ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Conclusioni

Sarah Musio, 1999

Giunti al termine del nostro percorso, vorremmo fare alcune considerazioni circa il processo riformatore che da lungo tempo ha interessato il codice penale italiano.

Parlando di una "vicenda" ci si dovrebbe riferire ad un susseguirsi di avvenimenti al cui inizio segue una fine. Nella vicenda del Codice Rocco non può invece ancora scriversi la parola 'fine' perché si attendono ulteriori eventi che consentano di superare l'attuale situazione di stallo in cui versa il processo riformatore. Siamo in una fase di attesa che potrebbe condurre a repentini mutamenti come al permanere di una cronica immutabilità.

Guardando complessivamente alla vicenda del Codice Rocco, si può dire che la sua è la storia di una mancata riforma. In questa sede vorremmo cercare di individuare le ragioni per le quali il nostro paese non ha ancora adottato, come invece la Germania, la Francia, la Spagna e il Portogallo, un nuovo codice penale, adeguato ai mutamenti intervenuti nella società italiana dagli anni '30 in poi.

Il Codice Rocco, come si è potuto vedere, non è rimasto immutato dal periodo fascista ad oggi: probabilmente i suoi autori stenterebbero a riconoscerlo. Gli interventi riformatori fino a questo momento portati a compimento hanno attenuato o eliminato alcuni aspetti spiccatamente autoritari o non più rispondenti agli orientamenti culturali del paese. Si è trattato, comunque, di interventi che possono considerarsi delle mere rifiniture di un impianto codicistico fatiscente che ha finito per perdere la coerenza e organicità originarie. Ne è derivato un codice ambiguo, dove i vizi antichi si sono sommati a quelli recenti e dove mancano molte delle fattispecie criminose che maggiormente contrassegnano la realtà attuale, dislocate come sono nella miriade di leggi speciali.

Le ragioni della mancata riforma del codice penale sono molteplici. Tra queste possono individuarsi:

  1. le caratteristiche formali e sostanziali del Codice Rocco;
  2. il ritardo con il quale la dottrina si è avvicinata all'idea di riforma del codice;
  3. lo scarso interesse delle forze politiche;
  4. lo scarso interesse dell'opinione pubblica;
  5. le difficoltà politico-istituzionali;
  6. l'isolamento della dottrina, l'assenza di dialogo con i soggetti istituzionali e con gli operatori del diritto.

a) Gli aspetti caratterizzanti del codice hanno indubbiamente contribuito a rendere meno urgente il problema di una sua riforma. Diversamente dal codice penale tedesco che con qualche significativa modifica era potuto diventare il codice di un regime totalitario, il Codice Rocco aveva mutuato dal sistema liberale i principi che trovano solitamente riconoscimento in ogni Stato di diritto. Il principio di legalità, di irretroattività della legge penale e di tassatività facevano parte del patrimonio genetico di quel codice.

Il tecnicismo giuridico, l'indirizzo penalistico che aveva ispirato il codice, ponendo la norma giuridica lontano dalla Storia e dalla Politica, si era prestato a facili strumentalizzazioni da parte del regime fascista, il quale, soprattutto fuori dal codice penale, poté dimostrare la propria indole repressiva e antidemocratica, realizzando una sorta di 'equilibrismo giuridico' tra codice penale e legislazione speciale. Proprio alla presunta continuità con la tradizione liberale e alla dichiarata estraneità del codice alla politica del regime si deve la sopravvivenza del Codice Rocco nell'Italia democratica. Un codice la cui 'progressione discendente' della tutela, e la cui esasperata componente pubblicistica di buona parte delle fattispecie criminose testimoniano, ancora oggi, la sua prevalente ispirazione autoritaria.

b) La dottrina è arrivata in ritardo ad avvertire la necessità di una riforma del Codice Rocco. La concezione tecnicistica della scienza giuridica non solo l'aveva indotta a limitare, nel secondo dopoguerra, le istanze di riforma agli istituti marcatamente più autoritari del codice, ma aveva finito con il 'mortificare' le stesse potenzialità propositive della Carta costituzionale in materia penale, scoprendone la rilevanza solo tardivamente.

