ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo II
Un cammino senza fine: processi di revisione delle direttive

Angela Suprano, 2016

1. Il nuovo Regolamento Dublino III

La determinazione dello Stato competente per l'esame delle domande di asilo è una questione alquanto ricorrente, affrontata dagli Stati già nella Convenzione di Schengen e nella Convenzione di Dublino del '90. Tuttavia, mentre in passato, come mostra la convenzione di Dublino, l'esigenza prevalente era quella di fronteggiare il fenomeno dei “rifugiati in orbita”, nel 2013, a fronte di una crescente diffusione dei già richiamati “flussi misti”, prioritaria è divenuta la necessità di limitare i movimenti secondari dei richiedenti protezione internazionale (1), rimettendo ancora una volta agli Stati e non alle persone la facoltà di decidere in quale Stato i soggetti debbano veder esaminata la propria domanda (2).

Dopo un lungo dibattito, il 26 giugno del 2013 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato, secondo la procedura legislativa ordinaria, il regolamento (UE) 604/2013 (noto come “Dublino III”), che stabilisce i criteri e i meccanismi per l'individuazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide; si tratta di uno strumento entrato in vigore il 19 luglio del 2013 e che ha contribuito all'abrogazione e sostituzione del precedente regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003 (“Dublino II”).

Il Regolamento Dublino III ha trovato applicazione per le domande di protezione internazionale proposte a partire dal 1º gennaio 2014, nonché, da tale data, ad ogni richiesta di presa in carico o di ripresa in carico di richiedenti (art. 18) indipendentemente dalla data di presentazione della domanda e si è esteso non solo ai richiedenti rifugio ma anche ai richiedenti protezione sussidiaria. Si tratta di un documento che ha apportato modifiche su più fronti, a partire da alcune delle disposizioni previste per la determinazione dello Stato membro UE competente all'esame della domanda di protezione internazionale, le modalità e tempistiche per la determinazione, ma, al contempo ha mantenuto invariati alcuni dei punti previsti dal precedente Regolamento.

Il principio generale alla base del Regolamento Dublino III è lo stesso che ha permeato le Convenzione di Dublino del 1990 e di Dublino II: ogni domanda di asilo deve essere esaminata da un solo Stato membro e la competenza per l'esame di una domanda di protezione internazionale ricade in primis sullo Stato di primo approdo, salvo la necessità di tutelare l'unità del nucleo familiare. Si prevede, infatti, la possibilità per cui l'esame della domanda può essere demandato allo Stato che ha svolto il “maggior ruolo” in relazione all'ingresso e al soggiorno del richiedente nel territorio degli Stati membri (3).

A questo proposito l'Europa ha adottato anche il sistema EURODAC, un archivio comune delle impronte digitali dei richiedenti asilo usato dalla polizia per controllare se sono state presentate diverse domande. I richiedenti asilo hanno diritto a rimanere nel paese di arrivo, anche se non hanno regolari documenti d'ingresso, e ad essere assistiti. Se la richiesta d'asilo viene respinta, il richiedente può presentare ricorso in appello (art. 27).

Peraltro il legislatore europeo ha proceduto anche ad una “sistemazione” più organica delle norme, che avrebbe lo scopo di facilitare, in parte, la lettura di uno strumento che rimane comunque molto complesso.

Il regolamento Dublino III, stando alla lettera del preambolo, dovrebbe prevedere un meccanismo fondato su criteri equi e oggettivi ai fini della determinazione, chiara e pratica, dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di asilo. Dovrebbe trattarsi soprattutto di un meccanismo atto a garantire l'accesso effettivo e rapido alle procedure volte al riconoscimento della protezione internazionale.

Malgrado le ancor presenti criticità e zone d'ombra, non sono mancate tutta una serie di novità importanti. Tra le principali: l'ampliamento e l'introduzione di alcune definizioni (parenti, rappresentante del minore non accompagnato, rischio di fuga); l'obbligo di considerare sempre l'interesse superiore del minore attraverso pratiche di ricongiungimento più ampie; il divieto esplicito di trasferire un richiedente qualora si abbiano fondati motivi di ritenere che vi sia un rischio di trattamenti inumani o degradanti; l'obbligo di fornire più informazioni ai richiedenti (sia prima che dopo l'eventuale decisione di trasferimento) e di condurre un colloquio personale (prima della decisione di trasferimento); introduzione di regole più chiare (ma più restrittive) sulla competenza in caso di “persone a carico”; nella previsione di limiti, anche temporali, al trattenimento delle persone soggette alla procedura Dublino permane un elevato il rischio-discrezionalità; vengono chiarite modalità e costi dei trasferimenti; l'introduzione dell'obbligo, prima di un trasferimento, di scambiarsi dati (anche sanitari) necessari a garantire assistenza adeguata, continuità della protezione e soddisfazione di esigenze specifiche, in particolare mediche; l'introduzione di un “meccanismo di allerta rapido, di preparazione e di gestione delle crisi” in caso di rischio di speciale pressione sul sistema di asilo di un Paese e/o in caso di problemi nel funzionamento dello stesso; la previsione del ricorso contro una decisione di trasferimento, pur non automaticamente sospensivo.

