ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo quarto
L'hip hop nelle organizzazioni di strada: un linguaggio di resistenza

Leonardo Basile, 2014

1-Introduzione

Come si può oggi comprendere il fenomeno delle gang senza analizzare il significato del gangsta-rap? La domanda è posta da John M. Hagedorn (2011), che lancia alla criminologia ed dagli studi contemporanei sulle "bande" l'accusa di ignorare colpevolmente l'argomento.

Il rap e l'hip hop sono diventati delle culture di ribellione, che testimoniano la creazione di una potente identità globale basata su esperienze di strada cariche di significati altri, di contraddizioni e di un'intensa lotta culturale. Hagedorn, che rappresenta probabilmente le voce più accreditata per una visione globale delle gang (Brotherton, 2011), è il primo ad occuparsi convintamente della produzione musicale quale elemento caratterizzante delle organizzazioni di strada. Di questa connessione suggerisce tuttavia una lettura particolarmente amplia e globale (1), che potrebbe essere sviluppata in maniera più solida privilegiando anche lo studio delle dimensioni locali.

Valentina Bugli (2010) nella sua ricerca sui giovani latinoamericani di Milano, afferma che una riflessione sulle bande giovanili non può essere esente da una valutazione più amplia intorno agli elementi di riproduzione generalmente insiti alle esperienze aggregative di strada, come il sessismo, la violenza, la mascolinità egemonica o l'esistenza di un codice generale del rispetto che raccoglie tutti questi aspetti (a c. di. Queirolo Palmas, 2010). La mia ipotesi è che l'hip hop costituisca in questo senso un elemento essenziale per decodificare attitudini e prospettive dei giovani delle organizzazioni di strada. L'articolazione del movimento fra rap e gangsta rap rappresenta una lente d'osservazione privilegiata attraverso cui leggere e interpretare le traiettorie di resistenza, o riproduzione, in quei contesti di subalternità strutturale cui milioni di giovani delle periferie moderne si trovano costretti.

Nel nostro percorso, abbiamo cercato di accompagnare ad una riflessione più generale l'esplorazione di una realtà specificamente territoriale, nella convinzione che le dinamiche locali costituiscano la dimensione migliore per cogliere in senso più amplio i processi socio-culturali.

2-Hip hop, uno strumento per la ricomposizione delle soggettività

Studiare il mondo delle organizzazioni di strada contemporanee significa anche scoprire come l'hip hop rappresenti oggi uno dei pochi strumenti di "rottura" e "ricomposizione" nelle mani dei giovani "ai margini" delle metropoli. Potremmo tranquillamente affermare che non esiste "gang" al mondo che non abbia un proprio riferimento all'interno della scena rap. Con possibilità di rottura, intendiamo la capacità collettiva di attutire la preponderanza di alcuni dei valori dominanti della società contemporanea, come l'arrivismo, l'ostentazione del successo individuale o quella del possesso. Per ricomposizione, intendiamo invece la possibilità di pensare a una soggettività di strada nuova, che punti a ridefinire il senso degli spazi urbani marginali e degradati a partire dallo sviluppo di pratiche di solidarietà e fratellanza.

Per comprendere l'influenza che i principali artisti del movimento suscitano nei giovani di oggi, è sufficiente guardare il numero di visualizzazioni su youtube o assistere ai concerti di gruppi come i Calle trece o 50 cent. Calle trece e 50 cent rappresentano in un certo senso due mondi agli antipodi. I primi sono rapper di origine portoricana altamente impegnati nel sociale. Cantano un mondo liberato dall'egemonia del denaro e sostengono sinceramente i governi ""rivoluzionari"" di Cuba, Bolivia e Venezuela. Il secondo, nato nel degradato sobborgo "Jamaica dei Queens" di New York, è l'emblema del gangsta rap contemporaneo più estremo (Paolo Ferrari, 2006). Le sue canzoni parlano di una vita di strada distruttiva vissuta fra pistole e cocaina, con il sogno di diventare un giorno miliardari e lasciandosi alle spalle le miserie del ghetto. Lo stile è quello dei catenoni d'oro, gli anelli al dito e le cadillac che ostentano un lusso contrastante con il degrado e la miseria dei quartieri di origine.

I Calle Trece hanno un'influenza enorme per le pandillas di tutto il mondo: da La Havana a Madrid sono ascoltati ed amati ovunque si parli la lingua ispanica. Sognano la costruzione di una grande nazione latina capace di riscattare la sofferenza dei milioni di diseredati che abitano gli immensi ghetti e favelas del Sud America. Recentemente si sono esibiti nelle carceri di El Salvador per i detenuti delle Maras Salvatrucha, una delle più famigerate gang di tutta l'America. Le amministrazioni carcerarie di Messico e Cile, dopo aver osservato nei detenuti l'utilità di quell'esperienza, hanno coinvolto René e compagni in un programma di recupero ad ampio raggio che riguarda i detenuti di pandillas come "Los Tabaquitos", "Los Insoportables", "Los 88 locos" o il "Frente Rojiblanco".

50 cents rappresenta invece l'icona del successo gangster, ed è ascoltato con ammirazione nei ghetti più malfamati delle metropoli di tutto il mondo. Dal Brasile al Sud Africa, dagli Stati uniti alle Banlieu Parigine, il suo stile potrebbe rappresentare al meglio lo stereotipo delle gang di strada Newyorkesi descritte da Bourgois (2005). Il suo album di maggior successo si intitola significativamente "get rich or die tryin", e conta venti milioni di dischi venduti. Nella sua biografia è possibile leggere questa introduzione:

Sapete una cosa? Chiunque, dal tipo che si alza al mattino e va a timbrare il cartellino al ragazzino che vedi all'angolo della strada, cerca di diventare ricco prima di morire. Quello del cartellino probabilmente uscendo dall'ufficio va a una scuola serale oppure ha altri traffici, o dei sogni in cantiere. Perché? Per arricchirsi. Il ragazzino che compra un po' di droga per rivenderla fa la stessa cosa. E' mosso da spirito imprenditoriale, si sbatte per cercare di diventare ricco. Tutto gira intorno al fare soldi ... (50 cent, 2005, pag.8).

Concordiamo con Hagedorn quando sostiene che molti studi contemporanei sulle organizzazioni di strada, pur affrontando il tema della costruzione simbolica, ignorino il ruolo che in questo senso svolge il mondo dell'hip hop. Il rap è uno strumento di aggregazione e reazione, spesso anche di lotta. Rarità: una strada privilegiata per costruire relazioni dal basso non mediate dal denaro.

Il lavoro di ricerca svolto in quartiere con i Bolognina Warriors, ed in particolare con Wallace, conferma e valorizza questi punti di partenza. Attraverso il linguaggio dell'hip hop, scopriamo che luoghi come il Bronx, Quito o Bologna non sono affatto mondi così lontani. Anche tra via Ferrarese e via di Saliceto la musica è un mezzo capace di far vivere e raccontare la strada, dando parola ad un quartiere sempre più precario e ricco di contraddizioni. La distanza dalla Bologna bene ad altissima velocità è siderale, nonostante la prossimità geografica ed un lento processo di gentrificazione (2) in corso.

Di che parlano i vostri pezzi?

