ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo V
Il sistema di accoglienza in Italia

Angela Suprano, 2016

A tutti i rifugiati,
a quelli che in Italia hanno iniziato una nuova vita
e a quelli che l'hanno persa cercando di raggiungerla.

1. Un'“accoglienza” mancata: il sistema italiano di accoglienza emergenziale e insufficiente

Malgrado siano ormai trascorsi molti anni dal tentativo di elaborare una legge di attuazione del dettato costituzionale che sancisce il diritto all'asilo politico (art. 10 Cost.), ad oggi l'Italia continua ad essere carente di una legge organica che garantisca, in modo adeguato e dignitoso, tale diritto su tutto il territorio nazionale.

La logica emergenziale che ha guidato gli interventi normativi degli ultimi vent'anni ha finito per travolgere, inevitabilmente, la stessa disciplina in materia di accoglienza.

Nel ripercorrere la storia del diritto di asilo è apparso evidente come gli interventi in materia di accoglienza siano nati nella maggioranza dei casi in risposta ad emergenze umanitarie, fronteggiate per lo più dagli attori del privato sociale e dagli enti locali. Occorrerà attendere l'emanazione del decreto legislativo di attuazione della direttiva europea 2003/9 - d.lgs. 140/2005 - prima di arrivare all'elaborazione di sistema di accoglienza per i richiedenti asilo e rifugiati nel territorio nazionale in linea con gli standard europei e con il diritto internazionale dei rifugiati (in particolare con la Convenzione di Ginevra del 1951).

L'incapacità di colmare lacune, di garantire standard di accoglienza omogenei su tutto il territorio e di gestire il fenomeno migratorio in toto è alla base delle diverse ammonizioni da parte di altri Paesi europei verso il nostro Stato. Emblematica a tal proposito è la sentenza emessa da un tribunale civile di Stoccarda del 15 luglio 2012, nella quale il giudice tedesco si rifiutava di rimandare la richiesta d'asilo in Italia per una famiglia palestinese, sbarcata in Italia e giunta in Germania. A motivare la sentenza il fatto che ai richiedenti asilo in Italia viene riservato un trattamento “inumano ed umiliante”, che impone agli stessi di vivere in uno stato “al di sotto della soglia di povertà” (1). La stessa Commissione europea contesta all'Italia una limitata capacità generale di accoglienza del sistema di asilo italiano.

Ancora oggi ci troviamo ad avere a che fare con un sistema fondato su una normativa frammentata, stratificata in una serie di leggi e decreti e che non ha trovato le dimensioni, l'omogeneità e l'articolazione necessarie a fronteggiare in maniera adeguata la sfida di accogliere i richiedenti asilo e i rifugiati accompagnandoli verso l'integrazione. Si deve sempre ricordare che parlare di accoglienza e integrazione equivale a parlare di come e dove vivono i rifugiati che giungono in Italia: dalle condizioni di sussistenza basilari a quelle che permettono di costruirsi una vita dignitosa.

Nell'analisi del sistema di accoglienza ciò che emerge in modo chiaro è la varietà dei centri in cui si articola, differenziati per la natura dell'ente gestore (istituzionale o del privato sociale), per gli obiettivi (prima o seconda accoglienza), per l'approccio (assistenzialista o progettuale), per la natura più o meno coercitiva dell'inserimento, per il carattere nazionale o locale del sistema di rete entro il quale il centro d'accoglienza è inserito, per le caratteristiche strutturali (centri collettivi o appartamenti singoli), per la tipologia dei servizi erogati, nonché per la capacità ricettiva (2). A causa proprio di questa disomogeneità di elementi sarà opportuno parlare di diversi “sistemi” di accoglienza, distinguendo i centri di accoglienza in: centri governativi, centri di accoglienza del Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati e strutture di accoglienza promosse dal privato sociale o dagli enti locali, attivate in situazioni di emergenza.

Inoltre, la prassi ha mostrato che, non di rado, i richiedenti protezione internazionale trovano “accoglienza” (alias “detenzione”) presso i centri di identificazione ed espulsione (CIE).

Malgrado le disfunzioni tracciate e l'incapacità, protrattasi negli anni, di realizzare una rete di accoglienza funzionale e rispondente ai flussi migratori, in quest'ultimo biennio, a partire dall'approvazione del Piano Operativo Nazionale del 10 luglio 2014 per fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari, adulti, famiglie e minori non accompagnati, si è cercato di superare lo logica emergenziale, che ha da sempre dominato nelle scelte politiche nazionali di accoglienza. Le ultime scelte legislative, infatti, sono state orientate verso la creazione di un sistema maggiormente flessibile rispetto ai bisogni di quanti entrano nel circuito accoglienza. In quest'ottica, lo scorso 17 giugno del 2015 è stato approvato il Piano operativo nazionale che tra i vari obiettivi persegue quello di monitorare il sistema di accoglienza oltre che innalzare gli standard qualitativi offerti nelle varie strutture. A confermare la strategia del Piano Nazionale è stato il recepimento delle due direttive europee in materia di procedura e accoglienza con d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142, che, come abbiamo visto nel precedente capitolo, introduce alcune novità e riordina le precedenti disposizioni legislative consolidando così una nuova disciplina dell'accoglienza (3).

Attualmente, dunque, il Sistema nazionale di accoglienza è articolato in due sotto-insiemi, entrambi coordinati dal Dipartimento di Libertà civile per l'immigrazione e dal Ministero dell'Interno, e che, in ragione delle differenti funzioni, hanno modelli organizzativi, voci di costo e tempi di permanenza differenziati.

Il primo è caratterizzato dai cosiddetti “centri governativi” (4), strutture che offrono accoglienza a diverse tipologie di migranti e che possono essere raggrupparti in quattro diverse tipologie: CPSA (Centri di primo soccorso e accoglienza); CDA (Centri di accoglienza), CARA (Centri di accoglienza per richiedenti asilo), i quali, come vedremo verranno gradualmente sostituiti dai nuovi hub, Centri governativi di prima accoglienza e qualificazione; CIE (Centri di identificazione espulsione) anch'essi proiettati verso una nuova identità (si auspica non soltanto nominativa): gli hotspot.

Il secondo sotto-insieme è rappresentato dal Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), gestito attraverso gli enti locali con l'essenziale supporto e ausilio del terzo settore, che offre soprattutto servizi per l'accoglienza e l'integrazione dei soggetti beneficiari, in quanto si tratta di strutture ospitanti un numero di posti piuttosto limitato (5).

Nell'analisi riportata in seguito, si terrà conto dei nuovi strumenti introdotti nel circuito accoglienza, sebbene si tratti ancora di mezzi in via di “sperimentazione”, in alcuni casi, e di “prossima attuazione” (6). Con l'adozione del Piano operativo nazionale per fronteggiare il flusso di cittadini di Stati terzi, siglato dal Ministero dell'Interno, delle Politiche Sociali, dell'Economia e delle Finanze, Regioni, ANCI, UPI, in un contesto di necessaria collaborazione tra i vari livelli istituzionali, ci si è posti l'obiettivo di elaborare un sistema di accoglienza unico, anche se articolato in “tre anelli” (come vedremo in seguito): primo soccorso e smistamento (a carico dello Stato), prima accoglienza per un breve periodo (di impronta regionale) e seconda accoglienza in centri di piccole dimensioni (a carico dei Comuni) (7).

