ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo III
Storia del diritto d'asilo in Italia dal dopoguerra ad oggi. Quadro normativo

Angela Suprano, 2016

1. Il diritto di asilo a partire dalla Costituzione: flatus vocis

L'Italia è ad oggi uno dei pochi Paesi europei privo di una legge organica in materia di asilo. Da sempre terra di emigrazione, ha gestito le grandi ondate di flussi migratori impreparata e comandata da una logica emergenziale, che ha rappresentato un grave deficit di fronte ad un fenomeno strutturale come quello delle migrazioni forzate.

La necessità di elaborare una legge organica che regolasse la materia inizia a fare capolino nel panorama giuridico italiano solo sul finire degli anni '90 del secolo scorso.

Ripercorrendo i passi compiuti dal nostro Paese in materia di asilo, punto di partenza quasi obbligato è rappresentato dal dettato costituzionale della disposizione ex art. 10, comma 3, che recita: "lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l'esercizio effettivo delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge".

Pur non approfondendo il dibattito di grande interesse sviluppatosi sul tema dell'asilo costituzionale, si rende necessario riportare alcuni spunti e conclusioni che un'attenta dottrina e giurisprudenza ha potuto trarre da tale (inapplicata) disposizione. Prima fra tutte la portata precettiva della disposizione costituzionale, cui si è giunti a seguito di un iniziale inquadramento tra le norme programmatiche ad opera della giurisprudenza amministrativa. Nel primo decennio di operatività della Carta costituzionale, il colpevole silenzio normativo sulla materia del diritto d'asilo, ha portato la giurisprudenza amministrativa a trasporre la disposizione ex art. 10, comma 3, nell'alveo delle norme programmatiche della Costituzione. Si è trattato di una presa di posizione che riflette una magistratura "cresciuta secondo i dettami di un autoritarismo tardo-liberale" (1), del tutto inidonea a dar forma e voce al nuovo assetto repubblicano e democratico. L'idea del carattere programmatico discendeva anche dall'apposizione di una riserva assoluta di legge alla disciplina delle condizioni per il godimento del diritto proclamato (2).

Una svolta considerevole, che ha contribuito a mutare gli indirizzi della stessa giurisprudenza amministrativa, è da ricondurre al leading case, di cui parla una sentenza della Corte di appello di Milano del 27 settembre 1964 (3) che ha chiaramente affermato:

(...) la passività del legislatore ordinario che sino ad oggi ha trascurato di provvedere a disciplinare dettagliatamente nei limiti segnati dalla Costituzione il diritto d'asilo non può essere d'ostacolo alla forza cogente della norma di cui al comma 3 dell'art. 10 della Costituzione medesima.

Si tratta di una pronuncia di merito significativa in quanto, nel corso dell'argomentazione di cui sopra, ha contribuito a sancire il principio per cui "il diritto d'asilo nell'ordinamento giuridico italiano integra un vero e proprio diritto soggettivo, azionabile e invocabile innanzi all'autorità giudiziaria ordinaria (4).

A questa conclusione si è allineato anche il Consiglio di Stato, che ha ricondotto il diritto d'asilo nell'alveo dei diritti soggettivi, riconoscendo la competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria sulla materia, per cui lo straniero può adire quest'ultima per ottenere il riconoscimento del suddetto diritto, sulla base dell'enunciato costituzionale e potrà ottenere una sentenza di carattere dichiarativo e non certamente costitutiva (5).

Questi principi sono stati consolidati nella successiva sent. n. 907 del 1999, che a seguito dell'abrogazione dell'art. 5, da parte dell''art. 46 del d.lgs. n. 286/1998, ha riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario anche in riferimento alla posizione del rifugiato, qualificandola come diritto soggettivo. L'indirizzo innovativo è stato in parte riconsiderato dalle pronunce che si sono fatte carico di qualificare le distinte posizioni del rifugiato e del titolare dell'asilo, nella perdurante assenza di una legge di attuazione dell'art. 10 Cost. In queste sentenze, sottolineandosi l'assenza di una legislazione di attuazione del precetto costituzionale (v. Cass. n. 25028 del 2005 e 18353 e 18940 del 2006), la posizione dell'asilo è stata relegata al diritto di ingresso nello Stato solo per il periodo necessario ad espletare la procedura di richiesta dello status di rifugiato, e non anche ad una situazione tutelata in modo autonomo e permanente (6).

La natura e il contenuto del diritto di asilo ex art. 10 Cost. risultavano quindi ridimensionati, non riconoscendosi una reale autonomia a questa posizione soggettiva, ma facendola coincidere con quella del rifugiato, per il quale soltanto esisteva una legge di recepimento della Convenzione di Ginevra (l. 39/1990). Nella decisione n. 4674 del 1997 delle sezioni unite civili (7), si escludeva infatti la coincidenza tra le due posizioni, ed si affermava che mentre l'asilo consisteva nel diritto all'ingresso nel territorio statale per coloro ai quali sono negate le libertà democratiche, la categoria dei rifugiati comprendeva solo coloro che erano perseguitati o temevano di esserlo, secondo la nozione di cui all'art. 1 lett. A, comma 2, della Convenzione.

A tal proposito, la migliore dottrina (8) ha messo in luce l'esistenza di differenze di natura strutturale tra le nozioni di rifugiato e di asilo costituzionale, sancite nelle rispettive fonti, le quali attengono alla diversa fonte da cui scaturiscono i due strumenti di protezione, alla rispettiva causa di giustificazione, alla possibilità di apporre solo al secondo la c.d. riserva temporale e geografica. Tutto questo ha portato la dottrina medesima a configurare tre tipologie di stranieri, potenzialmente beneficiari di uno o entrambi gli istituti. In primo luogo coloro che possono vedersi riconosciuto il solo dritto di asilo, in quanto impediti nell'esercizio effettivo delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana; in secondo luogo coloro che si vedrebbero riconosciuto il solo status di rifugiato e in ultimo luogo coloro che potrebbero beneficiaria di entrambi i riconoscimenti ma che, in termini quasi certi, saranno spinti a beneficiare dello status di rifugiato internazionale in quanto apre ad una gamma di diritti ulteriori.

Si tratta di due istituti in nessun modo sovrapponibili o interscambiabili, e chiunque intendesse sostenere una eventuale configurazione della disciplina statale di attuazione della Convenzione di Ginevra del 1951, quale "legge" anche ai sensi dell'art. 10 Cost, si troverebbe di fronte ad una violazione della riserva di legge statale contenuta in quest'ultima disposizione (9).

2. Prime ondate migratorie in Italia: cosa fare?

La seconda guerra mondiale e la successiva riorganizzazione politica che hanno interessato i Paesi dell'Europa dell'Est e dei Balcani, sono state la causa dell'esodo di milioni di rifugiati e apolidi in tutto il continente europeo. È proprio in questi anni, in particolare nel frangente compreso tra il 1945 e il 1952, che anche l'Italia è chiamata a sopportare l'arrivo di circa 120.000 rifugiati, assistiti prima dall'UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration) e poi dall'IRO (International Refugee Organisation), e per la quasi totalità reinseriti in Paesi di immigrazione (Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda), in quanto il Paese non era pronto, da un punto di vista politico e organizzativo, a sostenere il peso e gli oneri di un numero così elevato di rifugiati (10).