Dipende vez! Parlano di tutto, della strada, del quartiere, del fatto che non arrivi mai a fine mese ... L'hip hop è anche uno sfogo, fatto soprattutto per sfogarsi dopo una giornata di merda passata lavorando ... anche se non ci deve essere sempre una morale. Sono anche dei pezzi ignoranti a volte. Si può parlare della serata, degli amici, della ragazza ...Noi non abbiamo imparato niente da nessuno...Qui davanti nel parchetto è successo di tutto in questi dieci anni ... Risse, gente nuova, spaccio, oggi è pieno di tossici ... l'hanno fatto diventare un posto di degrado ... Noi qui ci siamo fatti le ossa da soli ... Noi raccontiamo queste cose, ma il problema è anche come è visto il rap ... il rap è visto come una moda ... ma alla fine è la strada ... il rap non ci vuole un ca***, adesso poi telo scarichi da internet ... Un modo di vivere non so come spiegarsi. E' una cosa che può insegnarti dei principi ed insegnarti a condividere delle cose (Wallace).

Utilizzare l'hip hop come elemento d'indagine significa anche entrare in un mondo straordinariamente complesso, che oggi si presenta afflitto da una lacerante "guerra culturale" in corso tra due differenti identità: un movimento coraggioso e ribelle, apertamente schierato a difesa delle differenze multiculturali e orientato alla costruzione di una società fondata sul rispetto e la fratellanza, ed un business orientato ai consumatori, manipolato dalle case discografiche che strumentalizzano gli stereotipi provenienti dal gangsta-rap. L'influenza degli immaginari delle due identità ha un peso specifico molto importante per le realtà di strada che ad essi si ispirano. Impegnarsi nell'immane sforzo già in atto di demistificare la concezione di vita di strada "misogina" e "dura" dello stile gangsta, potrebbe essere un buon modo per iniziare a contribuire al riscatto delle classi subalterne di tutto il mondo.

3-Le radici culturali dell'hip hop: dalle gang alla "old school rap"

Iniziamo il nostro viaggio all'interno del mondo hip hop raccontando un po' di storia. Questa cultura di strada è costituita da quattro differenti elementi: L'MCing (il Master Ceremony che rappa), il DJing (l'arte di far girare i dischi e scratchiare), la break dance (o B-boying, una specie di danza "freestyle") ed il writing (ovvero l'arte del fare graffiti). Le origini risalgono alla metà degli anni settanta e sono le stesse di Kool Herc ed Africa Bambaata, progenitori del movimento ed oggi icone per i giovani di ogni latitudine. Leggenda vuole che lo stesso termine hip hop fosse coniato una notte mentre i due si sfidavano suonando i piatti in un locale del Bronx (3).

Le biografie di questi due artisti ci permettono di evidenziare due elementi di grande importanza: la prossimità culturale ed ambientale al mondo delle gang, delle quali l'hip hop è storicamente addirittura un "prodotto"; la sua vicinanza al mondo del graffiti writing, una forma d'arte che nasceva parallelamente nella New York degli anni settanta. Non vi è ricostruzione storica che manchi di sottolineare questa vicinanza: erano i giovani delle gang della metropoli di fine anni settanta il pubblico delle prime feste condotte da un Master Ceremony. Lo stile hip hop, in parole semplici, nasce nel Bronx.

Kool Herc, pseudonimo di Clive Campbell, era semplicemente la "tag" di un writers, visibile ovunque nei bassifondi di New York City. Il ragazzo, di origine giamaicana, si trasferì nel Bronx, dove iniziò a sperimentare le sue doti artistiche:

Attraverso il writing prima, il DJing successivamente, Kool Herc si creò una nuova identità che da li a breve avrebbe plasmato la vita sociale e musicale del tempo. Primo sperimentatore della musica breackbeat, Herc inventò un nuovo stile musicale prolungando il break di oscuri pezzi funk o afro-latini e suonando due copie dello stesso disco, trasformando cinque secondi di percussione e ritmo in cinque minuti di fuoco per tutti i b-boy che lo seguivano fedelmente dopo la festa (Pipitone, 2012, pag.35).

Le prime feste che diedero origine al mito dell'hip hop si celebravano in mezzo ad uno scenario urbano depresso e violento. Le discoteche chiudevano una dopo l'altra a causa di continui disordini, mentre il numero delle feste private era diminuito sensibilmente a causa dell'insicurezza dovuta al proliferare della violenza delle gang. I racconti di quegli anni settanta parlano di un'intera generazione alla disperata ricerca di luoghi in cui reinventarsi, socializzare e divertirsi:

Durante l'estate del 1974, Herc suonò regolarmente per lo più per un pubblico della zona e decise di fare una festa per strada completamente gratuita. Questa festa contribuì all'incontro delle diverse generazioni di afroamericani e alla creazione del mito di Kool Herc. Dopo il block party Herc dovette creare un nuovo spazio per le sue feste, il centro comunitario dei casermoni popolari era ormai troppo piccolo per il seguito che si era guadagnato ...La nuova gerarchia del cool aveva rimpiazzato quella dei colori di guerra delle gang. La violenza non terminò all'improvviso -come sarebbe potuto accadere? - ma una nuova, straordinaria energia creativa stava per esplodere dai bassifondi della società americana per diffondersi in tutto il mondo (Pipitone, 2008, pag. 34).

Afrikaa Bambaata, pseudonimo di Kevin Donovan, è l'altra grande leggenda di quegli anni. Originario di New York, fin da adolescente fu membro di una delle gang più importanti del Bronx, i Black Spades. Finire in una gang a cavallo tra gli anni sessanta e gli inizi degli anni settanta era quasi inevitabile, per chi era povero e viveva nel Bronx. Bambataa fu un "gangster" fin da giovanissimo. Contemporaneamente, acquisiva una coscienza politica perlopiù estranea ai suoi coetanei: all'età di dodici anni bazzicava già il "centro informazioni" delle Black Panthers in Boaston Road. Divenne un leader dei Black Spades, cominciando presto ad utilizzare il suo carisma e le sue energie in un'opera di pacificazione della gioventù nera e latina (De Rienzo, 2004).

Verso la fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni settanta New York City era infestata da numerosissime gang e, ovviamente, la violenza, la negatività e la mancanza di rispetto erano all'ordine del giorno. Io ero uno dei leader dei Black Spades, la gang nera più grande del Bronx. Ero molto rispettato poiché sapevo esercitare la mia influenza su altri leader della mia gang e non, grazie alle mie capacità oratorie e alla visione di un futuro diverso per tutti noi ... Quando la Leman High School fu aperta alle persone di colore, i bianchi iniziarono ad attaccare neri e latini. In quel periodo nel Bronx si diffuse il get a nigga day e il get whitey day. Tutta la zona nord del Bronx era zona di gang bianche - War Pigs, Brown Aliens - e per la gente di colore era meglio non mettervi piede. Nel Bronx neri e latini avevano sempre avuto scontri, ma quando si trattava di andare a pestare i bianchi tutte le differenze scomparivano all'improvviso" ... (Pipitone 2012, pag.42).

Bambataa fu protagonista di questi conflitti di strada, in qualità di promotore e artefice della pace fra le gang. Oggi mette in evidenza soprattutto i lati positivi, della sua passata appartenenza alle organizzazioni di strada. Parla della gang come una vera e propria famiglia, come un luogo di approdo quasi inevitabile per i giovani del ghetto:

Per me le bande sono state un fatto educativo - mi hanno fatto imparare le cose della strada, e i Black Spades avevano un'unità che non ho mai visto da nessun'altra parte. Sono stato in un mucchio di formazioni differenti, ma i Black Spades erano tutti uniti. La banda era come la tua famiglia. Imparavi a viaggiare per le strade di New York. Molte volte, quando non c'era lavoro per i giovani e nei centri sociali non succedeva nulla, era là che le bande li portavano. Se le bande, scusa l'espressione, si mettevano a fare un casino di merda, allora il governo si affrettava a mandare della gente a parlarti, a spendere un mucchio di denaro per calmare le bande. L'America è fondata sulla violenza. L'America ascolta solo quando qualcuno reagisce violentemente. (David Toop, 1992, pp.37).