Il sistema così descritto riceve sua disciplina e trattazione ai sensi del nuovo d.lgs. 142/2015, ex art. 8, comma 1-2. Occorre ricordare, a tal proposito, anche la particolare situazione riguardante la categoria dei minori stranieri non accompagnati, per i quali è prevista l'attivazione di centri di primissima accoglienza ad alta specializzazione, finalizzati ad accogliere i minori nella fase di primo rintraccio.

Come detto, la novità rilevante è rappresentata dalla predisposizione di un sistema SPRAR specificatamente dedicato all'attivazione di percorsi di accoglienza e integrazione dei minori stranieri non accompagnati.

In questo quadro di provvedimenti e novità, da ultimo, non per importanza, va ricondotta la creazione, proposta dalla Commissione europea, di un sistema di accoglienza per migranti irregolari lungo i “punti caldi” in cui si registra il maggior numero di arrivi. La Commissione ha parlato di hotspot, le cui operazioni di attivazioni sono state inaugurate dal Presidente Jean Claude Juncker a partire dal 23 settembre 2015. Vedremo nell'analisi proposta a seguire cosa sono realmente e soprattutto cosa li distingue (se una distinzione si volesse rintracciare) dai CIE.

Procediamo con l'analisi del primo “sotto-sistema” caratterizzato proprio dai centri governativi, introducendo le varie modifiche apportate all'assetto originario.

La prima fase, per certi versi antecedente alla fase di accoglienza vera e propria, posta ab origine, consiste nel soccorso e nella prima assistenza dei migranti (attività che avvengono in prossimità dei luoghi di sbarco). Queste funzioni continuano ad essere svolte nei CPSA (Centri di primo soccorso e accoglienza) (8). Stando alla definizione del Ministero dell'Interno, i CPSA sono centri che “ospitano gli stranieri al momento del loro arrivo in Italia. Qui i migranti ricevono le prime cure mediche necessarie, vengono foto-segnalati, possono richiedere la protezione internazionale” (9). Solo i centri di Lampedusa e di Cagliari sono stati istituiti con decreto ministeriale: il primo in data 16.02.2006, il secondo il 17.09.2007. Degli altri due non è dato sapere nulla di più rispetto alla loro formale istituzione. Sono centri di transizione, nei quali ai migranti sono forniti un primo soccorso e accoglienza, per poi procedere al loro trasferimento presso le altre tipologie di centri. Il decreto che li ha istituiti non ha indicato né le condizioni né le modalità di trattenimento, limitandosi ad affermare che la permanenza in tali strutture deve perdurare il tempo strettamente necessario all'espletamento delle operazioni di prima assistenza e soccorso dei migranti sbarcati sulle coste italiane. Nella prassi si cerca di non andare oltre le 48 ore, ma non sono mancati i casi in cui, soprattutto in occasione delle ricorrenti “emergenze sbarchi”, la permanenza in tale tipo di strutture si è protratta per settimane (10).

Nella normativa vigente non vi è traccia alcuna di norme che regolino le modalità con cui è imposta la permanenza obbligatoria e il relativo controllo giurisdizionale, nel caso in cui tale permanenza si protragga oltre il periodo consentito dall'art. 13 della Costituzione. Tale situazione, oltre a non risultare conforme alla legislazione italiana in materia di provvedimenti limitativi della libertà, può altresì configurarsi come una violazione dell'art. 5 comma 1 della Convenzione Europea dei diritti Umani (CEDU), a causa della radicale carenza del titolo giuridico legittimante la privazione della stessa libertà personale. Poco convincente anche la scarna normativa richiamata quale fonte legittimante il funzionamento dei CPSA, l. 563/1995 cosiddetta “Legge Puglia”. Tale legge, infatti, all'art. 2, comma 1, prevedeva “l'istituzione, a cura del Ministero dell'interno, sentita la regione Puglia, di tre centri dislocati lungo la frontiera marittima delle coste pugliesi per le esigenze di prima assistenza a favore dei predetti gruppi di stranieri”. La norma invocata si limita in realtà a disciplinare le attività di prima assistenza attivate in Puglia in un preciso arco temporale, tra il 1º luglio e il 31 ottobre del 1995, e in una altrettanto precisa area geografica e in ogni caso nulla dispone in materia di provvedimenti limitativi della libertà personale.

Inoltre la dichiarata finalità di accoglienza e primo soccorso lascerebbe pensare a centri con finalità primariamente umanitarie, più che di sorveglianza e controllo; a centri, in sostanza, in cui vige un regime a “porte aperte”, con possibilità di libera uscita per gli stranieri accolti. In realtà, la gestione dei centri ha assunto nel tempo i tratti caratterizzanti la gestione dei CIE, pur in assenza delle limitate garanzie giurisdizionali previste nel caso dei provvedimenti di trattenimento nei centri per stranieri in via di espulsione.

Attualmente le strutture attive con funzioni di CPSA sono quattro, tutte situate nelle regioni meridionali (Agrigento - Lampedusa, Cagliari - Elmas, Lecce - Otranto, Ragusa - Pozzallo), per un totale di 2.800 posti letto circa. Si tratta di strutture molto grandi e in alcuni casi multifunzionali, che possono ospitare fino a 1.000 persone contemporaneamente.

Questa fase iniziale apre l'ingresso al circuito dell'accoglienza vera e propria, attuata nei Centri governativi di prima accoglienza, i cosiddetti hub regionali/interregionali, istituiti dall'art. 9 del nuovo d.lgs. 142/2015. Si tratta di strutture la cui identità risulta ancora un'incognita (11). La loro funzione sarebbe quella di “colmare quel dislocamento esistente tra il primo e il secondo sistema di accoglienza, creando un collegamento più strutturale al fine di evitare dispersioni sul territorio” (12). La fisionomia degli hub è quella di centri gestiti dagli Enti locali, aventi la funzione di predisporre una prima forma di accoglienza agli stranieri che siano già stati sottoposti alle procedure di foto segnalamento e primo screening sanitario, e che abbiano espresso, nella fase di primo intervento, la volontà di chiedere protezione. La permanenza all'interno del centro è limitata ai tempi di espletamento della domanda di protezione internazionale e alla decisione della stessa da parte della Commissione territoriale. Una volta conclusa la procedura prevista per l'esame della domanda, si procede all'individuazione della “migliore collocazione possibile nello SPRAR” (13). Ogni Regione è chiamata a dotarsi di almeno un hub con capienza che oscilli tra 100 - 250 posti letto. Dall'accordo sopra citato, Stato-Regioni, questi centri, nell'ottica di riorganizzazione del sistema nazionale dell'accoglienza, perseguiranno l'obiettivo fondamentale di assorbire tutte le funzioni devolute all'attuale sistema dei CARA, determinandone in questo modo una progressiva “eliminazione”.

