ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Il lavoro familiare salariato in Italia nelle parole delle donne migranti

Alessandra Sciurba, 2013

Molti studi hanno ampiamente argomentato come la necessità di una forza lavoro flessibile e a basso costo, accentuata dal protrarsi della crisi economica e finanziaria contemporanea, trovi una risposta particolarmente efficace nelle politiche migratorie che costruiscono una permanente posizione di precarietà giuridica e sociale dei lavoratori migranti (1). Ci troviamo in una situazione in cui, come è stato scritto, "l'irregolarità dei migranti è a poco a poco emersa come l'asse portante del nostro sistema sociale" (2).

Questo sistema in alcuni particolari settori produttivi (e nel nostro caso riproduttivi (3)) come quello del lavoro familiare salariato si intreccia con il fenomeno della femminilizzazione dei movimenti migratori nella globalizzazione (4). Infatti "l'offerta di cura, nella miriade di forme in cui si sviluppa, è alla base della migrazione femminile" (5).

L'Italia è il paese europeo in cui questo fenomeno appare più significativo. La delega del lavoro domestico e di cura al mercato migrante appare infatti, nel nostro paese, un fenomeno trasversale che riguarda le più diverse estrazioni sociali e culturali. Ciò è dovuto a una serie di fattori strutturali, quali l'assenza di politiche di conciliazione tra vita, famiglia e lavoro, l'invecchiamento della popolazione, la contrazione della spesa in servizi alla persona.

In un simile contesto, il lavoro familiare resta, in Italia più che altrove, una responsabilità sostenuta quasi interamente dalle donne, la cui "doppia presenza" - in riferimento al loro doppio lavoro riproduttivo nel contesto familiare e produttivo in quello extradomestico (6) - appare ancora possibile grazie al lavoro di altre donne provenienti dalle società più povere (7). Il settore del lavoro familiare salariato è dunque segnato, oggi più che mai, da pratiche di sfruttamento e discriminazioni (8).

Il lavoro domestico e di cura è di per sé un lavoro fragilizzante che comporta un'inferiorizzazione sociale di chi lo svolge (9), e che per questa ragione, a dispetto dell'importanza del care per la piena realizzazione della condizione umana (10), appare da sempre connesso all'universo del privato e del femminile. La legislazione italiana, ad esempio, in linea da questo punto di vista con quella europea, ha sempre creato un binario parallelo per il "lavoro domestico" che non ha mai goduto delle stesse tutele e garanzie degli altri tipi di lavoro salariato (11).

Essere una donna migrante impiegata nel lavoro domestico e di cura comporta allora delle fragilità multiple: allo stigma che segna la condizione della donna in società ancora culturalmente post-patriarcali, e a quello che accompagna ogni migrante, la cui presenza è sempre valutata in termini economistici di costi/benefici nel paese di arrivo, si somma lo stereotipo ulteriore cui sono soggetti tutti coloro i quali svolgono questo tipo di lavoro (12).

Quello che è stato definito da Renata Sarti come il "modello badante", trae infatti i suoi vantaggi "dalle condizioni di lavoro sub-standard in termini di salario, tutele, orari, ecc. in cui molte/i assistenti familiari operano. pertanto - e qui sta il vero nodo della questione - qualsiasi miglioramento di tali condizioni rischia di alterare il precario equilibrio che rende vantaggiosa tale soluzione" (13).

Per approfondire questi fenomeni è fondamentale prendere le storie di vita delle donne migranti impiegate nel settore del lavoro domestico e della cura e come esse risultino il più delle volte segnate non solo dalle violazioni dei loro diritti di lavoratrici, calpestati costantemente dall'opacità in cui le condizioni di lavoro sono stabilite e negoziate (14), ma anche di diritti come quello all'unità familiare, colpito dall'intreccio tra queste condizioni e il modo in cui le scelte delle politiche migratorie hanno dato forma alla normativa sul ricongiungimento familiare (15). Queste donne migranti, inserite in quella che Hochschild ha definito "la catena globale della cura" (16), si trovano spesso a colmare vuoti di cura nel paese d'arrivo, lasciandone in patria altri, devastanti. Come appare evidentemente quando si guarda alle condizioni dei i figli rimasti in patria delle donne emigrate per prestare lavoro familiare all'estero, i cosiddetti minori left behind (17), viene dunque violato anche, il diritto, che è molto complesso formalizzare, di prestare e ricevere cura da parte di queste donne e dei loro familiari.