La missione storica di Bambataa fu trascinare i "fratelli" delle gang dalla violenza della strada ad una prospettiva di pace e solidarietà. La sua idea di riscatto stava nella convinzione che la crescente popolarità del graffitismo, della breakdance e dei sound system, offrisse ai ragazzi modi meno pericolosi delle vecchie gang per aggregarsi. Con questo spirito venne fondata nel 1973 la Universal Zulu Nation, un'alternativa alle bande che infestavano New York. Si trattava di un'organizzazione di strada che mirava alla realizzazione di una comunità solidale e non violenta, mentre promuoveva attraverso le feste ed i contest la diffusione del genere hip hop. Il miglioramento delle condizioni sociali degli uomini e donne di colore del Bronx era l'orizzonte di questo movimento, mentre la musica ne era il collante di successo. L'idea funzionò: a quarant'anni dalla sua fondazione, Zulu Nation è ormai diffusa in tutto mondo, ed i suoi Principles of the Universal Zulu Nation sono rimasti immutati. Riportiamo qui il primo (4):

Zulu Nation non è una "gang". E' un'organizzazione di individui alla ricerca di successo, pace, conoscenza, comprensione e una vita onesta. I membri Zulu devono cercare un modo per sopravvivere positivamente in questa società. Le attività negative appartengono ai malvagi. La natura animale rappresenta la natura negativa. Gli Zulu devono essere civilizzati.

Il primo rap, quello "old school", aveva una dimensione specificamente territoriale, e costituiva una nuova forma di stare assieme e di immaginare le strade del quartiere. Quegli anni gettarono le basi di un movimento culturale che ancora oggi mantiene inalterata la sua forza. Su internet (5) impazza una frase:

L'hip hop è nato più o meno nel 1970, tutti i media lo avevano giudicato solo una moda passeggera ...oggi, 2013 l'hip hop esiste e devasta!.

4-Dinamiche di recupero: l'ingresso delle industrie culturali nel mondo hip hop

La storiografia dell'hip hop distingue nettamente due ere: la "vecchia scuola" (1975-1983) e l'"età dell'oro" (1983-1994). Quest'ultima fa riferimento all'enorme successo economico che raggiunsero gli artisti in voga in quel decennio, quando, a cavallo degli anni ottanta, Manhattan fu teatro di un'incredibile esplosione culturale. L'hip hop era il protagonista indiscusso. L'inarrestabile popolarità delle feste e dei contest fra MC attirò non solo migliaia di giovani afroamericani alla ricerca di un'uscita dalla spirale di violenza dalle gang, ma anche le mire degli imprenditori più lungimiranti.

Fino al 1979, l'unica documentazione sull'hip hop era ancora costituita da cassette o nastri clandestini distribuiti agli amici o a ragazzini che andavano in giro con dei radioregistratori giganti (Toop, 1992). Ma negli anni ottanta le major dell'industria musicale "scoprirono la presenza di potenziali consumatori bianchi di musica nera: Il rap passò dall'essere pubblicato da 'etichette nere' indipendenti alla cooptazione all'interno del grande business" (Pipitone, 2010, pag.92). Gli enormi investimenti dell'industria culturale americana trasformarono il rap da un genere musicale underground a fenomeno mainstream con un enorme seguito nell'America suburbana. L'importanza che assumeva il potere del denaro e l'illusione del successo fra i giovani rapper, era anche l'inizio di uno scontro fra tendenze e correnti all'interno del movimento.

In "bigger than hip hop", "louder than hip hop" e "Renegades of funk" , U.net, alias Giuseppe Pipitone, insiste molto sul passaggio dell'hip hop da cultura di strada a fenomeno di massa veicolato dalle industrie della musica. Il subentro delle logiche invasive del mercato tentava di ridefinire i connotati culturali del movimento, rendendo i contenuti fruibili ad una massa acritica di ascoltatori.

A me viene in mente la storia dei dadaisti. Circa un secolo fa, Hugo Ball e compagni spiegavano come le correnti artistiche, nella storia, non fossero tendenzialmente mai passate di moda prima dei due secoli di vita. Fu con l'avvento del capitalismo che il linguaggio artistico diventò fondamentale per legittimare la continua produzione di plusvalore. Si assisteva così dalla fine dell'ottocento ad un convulso e rapidissimo avvicendarsi di stili e correnti, in netta inversione di tendenza rispetto ai secoli precedenti: il "recupero" dell'arte era funzionale alle logiche del mercato, poiché creava la possibilità di vendere ogni volta un prodotto "nuovo", mentre serviva al tempo stesso quelle della politica per cambiare di tanto in tanto abito. Venivano così frustrate le ragioni di fondo delle stesse correnti artistiche, che nascevano invece solitamente come istanze di opposizione all'ordine esistente. I dadaisti scelsero allora la strada della "resistenza", decidendo di mettere alla berlina le logiche del mercato e rifiutando ogni possibile speculazione sul significato dell'arte (M. De Micheli, 1971). Come? Ad esempio con le esposizioni di Duchamp, che presenta la merce come un opera d'arte (come il "Portabottiglie") o il non-sense come attività artistica (come quando tenta di legare una scimmia viva dentro una cornice vuota e poi esporla in una mostra collettiva).

Simili meccanismi di "recupero" sono un pericolo per tutte le produzioni socio-culturali provenienti dal basso con la potenzialità di diventare un affare in termini di danaro o di propaganda. Le major dell'industria musicale riuscirono a trasformare l'hip hop in un mercato gigantesco, confezionando un prodotto ibrido in cui il cattivo gusto e la misoginia diventavano i pilastri di un successo nelle vendite senza precedenti:

... aggiunsero i messaggi più stereotipati, finalizzati a piacere ai consumatori bianchi che avevano voglia di fare indirettamente un'esperienza esotica e fantasiosa della vita del ghetto. Più sesso e violenza c'erano meglio era, in piena formula hollywoodiana. Gli artisti vennero spinti a mettere nei loro versi più "autentica" violenza di strada e a prendere le parti dei gangster, affiancati nei loro video da oggetti con evidenti riferimenti sessuali ...Imprenditori come la Death row Records di Suge Knight videro il simbolo del dollaro nella malia contaminata del gangsta rap ...Mike Davis picchia duro alla testa: "Hollywood non vede l'ora di estrarre da ogni barrio e ghetto di Los Angeles tutte le possibili luride immagini di autodistruzione e olocausto della comunità" (Hagedoorn, 2011, pag. 198).

L'Hip Hop iniziava a diffondersi in tutto il mondo, offrendo a tutti coloro che lo praticavano uno status symbol e affari redditizi. Tuttavia questa ascesa repentina portava con se anche un segnale preoccupante. Si domandava Toop (1992):

non si trattava forse di un modo per fuggire dalla realtà del sottoproletariato urbano americano (e britannico), una scorciatoia che prometteva a chi arrivava al successo un improbabile miscuglio di fama e denaro a intervalli irregolari e una breve carriera?.

Parte del movimento rap iniziava ad essere accusato di immoralità per la sua celebrazione di una improbabile vita da nababbi all'interno dei peggiori slum, condita dall'uso delle armi da fuoco e l'abuso della droga. Alcuni rapper sfoggiavano orgogliosamente i loro orpelli d'oro: catenoni, bracciali e denti finti, richiamandosi a stereotipi brutalmente misogini e violenti. Ma altri, invece, come forma di protesta, iniziarono ad indossare collane in legno africane (De Rienzo, 2004). L'hip hop si scindeva così in un'ala "autentica" ed un'ala "commerciale".