Attualmente ancora in vita, i CDA (centri di accoglienza) sono stati istituiti nel 1995 dalla cosiddetta “Legge Puglia” in nome di una logica emergenziale. Si tratta di strutture ideate al fine di rispondere alle emergenze degli sbarchi dei profughi provenienti dall'ex Jugoslavia. Sono i primi centri creati dal governo ed accolgono i migranti appena giunti sul territorio indipendentemente dal loro status giuridico. Stando alla definizione data dal Ministero dell'Interno questi centri “garantiscono prima accoglienza allo straniero rintracciato sul territorio nazionale per il tempo necessario alla sua identificazione e all'accertamento sulla regolarità della sua permanenza in Italia” (14). Come per i CPSA, anche per i CDA la legge non fissava i termini né le modalità di accoglienza, limitandosi a stabilire che le operazioni di primo soccorso e accoglienza debbono realizzarsi nel “tempo strettamente necessario” a permettere l'adozione dei provvedimenti. È opportuno chiarire che sebbene, di frequente, si tende ad utilizzare i termini CDA e CPSA come fossero indicativi di una medesima struttura di accoglienza, causa la mancanza di norme regolatrici, lo “Schema di Capitolato di appalto per la gestione dei centri di accoglienza per immigrati” adottato dal Ministero nel 2008 distingue le due tipologie di centri. I CPSA sono definiti “strutture localizzate in prossimità dei luoghi di sbarco destinate all'accoglienza degli immigrati per il tempo strettamente occorrente al loro trasferimento presso altri centri (indicativamente 24/48 ore)”; e i CDA “strutture destinate all'accoglienza degli immigrati per il periodo necessario alla definizione dei provvedimenti amministrativi relativi alla posizione degli stessi sul territorio nazionale (Legge 29 dicembre 1995 n. 563 - Legge Puglia)”.

Compongono il sistema di accoglienza ancora operativo i CARA (centri di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati) (15). Si tratta di centri istituiti con DPR 303/2004, poi confluiti nel d.lgs. 25/2008, ex art. 20, comma 2 (abrogato dall'attuale d.lgs. 142/2015) e che hanno rappresentano di fatto gli unici centri organicamente inseriti nel sistema ricettivo per richiedenti asilo e rifugiati, costituendone in passato, sia per la capacità ricettiva sia per il ruolo, uno dei pilastri. Nati dall'esperienza dei CID (Centri di identificazione) (16), la loro funzione era quella di consentire l'identificazione del soggetto e di fornire accoglienza durante la procedura per il riconoscimento dello status. La disposizione all'art. 20, d.lgs. 25/2008 (mantenuta pressoché identica nell'attuale disposizione ex art. 10, comma 2, d.lgs. 142/2015) prevede il diritto del richiedente all'uscita nelle ore diurne senza la richiesta di una previa autorizzazione; era previsto l'obbligo per il richiedente di chiedere al Prefetto territorialmente competente l'autorizzazione all'allontanamento temporaneo, in tutti i casi in cui l'allontanamento avesse avuto una durata superiore a quella prevista ex lege.

L'invio ai CARA era previsto per il tempo strettamente necessario al completamento delle procedure di identificazione (il cui limite massimo era fissato a 20 giorni, e che in ogni caso si esauriva prima dell'esame di merito della domanda), scaduto il quale al richiedente era rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta di asilo valido tre mesi (oggi la validità del permesso ha durata semestrale, come precisato ex art. 4, d.lgs. 142/2015) rinnovabile fino alla decisione sulla domanda o comunque “per il tempo in cui è autorizzato a rimanere sul territorio nazionale ai sensi dell'art. 19, comma 4-5 del d.lgs. 150/2011”, come stabilito ex art. 4, comma 1, d.lgs. 142/2015).

Dati aggiornati a Ottobre 2015 (17)
Tipologia di strutture Numero delle strutture Presenze/Posti %
CAS (strutture temporanee) 3.090 70.918 72%
SPRAR (posti) 430 progetti 21.814 21%
Centri governativi 13 7.290 7%
CIE 7 464 0%
Tot. presenze 99.096 100%

2. Hotspot: un nuovo nome per i CIE?

Nel sistema di accoglienza, seppur impropriamente per lo scopo, possiamo ricondurvi quelle strutture volte al trattenimento, convalidato dal giudice di pace, degli stranieri extracomunitari irregolari e destinati all'espulsione. Introdotte nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano (d.lgs. 286/1998) con il termine di centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA), sono stati in seguito trasformati in Centri di identificazione ed espulsione (CIE). La restrizione della libertà personale era prevista solo nei casi di grave pericolo per l'incolumità dell'ordine pubblico, al fine di limitare il trattenimento solo ai casi di irregolari recidivi. Con la legge 189/2002, cosiddetta Bossi-Fini, sono stati apportati i primi cambiamenti al T.U. sull'immigrazione: è stata riconsiderata la pratica dell'espulsione e sono state introdotte forti misure finalizzate a contrastare l'immigrazione irregolare.

Attualmente, degli 11 Centri di identificazione ed espulsione presenti in Italia (Bari, Bologna, Brindisi, Caltanissetta, Crotone, Gorizia, Milano, Roma, Torino, Trapani e Trapani Milo) solo 5 sono funzionanti (Bari, Caltanissetta, Roma, Torino, Trapani). Inoltre, il CIE di Trapani-Serraino Vulpitta è in via di riconversione in centro di accoglienza per richiedenti asilo; i centri di Bologna e di Milano dal mese di agosto 2014 sono utilizzati come centri di prima accoglienza.

I dati, aggiornati a febbraio 2015, dicono che il numero dei migranti trattenuti è di 293 in totale (18). Solo un anno fa, nel febbraio 2014, le presenze nei centri arrivavano a complessive 460 persone.

Malgrado continuino a sopravvivere strutture adibite a CIE, queste ultime sono ben lungi dall'aver raggiunto gli obiettivi per cui erano state istituite: su 169.071 persone transitate nei centri tra il 1998 e il 2012, quelle effettivamente rimpatriate sono state soltanto 78.045, il 46,2% del totale, una frazione minima dell'insieme degli immigrati in condizione irregolare (nello stesso periodo ne sono stati regolarizzati più di un milione) (19).

A partire dal nuovo vertice di Bruxelles del 14 settembre del 2015, che ha riunito i ministri dell'Interno dei 28 Paesi dell'UE, si è dato il via alla realizzazione degli hotspot (20), in un'ottica di rafforzamento della politica dei rimpatri e del FRONTEX. La richiesta di istituire hotspot proviene dall'Europa, in particolare dalla voce della cancelliera tedesca Angela Merkel e dal cancelliere austriaco Werner Faymann, i quali hanno ribadito la necessità che nei “punti caldi” dell'UE (Italia, Grecia e Ungheria) (21) siano allestite strutture finalizzate alla individuazione e registrazione degli stranieri appena arrivati sul territorio.

Nella presentazione della Commissione Europea al LIBE (libertà civili, giustizia e affari interni), gli hotspot sono stati definiti come “operational solutions for emergency situations”, delle strutture in cui poter trattare in modo rapido e veloce i processi di identificazione e registrazioni dei migranti.

È proprio la funzione devoluta ai suddetti centri a rappresentare un evidente punto di raccordo e analogia con i già esistenti CIE. Tuttavia, ciò che distingue le due tipologie di centri è il loro funzionamento. Nei CIE il trattenimento dello straniero è disposto dal Questore, secondo i limiti temporali definiti ex lege 141/2014; negli hotspot, invece, la permanenza dei migranti dovrebbe essere al massimo di 48 ore (il tempo necessario all'espletamento delle attività utili ad operare una prima “divisione” tra migranti con diritto di asilo e non). Queste strutture dovrebbero garantire, secondo la lettera dell'Intesa del 10 luglio 2014, “il massimo turn-over delle presenze”, evitando, da un lato, la saturazione delle strutture e, dall'altro, sollecitando il prima possibile l'invio delle persone che abbiano espresso la volontà di chiedere protezione internazionale, presso le strutture governative di prima accoglienza (cosiddetti hub).

