandestino ma comunque in frode alla normativa in materia di accesso degli stranieri in Italia. La fattispecie però, è bene sottolinearlo, non riguarda le attività successive all'ingresso, anche se si deve ritenere che tali attività successive possano imputarsi a chi le compie per la violazione dell'art. 12, comma 5, poiché se non dirette a fare entrare sono dirette a favorire la permanenza dello straniero in Italia (43).

Rispetto alle ipotesi di cui all'art. 12 comma 3, resta viva una questione già dibattuta sotto la vigenza dell'art. 3 comma 8 della legge n. 39/1990 e dell'art. 8 del D.L. 489/1995: la configurabilità delle stesse come reati autonomi oppure come aggravanti ad effetto speciale della fattispecie descritta dal primo comma del medesimo art. 12 (44).

In dottrina è stato tracciato un distinguo tra le ipotesi di cui ai punti 1, 2, 5, 6 e 7, che costituirebbero aggravanti ad effetto speciale, e le ipotesi contrassegnate dai punti 4 e 5 che per i loro particolari elementi oggettivi costituirebbero autonome fattispecie (45). Sulla natura delle fattispecie in esame è intervenuta anche la giurisprudenza per la quale il fine di lucro, non dà luogo ad una ipotesi autonoma di reato ma costituisce appunto circostanza aggravante del reato di agevolazione dell'ingresso clandestino di stranieri extracomunitari nel territorio dello Stato. È circostanza aggravante - secondo le pronunce giurisprudenziali - anche quella che ricorre quando il fatto sia commesso in concorso tra tre o più persone. In merito la Cassazione ha stabilito che, in tema di ingresso illecito di stranieri nel territorio dello Stato, la partecipazione alla raccolta di stranieri, che abbiano attraversato clandestinamente il confine di Stato, in coordinazione con altri operanti a tal fine nel territorio dello Stato confinante - una volta individuati gli elementi, anche indiziari, sulla base dei quali possa ragionevolmente affermarsi la cointeressenza di taluno all'attività degli altri, anche se non conosciuti direttamente - costituisce attività diretta a favorire l'ingresso degli stranieri nel territorio in violazione della legge e, dunque, idonea ad integrare il reato in parola senza che sia necessaria anche la dimostrazione della partecipazione all'associazione eventualmente costituita a tale scopo (46).

La scriminante del comma 2 dell'art. 12, riguarda l'attività di soccorso ed assistenza svolta nei confronti dello straniero comunque presente in Italia. Si tratta di una situazione relativa al soggiorno abusivo e non ai reati connessi all'ingresso di cui stiamo disquisendo. Tuttavia, vale la pena di osservare che non si prevede una analoga scriminante per i reati di frontiera. Probabilmente non si tratta di una carenza della legislazione poiché vigono specifiche disposizioni di carattere umanitario contenute in trattati internazionali per i fatti che accadono in spazi non territoriali.

Con la modifica al comma 4 dell'art. 12 T.U., introdotta dall'art. 2 del D.L.vo 13 aprile 1999, n. 113 recante "Disposizioni correttive al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'art 47 comma 2, della legge 6 marzo 1998, n. 40", viene inasprita la lotta contro chi svolge attività dedite a favorire l'immigrazione clandestina. Viene previsto, infatti, l'obbligo dell'arresto in flagranza per chi commette i reati elencati dai commi 1 e 3 dello stesso art. 12 (favoreggiamento semplice e aggravato dell'ingresso clandestino), nonché la confisca dei mezzi di trasporto non assegnati allo Stato o trasferiti ad un ente pubblico per le suddette finalità, che non possono essere alienati ma solo distrutti (47).

Fuori dei casi di favoreggiamento dell'ingresso, e salvo che il fatto non costituisca più grave reato, l'art. 12 comma 5 T.U. punisce chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero o nell'ambito delle attività punite dallo stesso art. 12, favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del testo unico della legislazione in materia di stranieri extracomunitari. La pena è della reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a trenta milioni di lire.

Quanto al momento psicologico del reato è evidente che si richiede il dolo specifico in quanto il fine è quello dell'ingiusto profitto. La norma, scritta a tutela dello straniero stesso, rappresenta un'ipotesi diversa da quelle finora analizzate e mira ad evitare il fenomeno dello sfruttamento della posizione di inferiorità dello straniero clandestino. La punibilità è connessa alla condizione di illegalità dello straniero.

Abbiamo già avuto modo di definire lo stato di illegalità, ed in base a quella definizione, vale l'osservazione che l'intero art. 12 tende a garantire la regolarità delle migrazioni e alla tutela dell'ordine pubblico interno: una restrittiva interpretazione del concetto di stato di illegalità non troverebbe fondamento nella legislazione statuale né in quella internazionale. In primo luogo, contrasterebbe con la convenzione di Schengen. Infine c'è da osservare che alcuni Paesi dell'Unione europea allargano analoga tutela penale anche oltre confine: è il caso della Francia che sanziona la condotta di chi agevola o tenta di agevolare l'ingresso, la circolazione o il soggiorno irregolare di uno straniero non solo sul territorio nazionale, ma anche in uno degli Stati aderenti alla convenzione di Schengen.

Per il comma 2 dell'art. 12, fermo restando quanto stabilito dall'art. 54 del codice penale (48), non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato.

Se tale disposizione resta ferma significa che, ed è quasi superfluo sottolinearlo, le situazioni contemplate dal 2º comma dell'art. 12 riguardano casi nei quali non ricorrono gli estremi dello stato di necessità.

Certo, per definire con più chiarezza i contorni di questa fattispecie occorrerà attendere che si pronunci la giurisprudenza. Tuttavia si può già osservare che, nel tentativo di dare autonomia a detta fattispecie, si è fatto riferimento allo stato di bisogno, alla semplice indigenza economica. Concetti di facile acquisizione, che però non risolvono il problema interpretativo. Si tratta comunque di delineare la definizione di stato di bisogno e di indigenza economica: due condizioni tipiche dell'immigrato in clandestinità (egli non può lavorare regolarmente né affittare un appartamento senza essere segnalato e nemmeno stabilire da qualche parte la sua residenza). Chiunque, aiutando un clandestino andrebbe esente da sanzione per il solo sussistere di tale stato del beneficiario. Fortunatamente pare sufficiente a superare ogni questione l'osservazione che, siccome il comma 5 dell'articolo in esame punisce l'agevolazione dell'abusivo soggiorno per trarre ingiusto profitto, basterà dimostrare di avere agito senza fini di lucro, mossi da semplice spirito umanitario.

C) L'espulsione

La disciplina delle espulsioni e contenuta negli artt. 13, 14, 15 e 16 del Testo Unico. Queste norme, rispetto alla previgente disciplina, introducono diverse innovazioni, alcune recettive di precedenti decreti legge non convertiti, altre derivanti dalla conclusione di aperte discussioni su determinati istituti che più volte si è tentato di introdurre in questi ultimi anni.

Era già stato sperimentato, ad esempio, grazie alla legislazione d'urgenza, l'istituto dell'accompagnamento immediato alla frontiera, mentre per altro verso si era tentato senza successo di istituire per legge i centri di temporanea permanenza.

La nuova legislazione ha senza dubbio recepito determinate istanze dirette a rendere più incisivo il provvedimento in parola.

Tra le modifiche di maggiore rilievo si segnala quella relativa agli strumenti di gravame: mentre nella precedente legislazione era previsto il ricorso al TAR, ora è previsto l'intervento del pretore, salvo il caso di espulsione del Ministro dell'Interno, per la quale resta la ricorribilità al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio.

Il Testo Unico prevede i seguenti tipi di provvedimento:

  • espulsione amministrativa (art. 13 T.U.);
  • espulsione a titolo di misura di sicurezza (art. 15 T.U.);
  • espulsione a titolo di sanzione sostitutiva alla detenzione (art. 16 T.U.).

Sono competenti ad emettere il provvedimento di espulsione a seconda dei casi: il Ministro dell'Interno (art. 13, comma 1, T.U.); - il Prefetto (art. 13, comma 2, T.U.); l'Autorità Giudiziaria (artt. 15 e 16 T.U.).

Il Ministro dell'Interno può disporre l'espulsione dello straniero anche non residente nello Stato, dandone preventiva notizia alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed al Ministro degli Affari Esteri, per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato. Tale provvedimento, previsto dal 1º comma dell'art. 13, si iscrive tra quelli, previsti dall'ordinamento internazionale, diretti a tutelare i beni fondamentali dello Stato democratico.

Si tratta di un atto molto discrezionale, salva naturalmente un'adeguata e concreta motivazione circa la pericolosità del soggetto. La potestà del Ministro, fatto salvo quanto detto, è molto ampia, potendo egli adottare il provvedimento anche nei confronti di chi gode di immunità diplomatica, dei rifugiati politici, dei minori d'età, degli apolidi e dei titolari di carta di soggiorno.

L'iter previsto per l'adozione del provvedimento denuncia di per sé stesso l'estrema delicatezza: esso è destinato agli stranieri pericolosi non tanto per la sicurezza pubblica, ai quali peraltro provvede il prefetto, ma per la sicurezza nazionale. Anche se questa finalità si scorge solo leggendo tra le righe del primo comma dell'art. 13, risulta abbastanza evidente che la norma vuole offrire all'ordinamento gli strumenti per allontanare coloro che sono dediti ad attività spionistica ed i terroristi internazionali.

Pur trattandosi di un atto del potere esecutivo, il provvedimento resta in ogni modo subordinato alla concessione del nullaosta da parte dell'autorità giudiziaria nel caso in cui l'espellendo sia sottoposto a procedimento penale.

Per quanto concerne, infine, le modalità di esecuzione, è previsto l'intervento del questore che provvede all'accompagnamento alla frontiera.

Il potere di espulsione del prefetto è disciplinato dall'art. 13 comma 2 T.U. Il provvedimento di allontanamento in questione è adottato dal prefetto, quando lo straniero sia entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera ed eludendo tali controlli non sia stato possibile respingerlo seduta stante ai sensi dell'art. 10 del T.U.; quando, entrato nel territorio dello Stato, non abbia regolarizzato la sua posizione di soggiorno, facendone regolare richiesta nei termini all'ufficio di pubblica sicurezza, salvo che sia in grado di dimostrare che non ha ottemperato per motivi di forza maggiore (49); quando, titolare di regolare permesso, il provvedimento sia revocato o annullato; quando, titolare di regolare permesso di soggiorno, il provvedimento sia scaduto di validità e non ne sia stato richiesto il rinnovo nel termine perentorio di sessanta giorni.

Quest'ultima previsione consente di superare gli ostacoli frapposti da una certa giurisprudenza formatasi sotto l'egida della legislazione precedente, secondo cui si riteneva che lo straniero non potesse mai essere espulso in via automatica, per il solo mancato rinnovo del permesso. Necessitava, secondo il prevalente orientamento, sempre e comunque un concreto bilanciamento tra interesse pubblico generale ed interesse particolare dello straniero. Certo che, trattandosi di provvedimento motivato, anche nella nuova disciplina, sebbene non espressamente richiesto dalla legge, è normale operare una concreta equiparazione di interessi da parte dell'autorità amministrativa. Questo non toglie che è da considerarsi legittimo il provvedimento che, in conformità a quanto stabilito nell'art. 13 comma 2, lettera b, espelle lo straniero motivando esclusivamente sul mancato rinnovo del permesso nei termini prescritti.

È stato notato che la legge non contempla il caso di rifiuto del permesso di soggiorno debitamente richiesto dall'interessato. Con ogni probabilità si è trattato di una svista nella elencazione tassativa dei casi. Resta però il fatto che, essendo appunto tale elencazione tassativa, non si può sostenere, nei casi di rifiuto, che si possa estendere in via analogica la portata della norma in esame al fine di legittimare un provvedimento di espulsione.

L'espulsione prefettizia è disposta, ancora, quando lo straniero appartiene ad una delle categorie indicate nell'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituito dall'art. 2 della legge 3 agosto 1988, n. 327. Sono appartenenti a dette categorie coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che siano abitualmente dediti a traffici delittuosi; coloro che per la condotta e per il tenore di vita debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica (50).