2. Il regolamento (UE) n. 604/2013 (“Dublino III”) e il regolamento (CE) n. 343/2003 (“Dublino II”): cos'è cambiato?

Quello che avrebbe dovuto rappresentare un momento di rottura decisiva con la precedente disciplina in materia di asilo, in realtà ha mantenuto fede soprattutto ad alcune scelte strutturali previgenti. Il Regolamento 604/2013 ha adottato, sotto molti profili, un approccio conservatore e poco innovatore, per questo il confronto è tra due Regolamenti che presentano molti punti di continuità, tali da allontanare l'idea di una nuova disciplina in materia di asilo. Ciò si manifesta in primo luogo nella finalità perseguita.

Sul piano dei contenuti e della gerarchia, i criteri di competenza stabiliti dal Regolamento Dublino III sono ereditati dal previgente regolamento, salvo l'introduzione di definizioni più ampie volte a valorizzare alcuni legami familiari (a partire dall'ipotesi in cui il richiedente sia un minore non accompagnato), l'avvenuto rilascio di un titolo di soggiorno o un visto ad altri fini ovvero il luogo in cui per primo il soggetto ha fatto ingresso, regolarmente o irregolarmente, nel territorio europeo.

Si ribadisce la regola per cui tali criteri si applicherebbero in maniera gerarchica, nell'ordine in cui sono stati presentati e tenendo conto della situazione esistente al momento della presentazione della domanda di protezione internazionale al primo Stato membro (art. 7 Regolamento 604/2013).

Malgrado si affermi il principio gerarchico, anche il Dublino III è volto a favorire la tendenza per cui è investito della competenza circa l'esame della domanda di protezione internazionale lo Stato che abbia svolto il maggior ruolo in relazione all'ingresso e al soggiorno del richiedente nel territori degli Stati membri: quando è accertato “che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un Paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente” e la sua responsabilità cessa 12 mesi dopo l'attraversamento clandestino della frontiera (art. 13 del Regolamento 604/2013). Quest'ultimo ha rappresentato uno dei cedimenti strutturali del sistema di riparto delle competenze congegnato già a partire dalla Convenzione del 1990 e ad oggi ereditato dal nuovo Regolamento Dublino III. Il sistema così prospettato ha quale conseguenza quella di concentrare la domanda di protezione internazionale su alcuni Stati anziché altri, soprattutto sugli Stati posti lungo la frontiera meridionale dell'Unione, agendo negativamente anche sulle sorti degli stranieri in cerca di protezione. È facile intuire come questo meccanismo impedisca loro di dar voce alle proprie volontà, imponendo loro di presentare domanda in un luogo dove, nella maggioranza dei casi, non si ha interesse a restare per ragioni differenti o vi si giunge in modo del tutto casuale e imprevisto, ad esempio per ragioni ambientali (naufragio in mare) o, addirittura perché vittime di scelte opportunistiche imposte dagli organizzatori dei viaggi (4). Peraltro, allo stato attuale, lo Stato individuato dal sistema di Dublino come competente a prendere in esame la domanda è lo stesso in cui il richiedente dovrà soggiornare una volta ottenuta la protezione. Questo scenario, drammatico per i richiedenti, semina incertezza e frustrazione soprattutto per la condizione imposta, non frutto di una scelta, in cui gli stranieri sono relegati (5).

Le incongruenze e le incertezze proprie del sistema di Dublino, considerato “pietra angolare” del processo evolutivo del sistema comune di asilo (CEAS), e la voce dei richiedenti protezione internazionale hanno messo in evidenza, da un lato, l'inadeguatezza del sistema delineato da Dublino a perseguire lo scopo previsto e, dall'altro, il fatto che non sia stato concepito come misura di solidarietà, ma come ostacolo alla realizzazione della stessa. Queste le conclusioni cui è giunto un recente studio commissionato dal LIBE Committee, il Comitato per le Libertà civili, Giustizia e Affari interni del Parlamento europeo, dal titolo Enhancing the common European asylum system and alternatives to Dublin (Migliorare il sistema d'asilo e alternative a Dublino), in cui appare chiara e ben affermata la necessità di riforma dell'attuale paradigma.

Stando all'analisi dello studio condotto, l'attuale sistema d'asilo inibisce la creazione di un sistema fiduciario che sia alla base dei rapporti tra richiedenti asilo e rifugiati e le autorità, e garantisca il rispetto, la tutela e la promozione dei diritti fondamentali, che, come evidenziato da diverse decisioni giudiziarie, sono violati sotto diversi profili dall'attuale sistema di Dublino.

È necessario un sistema che offra soluzioni efficaci sia dal punto di vista degli Stati membri sia da quello dei rifugiati (6). Lo studio ci presenta un sistema di Dublino che, al contrario, stigmatizza l'uso della coercizione nei confronti dei richiedenti protezione, e fa luce sugli squilibri esistenti nei meccanismi di ripartizione delle responsabilità tra gli stessi Stati membri.

Acquisita la consapevolezza dell'urgente necessità di una risposta da parte di tutti i Paesi dell'Unione Europea adeguata alle dimensioni del fenomeno in corso, la Commissione europea si è impegnata a dare una propria valutazione del sistema di Dublino nel 2016. In particolar modo, questo responso potrebbe determine whether a revision of legal parameters of Dublin will be needed to achieve a fairer distribution of asylum seekers in Europe. L'Unione europea si trova a dover fronteggiare due sfide importanti: prevenire le odissee che molto spesso i migranti sono costretti ad affrontare per raggiungere il perimetro dell'UE; provvedere ad un'equa distribuzione delle responsabilità tra gli Stati membri e dei relativi costi.

