ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo I
Il diritto d'asilo

Angela Suprano, 2016

1. Premessa

Il concetto di "asilo" presenta origini antichissime, tali da aver quasi accompagnato per intero il percorso compiuto dal genere umano. Non si tratta di una creazione ex novo del diritto internazionale e/o comunitario, al contrario, si lega direttamente alla condizione di chi, percependo il pericolo per la propria incolumità e integrità fisica, chiede protezione presso un luogo che preservi la sua stessa vita (1).

Volendo cominciare dall'analisi etimologica, si potrebbe dire che il termine asilo affonda le sue radici linguistico-culturali nella tradizione greca: è composto dalla particella privativa α- seguita dal sostantivo συλον, con cui si era soliti indicare l'azione predatoria dei pirati e, in seguito, qualsiasi offesa arrecata a cose o persone.

Si può risalire molto lontani nel tempo per cercare una definizione dell'istituto giuridico dell'asilo, dei diversi modi di intendere l'asilo, le diverse tipologie, i limiti. L'evoluzione storica mostra come due nozioni si siano sempre prospettate e mantenute fino a oggi, seppur con connotazioni diverse. A una concezione religiosa-sociale del luogo che rendeva lo stesso inviolabile o immune, si contrapponeva il riconoscimento di privilegi concessi alla persona: si distingueva, così, nel diritto greco, l'"asilo" che s'identificava nel luogo sicuro in cui poter trovare protezione e riparo, e il "diritto d'asilo", inteso come privilegi personali concessi alle persone, stranieri o cittadini di comunità alleate, che avessero particolari meriti o pubblica considerazione. I privilegi più rilevanti erano la libertà personale e la possibilità di agire in giudizio per difendere i propri diritti (2).

In particolare, nell'idea di "protezione" e "immunità" si radica la forte valenza religiosa di cui il concetto era intriso. Quest'ultimo, infatti, è nato e per molti secoli si è sviluppato come fenomeno fondato sulle credenze religiose (3), per cui il luogo sicuro tendeva a coincidere con il luogo sacro ed era questa stessa sacralità a garantirne l'inviolabilità, poiché la violazione di detto sito si sarebbe configurata come violazione delle regole degli dei. Non è un caso che per tutta l'antichità, il tempio (4) sia stato il luogo che offriva asilo per antonomasia.

Solo con il consolidarsi degli Stati europei s'inizia a parlare di un vero e proprio "asilo territoriale", che trova la sua matrice nel carattere sacro e inviolabile attribuito dalle comunità al confine del proprio territorio e nell'esigenza di garantire l'incolumità dello straniero che ivi si rifugi contro le eventuali pretese punitive di un altro Stato.

Saranno gli eventi storico-giuridici del XVI-XVII (5) sec. ad operare una considerevole evoluzione del diritto d'asilo, trasformandolo da fenomeno di fatto a vero e proprio istituto giuridico. Indicativi del passaggio dall'originario asilo canonico a quello politico sono: l'art. 2 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (1789), che colloca tra i diritti inviolabili la résistance all'oppression e l'art. 120 della Costituzione francese del 1793, che afferma: "Il popolo francese dà asilo agli stranieri banditi dalla loro patria per la causa della loro libertà".

Il nuovo concetto di asilo è, quindi, figlio della Rivoluzione francese e della Costituzione repubblicana del 1793 (6).

A seguito delle grandi migrazioni che segnarono l'inizio del XX sec., noto come il secolo dei rifugiati, la generale spontaneità dell'accoglienza del richiedente asilo inizia ad assumere caratteri del tutto nuovi.

Nato come forma di accoglienza e ospitalità nella tradizione dei popoli nomadi, divenuto poi istituzione religiosa nella tradizione cristiana e quindi prerogativa del sovrano, l'asilo ha perso i suoi connotati puramente religiosi, entrando definitivamente nella storia del diritto secolare e del diritto internazionale. Da termine topografico - che denotava un luogo di rifugio - la parola "asilo" giunge finalmente a significare una istituzione e soprattutto un concetto giuridico che, nel corso del Novecento, ha trovato adeguata collocazione non solo negli strumenti internazionali - relativi ai rifugiati - elaborati nel periodo tra le due guerre mondiali e in quello successivo alla fine della seconda (specie in quest'ultimo periodo, sotto la spinta propulsiva ideale della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948 e del suo Art. 14: "Ogni individuo ha diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni"), ma anche nelle Costituzioni o Leggi sugli stranieri di vari Stati, europei e non (7).

Dall'asilo "nella storia" stiamo dunque passando all'asilo "nel diritto internazionale".

Fedele portavoce di quest'opera di trasformazione verso una dimensione più giuridica dell'asilo è, senz'altro, la Convenzione di Ginevra del 1951.

2. Il diritto d'asilo nel panorama internazionale: diritto per gli Stati o per gli stranieri?

Le stesse origini storiche del diritto d'asilo ne hanno fatto, in primo luogo, oggetto di materia internazionale, quindi la sua trattazione non può, in alcun modo, prescindere dalla definizione attribuitagli in quest'ambito.

Nel panorama del diritto internazionale, il diritto d'asilo assume una duplice sfumatura. Si parla, infatti, di asilo territoriale (8) e di asilo extraterritoriale (9) o diplomatico. Con la prima accezione si suole far riferimento al potere dello Stato di accordare protezione, permanente o temporanea, entro il proprio territorio, a coloro che siano fuggiti dal proprio Paese perché perseguitati. Il concetto di asilo territoriale rinviene la propria base giuridica proprio nel territorio e si sviluppa di pari passo con l'idea dello Stato di diritto. Questo a riprendere il fatto che l'istituto dell'asilo nella sua dimensione territoriale fosse già praticato in contemporanea con lo sviluppo delle prime organizzazioni assimilabili, per certi versi, ai moderni Stati di diritto (10).

L'asilo extraterritoriale o diplomatico, invece, si realizza quando uno Stato accoglie presso le proprie delegazioni o ambasciate, situate nel territorio di altri Stati, individui perseguiti o ricercati in tali territori. L'accoglienza e la protezione, in quest'ultimo caso, sono assicurate al di fuori della sfera territoriale dello Stato che le concede.

Malgrado la volontà di affermare l'unitarietà del concetto, quest'ultimo appare influenzato da una pluralità di regole, sviluppate su vari livelli di normazione, che incidono, necessariamente, sulla concezione e sul significato dell'istituto.

Tuttavia, è importante ricordare che nel panorama del diritto internazionale il riconoscimento del diritto d'asilo sembra poggiare su due presupposti di fondamentale importanza: la piena libertà dello Stato di concedere tale beneficio e l'assenza, da parte di chi lo reclama, di un diritto soggettivo ad ottenerlo (11). Infatti, sebbene la comunità internazionale abbia mostrato, anche a seguito dei risvolti storico-politici del secondo dopoguerra, una maggiore sensibilizzazione nei confronti della materia, questa dicotomia esistente tra la facoltà degli Stati di concedere asilo e l'inesistenza di un diritto soggettivo dell'individuo ad ottenerlo, permea anche la formulazione ex art. 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (12). Nella disposizione di specie si riconosce a chi è perseguitato il diritto di godere (to enjoy) asilo senza che questo si traduca espressamente in un diritto soggettivo dell'individuo. La formulazione conclusiva della norma citata è frutto di un compromesso tra gli Stati e della volontà degli stessi di conservare un margine di discrezionalità nella definizione della materia, quale diretto corollario del principio di sovranità nazionale. Il testo originario della disposizione, infatti, garantiva simultaneamente non solo il diritto di richiedere asilo ma anche quello di vedere accolta la propria richiesta (everyone has the right to seek and to be granted, in other countries, asylum for persecution).

Anche negli anni successivi la materia dell'asilo ha continuato ad essere, sul piano internazionale, al centro del dibattito e del negoziato tra gli Stati. La volontà manifestata da alcuni di riconoscere l'asilo quale diritto fondamentale dell'essere umano ha trovato l'opposizione di quegli Stati che mal sopportavano l'idea di una compressione della propria sovranità. Era questa una posizione argomentata con il rischio che il riconoscimento dell'asilo quale diritto soggettivo dell'uomo avrebbe contribuito all'ingresso legale nel territorio dello Stato di "spie e fomentatori" (13).