Lo straniero sarà espulso con provvedimento prefettizio anche quando appartiene ad una delle categorie indicate nell'art. 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall'art. 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646. Si tratta degli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con modi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso. A questo proposito, dovrebbe aprirsi un ampio discorso in merito alle misure per contrastare l'insediamento in Italia delle mafie straniere come quella cinese, quella russa, quella colombiana o albanese. È piuttosto intuitivo che il mero strumento dell'espulsione, di cui qui si sta trattando, rappresenta ben poca cosa rispetto a fenomeni associativi con radici ben solide, collegamenti internazionali assai diramati e strumenti finanziari spesso imponenti.

È stato notato che il provvedimento prefettizio rappresenta, nella nuova legislazione, un atto dovuto (51). Pertanto, accertato che il soggetto rientra in una delle categorie descritte dall'art. 13, non sussiste alcuna discrezionalità circa l'adozione della misura (52). Sottesa a questa scelta si legge la volontà del legislatore di garantire con rigore l'uniforme applicazione della norma al fine di contrastare meglio l'immigrazione clandestina e di tutelare il nostro ordinamento dall'intrusione e dalla permanenza sul territorio nazionale di soggetti pericolosi.

A norma del comma 3 dell'art. 13, tanto che si tratti di provvedimento prefettizio, quanto che si tratti di atto del Ministro dell'Interno, l'espulsione è disposta con decreto motivato. Nel caso in cui a carico del soggetto sia stato aperto un procedimento penale, l'Autorità giudiziaria, di regola, salvo che sussistano inderogabili esigenze processuali, rilascia il nullaosta.

Il tenore della norma fa capire che, anche in caso di procedimento penale pendente, si tende a favorire l'ipotesi che lo straniero abbandoni il territorio italiano. Infatti, nella nuova legge, il rilascio del nullaosta è obbligatorio e non più facoltativo come nella previgente disciplina, esclusi ovviamente i casi di sussistenza di inderogabili esigenze processuali. Tali esigenze si muovono in un campo certamente più ampio rispetto a quello contenuto nel concetto di esigenze cautelari: esse attengono non al problema della possibile reiterazione del reato da parte del soggetto, ma alla mera esigenza di regolarità del processo con particolare riguardo all'attività di acquisizione probatoria.

Si è posto in dottrina il problema dello straniero che, già munito di provvedimento di espulsione, commetta un reato nelle more del provvedimento del questore di accompagnamento alla frontiera (53). In assenza di una chiara soluzione contenuta nella legge, che per contro non codifica questa fattispecie, si è sostenuto, da una parte, che è legittimo sostenere la necessità del rilascio del nullaosta, poiché comunque prevalgono le necessità istruttorie. D'altra parte, però, si è osservato che, soprattutto quando il provvedimento sia immediatamente esecutivo, si incontrano diverse difficoltà oggettive dovute ai tempi ristretti. Né, d'altronde, l'esigenza di attendere il rilascio dei nullaosta rappresenta una delle ipotesi, tassativamente indicate dalla legge, che consentono di restringere il soggetto in un centro di temporanea permanenza.

Se quanto detto vale per il soggetto denunciato in stato di libertà, il comma 3 dell'art. 13, prende in esame l'ipotesi dello straniero tratto in arresto in flagranza, stabilendo che il nullaosta in tal caso è rilasciato dal giudice all'atto della convalida, sempre che non si applichi una misura detentiva ai sensi dell'art. 391 comma 5 cod. proc. pen. Se tale misura non è applicata o è cessata, il questore può disporre che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza temporanea più vicino.

Anche, in questo caso, il legislatore vuole favorire l'allontanamento dello straniero dal territorio nazionale. Infatti, mentre paradossalmente nella previgente disciplina lo straniero arrestato si garantiva quasi la permanenza in Italia, con la nuova formulazione il nullaosta diviene obbligatorio salvo che non si applichino le misure restrittive.

Una volta ottenuto il nullaosta, viene emesso il decreto di espulsione da parte del prefetto e per parte sua il questore procede all'accompagnamento immediato in frontiera (quando l'ipotesi sia contemplata nel provvedimento prefettizio) oppure dispone l'accompagnamento dell'espellendo in un centro di temporanea permanenza.

In forza dell'art. 15 T.U., fuori dai casi previsti dal codice penale, il giudice può ordinare l'espulsione dello straniero che sia condannato per uno dei delitti previsti dagli art. 380 e 381 cod. proc. pen., sempre che risulti socialmente pericoloso (54).

L'articolo in esame allarga senza dubbio il novero delle ipotesi di reato cui far conseguire, dopo la pena detentiva, l'applicazione della particolare misura di sicurezza. Si nota, infatti, che questa può essere disposta in sede di condanna per tutti i reati per i quali il codice di procedura penale prescrive o consente l'arresto in flagranza. L'applicazione, comunque, presuppone l'accertamento della pericolosità del soggetto, escludendosi in tal senso ogni presunzione ex lege di tale qualità.

La nuova legge ha risolto il problema dell'applicabilità della misura di sicurezza in questione nel caso che la sentenza sia stata pronunciata ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., cioè quando si procede all'applicazione della pena su richiesta delle parti. Non essendo prevista alcuna deroga alla disciplina generale dettata dall'art. 445 cod. proc. pen., essendo al giudice preclusa in sede di patteggiamento la possibilità di applicare misure di sicurezza, eccezion fatta per la confisca, si deve ritenere inapplicabile anche la misura contemplata dall'art. 15 in esame.

L'art. 16 T.U. conferisce al giudice, nel pronunciare la sentenza di condanna per un reato non colposo o nell'applicare una pena su richiesta delle parti a norma dell'art. 444 cod. proc. pen., di sostituire la pena con la misura dell'espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni. Detta possibilità sussiste nei confronti dello straniero che si trovi in una delle condizioni cui l'art. 13 comma 2 T.U. fa conseguire l'espulsione prefettizia, nel caso ritenga di dovere irrogare una pena entro il limite di due anni e non ricorrano le condizioni per ordinare la sospensione condizionale della pena (art. 163 cod. pen.), né le cause ostative indicate dall'art. 14 comma 1 dello stesso T.U. La misura è eseguita dal questore secondo le modalità dell'art. 13 comma 4, anche se la sentenza non è irrevocabile.

L'espulsione come misura sostitutiva rappresenta l'evoluzione di istituti già in passato introdotti con la legislazione d'urgenza che per la loro eccessiva estensione, finendo di fatto per favorire lo straniero rispetto al cittadino italiano, avevano suscitato forti perplessità. Il dibattito aveva beneficiato anche dell'intervento chiarificatore della Corte Costituzionale che nella pronuncia n. 176 del 1997 ha respinto ogni dubbio sulla violazione del principio di eguaglianza di fronte alla legge, ricordando che il legislatore possiede la libertà di scelta in forza della quale può istituzionalizzare anche un regime differenziato tra cittadino italiano e straniero nell'ambito di una ragionevole politica che privilegia la necessità di sgravare le strutture carcerarie allontanando persone condannate nei confronti delle quali si tratta solo di sospendere la pena.

La nuova normativa, però, si evolve in maniera positiva rispetto al citato problema, poiché definisce con rigore i presupposti della misura e ne restringe il campo di applicazione solo ai soggetti espellibili in forza del 2º comma dell'art. 13.

L'espulsione, in via ordinaria, è lasciata allo spontaneo adempimento in quanto, di regola, il provvedimento contiene l'intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni e ad osservare le prescrizioni per il viaggio e per la presentazione all'Ufficio della Polizia di frontiera.

Quando l'espulsione è disposta nei confronti dello straniero che si è trattenuto sul territorio dello Stato senza aver richiesto il permesso di soggiorno, ovvero il permesso è stato revocato o annullato o scaduto senza richiesta del rinnovo, il questore può adottare il provvedimento di trattenimento dello stesso in un centro di permanenza temporanea quando il prefetto ritenga (55) concreto il pericolo che lo straniero si sottragga all'esecuzione del provvedimento.

A norma del 4º e del 5º comma dell'art. 13, invece, l'espulsione è eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, quando lo straniero espulso con ingiunzione di abbandonare il territorio nazionale si sia invece trattenuto indebitamente oltre il termine fissato con l'intimazione; quando si tratti di espulsione prefettizia irrogata allo straniero appartenente ad una categoria di soggetti pericolosi (art. 13, comma 2, lettera c) ed il prefetto ritenga, sulla base di circostanze obiettive, il concreto pericolo che lo straniero si sottragga all'esecuzione del provvedimento; nel caso in cui si tratti di straniero entrato sottraendosi ai controlli di frontiera, quando sia privo di valido documento attestante la sua identità e nazionalità ed il prefetto rilevi, tenuto conto delle circostanze obiettive riguardanti il suo inserimento sociale, familiare o lavorativo, un concreto pericolo che lo straniero medesimo si sottragga all'esecuzione del provvedimento.

Tanto il decreto di espulsione, quanto l'eventuale provvedimento di assegnazione ad un centro di permanenza temporanea, debbono essere portati a conoscenza dell'interessato in modo formale tradotto in lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile in lingua inglese, francese o spagnola, con chiara indicazione delle modalità di impugnazione. La stessa garanzia si applica ad ogni altro atto concernente l'ingresso, il soggiorno e l'espulsione.

Per quanto riguarda la possibilità di ricorso, avverso il provvedimento prefettizio può essere presentato unicamente al pretore entro cinque giorni dalla comunicazione del decreto o del provvedimento. Il termine è di trenta giorni qualora l'espulsione sia eseguita con accompagnamento immediato. Il giudice competente è quello del luogo in cui lo straniero risiede o dimora. Se si tratti di accompagnamento immediato previa assegnazione ad un centro di permanenza temporanea è competente il pretore cui spetta la decisione della convalida della misura. Il pretore si pronuncia per l'accoglimento o per il rigetto con un unico provvedimento adottato in ogni caso entro dieci giorni dalla data di deposito, sentito l'interessato, nei modi di cui agli artt. 737 ss. del codice di procedura civile.

Come già ricordato, se si tratta, invece, di provvedimento del Ministro dell'Interno, è ammesso il ricorso al TAR del Lazio.

Esclusi i casi per i quali l'art. 19 prevede il divieto, lo straniero espulso viene rinviato allo Stato di appartenenza, ovvero, quando ciò non sia possibile, allo Stato di provenienza.

Una volta allontanato non può rientrare nel territorio nazionale senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'Interno.

Il trasgressore è punito con l'arresto da due a sei mesi ed è nuovamente espulso con accompagnamento immediato. Il divieto vige per cinque anni salvo che il pretore o il tribunale amministrativo regionale, con provvedimento che decide sul ricorso, ne determinano diversamente la durata per un periodo comunque non inferiore a tre anni, sulla base di legittimi motivi ad-dotti dall'interessato e tenuto conto della complessiva condotta da egli tenuta nel territorio dello Stato.

L'art. 14 T.U. dispone che quando non è possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante l'accompagnamento alla frontiera ovvero il respingimento, perché occorre procedere al soccorso dello straniero; ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità; all'acquisizione di documenti per il viaggio; per l'indisponibilità di un vettore o di altro mezzo di trasporto, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto, per il tempo strettamente necessario, presso il centro di permanenza temporanea ed assistenza più vicino tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell'Interno.

Per quanto concerne il regime della permanenza, la legge prevede che lo straniero sia trattenuto con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità. Allo stesso è assicurata la corrispondenza, anche telefonica, con l'esterno. Il questore del luogo in cui si trova il centro (non quello dove è stato rintracciato lo straniero) trasmette, senza ritardo e, comunque, entro quarantotto ore dall'adozione del provvedimento, copia degli atti al pretore. Il giudice, ove ritenga sussistenti i presupposti, sentito l'interessato, convalida, con procedura in camera di consiglio, il provvedimento del questore. Se invece il provvedimento non è convalidato nelle quarantotto ore successive, esso perde di efficacia. Entro tale termine, la convalida può essere disposta anche in sede di esame del ricorso avverso il provvedimento di espulsione. La permanenza, a seguito della convalida, si protrae per un periodo di venti giorni, ma il questore può ottenere, dietro espressa richiesta al pretore, qualora sia imminente l'eliminazione dell'impedimento all'espulsione o al respingimento, che il giudice determini un ulteriore periodo di dieci giorni. Ovviamente, se è possibile eseguire l'espulsione prima del trascorrere del predetto termine, il questore vi provvede dandone urgente comunicazione al pretore. Contro i decreti di convalida e proroga è proponibile il ricorso per cassazione, ma questo non sospende l'esecuzione della misura.