Nel documento Enhancing the common European asylum system and alternatives to Dublin, accanto alle criticità emergenti dall'esperienza pratica della “saga di Dublino” e sulla scorta di documentazioni, rapporti e studi, si cerca di prospettare soluzioni e raccomandazioni in merito agli aspetti giuridici, politici e pratici che attanagliano la questione.

Nel dettaglio, lo studio è sviluppato in tre sezioni: la prima dimostra la necessità da parte dell'UE di predisporre mezzi alternativi (7), volti a garantire un accesso sicuro e legale nel proprio territorio, dal momento che un numero sempre più elevato di profughi è vittima di tragiche morti durante la traversata via mare e terra. Si tratterebbe di un intervento che ridurrebbe notevolmente la domanda per i servizi dei contrabbandieri e, quindi, farebbe aumentare quella fiducia necessaria alla base delle relazioni tra rifugiati, richiedenti asilo e autorità.

La seconda sezione esplora l'esigenza di dare attuazione al principio di mutuo riconoscimento delle decisioni affermative in tema di asilo (8); nella terza ed ultima sezione vengono esaminate le possibili alternative al sistema di Dublino, con l'auspicio di avviare un dibattito che apra la strada verso un suo superamento, nonché l'uso del sostegno finanziario.

Un aspetto fondamentale da cui lo studio prende le mosse è rappresentato dall'insistenza con cui l'Europa cerca di far funzionare il sistema di Dublino, che, come documentato dagli osservatori diretti, funziona molto male (9). Le disfunzioni che attanagliano il sistema stanno sempre più attirando l'attenzione dei giudici nazionali e europei (la Corte di giustizia europea e la Corte europea dei diritti dell'uomo) sotto i profili di legittimità, in quanto le pratiche di controllo delle frontiere adottate dai singoli Stati membri sollevano quesiti in merito al rischio di trattamenti potenzialmente discriminatori. Il sistema di Dublino sembra generare crescenti livelli di sfiducia e di sospetto tra le autorità degli Stati membri, in un contesto in cui principio guida dovrebbe essere lo spirito di solidarietà. Sarebbe a questo punto auspicabile la rimozione e/o sospensione dell'obbligo del visto e delle sanzioni ai migranti, almeno per quanti risultino astrattamente meritevoli di rifugio (somali, eritrei, siriani), oltre alla predisposizioni di canali umanitari attraverso l'accesso ai quali risulti garantito un viaggio sicuro. In quest'ottica dovrebbe assistersi ad un aumento dei visti umanitari, ad un uso più esteso dei visti di migrazione esistenti per il ricongiungimento familiare, e soprattutto si dovrebbe procedere ad una modifica della direttiva sulla protezione umanitaria, in modo da apportare interventi tali da facilitarne l'impiego, soprattutto in situazioni di “afflusso di massa”. Inoltre, giacché la maggior parte dei soggetti aventi diritto di asilo si trova ancora al di fuori del territorio dell'UE (i siriani ospitati nel campo profughi in Turchia), Bruxelles dovrebbe quantomeno intensificare il proprio sforzo internazionale per aiutare i Paesi che al momento ospitano grandi popolazioni di profughi.

In materia di asilo soltanto le decisioni negative sono oggetto di mutuo riconoscimento (nel caso in cui uno Stato respinga una richiesta, la validità della decisioni si estende in tutto il territorio dell'UE), mentre questo stesso principio non trova applicazione di fronte a decisioni positive (in caso di accoglimento, il beneficiario ha diritto di soggiornare solo nel territorio dello Stato che lo ha accolto).

L'estensione del principio descritto anche alle stesse decisioni positive in materia di asilo rappresenterebbe un ulteriore passo in avanti per lo sviluppo del CEAS, in quanto volto a garantire la maggiore sostenibilità dei flussi, l'armonizzazione delle norme nazionali e soprattutto il concreto rafforzamento dei diritti dei richiedenti asilo, il tutto in linea con i principi fondamentali dell'UE di libera circolazione delle persone, di solidarietà e di equa ripartizione delle responsabilità per la protezione internazionale. Infatti, il reciproco riconoscimento permetterebbe ai beneficiari di protezione internazionale di circolare liberamente all'interno dell'Unione e, soprattutto, di risiedere anche al di fuori del Paese di primo arrivo (10).

La questione, senza dubbio più importante, è affrontata nella terza e ultima sezione dello studio, in cui si ribadiscono le carenze del sistema Dublino, legate strettamente alle prime due sezioni analizzate. La presenza di corridoi umanitari e di un meccanismo di accoglienza realmente comunitario, nonché il riconoscimento ai richiedenti asilo del diritto di scegliere il Paese in cui presentare domanda (11), avrebbe quale conseguenza quella di garantire una più equa distribuzione delle presenze, che oggi, al contrario, grava maggiormente sui Paesi di frontiera. Questo è uno dei punti chiave utile a capire perché Dublino non funziona: gli Stati maggiormente soggetti ad ondate di flussi migratori evitano consapevolmente l'applicazione del Regolamento al fine di consentire il deflusso dei migranti verso altre destinazioni, solitamente verso i Paesi del Nord. In questo modo, l'egoismo degli Stati prevale a discapito di un'adesione solidaristica su cui il sistema dovrebbe costruirsi:

At present, Dublin is weakly enforced, so many asylum seekers do exercise some degree of choice as to their country asylum. However, in so doing, they risk being deported and detained, and may even use smugglers for onward movement within the EU.