Per valutare la posizione delle madri transnazionali rispetto al diritto di cura dei loro figli, è allora importante tenere presente fino a che punto la loro decisione di migrare sole sia, come scrive Kittay, una "Scelta di Sofia" (18), poiché impone di operare un bilanciamento impossibile tra ordini di beni che mai dovrebbero essere messi in competizione. In questo senso, la condizione delle madri transnazionali appare una rappresentazione emblematica, ma anche specifica, del "campo di forza" prodotto dalla tensione tra libertà e coercizione, che imbriglia e direziona tutti i percorsi migranti (19)."La scelta di Sofia", infatti, non è altro che l'estrema conseguenza di questo campo di forza che origina da condizioni di vita ritenute inaccettabili nel paese d'origine, da una reazione soggettiva a queste condizioni che implica l'esercizio di quello che Mezzadra ha definito un "diritto di fuga", e dall'intreccio tra politiche del lavoro e politiche migratorie, coi loro dispositivi di controllo della mobilità, che confina le possibilità di migliorare la propria esistenza e quella dei propri familiari all'interno di "scelte adattive" estreme come quelle delle madri transnazionali.

In questa prospettiva, si può parlare, prendendo di nuovo in prestito le parole di Kittay, di un vero e proprio "danno morale" (20) subito dalle donne che seguono questo tipo di percorso migratorio. Questo danno morale è da porre alla base dell'ipotesi che, oltre che il diritto all'unità familiare e il diritto di cura dei minori rimasti in patria, sia possibile riconoscere un altro diritto violato, non codificato, ovvero il diritto di ricevere e di prestare cura, che dovrebbe avere accesso universale e incondizionato, in quanto questo accesso appare indispensabile alla piena realizzazione della dignità umana (21). A questo danno morale, però, molte donne reagiscono non solo attraverso l'annullamento delle proprie aspirazioni e dei propri desideri individuali, ma anche con l'elaborazione di strategie di resistenza inedite rispetto al loro essere madri e donne sospese tra due mondi, doppiamente assenti da entrambi, ma al contempo doppiamente presenti in entrambi.

Per avanzare in questo tipo di analisi è indispensabile confrontarsi con le storie di vita delle donne di cui stiamo parlando, come altre studiose hanno iniziato a fare da lungo tempo (22). Per questa ragione, nell'arco degli ultimi due anni, abbiamo iniziato a raccogliere alcune interviste di donne rumene, moldave e ucraine che svolgono lavoro domestico e di cura a pagamento, a Palermo e a Venezia.

Ne riportiamo di seguito otto, in una trascrizione fedele di incontri duranti a volte più giorni. La scelta è stata quella di conservarne l'italiano non sempre corretto, o i modi di dire intraducibili, e di sottolineare al contempo i segni emotivi più evidenti (come le risate o i momenti di pianto) che le hanno attraversate.

Ogni intervista è preceduta da una breve sintesi degli aspetti più rilevanti da essa emergono. Oltre a risultare una concretizzazione empirica conforme alle riflessioni teoriche prima delineate, queste interviste restituiscono anche i percorsi di migrazione che le donne inserite nel mercato della cura in Italia hanno affrontato: percorsi segnati da attraversamenti clandestini delle frontiere, detenzioni umilianti, ritorni forzati in patria e nuove ripartenze. Tutti eventi che contraddistinguono con frequenza l'esistenza delle donne migranti impiegate nelle case delle famiglie italiane; tutti eventi che queste stesse famiglie, con altrettanta frequenza, ignorano e difficilmente potrebbero immaginare. Suggestionati tutti dalle retoriche ufficiali che separano sempre i "buoni lavoratori" immigrati dai pericolosi "clandestini" - come se la condizione di irregolarità sul territorio non fosse nei fatti imposta per legge dalle politiche migratorie contemporanee - quanti datori di lavoro riescono a guardare oltre il presente servile delle donne che tutti i giorni li alleviano dei lavori più emotivamente e fisicamente faticosi?

Elemento chiave che emerge da tutte le interviste è infine la problematicità delle relazioni di genere nei paesi d'origine, in questo caso quelli dell'Est Europa. Il preciso ruolo di figlie, mogli e madri che le donne assumono in queste società, appare anch'esso, al pari del fattore di attrazione rappresentato dall'offerta di lavoro di cura che arriva dai paesi più ricchi, alla base della prevalente femminilizzazione delle migrazioni da quegli Stati.

Pur non trattandosi evidentemente di un campione statisticamente rilevante, la lettura di queste testimonianze, come accade con le storie di vita, permette di cogliere, all'interno di un'interdipendenza costante tra macro e micro livelli, fino a che punto il contesto personale sia sempre connesso con quello sociale, economico, politico e culturale (23).