Il controllo del centro è affidato al questore che, avvalendosi della forza pubblica, adotta ogni provvedimento ed ogni necessaria misura per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza nel centro. Tra queste rientrano le misure per l'identificazione delle persone e per la sicurezza dell'ingresso del centro. Rientrano anche i provvedimenti diretti ad impedire l'indebito allontanamento e per ripristinare la misura qualora questa venga violata. Il gestore del centro ed il personale impiegato sono tenuti ad offrire collaborazione al questore quando venga loro richiesta.

Sezione II
L'immigrazione in Italia tra presenze regolari ed irregolari

1.4. I principali limiti delle informazioni statistiche

Allo stato attuale risulta piuttosto difficile (se non impossibile) definire in assoluto il numero esatto di stranieri presenti in Italia. Questo non solo per l'esistenza di una parte di popolazione straniera irregolare, il cui numero, naturalmente, può essere solo stimato, ma anche per le diverse cifre in circolazione che si riferiscono agli stranieri presenti regolarmente sul territorio italiano. Se, ad esempio, consideriamo i dati al 31 dicembre 1998, il numero di stranieri regolari era di 1.033.235 secondo la rilevazione del Ministero dell'Interno; 1.126.836 secondo l'ISTAT; 1.250.214 secondo le stime della Caritas diocesana di Roma.

La mancata corrispondenza tra le diverse quantificazioni sono da imputare all'esistenza di diversi sistemi di rilevazione: il Ministero dell'Interno si rifà all'archivio dei permessi di soggiorno collegato con gli Uffici Stranieri delle Questure; l'ISTAT si basa sull'archivio delle iscrizioni anagrafiche della popolazione residente, a sua volta collegato con gli Uffici anagrafici dei Comuni; la Caritas si basa sui dati degli Interni e dell'ISTAT introducendo, però, alcuni coefficienti di correzione.

Le rilevazioni del Ministero dell'Interno

Negli studi statistici, per argomentare su genere e consistenza dell'immigrazione regolare in Italia, si considerano le presenze straniere, distinte in comunitari ed extracomunitari, riferendosi ai dati ufficiali forniti dal Ministero dell'Interno e relativi ai permessi di soggiorno validi al 31 dicembre di ogni anno. Le rilevazioni così effettuate costituiscono preziose informazioni sulla componente regolare dell'immigrazione straniera e sulle sue caratteristiche dinamiche e strutturali.

Tuttavia, il censimento degli stranieri regolarmente presenti sul territorio fondato esclusivamente sui permessi di soggiorno è sensibilmente riduttivo delle reali dimensioni del fenomeno. In primo luogo, perché gli stranieri entrati regolarmente in Italia sono tenuti a munirsi di permesso di soggiorno solo se vi permangono oltre i termini consentiti. È, quindi, assolutamente legittimo che tutti coloro che contano di fermarsi per pochi giorni non lo richiedano, ed è immaginabile che non venga richiesto neanche da coloro che si trattengano qualche giorno oltre il termine massimo. Certamente non lo richiederanno tutti gli stranieri che, entrati regolarmente per pretesi motivi di turismo, maturino il preciso intento di rimanervi in posizione irregolare, in cerca di sistemazione o in attesa di ripartire per altri Paesi. Per quantificare il numero degli stranieri presenti regolarmente in Italia nel corso di un anno, dunque, di là dai permessi di soggiorno, deve essere tenuto conto del numero ben più alto di tutti gli ingressi regolari, indipendentemente dal fatto che essi si traducano in permanenze brevi, o sfocino in soggiorni regolari, o, ancora, finiscano con l'alimentare l'immigrazione irregolare.

In secondo luogo, perché questo tipo di rilevazione non attribuisce un'autonoma evidenza statistica ai minori, per i quali non è previsto il rilascio di un autonomo permesso di soggiorno ma solo l'annotazione sul documento degli adulti.

In terzo luogo, perché i dati di fine anno vengono resi noti nei primi mesi dell'anno successivo e questo non consente di tener conto di tutti i permessi di soggiorno scaduti e non rinnovati, nonché dei documenti di "primo rilascio" e di quelli rinnovati ma non ancora registrati a livello centrale. Peraltro, il numero dei documenti scaduti presenti nell'archivio alla fine dell'anno non coincide con quelli effettivamente cessati di validità nel corso dello stesso anno: andrebbero, infatti, aggiunti i documenti cancellati dalle Questure, che evidentemente non sono compresi nell'ammontare degli scaduti alla fine del periodo e sui quali non esistono delle statistiche (56).

A questo proposito va sottolineato che, al fine di determinare le quote annue di ingresso su dati il più possibile corrispondenti alla realtà, il Ministero dell'Interno, dal 1998, ha iniziato a correggere in parte il proprio sistema di rilevazione provvedendo alla cancellazione dei permessi di soggiorno scaduti e non rinnovati. Questo nuovo sistema, però, rende improbabile la comparazione con i dati relativi agli anni precedenti: il numero di stranieri "depurato" relativo al 1998 (1.033.235) risulta, infatti, più basso di quello "non depurato" relativo all'anno precedente (1.240.721), nonostante vi siano stati circa 150mila nuovi permessi nel 1998.

Infine, occorre osservare che, anche quando si riuscisse a disporre di dati certi relativi ai permessi scaduti e non rinnovati, rimarrebbe sempre il problema della verifica di quanta parte di questi documenti corrisponda effettivamente alle uscite dal territorio italiano.

Per queste ragioni, i dati forniti dal Ministero dell'Interno, completi di aggiornamenti perfezionati nell'anno successivo, vengono rielaborati, per fini specifici, dagli istituti di ricerca o di statistica, che possono, in tal modo, proporne una stima più prudente, ritenuta maggiormente rappresentativa dell'effettivo numero degli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia.

Le rilevazioni ISTAT

Le rilevazioni dell'ISTAT, effettuate tramite gli uffici anagrafici, consentono di ottenere informazioni sull'ammontare della popolazione residente, distinta per cittadinanza e sesso e sulla popolazione minore di 18 anni distinta per sesso. Il maggior vantaggio di queste elaborazioni statistiche consiste nel fatto che esse vengono effettuate a distanza di sei mesi dalla fine dell'anno e, dunque, permettono di considerare i permessi di soggiorno scaduti ed i nuovi permessi relativi all'anno precedente.

In base alle rilevazioni ISTAT, "ponderate" in mesi di specifico studio dei dati ufficiali forniti dal Ministero dell'Interno, si ritiene che il numero degli stranieri presenti nel corso di un anno sul territorio (a prescindere dalla durata del permesso di soggiorno) sia ricavabile sommando il numero dei permessi di soggiorno rilasciati nei dodici mesi dell'anno al numero dei permessi validi al 1º gennaio dell'anno medesimo. Questa stima si fonda sull'ipotesi che il numero di questi ultimi sia uguale a quello dei permessi validi il giorno prima (31 dicembre dell'anno precedente), nella presunzione che al permesso valido corrisponda l'effettiva presenza del titolare sul territorio in quel giorno.

Dagli uffici anagrafici sono rilevati anche i dati sui cosiddetti flussi naturali, nascite e decessi, nonché quelli determinati dalle acquisizioni di cittadinanza. Peraltro le nascite risultanti dalle iscrizioni in anagrafe costituiscono un flusso particolare in quanto determinano un incremento della popolazione straniera, ma non della popolazione immigrata nel nostro Paese. Una tale distinzione, fra popolazione straniera ed immigrata, che non può essere operata sui dati di stock (stranieri regolarmente presenti e stranieri residenti all'inizio di ciascun anno) può quindi essere operata sui dati di flusso, anche se nel caso dei permessi di soggiorno le difficoltà sarebbero decisamente superiori per le carenze, già menzionate, sui dati relativi ai minori.

Anche questo tipo di rilevazione, però, presenta alcuni inconvenienti.

Innanzitutto, il numero degli stranieri iscritti in anagrafe è più basso di quello degli stranieri soggiornanti, a causa dei tempi necessari al perfezionamento dei requisiti richiesti per l'iscrizione anagrafica. Inoltre, occorre osservare che per una buona parte degli stranieri il permesso di soggiorno non è necessario per le permanenze brevi. Così, anche questi dati risultano approssimati per difetto.

Vi è poi da aggiungere che, mediante i dati sui permessi di soggiorno, è possibile misurare con sufficiente accuratezza solamente i flussi migratori in ingresso (57). Non è invece possibile, al momento, misurare i flussi in uscita. Infatti, con la metodologia elaborata dall'ISTAT è possibile quantificare con sufficiente approssimazione il numero di documenti scaduti alla fine di ciascun anno, e non più prorogati. Non vi sono tuttavia elementi conoscitivi certi per stabilire se il flusso di documenti scaduti si sia effettivamente tramutato in un flusso migratorio in uscita, o piuttosto in presenza irregolare.

Le rilevazioni Caritas

Per queste ragioni, la Caritas ha elaborato un sistema di rilevazione basato su un coefficiente di moltiplicazione: il dato fornito dal Ministero dell'Interno viene moltiplicato per un fattore che tenga conto sia dei nuovi permessi di soggiorno non ancora registrati per i ritardi burocratici (così come fa l'ISTAT), che dei minori non registrati come titolari di permessi. Questo fattore è stato di 1,21 per il 1998 e di 1,19 per il 1999, differenza dipesa dal fatto che la maggior parte dei beneficiari della regolarizzazione in corso non hanno ancora figli a seguito.

1.5. L'immigrazione regolare: le caratteristiche dinamiche e strutturali

Secondo le stime della Caritas di Roma, gli stranieri soggiornanti in Italia all'inizio del 2000 sono circa 1.490.000 (58). Tale cifra è stata ottenuta maggiorando del 19% il dato del Ministero dell'Interno (59) e, comunque, considerando un aumento di 240.000 unità rispetto all'anno precedente (60), dovuto ai nuovi regolarizzati (61), ai nuovi arrivi a titolo stabile (62) e ad una stima sui nati in Italia da entrambi i genitori stranieri (63). Nel complesso, gli immigrati rappresentano in Italia il 2,5% dell'intera popolazione, una porzione ancora contenuta rispetto ai Paesi di lunga tradizione immigratoria, anche se in costante aumento, considerando che la media europea è vicina al 5%.

L'elemento che prima di tutto viene in risalto è il "policentrismo etnico" della presenza straniera in Italia, che caratterizza il modello migratorio in termini di "immigrazione diffusa". Ciò vuol dire un incredibile mosaico di Paesi e continenti rappresentati sul nostro territorio: rispetto alla Germania, ad esempio, dove tre gruppi, (turco, ex jugoslavo ed Italiano), costituiscono il 50% del totale degli immigrati, in Italia la stessa percentuale comprende ben 14 diversi gruppi nazionali, molto differenziati per religione e cultura. Sotto questo aspetto essa si avvicina agli altri Paesi di nuova immigrazione, quali la Spagna e la Grecia, distinguendosi, invece, da quelli in cui l'immigrazione è stata sempre caratterizzata da una maggiore concentrazione etnica (64).

Questa situazione fa del nostro Paese uno Stato-laboratorio per le società multietniche, destinato a diventare un osservatorio speciale nei decenni futuri.

Dal punto di vista delle presenze complessive, gli anni '90, se hanno registrato l'assestamento della quota di stranieri provenienti dai Paesi più sviluppati, sono stati caratterizzati anche da una massiccia presenza di stranieri provenienti da aree a forte pressione migratoria, quali l'Europa centro-orientale, l'Africa, l'America centro-meridionale, e l'Asia (ad eccezione del Giappone ed Israele). I Paesi appartenenti a queste aree geografiche hanno consolidato, nel corso di questi ultimi anni, la loro presenza sul territorio italiano, facendo registrare una lenta concentrazione della popolazione straniera in relazione al Paese di provenienza.