In questo modo il sistema Dublino aggrava fortemente la condizione di vulnerabilità dei soggetti, anziché migliorarne la protezione. Sempre riprendendo le parole dello studio condotto, “Dublin does not 'work' for asylum seekers and refugees” (12).

Un altro aspetto drammatico attiene al problema delle misure coercitive. Il 27 maggio del 2015 la Commissione ha presentato un Documento di lavoro, in cui si pone l'accento sull'importanza di prelevare le impronte digitali a tutti i migranti irregolari in arrivo, come richiesto dal sistema EURODAC. Si tratta di un meccanismo che consente ai Paesi membri di verificare se un richiedente asilo o cittadino straniero, che si trova illegalmente sul proprio territorio, abbia già presentato richiesta di asilo in un altro Paese membro o se un richiedente asilo sia entrato irregolarmente nel territorio dell'UE. Lo studio condotto si sofferma sui gravi quesiti etici, giuridici e pratici sollevati rispetto ai metodi adottati per l'acquisizione delle impronte digitali, invitando le istituzioni comunitarie ad assicurarsi che le procedure di raccolta delle impronte rispettino i diritti fondamentali della persona, evitando il ricorso alla coercizione tutte le volte in cui questa si mostri essere inutile. Il Relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani dei migranti, François Crépeau, ha messo in luce le possibili tensioni che il sistema EURODAC crea alle frontiere, poiché molti migranti non vogliono che vengano rilevate le proprie impronte digitali. Rapporti preoccupanti sono emersi di recente su funzionari di gestione delle frontiere, che ricorrono all'uso della forza al fine di raccogliere le impronte (13).

Di fronte alle innumerevoli criticità di cui il sistema è vittima, lo studio si chiude evocando la necessità di una revisione urgente di Dublino, in quanto trattasi di una riforma auspicata da tempo. L'alternativa a Dublino potrebbe essere quella di creare un sistema basato sul riconoscimento del diritto ai richiedenti asilo di scegliere il Paese di destinazione (Free Choice), come auspicato dal Relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani dei migranti e come ribadito da una serie di organizzazione non governative tedesche. Altre proposte alternative suggeriscono una ridistribuzione delle presenze attraverso un processo decisionale che si fondi su informazioni affidabili e di fiducia. Si tratterebbe di stabilire un meccanismo che consenta di determinare le quote di richiedenti asilo che ciascun Stato membro è chiamato ad accogliere (14). Con riguardo alla strada proposta, il filosofo Michael Sandel ha sottolineato l'esistenza di qualcosa di sgradevole nel trattare i rifugiati as a burden to be off-loaded or a revenue stream, rather than human beings in peril (15). I rifugiati verrebbero trattati come se possedessero un valore negativo e questo, nel contesto comunitario europeo, permetterebbe agli Stati membri “to buy their way out of refugee protection”, una pratica in evidente contrasto con gli impegni giuridici comuni, con il principio di lealtà al progetto comune del CEAS (sancito all'art. 4 del TUE) e con le motivazioni poste alla base del principio di solidarietà di cui all'art. 80 del TFUE.

È evidente che la proposta di ridistribuzione dovrà rispondere ad esigenze diverse, quali quella di migliorare la capacità della UE di protezione generale e di mettere fine al fenomeno dei “rifugiati in orbita”. Tutti gli Stati membri dovrebbero perseguire l'impegno di proteggere i rifugiati e a nessuno di loro dovrebbe essere consentito l'acquisto della loro uscita dall'impegno di protezione dei rifugiati. Tuttavia, si prevede un sostegno finanziario aggiuntivo, messo a disposizione a titolo di risarcimento (16) a quanti forniscano protezione al di sopra delle quote loro assegnate.

La proposta della Commissione del 27 maggio 2015, per una decisione del Consiglio di emergenza sulla delocalizzazione (17), e l'annuncio di una prossima proposta legislativa entro la fine del 2015, per l'introduzione di un “mandatory and automatically-triggered scheme” (18), rappresenterebbero un primo passo verso meccanismi di assegnazione migliori e una presa di distanza dall'ormai antiquato sistema di Dublino. Tuttavia, mentre la proposta della Commissione si è atteggiata ad atto giuridicamente vincolante, l'accordo politico raggiunto in occasione della riunione del Consiglio europeo del 25 e 26 giugno 2015 è solo per una voluntary relocation. La Commissione suggerisce che la proposta potrebbe rappresentare un blueprint for the EU's reaction to future crises (19).