Fino al 1990, tuttavia, in ragione della clausola di limitazione geografica di cui l'Italia si era riservata al momento della ratifica della Convenzione di Ginevra, potevano aver accesso alla procedura per la domanda di asilo soltanto gli stranieri di provenienza europea. Accanto a questi fatti di natura normativa, la ratio della posizione del nostro Paese rispetto alla materia dell'immigrazione e dell'asilo va ricercata anche nel fatto per cui l'Italia non ha mai rappresentato un territorio di insediamento a lungo termine per i rifugiati; si trattava di un Paese di transito (11) in cui la permanenza si limitava al tempo necessario per l'espletamento della procedura di resettlement nei paesi d'oltreoceano, durante il quale i richiedenti erano accolti nei CAPS (Centri di assistenza profughi stranieri) (12).

Soltanto a partire dalla metà degli anni '70 l'Italia entra nel novero dei paesi meta di rifugiati non europei, in particolare di coloro che fuggivano dalle dittature militari dell'America Latina, dalla guerra in Iran/Iraq, che rivolgevano le loro richieste di essere riconosciuti come rifugiati sotto il mandato dell'UNCHR (13) direttamente alla Delegazione dell' UNCHR a Roma, in attesa di essere re-insediati in altri Stati. Si trattava di un periodo di attesa che poteva durare anche due anni, durante i quali l'UNCHR forniva loro assistenza materiale.

Nella prassi del tempo, tuttavia, non sono mancate occasioni in cui il governo italiano ha concesso asilo a gruppi particolari di rifugiati non europei, decretando eccezioni alla regola della "limitazione geografica". È stato il caso dei gruppi di minori di rifugiati afghani, caldei iracheni e curdi iracheni, dei 609 cileni che, dopo il golpe di Pinochet nel 1973, si sono rifugiati presso l'ambasciata italiana di Santiago del Cile, e a cui in seguito è stato concesso il diritto al ricongiungimento familiare.

Tuttavia in mancanza di una legge attuativa, prevista dal dettato costituzionale e mai emanata, il diritto costituzionale di asilo si atteggiava a mero enunciato di principio, non avente alcun effetto vincolante per l'amministrazione dello Stato.

3. Gli anni '90: la svolta "apparente". Prime disposizioni in materia di accoglienza: la Legge Martelli

Lo storico cambiamento mondiale avvenuto tra gli anni 1989-1990 ha rappresentato per l'Italia l'inizio di una svolta apparentemente significativa in materia di diritto di asilo.

Si avvertiva ormai da molto tempo un'inversione di tendenza, per cui il Paese era divenuto da terra di emigrazione a meta d'immigrazione. Tra gli eventi che hanno portato ad assumere questa consapevolezza si situa l'assassinio del rifugiato sudafricano Jerry Masslo, nell'89, a Castel Volturno (CE). Si è trattato di un atto intriso di un sentimento razziale, immerso in un contesto, quello casertano, di forte presenza irregolare di migliaia di lavoratori stranieri, in particolare africani. È stato necessario un atto di cotanta violenza per spingere i mass media, prima, e la politica, dopo, a prendere coscienza del grande processo di trasformazione che stava interessando la penisola. Nell'ottobre dell''89 ha avuto luogo la prima manifestazione contro il razzismo e a favore della concessione di un permesso di soggiorno a rifugiati e immigrati. Si è trattato di una delle più significative proteste in tema di immigrazione e diritto di asilo, tale da aver provocato una quasi immediata risposta nella classe politica del tempo.

L'allora vicepresidente del Consiglio dei ministri, Claudio Martelli, apprendendo l'urgenza e l'emergenza della questione ricorse all'adozione di un decreto legge che, per la prima volta in Europa, si è fatto promotore del concetto di programmazione annuale per l'immigrazione. Il decreto legge n. 416 del 30 dicembre 1989, è stato convertito con una procedura d'urgenza nella legge n. 39 del 28 febbraio 1990, meglio nota come "Legge Martelli" dal titolo "Norme urgenti in materia di asilo politico, d'ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato", a seguito della quale governo si impegnava a presentare un disegno di legge organico sul diritto di asilo, disatteso per 7 lunghi anni.

Come indicato nell'art. 1 dedicato ai "rifugiati", al primo comma, in riferimento alla Convenzione di Ginevra, la legge dichiarava cessati "gli effetti della dichiarazione di limitazione geografica e delle riserve [...] poste dall'Italia all'atto di sottoscrizione della Convenzione stessa". Si autorizzava il governo a riordinare la procedura d'asilo e il sistema di accoglienza materiale per i richiedenti asilo, attraverso decreti da emanare entro 60 giorni dall'entrata in vigore dello stesso. A questo seguì l'abolizione dei CAPS di Capua e Latina.

La legge Martelli ha dettato per la prima volta la disciplina circa le modalità di accesso alla procedura e di presentazione della domanda di asilo. Si è trattato tuttavia di una previsione dispiegatasi in termini negativi, elencando all'art. 1, comma 4, le cause ostative all'ingresso del richiedente. Lo straniero, che intendeva presentare domanda di protezione, avrebbe dovuto rivolgere istanza motivata alla polizia di frontiera, la quale poteva, in presenza di alcune circostanze, rifiutare l'accesso e negare la protezione (14).

L'intento era pertanto quello di riservare la regolamentazione della materia a un futuro testo normativo di impronta sistematica. Malgrado l'intento ab origine del legislatore, che era quello di dar forma ad una legge organica, ha subito abbandonato le premesse iniziali, prevedendo di fatto interventi settoriali.

Altro deficit che la norma sconta, è quello di riferirsi unicamente alla categoria dei rifugiati, lasciando al rango costituzionale la previsione del diritto d'asilo lato sensu.

Da ultimo, in tema di assistenza, la legge autorizza il Ministero dell'Interno, nei limiti delle disponibilità iscritte per lo scopo nel bilancio dello Stato, a concedere ai richiedenti lo status di rifugiato, dietro presentazione di domanda e accertata la mancanza di mezzi di sussistenza e di ospitalità in Italia, un contributo di prima assistenza per un periodo non superiore ai 45 giorni (art. 1 comma 7).

Pochi mesi dopo la promulgazione della Legge Martelli, per completare il quadro normativo descritto sono stati adottati i decreti di attuazione delle deleghe contenute nella legge 39/90: il D.P.R. 1 maggio 1990, n. 136 che disciplina gli aspetti procedimentali relativi alle richieste di riconoscimento dello status di rifugiato, con il quale viene istituita la Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato e il D.M. 24 luglio 1990, n. 237, in tema di accoglienza, che specifica la misura e le modalità di erogazione del contributo previsto dall'art. 1, comma 7, della Legge Martelli. Il Regolamento fissa nella misura di "lire venticinquemila" il contributo giornaliero di prima assistenza, da erogarsi al richiedente in stato di indigenza, privo di mezzi di sussistenza o di ospitalità, che abbia formalmente presentato domanda ad un ufficio di polizia situato nel Comune nel quale abbia eletto domicilio. Requisito negativo per la riscossione del contributo la presenza del richiedente presso uno dei centri di accoglienza.