1) Lilia, moldava, 27 marzo 2012, Marghera

Lilia ha lasciato la Moldavia a 24 anni per trovare un lavoro all'estero e sostenere i suoi genitori contadini, che dopo il crollo del regime comunista hanno visto le loro condizioni di vita deteriorarsi sempre più. A partire per prima verso l'Italia era stata sua sorella, lasciando a lei il figlio piccolo, che Lilia ha cresciuto come una seconda madre, anche se il padre naturale era rimasto anche lui in Moldavia.

Le parti più interessanti di questa intervista riguardano le ragioni della partenza, che vanno ritrovate anche nelle evoluzioni economico-politiche di un paese come la Moldavia dopo il crollo del muro e la fine del regime sovietico; la delega della cura materna alle altre donne di casa, o anche ad altre donne pagate per questo, che si impone quando sono le madri sole a partire; la narrazione dei percorsi migratori dei cittadini non comunitari, con i periodi di prolungata irregolarità forzata; l'inserimento nel mercato di cura migrante in Italia, che avviene per lo più nell'ambito dell'economia sommersa; il ruolo delle donne nella società moldava, che influisce, insieme alla spinta dell'offerta di lavoro familiare, sul fatto che siano soprattutto le donne a partire; la difficoltà economica e giuridica di ricongiungere i figli dopo la partenza, e quella relativa alla loro cura, quando i ricongiungimenti vengono effettuati da donne che lavorano nelle case a tempo pieno; la riflessione sui costi sociali della migrazione femminile nel paese d'origine, specie in relazione alle conseguenze sui minori "left behind".

Lilia, come sua sorella, ha prevalentemente svolto in Italia lavoro familiare salariato, ha una figlia piccola nata qui.

Domanda. Stiamo registrando. Ti vuoi chiamare col tuo nome?

Lilia. Col mio nome, Lilia, perché non ho nessun problema guarda, tranquilla.

D. Mi dici quanti anni hai, ti va?

L. Sì, 31.

D. Sei più giovane di me... e da che parte della Moldavia vieni?

L. Vuoi che lo scrivo io? Vengo da Nisporene Venatorie, che è una campagna. un piccolo paesino molto lontano dalla città.

D. La città più vicina?

L. È a un centinaio di chilometri. La città più vicina è Nisporene che sarebbe una città piccolina piccolina che non è che proprio si contava tanto una città grande... erano delle cose, magari, ospedali, erano le più vicine alla campagna, che non era necessario andare proprio in città. Tutti i servizi necessari per la gente. Ospedali, tipo ulss, perché in campagna c'erano pochi pochi.

D. Fino a che età ci sei rimasta?

L. Fino a 24 anni sono stata lì coi miei genitori perché mia sorella è andata presto via, perché ha studiato. Poi è andato via anche mio fratello e io sono rimasta ultima coi miei genitori.

D. Dove è andata a studiare tua sorella?

L. Medicina, in città. In una grande città in Moldavia. Mio fratello invece ha scelto tutta un'altra cosa. A lui piaceva... sognava essere pilota ed è andato in Romania a studiare perché solo in Romania era una scuola specializzata proprio per i piloti. In Moldavia non c'era niente del genere, non ha mai esistito.

D. Quindi i tuoi genitori sono persone che lasciano i figli provare a realizzare i loro sogni?

L. Si si si. Loro sempre hanno contato su di me perché io magari sono ultima e resto sempre vicino, come magari un sostegno per loro, un aiuto. Invece anche io ho deciso di rifarmi anche io la vita e sono andata a studiare. Sono andata a studiare in città, ma non ce l'ho fatta. Non ce l'ho fatta perché sentivo che non c'era niente, dopo, nulla dove trovare lavoro, che era difficilissimo.

D. In che città sei andata?

L. Sono andata in Chisinau, proprio nella capitale della Moldavia.

D. Cosa studiavi?

L. Io studiavo liceo di sartoria e dopo ho cercato lavoro, ho finito tutto quanto, e dopo ho cercato lavoro e niente e intanto sentivo mia sorella che ha... in quel momento lei purtroppo ha lasciato il suo lavoro che lavorava in città ed è andata in Italia...è venuta qua. Perché avevano anche loro difficoltà grande di soldi, avevano uno stipendio miserabile. Anche adesso è uno stipendio miserabile in Moldavia, non ce la fai a vivere.