Tabella 1
Le prime 10 comunità immigrate in Italia. Valori assoluti. Periodo 1990-1997
Paese 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997
Marocco 80.495 89.005 95.741 97.604 92.617 94.237 119.481 131.406
Albania 2.034 26.381 28.628 30.847 31.926 34.706 63.976 83.807
Filippine 35.373 40.381 44.155 46.332 40.714 43.421 57.071 61.285
Usa 58.707 59.728 62.112 63.960 56.714 60.607 54.659 59.572
Tunisia 42.223 46.393 50.405 44.505 41.105 40.454 44.821 48.909
Ex Jugoslavia 30.121 33.928 44.650 67.850 89.444 51.973 44.259 44.370
Germania 41.698 39.907 39.495 39.923 37.050 39.372 36.515 40.079
Romania 7.844 13.548 16.443 19.385 20.220 24.513 31.673 38.138
Cina 19.237 20.632 21.417 22.875 19.485 21.507 29.073 37.838
Senegal 25.268 27.119 27.572 26.368 24.615 23.953 31.870 34.831

Fonte: DIA - su dati Ministero dell'Interno, ISTAT, Caritas

Tabella 2
Le prime 10 comunità immigrate in Italia. Valori percentuali. Periodo 1990-1997
Paese percentuali variazioni percentuali
1995 1996 1997 1997/1995 1997/1990
Marocco 9,51 10,91 10,59 39,44 63,23
Albania 3,50 5,84 6,75 141,48 4020,30
Filippine 4,38 5,21 4,94 41,14 73,25
Usa 6,11 4,99 4,80 -1,71 1,47
Tunisia 4,08 4,09 3,94 20,90 15,83
Ex Jugoslavia 5,24 4,04 3,58 -14,63 47,31
Germania 3,97 3,33 3,23 1,80 -3,88
Romania 2,47 2,89 3,07 55,58 386,21
Cina 2,17 2,65 3,05 75,93 96,69
Senegal 2,42 2,91 2,81 45,41 37,85

Fonte: DIA - su dati Ministero dell'Interno, ISTAT, Caritas

Figura 1
Stranieri soggiornanti in Italia per aree geografiche di provenienza. Anno 1998
Figura 1

Elaborazione su fonte Caritas Roma, 1999

Figura 2
Le prime 20 comunità di immigrati in Italia al 31 dicembre 1998
Figura 2

Elaborazione su fonte Caritas Roma, 1999

Il legame sempre più stretto tra i flussi migratori che attraversano l'Italia e l'incremento nel numero degli immigrati stranieri già presenti sul territorio è indice di una crescente tendenza a preferire il nostro Paese come luogo di lunga o definitiva permanenza.

Generalmente si può dire che nella prima metà degli anni '90 i flussi regolari si sono mantenuti sostanzialmente stabili, mentre solo negli ultimi anni hanno fatto registrare un incremento degli arrivi (65). Il rilascio di nuovi permessi di soggiorno, detratti quelli che costituiscono la regolarizzazione di presenze precedenti ed irregolari, è indice non solo della forte pressione immigratoria verso il nostro Paese ma anche di una progressiva strutturazione e regolamentazione del fenomeno, che porta un numero crescente di nuovi arrivati a percorrere le vie ufficiali.

Tabella 3
Flussi migratori in ingresso, per area geografica di cittadinanza, secondo il motivo del soggiorno. Anno 1998
Aree geografiche Numero ingressi % Ingressi /stranieri presenti all'1.1.'98 Motivo del soggiorno %
Lavoro Famiglia Motivi umanitari Studio Turismo
Europa 80.794 52,7 21,1 23,9 24,2 6,7 10,1 23,4
Europa c./or.le 60.298 39,3 26,6 17,1 30,0 9,0 5,5 28,2
Africa 19.493 12,7 6,3 9,3 61,8 5,1 5,6 8,2
Africa sett.le 12.814 8,4 6,4 8,3 74,7 1,0 3,6 6,5
Asia 27.666 18,0 14,3 14,6 37,7 17,9 10,1 7,0
Asia or.le 11.482 7,5 10,7 20,6 41,5 0,0 16,5 7,3
Asia c./mer.le 9.109 5,9 13,2 16,8 57,5 2,4 3,2 4,2
America 23.042 15,0 17,3 9,6 31,0 0,1 11,3 33,4
America c./mer.le 16.426 10,7 19,0 8,2 30,8 0,1 7,7 38,8
Oceania 982 0,6 44,1 5,9 11,3 0,0 14,5 50,7
Apolidi 8 0,0 1,2 0,0 37,5 25,0 25,0 0,0
Totale 153.353 100,0 15,0 17,9 32,2 8,3 9,6 20,0

Fonte: Ministero dell'Interno - Elaborazione: ISTAT

Per quel che riguarda la composizione in base alla cittadinanza degli stranieri, le disaggregazioni dei flussi in entrata per area di provenienza dimostra che sono soprattutto i flussi provenienti dall'Europa centro-orientale ad interessare il nostro Paese, rappresentando quasi il 40% del totale, mentre le altre aree si attestano su valori più bassi. Ed ancora, l'Europa centro-orientale si distingue per la velocità di crescita della comunità: infatti, rapportando gli ingressi alla popolazione straniera già insediata, si registra una crescita pari al 27%. Rilevanti sono anche i dati relativi alle comunità dell'America centro-meridionale, mentre un rallentamento si registra per i flussi asiatici ed africani.

Per quanto riguarda i motivi di ingresso e soggiorno, risulta interessante verificare la quota di permessi rilasciati per turismo, una componente dei flussi immigratori di sicuro interesse in quanto con ogni probabilità 'nasconde' una certa quota di ingressi di cittadini stranieri intenzionati a fermarsi in Italia per motivi diversi dal turismo, ma privi di quei requisiti, quali la richiesta di ricongiungimento familiare o la chiamata lavorativa, che consentono l'ottenimento di titoli di soggiorno di ben diversa natura e durata.

In questa tipologia di flusso risulta particolarmente rilevante la componente proveniente dall'Europa centro-orientale, pari al 28,2% del totale proveniente dalla medesima area geografica, con alcune cittadinanze in particolare evidenza (ex URSS, Romania, Polonia ed ex Jugoslavia), mentre pure significativo è il flusso proveniente dall'America centro-meridionale (con il 38,8%), con Brasile e Colombia in primo piano; risultano invece molto meno consistenti gli ingressi per turismo provenienti da Asia e Africa, in entrambi i casi al di sotto del 10%.

Un'altra componente in base al motivo del soggiorno è costituita dai cittadini stranieri entrati per ricongiungimento familiare.

L'importanza di questa motivazione è testimoniata dal fatto che i flussi in ingresso per ricongiungimento familiare risultano in forte crescita, fino a risultare, nel 1998, prevalenti rispetto all'immigrazione da lavoro (66). Ciò può essere considerato il segno più evidente del progressivo radicamento delle comunità immigrate in Italia.

La tendenziale stabilità delle comunità di immigrati deve essere messa in rapporto con la progressiva normalizzazione della struttura per sesso. Le esigenze familiari, infatti, danno ragione del graduale aumento della presenza femminile nel corso degli anni, essendo generalmente di sesso maschile il familiare già immigrato. Si tratta di un fenomeno che ha interessato soprattutto le donne dei Paesi a forte pressione migratoria (67).

Il percorso classico che vede l'emigrazione maschile seguita poi dal ricongiungimento della famiglia sembra essere una caratteristica di base dei vari flussi migratori. Va comunque sottolineato che, nonostante l'elevato numero di donne giunte in Italia per motivi di famiglia, i flussi femminili determinati da motivi di lavoro sono maggiori.

Anzi, in alcuni casi, essi costituiscono il primo anello della catena migratoria (68).

Le rilevazioni relative alla popolazione straniera già insediata dimostrano che la comunità nord-africana è prevalentemente maschile, giustificando, in tal modo, il sensibile incremento della presenza femminile, dovuto principalmente ai ricongiungimenti familiari. Al contrario, la comunità latino-americana è prevalentemente femminile e, ad eccezione di qualche caso particolare, ciò sembra dipeso principalmente dai motivi di lavoro. Maggiori differenze, invece, si registrano nei gruppi provenienti dall'Europa orientale o dall'Asia, per cui la collettività albanese ed ex jugoslava sono prevalentemente maschili, mentre quella polacca e rumena sono tendenzialmente femminili. Tuttavia, mentre le donne albanesi scelgono l'Italia per ricongiungersi ai propri familiari, quelle ex jugoslave, polacche e rumene sembrano privilegiare i motivi di lavoro. Fra i cinesi ed i pakistani vi sono più uomini, tra i thailandesi e i filippini vi sono più donne, ed anche in questo caso sembrano prevalenti le esigenze lavorative.

La tendenza alla stabilità, dunque, è maggiore in alcuni gruppi etnici rispetto ad altri. In genere si può dire che laddove esista uno squilibrio marcato a favore dei permessi di soggiorno rilasciati per motivi di lavoro, cui non corrisponda una quota rilevante di permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare, l'obiettivo di medio-lungo temine sia più spesso quello di ritornare nel Paese di origine.

Importanti anche gli ingressi per motivo di lavoro, pari al 18% circa del totale, nella gran parte rilasciati per lavoro subordinato.

Il numero relativamente ridotto di ingressi compresi in questa tipologia è certamente da porre in relazione a diversi motivi, tra cui le difficili condizioni del mercato occupazionale in Italia e la previsione, da parte della normativa in vigore prima della legge n. 40/'98, di un'unica fattispecie di ingresso per lavoro, in pratica possibile quasi esclusivamente solo in presenza di una richiesta di assunzione nominativa da parte di un datore di lavoro.

In questo caso la componente proveniente dall'Asia orientale è prevalente, con oltre 11mila ingressi; segue l'Europa centro-orientale con oltre il 17% del totale di ingressi dalla medesima area geografica. La restante quota di ingressi per lavoro si divide tra Africa (poco meno di 1.500 unità), con Marocco e Somalia in evidenza, e America Latina, dove Perù e Cuba sono in leggera prevalenza sugli altri Paesi.

Una particolare attenzione va rivolta anche alla problematica dell'asilo politico.

Nel rilevare il numero di stranieri presenti nel Paese, infatti, non si può non tenere conto di coloro ai quali è riconosciuto lo status di rifugiato. Questi ultimi non solo hanno per legge il diritto di svolgere un'attività lavorativa ma sono, fin dall'inizio, assimilabili ai residenti di lungo periodo. Inoltre, nella nuova normativa sull'asilo è previsto che al momento del riconoscimento dello status di rifugiato venga rilasciato all'interessato un permesso di soggiorno della durata di cinque anni che allo scadere potrà essere trasformato in carta di soggiorno. I rifugiati ufficialmente riconosciuti hanno inoltre diritto al ricongiungimento familiare.

Pertanto, appare doveroso soffermasi su un fenomeno che, al pari dei ricongiungimenti familiari degli stranieri in genere, produce una lievitazione della presenza straniera sul territorio nazionale. Tale considerazione è tanto più vera se si esamina la tendenza, sostanzialmente in aumento, delle richieste d'asilo in Italia e conseguentemente dei rifugiati riconosciuti tali dalla Commissione Centrale per il Riconoscimento dello status di rifugiato.

Nel periodo di vigenza della legge 28 febbraio 1990, n. 39 (dal 30 dicembre 1989 al 27 marzo 1998, data di entrata in vigore della legge n.40/1998) le domande d'asilo sono state 40.033 con un livello di accoglimento del 10,20% pari a 4.083 rifugiati. Non è difficile pronosticare una significativa crescita del numero dei rifugiati in futuro, in considerazione del fatto che la nuova legge sull'immigrazione, grazie ai più severi meccanismi di espulsione che introduce nel nostro ordinamento, costituirà un forte disincentivo alla residenza clandestina per migliaia di persone, le quali potrebbero incrementare le fila dei richiedenti asilo e quindi dei potenziali rifugiati.