Come già sottolineato, la Legge Martelli ha avuto il carattere di norma provvisoria, adottata nell'ambito di un intervento legislativo di tipo emergenziale, di cui è emblematico il titolo scelto, segno evidente di una politica manchevole di progettualità. Il carattere "emergenziale", come vedremo, sarà inoltre tratto caratterizzante e permanente anche dei successivi interventi legislativi in materia.

4. Prime emergenze: un sistema che vacilla. Dalla legge Martelli alla Bossi-Fini

Il processo di trasformazione della nostra penisola in terra di asilo, avviato proprio con la Legge Martelli, non è servito a convincere le classi politiche dell'epoca ad abbandonare l'approccio marginale e riduttivo circa la questione dei rifugiati, determinando per lungo tempo la negazione di qualsivoglia impegno e investimento nei settori dell'accoglienza, assistenza e integrazione (15). Occorrerà attendere dodici lunghi anni prima che, con la legge Bossi-Fini, si elabori una nuova disciplina dell'assistenza e sia istituito il Sistema di protezione per i richiedenti asilo (SPRAR).

Le disposizioni in tema di accoglienza materiale (l'ospitalità presso centri governativi per richiedenti asilo, la corresponsione di un sussidio di prima necessità) non si dimostrarono adeguati. Tra i problemi di maggior rilievo e attualità, anche a distanza di venticinque anni dalla sua prima emersione, si presentava l'irragionevole durata della procedura d'asilo. Infatti, secondo quanto stabilito nel D.P.R. n. 27/70 (16), sebbene la questura fosse tenuta ad inoltrare entro sette giorni la documentazione istruttoria alla Commissione centrale, la quale a sua volta avrebbe dovuto adottare la decisione entro 15 giorni dal ricevimento della stessa, nella prassi del tempo le tempistiche venivano regolarmente disattese. Puntualmente rispettato, d'altro canto, il termine massimo di erogazione del contributo ad opera della Prefettura, fissato inderogabilmente nella misura di quarantacinque giorni ma destinato a cessare una volta ottenuta la decisione da parte della Commissione, non venendo previste altre forme di sostegno per i titolari dello status di rifugiato. Sul fronte dell'accoglienza abitativa dei richiedenti, le difficoltà si aggravarono a seguito della chiusura del centro di Padriciano (Trieste), nel 1980, di Latina e Capua, nel 1990.

Presto le lacune si sono rivelate ancor più rilevanti. Risale alla primavera del 1991 il primo sbarco in Puglia di circa 28.000 albanesi (il secondo è avvenuto pochi mesi più tardi, con circa 20000 arrivi). L'"invasione" albanese, così appellata dai media, ha travolto un'Italia completamente impreparata davanti al primo caso di boat people.

La Puglia stessa non disponeva di strutture in grado di assicurare accoglienza ai nuovi e ingenti numeri di sbarchi, ad eccezione dei posti messi a disposizione dalle parrocchie e dal volontariato. Contrariamente allo spirito solidaristico che pervase la popolazione pugliese, il governo scelse la strada del rimpatrio. I nuovi arrivati, infatti, non disponevano dei requisiti necessari al riconoscimento dello status di rifugiato e quindi non avevano accesso alla clausola prevista dalla legge Martelli circa il divieto assoluto di espulsione e respingimento dello straniero "verso uno Stato ove possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza (...)", e di conseguenza l'assenza di una qualificazione giuridica ad hoc li esponeva alla pratica del rimpatrio.

L'anno seguente, l'inizio della drammatica e violenta guerra civile in Somalia ha messo in fuga un'intera popolazione che cercava di trovare rifugio pressi i cosiddetti Paesi sicuri. Furono questi gli anni in cui il sistema italiano di asilo e di accoglienza fu chiamato a fronteggiare anche un massiccio arrivo di sfollati dall'ex Jugoslavia a seguito dello scoppio della guerra. La difficoltà della questione si presentava ancora una volta sul piano giuridico, visto il perdurare della mancanza di una previsione che delineasse lo status cui potessero essere ricondotti i migranti. Si è trattato di una lacuna che ha avuto sui rifugiati de facto gravi ripercussioni fino ai primi anni del 2000, in primo luogo riducendo la loro possibilità di trovare rifugio e protezione sul territorio italiano.

A detta della Commissione centrale era mancante l'elemento della persecuzione individuale, trattandosi di situazioni di conflitto e instabilità condivise da un'intera comunità di persone. "Se riconosciamo il diritto di asilo ad un somalo perché si sente insicuro nel proprio paese, dobbiamo riconoscerlo a tutti i somali, visto che il problema riguarda un'intera popolazione" (17).

Cosa fare? Di fronte a situazioni che assumevano connotati diversi, a seconda dei Paesi di provenienza, il governo rispondeva ricorrendo a misure ad hoc e adottando provvedimenti comandati da una logica di "protezione temporanea" (18) di tipo emergenziale di cui erano destinatari singoli gruppi di sfollati.

Interventi di questo tipo trovavano fondamento nella legge 390/92, in cui all'art. 1 rubricato "Interventi straordinari" si prevedeva il finanziamento d'interventi volti a fronteggiare le esigenze degli sfollati, "connesse alla ricezione, al trasporto, all'alloggio, al vitto, al vestiario, all'assistenza igienico-sanitaria, all'assistenza socio-economica", cercando di riservare particolare attenzione ai casi di minori non accompagnati, attraverso l'individuazione di strutture pubbliche ove realizzare interventi d'intesa con le amministrazioni competenti.

Nonostante il poco respiro della normativa nel suo complesso, la legge Martelli ha comunque contribuito ad inaugurare, seppur in misura esigua, il processo di stabilizzazione dei migranti, attraverso la definizione dei primi interventi orientati verso l'integrazione e la partecipazione alla vita pubblica.

L'evoluzione sempre più profonda del fenomeno migratorio ha presto però evidenziato l'inadeguatezza del testo normativo, a tal punto da indurre l'allora ministro dell'Interno, Giorgio Napolitano, e il ministro per la Solidarietà sociale, Livia Turco a presentare in Parlamento un disegno autonomo sul diritto di asilo. Nel 1998, il Parlamento ha approva, in tempi piuttosto ristretti, la legge 40/1998 sull'immigrazione, nota come la legge Turco-Napolitano, dal nome dei due ministri, la cui disciplina è successivamente confluita nel Testo unico sull'immigrazione, d.lgs. 286/1998, che oggi offre una regolamentazione dei vari aspetti e profili giuridici che interessano i cittadini non comunitari presenti in Italia. La legge 40/1998 affronta organicamente il fenomeno migratorio ed è articolata in sei titoli: 1) Principi generali; 2) Ingresso, soggiorno, allontanamento; 3) Disciplina del lavoro; 4) Diritto all'unità familiare; 5) Sanità, istruzione, alloggio, partecipazione alla vita pubblica e integrazione sociale; 6) Norme finali. L'intento perseguito dal legislatore è stato quello di realizzare una politica di ingressi limitati, programmati e regolati, contrastare l'immigrazione clandestina e lo sfruttamento criminale dei flussi migratori; avviare realistici ma effettivi percorsi di integrazione per i nuovi immigrati e per quelli già regolarmente soggiornanti in Italia (19).