Neppure la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 (14) è stata determinante in questi termini, sebbene essa costituisca lo strumento pattizio di più ampia partecipazione tra quelli che limitano le facoltà degli Stati di riconoscere il diritto di asilo. In modo particolare, tali limiti derivano dalle disposizioni agli artt. 31, 32 e 33 della Convenzione.

In seno alla disposizione ex art. 31 (15) si pone il principio per cui l'ingresso illegale sul territorio dello Stato non si configuri come motivo ostativo alla presentazione della domanda per il riconoscimento dello status di protezione internazionale, purché il soggetto provenga direttamente dal Paese in cui ha subito persecuzioni e si presenti senza indugio all'autorità di polizia competente.

L'art. 32 prevede un limite ai poteri statali in tema di espulsione e si applica esclusivamente a coloro cui sia già stato riconosciuto lo status di rifugiato, per cui l'espulsione è ammessa soltanto per comprovati motivi ed esigenze di ordine pubblico e sicurezza nazionale. Sono assicurate al soggetto destinatario di un provvedimento di espulsione tutta una serie di garanzie di ordine procedurale (16).

Per ultimo, non per ordine d'importanza, è il principio enucleato nella disposizione ex art. 33, che si sostanzia nel divieto di refoulement (17). Si tratta di un principio che include il divieto di espulsione, estradizione e respingimento alla frontiera (in any manner whatsoever) dello straniero verso paesi nei quali la sua vita o la sua libertà possano essere minacciate per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche.

Tuttavia, dal tenore letterale della disposizione e dalle considerazioni che ne hanno preceduta l'attuazione, si deduce la mancanza di un diritto in capo allo straniero di ingresso nel territorio, in quanto, se tale diritto esistesse, la disposizione ex art. 33 non troverebbe mai applicazione. Nonostante la lettura proposta, gli Stati hanno da sempre conferito al dettato ex art. 33 una lettura estensiva e, anche se non gravati da un vero e proprio obbligo di ammettere nel proprio territorio lo straniero (18), una volta che questi si trovi materialmente in uno degli Stati membri, incombe sullo Stato stesso tutta una serie di obblighi, volti ad assicurare un trattamento decoroso e dignitoso al rifugiato: l'obbligo di consentire l'accesso alla procedura per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, di garantire la permanenza sul proprio territorio e il relativo accesso a tutta una serie di diritti a chi abbia ottenuto lo status. È fatta salva la possibilità prevista nel citato art. 32, dello Stato ospitante di adire la procedura per l'espulsione laddove ricorrano motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico.

3. Verso una definizione di rifugiato: dalla Dichiarazione del '48 alla Convenzione di Ginevra 1951

La Convenzione di Ginevra è il risultato di un lungo cammino e di una lenta evoluzione che hanno interessato i diritti umani. Pietra miliare per la crescita della consapevolezza dei diritti umani è la Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1948, che ha enucleato i principi poi ripresi dalla stessa Convenzione nel 1951. Essa affonda le proprie radici nella Declaration of Rights delle colonie nordamericane (1774) e nella Déclaration francese del 1789. Obiettivo primario della Dichiarazione del '48 era influenzare, guidare e dirigere le politiche degli Stati in una prospettiva rivolta a far acquisire rilevanza ai diritti dell'uomo e ad imprimervi carattere universale. Malgrado l'obiettivo raggiunto, si è trattato di un atto mai investito di valore vincolante e questo ha determinato l'impellente bisogno di giungere alla creazione di uno strumento di larga adesione, che vincolasse giuridicamente gli Stati e rappresentasse un elemento di protezione internazionale più efficace dei precedenti. Il 28 luglio del 1951 a Ginevra, con la stesura della Convenzione di Ginevra, entrata in vigore nel 1954, gli Stati firmatari hanno cercato di porre rimedio a tale lacuna. Si tratta di un sistema, infatti, quello delineato dalla Convenzione di Ginevra, articolato in 7 capitoli per un totale di 46 articoli e rivolto verso finalità di natura umanitaria, ampiamente rievocate nel preambolo, in cui si fa espresso rinvio ai principi richiamati nella Carta delle Nazioni Unite e nella Dichiarazione universale.

Nella stesura della Carta, gli Stati firmatari hanno dibattuto a lungo sulla necessità di adottare una definizione di rifugiato, manifestando, sin da subito, due orientamenti: da un lato, la volontà di limitare geograficamente l'azione della protezione internazionale ai soli fatti accaduti in Europa, al fine di arginare l'eventualità di una definizione troppo ampia di "rifugiato", che avrebbe potuto determinare l'insorgere di obblighi giuridici imprevedibili per gli Stati; dall'altro, una propensione ad estendere la protezione internazionale ai rifugiati perseguitati in Europa e altrove (19).

Il risultato cui gli Stati sono approdati, oggi cristallizzato in seno alla disposizione ex art. 1 A par. 2, è quindi frutto di un significativo compromesso, per cui è rifugiato chi:

per causa di avvenimenti anteriori al 1º gennaio 1951 e nel giustificato timore d'essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza ad un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato cui possiede la cittadinanza e non può, o per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure (...) chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori del suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per timore sopra indicato, non vuole ritornarvi.

Il limite temporale posto dalla Convenzione è da intendersi come assoluto, mentre si rimette alla volontà degli Stati contraenti la scelta, al momento della ratifica, di applicare una riserva geografica e quindi limitare la protezione ai soli avvenimenti "verificatisi in Europa", oppure di non ricorre alla riserva ed "estendere la protezione anche a fatti verificatisi altrove" (20).

La Convenzione delle Nazioni Unite del 1951, spesso definita la Magna Charta dei rifugiati, incarna la volontà di voler stabilire un codice dei diritti dei rifugiati già a partire dalla definizione della condizione di rifugiato, che sussiste al verificarsi, contestualmente, di una serie di requisiti oggettivi e soggettivi: il soggetto deve trovarsi al di fuori dal confine del Paese di cui è cittadino, non si richiede che il soggetto abbia già raggiunto i confini di uno Stato, mentre è necessario che il cittadino abbia "fondato timore di essere perseguitato". Si tratta quest'ultimo, di un requisito di difficile determinazione, considerata anche la mancata specificazione, nel testo della Convenzione, del concetto di persecuzione. La condizione di soggetto perseguitato è un concetto dai confini labili e incerti, e questo giustifica la previsione delle cause che devono motivarla: "motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinioni politiche". Tuttavia, nel concetto di persecuzione sembrerebbero ricomprese non solo fattispecie quali lesioni del diritto alla vita o alla libertà personale, ma anche altre violazioni dei diritti umani, che, se analizzate nel loro complesso, potrebbero determinare una condizione di persecuzione. Si tratta di un concetto avente natura composita, nel senso di una contestuale presenza da un lato di un rischio effettivo per la persona di subire un serio pregiudizio per la propria integrità e dall'altro richiama una garanzia dei diritti fondamentali consolidati nell'ordinamento giuridico internazionale contemporaneo, che si realizza adottando tutte le misure volte ad impedire suddette violazioni.

Rispetto all'espressione fondato timore, non si richiede come necessario l'aver subito persecuzioni, poiché è sufficiente che esse siano temute sulla base di presupposti oggettivi che giustifichino tale possibilità. Il timore può riguardare non solo singoli soggetti, potendo estendersi fino a interessare una generalità di persone, purché motivato dalle cause sopra elencate. In quest'ultimo caso la fondatezza del timore di essere perseguitato può sussistere anche in modo presuntivo, avendo riguardo della situazione economico-politica del Paese d'origini e delle condizioni ambientali di provenienza (21).

L'art. 1 elenca, in seno alle lett. D, E, ed F , le clausole di esclusione (22) di applicazione della Convenzione a particolare categorie di soggetti.

La Convenzione si occupa anche di definire alcune "clausole di cessazione" (23) dello status di rifugiato convenzionale.