Dal punto di vista tecnico le aree pronte ad accogliere hotspot sono state individuate in prossimità degli sbarchi, presso i porti di: Lampedusa, Pozzallo, Porto Empedocle, Augusta e Taranto. In particolare, l'hotspot di Lampedusa è stato attivato, in via sperimentale, il 21 settembre 2015 (22). Una delle principali preoccupazioni mostrate dal CIR attiene l'uso della forza nelle procedure di identificazione e registrazione dei migranti. Infatti, come sottolineato dall'ECRE in “Hotspots”: the Italian example - conversation with Christopher Hein from CIR:

there are credible reports stating that a “proportionate” use of force will be used by Italian authorities in an effort to fingerprint everyone who arrives.

3. Gestione dei centri di accoglienza ed erogazione di servizi

L'attivazione e gestione dei Centri per migranti, sin dal momento della loro istituzione, è stata affidata alla Prefetture UTG (Unità territoriali di governo). Tali autorità competenti si sono avvalse, nella maggioranza dei casi, della collaborazione e delle prestazioni di enti locali, altri soggetti pubblici o privati, ai quali è stata sempre riconosciuta la possibilità di subappaltare alcuni servizi a cooperative, associazioni, ONG (art. 22 del D.P.R 394/1999), al fine di garantire un'efficiente amministrazione delle strutture.

In Italia, infatti, i centri di accoglienza di grandi dimensioni (CPSA, CDA, CARA, CIE) vengono affidati ad un gestore, che può essere identificato in un ente, un'associazione, una cooperativa, selezionato attraverso gare di appalto specifiche per ciascuna tipologia di centro. Il gestore in questione è responsabile dell'amministrazione giornaliera del centro, delle rendicontazioni, dei report ed eventuali subappalti, mentre l'attività di monitoraggio e controllo sull'andamento gestionale della struttura è affidata alla Prefettura, la quale è chiamata a verificare il rispetto delle modalità di erogazione dei servizi e la qualità dei medesimi.

Il coinvolgimento dei gestori dei centri di accoglienza avviene secondo lo schema di capitolato di appalto per il funzionamento e la gestione dei centri di accoglienza per immigrati (23), approvato con decreto ministeriale del 21 novembre 2008.

Per ciò che attiene all'erogazione dei servizi, questi sono elencati e specificati in seno all'art. 1 del medesimo schema sopraindicato. Accanto ad un servizio di mediazione linguistica e culturale, dovrà essere assicurato un servizio d'informazione sulla normativa concernente l'immigrazione, sulla condizione dello straniero, nonché sulle regole comportamentali da adottare durante la permanenza nel centro; un servizio di barberia, lavanderia, sostegno psicologico; un servizio di orientamento al territorio e informazione sulla possibilità di inserimento nel sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati; un servizio di insegnamento di lingua italiana.

Tutti i servizi dovrebbero essere garantiti in spazi e strutture idonee e adeguatamente adibite allo scopo prefissato. In realtà, in Italia, numerose sono stati i report e le ricerche sulle strutture di accoglienza realizzati nel mondo accademico e dalle realtà del terzo settore, coinvolte nell'assistenza ai richiedenti asilo.

Nel 2007, a livello istituzionale, è stato condotto un rapporto dalla Commissione per le verifiche e le strategie dei Centri per immigrati, presieduta dall'ambasciatore Steffan de Mistura. Si è trattato di una pubblicazione di fondamentale importanza, in quanto ha costituito la premessa alla revisione dell'intero sistema di accoglienza e di trattenimento in toto.

Nel 2010, a distanza di 5 anni dal primo rapporto, anche Medici Senza Frontiere è tornata nei luoghi di detenzione per i migranti privi di permesso di soggiorno e di transito per i richiedenti asilo, e ha fotografato per la seconda volta, nel documento Al di là del muro, la realtà che si vive all'interno dei CIE, CARA e CDA, mettendo in luce il perdurare di condizioni “disumane e degradanti”:

Rispetto alle visite condotte nel 2003 poco è cambiato, molti sono i dubbi che persistono, su tutti la scarsa assistenza sanitaria, strutturata per fornire solo cure minime, sintomatiche e a breve termine. Stupisce inoltre l'assenza di protocolli sanitari per la diagnosi e il trattamento di patologie infettive e croniche. Mancano soprattutto nei CIE, come ad esempio in quello di Torino, i mediatori culturali senza i quali si crea spesso incomunicabilità tra il medico e il paziente. Sconcerta in generale l'assenza delle autorità sanitarie locali e nazionali,

dichiara Alessandra Tramontano, coordinatrice medica di MSF in Italia (24).

Drammatiche anche le condizioni strutturali degli edifici adibiti a centri di accoglienza: nella realtà, molto spesso, si tratta di edifici già esistenti e costruiti per altre finalità (ex caserme, ex centri geriatrici...), mentre, nei rari casi di strutture di nuova costruzione, quest'ultimi sono modellati su esempi di istituti penitenziari, circondati da cinta murarie elevate. Le strutture sono composte di diversi moduli, al fine di isolare i blocchi abitativi dagli spazi in cui si erogano altre tipologie di servizi. Le inadeguatezze strutturali si riverberano anche a livello igienico e di sicurezza (25). La distribuzione dei beni di prima necessità, tuttavia, è stata valutata dagli operatori di Medici senza frontiere adeguata per tutte le strutture italiane. Malgrado ciò, si evidenzia un forte gap tra le prestazioni effettivamente garantite e gli standard fissati dal Ministero dell'Interno.

Di particolare interesse è, a questo proposito, il Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e il trattenimento per migranti in Italia, curato dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, pubblicato nel marzo del 2012. Tra le criticità maggiormente sottolineate, si situa l'incapacità del sistema di accoglienza ordinario di accogliere un numero di immigrati troppo elevato rispetto alla capacità ricettiva delle strutture (i grandi centri collettivi sono dotati di posti il cui numero può variare da 100/150 fino a 1.500/2.000). Inoltre, sono state riscontrate carenze nella fornitura di servizi alla persona così come previsti dallo Schema generale di capitolato per la gestione dei centri adottato nel 2008 (mediazione linguistica, informativa legale, sostegno socio-psicologico), con potenziale danno soprattutto per i soggetti più vulnerabili, come le vittime di tortura o trauma estremo, le vittime di violenza sessuale o di genere, le persone con disabilità.

La Commissione ha quindi sottolineato “la necessità di rafforzare i sistemi di monitoraggio e controllo della qualità ovvero introdurne altri più efficaci, anche attraverso meccanismi di consultazione e partecipazione attiva dei richiedenti asilo ospitati”.

Riguardo alla gestione delle nuove strutture, per gli hub si prevede una gestione a livello regionale/interregionale, che dovrebbe presidiare tutta questa prima fase dell'accoglienza. Si tratta di una fase in cui si attua la “presa in carico della persona”, quindi oltre al vitto, all'alloggio e all'assistenza sanitaria dovrà esser assicurato anche l'insegnamento della lingua e l'orientamento ai servizi (26).

L'art. 10 del d.lgs. 142/2015 si preoccupa di individuare quel catalogo di diritti il cui godimento dovrà essere assicurato nei centri governativi di prima accoglienza: il rispetto alla sfera privata, comprese le differenze di genere, le esigenze connesse all'età, la tutela della salute, l'unità familiare, le esigenze particolari di cui sono portatori i soggetti “vulnerabili”. L'allontanamento dai centri è consentito nelle ore diurne, con obbligo di rientro nelle ore notturno, salvo la possibilità di chiedere al Prefetto l'autorizzazione ad uscire per un periodo diverso o superiore a quello ordinario, a pena di revoca dal diritto all'accoglienza ai sensi dell'art. 13. I centri vengono gestiti da personale adeguatamente formato, sul quale grava l'obbligo di riservatezza sui dati e le informazioni riguardanti i richiedenti presenti nel centro.

