ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Introduzione

Alessia Gori, 2015

Questo elaborato ha ad oggetto la disamina del divieto di tortura e trattamento disumano e degradante fra i Paesi che hanno aderito alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (Cedu). La norma in analisi è l'art. 3 della Convenzione, la quale, in poche, ma significative parole racchiude il nucleo delle tutele contro le violenze psico-fisiche commesse ai danni del detenuto. Questa norma si inserisce all'interno di un gruppo di articoli che insieme tessono un nucleo irriducibile di diritti volti alla salvaguardia dei soggetti privati della libertà. Il testo normativo è stato applicato dalla giurisprudenza in numerosi ambiti, ed è ancora oggi oggetto dell'attività ermeneutica del giudice di Strasburgo. Questa tesi si pone l'obiettivo di esplicare i vari principi sottesi al generico divieto di tortura o trattamento disumano o degradante, così come sono stati enunciati nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, vero cuore pulsante del percorso evolutivo delle tutele dei reclusi.

L'indagine sulla portata e i corollari dell'art. 3 della Convenzione si articola su tre capitoli.

Un primo capitolo approfondisce l'evoluzione storica dei diritti umani, a partire dalla nascita del Consiglio d'Europa e l'analisi dei testi da questi adottati, tra cui la Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Inoltre sono state trattate l'origine e le dinamiche della Corte europea dei diritti dell'uomo, strumento fondamentale che assicura effettività alle norme previste nella Convenzione, nonché vero e proprio propulsore dello sviluppo dei diritti dei reclusi. In fine è stato dato ampio rilievo al ruolo del Comitato per la prevenzione della tortura (CPT), sia nella sua attività di monitoraggio, sia nella sua struttura interna.

Oltre al profilo storico, ci si è soffermati anche sull'analisi dei metodi interpretativi per l'esegesi delle norme convenzionali, la quale concerne le tecniche utilizzate dalla Corte nell'interpretazione dell'art. 3 della Convenzione e i principi ad esso sottesi, quali ad esempio quello dell'effettività.

Il secondo capitolo è stato dedicato alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, avente ad oggetto l'art. 3 della Convenzione. Nel richiamare le sentenze più significative rese nell'ultradecennale attività dell'organo di Strasburgo, si è voluto mettere in rilievo tanto le interpretazioni più consolidate in tema di divieto di tortura o trattamento disumano o degradante, quanto i casi che hanno rappresentato una svolta nel panorama giuridico allora esistente. In particolare è stato approfondito il concetto di condotte vietate ai sensi dell'art. 3, cercando di applicare un metodo di osservazione dinamico, tale da valorizzare le evoluzioni che hanno interessato il concetto di tortura, trattamento o pena disumano e trattamento o pena degradante. Parallelamente è stata indagato anche il criterio della gravità del maltrattamento, nella sua funzione di limite interno ed esterno all'applicazione delle condotte vietate rispetto al comportamento tenuto nel caso concreto posto al vaglio della Corte.

L'indagine sull'evoluzione giurisprudenziale dell'art. 3 della Convenzione ha riguardato anche l'approfondimento delle sentenze più rilevanti, quelle che hanno dato modo alla Corte di consolidare un principio o affermare un corollario, in riferimento alla norma in analisi; nel condurre una simile indagine si è voluto evidenziare, rispetto a precisi istituti, il contrasto tra il carattere assoluto del divieto di tortura e trattamento disumano o degradante con la prassi della Corte, che in queste particolari ipotesi sembra aver bilanciato l'art. 3 con altri valori in gioco. Il riferimento è agli istituti dell'estradizione verso Paesi terzi di persone detenute negli Stati membri, alla sentenza pilota e alla perdita dello status di vittima.

Nel capitolo in questione si affronta anche le tutele di nuova generazione, quelle nate grazie all'attività ermeneutica della Corte, la quale ha utilizzato l'art. 3 della Convenzione come grimaldello per l'ampliamento delle tutele nei confronti dei reclusi. Questo nucleo di garanzie si declina in una serie di obblighi positivi e negativi che i giudici di Strasburgo hanno riconosciuto in capo agli Stati membri; in particolare ci si riferisce all'obbligo di garantire una procedura di inchiesta, all'inversione dell'onere della prova quando il ricorrente vittima di maltrattamenti è un detenuto e al divieto di espulsione o estradizione in caso vi sia in rischio di subire una condotta vietata dall'art. 3 Cedu.

In conclusione, nel terzo capitolo, è stato dato ampio rilievo all'analisi delle condizioni di detenzione dei soggetti privati della libertà, approfondendo quali siano i requisiti minimi previsti dalle fonti internazionali e quali invece siano le realtà degli istituti detentivi europei. Lo studio della giurisprudenza ha portato a individuare un'evoluzione delle condizioni minime di detenzione reputate accettabili e una conseguente maggiore attenzione a ciò che avviene all'interno di quel micro cosmo che è il carcere. I giudici hanno da prima affermato l'incompatibilità con l'art. 3 di una detenzione in celle dove lo spazio vitale era inferiore a 3m² per persona, congiuntamente con altri fattori, per poi definire, in seguito, questo elemento come sufficiente di per sé a comportare una responsabilità per lo Stato convenuto. In parallelo si è analizzato l'aumento delle sentenze aventi ad oggetto il tema del sovraffollamento carcerario, evidenziandone le ripercussioni a livello europeo, con un maggiore ricorso alla sentenza pilota da parte della Corte e a livello nazionale, con una corsa degli Stati all'adozione di misure strutturali che permettessero loro il riallineamento con i principi e i dispositivi della Convenzione. Infine è stato analizzato il rapporto tra Comitato per la prevenzione della Tortura e Corte, volendo osservare quali fossero i punti di maggior interazione e dove invece questa sia venuta a mancare.