Nel corso del 1998 è stato rilasciato anche un significativo quantitativo di permessi di soggiorno 'straordinari', riconducibili nella gran parte ai nullaosta concessi ai cittadini albanesi giunti in Italia a seguito dei disordini scoppiati nel loro Paese nel febbraio-marzo 1997.

Tabella 4
Permessi di soggiorno per sesso, motivo della presenza, area geografica e principali Paesi di cittadinanza, al 1º gennaio 1998
Paesi Numero Motivo presenza Numero Motivo presenza
lavoro famiglia altro lavoro famiglia altro
Europa 191.317 72,7 7,1 20,2 191.607 40,3 35,4 24,3
U.E. 54.933 53,2 9,0 37,8 80.274 36,6 29,8 33,6
Europa c./o.le 127.009 83,3 6,2 10,5 99.378 45,9 40,5 13,6
Albania 50.287 89,5 5,4 5,1 22.264 33,4 58,3 8,3
Ex Jugoslavia 46.221 86,5 5,0 8,5 27.271 60,7 24,9 14,4
Polonia 7.452 64,6 8,1 27,3 15.486 53,8 31,5 14,7
Romania 13.495 81,4 7,4 11,2 15.301 44,6 42,4 13,0
Africa 226.677 91,7 5,4 2,9 84.071 50,1 42,9 7,0
Africa sett./.le. 158.725 92,6 6,3 1,1 41.342 32,6 65,8 1,6
Marocco 94.270 92,9 6,3 0,8 27.960 35,8 63,4 0,8
Tunisia 33.610 91,6 7,5 0,9 7.829 31,0 67,6 1,4
Africa occ./le 54.927 95,5 2,2 2,3 22.007 70,0 24,0 6,0
Senegal 30.198 98,6 0,9 0,5 1.839 36,1 61,8 2,1
Asia 103.711 84,0 7,0 9,0 89.153 59,6 25,5 14,9
Asia c./m.le 48.644 91,0 4,4 4,6 20.464 37,0 39,0 24,0
India 12.933 81,2 5,4 13,4 7.561 11,5 29,5 59,0
Sri Lanka 14.902 91,9 6,7 1,4 9.939 59,8 37,2 3,0
Asia orientale 44.203 81,6 8,8 9,6 63.593 69,7 19,3 11,0
Cina 19.572 86,8 11,5 1,7 15.738 63,3 35,3 1,4
Filippine 18.738 88,5 6,8 4,7 38.574 84,4 7,7 7,9
America 41.141 45,6 22,0 32,4 92.320 36,9 49,1 14,0
America c./m.le 24.976 51,8 19,0 29,2 61.480 50,3 35,0 14,7
Brasile 4.341 39,4 16,4 44,2 11.852 29,2 49,8 21,0
Colombia 1.923 29,2 13,5 57,3 5.182 41,0 33,4 25,6
R. Dominicana 1.706 53,8 40,9 5,3 7.882 58,8 39,3 1,9
Perù 6.990 81,2 14,1 4,7 16.006 82,4 13,4 4,2
Oceania 1.015 25,2 12,6 62,2 1.210 21,0 35,2 43,8
Apolidi 422 37,7 8,3 54,0 252 19,4 19,0 61,6
Totale 564.283 80,3 7,5 12,2 458.613 45,1 37,6 17,3

Fonte: Ministero dell'Interno - Elaborazione: ISTAT

Tabella 5
Permessi di soggiorno per principali aree e Paesi di cittadinanza, al 1º gennaio. Anni 1992 - 1997 - 1998
Aree
geografiche
Anni Variazioni percentuali
1992 1997 1998 '98/'92 '98/'97
Europa 206.656 369.737 382.924 85,3 3,6
Unione Europea 100.404 128.123 135.207 34,7 5,5
Europa c./orientale 86.471 220.691 226.387 161,8 2,6
Albania 24.886 66.608 72.551 191,5 8,9
Ex Jugoslavia 26.727 74.761 73.492 175,0 -1,7
Polonia 12.139 23.163 22.938 89,0 -1,0
Romania 8.250 26.894 28.796 249,0 7,1
Africa 227.531 301.305 310.748 36,6 3,1
Africa sett.le. 147.954 191.005 200.067 35,2 4,7
Marocco 83.292 115.026 122.230 46,7 6,3
Tunisia 41.547 40.002 41.439 -0,3 3,6
Africa occidentale 50.265 76.285 76.934 53,1 0,9
Senegal 24.194 31.543 32.037 32,4 1,6
Asia 116.941 182.475 192.864 64,9 5,7
Asia c./meridionale 34.702 64.117 69.108 99,1 7,8
India 9.918 19.058 20.494 106,6 7,5
Sri Lanka 12.114 23.652 24.841 105,1 5,0
Asia or./le 63.793 102.658 107.796 69,0 5,0
Cina 15.776 31.615 35.310 123,8 11,7
Filippine 36.316 56.209 57.312 57,8 2,0
America 94.298 129.625 133.461 41,5 3,0
America c./m.le 50.073 82.349 86.456 72,7 5,0
Brasile 10.953 15.505 16.193 47,8 4,4
Colombia 4.379 7.023 7.105 62,3 1,2
Rep. Dominicana 3.681 9.012 9.588 160,5 6,4
Perù 5.022 21.934 22.996 357,9 4,8
Oceania 2.612 2.201 2.225 -14,8 1,1
Apolidi 897 677 674 -24,9 -0,4
Totale 648.935 986.020 1.022.896 57,6 3,7

Fonte: Ministero dell'Interno - Elaborazione: ISTAT

Tabella 6
Ripartizione per classi di età. Valori assoluti e percentuali. Periodo: 1993-1997-1998
Età Valori assoluti %
1998 1997 1993
0-18 48.976 4,0 3,4 2,7
19-40 816.079 65,2 68,1 71,1
41-60 288.344 23,1 22,1 18,9
61 e oltre 96.815 7,7 6,4 7,3
Totale 1.250.214 100,0 100,0 100,0

Fonte: elaborazioni Caritas Roma/Dossier Statistico Immigrazione

La distribuzione territoriale

Per quanto riguarda la distribuzione territoriale degli immigrati, è da dire che essa si caratterizza per una forte concentrazione nel Centro e nel Nord-Ovest, che ospitano circa il 63% del totale degli stranieri regolari. Il Nord-Est, tuttavia, ha fatto registrate una forte capacità attrattiva negli ultimi anni, raddoppiando le presenze regolari tra il 1993 e il 1999.

Le tendenze in atto nella distribuzione territoriale degli stranieri sono il risultato finale di tanti e differenti percorsi delle comunità dimoranti in Italia. In modo particolare, incidono fattori di attrazione e di repulsione delle varie aree del Paese, così come alcune peculiarità etniche date dall'intensità dei legami familiari, dal grado di coesione interno, dal tipo di specializzazione occupazionale, ma anche dal "progetto migratorio", con particolare riferimento al suo orizzonte temporale e, quindi, alle intenzioni di stabilirsi nella società di accoglienza.

Le maggiori comunità presenti evidenziano percorsi migratori differenti, essendo alcune caratterizzate da un modello di distribuzione diffuso, altre da una relativa o forte concentrazione. Un esempio del primo modello sono le comunità albanesi e marocchine che, pur arrivando da specifici punti di ingresso, coinvolgono successivamente molte altre zone del Paese. Caratterizzati da una relativa concentrazione, invece, sono le comunità della ex Jugoslavia e tunisine, la cui presenza è maggiore in quelle aree geografiche più prossime ai due Paesi di origine: il Nord-Est per gli ex jugoslavi e la Sicilia per i tunisini. Una forte concentrazione, dovuta essenzialmente ad una marcata specializzazione occupazionale nel settore domestico e della ristorazione, è ravvisabile nella comunità filippina e cinese stanziatisi soprattutto nelle grandi aree urbane, ad eccezione di una quota rilevante di cinesi nell'area fiorentina-pratese dediti al settore tessile.

Rispetto alle realtà metropolitane del Paese sono Roma e Milano a far registrare le comunità immigrate più numerose, sia in termini assoluti che relativi: all'inizio del 1998 in queste due città dimoravano 280mila stranieri, quasi il 28% del totale nazionale, con un'incidenza sul totale della popolazione residente pari, rispettivamente, a 4,2% e 3,2%.

Sebbene le rilevazioni indichino una forte concentrazione nelle maggiori realtà metropolitane, tuttavia, non si deve credere che la presenza di immigrati sia un fenomeno esclusivo dei soli grandi centri urbani. Anzi, soprattutto nel Nord d'Italia, si è verificato nel corso degli ultimi anni un aumento particolarmente significativo di stranieri in aree prive di poli urbani di rilevanti dimensioni.

La tendenza a ridistribuirsi nelle aree non metropolitane risulta confermata se si considera che, tra il 1993 e il 1998, il peso percentuale dei residenti in comuni con meno di 20mila abitanti è salito dal 32,8% al 35,4%, mentre si è registrato un calo cospicuo per i comuni con oltre 100mila residenti. Peraltro, tale particolare evoluzione dell'insediamento territoriale dei cittadini stranieri si è verificata in modo omogeneo in tutto il Paese, con una punta nella ripartizione Nord-orientale, dove quasi il 50% degli stranieri vive ora in comuni con meno di 20mila abitanti.

Tabella 7
Permessi di soggiorno per aree geografiche di provenienza, distribuzione per Regione. Periodo: al 31 dicembre 1998
Regione Soggiorno Ministero Interno Soggiorno attualizzato % Provenienza continentale
Africa America Asia Europa
Val d'Aosta 2.239 2.709 0,2 43,7 10,5 5,3 40,4
Piemonte 69.748 84.395 6,8 40,6 10,7 10,3 38,2
Lombardia 223.920 270.943 21,7 32,0 11,4 23,3 33,1
Liguria 29.926 36.210 2,9 24,9 20,0 11,2 43,6
Trentino AA. 25.850 31.279 2,5 16,0 4,9 7,6 71,2
Veneto 89.798 108.656 8,7 33,5 10,5 12,7 43,2
Friuli V.G. 32.466 39.284 3,1 8,1 19,5 5,3 66,5
Emilia R. 83.066 100.510 8,0 41,2 6,6 18,1 33,9
Nord 557.013 673.986 53,9 32,2 11,1 16,7 39,8
Toscana 59.160 71.584 5,7 22,8 13,3 18,5 45,0
Umbria 20.864 25.245 2,0 24,4 10,3 12,9 51,8
Marche 24.473 29.612 2,4 27,3 8,7 11,2 52,7
Lazio 199.374 241.243 19,3 16,6 17,0 28,2 37,6
Centro 303.871 367.684 29,4 19,2 15,2 23,9 41,3
Abruzzo 15.136 18.315 1,5 16,1 11,4 10,2 61,9
Campania 52.722 63.794 5,1 32,2 26,8 18,3 22,4
Molise 1.527 1.848 0,1 23,7 13,4 5,9 56,3
Basilicata 2.303 2.787 0,2 35,6 7,4 10,6 46,3
Puglia 31.238 37.798 3,0 21,6 12,5 15,8 50,0
Calabria 12.878 15.582 1,2 47,9 5,2 20,2 26,3
Sud 115.804 140.123 11,2 29,0 18,0 16,4 36,4
Sicilia 46.464 56.221 4,5 47,8 11,8 21,4 18,8
Sardegna 10.083 12.200 1,0 39,0 16,0 10,2 34,5
Isole 56.547 68.422 5,5 46,2 12,5 19,4 21,6
TOTALE 1.033.235 1.250.214 100 28,8 13,1 18,9 38,8

Fonte: elaborazioni Caritas Roma/Dossier Statistico Immigrazione su dati Ministero dell'Interno

1.6. L'immigrazione irregolare: un fenomeno di difficile conoscibilità

L'immigrazione irregolare rappresenta un fenomeno di difficile quantificazione a causa delle numerose variabili che entrano in gioco e della diversa condizione di coloro che vanno ad alimentare questa categoria di stranieri:

  • i soggetti che hanno eluso i controlli alla frontiera;
  • i soggetti che soggiornano senza i documenti richiesti per l'ingresso;
  • i soggetti colpiti da provvedimenti di espulsione;
  • i soggetti che soggiornano oltre gli otto giorni successivi all'ingresso regolare senza aver presentato domanda per la concessione del permesso di soggiorno;
  • i soggetti che permangono nel territorio con permesso di soggiorno scaduto oltre i termini previsti per la domanda di rinnovo;
  • i soggetti irreperibili, cioè quelli che per diversi motivi, non si fanno rintracciare dalle Autorità.