Per gli hotspot si prevede una gestione nazionale coniugata e, per certi versi, supportata dall'ausilio di alcune agenzie europee tra cui FRONTEX e EASO. Si hanno ancora dei dubbi sulla tipologia di strutture che verranno impiegate ai fini descritti, e che quindi diventeranno l'emblema del nuovo sistema di accoglienza. Molto probabilmente, tenendo conto dei primi centri attivati in via sperimentale, le strutture utilizzate saranno quelle già esistenti adibite, prima del decreto, a CARA, CPSA (27). Ciò di cui si è certi è che ne è mutato il “nome” e si auspica non soltanto quello.

Il fine di qualsivoglia tipologia di centro, in particolare hub e SPRAR, indipendentemente dai percorsi attivati, dai tempi previsti per la permanenza e l'erogazione dei relativi servizi, è proprio quello cristallizzato ai sensi dell'art. 18, para.1 lett. b): garantire una qualità di vita adeguata. Si tratta di un obiettivo che deve anche rappresentare il presupposto di partenza di cui tener conto nella previsione dei servizi da erogare, in base dei bisogni specifici di ogni singola persona, a partire dall'erogazione di servizi minime che garantiscano un alloggio adeguato, un vitto rispettoso delle diverse tradizioni culturali, una mediazione linguistico-culturale, l'orientamento ai servizi del territorio, l'erogazione di corsi di lingua italiana e sostegno ai percorsi di formazione e riqualificazione professionale, orientamento e accompagnamento a programmi di inserimento lavorativo, abitativo e sociale, orientamento e tutela legale.

Si tratta, di servizi che devono tendere alla costruzione di un effettivo percorso di accoglienza, di inclusione e, anche se in tempi piuttosto dilatati e con risultati poco soddisfacenti (stando ai dati attuali), ad una forma di “integrazione”.

A tal proposito, al fine di verificare la qualità dei servizi erogati e il rispetto dei livelli di accoglienza, è previsto, ex art. 20, d.lgs. 142/2015, un sistema di monitoraggio e controllo della gestione delle strutture di accoglienza. Una forma di monitoraggio attenta e precisa, evidentemente, dovrebbe essere assicurata ai servizi erogati alle persone vulnerabili, in particolar modo ai minori stranieri non accompagnati.

In tutti i casi in cui sia temporaneamente esaurita la disponibilità di posti all'interno dei centri governativi di prima accoglienza o nei centri del sistema SPRAR, a causa di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti, l'accoglienza può essere disposta dal Prefetto, sentito il Ministero dell'interno in strutture temporanee appositamente allestite, previa valutazione delle condizioni di salute del richiedente, anche per accertare eventuali esigenze particolari di accoglienza (misure straordinarie di accoglienza) e limitatamente al tempo strettamente necessario al trasferimento del richiedente nelle strutture di prima o seconda accoglienza. Tali strutture soddisfano le esigenze essenziali di accoglienza. Nelle ipotesi in cui il richiedente sia temporaneamente ospitato in suddette strutture, si dovrà procedere alle operazioni di identificazione e verbalizzazione della domanda presso la questura più vicina.

Nei casi in cui la carenza di posti interessi le strutture adibite ad accogliere minori non accompagnati, l'accoglienza di quest'ultimi è assicurata dai Comuni, che a tale scopo, possono accedere ai contributi disposti dal ministero dell'Interno nell'ambito del Fondo nazionale per l'accoglienza minori stranieri non accompagnati. In ogni caso si esclude ogni eventualità che il minore in questione possa essere trattenuto presso CIE o centri di accoglienza non specializzati.

4. Lo SPRAR (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) ...

Come evidenziato nella parte introduttiva al capitolo, accanto ai centri di accoglienza governativi, anche definiti “iniziali”, si situa la rete dei centri collettivi di piccole/medie dimensioni, che costituisce a livello territoriale il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR).

Erede del programma Azione Comune e Programma Nazionale d'Asilo (PNA), il sistema di protezione per rifugiati e richiedenti asilo è stato istituito dalla l. 189/2002, art. 32). Si tratta di un sistema di accoglienza di secondo livello, finalizzato a realizzare una forma di “accoglienza integrata”, che mira alla predisposizione di misure di orientamento e accompagnamento legale e sociale, nonché alla costruzione di percorsi individuali di inclusione e inserimento socio-economico (28).

L'accoglienza nella rete SPRAR ha subito una forte implementazione soprattutto a partire dallo scorso anno con l'attivazione di 432 progetti su tutto il territorio nazionale. Di fronte ai nuovi numeri e al bisogno di ampliare la capacità ricettiva dello SPRAR, in data 7 ottobre 2015, è stato pubblicato un avviso pubblico rivolto agli Enti Locali che prestano, o intendono prestare, servizi di accoglienza e che permetterà di aggiungere 10.000 posti (29).

Il nuovo triennio SPRAR 2014/2016 (30)
Regione Rete SPRAR 2014/2016
Posti assegnati Posti aggiuntivi Totale (con posti aggiuntivi)
Abruzzo 130 112 242
Basilicata 265 178 443
Calabria 990 655 1.645
Campania 778 549 1.327
Emilia Romagna 527 163 690
Friuli Venezia Giulia 234 68 302
Lazio 3.391 1.072 4.463
Liguria 223 66 289
Lombardia 612 309 921
Marche 373 135 508
Molise 278 157 435
Piemonte 540 301 841
Puglia 1.185 663 1.848
Sardegna 75 39 114
Sicilia 2.410 1.691 4.101
Toscana 396 151 547
Trentino Alto Adige 120 22 142
Umbria 281 91 372
Veneto 212 68 280

La gestione dello SPRAR è affidata alla rete degli enti locali in partenariato con enti del privato sociale territoriale, cui è riconosciuta la possibilità di accedere al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo (FNPSA). Questa modalità di gestione che si concretizza in un vero e proprio coinvolgimento dei territori ha rappresentato uno dei punti di forza del sistema, come ribadito anche nel Rapporto sull'accoglienza di migranti e rifugiati in Italia. Aspetti, procedure, problemi, dove si sottolinea che:

(...) il sistema SPRAR rende responsabili le amministrazioni locali valorizzando la scelta volontaria di adesione, senza che la collocazione di un centro quindi sia vissuta come una imposizione. Questo significa che a livello locale si possono trovare risorse specifiche, si può valutare l'impatto dell'accoglienza e si possono prendere decisioni più in sintonia con un contesto economico, sociale e culturale. Questo tipo di accoglienze prevede quindi programmazione e relazione stretta con la comunità locale, evitando le tensioni che possono derivare da accoglienze in emergenza non programmate e 'non accettate' dai territori.

Per quanto attiene le modalità di accesso al contributo nonché le indicazioni per la corretta gestione dei servizi di accoglienza, tutela ed integrazione, queste sono recate nelle “Linee guida” allegate al DM 22 luglio 2012, e ampiamente descritte nel “Manuale operativo per l'attivazione dei servizi di accoglienza e integrazione per richiedenti e titolari protezione internazionale” curato dal Servizio Centrale.

L'insieme delle richieste di accoglienza vengono valutate dallo tenendo in primo luogo conto della disponibilità dei posti e delle caratteristiche dei richiedenti; in particolar modo, lo SPRAR valuta l'insieme delle domande di accoglienza avendo quali criteri di riferimento: la data di presentazione della richiesta, le peculiarità dei richiedenti, la tipologia di permesso di soggiorno e la località da cui provengono le segnalazioni. In ogni caso, i tempi di inserimento sono fortemente condizionati dalla disponibilità dei posti e dal numero di richieste.