Le major discografiche rastrellarono la maggior parte delle etichette indipendenti, mettendo sotto contratti stratosferici i gruppi più promettenti. Nello spazio di pochi anni, la cooptazione delle industrie musicali raggiunse il suo apice. Una decina d'anni dopo la sua nascita, al pari del McDonald o del baseball, l'hip hop diveniva ormai saldamente radicato nella cultura di massa statunitensi, ed i suoi album erano in cima a tutte le classifiche del tempo:

Per quanto le [case discografiche] indipendenti fossero pronte a pubblicare dischi eccessivi che nessun altro avrebbe osato maneggiare, le major erano pronte ad assorbire tutto, anche i prodotti più repellenti del repertorio indipendente, pur di creare un mercato mainstream più ampio di quello che un'indipendente avrebbe normalmente potuto trovare. Trasmissioni televisive via cavo come Yo! Mtv Raps trascinarono il grande pubblico di Mtv e fece moltiplicare gli ibridi (Toop, 1992).

Hagedorn afferma giustamente che le case discografiche hanno trasformato il gangsta rap mainstream in "uno stile da papponi che promuoveva crudi stereotipi del ghetto celando un messaggio profondamente misogino". Reynolds, per molti il più grande critico musicale vivente, spiega magistralmente la stranezza di un genere musicale prodotto quasi esclusivamente da artisti neri, ma commercializzato soprattutto per un pubblico bianco "in cerca di un'esperienza esotica e fantasiosa della vita del ghetto":

L'hip hop potrà anche non ricambiare il tuo amore, viso pallido, ma certo ama i tuoi dollari. Ha suscitato un certo scandalo, l'anno scorso, la notizia che il 70 per cento degli acquirenti di cd rap è costituito da ragazzi bianchi. Una di queste rivelazione che sembrerebbero destinate a far implodere l'hip hop sotto il peso delle sue contraddizioni. Può darsi che le statistiche siano fuorvianti (presumibilmente, i ragazzi bianchi di periferia hanno più soldi in tasca dei coetanei neri di città, comprano più cd pro capite ed effettuano più acquisti occasionali, mentre la gioventù metropolitana punta su bootleg, mixtape, internet e altro materiale che sfugge al radar delle statistiche). Ma ciò non toglie che la discrepanza sia sbalorditiva. Quali altri esempi ci offre la storia della musica di un genere che scoraggia in misura così massiccia i suoi consumatori dal partecipare creativamente alla cultura nella quale si immedesimano? (Reynolds, 2007, pag. 353).

In ogni caso, non tutto lo spirito di ribellione della cultura hip hop riusciva ad essere "recuperato". Nonostante i contratti milionari firmati da un numero relativamente ristretto di artisti, il tratto autentico del rap continuava ad essere sempre quello di uno stile creato come forma di identità di opposizione. Afrika Bambaataa, a quarant'anni dalla nascita di Zulu Nation, parla ancora di un movimento fatto di comprensione, saggezza, rispetto di razza e genere, e con lo sguardo orientato a 360 gradi sul modo:

Conoscenza, saggezza, e comprensione, fatti e verità sulle persone nere, marroni, rosse, gialle e bianche e non il lavaggio del cervello fatto da questa supremazia bianca, che i bianchi al potere hanno diffuso in tutto il mondo e attraverso tutto il popolo del cosiddetto pianeta Terra. Si, ci sono molte cose sbagliate nella comunità Hip Hop internazionale, ma ci sono anche molti aspetti positivi che i media o le riviste di settore raramente fanno risaltare. Molti di voi che fate parte della cultura Hip Hop, non avete neanche mai sentito quei rappers che stanno provando duramente a risvegliare i vostri culi da quello che sta succedendo in scala molto più grande di quello che potete vedere nei vostri quartieri, e i loro messaggi entrano da un'orecchio ed escono dall'altro.

I media giocano un grande ruolo nella distruzione del movimento culturale Hip Hop, ma molti di voi all'interno della stessa comunità Hip Hop sono tra i più grandi nemici e questi saranno i primi che aiuteranno i nemici a distruggere l'Hip Hop, o a riportarlo indietro nel sottosuolo [underground, in senso letterale, n.d.r.], e questo a causa della vostra ignoranza nella conoscenza dell'Hip Hop. Da qui è iniziata la differenza tra "Old School" e "New School". Per me esiste solo una scuola e questa è la scuola dell'insegnamento, dell'apprendimento, dell'evoluzione, passando attraverso differenti fasi e cicli di scuola dell'Hip Hop. Questa è la reale scuola Hip Hop. (6) (Afrika Bambaataa: lettera al mondo hip hop).

La vera essenza di questa cultura le ha permesso di riciclarsi e soprattutto di resistere al suo successo commerciale. Come dice Niccolò De Rienzo (2004, pag.84), "se l'industria bianca è riuscita, in buona parte dei casi, nell'intento di controllare gli artisti che la rappresentano, nulla ha potuto contro l'esercito di sconosciuti che hanno trovato in questa cultura una forma di aggregazione senza precedenti".

5-L'altra faccia del gangsta rap

Il panorama internazionale della scena hip hop si presenta oggi particolarmente complesso per i "non addetti ai lavori". Di cosa fosse realmente lo stile "gangsta" del rap sapevo poco o nulla, prima di iniziare a conoscere Wallace dei Bolognina Warriors. Perlopiù un mucchio di pregiudizi, provenienti per l'appunto dall'iper-commercializzazione del genere. Immaginavo di film in cui a un certo punto compare una street gang di ragazzoni poco raccomandabili, vestiti con abiti larghi e catenoni, mentre iniziano ad ascoltarsi dei beat che si ripetono come delle pulsazioni, con forti linee di basso accompagnate da una voce che parla al ritmo di questi rintocchi. Il più classico degli stereotipi vuole il gangsta rap come un genere esclusivamente orientato ad una cultura del denaro e della violenza, con testi musicali altamente misogini ed una costante presenza di armi e di droga. Le fonti tipiche di questo immaginario sono i videoclip musicali in cui si vedono teppisti con grosse collane d'oro, o film hollywoodiani adrenalinici con gangstar in cui i bassi dei beat iniziano ad intensificarsi man mano che aumenta la tensione. O i nomi di alcuni dei gruppi più commerciali, come "La famila", "Coka nostra" o "Tha Dogg pound".

La stessa definizione fornita da wikipedia accosta deliberatamente il g-rap alla malavita, sostenendo addirittura che la sua nascita sia dovuta all'inventiva di una casa discografica:

Il gangsta rap o g-rap è un genere musicale derivato dal rap, che attraverso testi violenti e omofobi si sofferma su temi come droga, sesso, armi, e in generale le attività criminali inerenti allo stile di vita delle bande di strada (come i Crips o i Bloods) e dei gangster. La label californiana Ruthless Records è considerata la principale inventrice di questo genere di Rap ... (7).

Lo stile gangsta ha accompagnato in realtà l'hip hop fin dalla sua nascita. Abbiamo visto come la cultura delle gang fosse un tutt'uno con la gioventù afroamericana del Bronx degli anni settanta. Artisti come Schooly D (ritenuto nell'ambiente il primo gangsta rapper), Just Ice, Cipress Hill o Public Enemy ed il suo "fight the power" testimoniano la presenza di un rap fin da subito socialmente impegnato nel denunciare i gravi problemi che affliggevano l'America nera: droga, incarcerazioni, brutalità poliziesca e il continuo perpetuarsi dell'azione di organizzazioni criminali (Pipitone, 2012). Ascoltando gli album di questi artisti, l'idea di una cultura di strada orientata unicamente alla violenza ed all'autodistruzione non è capace di spiegare la complessità delle sensazioni ricevute: i testi sembrano in realtà rivendicare apertamente spazi di autonomia da un sistema percepito come ingiusto e opprimente. Figure come quelle dei Public Enemy o di Just Ice, proveniente come Bambaata dal Bronx di fine anni settanta, permettono di evidenziare un elemento di enorme importanza: il sottobosco criminale degli anni in cui nasceva l'hip hop aveva anche una forte componente politica capace di plasmare l'attitudine dei giovani di strada.