Si aggiunga, il numero degli stranieri derivante dalla differenza numerica tra i visti d'ingresso e "primi rilasci" dei permessi di soggiorno.

Nell'ambito di queste situazioni, la condizione di "clandestinità", di regola, come detto, è riferita unicamente agli stranieri che fanno ingresso in Italia eludendo i controlli alla frontiera, o che entrati, vi soggiornano privi dei documenti d'ingresso. Questa particolare fetta dell'immigrazione irregolare non è, ovviamente, facilmente quantificabile. Tuttavia, se ne può supporre la dimensione sulla base del rapporto proporzionale con il numero dei soggetti intercettati nell'attività di repressione degli ingressi irregolari.

Il problema della quantificazione di questa componente è costituito dalla difficoltà di conoscere la vera identità dei soggetti intercettati, difficoltà che si riverbera sui provvedimenti di espulsione:

"È praticamente impossibile espellere i maghrebini...È impossibile espellerli perché non vogliono essere espulsi. La norma che prevede il possesso di un valido documento è una norma che noi non possiamo pensare di cancellare: nessun Paese si riprende un suo cittadino della cui identità non è certo...È rarissimo il caso in cui il detenuto abbia il passaporto o un qualunque visto consolare, un qualunque documento valido e, in special modo, voglia tornare nel suo Paese." (69)

La realtà è che nessuno Stato è disposto a consentire l'ingresso di un soggetto senza la certezza che si tratti effettivamente di un suo cittadino. La conseguenza nella stragrande maggioranza dei casi è che talora passano mesi prima di poter ottenere, attraverso le procedure di controllo con l'ausilio delle autorità consolari, le vere generalità dei soggetti intercettati.

Questo succede non solo nel caso, infrequente, di richiesta dello stesso straniero, ma soprattutto quando la procedura è coattiva. Infatti i soggetti intercettati sono ben consci che la difficoltà di riconoscimento delle loro generalità costituisce un elemento a loro favore e, dunque, dichiarano di non avere documenti e forniscono false generalità. Il procedimento di riconoscimento, in questi casi, passa attraverso la rilevazione delle impronte digitali e il confronto con i cartellini dattiloscopici del Casellario centrale del Ministero dell'Interno. Infatti, se il nome dichiarato è falso, le forze dell'ordine non hanno altra via, una volta registrato con il termine "sedicente", di riportare le sue impronte digitali, le sue foto e alcune informazioni sui connotati della persona. Se il soggetto è stato già fermato in precedenza, vi è la possibilità di ottenere anche qualche altra informazione sul suo conto.

I problemi nascono dal fatto che, spesso, attraverso il Casellario è possibile sapere, per mezzo dei precedenti dattiloscopici, se lo straniero è stato fermato altre volte, ma non sempre la sua precisa identità, in quanto il soggetto può aver dichiarato generalità false nelle varie occasioni.

Il ricorso al presumibile Paese di origine, attraverso l'interpol, diventa, allora, un passaggio obbligato su cui finisce per incidere concretamente il livello di collaborazione che il nostro Paese riesce ad instaurare con i Paesi interessati (70).

D'altra parte, entrano in gioco ulteriori fattori che esulano dal sistema italiano. Infatti, vi possono essere Paesi in cui la rilevazione delle impronte digitali avviene solo nei confronti di chi ha già avuto problemi con la giustizia, ed altri (71), invece, in cui il procedimento dattiloscopico copre la totalità dei cittadini, quindi anche degli incensurati. In questi casi, tuttavia, il problema può presentarsi per i minori e per le donne, in relazione all'età in cui si procede alla rilevazione delle impronte.

In generale si può dire che, anche ove fosse possibile disporre dei dati dattiloscopici dei Paesi di origine, il fatto di nascondere le proprie generalità o di dichiarare una falsa cittadinanza determinano in ogni caso una difficoltà oggettiva difficilmente superabile in tempi brevi.

Le conseguenza primaria è che buona parte dei soggetti che sfugge all'espulsione finisce per permanere nel nostro territorio andando, in tal modo, ad incrementare la presenza irregolare.

Al di là della situazione di clandestinità, comunque, il problema riguarda più in generale l'intera componente irregolare.

In alcuni Paesi, la rilevazione della presenza straniera risulta più agevole, in quanto è possibile disporre di dati anagrafici in virtù di norme che prevedono l'obbligo di trascrivere gli accadimenti relativi allo straniero (malattia, incidenti, richieste di lavoro, controlli, etc.) in una rubrica informatizzata, da parte dei soggetti pubblici e privati. Per quanto riguarda il nostro Paese, invece, è possibile indicare con sufficiente approssimazione un tasso medio di crescita annuale della sola immigrazione regolare ricorrendo alle registrazioni anagrafiche e ai permessi di soggiorno.

Una stima della presenza irregolare, viceversa, si basa quasi esclusivamente su ipotesi formulate dai diversi istituti di ricerca e di statistica, sulla base di indici eterogenei, che spesso conducono a risultati completamente opposti.

Tabella 8
Stime di stranieri irregolari. Anno 1995
Organizzazione Stima
CGIL 268.000
UIL 300.000
ACLI 300.000
Caritas Da 300.000 a 500.000
CISL 650.000
ISTAT 669.500
Confcommercio 1.500.000

Fonte: DIA - Elaborazione: Osservatorio permanente sulla criminalità

La notevole differenza tra la stima proposta della cgil (268mila unità) e quella proposta dalla confcommercio (1.500mila unità) è indice della cautela che deve essere usata in questo campo, soprattutto quando poi si scenda a valutazioni di altro genere e natura, in qualche modo rapportate alla presenza straniera. In modo particolare quando si parli di criminalità, dato che il discorso dell'incidenza criminale di questa componente assume un significato ed un peso diverso a seconda che si scelga una o l'altra delle quantificazioni proposte. Le stesse rilevazioni, inoltre, risentono dei vari provvedimenti di regolarizzazione (72).

Date, dunque, le notevoli difficoltà che incidono sulla quantificazione della componente irregolare, sembra più ragionevole proporre stime che rappresentino le dimensioni del fenomeno nel suo complesso.

Da questo punto di vista, può essere utile guardare a tutte quelle situazioni in qualche modo rappresentative dello stato irregolare: differenza numerica tra visti di ingresso e primi rilasci dei permessi di soggiorno, provvedimenti di intimazione, di effettiva espulsione e di ricorso al TAR, richieste di asilo politico non accolte. Utili allo scopo possono essere anche i dati dei movimenti alle frontiere e dei respingimenti (anche se più pertinenti al traffico, per l'evidente correlazione con i flussi clandestini).

Le valutazioni in questa direzione si fondano sulla considerazione che le presenze irregolari siano alimentate principalmente da tutti quegli stranieri che, provenendo dai Paesi in via di sviluppo (73) sottoposti al regime del visto obbligatorio (anche per turismo), vi permangano oltre i termini consentiti senza regolarizzare la propria posizione. È, infatti, ragionevole pensare che tali soggetti, provenendo da Paesi con reddito bassissimo, non giungano in Italia esclusivamente per turismo, ma sfruttino una tale opportunità per rimanervi in condizione di irregolarità, in cerca di sistemazione o in attesa di ripartire per altri Paesi.

Sulla base di questi indici, l'osservatorio permanente sulla criminalità ha tentato una quantificazione approssimativa della presenza irregolare che, nel periodo tra il 1990 ed il 1995, si aggirava intorno al milione e mezzo di unità.

Di più recente elaborazione è la "Relazione sulla presenza straniera in Italia e sulle situazioni di irregolarità", predisposta per dare attuazione all'impegno che il Governo ha assunto accogliendo l'ordine del giorno n. 100 approvato dal Senato nella seduta del 19.2.'98, in occasione della legge nr. 40/'98.

Tale relazione rappresenta un contributo di conoscenza del complesso fenomeno dell'immigrazione anche attraverso l'analisi critica delle numerose statistiche esistenti ed elaborate da varie istituzioni (Ministero dell'Interno, ISTAT, INPS, Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, associazioni del volontariato, ecc.) e consente di fornire una stima circa la presenza irregolare degli stranieri sul territorio italiano, rappresentata da una "forbice" che va da un minimo di poco meno di 200mila unità ad un massimo di 300mila.

In base a tale stima la presenza irregolare al 15 aprile 1998 sarebbe da quantificare in 235.000 soggetti, che è valore medio rispetto al minimo e massimo rilevati (176mila e 295mila).

La ricerca ha individuato i 14 Paesi che ricoprono i primi posti nella graduatoria delle presenze:

  • Marocco (25.000)
  • Albania, Romania e Tunisia (tra le 15.000 e 20.000 unità);
  • ex Jugoslavia, Filippine, Cina e Polonia con oltre 10 mila presenze;
  • Perù, Senegal, Brasile, Sri Lanka e India con oltre 5.000 presenze.
Tabella 9
Presenze irregolari. Graduatoria delle nazionalità in valori assoluti e percentuali. Anno 1998
Paese Presenze irregolari
V. A. V. %
Marocco 24.939 17,28
Albania 19.380 21,47
Romania 17.232 36,69
Tunisia 15.980 28,52
Ex Jugoslavia 14.762 16,80
Filippine 13.276 18,96
Cina 13.045 27,52
Polonia 11.232 31,95
Perù 8.208 26,40
Senegal 7.557 19,47
Egitto 6.964 22,91
Brasile 6.758 28,58
Sri Lanka 6.602 20,99
India 5.516 21,13
Totale 235.000 22,57 (media)

Interessante è analizzare anche i valori percentuali degli irregolari sul totale delle presenze (regolari più irregolari) per ciascuna etnia (74); a fronte di una media nazionale che si colloca intorno al 22% abbiamo:

  • un primo gruppo di sei Paesi che ha una percentuale superiore (dal 36% della Romania al 26% del Perù);
  • un secondo gruppo (Egitto, Albania, India e Sri Lanka) che presenta una valore assai vicino alla media;
  • un terzo gruppo (Senegal, Filippine, Marocco, ex Jugoslavia) e tutte le altre nazioni che presentano valori più bassi.

Dal confronto dei valori (assoluti e percentuali) si evince che i Paesi che in termini assoluti danno il maggior contributo all'immigrazione clandestina nel nostro Paese sono quelli limitrofi: Marocco, Albania, Romania, Tunisia ed ex Jugoslavia.

Un ulteriore metodo per saggiare la presenza irregolare fa leva sul rapporto tra richieste di regolarizzazione e permessi di soggiorno, il c.d. rapporto di irregolarità. Le rilevazioni consentono anche di evidenziare, senza giungere ad una quantificazione precisa, il diverso peso assunto nel territorio dalle componenti irregolari e quindi stabilire le zone dove il fenomeno è presumibilmente più alto.

Il processo di regolarizzazione, tuttora in corso ed avviato da oltre un anno e mezzo, al 25 gennaio scorso aveva portato alla regolarizzazione di 145.759 stranieri sulle 250.792 domande presentate entro il 15 dicembre 1998; 13.931 domande sono state respinte e 91.102 risultavano ancora pendenti. L'84% delle regolarizzazioni ha riguardato il lavoro subordinato, circa l'11% il lavoro autonomo, quasi il 4% i ricongiungimenti familiari ed il restante 1% circa il lavoro stagionale e quello c.d. atipico.