La permanenza all'interno del centro SPRAR, secondo le indicazioni delle Linee Guida del Ministero dell'Interno (DM 22 luglio 2008 come modificato dal DM 5 agosto 2010, punto 3) e quanto stabilito nel “Manuale operativo per l'attivazione e la gestione dei servizi di accoglienza integrata in favore dei richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale e umanitaria” (settembre 2015) è articolata come segue:

  • il richiedente protezione internazionale ha diritto all'accoglienza nello SPRAR fino alla notifica della decisione della Commissione territoriale (art. 14, comma 4, d.lgs. 142/2015). Dal momento della notifica del riconoscimento della protezione internazionale o della concessione della protezione umanitaria, il periodo di accoglienza previsto è di complessivi sei mesi. Qualora questi non fossero sufficienti al completamento del percorso di “accoglienza integrata” del beneficiario per il conseguimento degli obiettivi dello SPRAR, è possibile procedere a una richiesta di proroga;
  • i titolari di protezione internazionale o umanitaria hanno diritto a un periodo di accoglienza di sei mesi (che siano entrati nello SPRAR già con la protezione riconosciuta o da richiedenti asilo, come indicato sopra), prorogabili un ulteriore periodo di tempo;
  • se il richiedente protezione internazionale è destinatario di un provvedimento di diniego da parte della Commissione territoriale si avvale della facoltà di ricorrere avverso tale decisione negativa, qualora privo di mezzi, può usufruire delle misure di accoglienza secondo quanto disposto ai sensi dell'art. 19, comma 4 e 5, del decreto legislativo 1º settembre 2011, n. 150;
  • il minore straniero non accompagnato ha diritto all'accoglienza fino al compimento della maggiore età. Nel caso in cui per il neomaggiorenne ricorrano le condizioni previste dalla norma (31) o nel caso in cui lo stesso sia richiedente o titolare di protezione internazionale o umanitaria, l'accoglienza può proseguire fino a un massimo di altri sei mesi, preferibilmente in contesti abitativi consoni alla condizione di giovani adulti.

I tempi di accoglienza dei titolari di protezione internazionale e umanitaria possono essere prorogati, previa autorizzazione del Ministero dell'Interno per il tramite del Servizio Centrale, per ulteriori sei mesi o per maggiori periodi temporali, secondo le effettive esigenze personali. Si tratti di casi del tutto straordinari, che devono essere corredati da un'opportuna motivazione anche in relazione ai percorsi d'inserimento socio-economico o a comprovati motivi di salute. Nel caso la proroga debba essere richiesta in relazione a nuclei familiari, è sufficiente che venga inoltrata un'unica richiesta.

Le strutture di accoglienza devono essere a norma di tutti i requisiti previsti ex lege in materia di: edilizia, urbanistica, incendi, igiene e sicurezza. È preferibile che le strutture siano ubicate in luoghi abitati, in modo da consentire un accesso agevole ai servizi offerti dal territorio. Nell'organizzazione di un progetto territoriale si tende a favorire l'accoglienza di gruppi omogenei di persone, cercando sempre di tenere conto delle esigenze del singolo beneficiario.

Le strutture sono previste in diverse tipologie, ognuna delle quali assicura un livello di auto-organizzazione differente: appartamenti, centri collettivi di piccole/medie/grandi dimensioni. I soggetti accolti dovranno, evidentemente, sottoscrivere un contratto in cui sono chiariti gli impegni e i tempi di accoglienza. Ciascuna struttura, inoltre, dispone di un regolamento atto a garantirne il funzionamento, oltre che a facilitare la convivenza e l'organizzazione all'interno del centro.

5. ... la via per un'accoglienza integrata

Quello proposto dallo SPRAR non è un semplice progetto di accoglienza; le persone accolte, infatti, non sono dei meri beneficiari passivi di interventi predisposti in loro favore ma protagoniste attive del proprio percorso di accoglienza (32). È per questo motivo che si tende a parlare di un'“accoglienza integrata”, che, attraverso l'attivazione di percorsi differenti e modulati sulla singola persona, si adoperi al fine di assegnare un posto nella società agli stessi beneficiari dei progetti. Fondamentale in questo percorso è la figura dell'operatore che diventa un “ponte” per la conoscenza del territorio e della comunità locale (33).

Come si legge dall'ultimo rapporto ANCI sulla protezione internazionale in Italia (2015), lo scopo dello SPRAR dovrebbe essere quello di “rendere liberi i titolari di protezione internazionale dallo stesso bisogno di accoglienza” (34).

È per questo un percorso lungo, molto spesso difficoltoso e non sempre approdato ai risultati auspicati, ma che rappresenterebbe la strada per la creazione di una rete di accoglienza che si dispieghi in termini ottimali. L'obiettivo è quello di inaugurare un percorso che si lasci alle spalle la disomogeneità dei diversi sistemi di accoglienza e la conseguente frammentazione dei vari percorsi di integrazione tesi a facilitare i processi di inclusione sociale dei richiedenti asilo. Un obiettivo posto al centro del dibattito politico e che ha assunto note più acute a partire dal 2011, quando, a causa della precipitata situazione politica nel Nord - Africa, il flusso di domande di protezione internazionale è aumentato in modo repentino, determinando inevitabili ricadute sul sistema di accoglienza italiano (35).

Ciò che veniva già d'allora denunciata era la compresenza di due sistemi di accoglienza dalla quale scaturisce una inevitabile diversificazione sul piano degli interventi e della stratificazione dei sistemi ricettivi (36).

Sulla base dei risultati conseguiti e a seguito di svariate ricerche, è emersa la necessità di superare la gestione dell'accoglienza in poche strutture di ampie dimensioni e di prendere a modello l'attuale sistema SPRAR, con piccoli progetti diffusi sull'intero territorio nazionale secondo una logica decentrata.

Tra le linee d'intervento fissate nel nuovo documento di indirizzo per il passaggio alla gestione ordinaria dei flussi migratori non programmati (concordato il 24 aprile 2013 dal Tavolo di Coordinamento Nazionale, istituito per fronteggiare la “Emergenza Nord-Africa”), si situa la uniformazione dei sistemi di accoglienza per richiedenti/titolari di protezione internazionale presenti i Italia per ricondurli al modello dello SPRAR, ritenuto una best practice anche a livello europeo.

Tornando all'analisi del sistema SPRAR, possiamo dire che obiettivo chiave dei progetti territoriali sia proprio quello di avviare un percorso che abbia quali destinatari i singoli individui e che sia volto alla (ri)-conquista da parte di questi ultimi della propria autonomia e in questo senso la società, che ha il dovere di accoglierli, svolge un compito importante: quello di facilitare questo cammino verso un processo di inclusione e integrazione.

Si promuovono, in questo senso, interventi che hanno luogo nel territorio e pongono i singoli beneficiari a contatto con le persone residenti, proprio al fine di realizzare quell'inclusione ed integrazione che dovrebbe dar luogo ad un percorso “reciproco”, tale da far sì che il progetto intrapreso assuma le forme di un vero e proprio “cantiere sociale”, cercando di arginare l'idea di per cui lo SPRAR si atteggi a mero circuito assistenzialistico, ma al contrario, rappresenti un percorso in grado di facilitare l'emancipazione e la ricostruzione di un progetto di vita della persona nel paese di arrivo.