Hanki Toner, nel suo "dizionario sull'hip hop", parla di un genere caratterizzato dai testi violenti che descrivono la vita nelle lande più depresse delle grandi città, e che parla spesso in maniera irresponsabile di armi, droghe e sesso. Ma esclude che questo sia un prodotto creato dalle case discografiche. Se lo stile gangsta ha da subito acquisito popolarità, ciò è dovuto al fatto che le sue parole esprimono la rabbia dei membri delle gang del ghetto e il loro disprezzo per il sistema egemone, in particolare per la polizia. Il G-rap non era una semplice riproduzione dei comportamenti deteriori tipici delle traiettorie di marginalità vissute dai giovani neri dei ghetti; al contrario, costituiva una nuova ed autentica forma di reattività nei confronti di una realtà sociale che confinava i suoi abitanti ad una vita di abbandono, fra guerre intestine per il controllo del traffico del crack e disoccupazione strutturale (Toner, 1998).

Esiste, dunque, un gangsta rap "autentico", nato dai protagonisti del ghetto in un'ottica di riscatto sociale, ed un gangsta rap commerciale elaborato dalle case discografiche. Quali elementi possono aiutarci ad orientarci in questo mondo tanto vicino ai giovani delle nostre periferie? Wallace mi ha a questo proposito consegnato una preziosa chiave di lettura. Nelle nostre chiacchierate, non ha mai smesso di sostenere come la reale garanzia della salvaguardia dei valori fondamentali dell'hip hop sia data dal rapporto che il rapper mantiene con la strada. Un relazione da intendere nel senso più stretto, di reale vicinanza con il quartiere di cui si canta ed i suoi problemi. Non vi è rischio di contraddizioni: se gangsta significa "criminale", la "criminalità" è quella che si vede nelle strade di cui si parla:

Io non lo definirei nemmeno gangsta. Parte dalla tua condizione.. lavori tutta la settimana, ti fai il culo, e dopo non arrivi nemmeno a fine mese. E' un racconto. Un po' di risata un po' serio. E poi dipende come lo leggi. Perché vedi magari che uno canta, no? Vedi il video, vedi che è ignorante.. Ma se tu lo leggi invece, senza musica, ti rendi conto che è una cosa profonda, è una lettura delle cose. Infatti dire gangsta rap qui in italia non rende. Se guardi quello americano è una cosa, da noi è diverso. Anche perché la cultura media di uno di New York non è la stessa di uno italiano. Anche in america c'è il nord e il sud.. è come il neo-melodico! Il neo melodico è la stessa cosa.. così, sembrano mezzi mafiosetti. Il gansta rap non sono i mafiosi.. E' la commercializzazione della cosa il problema ... Di ste cose io ci ho sempre litigato con quelli di zulo nation. Mi piace un sacco quella roba eh, io con Bambataa ci son cresciuto. Però il gangsta rap tu magari vedi solo le armi, la coca, ma non è solo quello. E' la strada come vivi. Io son passato dalla parrocchia e poi sono finito nel bar. Il rap è un gioco, è per sfogarsi. Entri un vortice che non saprei neanche spiegare.

Per Wallace, la strada è contemporaneamente uno spazio sociale di apprendimento, un luogo da raccontare, ed una zona franca in cui riversare le proprie preoccupazioni. La dimensione "gangsta" dal rap, lontana dal rappresentare un prodotto delle major companies, è in questa versione l'espressione di un'appartenenza culturale e sociale:

Ad esempio tu pensi ai 50 cents.. però quello è diventato un 50 cents.. ed è partito dalla strada. Poi adesso anche lui è cresciuto e fa l'imprenditore. Non è un coglione, magari si per una parte della sua vita, ma alla fine ce l'ha fatta. A me non piacciono quelli che disprezzano uno perché magari dici è commerciale.. sono cazzate, se uno è bravo è bravo ... Nel gangsta rap ci sono la east e la west coast che sono due cose diverse. E poi c'è il sud. A nord sono i più fighetti, al sud sono più maragli, dipende da un problema di emigrazione, lì ci trovi anche soprattutto i messicani e tutti i sudamericani ... è come da noi! Io mi sento più vicino al sud, che è visto come una cosa più commerciale, ma musicalmente son avanti anni luce. Per dire: il rap classico campiona. Mettono i pezzettini. Quello che ascolto io è tutto suonato e non gli danno di valore. Danno un sacco di valore alle parole. Ma secondo me non contan tanto le parole, e più vado avanti a scrivere e più penso questa cosa qui. (Wallace parla a ruota libera).

Si legge qui tra le righe un'ulteriore elemento di autonomia rispetto alle produzioni destinate al grande mercato: l'originalità -musicale- delle "basi". Una importante differenza, che il critico musicale Reynolds coglie in questi termini:

Questo scisma gangsta/rap impegnato, street/underground ne ricalca uno simile nella cultura dance: le scene che si rivolgono agli intenditori contro gli underground hardcore. In realtà si tratta di una triplice divisione: da un lato il mainstream crossover, cioè roba che piace a chi non ama il rap e la dance; dall'altro le élite degli iniziati; in mezzo, le scene hardcore street. E' da queste ultime, a mio parere, che arrivano tutte le vibrazioni. Paradosso cruciale: le scene hardcore street sono populiste ma antipop. Il loro populismo assume la forma dell'unità tribale contro quella che viene percepita come una cultura pop omogenea e poco allettante. Ma a differenza delle cricche di sapientoni e dei pionieri che sperimentano nelle loro torri d'avorio, l'hardcore è musica innovativa pervasa da una vera e propira "energia sociale". (Reynolds, 2007, pag. 242)

Nella sua manifestazione più autentica il gangsta rap unisce in se due elementi: un'"estetica della colpevolezza" molto simile a quella descritta da alcuni autori nell'ambito delle ricerche sui "Latin King" (Queirolo Palmas e Torre 2005; Cannarella, Lagomarsino e Queirolo Palmas 2007), e cioè la manifestazione di uno stile estetico, linguistico e musicale che viene avvertito e trasformato dagli altri attori sociali come un segnale di pericolosità. E la rivendicazione di una cultura resistente, fondata sulla capacità di risignificare i simboli dell'appartenenza al ghetto in elementi di mutuo riconoscimento e rifiuto dell'ordine sociale vigente.

E' dunque possibile interpretare i comportamenti dei rapper di quartiere in termini opposti a quelli della riproduzione sociale: e cioè come una forza di negatività che costringe ad andare avanti nella consapevolezza che le condizioni del tuo quartiere non verranno migliorate dallo stato, dall'economia o dalla politica. Parlare della strada non significa necessariamente ripercorrere le traiettorie di marginalità vissute sulla pelle; piuttosto, in mancanza di momenti di rivolta, la resistenza può iniziare fraternizzando con chi ti sta accanto. In fondo, è questo il senso dell'esistenza delle organizzazioni di strada, ed il loro rapporto con l'hip hop evidenzia questa caratteristica. Reynolds la mette giù in termini brutali:

I gangsta rapper hanno trovato un riflesso di queste ribollenti passioni nella mafia dei film hollywoodiani, le cui famiglie accantonano i principi condivisi della società per attenersi a una moralità privata: un'etica neomedievale di lealtà e vendetta che opera solo nel dominio dei consanguinei, al quale vanno aggiunti i conoscenti che, pur non avendo legami di sangue, hanno giurato fedeltà al clan. Con il suo codice d'onore tra nemici e la sua struttura familiare, l'idea della mafia attecchisce nell'hardcore rap, anche per il modo in cui si adatta alle realtà di strada delle gang e della guerra tra quartieri. Il concetto di famiglia, inoltre, offre un tipo di unità che appare più tangibile e solido rispetto alla fedeltà da un lato a quell'entità astratta, remota e problematica nata come Stati Uniti D'america, dall'altra al nazionalismo afroamericano in tutte le sue forme. Nell'universo rap, il patriottismo si riduce alle dimensioni compatte e immediate del gruppo, in genere legato a un luogo specifico: un complesso residenziale popolare, un distretto o al massimo una città (Reynolds, 2007, pag. 247).