Tabella 10
Richieste di regolarizzazione per regione di ripartizione geografica. Periodo: 1995-1996-1998
Regione % regol. 1995-1996 (a) % regol. 1998 (a) % incremento 1998/1995 Rapporto di irregolarità
1995-1996 (b) 1998 (c)
Val d'Aosta 0,1 0,1 -9,3 17,0 12,4
Piemonte 7,3 7,3 24,7 42,4 35,2
Lombardia 21,2 28,5 66,4 37,0 41,8
Liguria 2,0 2,1 18,6 22,7 22,6
Trentino AA. 0,5 0,5 -24,8 6,8 7,5
Veneto 6,9 8,1 45,6 30,9 31,2
Friuli V.G. 0,9 0,4 -41,3 8,7 4,5
Emilia R. 5,3 4,6 -29,1 24,3 18,1
Toscana 7,6 8,4 36,7 37,1 39,6
Umbria 1,2 1,4 48,3 18,5 22,9
Marche 1,2 1,1 12,7 20,7 16,0
Lazio 19,6 20,3 31,0 32,1 32,1
Abruzzo 1,3 1,1 5,7 30,2 24,9
Campania 10,5 7,8 -6,4 83,8 46,1
Molise 0,1 0,1 -12,9 25,6 22,9
Basilicata 0,3 0,2 -27,9 59,0 32,5
Puglia 3,7 3,0 -0,4 51,2 37,0
Calabria 2,7 0,8 -70,0 85,0 19,1
Sicilia 6,6 3,2 -39,7 49,7 21,6
Sardegna 1,0 1,0 22,3 31,7 29,0
Italia 100,0 100,0 21,9 35,1 31,6
Nord-ovest 30,7 38,1 56,6 36,4 38,4
Nord-est 13,6 13,6 25,6 21,9 20,1
Centro 29,6 31,2 33,0 31,6 32,0
Sud 18,5 13,0 -11,6 66,0 37,4
Isole 7,6 4,1 -31,4 46,3 22,9
(a): per cento richieste;
(b): rapporto tra richieste di regolarizzazione nel 1995/1996 e permessi di soggiorno all'1.1.1996;
(c): rapporto tra richieste di regolarizzazione nel 1998 e permessi di soggiorno all'1.1.1998.

Elaborazione su dati Ministero dell'Interno

Rispetto al 1995, le domande di regolarizzazione presentate hanno subito un incremento del 22% circa. Le caratteristiche assunte si presentano differenti rispetto alla precedente sanatoria, registrando un aumento del 66,4% in Lombardia, del 46% in Veneto, a fronte di una diminuzione in alcune regioni del Sud come Sicilia (-40%) e Calabria (-61%). La situazione precedente vedeva un forte distacco tra la zona Centro-Nord del nostro Paese e il Sud. Questa situazione è in parte mutata, se si consideri che la Campania mostra un rapporto di irregolarità superiore alla media nazionale anche se decisamente inferiore rispetto a quello della precedente regolarizzazione.

Nelle altre regioni del Sud il rapporto si mantiene sotto la media nazionale come la Puglia, mentre al Nord regioni come Toscana e Lombardia registrano tassi elevati. Si aggiunga, inoltre, che la metà delle richieste di regolarizzazione si sono concentrate in sei province di cui una sola è del meridione: Napoli.

In termini di ripartizione per aree geografiche in Italia, le province a maggiore percentuale di irregolarità sono le grandi metropoli quali Torino, Venezia e Napoli (con punte superiori al 30%), Milano e Roma con valori compresi tra il 22% ed il 30%, a cui si aggiungono alcuni poli di attrazione come Pistoia, Rimini, Varese, Trapani, tutte con valori superiori alla media nazionale, mentre agli ultimi posti troviamo Biella, Mantova ed Agrigento, con punte inferiori all'8%.

Tabella 11
Presenze irregolari per province. Valori percentuali. Anno 1998
Provincia % irregolari Provincia % irregolari Provincia % irregolari
PT 36,8 VR 25,3 GR 9,3
TO 31,4 FO 24,9 CR 9,3
VE 31,1 TS 24,6 CA 9,2
NA 30,0 MI 23,3 SR 9,2
PV 29,4 CZ 23,2 UD 9,1
RN 28,5 GO 23,1 BS 9,0
VA 26,9 RM 22,8 OR 8,8
TP 26,1 VT 9,7 BG 8,6
BA 25,3 BL 9,7 BI 7,8

Elaborazione su fonte: DIA

Guardando alle etnie, albanesi e rumeni sono quelli che sono più ricorsi alla regolarizzazione. L'Europa dell'Est rimane dunque la prima area quanto ad istanze di regolarizzazione. I Paesi dell'Africa settentrionale hanno totalizzato un numero inferiore, anche se la quota relativa al Marocco resta significativa, mentre risultano in aumento la Nigeria, il Senegal, il Ghana e i Paesi dell'Africa occidentale. Tra i Paesi asiatici solo lo Sri Lanka e le Filippine scendono nelle richieste, anche se quest'ultimo Paese aveva fatto registrare nel 1995 il massimo di richieste tra i Paesi di questa area. Bassa è anche la regolarizzazione da parte di immigrati dei Paesi dell'America centro-meridionale, tra i quali si segnala il Perù che ha drasticamente visto scendere le richieste rispetto al 1995.

Note

1. Con riguardo alle migrazioni determinate da ragioni di lavoro, si parla di "catena migratoria", volendo significare che questo tipo di emigrazione è determinata principalmente da uno squilibrio tra sviluppo economico e la popolazione attiva. E si tratta di uno squilibrio che, sebbene in termini diversi, riguarda sia il Paese di emigrazione che quello di immigrazione e si riferisce alla forza lavoro più debole. Così, E. Reyneri, La catena migratoria, Il Mulino, Bologna, 1979.

2. M. Lafruit, Immigration et politique sociale, P.U. Imelda, Bruxelles, 1996.

3. Dati OCSE dell'ottobre 1999, relativi al 1997.

4. Rispettivamente 34,9% e 9,1% sulla popolazione.

5. Quasi 7 milioni e mezzo, equivalenti al 9% della popolazione totale.

6. Oltre 3 milioni e mezzo, con un incidenza sulla popolazione del 6,3%.

7. Poco più di 2 milioni, cioè una percentuale del 3,6%.

8. Attualmente, secondo le ultime stime caritas, la presenza immigrata in Italia arriverebbe invece a 1.490.000 unità, vale a dire circa il 2,5% della popolazione.

9. Che dovrebbe essere realizzata entro 5 anni secondo quanto previsto dal Trattato di Amsterdam e deciso al Consiglio europeo di Tampere il 15 ottobre 1999.

10. Si vedano in proposito, il rapporto annuale di Amnesty International pubblicato nel 1998 e la relazione della Commissione ONU 1998 all'Italia, dove vengono denunciati "gravi percosse contro zingari e immigrati" ed in genere "maniere forti e brutalità gratuite soprattutto contro cittadini non europei".

11. A livello comunitario, cioè, tranne un generico riferimento nell'articolo 63 del Trattato UE alla possibilità di adottare misure nel settore del soggiorno irregolare e del rimpatrio, non ci si occupa direttamente della materia. Dal canto suo, poi, il Sistema Schengen dà un preciso orientamento sulla lotta all'immigrazione illegale ma lascia a ogni Stato membro la scelta sulle misure da adottare.

12. Dopo Germania, Francia e Gran Bretagna.

13. Le prime 5 comunità straniere costituiscono solo il 34% dell'intera popolazione straniera.

14. Ismu, V Rapporto sulle migrazioni 1999, Franco Angeli, 2000.

15. È questa l'idea di integrazione degli stranieri immigrati in Italia espressa dalla Commissione per l'Integrazione nel suo Primo rapporto sulla situazione italiana, presentato il 30 novembre 1999. Istituita presso il dipartimento per gli Affari sociali della Presidenza del Consiglio (ai sensi dell'art. 46 del Testo Unico sull'immigrazione), la "Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati" è formata da 19 membri, esperti di immigrazione e rappresentanti dei principali ministeri coinvolti nelle politiche migratorie, e opera come organo consultivo del governo sulle politiche d'integrazione. In questo Primo rapporto ha formulato un'analisi ad ampio raggio delle aree in cui dovrebbe essere realizzata l'integrazione (lavoro, istruzione, alloggio, salute, partecipazione politica, sicurezza e discriminazione), offrendo alcuni suggerimenti per migliorare e completare il processo iniziato con la legge n. 40/'98.

16. Il Rapporto unioncamere 1999, infatti, valuta che un terzo del fabbisogno di manodopera nell'industria e nei servizi potrà essere coperto nel 2000 solo ricorrendo al lavoro immigrato.

17. La tutela del lavoratore immigrato deve procedere di pari passo con la tutela del lavoratore italiano. In questo contesto, diventa prioritario l'obiettivo di togliere ogni possibilità all'immigrato di essere costretto, per la mancanza del permesso di soggiorno, a lavorare in modo irregolare. Un punto particolarmente caldo di questa situazione lo si può cogliere nei cosiddetti lavori stagionali: dalla raccolta del pomodoro nel foggiano, alla vendemmia in Friuli e nel Veneto, la difficoltà di assumere gli stranieri costringe all'illegalità anche chi vorrebbe rispettare la legge. Per assumere un extracomunitario occorrono, infatti, ben undici adempimenti burocratici e l'iscrizione nel registro di impresa anche per lavori della durata di due o tre settimane. Se poi l'immigrato è senza permesso di soggiorno, anche questi adempimenti risultano inutili. Il risultato è che o si lasciano i pomodori e l'uva a marcire sulle piante, oppure si rischia, assumendo l'unica manodopera disponibile. Un paradosso simile emerge anche a proposito del lavoro autonomo, laddove per iscriversi alla Camera di Commercio occorre avere tutti i requisiti, ma se manca il permesso di soggiorno (per ottenere il quale, a sua volta, l'immigrato autonomo dovrebbe già essere iscritto alla Camera di Commercio per certificare il proprio status di lavoratore) è impossibile ottenerli e quindi per un immigrato è impossibile "mettersi in regola" per pagare le tasse ed ottenere la concessione di spazi pubblici.

18. Con manifestazioni, guerriglia urbana, scontri, etc. del tipo di quelli verificatisi negli anni recenti in Francia ed in Germania.

19. Numerose quelle di origine pattizia, scarse quelle di natura consuetudinaria.

20. Il c.d. Testo Unico delle leggi di Pubblica Sicurezza del 1931.

21. Ne è testimonianza la vasta produzione normativa che si è avuta dal 1990 ad oggi (di cui molte disposizioni sono attualmente abrogate): sei Decreti Legge emanati per necessità ed urgenza di far fronte a contingenti problematiche (primo il D. L. 489/1995, ultimo il D. L. 447/1996); Legge 9 aprile 1990, nr. 98; DPR 15 maggio 1990, nr. 136; Decreto 24 luglio 1990, nr. 237; Legge 27 maggio 1991, n r. 176; Legge 23 dicembre 1991, nr. 423; Legge 5 febbraio 1992, nr. 91; Legge 24 settembre 1992, nr. 390; Legge 3 novembre 1992, nr. 454; Legge 25 giugno 1993, nr. 205; Legge 30 settembre 1993, nr. 388; Legge 18 gennaio 1994, nr. 50; Legge 8 marzo 1994, nr. 203; Legge 2 gennaio 1995, nr. 13; D. L. 20 marzo 1997, nr. 60 (convertito con modificazioni nella Legge 19 maggio 1997, nr. 128); Legge 6 marzo 1998, nr. 40; D. L.vo 25 luglio 1998, n. 286; D. L.vo 13 aprile 1999, nr. 113; D.P.R. 31 agosto 1999, nr. 394.

22. Decreto Legislativo 25 luglio 1998, nr. 286, di seguito indicato come T.U., che ha recepito ed integrato le disposizioni della Legge 6 marzo 1998, nr. 40.

23. Si veda in proposito la sentenza nr. 144/1970 con la quale la Corte Costituzionale ha avuto modo di affermare la ragionevolezza della disparità di trattamento quando questa sia giustificata dalle differenze di fatto tra cittadini italiani e stranieri.

24. Difficile, invece, dire se la stessa uguaglianza sia un diritto a sé o un principio di valore oggettivo, che tutt'al più segna la portata ed individua la dimensione degli altri diritti, nel senso di diritti egualmente attribuiti ed egualmente protetti. Preferibile sembra quest'ultima opinione, date le difficoltà di dare un contenuto ad un diritto all'eguaglianza.