Tra gli interventi di “accoglienza integrata” che la rete dello SPRAR si prepone di realizzare e garantire si situano: l'accoglienza materiale (vitto e alloggio), servizi alla persona (assistenza socio-sanitaria, inserimento scolastico, orientamento al territorio), orientamento legale, inserimento socio-economico. Pilastro dello SPRAR è sicuramente l'insegnamento linguistico, che non solo dovrebbe rappresentare il primo tassello di avvio di un processo, ma l'elemento linguistico “segna la tappa italiana di un percorso e di un cambiamento che, per molto tempo, nelle vite dei rifugiati non saranno mai definitivamente chiusi” (37). L'integrazione linguistica è affiancata da una tutela sanitaria, psicologica e legale volta a “facilitare” la ricostruzione di un soggetto titolare di diritti e doveri necessari alla definizione del progetto.

Si tratta di un sistema che coinvolge tutta una serie di professionisti aventi esperienza consolidata nei settori più variegati (assistenti sociali, educatori, psicologi, gestori di gruppi e comunità, personale sanitario, mediatori), e che diventano essi stessi caratteristica essenziale dello SPRAR, superando quindi volontarismo e improvvisazione.

La via dello SPRAR così come ripercorsa, l'attivazione di progetti territoriali che abbiano come referente il singolo beneficiario, ritenuta a livello europeo come la best pratice da seguire per la costruzione di un effettivo sistema di accoglienza integrata, è la medesima via ribadita dall'ASGI in un comunicato stampa poco prima dello scadere del termine previsto per la recezione della Direttiva 2013/33/UE. Nel comunicato La mancanza di norme chiare sull'accoglienza genera gravi conflitti sociali, l'ASGI sostiene con fermezza la necessità da parte delle istituzioni, di un maggior coraggio riformatore in materia di accoglienza, in cui deve essere prediletta la via dello SPRAR. In realtà, lungi dal fondare il sistema di accoglienza per i richiedenti asilo e rifugiati su un numero di posti limitati (come accede oggi), al contrario, si prevede un trasferimento di funzioni amministrative ai comuni per la gestione dei programmi di accoglienza e protezione dei richiedenti asilo e di integrazione sociale dei rifugiati, secondo i principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, ai sensi dell'art. 118 della Costituzione, con un permanente finanziamento integrale da parte dello Stato dei relativi costi, come prescritto dall'art. 119 Cost.

Soltanto attraverso la predisposizione di un programma nazionale di accoglienza diffusa ed integrata, dotato di un numero di posti stabili non inferiore al numero di richiedenti asilo che ogni anno giunge in Italia, e che coinvolga l'intero territorio nazionale e l'intero sistema delle autonomie locali sarà possibile superare la gravissima situazione attuale caratterizzata da enormi squilibri tra un territorio e l'altro.

Grafico n. 1: Il percorso di accoglienza, in base alla normativa

Note

1. S. Romano in Il Referendum, Germania boccia Italia in tema di profughi, 2012.

2. C. Hein (a cura di), cit., p. 230.

3. Gruppo di studio sul sistema di accoglienza costituito presso il Ministero dell'Interno, Rapporto sull'accoglienza di migranti e rifugiati in Italia. Aspetti, procedure, problemi, Roma, ottobre 2015, pp. 24-25.

4. Si ripercorre la catalogazione adottata da Medici senza frontiere, Al di là del muro. Viaggio per migranti in Italia. Secondo rapporto di Medici senza frontiere sui centri per migranti: CIE, CARA e CDA, F. Angeli, Milano 2010.

5. P. Mori, cit., p. 127.

6. Questo inciso è ribadito nel rapporto realizzato dal ministero dell'interno nell'ottobre del 2015, in cui si rimanda al 2016 il completamento del sistema di hotspot e hub regionali quali strutture fondamentali di snodo per gestire gli arrivi, la prima accoglienza nonché la gestione programmata degli invii nei territori.

7. Si veda: Intesa in Conferenza Unificata al piano triennale per la gestione dell'emergenza profughi, 13 luglio 2014

8. Art. 8, comma 2, d.lgs. 142/2015.

9. Definizione reperibile nella sezione dedicata a “I centri dell'immigrazione” sul sito ufficiale del Ministero dell'Interno.

10. Merita prestare attenzione al rapporto finale della Commissione De Mistura, istituita con decreto del Ministro dell'Interno del luglio 2006, che ha effettuato un monitoraggio su tutti i centri per stranieri “la normativa vigente che disciplina gli interventi di soccorso, assistenza e prima accoglienza degli stranieri appare carente, si presta ad interpretazioni difformi e discrezionali. In particolare non risultano definiti né i tempi di trattenimento né i diritti dello straniero destinatario delle misure di assistenza nei CPSA. In ragione della concentrazione degli arrivi in alcuni periodi dell'anno nonché dell'esistenza di un numero limitato di CPSA si è constatato come gli stranieri vengano di fatto trattenuti presso gli attuali centri di prima accoglienza per periodi di tempo considerevolmente lunghi, da 15 giorni fino a due mesi (la media di permanenza è tra i 20 e i 30 giorni), senza che tale situazione di effettiva limitazione della libertà personale sia sottoposta ad alcun controllo giurisdizionale”, come precisato dalla suddetta Commissione, in relazione alla natura giuridica di CPSA, più che di una carenza normativa bisognerebbe parlare di una vera e propria vacatio legis. ASGI, Il diritto alla protezione. Protezione internazionale in Italia: quale futuro? Studio sul sistema di asilo in Italia e proposte per una sua evoluzione, 12 febbraio 2009, p. 122.

11. Interessante è l'utilizzo del termine prevalentemente in campo informatico, ambito in cui si utilizza per indicare un dispositivo di rete che funge da nodo di smistamento dati di una rete di comunicazione dati organizzata.

12. Soran Amhad, responsabile del settore CARA- Servizio centrale del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), Hub e sistema di accoglienza, Percorsi di Cittadinanza, luglio 2014.

13. Piano operativo nazionale per fronteggiare il flusso di cittadini di Stati terzi, siglato dal Ministero dell'Interno, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Regioni e Province Autonome Di Trento e Bolzano, ANCI, UPI, Accordo Piano Nazionale Accoglienza, Roma 2014.

14. Definizione reperibile nella sezione dedicata a “I centri dell'immigrazione” sul sito ufficiale del Ministero dell'Interno.

15. La trattazione del sistema dei CARA (formalmente abrogato con il nuovo d.lgs. 142/2015) potrebbe essere utile ai fini della comprensione di quelle che saranno le future scelte circa l'organizzazione del sistema degli hubs.

16. Si tratta di centri frutto dell'esperienza della l. Bossi-Fini, istituiti al fine di trattenere i richiedenti asilo entrati in Italia irregolarmente, o che al momento della presentazione della domanda di asilo versavano in una condizione di soggiorno irregolare o destinatari di un provvedimento di espulsione o respingimento precedente alla loro richiesta di protezione.

17. Dati presentati dal Gruppo di studio sul sistema di accoglienza costituito presso il Ministero dell'Interno, Rapporto sull'accoglienza di migranti e rifugiati in Italia. Aspetti, procedure, problemi, Roma, ottobre 2015.

18. Dati forniti nell'articolo “Non CIE più nessuno?” dal senatore Luigi Manconi, Presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, 7 marzo 2015, in Corriere delle Migrazioni.