Il cammino verso una norma organica in materia di asilo continua, seppur in peius. Nel settembre del 2002 è stato approvato un importante intervento legislativo in modifica della previgente normativa in materia d'immigrazione, contente al suo interno disposizioni attinenti il diritto di asilo. La famigerata Legge 30 luglio 2002 n. 189, meglio nota come la legge Bossi-Fini, ha rappresentato, infatti, sotto diversi fronti un inasprimento della condizione giuridica dello straniero in Italia. Tra gli interventi adottati in materia d'asilo, si situano il processo di decentralizzazione della procedura di asilo e l'istituzione di Commissioni Territoriali al fine di "ridurre i tempi di esame delle istanze di asilo sostituendo ad un unico organi centrale competente una articolazione di organi a livello provinciale" (art. 1-quater). Le Commissioni, la cui composizione e competenza hanno subito recenti modifiche, sono composte di un funzionario della carriera prefettizia, con funzioni di presidente, un funzionario della Polizia di Stato, un rappresentante di un ente territoriale designato dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali e un rappresentante dell'UNCHR. Esse sono indirizzate e coordinate dalla Commissione Nazionale per il Diritto d'Asilo (un tempo unico organo titolare delle funzioni loro conferite). Il procedimento previsto per esaminare le domande di asilo, disciplinato in precedenza principalmente dal regolamento di attuazione delle legge Martelli, il più volte citato D.P.R. 136/1990, faceva leva su una sostanziale distinzione tra una "procedura ordinaria", destinata alla generalità dei casi, e una "procedura semplificata", da attivare per l'esame delle domande di asilo presentate dagli stranieri fermati in condizioni irregolari (esempio da coloro che avevano eluso i controlli di frontiera, e da coloro che sono già destinatari di un provvedimento di espulsione o di respingimento).

La procedura ordinaria (art. 1-quater, D.L. 416/1989) prevedeva che, una volta ricevuta dal questore la documentazione necessaria per il riconoscimento dello status di rifugiato (da trasmettere entro due giorni), le commissioni procedessero nei successivi trenta giorni all'audizione del richiedente, al fine di adottare la decisione finale nei tre giorni seguenti. Nel corso dell'audizione era prevista la possibilità di ricorrere all'ausilio d'interpreti e del colloquio era redatto un verbale. Le decisioni devono essere motivate e comunicate all'interessato con l'indicazione delle modalità di impugnazione.

In attesa della conclusione del procedimento il questore rilasciava un permesso di soggiorno valido per tre mesi, eventualmente rinnovabile (art. 2, comma 4, D.P.R. 303/2004).

Nel caso della procedura semplificata (art. 1-ter D.L. 416/1989) i tempi a disposizione della commissione territoriale per l'esame dell'istanza erano dimezzati: quindici giorni in luogo di trenta. Inoltre, per quanti fossero destinatari di un provvedimento di espulsione o già trattenuti in un centro di permanenza temporanea, il trattenimento era prolungato di trenta giorni, su decisione dell'autorità giudiziaria e dietro richiesta del questore. L'allontanamento non autorizzato dai centri d'identificazione equivaleva alla rinuncia della domanda.

Anche la procedura semplificata era corredata dalla possibilità di proporre impugnazione della decisione adottata dalla commissione territoriale, prevedendo in primo luogo la possibilità di chiedere il riesame davanti alla stessa commissione territoriale, integrata da un componente della commissione nazionale. Inoltre, era possibile presentare ricorso presso il tribunale in composizione democratica, che, contrariamente a quanto previsto dalla nuova normativa, non aveva un'efficacia sospensiva avverso il provvedimento di allontanamento, ma era prevista la possibilità che il prefetto concedesse all'interessato l'autorizzazione a rimanere sul territorio nazionale fino alla decisione finale.

Per coloro che erano ammessi a godere della protezione internazionale, l'art. 32 della l. 189/2002 istituiva un Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) a livello nazionale, improntato sulle buoni prassi messe in atto negli anni precedenti dagli enti locali. Il Sistema di protezione si rivolgeva ai soggetti richiedenti asilo, rifugiati (in seguito al recepimento della normativa europea ai titolari di protezione internazionale, ovvero di status di rifugiato o protezione sussidiaria) e stranieri destinatari di altre forme di protezione umanitaria, ponendosi in continuità con le esperienze precedentemente sperimentate di accoglienza locale e decentrata. L'obiettivo, vedremo, era ed è quello di riuscire a realizzare una rete capillare di progetti gestiti a livello locale volti in particolar modo a garantire l'inserimento socio - economico del richiedente e del titolare di protezione.

Al fine di dare attuazione allo SPRAR venne istituito un Fondo presso il Ministero dell'Interno volto al finanziamento delle politiche e i servizi dell'asilo (art. 1 septies L. 39/90) e un servizio centrale di "informazione promozione, consulenza, monitoraggio e supporto tecnico agli enti locali", incaricato di una serie di compiti volti alla razionalizzazione e ottimizzazione del sistema di protezione, la cui gestione sarà in seguito affidata all'ANCI.

5. L'Italia nel mare magnum delle Direttive europee: il recepimento della direttiva 2003/9/CE nell'ordinamento interno con il d.lgs. 30 maggio 2005, n. 140

Tra il 2005 e il 2008, con il recepimento della normativa europea in materia di asilo, prende forma in Italia la più importante riforma legislativa sull'asilo dalla Legge Martelli, con la quale si è cercato di provvedere al superamento delle criticità emerse dalla legge Bossi-Fini.

Volgendo lo sguardo alla disciplina prevista in tema di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, importante risulta la ricezione, con d.lgs. 140/2005, della Direttiva Accoglienza 2003/9/CE. Il quadro normativo in materia di accoglienza è stato completato dalla emanazione di due d.lgs. n. 251/2007 e 25/2008, nonché dal previgente TU sull'Immigrazione e dalle legislazioni di settore e disposizioni contenute in decreti e circolari ministeriali.