A questo proposito sono stati elaborati parametri oggettivi in base ai quali la redistribuzione delle presenze deve avvenire. Si tratta di criteri che consentono di misurare il grado e la capacità di accoglienza dei singoli Stati membri, in particolare si tiene conto: della densità della popolazione (una densità demografica molto elevata potrà rendere più agevole l'integrazione dei rifugiati); del PIL totale (le grandi economie sono generalmente considerate più in grado di assumersi far fronte a maggiori pressioni migratorie). In aggiunta, vi sono fattori correttivi che riducono l'assegnazione: il numero delle domande di asilo ricevute e rimaste pendenti, i posti di reinsediamento già proposti negli ultimi 5 anni e il tasso di disoccupazione.

Stando all'analisi condotta è possibile trarre le seguenti conclusioni: la garanzia, attraverso un processo di revisione delle politiche dei visti e delle pratiche di controllo delle frontiere, di un accesso sicuro e legale per le persone bisognose di protezione internazionale, permetterebbe una maggiore distribuzione su tutto il territorio dell'UE, attenuando i problemi, oggi esistenti, di distribuzione irregolare (20); l'affermarsi del principio di reciproco riconoscimento delle decisioni positive in materia di asilo potrebbe portare ad un maggiore equilibrio e coerenza in un sistema che riflette già il riconoscimento reciproco delle decisioni negative; l'elaborazione di nuove norme in materia di trasferimento della protezione tra gli Stati membri potrebbe fornire una maggiore chiarezza e certezza giuridica in tema di la responsabilità, oltre che garantire il rispetto dei diritti, anche di libera circolazione all'interno dell'Unione, delle persone che beneficiano di protezione.

Inoltre, nella parte conclusiva dello studio condotto si auspica la creazione, da parte del Parlamento europeo, di una migrazione dell'UE, in materia di asilo e di protezione, con poteri di concedere lo status di protezione in tutta l'UE, e lo sviluppo di ulteriori metodi di monitoraggio esterno al fine di garantire il rispetto delle norme comunitarie e internazionali.

3. La nuova Direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale

Tra gli ambiti completamente riformati nell'ambito del CEAS (Sistema Europeo Comune di Asilo) si situa quello relativo alle norme di accoglienza, rifuso nella Direttiva 2013/33/UE, recepita dagli Stati membri il 20 luglio del 2015. Le disposizioni stabilite con la nuova Direttiva accoglienza, abbandonano il terreno di “norme minime” nel quale era fortemente radicata la precedente direttiva 2003/9/CE.

Ancora una volta l'intento del legislatore è quello di assicurare condizioni di accoglienza e di vita dignitose e analoghe in tutti gli Stati membri ma anche per continuare a limitare il fenomeno dei “movimenti secondari”. Principio guida che permea la norma è la parità di trattamento dei richiedenti protezione internazionale, per cui la direttiva, come precisato nei consideranda, deve essere applicata in tutte le fasi, a tutti i tipi di procedure e in tutti i luoghi e centri d'accoglienza.

In materia di misure di accoglienza, il legislatore ha mantenuto invariate le disposizioni relative alle informazioni circa i benefici e gli obblighi spettanti al richiedente (art. 5), nonché alla documentazione che lo Stato ospitante deve fornire al soggetto richiedente dopo la presentazione della domanda di protezione internazionale (art. 6). Novità importante è introdotta in seno al comma 6, ex art. 6, in cui s'impone il divieto allo Stato di “esigere documenti inutili o sproporzionati e di imporre altri requisiti amministrativi ai richiedenti prima di riconoscere loro i diritti della medesima direttiva, per il solo fatto che chiedono protezione internazionale”.

Sulla strada già percorsa dal legislatore del 2003, si ribadisce, all'art. 17, che gli Stati provvedono a che i richiedenti abbiano accesso alle condizioni materiali d'accoglienza nel momento in cui manifestano la volontà di chiedere la protezione internazionale; assicurino loro delle condizioni di vita adeguate, prestando particolare attenzione a rispondere alle esigenze delle categorie “vulnerabili”. Al comma 3, dell'art. 17, si subordina ancora una volta la concessione di tutte le condizioni materiali d'accoglienza e dell'assistenza sanitaria, o di parte delle stesse, alla condizione che i richiedenti non dispongano di mezzi sufficienti a garantire loro una qualità di vita adeguata.

La direttiva specifica le modalità in cui l'accoglienza può essere prestata nei casi in cui sia fornita in natura (art. 18), alla stregua di quanto era già stata stabilito ex art. 14 della precedente direttiva; inoltre si prevede la possibilità per gli Stati di derogare alle previsioni in materia in casi del tutto eccezionali e debitamente giustificati (art. 18, comma 9). Sono rivisitate e in parte ampliate le disposizioni a favore dei soggetti di minore età (art. 23), in particolare, oltre a riproporre il principio generale del “supremo interesse del minore”, si chiede agli Stati di assicurare loro delle adeguate condizioni di accoglienza fino a provvedere a che “i figli minori dei richiedenti e i richiedenti minori siano alloggiati assieme ai loro genitori, i fratelli minori non coniugati o gli adulti che ne abbiano la responsabilità per legge o per la prassi dello Stato membro interessato, purché sia nell'interesse superiore dei minori in questione” (art. 23, comma 5).