Ne deriva evidentemente un sistema che lungi dal riconoscere un vero e proprio "diritto di asilo", si limita a disciplinare il regime giuridico applicabile a chi ha ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato (24).

Sebbene la Convenzione di Ginevra abbia segnato una svolta in materia di rifugiati, sconta il limite di apporre limitazioni geografiche e temporali tali da renderla inadeguata a dare risoluzione ai problemi di milioni di profughi. La presenza di suddetti limiti è stata sopperita, nel 1969, dalla Convenzione che ha regolato gli aspetti specifici dei problemi in Africa, elaborata dall'Organizzazione per l'unità africana e, nel 1984, dalla Dichiarazione di Cartagena. La prima ripresenta il principio di non-refoulement, stabilendo un principio di burden sharing, per cui ogni Stato ha la possibilità di adire gli altri qualora la pressione dei rifugiati divenga troppo gravosa da essere garantita singolarmente. La Dichiarazione del 1984, invece, deve la sua nascita alla crisi dei rifugiati che ha interessato l'America centrale in questi stessi anni. Essa ha contribuito ad estendere la definizione di rifugiato, presente nella Convenzione di Ginevra, a coloro che fuggono dal proprio Paese "perché la loro vita, la loro sicurezza, la loro liberta è minacciata da violenze generalizzate, un'aggressione straniera, un conflitto interno, massicce violazioni dei diritti umani o altre gravi turbative dell'ordine pubblico".

4. Diritto di asilo e status di rifugiato: un rapporto tra genus e species

Sebbene si presentino come due istituti strettamente connessi, il diritto d'asilo e il concetto di rifugiato si pongono tra loro in un rapporto di genus e species (25). Basti considerare che la categoria dei legittimati a richiedere asilo è notevolmente più ampia rispetto a quella di chi ha il diritto ad assumere lo status di rifugiato. Inoltre, distinzione chiave è quella rappresentata dalle fonti che disciplinano i due istituti. Quando ci si occupa dei rifugiati il riferimento normativo è alla Convenzione di Ginevra del 1951 e successive integrazioni. Nel combinato disposto degli artt. 1-33 si situa la definizione di "rifugiato", che ha inevitabilmente comportato una delimitazione di suddetta categoria fino ad escludere molte persone in cerca di protezione, ma non dotate dei mezzi sufficienti per dimostrare, ad esempio, di essere state vittime di persecuzione. Per tutti gli altri soggetti che richiedono protezione da parte di uno Stato diverso da quello d'origine e che si vedano esclusi dalla possibilità di ottenerla sulla base dei parametri stabiliti dalle Convenzione di Ginevra, si adottano delle soluzioni ad hoc, basate su provvedimenti di carattere umanitario. Gli Stati, quindi, accolgono queste persone nel proprio territorio e concedono loro asilo territoriale.

Nella Convenzione, in realtà, non sono presenti disposizioni atte a disciplinare l'istituto del diritto d'asilo e questa scelta è stata dettata dalla volontà di evitare un carico giuridico eccessivo per gli Stati, quale sarebbe stato, se fosse stato loro imposto di concedere protezione a chiunque ne avesse fatta richiesta.

A livello internazionale non esiste, quindi, un vero e proprio regime sul diritto di asilo e a tale lacuna non pone rimedio neppure la Dichiarazione sull'asilo territoriale, approvata dall'Assemblea delle Nazioni Unite il 14 dicembre del 1967, che, seppur non vincolante, ha avuto il merito di estendere il principio di non-refoulement del richiedente asilo di uno Stato che non rispetti i diritti umani fondamentali o nel quale il soggetto tema di subire torture o persecuzioni.

Mancando una disciplina internazionale sull'asilo, molto spesso si tende a definire l'istituto attraverso l'utilizzo dei tratti che differenzino lo status di richiedente asilo da quello di rifugiato: ad esempio, rispetto alla posizione dello Stato ospitante, che nel caso dell'asilo lo "concede", ma, se siano soddisfatti i parametri della Convenzione di Ginevra sul rifugiato, sullo Stato grava l'obbligo di riconoscere lo status di rifugiato.

La concessione dell'asilo è, in ogni caso, rimessa alla discrezionalità di cui lo Stato dispone nell'ambito dell'esercizio della propria sovranità territoriale, salvo la possibilità di subire, quest'ultima, parziali limitazioni per opera di una volontaria adesione dello Stato a specifici accordi. Gli Stati, inoltre, possono prevedere due procedure distinte, una per la concessione dell'asilo e l'altra per il riconoscimento dello status di rifugiato, ai sensi delle disposizioni della Convenzione di Ginevra. Laddove lo Stato non volesse distinguere le due procedure, potrò concedere l'asilo sulla base dei criteri previsti dalla Convenzione (26).

La Dichiarazione sull'asilo territoriale del 1967 ha statuito che "compete allo Stato che concede asilo definire le cause che lo motivano", rilevando il valore umanitario insito nella concessione dell'asilo, come si evince nel preambolo della Dichiarazione stessa. La concessione dell'asilo si configura come una sorta di denuncia del modus operandi dello Stato di origine e per questo è necessario che lo Stato concedente accerti, con attenzione, che nel Paese di origine sussistano delle circostanze tali da far ritenere fondato ogni timore di persecuzione.

L'aumento dei flussi migratori, aventi quale meta l'Europa occidentale, ha complicato la procedura prevista per il riconoscimento dell'asilo, fino a ricondurre la disciplina dell'accoglienza nel più ampio quadro del trattamento dello straniero.

La Convenzione di Ginevra si mostra in tutta la sua fragilità e incompletezza, legate soprattutto al condizionamento esercitato dal periodo storico in cui è stata adottata; si tratta di uno strumento che volge lo sguardo al passato e per questo motivo mal si conforma alle nuove esigenze e problematiche del presente (27).

5. Il Protocollo di New York e la Dichiarazione sull'asilo territoriale

I limiti caratterizzanti la Convenzione di Ginevra hanno portato l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite, verso la metà degli anni '60, a ricercare soluzioni in grado di adeguare i principi della Convenzione alle nuove esigenze internazionali (28). Il risultato di questa ricerca è stato rappresentato dalla stipula di un nuovo accordo internazionale: il Protocollo di New York. Si è trattato di un accordo integrativo della Convenzione per gli Stati firmatari della stessa, mentre, per gli Stati che non vi avevano aderito, il protocollo ha rappresentato un vero e proprio accordo autonomo.

Tra gli interventi più significativi, l'eliminazione definitiva del parametro temporale inserito dalla Convenzione di Ginevra è il più rilevante, mentre si fanno salve le limitazioni geografiche di cui si erano avvalsi alcuni degli Stati firmatari della Convenzione.

Il Protocollo del 1967, ancora una volta, non si pronuncia sul diritto di asilo come diritto del soggetto a fare ingresso o soggiornare nel territorio dello Stato diverso da quello di appartenenza. A tale lacuna ha cercato di porre rimedio, almeno in parte, la Dichiarazione sull'asilo territoriale attraverso l'individuazione dei principi cui gli Stati debbano attenersi ai fini della concessione dell'asilo. La Dichiarazione, quindi, non ha istituito né obblighi né diritti giuridici internazionali e, ancora una volta, il nucleo centrale continua a essere rappresentato dal principio di non-refoulement, che sembra assumere nella Dichiarazione i tratti di un vero e proprio dovere per gli Stati, pur sempre rimesso alla discrezionalità di questi ultimi.

L'atto di concessione dell'asilo continua ad avere natura umanitaria e non certamente politica (29). È quanto si evince in seno alla disposizione ex art. 1 della Dichiarazione:

1. L'asilo è garantito da uno Stato, nell'esercizio della sua sovranità, alle persone che hanno il diritto di invocare l'articolo 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, tra cui anche le persone che lottano contro il colonialismo, deve essere rispettato da tutti gli altri Stati. 2. Il diritto di cercare e di godere dell'asilo non deve essere invocato da quelle persone rispetto alle quali ci sono fondate ragioni per credere che abbiano commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l'umanità, ai sensi degli strumenti internazionali elaborati per prevedere disposizioni relative a tali crimini. 3. Compete allo Stato che garantisce il diritto d'asilo la valutazione delle ragioni per il riconoscimento dello stesso.