Un primo punto da chiarire sin da subito è quello per cui quando si parla di accoglienza si suole far riferimento ad un preciso arco temporale che ha inizio nel momento della presentazione della domanda di protezione internazionale (art. 5, comma 5, d.lgs. 140/2005) e fine con l'adozione della decisione finale da parte della Commissione territoriale competente (art. 5, comma 6, d.lgs. 140/2005) (20). Nella prassi, tuttavia, può accadere, e non di rado, che vi sia un certo "ritardo" nella presentazione della domanda, che può avvenire anche a distanza di molto tempo dall'ingresso sul territorio (21). Inoltre, i tempi di accoglienza possono prolungarsi ulteriormente nei casi in cui sia attivato un procedimento giurisdizionale avverso la decisione negativa della Commissione territoriale, motivo per cui la "definitività" della decisione si ha non prima del decorso dei termini per il ricorso al tribunale (art. 5, comma 7). È possibile, tuttavia, che l'accoglienza s'interrompa prima dell'esito della domanda di protezione: le cause che determinano la cessazione delle misure di accoglienza sono tassativamente elencate nell'art. 12 del decreto. La revoca è disposta in caso di mancata presentazione o abbandono della struttura individuata senza preventiva comunicazione alla Prefettura, mancata presentazione all'audizione davanti alla Commissione Territoriale, presentazione in Italia di precedente domanda di asilo, accertamento della disponibilità di mezzi economici e violazione grave o ripetuta delle regole del centro di accoglienza. Il Prefetto della provincia dove è ubicato il centro in cui è ospitato il richiedente asilo, dispone la revoca dell'accoglienza con provvedimento motivato impugnabile presso il competente Tribunale Amministrativo Regionale.

Il legislatore italiano, allontanandosi dalla previsione di cui all'art. 13 della direttiva 2003/9/UE, ha fissato all'art. 5 del decreto 140/2005 le cosiddette Misure di accoglienza, per cui:

1. Il richiedente asilo inviato nel centro d'identificazione ovvero nel centro di permanenza temporanea e assistenza ai sensi dell'articolo 1-bis del decreto-legge, ha accoglienza nelle strutture in cui è ospitato, per il tempo stabilito e secondo le disposizioni del regolamento.
2. Il richiedente asilo, cui è rilasciato il permesso di soggiorno, che risulta privo di mezzi sufficienti a garantire una qualità di vita adeguata per la salute e per il sostentamento proprio e dei propri familiari, ha accesso, con i suoi familiari, alle misure di accoglienza, secondo le norme del presente decreto.

L'accesso a tali misure è però garantito a condizione che il richiedente dimostri di aver presentato la domanda di asilo, entro il termine di otto giorni dal momento dell'ingresso nel territorio nazionale. Si tratta di una soluzione in parte difforme dal testo della direttiva. Il termine fissato per la presentazione della domanda, infatti, sembrerebbe tenere poco conto di quelli che potrebbero essere i casi di vita reale in cui il richiedente difficilmente riesce a presentare domanda: basti pensare al caso di un richiedente giunto sul territorio in pessime condizioni di salute.

Per ciò che riguarda le modalità di presentazione della domanda di asilo (art. 6), si prevede la redazione di apposita richiesta da parte del richiedente, previa dichiarazione, al momento della presentazione della domanda, di essere privo di mezzi sufficienti di sussistenza. Successivamente, la Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo - cui è trasmessa la domanda, valuta l'insufficienza dei mezzi di sussistenza e accerta la disponibilità di posti all'interno dello SPRAR (art. 6, comma2); "in caso d'indisponibilità di posti nelle strutture, l'accoglienza è disposta presso centri d'identificazione ovvero nei CARA, per il tempo strettamente necessario alla individuazione del centro di cui al citato comma 2" (art. 6, comma 3).

Nell'ipotesi ultima di assenza di strutture con posti disponibili, la Prefettura - Ufficio territoriale del Governo, limitatamente al tempo strettamente necessario ad acquisire la disponibilità presso un centro di accoglienza, provvede all'erogazione di un contributo ai sensi dell'art. 1-sexies, comma 3 lett. c), del decreto legge 416/1989 (integrato e modificato dalla legge 189/2002).

È prevista tuttavia la possibilità di usufruire di un periodo di accoglienza di sei mesi rinnovabili, finalizzato all'inserimento in un percorso di autonomia socio-economica, decorrente dalla notifica del provvedimento di riconoscimento di una forma di protezione internazionale o umanitaria (22). L'art. 8 del decreto reca diposizioni particolari per l'accoglienza delle persone portatrici di esigenze particolari, i cosiddetti soggetti "vulnerabili", come definiti ai sensi dell'art. 17 della Direttiva Accoglienza, laddove sancisce che "gli Stati Membri tengono conto della specifica situazione di persone vulnerabili quali i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale".

È comunque assicurata, anche ai richiedenti asilo ordinari, l'iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale, da operarsi a cura del gestore del servizio di accoglienza.

È opportuno segnalare che, in tema di accoglienza, quanto previsto dal noto d.lgs. n. 140/05 in materia dovrà leggersi in combinato disposto con gli artt. 20, 21 e 22 del decreto procedure (23), recanti disposizioni specifiche in materia di accoglienza e trattenimento dei richiedenti asilo. Procedendo all'analisi delle disposizioni suddette, l'art. 20 tratta dei casi di accoglienza del richiedente asilo, sancendo al primo comma la regola generale per cui "il richiedente non può essere accolto al solo fine di esaminare la domanda", esplicitando, in tal modo, la non obbligatorietà della dimora presso appositi centri in funzione dello status di richiedente asilo. A seguire, vengono indicati i tre casi in cui si attiva il percorso dell'accoglienza in un CARA (Centro di accoglienza richiedenti asilo), che sarà oggetto di trattazione nel capitolo successivo. Il decreto abroga, infatti, gli articoli introdotti dalla L. 189/02 che prevedevano il trattenimento presso i Centri di identificazione e la relativa procedura semplificata.

L'accoglienza, inoltre, è subordinata all'effettiva permanenza nella struttura: l'allontanamento del richiedente dal centro senza giustificato motivo fa cessare le condizioni di accoglienza. Questa disposizione, prevista dall'art. 22 comma 2, attenua le conseguenze negative per l'ospitato che si allontani non iure, abrogando la presunzione assoluta di rinuncia tacita alla richiesta di asilo prevista dalla normativa previgente in conseguenza dell'allontanamento dai CID, prevedendo che la sua domanda verrà comunque decisa da parte della Commissione Territoriale sulla base della documentazione in suo possesso.

6. Un'altra tappa nella definizione del nuovo sistema di accoglienza in Italia: d.lgs. 142/2015, ricezione delle Direttive 2013/32/UE - 2013/33/UE

Nell'analisi condotta nel precedente capitolo, abbiamo ripercorso l'excursus normativo in materia di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, soffermandoci in particolar modo sulle modifiche apportate alla materia in sede di diritto comunitario. Infatti, con l'approvazione delle direttive 2013/32/UE e 2013/33/UE del 26 giugno 2013 (rifusione della precedente e sopra esaminata direttiva 2003/9/CE), sono stati aggiunti ulteriori tasselli per lo sviluppo della seconda fase del Sistema Comune di Asilo Europeo, rinnovando i fondamentali pilastri relativi alle condizioni di accoglienza e alla disciplina prevista per la procedura di riconoscimento dello status di protezione internazionale. L'Italia, insieme agli altri Paesi dell'Unione, è stata chiamata a farsi carico della nuova disciplina e ad apportare modifiche alla previgente normativa, contenuta nel d.lgs. 140/2005.

Dopo questa breve parentesi, avendo già tracciato i contenuti delle nuove Direttive, è opportuno chiedersi come e se l'Italia si stia muovendo al fine di adempiere all'obbligo previsto.