6-Il writing

La cultura hip hop, fin dalla sua nascita, è stata anche un "contenitore" della pratica della break dance e di quella del writing. L'indizio più visibile dell'esistenza di un movimento rap, spesso, sono proprio i segni tracciati sui muri e sugli arredi delle nostre città, o le acrobazie spettacolari dei breaker.

"I giovani dei ghetti hanno trovato un nome, Hip hop, con cui indicare i diversi stili della bracking e i disparati ritmi della rap music" scrive Claudio Gatti nel saggio Dalle gang di strada alla cultura hip hop, pubblicato nel volume La rivolta dello stile, tendenze e segnali dalle subculture giovanili del pianeta terra (Cristante, Di Cerbo, 1983, pag. 22).

La nascita del graffitismo (8) è databile tra la fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni settanta. La storiografia dell'hip hop sostiene che il movimento iniziava per mano di un diciassettenne che si firmava Taki 183, diminutivo greco di Demetrius. Demetrius inizia a scrivere la sua tag un po' ovunque, con una particolare predilezione per la metropolitana ed i treni in generale. Quando il nome di Taki 183 apparve sul "New York Times", il movimento writer comincia a diffondersi su larga scala: sfidarsi nel fare la tag più grossa e pericolosa diventava una mania dilagante.

Fin dal 1972, il comune di New York mette in campo le prime strategie "antigraffiti", con una costosissima campagna di pulitura massiccia di tutti i vagoni della metropolitana e l'emanazione di decreti ad hoc. "Ma la legge antigraffiti, ebbe effetti completamente opposti a quelli desiderati: i vagoni, finalmente ripuliti da tutte le firme, potevano essere colpiti con maggiore tranquillità. Le carrozze pulite danno una nuova spinta all'evoluzione dello stile, si può sperimentare senza mancare di rispetto agli altri writer" (Alessandro Riva, 2007, pag. 41). Il fenomeno assume proporzioni gigantesche, tanto che "la città si trasformò in una tela itinerante su cui ribollivano tutte le tensioni sociali, le frustrazioni e il desiderio di visibilità di una generazione di giovani. Migliaia di ragazzi scavalcavano recinzioni, rischiavano di rimanere fulminati sul mortale terzo binario e scappavano dalla polizia solo per poter fare pezzi sempre più spregiudicati" (Pipitone, 2008, pag. 67).

L'aspetto più interessante, che influenzerà positivamente tutto il mondo hip hop, è il carattere multiculturale che assume fin da subito il movimento writer. I disegni si caratterizzano per non avere quartiere né -soprattutto- razza, e i treni della metropolitana dipinti in ogni vagone attraversano tutta la città. Gli stili e le culture possono intrecciarsi ed influenzarsi.

Tuttavia, la coscienza politica di quei giovani sembra molto lontana dalle lotte per i diritti civili che pure negli Stati Uniti di quell'epoca avevano raggiunto il loro apice storico (De Rienzo, 2004). Quella mania di scrivere ovunque il proprio nome, l'aspirazione a raggiungere un risultato qualitativamente sempre più elevato, sembra rappresentare piuttosto un grido estremo di visibilità, come dire: "Ci sono anch'io! Non sono nessuno!".

Il writing inizia così verso la fine degli anni settanta ad entrare in simbiosi con l'hip hop, contribuendo alla nascita di una cultura che parla un linguaggio non compatibile con il potere costituito. Come conseguenza alla dura repressione subita si rafforza l'idea che nessun cammino politico o percorso istituzionale avrebbe portato al riscatto della classe nera. Ma latita qualsiasi precisa strategia: la resistenza inizia con la semplice necessità di emergere ed essere visibili. Di "essere qualcuno".

7-Il "rap Bolognina" è gangsta

Siamo in piazzetta io Wallace e la Menna. Wallace mi spiega che, da un punto di vista artistico, i Bolognina Warriors non sono mai stati un esperienza solo musicale. Anzi, fin dal principio ognuno faceva qualcosa di diverso. C'era chi faceva hip hop, chi faceva magliette e adesivi, altri in quartiere ballavano la break dance. E naturalmente c'è chi faceva le trow up. "Io vado a lavorare, cerco di suonare, fare le mie cose. C'è un modo di esprimersi che per ognuno è diverso, ma alla fine siamo tutti fratelli, la stessa balotta, cresciuti assieme fin da quando avevamo quattordici anni ... eravamo un po' maragli, la bomba era un po' come dire "oh, stai attento, noi siamo i Bolognina Warriors! [non siamo nessuno!] (Appunto del 20/05/2013)

Rivolgiamo nuovamente lo sguardo a Bologna, nel nostro quartiere Navile. Tutte le componenti del mondo hip hop trovano qui una loro forma di espressione. Dal rap al writing, dalla break dance ai contest freestyle. I Bolognina Warriors sono una delle tante presenze artistiche di un quartiere effervescente. Con la creazione del laboratorio "on the move" (9), il movimento hip hop si è ad esempio arricchito di una nuova componente battagliera, apertamente schierata contro le attuali politiche sull'immigrazione e per la rivendicazione dei diritti dei giovani di "seconda generazione". Il centro sociale Ex Mercato 24 è il loro spazio di ritrovo. Qui si esibiscono anche i più rinomati rapper europei, in manifestazioni politicamente schieratissime come quella del "rap militante internazionale", giunta adesso alla sua terza edizione. Nella pista ciclabile dietro alle nuove Minganti si incontrano i "Bolognina Breakers", che da oltre un decennio mettono alla prova le loro ginocchia in sfide di b-boyng a ritmo di rap. Dalle parti della fiera è invece sorto un'enorme skate park, che raccoglie invece l'ala più colorata del mondo hip hop; B.U.M. e Arena zerocinquantuno (10) ne hanno fatto un centro di feste e contest all'avanguardia.

Ma la zona compresa fra via di Saliceto, il parchetto di Ustica e via Ferrarese è invece la casa dei Bolognina Warriors, come indicano gli enormi murales con le iniziali B.W. situati nei dintorni dello storico bar di ritrovo. Il grafico, un ragazzone del quartiere alto due metri, si diverte a disegnare i loghi che verranno poi trasformati sotto forma di adesivi, magliette o graffiti sui muri. I soggetti riprodotti sono tendenzialmente immagini terribilmente truci: la bomba a mano con la spoletta aperta dipinta a forma di scudetto del Bologna Calcio, il nome del gruppo stilizzato che sovrasta un enorme coltello da macellaio, le iniziali B.W. scritte a caratteri cubitali che "sprizzano" un colore rosso sangue, il logo con i teschi che separano le due parole, il famoso (11) teschio con la scritta "pericolo" che precede la scritta.