Nella disposizione in esame si evince la continuità della Dichiarazione rispetto tanto al Protocollo di New York quanto alla Convenzione di Ginevra, in quanto il diritto di asilo continua ad essere modulato sulle disposizioni previste in materia di rifugiati.

La ricognizione delle fonti in materia di diritto internazionale ci mostra quanto l'affermazione del diritto di asilo sia ancorata, in gran parte, all'esercizio della sovranità da parte di ciascuno Stato, salvo per quel nucleo "irrinunciabile" che si materializza nel principio di non-refoulement.

6. L'azione Europea in materia di asilo

I numerosi conflitti abbattutisi in varie zone del mondo, l'intensificarsi del sistema delle comunicazioni e dei trasporti, l'aumento considerevole dei flussi migratori, sono tra le maggiori cause che, verso la metà degli anni '80, hanno spinto gli Stati verso una nuova forma di cooperazione europea in materia di asilo.

La fuga di milioni di persone verso l'Europa ha conosciuto in questi anni un notevole processo d'incremento, soprattutto dei "flussi misti", cioè l'insieme di rifugiati e altre categorie di migranti, portando ad una crescita esponenziale delle domande di asilo. Sono questi i fattori che hanno reso necessaria l'elaborazione di nuove e più efficaci politiche sull'asilo. I primi interventi hanno, infatti, riguardato il ruolo dell'Europa in tema di asilo e si sono orientati verso il coordinamento delle politiche d'immigrazione e asilo, in modo da rafforzare la sicurezza nei confini esterni della Comunità ed evitare flussi incontrollati. È stata avvertita la necessità di procedere verso una maggiore integrazione politica, sociale e giuridica degli Stati membri dell'Unione sulla materia dell'asilo, malgrado, questo continui ad essere un obiettivo che si scontra con l'assunto per cui malvolentieri gli Stati membri accettano compromessi rispetto al principio di sovranità territoriale.

Il percorso intrapreso dall'Unione Europea in materia di asilo affonda le sue radici nella Convenzione di Schengen del giugno del 1990. La Convenzione, in realtà, persegue lo scopo di conciliare libertà di movimento e sicurezza nazionale e di combattere l'immigrazione illegale, il terrorismo e la criminalità organizzata. Il tema legato dell'asilo e dei rifugiati non si situa tra i fini ultimi della Convenzione, tuttavia, la creazione dell'Espace Schengen, ove circolare liberamente, ha inevitabilmente ricondotto tra i temi della Convenzione anche la materia dell'immigrazione e dell'asilo, a cui sono dedicate le disposizioni di cui al Capitolo VII, in cui sono individuati i criteri per la determinazione dello Stato competente all'esame della domanda di asilo. In particolare, la Convenzione stabilisce che competente ad esaminare la richiesta di asilo è lo Stato che abbia rilasciato un visto o un titolo di soggiorno e, nei casi in cui più Stati rispondano a suddetti requisiti, la competenza è demandata allo Stato che abbia rilasciato il titolo di soggiorno con durata maggiore, al fine di impedire la simultanea presentazione di più domande. Corollario evidente di questo meccanismo è l'assenza di un diritto in capo al richiedente di poter scegliere liberamente il Paese cui chiedere protezione, così come chiarito in seno agli artt. 30 e 35 della Convenzione, in cui sono elencati i criteri cui gli Stati debbono rispondere per poter prendere in considerazione la domanda di asilo.

Le disposizioni contenute nella Convenzione di Schengen in materia di asilo sono state enucleate nella Convenzione di Dublino, sottoscritta dagli stati membri dell'UE il 15 giugno 1990, nella capitale irlandese. La Convenzione è entrata in vigore il 1 settembre 1990 per i 12 stati firmatari (Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Regno Unito), il 1 ottobre 1997 per Austria e Svezia ed il 1 gennaio 1998 per la Finlandia. Di recente è stata estesa anche ad alcuni paesi al di fuori dell'Unione, come la Svizzera. È un regolamento nato principalmente dalla volontà degli Stati di impedire agli immigrati la presentazione contestuale e consecutiva di più domande in più Stati membri (fenomeno dell'asylum shopping) e di ridurre il numero degli immigrati in orbita, cioè di coloro che vengono trasportati da uno Stato all'altro in attesa che uno di essi si dichiari competente ed emani un apposito provvedimento.

La Convenzione fissa, in base a criteri oggettivi, le competenze degli Stati membri concernenti il trattamento delle domande d'asilo (artt. 5-8 della Convenzione) e garantisce che, nell'intero "spazio di Dublino", un unico Paese sia competente per il trattamento di una determinata domanda. Dal 2001, l'Islanda e la Norvegia (Stati non membri dell'UE) si sono associati a questo sistema.

Il sistema delineato dalla Convenzione del '90 non perseguiva certamente lo scopo di ottenere un'equa distribuzione delle domande d'asilo ai sensi di un principio solidarista, ma si voleva impedire al richiedente di presentare domanda al Paese, che, per motivi diversi, fosse maggiormente privilegiato.

La Convenzione, quindi, fissa parametri e linee guida scevri da qualsiasi analisi soggettiva della domanda di asilo, determinando l'insorgere di potenziali meccanismi discriminatori ai danni di soggetti che, seppur ugualmente bisognosi di protezione, diventano destinatari di trattamenti differenti e opposti.

7. Il trattato di Amsterdam

Entrato in vigore il 1º maggio del 1999, il Trattato di Amsterdam ha avuto il merito di aver posto le basi per la "comunitarizzazione" della materia dell'asilo, trasferendo la disciplina dell'immigrazione e dell'asilo dal terzo al primo Pilastro del TFU (30) (di competenza non più intergovernativa ma comunitaria).

Obiettivo principale era "conservare e sviluppare l'Unione quale spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui si assicura la libera circolazione delle persone, insieme a misure appropriate per quanto concerne l'immigrazione, l'asilo, i controlli alle frontiere, la prevenzione e la lotta alla criminalità".

Fulcro del Trattato è il nuovo Titolo IV "Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone", specificatamente dedito alla materia dell'attraversamento delle frontiere interne ed esterne dell'Unione, di asilo, di cooperazione amministrativa in materia civile, restando esclusa la cooperazione di polizia e la cooperazione in materia penale (parte del Terzo Pilastro e oggetto di accordi intergovernativi).

In particolar modo, la disposizione ex art. 63 è dedicata precipuamente all'asilo ed interviene nei settori dedicati ai criteri e meccanismi per la determinazione dello Stato competente per l'esame della domanda di asilo, alle norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri, alle procedure applicabili dagli stati membri per la concessione o revoca dello status di rifugiato.

Benché sia risultata evidente la ritrosia degli Stati ad abbandonare definitivamente le loro prerogative e i loro ruoli in materia, il titolo IV del Trattato di Amsterdam ha rappresentato un passo in avanti verso la creazione di un sistema comune di asilo (CEAS). All'art. 64 del trattato si prevede che il contenuto del Titolo IV "non osta all'esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell'ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna".

Tuttavia, l'obiettivo di giungere ad una politica comune dell'asilo, fondata su basi umanitarie e antidiscriminatorie, risulta essere fortemente ridimensionata in particolare da quanto disposto in seno al Protocollo, nº 29 del'97 annesso al Trattato i Amsterdam. Esso concerne la disciplina delle domande di asilo presentate da cittadini di Stati membri dell'Unione ad altri Stati dell'Unione e stabilisce, sulla base della dottrina dei "Paesi di origine sicuri", l'infondatezza di una domanda di asilo di questo tipo in quanto trattasi di Stati che, dato il livello di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, debbono considerarsi reciprocamente "Paesi di origine sicuri". Il principio così espresso si traduce in una sostanziale privazione per i cittadini degli Stati europei del diritto di chiedere asilo (31), ponendosi in netto contrasto con la disposizione di cui all'art. 3 della Convenzione di Ginevra, per cui le norme si applicano indipendentemente dal Paese di provenienza e con il Protocollo di New York del '67, che vieta ogni sorta di limitazione geografica.