25. Il precedente codice civile del 1865 era ben più liberale e, all'art. 3, equiparava lo straniero al cittadino senza il limite della cosiddetta "condizione di reciprocità". Per intenderci, questa condizione è stata introdotta dal codice civile del 1942 per dissuadere gli altri Stati dall'applicare trattamenti discriminatori nei confronti degli italiani che a quel tempo erano costretti ad emigrare. Oggi, anche per effetto delle convenzioni internazionali, il principio di reciprocità in relazione alla tutela dei diritti fondamentali si è ulteriormente affievolito.

26. Su questo tema si veda: G. D'Orazio, Effettività dei diritti e condizione dello straniero, "Diritto e società", 1973; A. Cassese, Commento all'art. 10 cost., G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione italiana, Bologna, 1976.

27. Secondo la dottrina prevalente, l'art. 10/2 Cost. riguarda oltre gli stranieri, qualsiasi "non cittadino", ivi compreso l'apolide non residente nel territorio dello Stato. G. Amato, A. Barbera, Manuale di diritto pubblico, Il Mulino, Bologna, 1991.

28. Così, R. Miele, La nuova legislazione sugli stranieri, Union Printing Edizioni, 1998, p. 69.

29. Norma che ha soppiantato la disciplina contenuta nel Testo Unico delle Leggi di P.S., prima, e nella Legge 39/1990, poi.

30. L'inosservanza dell'obbligo, a seconda della gravità, comporta le seguenti sanzioni: se la dichiarazione è fatta oltre gli otto ma non oltre i sessanta giorni la sanzione consiste nel pagamento in via amministrativa di una somma di denaro da 200mila a 600mila lire; se la dichiarazione viene resa oltre i sessanta giorni, la sanzione consiste nell'espulsione dal territorio dello Stato. È stato rilevato che l'applicazione delle sanzioni sopra illustrate presenta non pochi problemi pratici di seguito all'abolizione delle frontiere interne. Infatti, accedendo dalla frontiera interna, non è possibile stabilire con certezza - dato che non viene apposto il timbro di polizia - la data dell'ingresso. Pertanto non risulta facile l'accertamento sulla omessa dichiarazione di soggiorno.

31. Tanto le modalità di richiesta, quanto l'eventuale previsione di permessi con speciali modalità di rilascio relativamente ai soggiorni brevi per motivi di turismo, di giustizia, di attesa di emigrazione in altro Stato e per l'esercizio delle funzioni di ministro del culto nonché ai soggiorni in case di cura, ospedali, istituti civili e religiosi e altre convivenze sono disciplinate dal Regolamento di attuazione. Questa riserva di regolamento tende probabilmente a superare una prassi invalsa - per necessità - nella vecchia legislazione dove, mancando la normativa regolamentare, le modalità speciali venivano introdotte con circolari ministeriali.

32. Così, R. Miele, op. cit., p.72.

33. Già nella Convenzione di Parigi del 13 dicembre 1955, ratificata con legge 23 febbraio 1961, n. 227 si prevedevano precise garanzie per lo straniero in tema di provvedimenti di espulsione: lo straniero soggiornante da più di dieci anni può essere espulso solo per motivi gravi di sicurezza nazionale, ordine pubblico o buon costume. In seguito, poi, sempre dagli organi della Comunità Europea sono giunte raccomandazioni in tema di revoca del titolo di soggiorno restringendone l'adozione ai soli casi di rilievo per la sicurezza nazionale e per l'ordine pubblico.

34. Cioè lo straniero coniuge o figlio minore o genitore conviventi di un cittadino italiano o di un cittadino di uno stato dell'UE residente in Italia per i quali è previsto il rilascio della carta di soggiorno quando si ricongiungano ai propri congiunti titolari di carta di soggiorno.

35. D. De Vincentiis, Testo Unico sull'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, I Codici Esplicati, Ed. Giuridiche Simone, 1999.

36. Ivi, p. 10.

37. Ivi, p. 11.

38. L'art. 3 comma 8, della legge n. 39/90, infatti, puniva con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a due milioni di lire, salvo che il fatto costituisse più grave reato, chiunque avesse compiuto attività dirette a favorire o agevolare l'ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato in violazione della normativa prevista dalla stessa legge Martelli in tema di ingresso nel territorio. La pena era della reclusione da due a sei anni o della multa da due a cinquanta milioni di lire quando il fatto era commesso ai fini di lucro ovvero da tre o più persone in concorso tra loro.

39. Si veda: La Monica, Mazza, Marini, Riondato, Manuale del diritto di polizia, Giuffrè, Milano, 1994, p. 377.

40. Ivi, p. 378.

41. È quanto si legge in un rapporto del 1998 della D.I.A. sulla criminalità albanese in Italia.

42. Trib. Roma, 3.4. 1990, Arafa, in Foro It. 1990, lI, p. 445.

43. Cass. Sez. I, sentt. n. 5432 del 16.11.1995 e n. 163 del 21.2.1996, in "Gli Stranieri" Union Printing Edizioni, n. 1/1996, p. 40 e n. 2/1996, p. 170.

44. A favore della prima ipotesi: Cass. Sez. I, sent. n. 5647 del 7.12.1995.

45. Così, R. Miele, op. cit., p. 88.

46. Cass. Sez. I, 18.11.1992, in Mass. Cass. pen. 1993, fasc. 4, p. 119; Cass. Sez. I, sent. n. 700 del 26.1.1993, in "Gli stranieri", Union Printing Edizioni, 1995, lI, 62.

47. Si veda, Circolare Ministero dell'Interno Dip. P.S. n. 300/C/227729/12/207/1A Div., 11 maggio 1999. La finalità dell'inalienabilità dei beni oggetto di confisca deve essere ravvisata nella necessità di eliminare le possibilità che i trafficanti possano, per interposta persona, rientrarne in possesso. La misura vuole essere un'ulteriore deterrente.

48. Dando per acquisito il concetto di stato di necessità introdotto dall'art. 54 cod. pen. cui la norma in esame fa riferimento, ricordiamo solo che sotto tale rubrica il codice penale recita: "Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo. Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo. La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall'altrui minaccia, ma in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l'ha costretta a commetterlo".

49. Si considera tale, secondo la teoria generale del diritto, una forza cui resisti non potest, operando la quale nulla si può addebitare a chi non poteva agire diversamente.

50. A proposito della individuazione dei soggetti da sottoporre alla misura in esame, si è detto che a differenza delle altre categorie di espulsione prefettizia contemplate dallo stesso art. 13, in cui la misura può essere proposta dalle diverse forze di polizia, nel caso di specie è il questore l'unico organo abilitato alla proposta. Infatti è tale autorità che, per la stessa legge n. 1423/1956, ha facoltà di stabilire, sulla scorta di concreti elementi di fatto, attraverso l'avviso orale, l'appartenenza di un soggetto ad una delle prescritte categorie di persone pericolose. Così, R. Miele, op. cit., p. 95.

51. Così, R. Miele, op. cit., p. 94.

52. Torna, a questo proposito, il problema degli automatismi nell'erogazione della misura di cui trattasi. Sulla questione si è pronunciata la Corte Costituzionale che, nella sentenza n. 535 del 13, 21 novembre 1997, ha definito legittima la scelta dell'ordinamento statuale di stabilire regole certe e non derogabili con valutazioni di carattere sostanzialmente discrezionale, essendo preminente ed ineludibile il compito di presidiare le frontiere e disciplinare l'ordinato flusso migratorio.

53. Si vedano i termini della questione sulla rivista giuridica "Gli stranieri", Ed. Union Printing, 1997.

54. Di regola la misura, in ragione della sua natura, è attuata, ai sensi dell'art. 211 cod. pen., dopo che sia già stata eseguita la pena detentiva.

55. Sulla base di circostanze obiettive riguardanti l'inserimento sociale, familiare e lavorativo.

56. Un metodo più affidabile sarebbe quello di sottrarre al saldo dei documenti validi alla fine di ciascun anno l'ammontare di nuovi documenti registrati nel corso dello stesso anno.

57. Per determinare i flussi migratori in ingresso è sufficiente individuare i nuovi documenti di soggiorno rilasciati nell'unità temporale di riferimento; nel caso in cui si ponga come unità di riferimento l'anno sono conteggiati anche i permessi di breve durata (per esempio tre mesi) che sono rilasciati ed entrano in scadenza nel corso dello stesso anno. Tuttavia occorre richiamare l'attenzione sul fatto che in coincidenza delle regolarizzazioni non vi è corrispondenza tra data di ingresso effettiva e data di rilascio del permesso di soggiorno.

58. Compresi quelli provenienti dai Paesi comunitari.

59. Che ha stimato una presenza straniera regolare pari a 1.252.000 unità, di cui 1.106.207 extracomunitari.

60. Quando gli stranieri erano 1.250.214, secondo le stime caritas.

61. Circa 146mila.

62. Stimati tra le 80mila e le 90mila.

63. Almeno 10mila. Secondo le stime proposte dalla Eurispes, su dati forniti dal Ministero dell'Interno relativi al 1998, in Italia vivono circa un milione e mezzo di immigrati, di cui almeno 250-300mila irregolari. Tra i regolari, 168.125 provengono dai Paesi dell'Unione Europea; 100.134 dai Paesi a sviluppo avanzato; il resto è rappresentato dagli extracomunitari provenienti dai Paesi in via di sviluppo. Le rilevazioni confermano le stime proposte dall'ISTAT che, come ricordato, al 1º gennaio 1999, ha stimato una presenza straniera regolare pari a 1.126.836 unità.

64. In Francia, ad esempio, la maggiore concentrazione etnica trova le sue radici nel passato coloniale, creando un forte legame bilaterale fra terra di origine e di destinazione: i cittadini algerini, infatti, sono quasi esclusivamente insediati in questo Paese.

65. Con 124mila nuovi permessi per l'anno 1997 e 153mila per il 1998 secondo i dati ISTAT. Le rilevazioni della caritas, invece, hanno evidenziato dei totali inferiori. Si veda in proposito il confronto tra la tabella nr. 5 e la tabella nr. 6.

66. Anche se sul piano delle presenze complessive, secondo le elaborazioni eurispes, gli stranieri presenti per motivi di lavoro ammonterebbero a circa 782mila, quasi il 61% del totale.

67. Si consideri che solo nel 1998 il 36% di esse possedeva un permesso per motivi di famiglia, contro il 6,6% degli uomini.

68. Un esempio in tal senso è fornito dalle donne filippine e peruviane che, in oltre l'80% dei casi, entrano in Italia con un permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

69. G. De Cataldo, Gli stranieri in carcere, Editrice Sinnos, Roma, 1994, pp. 71-85.

70. Infatti, l'Italia quando ha stretto specifici rapporti con i Paesi, come l'Albania, è riuscita ad incrementare la capacità di espulsione dei relativi cittadini.

71. Come l'Algeria, il Marocco e la Tunisia.

72. Nel periodo a cui si riferiscono le quantificazioni in tabella, le varie sanatorie hanno regolarizzato le posizioni di un numero complessivo di circa 600mila extracomunitari, provenienti dai Paese in via di sviluppo: la prima, ex lege 943/1987, rivolta ai soli cittadini extracomunitari, interessò 118.709 soggetti; la seconda, ex lege 39/90, diretta, a differenza della prima, a tutte le nazionalità, interessò 215.861 individui, rimediando, con il coinvolgimento delle categorie appartenenti oltre al lavoro subordinato anche quello autonomo, alla specifica lacuna della prima; la terza, ex decreto legge 489/95, ultimata il 31 marzo 1996, ha fatto registrare circa 240.000 domande, per lo più marocchini, egiziani, filippini e cinesi, che sembrano comunque costituire un numero molto basso rispetto a quello degli immigrati verosimilmente rimasti fuori dal beneficio.

73. Si parla dei Paesi in via di sviluppo in quanto l'irregolarità riguarda soprattutto gli immigrati che provengono dalle aree geografiche con forti squilibri economici e demografici. Irrilevante, invece, l'incidenza degli stranieri irregolari di provenienza dall'Unione europea e dai Paesi a sviluppo avanzato.

74. I valori risultano leggermente differenti rispetto a quelli che risulterebbero se si calcolasse la percentuale con i valori delle tabelle precedenti. La differenza è dovuta al diverso sistema di rilevazione adottato.