Lo stile è quello "gangsta", ma come dice lo stesso Wallace ridendo, il termine bolognese "maragli" rende altrettanto bene l'idea. A questa dimensione simbolica di loghi che incutono timore, il writing ed un abbigliamento "old school" di giacconi stile "bomber", si aggiunge il rap. I primi suoni li producevano già a quattordici anni per hobby, ed oggi diversi di loro hanno alle spalle anche la pubblicazione di alcuni album autoprodotti. A parlare qui sono Wallace e Niko, accavallando spesso completamente le loro voci:

Il rap è venuto da se pian pianino, non è stata una cosa programmata. Provi a scriver due robe, poi trovi quell'altro che gli piace anche a lui, inizi a farlo insieme... Io ho iniziato ad ascoltare hip hop a 10 anni, nel 94, lo ascoltavo con la radio ... Qui non c'è mai stato niente di simile. Io son sempre stato, anzi noi come balotta non abbiamo mai seguito gli altri ... è una cosa che ci siamo coltivati da soli per interesse personale. Ci piaceva proprio. Si vede che ha legato veramente la cosa. Cioè io ricordo il primo pezzo che ho sentito, si chiamava California Love. Ero sconvolto, era troppo bello. Non capivo neanche che diceva. Poi dopo con un altro amico ci siamo cominciati a intrippare, facevamo la colletta per comprare le cassettine, che non c'era internet e quindi ti accontentavi di questo qua e poi pian pianino ...

... Proprio a far le cose ho iniziato a 15-16 anni. Pochi lo sanno, ma io sono fra i pochi in italia che fa sia i beat che canta. Tutti mi rispettano per sta cosa (parla Wallace). Se hai ascoltato un sacco di rap.. lo riconosci, i suoni che usa, come li suona ..sai come suona ognuno... Poi dopo abbiam iniziato a fare proprio "rap bolognina". Cioè alla fine eravam noi, ed eravam bolognina warriors, facevamo gli ignoranti.. e buona!

D: Che tipo di pezzi avete scritto in quegli anni?

R: Di pezzi ne abbiam fatto un botto, molti anche da soli, 50 sicuro. Però mai fatto niente di ufficiale, non stavamo a darli in giro.. non è che si faceva con lo scopo di far soldi o chissà che.. c'è stata anche un evoluzione nel pensiero.. Alcuni sono pezzi ignoranti, poi ci son dei pezzi che parlano d'amore, o anche delle serate o delle fighe, pezzi sessuali per ridere! ok, ma anche che parlano della società, di politica, di noi a lavorare, di stare in fabbrica tutto il giorno per mantenere te stesso e la famiglia.. Il gangsta rap è anche questo capito? Non è solo quelli che si vestono con la magliettina figa e si spippano tutto il giorno di cocaina.."

Rap ignorante, o "Rap bolognina", come lo chiama Niko, per loro significa semplicemente "rap di strada". Questa attitudine che si autodefinisce "gangsta", ha come risvolto la presa di distanza da ogni forma di ricerca del successo personale attraverso la musica:

Non siamo mai andati dietro al marketing. Ognuno di noi si sbatte quando vuole, non è che facciamo le cose professionalmente. Andiamo a lavorare, poi quando abbiamo tempo ci mettiamo anche a rappare. Fai fatica ad arrivare a fine mese. Nasce tutto dalla strada, anche per non spararsi.. poi magari si spara lo stesso! Quindi parliamo delle cose che vediamo per strada.. è come il gangsta-rap! Certo: altri vedono le pistole, la coca, le rapine e parlano di quello, di che cazzo dovrebbero parlare se vedono solo quello! Magari non gli insegnano neanche a sognare, quindi per loro l'obiettivo è quello, fare i soldi.(Wallace).

Una dimensione da "barrio" che ci viene confermata dalla scarsa considerazione che hanno "di quelli di Arena zerocinquantuno", il collettivo che gestisce le serate ed i contest rap bolognesi con il maggior seguito di pubblico. I rapporti con questo giro "ufficiale" sono del tutto inesistenti.

Io lo seguo poco il rap italiano, anche quello bolognese. Ci son le balotte che fan le cose. C'è l'arena 051 che fa le cose. Adesso alla fine secondo me ha preso piede in altre città più che Bologna. A bologna negli anni 90 quando c'era gente che pompava come Cassano. Qui appunto, adesso c'è l'arena 051. A me con le loro teorie non mi son mai piaciuti. Se vuoi fare il rap a Bologna devi stare in mezzo a sta gente per forza. Se certa gente che fa cose che loro vedono ignoranti non cantano. C'hanno il monopolio delle serate, fanno girare il cash, hanno gli sponsor. Come bad klass a Bologna non ci chiamano mai! A mare a Ravenna o in Romagna ci chiamano. A forza di chiudersi così, adesso va più il movimento hip hop in altre città, dove c'è un contesto più aperto. Oh questa è un'opinione mia. Loro son contenti, credono in quello che fanno. Ma secondo me si creano una nicchia, son fermi a un pensiero". (Wallace)

Lo stereotipo più diffuso relativo al gangsta-rap, che vuole la sua essenza semplicemente legata ad un business per fare soldi sfruttando gli aspetti più materialistici e reazionari del rap (Andrea Ughetto in Zephaniah, 2004), decisamente non si adatta alla visione del mondo di Wallace e compagni. Nelle rime di alcune recenti canzoni dei Bad Klass, un gruppo messo su da Wallace ed altri ragazzi, si può intuire cosa ne pensi a proposito di carriera, soldi e "successo":

Non perdere il tuo tempo con il denaro- il successo dura quanto singolo sparo- quindi ogni giorno devi avere la giusta spinta perché per il cash la fuori c'è la fila ... niente da perdere non faccio la commerciale, non sparare cazzate: più le uscite che l'entrate. Prova a immaginare la tua vita, non potrà cambiare - io cammino a camminare a testa alta in questo rap che è pronto a metterci la faccia - non è solo denaro non ne sono ancora ancora schiavo, per me vale ancora una stretta di mano. Non esistono padroni, dubito che ci farete scuola.." (Solo soldi, dall'album "Il quinto elemento, Bad Klass).

Le dure rime dell'hardcore rap nascondono in altre parole testi profondi, o l'intenzione di non svendere nemmeno una piccola porzione delle proprie idee:

È la musica che parla di cose vere.. musica per oltrepassare le barriere dall'inizio alla fine nel male e nel bene ... Io vivo per lei sono nato per lei ... girala come ti pare ma ti tiene fuori dai guai.. non lo faccio per moda pensiero o chissà che cosa .. è il riassunto della tua vita rispetta- non farlo per il cash di una valigetta- e quanti stronzi te la commenteranno senza sapere un cazzo solo per il gusto di farlo ... musica per tutte le razze le piazze le bazze tutte le persone pazze - rispetta anche chi ha perso tutto e proprio grazie a lei continua a fare brutto ... (Muzic for Life, Bad Klass)

8-L'hip hop nelle organizzazioni di strada: fra riproduzione sociale e resistenza

In questo capitolo abbiamo utilizzato la parola "resistenza" come sinonimo di un fatto sociale che nasce dal basso, che ha un respiro globale ma è capace di riprodursi in maniera sostanzialmente autonoma su un livello territoriale (Castells, 1998). La resistenza si manifesta nelle organizzazioni di strada a partire da simboli e riferimenti culturali peculiari, che assumono la valenza di elementi distintivi e di riscatto rispetto ad una condizione di subalternità. Al contempo, si tratta sempre di fenomeni che hanno protagonisti molto reali ed umani. E, in quanto tali, restano sempre a rischio di essere vittima di meccanismi di recupero o strumentalizzazione. I giovani delle organizzazioni di strada non sempre riescono a liberarsi del tutto da comportamenti che riproducono le dinamiche classiche del dominio e dello sfruttamento, come la violenza, il sessismo ed il senso di potere sul prossimo.