Dopo l'approvazione, il 29 luglio 2015, di un parere favorevole sullo schema del nuovo decreto legislativo di attuazione della normativa europea in materia di accoglienza dei richiedenti asilo e relative procedure (2013/32/UE e 2013/33/UE), al fine di dare concretezza alle direttive medesime, il legislatore italiano ha emanato il 18 agosto del 2015 il nuovo d.lgs. 142/2015 recante disposizioni in materia di accoglienza e procedura per il riconoscimento dello status di protezione internazionale, in vigore dal 30 settembre dello stesso anno.

Il decreto legislativo ridisegna, in particolare, il sistema di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale sulla base del Piano nazionale e al fine di dare risposte che possano fronteggiare efficacemente il flusso straordinario di stranieri extracomunitari (definito di intesa tra Stato, Regioni ed enti locali del 10 luglio 2014).

Il nuovo d.lgs. 142/2015 si compone di tre capi, recanti rispettivamente norme relative al recepimento della Direttiva 2013/33/UE relativa alle norme sull'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, contenute in precedenza nel d.lgs.140/2005, della Direttiva 2013/32/UE sulla procedura per il riconoscimento dello status di protezione internazionale, contenuta nell'ormai abrogato d.lgs. 25/2008, e infine, nell'ultimo capo sono contenute le disposizioni finali.

Rispetto alla precedente disciplina, nel capo I (artt. 1-24), si prevede in primo luogo l'applicazione delle misure di accoglienza dal momento della manifestazione della volontà di chiedere protezione internazionale (non più al momento della verbalizzazione della domanda). Tra le principali novità, sicuramente rileva la disposizione ex art. 4, in cui si prevede l'estensione del permesso per motivi di asilo da tre a sei mesi, rinnovabile fino alla decisione sulla domanda e, in caso di ricorso giurisdizionale, finché il ricorrente è autorizzato a permanere sul territorio. L'art. 5 prevede in tema di comunicazione del domicilio o della residenza, da allegare alla domanda di protezione internazionale, l'esonero del richiedente dall'obbligo di allegazione della documentazione in merito (24). All'art. 6, oltre ad essere ripresentato il divieto di trattenimento del richiedente al solo fine di esaminare la domanda, s'introducono due novità importanti: in tema di trattenimento dei richiedenti, che può essere disposto in via facoltativa dal Questore con atto scritto e motivato, accanto alle cause già prevista dal precedente d.lgs. 25/2008 all'art. 21 (oggi abrogato), si prevede l'ipotesi del "rischio di fuga" nelle more della decisione della domanda da parte della Commissione territoriale, in presenza di circostanze speciali (es. trattenimento ai fini dell'espulsione); in tema di informazioni da sottoporre allo straniero che abbia fatto ingresso in un CIE, si prevede la consegna, oltre alla comunicazione, di un opuscolo da parte della Commissione nazionale del diritto d'asilo, in cui sono contenute tutte le informazioni utili ai fini della presentazione della domanda di protezione internazionale. Si tratta di uno strumento importante, anche se poco utile per quelle persone che non abbiano un bagaglio di istruzione, o, più semplicemente, non sappiano leggere. All'art. 7 si richiamano le disposizioni sul trattenimento nei CIE (previste ex art. 14, d.lgs. 286/1998) (25).

Interessante, anche se a volte poco nitido, è stato il tentativo del legislatore di riformare il sistema di accoglienza, ispirato ad un'intesa sancita in sede di Conferenza Unificata il 10 luglio 2014. Nel capo I del nuovo decreto si prevede una prima fase di soccorso e prima assistenza che dovrebbe, in linea di massima, svolgersi nei cosiddetti hotspot (26): qui dovrà procedersi all'identificazione obbligatoria delle persone che arrivano via mare al fine di condurre, fin dalle prime ore dall'arrivo, una distinzione vera e propria tra chi ha diritto alla presentazione della domanda di asilo e chi dovrà essere rimpatriato. A questa prima fase segue quella di prima accoglienza e qualificazione presso i cosiddetti hub, aperti a tutti gli stranieri che siano già stati sottoposti alle procedure di foto-segnalamento, screening sanitario e che, per l'appunto, abbiamo manifestato la volontà di chiedere protezione. La permanenza in questi centri è prevista fino a quando non siano state completate tutte le procedure relative alla verbalizzazione della domanda e all'avvio dell'esame della medesima. I tempi di permanenza nei centri potrebbero essere tuttavia maggiormente dilatati nei casi in cui la disponibilità nei centri SPRAR risulti carente.

A chiudere il circuito accoglienza è la fase predisposta dalla rete di accoglienza territoriale decentrata dello SPRAR (sostanzialmente rimasta invariata nel nome e nella disciplina, salvo per quanto previsto per la categoria dei minori stranieri non accompagnati, che vedremo in seguito). Si tratta di un sistema al quale accedono in maniera prioritaria quanti non abbiano i mezzi di sostentamento sufficienti a garantire una qualità di vita adeguata (art. 14).

È opportuno chiarire che non vi è un'obbligatoria consequenzialità tra le fasi descritte. Può accadere, infatti, che il richiedente asilo sia introdotto direttamente nel sistema SPRAR, senza il previo e obbligatorio transito in un centro governativo di prima accoglienza (basti pensare a quanti sono già sul territorio dello Stato e presentano spontaneamente domanda di protezione internazionale, definendo da sé la propria condizione giuridica).

All'art. 16 si conferma "il ruolo del Tavolo di coordinamento nazionale", già insediato presso il Ministero dell'interno, quale organismo deputato alla redazione del Piano nazionale per l'accoglienza, nel quale s'individua il fabbisogno di posti da destinare alle finalità di accoglienza, sulla base delle previsioni di arrivo. A livello territoriale si conferma il ruolo dei Tavoli di coordinamento regionali, insediati presso le prefetture con compiti di attuazione della programmazione predisposta dal Tavolo nazionale e di individuazione dei criteri di ripartizione dei posti all'interno della Regione, nonché dei criteri di localizzazione delle strutture di prima accoglienza e delle strutture straordinarie".

Disciplina ad hoc è prevista per ciò che riguarda le categorie dei soggetti "vulnerabili", per le quali si prevedono speciali sevizi presso i centri governativi di prima accoglienza e i centri dello SPRAR. In particolare, un gruppo di norme del decreto, contenute negli artt. 18, 19 e 21, sono dedicate ai minori stranieri non accompagnati. In primo luogo si ribadisce, all'art. 18, il principio del "superiore interesse del fanciullo" (27), sulla base del quale viene tracciato il nuovo circuito accoglienza a garanzia della categoria dei minori stranieri non accompagnati, in cui si prevede: la predisposizione di centri hub (28) specializzati per le esigenze di soccorso e protezione immediate. La permanenza in questi centri è legata al tempo strettamente necessario allo svolgimento delle procedure di identificazione e accertamento dell'età anagrafica (29), in ogni caso non superiore a sessanta giorni. Inoltre è prevista la "pianificazione dell'accoglienza di secondo livello di tutti i minori stranieri non accompagnati nell'ambito del sistema SPRAR, adeguatamente potenziato e finanziato" (Piano Intesa Stato - Regioni luglio 2014).