La Direttiva impone poi di tenere in considerazione le differenze di età e di genere e le situazioni di soggetti aventi esigenze particolari all'interno dei locali adibiti a centri di accoglienza. Una delle novità più significative della direttiva 2013/32 è la disciplina del trattenimento dei richiedenti (21). L'art. 7, comma 3, della direttiva 2003/9 si limitava ad affermare che “[o]ve risultasse necessario, ad esempio per motivi legali o di ordine pubblico, gli Stati membri possono confinare il richiedente asilo in un determinato luogo nel rispetto della legislazione nazionale”. Nella nuova direttiva, la disposizione ricordata è stata integralmente riformulata e migliorata sotto numerosi aspetti negli artt. 8 a 11. In primo luogo, si afferma l'impossibilità di trattenere una persona per il solo fatto di essere richiedente protezione. Il trattenimento può essere disposto solo se necessario, in mancanza di misure alternative altrettanto efficaci, sulla base di una valutazione individuale, solo per determinati motivi e fermo restando l'obbligo degli Stati di prevedere disposizioni alternative al trattenimento (art. 8). All'art. 10 sono fissate le modalità nel rispetto delle quali il trattenimento deve essere disposto, prevedendo la tutela di particolare esigenze di salute anche mentale nei casi in cui il trattenimento sia disposto nei confronti di persone “vulnerabili” e minori. In particolare, per i minori non accompagnati si dispone il trattenimento solo in casi eccezionali (art. 11, comma 3). È fatto il possibile affinché i minori non accompagnati trattenuti siano rilasciati il più rapidamente possibile. I minori non accompagnati non sono mai trattenuti in istituti penitenziari.

Al Capo III si elencano i casi in cui può essere disposta la revoca delle misure di accoglienza, che può cessare se la persona abbandona il centro, contravviene all'obbligo di presentarsi all'autorità o se ha presentato una domanda reiterata. Gli Stati membri, inoltre, possono ridurre o revocare le condizioni materiali di accoglienza qualora un richiedente abbia occultato risorse finanziarie, beneficiando in tal modo indebitamente delle condizioni materiali di accoglienza (art. 20, comma 3).

Il Capo IV relativo alle disposizioni a favore delle persone più vulnerabili prevede un ampliamento di questa categoria di richiedenti rispetto al testo previgente: alle persone vittime di tratta, affette da gravi malattie o disturbi mentali, alle vittime di mutilazioni genitali femminili, ai minori non accompagnati, disabili, anziani, donne in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori e persone che hanno subito qualunque tipologia di violenza.

Nei confronti dell'eventuale diniego delle misure di accoglienza o della loro revoca è prevista la possibilità di ricorrere ai mezzi d'impugnazione (Capo V); in particolare, l'art. 26, ai commi 1-3, prevede che gli Stati membri garantiscano che le decisioni relative alla concessione, alla revoca o alla riduzione di benefici ai sensi della presente direttiva che riguardano individualmente i richiedenti possano essere impugnate secondo le modalità stabilite dal diritto nazionale. Almeno in ultimo grado è garantita la possibilità di ricorso o riesame, in fatto e in diritto, dinanzi a un'autorità giurisdizionale. Nei casi di ricorso o riesame dinanzi a un'autorità giurisdizionale di cui al paragrafo 1, gli Stati membri garantiscono l'accesso gratuito all'assistenza e alla rappresentanza legali su richiesta, nella misura in cui tale assistenza e rappresentanza legali sono necessarie per garantire l'accesso effettivo alla giustizia. Ciò include, come minimo, la preparazione dei documenti procedurali necessari e la partecipazione all'udienza dinanzi alle autorità giurisdizionali a nome del richiedente. L'assistenza e la rappresentanza legali gratuite sono fornite da persone adeguatamente qualificate, autorizzate o riconosciute ai sensi del diritto nazionale, i cui interessi non contrastano o non possono potenzialmente essere in contrasto con quelli del richiedente.

Stando alla lettera della norma ne risulterebbe un sistema di accoglienza ben congegnato, se non fosse per le difficoltà pratiche di rispettare quanto la normativa prescrive. “Il rispetto del diritto di chiedere asilo implica l'istituzione di un modello di accoglienza aperto ed umano, oltre che un trattamento sicuro, dignitoso e rispettoso dei diritti del richiedente asilo”, la riflessione di António Guterres (United Nations High Commissioner for Refugees) può rappresentare il punto di partenza utile a comprendere quanto la lettera della norma sia poi disattesa nella sua applicazione concreta. Il segno distintivo del sistema di accoglienza europeo è proprio la diversità esistente tra i vari centri di accoglienza (22).

Sul ruolo e sulle caratteristiche dei centri di accoglienza dell'UE troviamo riferimenti direttamente nello studio Enhancing the common European asylum system and alternatives to Dublin, analizzato in precedenza. La denuncia del sistema di accoglienza in Italia è stata presentata anche nelle sedi internazionali ed europee, dove si è più volte mostrata preoccupazione circa la compatibilità del nostro sistema con gli standard normativi internazionali e soprattutto europei. Ciò in considerazione della limitata recettività dei centri di accoglienza così come dell'inconsistenza, nella pratica, dell'accesso alle condizioni di assistenza. Ulteriore motivo di preoccupazione riguarda le procedure per il trattamento delle domande d'asilo, e, in particolare, la mancanza, nella pratica, di un accesso effettivo alle stesse (23).