L'apertura al 'movimento internazionale di riforma' e il diverso modo di guardare al dettato costituzionale, costituiranno le chiavi di volta di un cambiamento di prospettiva che consentirà alla dottrina italiana di porsi al passo con gli orientamenti penalistici degli altri paesi europei.

c) Le forze politiche rappresentate in Parlamento hanno trascurato il problema di una riforma del codice penale. Per un verso, la frammentazione partitica che, complice il sistema elettorale proporzionale, ha da sempre contraddistinto il panorama politico italiano, non ha consentito di trovare in Parlamento il consenso necessario per riformare, oltre alla parte generale del codice, anche la parte speciale. Il multipartitismo estremo degli anni '70 e '80 corrispondeva, sul piano sociale, ad una pluralità di valori e "visioni del mondo", le cui diverse componenti cattoliche, marxiste, liberali e neo-fasciste difficilmente avrebbero potuto trovare una composizione in sede di riformulazione delle fattispecie criminali. Emblematica, a questo proposito, la vicenda dell'approvazione della legge sulla violenza sessuale, il cui travagliato iter si è concluso dopo quasi venti anni.

Da un altro punto di vista, il Parlamento ha dimostrato maggiore interesse per la riforma del codice di procedura penale, piuttosto che per il codice penale. Ciò, secondo alcuni, perché il codice di rito godrebbe di una 'visibilità' sconosciuta al diritto penale sostanziale che lo renderebbe più redditizio in termini di resa elettorale agli occhi di un legislatore troppo spesso incline a fare della legislazione penale un uso meramente simbolico.

d) Lo scarso interesse dell'opinione pubblica si lega necessariamente al disinteresse delle forze politiche. Se la riforma del codice penale non è iscritta nell'agenda politica è difficile che l'opinione pubblica avverta l'esigenza di un nuovo codice penale. Come ha sottolineato Giuliano Vassalli, il codice penale e quello di procedura vengono spesso confusi tra di loro e appare mediamente più lontana e meno comprensibile la riforma, ad esempio, delle circostanze o di una determinata fattispecie criminosa rispetto alla modifica delle misure cautelari o del regime dell'informazione di garanzia. La maggiore 'visibilità' conferita dal processo al codice di rito avrebbe quindi favorito l'allontanamento della riforma del codice penale dai dibattiti pubblici facendone materia di discussione dei soli 'addetti ai lavori'.

e) Le difficoltà politico-istituzionali e l'isolamento della dottrina che hanno, a nostro giudizio, contribuito ad ostacolare il processo di riforma del codice penale, ci avvicinano a problematiche tipiche di questi ultimi anni.

Come si è visto nell'ultimo capitolo, la riforma del Codice Rocco, nonostante le nuove impostazioni dogmatiche della dottrina nei riguardi della prospettiva di riforma, è naufragata nelle acque sempre più agitate del sistema politico italiano che ormai da anni tenta, invano, di imboccare la strada della stabilità politica e della riduzione della frammentazione partitica attraverso l'approvazione di una nuova legge elettorale.

Se si guarda alle riforme penalistiche realizzate dagli altri paesi europei si nota come in Italia siano mancate e continuino a mancare le condizioni politiche per poterle compiere. Come sottolineato da taluno, le riforme francesi sono state realizzate "nell'alveo quasi monarchico della Repubblica semipresidenziale" (1), mentre le modifiche al sistema penale tedesco si sono sviluppate dentro la 'grosse Koalition' che, sul finire degli anni '60, vede un governo tra democristiani e socialdemocratici.