In linea con questi presupposti, ritengo che le produzioni socio-culturali, e così anche la musica rap, siano un riflesso delle condizioni oggettive che circondano i suoi attori protagonisti. L'hip hop, in presenza di determinati elementi di consapevolezza, diventa uno strumento che permette di sviluppare una forza capace di sovrastare quelle stesse condizioni oggettive.

Sostiene Bazin (1995), ricercatore parigino in scienza sociali, che il rap sia stato spesso erroneamente ridotto a due campi principali di dibattito: l'immigrazione ed il ghetto. In questo senso, esso funzionerebbe come rilevatore di una "ghettificazione" delle periferie; la rappresentazione di una sottocultura tipica di una gioventù sfaccendata. Ridurre l'hip hop a "cultura del ghetto", con il suo corteo di miseria, droga e delinquenza, avrebbe lo scopo di esorcizzare una realtà ben precisa: la marginalizzazione degli spazi urbani che determinano comportamenti individuali e collettivi ben precisi: "la rivolta ne sarebbe l'espressione più esacerbata, il rap la sua forma più canalizzata" .

Prosegue Bazin riflettendo che mentre la politica, la polizia ed i mass media farebbero dei muri del ghetto il perimetro di un territorio da cui è impossibile uscire, per l'hip hop quei confini aprono invece un nuovo spazio di conquista. L'espressione artistica del rap sembra così suggerire un inversione del processo di integrazione: non più la società che integra un margine, ma il margine che "avvolge" la società. Il rap offre a tutti i suoi protagonisti la possibilità di coltivare un sentimento di appartenenza. Aperto ad un largo ventaglio di comportamenti, permette a ogni gruppo di diversa appartenenza culturale di dispiegare tutta la propria originalità. Bazin esclude che persino il g-rap possa definirsi un ripiegamento sulle "comunità" o un fenomeno esclusivamente auto-rappresentativo, contribuendo piuttosto a sviluppare una dimensione che attribuisce un carattere di visibilità alle aspirazioni dei diversi gruppi coinvolti. Conclude dunque sulla dialettica fra recupero/riproduzione e resistenza:

Evitando le posizioni di totale rottura con l'industria culturale, l'hip hop si apparenta per molti versi a un marronage culturale, una forma di diserzione e resistenza a qualsiasi tentativo di recupero e di assorbimento. Rispetto ai processi di alienazione, tipizzazione e normalizzazione che l'immaginario sociale produce sui temi delle bande giovanili, delle periferie ai margini, dell'immigrazione, l'hip hop elabora strategie di snaturamento, una vera e propria arte della sottrazione ... L'esistenza di conflitti interni e rapporti di forza tende a provare che il movimento possiede la consistenza di una minoranza attiva. Se questa "minoranza" fosse solo una costruzione posticcia, o la semplice affermazione dell'esclusione, se il gruppo segnasse unicamente il congelamento dei caratteri immutabili di una differenza, non si spiegherebbe la vivacità culturale dell'hip hop, la sua capacità d'innovazione nonostante l'affermazione di uno o piuttosto molteplici identità (Bazin, 1995, pag. 243).

Queste riflessioni non possono che arricchire quanto già sostenuto da diversi altri studi sulle organizzazioni di strada. Nelle ricerche relative a pandillas latinoamericane quali i Latin Kings e i Netas, è stato posto l'accento sull'importanza della costituzione di un capitale simbolico-culturale come espressione di un paradigma di resistenza. Alcuni autori, abbiamo visto, hanno messo in evidenza come elementi quali lo stile gangsta, l'abbigliamento "a lo ancho", i rituali cerimoniali, i colori che si indossano, l'ascolto di musica hip hop o reggaeton, diventino i presupposti per la formazione di una sorta di "estetica della colpevolezza", rendendo i comportamenti di questi giovani devianti e antisociali agli occhi degli altri attori sociali (Queirolo Palmas e Torre 2005; Cannarella, Lagomarsino e Queirolo Palmas 2007, Brotherton, 2003, Feixa, 1998). Ma, contemporaneamente, sottolineano come quel portato simbolico rappresenti il fulcro della trasformazione dello stigma ricevuto in protagonismo. E, precisamente, nella possibilità di auto-generare rispetto e dignità attraverso un processo di empowerment situato a livello sia individuale che collettivo. Una soggettività resistente che vuole sfidare la cultura dominante e la repressione. Un capitale simbolico che genera onore, reputazione, rispettabilità, riconoscimento, capace di trasformare "uno statuto di non persona, assegnato dalla società dei cittadini a molti giovani migranti, in uno statuto di persona, anzi di iper-persona, da esibire, rivendicare, mobilitare nello spazio pubblico dei coetanei" (Queirolo Palmas, 2009, pag. 59).

La mia ricerca si colloca esattamente nel solco di queste suggestioni. Abbiamo dimostrato come l'hip hop costituisca un elemento privilegiato di analisi per comprendere pratiche, valori e significati delle organizzazioni di strada. E, se nel futuro vorremo continuare ad osservare e comprendere questi fenomeni liberi da ogni forma di pregiudizio, non abbiamo di meglio da fare che cominciare proprio dalle loro produzioni audiovisuali.

Note

1. Hagedorn sviluppa la sua analisi sulle organizzazioni di strada limitando il suo ragionamento al concetto di "gang globale". Con questa espressione intende parlare di un fenomeno radicato a livello mondiale, facendo riferimento ad un panorama condiviso in tutti gli slum del mondo. Le gang urbane sono in questo senso una conseguenza delle devastazioni del capitalismo, e non un semplice fenomeno di "criminalità locale".

2. Ci riferiamo allo scempio che si sta compiendo con la costruzione della Trilogia Navile e più in generale nel processo di "riqualificazione" connesso all'ascesa della "città della ferrovia", argomenti affrontati nel capitolo precedente.

3. Molte altre sono le opinioni relative alla nascita del nome hip hop. Hagedorn (2011) sostiene che l'origine provenga "da un pezzo del 1979 degli Sugar Hill (che erano una gang): la canzone comincia con i versi: 'da hip da hop, da hippity da hip hip hop and you don't stop'".

4. Link dal sito: Zulunation.it.

5. Uno dei tanti siti in cui potremmo trovare questa frase: The history of hip hop.

6. Dall'indirizzo web: Afrika Bambaataa: Lettera al mondo Hip Hop.

7. Fonte: Wikipedia.

8. Graffitismo fu il termine usato a livello giornalistico a New York. I protagonisti, specie nella prima fase, rifiutavano tuttavia questo tipo di etichetta (Angeli, 1983).

9. "On the move" è un laboratorio di hip hop sorto dentro il centro sociale "xm24" dall'iniziativa di alcuni ragazzi "migranti di seconda generazione", e si è reso protagonista di numerose manifestazioni musicali e di lotta all'interno del quartiere bolognina, lavorando spesso in sinergia con il "coordinamento migranti".

10. B.U.M. è una sigla che sta per Bologna Underground Movement. Si tratta di un collettivo che si rifà ad cultura artistica e musicale underground prendendo ispirazione dalle città di spicco del panorama artistico europeo (Londra, Bristol, Berlino). Organizzano concerti, eventi e festival dal "basso", cercando sempre di mantenere le distanze da sponsor o mediazioni con le istituzioni. Arena Zerocinquantuno è invece un laboratorio di musica e cultura Hip Hop. Il progetto nasce nel 2007 a Bologna, al Centro Sociale TPO, e successivamente si sviluppa autonomamente. Oggi rappresenta il cartello che raccoglie la maggioranza degli artisti Hip Hop del capoluogo emiliano. Wallace dice che se vuoi suonare a Bologna "devi star con sta gente per forza".

11. Famoso per via delle cronache giornalistiche che lo hanno eretto indebitamente a simbolo della "baby-gang" della Bolognina, come scrivevamo nel secondo capitolo.