Dal Trattato di Amsterdam derivano i piani quinquennali di Tampere (1999-2004), dell'Aja (2004-2009) e di Stoccolma (2009-2014) che tracciano la cosiddetta road map del diritto d'asilo in ambito comunitario.

8. Il cammino verso la creazione di un sistema comune di asilo continua (CEAS): la prima fase 1999-2005

Le linee guida delineate nel Piano d'azione, adottato all'indomani del Trattato di Amsterdam, sono state sviluppate a partire dal vertice di Tampere del 15 e 16 ottobre del 1999. Obiettivo finale del vertice era la realizzazione di un regime comune europeo in materia di asilo (CEAS) attraverso la definizione di principi e priorità e di giungere, entro cinque anni, alla realizzazione di una vera e propria opera di "comunitarizzazione" delle questioni riguardanti l'asilo e l'immigrazione, ai sensi di quanto stabilito dal Trattato di Amsterdam.

I governi degli Stati membri, a tal proposito, hanno individuato due fasi di intervento: la prima, di durata quinquennale, avente lo scopo di armonizzare i regimi interni dei Paesi membri, fissando standard comuni di disciplina; la seconda prevedeva la creazione di un sistema comune europeo del diritto di asilo attraverso l'impiego di una procedura e status univoci e validi in tutto il territorio dell'Unione.

Sono stati tracciati obiettivi di grande rilevanza, che hanno mostrato la volontà degli Stati di adottare un nuovo approccio rispetto ai fenomeni dell'immigrazione e dell'asilo, in un'ottica di collaborazione con i Paesi d'origine al fine di prendere misure atte a gestire più efficacemente i flussi migratori.

In realtà, gli obiettivi posti a Tampere si sono scontrati con le politiche di deterrenza e chiusura degli Stati membri che hanno mostrato, ancora una volta, la loro piena diffidenza verso un'opera di modifica del proprio sistema d'asilo interno. Il risultato è stato la "comunitarizzazione di ogni singolo egoismo nazionale" (32) che ha finito per giungere all'adozione di standard restrittivi anche da parte di quegli Stati che avevano privilegiato politiche di apertura.

Tuttavia, questo non ha impedito il raggiungimento di alcuni risultati significativi tra cui sicuramente l'istituzione del Fondo europeo per i rifugiati (FER) (33), avente lo scopo di sostenere finanziariamente gli Stati membri, al fine di migliorare le strutture di accoglienza, rimpatriare quanti volessero tornare nel proprio Paese d'origine. Altra novità importante è stata rappresentata dalla direttiva 55/2001/CE in tema di protezione temporanea, intesa quale procedura di carattere eccezionale ricorribile quando vi sia un afflusso di massa di persone provenienti da Stati terzi che non possono far ritorno nel proprio Paese e, contestualmente, il riconoscimento loro del diritto di asilo non sia adeguato a fronteggiare l'emergenza.

9. La Direttiva 2003/9/CE: norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri

In seguito al vertice di Tampere, tra gli interventi maggiormente rilevanti si situa il processo di armonizzazione di norme minime in materia di accoglienza, al fine di offrire ai richiedenti asilo condizioni di vita standard in tutto il territorio dell'Unione Europea, arginando l'eventualità di massicci flussi di asilanti da un Paese all'altro, determinati dai differenti trattamenti previsti nei diversi Stati ospitanti.

Emblema di questo processo è rappresentato a livello normativo dalla direttiva n. 2003/9/CE che in seno all'art. 1 dispone norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. È questo il riferimento normativo cui gli Stati membri dell'UE hanno dovuto conformare la propria legislazione interna in materia di asilo e di accoglienza. La direttiva trovava applicazione con riferimento a tutti i cittadini di paesi stranieri e agli apolidi che avessero presentato domanda di asilo alla frontiera o nel territorio di uno stato membro, purché autorizzati a soggiornare in tale territorio in qualità di richiedenti asilo, nonché ai familiari (art. 2 lett. d) (34) se inclusi nella medesima domanda di asilo (art. 3). Uno dei principi cardine previsti dalla direttiva è proprio l'adozione di "misure idonee a mantenere, nella misura del possibile, l'unità del nucleo familiare" (art. 8). Si tratta di un principio che deve trovare riscontro anche nelle modalità concrete di accoglienza, per cui si tende a trasferire l'intero nucleo familiare da un centro all'altro affinché tale diritto sia rispettato (35). Inoltre, la disposizione ex art. 29-bis del T.U. I. disciplina l'istituto del ricongiungimento familiare a favore di colui che abbia ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato, per le stesse categorie familiari e con la stessa procedura disciplinata nel precedente art. 29. In questo caso per il rifugiato è esclusa la necessità di dimostrare la disponibilità di un reddito e di un alloggio idoneo. Tuttavia, l'art. 22 del d.lgs. 251/2007 esclude la possibilità di avocare suddetto diritto per i rifugiati i cui familiari sono o sarebbero esclusi dallo status di rifugiato o dalla protezione sussidiaria per aver commesso crimini di particolare gravità, previsti agli artt. 10, 12 e 16 del medesimo decreto.

La direttiva non trova applicazione nei confronti di chi abbia presentato domande di asilo diplomatico o territoriale presso le rappresentanze degli Stati membri, né in caso di applicazione della direttiva 2001/55/CE sulla protezione temporanea.

Entro un termine ragionevole, comunque non superiore ai quindici giorni dalla presentazione della domanda d'asilo, gli Stati membri sono tenuti ad informare i richiedenti su "qualsiasi beneficio riconosciuto e sugli obblighi loro spettanti in riferimento alle condizioni di accoglienza" (art. 5). Si tratta di informazioni che devono essere fornite per iscritto e, per quanto possibile, in una lingua presumibilmente comprensibile per il richiedente.

In questa fase iniziale è impegno degli Stati membri informare i richiedenti asilo sulle organizzazioni o gruppi di persone che forniscono loro vari livelli di supporto, dalle informazioni basilari sulle condizioni d'accoglienza all'assistenza legale. A norma della disposizione ex art. 6 è fatto obbligo agli Stati membri di rilasciare loro, entro tre giorni dalla presentazione della domanda all'autorità competente, un documento nominativo che ne attesti lo status di richiedente asilo o l'autorizzazione a soggiornare nel territorio dello Stato membro nell'arco di tempo in cui la domanda è pendente o in esame. Ciò vale anche per i richiedenti la cui libertà di circolazione sia limitata dagli Stati membri. Agli Stati membri è inoltre riconosciuta la facoltà di non applicare suddetta disposizione nel caso in cui il richiedente asilo si trovi in stato di trattenimento o in caso di esame della domanda d'asilo presentata alla frontiera o ancora nel caso di un procedimento volto a determinare se il richiedente asilo abbia il diritto di entrare legalmente nel territorio di uno Stato membro. Ad ogni modo, gli Stati membri possono rilasciare documenti equivalenti al documento di cui al comma 1, art. 6.

Gli stessi Stati hanno il diritto di disporre esami medici nei confronti dei richiedenti asilo per motivi di sanità pubblica (art. 9); si garantisce ai figli minori di genitori richiedenti asilo e agli stessi richiedenti asilo di minore età, la possibilità di accedere al sistema educativo a condizioni simili a quello previsto per i cittadini dello Stato membro ospitante (art. 10). Inoltre, si prevede che l'accesso al sistema educativo non possa essere differito di oltre tre mesi dalla data di presentazione della domanda, salvo il caso in cui il minore necessiti di un educazione ulteriore e specifica prima di poter accedere all'ordinario sistema educativo.

La direttiva si preoccupa di individuare, all'art. 13, le condizioni materiali di accoglienza e assistenza sanitaria da fornire ai soggetti richiedenti, chiarendo in primo luogo che nell'inciso "condizioni materiali di accoglienza" (36) sono da ricomprendere l'alloggio, il vitto e il vestiario, forniti in natura o sotto forma di sussidi economici o buoni, nonché un sussidio per le spese giornaliere. Ad ogni modo, ciascuno Stato ospitante ha il dovere di assicurarsi che le condizioni di accoglienza garantiscano qualità di vita adeguata per la salute e il sostentamento dei richiedenti asilo.