Il capo II (artt. 25-26) del d.lgs. 142/2015, interviene in modifica del precedente decreto procedura n. 25 del 2008. Si tratta di disposizioni volte non soltanto a dare attuazione alla Direttiva 2013/32/UE, ma anche a perfezionare, nonché "velocizzare" il sistema di definizione delle domande di protezione internazionale, tracciando un quadro normativo capace di rafforzare l'effettivo accesso al sistema medesimo. Nel dettaglio, nella nuova formulazione ex art. 25, lett. d), si prevede, nell'ambito dei poteri attribuiti alla Commissione territoriale, quello di predisporre periodicamente un elenco di Paesi, in cui sussistono condizioni tali per cui la Commissione stessa può decidere di omettere l'audizione di quanti provengano dai Paesi riportati nell'elenco e di concedere loro, sulla base degli elementi disponibili, protezione sussidiaria. L'audizione può essere in ogni caso prevista quando il soggetto chiede di essere ascoltato in quanto avente diritto allo status di rifugiato. Alla lett. i) dello stesso articolo si prevede il diritto degli stranieri che abbiano manifestato la volontà di chiedere asilo, anche alla frontiera, di ricevere tutte le informazioni necessarie all'espletamento della procedere (oltre al rilascio di un opuscolo); la lett. m), in tema di audizione del minore, prevede che il colloquio si svolga dinanzi ad una commissione territoriale con specifica formazione, anche in assenza del genitore/tutore.

La conclusione della domanda di asilo è prevista entro 6 mesi massimo dalla presentazione della stessa. Si tratta di un termine prorogabile per altri 9 mesi quando si richiedano valutazioni e accertamenti, in fatto e in diritto, che presentino rilievi di criticità e complessità, ma anche in presenza di un numero elevato di domande presentate contestualmente.

Risponde all'intento di razionalizzazione dei tempi previsti per l'esame delle domande anche l'introduzione di esami accelerati disposti in caso di "manifesta infondatezza" o reiterazione di una domanda, presentazione della domanda da parte di coloro che hanno eluso i controlli alla frontiera o che soggiornano sul territorio in modo irregolare.

Con riferimento all'ipotesi rigetto della domanda, si predispone un effettivo ricorso giurisdizionale, durante il corso del quale continuerà ad essere garantita al ricorrente l'accoglienza presso le strutture con relativa sospensione ex lege del provvedimento impugnato. Il Tribunale è chiamato a decidere entro sei mesi dalla presentazione del ricorso, sulla base di elementi esistenti al momento della decisione (art. 27). In caso di rigetto la Corte d'Appello si pronuncia entro i successivi sei mesi dal deposito del ricorso.

Alcune modifiche sono state, quindi, apportate dallo stesso d.lgs. 142/2015 anche all'art 19, d.lgs. 1º settembre 2011, n. 150, che disciplina del ricorso giurisdizionale avverso le decisioni delle Commissioni territoriali in materia di riconoscimento della protezione internazionale e della Commissione nazionale per il diritto di asilo. Si tratta prevalentemente di modifiche dettate dalla necessità di coordinamento con la nuova disciplina dell'accoglienza e del trattenimento e con le modifiche del precedente d.lgs. n. 25/2008, che individuano i casi di procedura accelerata per i quali i termini per l'impugnazione sono ridotti della metà.

Bisogna ricordare che è stata conferita al Governo (dalla legge di delegazione europea per il secondo semestre 2013, l. 154/2014) una delega per la redazione di un testo unico delle disposizioni di attuazione della normativa dell'Unione europea in materia di diritto di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea. Nel testo unico confluiranno gli atti di recepimento di un pacchetto di provvedimenti comunitari destinati a riformare interamente la materia nei prossimi anni.

Note

1. M. Benvenuti, Il diritto di asilo nell'ordinamento costituzionale italiano, Cedam, 2007, pp. 32- 33.

2. Ibidem, pp. 132-136.

3. C. App. Milano, sent. 27 novembre 1964 in Il foro italiano, 1965, pp. 126-127.

4. Ibidem, p. 129.

5. Trib. Milano, sent, 7 febbraio 2005, n. 1451 in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2005, fasc. III, pp. 108 ss.

6. R. Finocchi Ghersi, Il diritto di asilo in Italia e in Europa, riv. trim. dir. pubbl., fasc.4, 2011, p. 917.

7. Si tratta di una sentenza in cui si ribadisce nuovamente la natura di diritto soggettivo dell'asilo, desunta direttamente dall'art. 10 Cost., in quanto norma costituzionale che, per la sua determinatezza, è idonea a produrre effetti diretti nell'ordinamento, pur in assenza di una legge di attuazione.

8. A. Cassese, Artt. 10-12, in G. Branca (a cura di), Commentario della costituzione, Bologna- Roma, 1975, pp. 485-591.

9. M. Benvenuti, cit., p. 217.

10. C. Hein (a cura di), Storia del diritto d'asilo in Italia in Rifugiati. Vent'anni di Storia de diritto d'asilo in Italia, Donzelli Ed., 2010, p. 33.

11. "La caratteristica principale dell'Italia quale Paese di solo transito per i rifugiati per tutto il periodo della contrapposizione dei due blocchi obbediva ad una precisa logica e ad una specie di accordo internazionale. Chi fuggiva dai territori di dominio sovietico veniva considerato, in Occidente, un anticomunista, oppositore del regime. Si parlò di "voto con i piedi": la figa in sé indicava il malcontento della gente, l'opposizione ai regimi dell'Est. I rifugiati avevano quindi la certezza di una buona accoglienza per motivi strettamente politici(...) i tre Paesi che dovevano servire come territori di primo approdo per i fuggitivi dell'Est: l'Austria, l'Italia, la Jugoslavia". Ibidem, p. 35.

12. Tra i cosiddetti "Centri profughi": Padriciano/Trieste, chiuso il 31 ottobre 1980; accoglimento dei profughi stranieri richiedenti asilo; registrazione presso l'Ufficio di Polizia operante in loco; verbalizzazione delle domande di asilo; esame delle medesime da parte della Commissione Paritetica di Eleggibilità (CPE); primi contatti con le Agenzie di emigrazione (IRC, WCC, UCEI); trasferimento al Centro di Latina; Latina, chiuso l'8 gennaio 1991; centro emigrazione ove i profughi, rifugiati e non, finalizzavano le pratiche di emigrazione in USA, Canada, Australia, Nuova Zelanda (quando necessario, potevano presentarsi alle Ambasciate/Consolati di detti Paesi per le "interviste"); in attesa della partenza, venivano trasferiti al Centro di Capua; dopo la chiusura del Centro di Padriciano, le operazioni di accoglimento/registrazione/verbalizzazione/esame delle domande di asilo venivano svolte a Latina; Capua/Caserta, chiuso il 31 dicembre 1990; accoglieva principalmente profughi in attesa di emigrazione; ha ospitato qualche centinaio di vietnamiti boat-people ed un rilevante numero di profughi polacchi nel 1987-1988.