19. Caritas e Migrantes, XXIII rapporto immigrazione, Tra crisi e diritti umani, 2013.

20. Si tratta di uno sforzo volto ad assistere in prima linea gli Stati membri maggiormente gravati da flussi ingenti di persone, come sottolineato da ECRE Annual General Conference and UNHCR NGO Consultations 2015 in “Hotspots”: the Italian example - conversation with Christopher Hein from CIR, 2 ottobre 2015.

21. L'Italia e la Grecia hanno confermato l'impegno a procedere all'allestimento dei nuovi centri, mentre l'Ungheria è ancora in fase di trattativa. Come riporta l'AGI (Agenzia giornalistica italiana), la situazione in Ungheria è drammatica. “Il Paese ha chiuso il confine con la Serbia dopo aver ricevuto 9.380 migranti nella sola giornata di lunedì. La polizia magiara ha arrestato 60 rifugiati dopo la mezzanotte, quando è entrata in vigore la nuova legge che prevede l'arresto, il processo per direttissima e l'espulsione per chi entra illegalmente nel Paese. Budapest ha anche dichiarato lo stato d'emergenza in due contee al confine con la Serbia: la polizia avrà ora poteri speciali e l'esercito controllerà le frontiere. Ma centinaia di migranti premono sulla barriera tra i due Paesi e il governo serbo sta cercando di convincere quello ungherese a farli passare.”, Berlino, 15 settembre 2015.

22. “Il centro per ora è attivo in via sperimentale - spiega Malandrino - da ieri sono circa 250 le persone identificate, in prevalenza eritree. Dopo l'identificazione le persone vengono trasferite nei centri di accoglienza”. A operare all'interno del centro c'è solo personale italiano, di prefettura e polizia, insieme a un rappresentante dell'UNCHR che monitora sul rispetto dei diritti. Il personale europeo di EASO e EURAPOL, pur presente sull'isola, non ha ancora ricevuto l'autorizzazione a operare. “La procedura - spiega Malandrino - per ora non ha incontrato intoppi, nessuno si è rifiutato di farsi identificare. Questo è un punto non semplice, perché sappiamo che molti vogliono andare via dall'Italia. Una volta che arrivano in Germania si fanno prendere le impronte volentieri perché è lì che vogliono arrivare, da noi la situazione è più complessa. Noi abbiamo l'esigenza di coniugare umanità e rigore. Ma per ora li stiamo rassicurando, e nessuno ha fatto opposizione. I migranti sono stati trattenuti solo un giorno a fronte delle 48 ore previste: avevamo preventivato al massimo quattro giorni ma in realtà non ce n'è stato bisogno”, intervista a Angelo Malandrino, vice capo del dipartimento Libertà civili e immigrazione del ministero dell'Interno, Lampedusa, aperto l'hotspot. Già 250 fotosegnalati, la maggior parte eritrei, Roma 22 settembre 2015.

Volendo commentare l'attivazione del centro in via solo sperimentale, ci si deve fondare su scelte di natura squisitamente politica: il Nostro Paese, infatti, vuole assicurarsi che i punti e le misure previste dall'agenda Junker, siano applicate nella totalità. Più specificatamente, preme all'Italia l'effettiva relocation dei rifugiati. Si tratta di un meccanismo che prevede il trasferimento da un Paese all'altro dell'UE di persone che hanno fatto richiesta e godono già di una forma di protezione internazionale. Questo meccanismo di relocation dovrà essere organizzato secondo un sistema di quote, il più possibile equo tra i vari Paesi. Al momento si parla di 120 mila persone da ricollocare.

23. Per ulteriori approfondimenti consultare il documento Schema di capitolato di appalto per la gestione dei centri di accoglienza per immigrati.

24. Al di là del muro.

25. Non mancano tensioni e rivolte, in particolar modo nei CIE, in cui molto spesso si assiste ad incendi e fughe e dove frequenti sono gli episodi di autolesionismo, praticati al fine di trovare una via d'uscita dallo stesso CIE.

26. Primo esempio di hub è quello attivato in Emilia-Romagna, a Bologna, che offre accoglienza attualmente a 200 richiedenti protezione internazionale.

27. Un esempio di hotspot sorto in una vecchia struttura adibita a Centro di primo soccorso, è quello di Lampedusa (tra i cinque hotspot di cui è prevista la creazione in Sicilia entro la fine di novembre 2015 in Italia), nell'ex CPSA di Contrada Imbriacola, o anche dell'hub predisposto in via sperimentale a Bologna, che ha occupato la struttura adibita a ex CIE in via Mattei.

28. ANCI, SPRAR - Identità, obiettivi e caratteristiche, novembre 2015.

29. Gruppo di studio sul sistema di accoglienza costituito presso il Ministero dell'Interno, cit., Roma, ottobre 2015, pp. 32-33.

30. Dati raccolti dal Servizio Centrale del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), Rapporto Sprar - Nel triennio 2014-2016 finanziati 456 progetti per circa 13mila posti d'accoglienza.

31. Art. 32 del decreto legislativo n. 286 del 25 luglio 1998 e successive modifiche.

32. Servizio Centrale - SPRAR, Manuale operativo per l'attivazione e la gestione dei servizi di accoglienza integrata in favore dei richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale e umanitaria, settembre 2015, p. 6-7.

33. Come sottolineato nelle linee introduttive del “Manuale operativo per l'attivazione e la gestione dei servizi di accoglienza ed integrazione per richiedenti e titolari di protezione internazionale”.

34. SPRAR, Rapporto sulla protezione Internazionale in Italia, 2015, p. 8.

35. Merita riportare quanto precisato dall'UNCHR in Raccomandazioni dell'UNCHR sugli aspetti rilevanti del sistema di protezione dei rifugiati in Italia in cui si afferma:

Nel 2011, l'arrivo via mare di circa 63.000 persone ha portato ad un deterioramento degli standard di accoglienza per i richiedenti asilo, che è continuato nel corso del 2012 e del 2013. Circa 28.000 persone tra coloro che sono arrivate nel 2011, in particolare cittadini di Paesi terzi giunti dalla Libia, sono state incanalate in modo automatico dalle autorità nella procedura di asilo, creando una considerevole pressione sul sistema d'accoglienza. Prima del 2011, la capacità ricettiva dello stesso sistema d'accoglienza era già stata giudicata insufficiente per accogliere i richiedenti asilo, nel caso di arrivi particolarmente consistenti.

[...] Le condizioni di accoglienza sono deteriorate anche nei CARA, soprattutto a causa del sovraffollamento, che si è verificato per il rallentamento del turn-over in uscita dai centri, dovuto sia alla protratta accoglienza di parte di cittadini di Paesi terzi provenienti dalla Libia nel contesto della cosiddetta 'Emergenza Nord Africa', sia all'aumento nel numero di domande d'asilo, e il conseguente allungamento delle procedure di riconoscimento della protezione internazionale. A causa di tale pressione sul sistema d'accoglienza il Ministero dell'Interno continua ad incontrare molte difficoltà nel trovare una sistemazione ai richiedenti asilo in arrivo. Gli standard di accoglienza nei centri governativi (CPSA, CARA, CDA e CIE) sono scesi anche a causa dei significativi tagli ai finanziamenti, che hanno contribuito a fare sì che, dal 2011, i contratti per la fornitura dei servizi vengano assegnati esclusivamente secondo il criterio dell'offerta più bassa, senza che gli aspetti qualitativi vengano presi debitamente in considerazione (Roma, luglio 2013, pp. 9-10).

36. EMN Italy (a cura di), Annual policy report 2011.

37. Gruppo di studio sul sistema di accoglienza costituito presso il Ministero dell'Interno, cit., p. 33.