D. Tutti hanno uno stipendio miserabile in Moldavia?

L. Dipende, Alessandra. Perché quanto conosco e so io sono scappati quasi tutti via per questo, per una mancanza di soldi, per una mancanza di lavoro. Tutti quelli che hanno soldi, ma fanno il lavoro sporco, diciamo.

D. Se lavori onestamente non ci riesci?

L. Non ci riesci, proprio non ci riesci.

D. E quindi a te è venuta in mente piano piano l'idea di partire?

L. Non è che mi è venuto piano piano, prima è partita mia sorella, e dopo... intanto io ero in città e non riuscivo neanche io a trovare un lavoro dopo finito il studio e niente ho deciso di venire anche io qua, perché non ce la facevo. Non ce la facevo da una parte per me e da una parte per i miei genitori perché avevano bisogno anche loro di un aiuto. Non erano più le condizioni di una volta, quando eravamo con Russia. E era tutta un'altra cosa.

D. Spiegami questa cosa: quando stavate con la Russia era più facile?

L. Sì, era più facile perché tutti lavoravano insieme. Si avevano delle terre magari. Quando andavamo a lavorare andavamo tutti insieme, e tutto veniva dopo diviso a ognuno. Invece dopo hanno tutto distrutto. Hanno distrutto tutto, le ferme delle mucche... come si chiamano. Le stalle, che erano tutte insieme.

D. Chi le ha distrutte?

L. La gente. Quando siamo separati dalla Russia, la Russia si è presa le sue cose e basta, noi siamo rimasti proprio a fare quello che vogliamo, e la gente ha rubato tutto quello che trovava. Tutto. Tutto rubavano. Tutto.

D. Quando è successo questo?

L. Io avevo una decina di anni. Novanta, novantuno novantadue.

D. E prima i tuoi stavano bene?

L. Si, benissimo, io mi ricordo come da bambina, mi ricordo che vivevamo benissimo, benissimo, non ci mancava proprio niente. Erano dei servizi di trasporto come per andare a lavoro, tutti quanti, anche i trattori per coltivare le terre. Invece adesso trovi ma tutto proprio a pagamento... devi pagare tanti soldi per lavorare un campo. Il tuo o... tutta la gente va a lavorare con le mani adesso. E pensi che quei giovani non ce la facevano più...

D. Costa troppo acquistare i macchinari?

L. Costa troppo. E sono rimasti proprio solo quelli più anziani rimasti a lavorare i campi perché quei giovani non ce la facevano più, Alessandra, purtroppo, sono scappati via perché è un lavoro molto difficile, molto molto duro.

D. E i tuoi lo fanno ancora?

L. I miei lo fanno ancora sì. Per fortuna ancora ce la fanno, ma vedo che anno dopo anno proprio è tutto diverso per loro. Non ce la fanno anche loro. Sono tante terre da lavorare, i campi.

D. Quindi potresti dire che prima c'era anche una solidarietà, una comunità e che poi è finito tutto?

L. Sì sì, è finito tutto. Proprio all'istante, proprio in un anno è tutto tutto rovinato. Tutto rovinato.

D. Loro non hanno più una comunità?

L. No

D. Sono soli...

L. Sono soli.

D. E quindi anche pensando a loro hai deciso di partire?

L. Pensando a loro, sì, perché visto che era una vita molto difficile anche per loro, magari aiutarli con i soldi per pagare questi servizi, macchinari per andarli a lavorare questi campi, almeno qualcosa, perché hanno anche loro qualcosa, degli animali, come una fattoria, una piccola fattoria tipo.

D. Ed era impossibile in Moldavia?

L. Impossibile, proprio impossibile.

D. per aiutarli dovevi andare via

L. Per aiutarli dovevo venire qua perché non riuscivo a sostenermi io da sola perché non ce la facevo. Magari ce la facevo a trovarmi un lavoretto in mercato e vendere qualcosa, ma veniva pochi soldi, non ce la facevo a vivere neanche io, in città costava troppo, troppo.

D. Senti, tu sei venuta in Italia pensando a tua sorella che era qui, ma tua sorella perché ha scelto l'Italia?

L. Perché anche lei, perché lei si è sposata in Moldavia e poi non ce la facevano a vivere in una cameretta e hanno deciso di comprare una casa. Hanno preso un prestito, e purtroppo quel prestito hanno dovuto... erano proprio obbligati di prestare quei soldi indietro il più presto possibile, e loro non ce li avevano i soldi. E così hanno deciso, uno di loro di andare via all'estero per fare questi soldi per ...