13. Questa forma di riconoscimento concedeva loro il diritto ad un soggiorno temporaneo, senza il diritto al lavoro e all'assistenza pubblica. Dal 1980 al 1989 è stato conferito lo status di rifugiato sotto mandato a 6.499 persone a fronte di 11.631 richieste di asilo da parte di cittadini non europei.

14. Art. 1, comma 5, Legge 28 febbraio 1990 n. 39

15. C. Hein (a cura di), cit., p. 46.

16. Il D.P.R. n. 27/90 è intervenuto a regolamentare le modalità attraverso cui assicurare la prima assistenza in favore dei richiedenti "fino all'emanazione di una nuova disciplina in materia di assistenza".

17. C. Hein (a cura di), cit., p. 50.

18. Ibidem. "Ai cittadini somali, ad esempio, destinatari di una decisione negativa da parte della Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, il Governo decise di accordare loro il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di studio e lavoro della durata di un anno, rinnovabile alla scadenza nel caso fossero perdurate le condizioni di impedimento al rimpatrio".

19. M. De Marco, Ufficio Immigrazione Caritas Italiana, F. Pittau, Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes, (a cura di), L'evoluzione storica della normativa sull'immigrazione, Roma, 2013, p. 10.

20. M. Benvenuti (a cura di), La protezione internazionale degli stranieri in Italia. Uno studio integrato sull'applicazione dei decreti di recepimento delle direttive europee sull'accoglienza, sulle qualifiche e sulle procedure, Jovine Editore, 2011, pp. 31-37.

21. È un'ipotesi frequente nella prassi che ha ripercussioni negative, in quanto impedisce allo straniero di aver accesso alle misure di accoglienza predisposte sul territorio e a tutti i benefici connessi. Tuttavia, un ruolo importante al fine di evitare l'abbandono di queste persone, è svolto dal "privato sociale", che predispone strutture di accoglienza minime.

22. DM 22/07/2008, come modificato dal DM 05/08/2010, Linee-guida per la presentazione delle domande di contributo per il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo.

23. D.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.

24. "Al fine di dare effettiva e completa attuazione all'art. 6, par. 6 della direttiva 2013/33/UE in cui si vieta agli Stati di esigere documenti inutili o sproporzionati o di imporre altri requisiti amministrativi ai richiedenti prima di riconoscere loro i diritti garantiti dalla direttiva stessa, l'art. 5, comma 1, del decreto legislativo deve essere interpretato nel senso che in ogni caso l'impossibilità per il richiedente asilo di indicare al momento della presentazione della domanda un luogo preciso in Italia in cui abbia il proprio effettivo domicilio non preclude comunque l'accesso alla presentazione della domanda e alle misure di assistenza predisposte per i richiedenti". Noris Morandi, Gianfranco Schiavone e Paolo Bonetti (a cura di), ASGI - Scheda pratica sul d.lgs. 142/2015 su accoglienza e procedure di asilo, 1 Ottobre 2015.

25. "Peraltro al fine di dare esatta e completa attuazione all'art. 11, par. 4 della direttiva 2013/33/UE e di evitare in modo sistematico quelle frequenti situazioni di promiscuità che comportino violazioni del divieto di trattamenti degradanti previsto dall'art. 3 CEDU e lesioni sproporzionate al diritto alla vita privata e familiare garantito dall'art. 8 CEDU, rilevate e condannate nell'attuale sistema italiano di accoglienza dei richiedenti asilo dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, Grande Camera, Tarakhel c. Suisse del 4 novembre 2014, l'art. 7 comma 1 del decreto legislativo deve essere interpretato nel senso che alle famiglie trattenute deve essere comunque fornita una sistemazione separata che ne tuteli l'intimità". Ibidem.

26. Si tratta di strutture la cui realizzazione è parte dalla cosiddetta agenda Junker, in vigore dal 16 settembre 2015, ma con tratti ancora da definire.

27. Si tratta di quel principio supremo cristallizzato in seno alla Convenzione sui diritti del fanciullo sottoscritta a New York nel 1989 e ratificata dall'Italia con legge 176/1991. All'art. 3 della legge 176/1991 il legislatore ha statuito quanto segue: "1. In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente. 2. Gli Stati parti s'impegnano ad assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere, in considerazione dei diritti e dei doveri dei suoi genitori, dei suoi tutori o di altre persone che hanno la sua responsabilità legale, e a tal fine essi adottano tutti i provvedimenti legislativi e amministrativi appropriati (...)".

28. Il primo hub pronto ad accogliere minori stranieri non accompagnati è stato inaugurato il 14 aprile 2015 a Bologna, allestito presso le ex scuole Merlani (oggi ribattezzate "Casa Merlani"). Si tratta di una struttura plasmata sul modello di hub previsto per adulti nell'ex CIE di via Mattei. È un progetto importante, volto a rispondere alle esigenze poste in sede di Intesa Stato-Regioni, attuato in via sperimentale per 9 mesi (dal 20 marzo al 20 dicembre 2015). Si tratta di un presidio ad alta specializzazione che gestisce 37 posti accoglienza in cui i minori non accompagnati di sesso maschile permangano per un periodo che oscilla tra i 60/90 giorni. I ragazzi presenti nella struttura hanno avuto storie e percorsi diversi: alcuni sono nella struttura dal 23 marzo e vi sono stati trasferiti dall'hub di via Mattei; altri sono stati prelevati a Reggio Calabria dopo che una struttura di accoglienza ha chiuso e il ministero ha chiesto alla Regione di accoglierli. Arrivano principalmente dall'Africa e alcuni dal Bangladesh. Hanno attraversato il Mediterraneo su un barcone e sono stati recuperati grazie a Mare Nostrum, prima, e Triton, poi. La loro giornata tipo si divide tra lezioni d'italiano e di alfabetizzazione, un aiuto alla gestione della struttura (cucina, pulizia, lavanderia) e incontri con mediatori culturali e assistenti legali. Nell'hub i ragazzi possono rimanere per un periodo di sessanta giorni, prolungabile di trenta, quindi per un totale massimo di tre mesi. Si tratta di un periodo molto limitato, in cui evidentemente si cerca di "fotografare" il minore, i suoi progressi e il suo percorso, al fine di provvedere per ognuno di loro un percorso di seconda accoglienza.

Nel Comune di Firenze, invece, è stata approvata una delibera il 23 settembre 2015, che prevede l'istallazione di una nuova struttura hub, che va ad aggiungersi alle comunità per minori stranieri non accompagnati attive già sul territorio fiorentino. Si tratta di una struttura "sperimentale". "La decisione di sperimentare temporaneamente un nuovo modello organizzativo per l'accoglienza dei minori non accompagnati è dal fatto che a Firenze non vi è la sufficiente disponibilità di strutture convenzionate con il Comune per accogliere ulteriori minori non accompagnati. La struttura sarà realizzata in collaborazione con le istituzioni territoriali", intervista a Sara Funaro, assessore all'Accoglienza e all'Integrazione.

29. Non sono rari i casi in cui al momento dell'arrivo i minori dichiarano generalità anagrafiche errate, e solo in un secondo momento si risale alla loro minore età.