La concessione dei benefici descritti, insieme allo stesso diritto all'assistenza sanitaria, può essere subordinata alla condizione per cui i beneficiari non dispongano di mezzi sufficienti a garantire loro una qualità di vita adeguata per la loro salute e il loro sostentamento. Nel caso in cui, questi ultimi dispongano di sufficienti risorse, gli Stati membri possono obbligarli a contribuire o a sostenere i costi delle condizioni materiali di accoglienza e dell'assistenza sanitaria, potendo, altresì, esigere un rimborso qualora emerga che, all'epoca in cui hanno usufruito delle condizioni materiali d'accoglienza e dell'assistenza sanitaria, i beneficiari delle stesse disponessero di mezzi sufficienti a garantirsi una qualità di vita adeguata.

L'art. 14, comma 1, ripercorre le alternative possibili nel caso in cui l'alloggio sia fornito in natura: si va dai locali utilizzati per alloggiare i richiedenti asilo durante l'esame delle domande presentate alla frontiera ai centri d'accoglienza. È prevista inoltre, la possibilità di alloggiare in case private, appartamenti o alberghi.

È garantita la tutela della vita familiare e la possibilità di comunicare con parenti, consulenti giuridici, rappresentanti dell'UNCHR e delle ONG riconosciute dagli Stati stessi e ai quali (parenti esclusi) è consentito l'accesso ai centri di accoglienza e alle strutture predisposte del caso. Possono disporsi limitazione all'accesso soltanto per motivi legati al mantenimento della sicurezza dei centri/strutture.

Infine, in via eccezionale, possono essere offerte condizioni materiali d'accoglienza diverse, per un periodo ragionevole e più breve possibile, laddove: sia richiesta una prima valutazione delle esigenze specifiche del richiedente asilo; le condizioni materiali di accoglienza, esposte nello stesso articolo, non siano disponibili in una determinata area geografica; le capacità di alloggio siano temporaneamente esaurite e nel caso in cui il richiedente asilo sia in stato di trattenimento o confinato ai valichi di frontiera. Ad ogni modo tali condizioni d'accoglienza devono garantire le esigenze essenziali.

L'art. 15 decreta che sia fornita ai soggetti richiedenti la necessaria assistenza sanitaria (quantomeno le prestazioni di pronto soccorso e il trattamento essenziale delle malattie).

La direttiva introduce, inoltre, tutta una serie d'ipotesi (ad esempio per motivi di ordine pubblico o, ove necessario, per il trattamento rapido e il controllo efficace della domanda) che consentono agli Stati membri di imporre al richiedente asilo di permanere in una determinata zona, ma anche di ridurre o revocare le condizioni di accoglienza qualora il richiedente asilo non abbia dimostrato di aver presentato la sua domanda non appena ciò fosse ragionevolmente fattibile dopo il suo arrivo nello Stato membro (art. 16, comma 2).

È importante che, nella determinazione delle condizioni generali di accoglienza, gli Stati membri non trascurino la specifica situazione di persone vulnerabili quali: minori, disabili, anziani, donne in stato di gravidanza, persone che hanno subito forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale.

A conclusione dell'analisi sulla direttiva europea, di estrema importanza sono le disposizioni del Capo VI della direttiva medesima, dedicate alle "azioni volte a migliorare l'efficienza del sistema di accoglienza". Gli Stati sono chiamati a fornire alla Commissione tutti i dati relativi al numero di persone cui sono state elargite le condizioni di accoglienza ed in particolare sul tipo, la denominazione e la forma dei documenti rilasciati ai sensi dell'articolo 6 della direttiva stessa. Inoltre, su ciascuno di essi grava l'ulteriore onere di verificare il livello qualitativo delle condizioni d'accoglienza offerte e soprattutto di garantire una formazione di base adeguata alle esigenze dei richiedenti asilo a tutte le autorità e alle organizzazioni coinvolte nell'attuazione della direttiva.

10. La Direttiva 2003/343/CE: Il Regolamento Dublino II

Nella scia degli interventi che hanno contraddistinto questa prima fase si situa la direttiva 343/2003/CE, recante il Regolamento Dublino II, approvato dal Consiglio il 18 febbraio del 2003 e che ha rappresentato il superamento della Convenzione del '90. Ancora una volta l'obiettivo è stabilire "criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo", allo scopo di realizzare un meccanismo più efficace per determinare, con chiarezza e affidabilità, lo Stato membro competente a decidere su una richiesta di asilo e di garantire al richiedente l'effettivo accesso alle procedure per il riconoscimento dello status.

Il parametro introdotto dal Regolamento per stabilire la competenza dello Stato a esaminare la domanda è stato quello dell'ingresso del richiedente asilo. Su tale base, lo Stato non è competente a decidere sulla domanda di asilo trasferisce il migrante allo Stato competente, provvedendone al trasporto e concordando con lo Stato di destinazione gli orari e le modalità di arrivo per la consegna del richiedente (37).

Gli Stati membri possono, inoltre, concludere accordi bilaterali aventi ad oggetto la semplificazione delle procedure e l'abbreviazione dei termini per agevolare l'applicazione del Regolamento e migliorarne l'efficacia.

Il Regolamento Dublino II si caratterizzava per le disposizioni del Capo III, concernenti la gerarchia dei criteri di cui tener conto per la determinazione dello Stato membro competente (artt. 5-14). Tuttavia, ciò che emerge è una sostanziale linea di continuità rispetto ai principi sulla determinazione dello Stato competente ad esaminare la domanda rispetto a quella già messa a punto dalle Convenzioni di Schengen, prima, e di Dublino, in seguito.

Tra gli elementi innovativi del nuovo (per il tempo in cui è stato emanato) Regolamento si situava la sovereignty clause, ex art. 3, comma 2º, che lasciava allo Stato membro, diverso da quello competente, ma al quale fosse stata presentata domanda d'asilo da un cittadino di uno Stato terzo, la possibilità di procedere all'esame della domanda senza previo consenso dell'interessato (nella Convenzione di Dublino il consenso era previsto in forma obbligatoria), considerando tale consenso implicito alla presentazione della stessa domanda.

A livello procedurale è stato attuato un alleggerimento del regime probatorio richiesto ai fini dell'individuazione dello Stato responsabile di esaminare la domanda di asilo, stabilendo, l'art. 18, comma 4, che "il requisito della prova non dovrebbe andare oltre quanto necessario ai fini della corretta applicazione del presente regolamento".

Il Regolamento di Dublino II ha, per certi versi, ridotto gli standard di tutela fissati in precedenza, assumendo le forme di una politica comunitaria non in grado di influenzare e condurre all'armonizzazione delle scelte nazionali, anzi, al contrario, si lascia dominare da queste ultime (sempre molto caute verso l'affermazione del diritto di asilo) nell'adozione di regole europee comuni in materia, finendo con il ridimensionare il fenomeno dell'asilo e l'accoglienza in generale (38).

11. La seconda fase: 2005- 2010

La seconda fase delle politiche europee è stata inaugurata nel 2005 con il Programma dell'Aia, e si caratterizza per l'univoco obiettivo di realizzare una "procedura comune di asilo e la definizione di uno status unico per quanti avessero ottenuto l'asilo o la protezione sussidiaria".

Caratterizza questa fase l'adozione della direttiva europea 2005/85 CE (39), introduttiva di una procedura unica per il riconoscimento o la revoca dello status di rifugiato, ripresa dal "Libro verde" pubblicato nel giugno del 2007 dalla Commissione europea. Si è trattato di un documento nel quale, sulla scia dell'impegno assunto a Tampere, sono state indicate le linee del futuro assetto del "Sistema Comune Europeo di Asilo" (CEAS - Common European Asylum System). La Commissione ha richiamato l'importanza di "adottare un'impostazione integrata e globale della politica di asilo, e adoperarsi per migliorare tutti gli aspetti della procedura di asilo, dal momento in cui le persone chiedono l'accesso alla protezione nell'UE, fino all'individuazione di una soluzione duratura per coloro che hanno bisogno di protezione internazionale". Sono state individuate le principali lacune degli Stati membri riconducibili alla mancata applicazione tra gli Stati del principio di solidarietà (burden sharing), soprattutto sotto il profilo della ripartizione degli oneri e delle responsabilità.