Per quanto riguarda le condizioni materiali di accoglienza dei migranti, siano o meno essi richiedenti protezione internazionale, sono di tutta evidenza le carenze nelle capacità di accoglienza del nostro Paese, sia nella prima fase dell'ingresso nel territorio, sia successivamente. La disponibilità complessiva nei CIE, CARA, CDA e nei progetti SPRAR è insufficiente soprattutto nei periodi di flussi massicci. Inoltre la situazione materiale dell'assistenza e la qualità dei servizi varia notevolmente da centro a centro e non sempre è adeguata soprattutto per quanto riguarda l'assistenza linguistica, legale e psico-sociale (24). Infine, proprio dal punto di vista organizzativo e strutturale, i centri di accoglienza sembrerebbero condividere molte caratteristiche con gli stessi “campi profughi”. Dallo studio condotto dall'UNCHR “Policy on alternatives to camps” emerge chiaramente quest'ultimo aspetto:

(...) Some forty percent of all refugees live in camps, most often because they have no alternatives. Refugee camps are diverse. They include planned or self-settled camps and settlements or other facilities, such as collective centres. Camps are locations where refugees reside and where, in most cases, host governments and humanitarian actors provide assistance and services in a centralised manner.

Si evince la drammaticità dell'ambiente in cui i rifugiati sono relegati; la caratteristica principale dei campi è quella di comportare inevitabili limitazioni all'esercizio dei diritti e al godimento delle libertà dei rifugiati, incidendo negativamente sulla capacità di quest'ultimi di fare scelte significative circa la loro stessa esistenza. Ciononostante, i governi ospitanti possono insistere sulla creazione di strutture del tipo descritto per motivi di ordine pubblico o di sicurezza, concependo gli stessi come uno strumento di miglior controllo sulla presenza e il movimento dei rifugiati e come un modo per arginare potenziali tensioni tra rifugiati e comunità locali.

Il disagio di vivere molto spesso lontani dalla comunità locale, il diniego di un diritto all'integrazione e di qualsiasi altro diritto di libertà, sono avvertiti dagli stessi rifugiati, tant'è che dallo studio condotto dall'UNCHR, sopra citato, si legge:

From the perspective of refugees, alternatives to camps means being able to exercise rights and freedoms, make meaningful choices regarding their lives and have the possibility to live with greater dignity, independence and normality as members of communities.

La denuncia circa le condizioni esogene ed endogene dei centri permea lo studio commissionato dal LIBE, in particolar modo le pessime condizioni strutturali degli ambienti adibiti a luoghi di “accoglienza”, che minano la fiducia e il potenziale per una futura integrazione. Anche quando ben gestito, infatti, il centro di prima accoglienza facilmente degenera fino a trasformarsi in un vero e proprio spazio “carcerario” o “semi-carcerario”: cibo scadente, sedi fatiscenti, strutture ricreative limitate rendono i centri inadatti a lunghe permanenze.

Oltre ad un'evidente (perché visibile da chiunque transiti nei pressi di un centro di accoglienza) situazione di degrado dei luoghi, il confinamento prolungato di gruppi eterogenei di persone produce effetti negativi sui medesimi e diviene il motore che alimenta diverse forme di attività illecite (25), che se immerse in quel contesto risultano quasi inevitabili. Non è un caso, quindi, che i centri di accoglienza siano luoghi ad alto rischio di violenza sessuale e di genere: una problematica che crea, in seno alle autorità, un forte dovere di esporre i centri medesimi a controlli esterni (26).

Allo stato attuale il sistema soffre della mancanza di un meccanismo di monitoraggio che verifichi attivamente e attentamente la rispondenza delle condizioni di accoglienza assicurate nei campi e quanto previsto ex lege. Si tratta di un sistema vittima quindi di quell'incolmabile gap che si situa troppo spesso tra teoria e prassi.

Note

1. Intervento di C. Favilli in Rivista di diritto internazionale, Reciproca fiducia. Mutuo riconoscimento e libertà di circolazione di rifugiati e richiedenti protezione internazionale nell'Unione Europea, 2015.

2. Progetto Melting Pot Europa, Il nuovo Regolamento Dublino III, 2013, Melting Pot.

3. COM 2008/820, 03.12.2008, p. 3.

4. Intervento di Ornella Feraci in Il nuovo regolamento Dublino III e la tutela dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo, Osservatoriosullefonti.it fasc. 2/2013, p. 6.

5. A tal proposito merita un'attenzione particolare la testimonianza raccolta da Chiara Peri, Responsabile dei rapporti internazionali del Centro Astalli, sulla ricerca europea del JRS (Servizio dei gesuiti per i rifugiati), nella quale è stata posta l'attenzione criticità ancora vivide nella materia relativa alla protezione internazionale dei richiedenti asilo, La protezione interrotta. Il regolamento Dublino III e il diritto d'asilo in Europa, Marzo 2013, pp. 225-236.

6. “Any reforms should bear in mind significance of avoiding coercion, in order to foster trust between asylum seekers and refugees and authorities, and to ensure that fundamental rights are respected, protected and promoted”, p. 8.

7. Lo studio condotto mette in evidenza l'impervio terreno di burocrazia che gli immigrati sono costretti a praticare per ottenere un visto d'accesso, nonché il sistema sanzionatorio che colpisce gli immigrati irregolari.