Nel sistema politico italiano si registra invece 'un affanno politico-istituzionale', una carenza in termini di stabilità politica ed efficienza governativa che non può non avere i suoi riflessi in tutti quei settori che attendono interventi di modifica.

f) Come rilevato nell'ultimo capitolo, il processo di riforma degli anni '90 è avvenuto all'insegna della pressoché totale mancanza di dialogo tra dottrina, legislatore e operatori del diritto (in particolare la magistratura). Ognuno di questi soggetti è apparso muoversi per proprio conto, costituendo una sorta di monade nel panorama riformatore del codice penale.

Il legislatore nella "Commissione bicamerale '98" pone le basi per una riforma del diritto penale sostanziale introducendo, a livello costituzionale, alcuni significativi articoli, senza però tenere conto delle evoluzioni dogmatiche compiute nel frattempo dalla dottrina su quegli stessi temi, né del progetto approntato pochi anni prima dalla Commissione Pagliaro.

La dottrina, a sua volta, non sembra prestare attenzione agli orientamenti della giurisprudenza e, proprio nel predisporre lo schema di legge-delega sembra chiudersi all'interno di una Commissione senza avvalersi di alcun organismo esterno che possa fornirle un apporto scientifico di tipo criminologico-sociale. Si respira una certa chiusura nello svolgimento dei lavori di quella Commissione, che rende quanto mai invidiabili 'le aperture' che hanno contraddistinto il processo di codificazione penale francese.

In Francia, al processo di codificazione penale hanno partecipato non soli i penalisti, ma anche organismi di studi sociali e criminologici. Sembrerebbe quasi che l'approccio con il quale ci si è avvicinati alla riforma del codice penale italiano sia ancora oggi contraddistinto da residuati di tecnicismo giuridico, in base ai quali la dottrina trova solo al suo interno i margini di un confronto. Alcuni penalisti hanno auspicato, a questo proposito, una maggiore apertura della scienza penale alle scienze sociali e alla pratica, non solo nello studio del diritto penale ma anche e soprattutto nel momento in cui deve impostarsi una sua riforma.

Il penalista Egidio Resta, riferendosi a quanto affermato da Rudolf von Jhering, secondo il quale la sopravvivenza di un codice penale dovrebbe inconfutabilmente essere la prova della stabilità dei fini e dei valori di una società, ha individuato nella mancata riforma del sistema penale il sintomo di una continuità della società politica o di una relativa indifferenza della società politica ai suoi stessi mutamenti.

Come abbiamo accennato nell'Introduzione, il sistema inaugurato dal Codice Rocco ha costituito per molto tempo il referente penalistico dell'insieme dei valori e degli orientamenti culturali presenti in buona parte del paese. Questo aspetto costituisce, con ogni probabilità, un altro rilevante fattore cui imputare il ritardo con il quale l'idea di una riforma del codice penale si è fatta strada nella coscienza comune.

Il codice penale del '30 si può dire fosse in buona misura espressione della società italiana dell'epoca. Oggi, nonostante le modifiche intervenute, quel codice non appare in alcun modo rispondente alle istanze della società attuale. Tuttavia, per le ragioni viste, non si può certo affermare che la riforma del codice penale sia avvertita come una priorità da parte dell'opinione pubblica. Può essere indicativo a riguardo il fatto che, eccettuato qualche caso, il codice penale non è mai stato oggetto di significativi quesiti referendari da parte di quelle forze politiche che maggiormente hanno fatto ricorso a questo istituto di democrazia diretta.

Le ragioni di questa 'assenza' possono essere molteplici, non ultima un certo tecnicismo che contraddistingue la materia; resta il fatto che è mancata al codice penale la possibilità di farsi conoscere attraverso i dibattiti che normalmente accompagnano i referendum.

Da un referendum probabilmente dipenderà la possibilità di riformare la legge elettorale. Potrebbe essere questo il primo, significativo passo che consentirebbe al nostro paese di avviarsi verso una maggiore stabilità politica e continuità governativa, creando le condizioni per riformare un codice nel quale ormai da tempo stentiamo a riconoscerci.

Note

1. R. Minna, Il controllo della criminalità, La Nuova Italia, Firenze 1997, p. 136.