Secondo la prospettiva adottata dalla Commissione, il superamento dei rilievi più critici può essere auspicato solo attraverso l'effettivo recepimento da parte di Stato membro di una procedura di asilo unica "che abbia un effetto vincolante e che determini la più generale uniformità dello status".

Ultimi passi verso la comunitarizzazione del sistema d'asilo sono stati compiuti con il "Patto Europeo per l'immigrazione e l'asilo", varato nell'autunno del 2008, e con la direttiva 115/2008 CE. Con l'adozione del Patto Europeo, il Consiglio europeo ha assunto cinque impegni fondamentali in materia di asilo e immigrazione: organizzare l'immigrazione legale tenendo conto della capacità di accoglienza di ciascuno Stato membro e delle esigenze d'integrazione; combattere l'immigrazione clandestina, assicurando il rimpatrio degli stranieri in posizione irregolare; rafforzare i controlli alle frontiere; "costruire un'Europa dell'Asilo" in grado di cancellare le divergenze ancora presenti tra gli Stati membri per quanto attiene la concessione della protezione. Ultimo obiettivo perseguito dal Consiglio è rappresentato dalla volontà di giungere alla creazione di un partenariato globale con i Paesi d'origine e di transito, in grado di promuovere le sinergie tra le migrazioni e lo sviluppo, atte a rendere la migrazione una componente importante delle relazioni esterne degli Stati membri dell'Unione.

Il Consiglio europeo invita il Parlamento europeo, la Commissione e gli Stati membri, ciascuno nell'ambito delle rispettive competenze, ad adottare le misure necessarie per dare attuazione al Patto, in un'ottica di sviluppo di una politica comune in materia di immigrazione e asilo.

12. Il Trattato di Lisbona

Il tema dell'asilo è fatto proprio anche dal recente Trattato di Lisbona, approvato il 18 ottobre 2007 ed entrato ufficialmente in vigore il 1º dicembre del 2009. Disposizione centrale in tema di asilo è enucleata in seno all'art. 78 TFUE, composito di tre paragrafi: nel primo paragrafo troviamo l'obiettivo perseguito:

L'Unione sviluppa una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento. Detta politica deve essere conforme alla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e al protocollo del 31 gennaio 1967 relativi allo status dei rifugiati, e agli altri trattati pertinenti.

Si rileva in particolare il riferimento non più a singole misure (come era invece nei precedenti artt. 63 e 64) ma ad una ben più ambiziosa "politica comune".

Nel secondo paragrafo dell'art. 78 TFUE sono elencate invece le basi giuridiche per l'adozione dei nuovi strumenti in materia di asilo:

uno status uniforme in materia di asilo a favore di cittadini di paesi terzi, valido in tutta l'Unione; uno status uniforme in materia di protezione sussidiaria per i cittadini di paesi terzi che, pur senza il beneficio dell'asilo europeo, necessitano di protezione internazionale; un sistema comune volto alla protezione temporanea degli sfollati in caso di afflusso massiccio; procedure comuni per l'ottenimento e la perdita dello status uniforme in materia di asilo o di protezione sussidiaria; criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo o di protezione sussidiaria; norme concernenti le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo o protezione sussidiaria; il partenariato e la cooperazione con paesi terzi per gestire i flussi di richiedenti asilo o protezione sussidiaria o temporanea.

È degno di nota il riferimento alla costruzione di un sistema europeo comune di asilo e la precisazione che lo status di rifugiato è "valido in tutta l'Unione" (40).

Il terzo ed ultimo paragrafo recita invece: "Qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati. Esso delibera previa consultazione del Parlamento europeo".

Dall'uso del termine "emergenza" si deduce che questa base potrebbe essere usata in situazioni davvero eccezionali. A rafforzare l'eccezionalità del caso è la procedura speciale impiegata, che prevede la sola consultazione del Parlamento europeo.

Note

1. "Basti pensare, in tal senso, ai giochi dei bambini che consistono nell'inseguirsi a vicenda: prima di iniziare viene sempre stabilito un luogo in cui la persona inseguita è immune dall'inseguitore, e l'inderogabilità dell'obbligo di rispettare l'intoccabilità di tale luogo non è mai messa in discussione, essendo la regola in questione considerata come un elemento imprescindibile per la stessa esistenza del gioco". Metafora elaborata per descrivere l'asilo da F. Lanzerini in Asilo e Diritti Umani. L'evoluzione del diritto d'asilo nel diritto internazionale, Giuffrè, Milano 2009, p. 7.

2. G. Crifò, Asilo (diritto di) (diritti antichi), voce in Enc. dir., III, Milano, 1958, pp. 191 ss.

3. La natura religiosa dell'asilo, in realtà, è venuta alla luce in maniera del tutto contingente, in un'epoca in cui il diritto si mostrava incapace di predisporre e assicurare un ordine sociale idoneo a garantire un'adeguata protezione all'individuo. F. Lanzerini, cit., pp. 20-21.

4. S'intende far riferimento ai templi in cui l'incolumità del richiedente asilo, era effettivamente garantita dal sacerdote e dall'intera comunità. Erano tali i templi di Atena, Poseidone, Esculapio e Alea.

5. In questi secoli, a seguito della Riforma luterana, molti, nell'alternativa tra preservare la propria incolumità fisica e non rinunciare alla propria fede, furono costretti a cercare rifugio presso luoghi in cui il proprio credo religioso non fosse bandito. L'asilo territoriale, in questo contesto storico-temporale, aveva quale fine quello di salvaguardare quanti fossero perseguitati dal dispotismo religioso.

6. Si è trattato di una Costituzione mai entrata in vigore, malgrado dimostrasse la volontà della Francia, uscita dall'assolutismo regio, di ergersi a paladina dei diritti di libertà fuori e dentro il proprio territorio.

7. G. Ferrari, L'asilo nella storia, Relazione tenuta all'Università degli Studi di Roma "La Sapienza", Facoltà di Scienze Politiche, Cattedra di Diritto Internazionale, il 4 febbraio 2005, nell'ambito del XIII Corso Multidisciplinare Universitario Migrazione ed asilo: Unione Europea ed area mediterranea (10 dicembre 2004 - 13 maggio 2005), pp. 11-12.

8. "Protection granted by a State to a non-national on its own territory against the exercise of jurisdiction by the state of origin, based on the principle of non-refoulement, leading to the enjoyment of certain internationally recognized rights (...)", in Glossary of Migration, pubblicato dall'Organizzazione Internazionale sulla Migrazione (OIM), reperibile sul sito ufficiale, p. 11.

9. "The refuge which States may grant beyond the boundaries of their territory, in places which are granted immunity from jurisdiction, to an individual seeking protection from the authority who persecutes or claims him or her (...)", Ibidem.

10. F. Lanzerini, cit., pp. 21-22.

11. F. Rescigno, cit., pp. 33-35.

12. In seno alla disposizione ex art. 14 la Dichiarazione afferma: "1) Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni. 2) Questo diritto non potrà essere invocato qualora l'individuo sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite".

13. F. Lanzerini, cit., pp. 105-107.

14. Nel preambolo, tra le considerazioni si situa la seguente: "Considerando che dalla concessione del diritto d'asilo possano risultare oneri eccezionalmente gravi per determinati paesi e che una soluzione soddisfacente dei problemi di cui l'Organizzazione delle Nazioni Unite ha riconosciuto l'importanza e il carattere internazionali non può essere conseguita senza solidarietà internazionale (...)".

15. Art. 31, 1 comma: "The Contracting States shall not impose penalties, on account of their illegal entry or presence, on refugees who, coming directly from a territory where their life or freedom was threatened in the sense of article 1, enter or are present in their territory without authorization, provided they present themselves without delay to the authorities and show good cause for their illegal entry or presencea."