8. Si tratta di un principio ricavabile dalla stessa lettera del TFUE, art. 78, par. 2 lett. d), in base al quale le istituzioni “adottano misure relative ad un sistema europeo comune di asilo che includa: a) uno status uniforme in materia valido in tutta l'Unione (...)”. Inoltre la Commissione europea ha affermato con molta chiarezza suddetta necessità: “è opportuno elaborare nuove regole sul riconoscimento reciproco delle decisioni in materia di asilo tra gli Stati membri e un quadro per il trasferimento della protezione, in linea con l'obiettivo, previsto dal Trattato, di creare uno status uniforme valido in tutta l'Unione. Ciò ridurrebbe gli ostacoli alla circolazione interna all'UE e faciliterebbe il trasferimento dei benefici da uno Stato membro all'altro”. A questo proposito si veda Un'Europa aperta e sicura: come realizzarla, COM (2014) dell'11 marzo 2014, p. 7.

9. Introduzione di C. Favilli in Rivista di diritto internazionale, Reciproca fiducia. Mutuo riconoscimento e libertà di circolazione di rifugiati e richiedenti protezione internazionale nell'Unione Europea, 2015.

10. Lo studio propone anche un modello meno ambizioso che comporterebbe il diritto di circolare liberamente del territorio dell'UE dopo due anni di soggiorno legale e ininterrotto nello Stato membro che abbia concesso protezione.

11. Come ha sostenuto il relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani dei migranti: “a 'free choice' approach with the advantage of reducing complexity and maximizing asylum seekers' agency and trust; the possibility of decoupling disembarkation and allocation of responsibility, suspending Dublin rules vis-à-vis coastal Member States (...)”. Si veda, Study for the LIBE Committee, p. 10.

12. Si veda: Centro Astalli (a cura di), La protezione interrotta. L'impatto del Regolamento di Dublino sulla vita dei richiedenti asilo, Bruxelles, Giugno 2013.

13. F Crépeau, Rapporto del Relatore Speciale sui diritti umani dei migranti: Banking on mobility over generation: follow-up to the regional study on the management of the external borders of the EU and its impact on the human right of migrants. A / HRC / 29/36 8 maggio 2015, par. 51.

14. Si tratta di una proposta già avanzata da P.H. Schuck, in Refugee Burden-Sharing: A Modest Proposal, 22 Yale Journal of International Law 243, 1997.

15. M. Sandel, What money can't buy: the moral limits of markets, Penguin, 2013, p. 63.

16. Come precisato nello studio Enhancing the common European asylum system and alternatives to Dublin, p. 61.

17. Commissione europea, Proposta di decisione del Consiglio che istituisce misure provvisorie in materia di protezione internazionale a beneficio di Italia e Grecia, 2015/05/27.

18. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: A European Agenda on Migration, COM (2015) 240, il 13 maggio 2015, p. 5.

19. Enhancing the common European asylum system and alternatives to Dublin, p. 61.

20. Tra le possibili iniziative volte a scongiurare ingressi di irregolari da parte di cittadini di Paesi terzi si situa il piano recentemente annunciato dal governo ungherese di provvedere alla costruzione di un recinto di filo spinato per tutta la lunghezza della frontiera, tra la Serbia e l'Ungheria, proprio al fine di evitare l'attraversamento irregolare della medesima. Inoltre, secondo la Commissione europea, se si garantisse l'arrivo regolare dei richiedenti asilo, anche attraverso l'abolizione dei visti, per mezzo di voli normali o traghetti, non solo si ridurrebbe il tasso di mortalità ma anche il costo del viaggio subirebbe un esponenziale ribasso. In questo modo, infatti, queste persone sarebbero in grado di sostenere se stesse, almeno nella permanenza iniziale, con quello stesso denaro che, in caso di traversate irregolari, avrebbero dovuto corrispondere ai contrabbandieri.

21. Intervento di G. Morgese in Diritto, immigrazione e cittadinanza XV, La riforma del sistema europeo comune di asilo e i suoi principali riflessi nell'ordinamento italiano, 2013, pp. 25-26.

22. L'elemento di diversità caratterizzante i centri di accoglienza dei vari Stati membri è risultato da uno studio condotto nel 2013 in seno ad un più ampio progetto di ricerca a livello comunitario facente capo alla rete European Migration Network (EMN).

23. P. Mori, Profili problematici dell'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale in Italia, Diritto dell'Unione Europea (Il), fasc.1, 2014, p. 127.

24. Ibidem.

25. A. Szczepanikova, Between control and assistance: the problem of European accommodation centres for asylum seekers, International Migration, 2013, pp. 130-143.

26. Stando alle recenti notizie di cronaca (si veda la fuga dal CARA di Bari nel gennaio del 2015), ad una misera esperienza personale oltre che alle cifre di migranti sfuggiti al controllo alla frontiera e all'identificazione, occorre porre un interrogativo sull'utilità e soprattutto l'effettività di questi controlli. Non sono mancate, infatti, negli ultimi anni, fughe d'ingenti gruppi di persone dai centri. Un controllo inefficiente? Un'accoglienza mancata? La cosa certa è che queste fughe, non sporadiche, rappresentano la volontà dei migranti di volersi sottrarre ad un sistema che mal si congegna al termine “accoglienza”.