16. Art. 32, 2 comma: "The expulsion of such a refugee shall be only in pursuance of a decision reached in accordance with due process of law. Except where compelling reasons of national security otherwise require, the refugee shall be allowed to submit evidence to clear himself, and to appeal to and be represented for the purpose before competent authority or a person or persons specially designated by the competent authority."

17. Art. 33, co. 1: "No Contracting State shall expel or return a refugee in any manner whatsoever to the frontiers of territories where his life or freedom would be threatened on account of his race, religion, nationality, membership of a particular social group or political opinion."

18. Gli Stati, nei lavori preparatori la Convenzione di Ginevra, si sono ben guardati dall'introdurre un vero e proprio diritto di ingresso per i rifugiati, che avrebbe significato una sostanziale limitazione della sovranità di ognuno di essi.

19. F. Rescigno, cit., p. 69.

20. "B. 1. Agli effetti della presente Convenzione, possono essere considerati "avvenimenti anteriori al I gennaio 1951" nel senso dell'articolo 1, sezione A:

  1. avvenimenti accaduti anteriormente al 1º gennaio 1951 in Europa;
  2. avvenimenti accaduti anteriormente al 1º gennaio 1951 in Europa o altrove.

Ciascuno Stato Contraente, all'atto della firma, della ratificazione o dell'accessione, farà una dichiarazione circa l'estensione che esso intende attribuire a tale espressione per quanto riguarda gli obblighi da esso assunti in virtù della presente Convenzione. 2. Ciascuno Stato Contraente che si sia pronunciato per la definizione della lettera a) può in ogni tempo estendere i suoi obblighi pronunciandosi per la definizione della lettera b) mediante notificazione al Segretario generale delle Nazioni Unite".

21. F. Rescigno, cit., pp. 70-73.

22. "D. La presente Convenzione non è applicabile alle persone che fruiscono attualmente della protezione o dell'assistenza di un'organizzazione o di un'istituzione delle Nazioni Unite che non sia l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati.
Se tale protezione o tale assistenza cessa per un motivo qualsiasi senza che la sorte di queste persone sia stata definitivamente regolata conformemente alle risoluzioni prese in merito dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, esse fruiscono di tutti i diritti derivanti dalla presente Convenzione.
E. La presente Convenzione non è applicabile alle persone che secondo il parere delle autorità competenti dei loro Stato di domicilio hanno tutti i diritti e gli obblighi di cittadini di detto Stato.
F. Le disposizioni della presente Convenzione non sono applicabili alle persone, di cui vi sia serio motivo di sospettare che: a) hanno commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l'umanità, nel senso degli strumenti internazionali contenenti disposizioni relative a siffatti crimini; b) hanno commesso un crimine grave di diritto comune fuori dei paese ospitante prima di essere ammesse come rifugiati; c) si sono rese colpevoli di atti contrari agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite."

23. Le clausole di cessazione previste ex art. 1, si verificano: 1. Se (il rifugiato) ha volontariamente ridomandato la protezione dello Stato di cui possiede la cittadinanza; 2. Se ha volontariamente riacquistato la cittadinanza persa; 3. Se ha acquistato una nuova cittadinanza e fruisce della protezione dello Stato di cui ha acquistato la cittadinanza; 4. Se è volontariamente ritornata e si è domiciliata nel paese che aveva lasciato o in cui non si era più recata per timore d'essere perseguitata; 5. Se, cessate le circostanze in base alle quali è stata riconosciuta come rifugiato, essa non può continuare a rifiutare di domandare la protezione dello Stato di cui ha la cittadinanza; 6. Trattandosi di un apolide, se, cessate le circostanze in base alle quali è stato riconosciuto come apolide, egli è in grado di ritornare nello Stato dei suo domicilio precedente. Tuttavia, queste disposizioni non sono applicabili ai rifugiati indicati nel paragrafo 1 della sezione A del presente articolo, che possono far valere, per rifiutare di ritornare nello Stato dei loro domicilio precedente, motivi gravi fondati su persecuzioni anteriori.

24. M. Benvenuti, "La Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati", in Pineschi (a cura di), La tutela internazionale dei diritti umani, Milano, 2006, pp. 151 ss.

25. Si veda: C. Taglienti, Diritto d'asilo e status di rifugiato nell'ordinamento italiano, 2003; la giurisprudenza del Consiglio di Stato, Sez. IV^ 11 luglio 2002 n. 3874.

26. Esempio tipico di doppia previsione per la concessione di asilo e per il riconoscimento dello status di rifugiato è quello offerto dal Grundgesetz tedesco, che riconosce ai sensi dell'art. 16 il diritto di asilo a chiunque sia perseguitato per motivi politici, oltre al rilascio di un permesso di soggiorno per tre anni; ai sensi dell'art. 51 della Legge sugli stranieri del 1990 è possibile ottenere lo status di rifugiato ai sensi di quanto stabilito dalla Convenzione di Ginevra, con la concessione di un permesso di soggiorno a tempo indeterminato. Il diritto all'asilo politico è stato introdotto nella Costituzione tedesca dopo la II guerra mondiale, come risposta alla recente storia tedesca di persecuzione. Inizialmente le richieste di asilo politico furono pochissime, poi il numero crebbe drammaticamente, raggiungendo il culmine nell'anno 1993. Per ridurre il numero delle domande, i costi connessi e il carico di lavoro per le autorità pubbliche cosi come per i tribunali, la procedura per 1'assegnazione dello status di asilo politico e il sistema di protezioni giuridiche sano stati più volte ridotti dal legislatore. Il cambiamento maggiore della legge riguardava le garanzie costituzionali ed ebbe luogo nel giugno del 1993.

27. F. Rescigno, cit., p. 85.

28. Si tratta di anni che vedono un progressivo intensificarsi dei flussi migratori.

29. Ibidem, p. 88.

30. Si deve al Trattato di Maastricht, entrato in vigore nel 1993, l'introduzione dei tre Pilastri costituenti l'Unione e con essa l'iscrizione della politica dell'asilo nel Titolo VI, il cosiddetto Terzo Pilastro. L'asilo fu quindi posto tra le materie di "interesse comune" senza essere stata affiancato da alcuna definizione specifica.

31. Come si precisa in F. Rescigno, cit., p. 123.

32. UNCHR, The State of World's Refugee: Human Displacement in the New Millennium, New York 2006, p. 34.

33. Con decisione del Consiglio 596/2000 CE.

34. Si definiscono «familiari» i seguenti soggetti appartenenti alla famiglia del richiedente asilo, purché essa sia già costituita nel paese di origine, che si trovano nel medesimo Stato membro in connessione alla domanda di asilo: i) il coniuge del richiedente asilo o il partner non legato da vincoli di matrimonio che abbia una relazione stabile con il richiedente, qualora la legislazione o la prassi dello Stato membro interessato assimili la situazione delle coppie di fatto a quelle sposate nel quadro della legge sugli stranieri; ii) i figli minori della coppia di cui al punto i) o del richiedente asilo, a condizione che non siano coniugati e siano a carico, indipendentemente dal fatto che siano figli legittimi, naturali o adottivi secondo le definizioni del diritto nazionale.

35. M. Benvenuti (a cura di), La protezione internazionale degli stranieri in Italia. Uno studio integrato sull'applicazione dei decreti di recepimento delle direttive europee sull'accoglienza, sulle qualifiche e sulle procedure, Jovine Ed., Napoli 2011, pp. 96-98.

36. Si veda art. 2 lett. j) della Direttiva 2003/9/CE.

37. S. Sarti, L'Italia dei rifugiati, Cittalia, fondazione ANCI ricerche, Roma 2010, pp. 37-38.

38. S. Sonnino, S. Masiello, "Politiche europee sull'asilo e i rifugiati", in Gli stranieri, 2005, p. 113. Un esempio concreto di quanto si afferma è rappresentato dalla legge italiana 30 luglio 2002, n. 189, contenente la "Modifica alla normativa in materia di immigrazione e asilo", che all'art. 1-bis, comma 5, anticipa la ricordata sovereignty clause, introdotta in seguito nel Regolamento di Dublino II.

39. Recepita nel nostro ordinamento con decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25.

40. Si veda: Asilo in Europa