D. ed è partita tua sorella da sola?

L. Si, da sola da sola. Non aveva amici, non aveva parenti, non aveva proprio nessuno.

D. E chi ha lasciato? Solo il marito?

L. Ha lasciato marito con suo piccolo figlio, che proprio ce lo ha lasciato a noi in Moldavia.

D. Quanti anni aveva il suo piccolo figlio?

L. Tre e mezzo, quattro, così. era piccolino, sono stata una seconda mamma per lui. Ero sempre con lui.

D. Come vivevate? Tu vivevi col marito di tua sorella?

L. No, il marito è rimasto in città a lavorare, quel lavoro che aveva. Mia sorella è partita in Italia e il piccolo è rimasto con noi, coi nonni e con me, in campagna. Avevamo più disponibilità, diciamo, per seguirlo, per mantenerlo. E dopo ho deciso anche io...

D. Quanti anni è rimasto lontano dalla mamma questo bambino?

L. Adesso ti dico. Lui è venuto qua, l'ha preso qua mia sorella che aveva sette anni, sette, sette e mezzo... quindi è stato tre anno e mezzo lontano dalla mamma.

D. E quando la vedeva?

L. Proprio l'ha vista dopo tre anni, perché lei non aveva possibilità di tornare in Moldavia perché non era in regola qua, quando è venuta. Non aveva nessun documento, ha dovuto aspettare finché esce questa legge per fare i permessi di soggiorni per i camerieri.

D. La sanatoria?

L. La sanatoria.

D. Del 2009?

L. No. C'è stata un'altra sanatoria in 2002 o 2003, non mi ricordo bene.

D. Quindi lei è stata tre anni e mezzo senza vedere suo figlio... e cosa faceva? Mandava dei...

L. Lei ha lavorato, i primi mesi ha lavorato bene per dare questo debito...

D. Dove è venuta in Italia?

L. È venuta proprio in Venezia.

D. Perché è più vicina?

L. Si si si, e qua ha trovato un'amica, aveva un'amica, una conoscente, che l'ha aiutata un mesetto per trovare questo lavoro, come faceva come badante.

D. Ma lei è entrata con un visto turistico?

L. Sì, è venuta col visto turistico.

D. E lavorava come badante?

L. Sì, lavorava come badante giorno e notte.

D. A nero

L. Sì, a nero. Lei è riuscita a dare questo debito che avevano e dopo ha deciso di restare e magari fare qualche cosina, altri soldi, e poi magari tornare in Moldavia. Poi alla fine, proprio non voleva più tornare perché... quali siano i suoi motivi non lo so.... Dopo un anno è venuto anche il suo marito, perché lui non ce la faceva a stare là, da solo. Sempre la chiamava e le diceva: vengo anche io. Perché è duro stare senza, diciamo, senza di lei. E una volta era più facile di arrivare qua. Adesso costa tanti soldi per venire.

D. Come si veniva prima?

L. E si pagava una persona per fare tutti i documenti, visto tutto. Che lo facevano tuto irregolare, non era regolare, ecco, e venivano.

D. Con un pullman?

L. Con i pullman sì, come i turisti. E dopo finivano che alla fine non tornavano più finché non si...

D. E oggi perché è cambiato? Prima era più facile e ora...

L. Più facile sì, era più facile a trovare, a fare documenti irregolari, invece adesso no. Adesso tutto è controllato. E costa di più. Un sacco di soldi.

D. Quanto costa adesso, se uno oggi vuole partire dalla Moldavia?

L. Se oggi qualcuno vuole partire e ha i documenti non a posto, allora 3.500 ho sentito. Ho sentito quando sono andata l'anno scorso a casa.

D. E questi soldi li trova la famiglia, perché è come un investimento?

L. Sì, magari se li trovano vengono qua e dopo lavorano e riescono a darli indietro, ma a volte la gente che arriva qua non trova così facilmente lavoro, e dopo rimangono proprio in un grande problemino. Perché anche una volta in Italia si poteva lavorare a nero, adesso invece non è facile lavorare in nero.

D. Perché è cambiato secondo te?

L. Ma perché penso che siamo in tanti, penso che siamo in tanti e la gente che vengono a lavorare onestamente sì, ma certa gente viene qua a fare un lavoro sporco. Io conosco gente che non piace lavorare, piace di più fare i lavoretti sporchi tipo rubare e certe cose di questo genere.

D. Ma questa difficoltà di arrivare qui, questi controlli che aumentano ecc. ecc., questa situazione è cambiata un po' da quando la Romania è entrata a far parte dell'UE?

L. Ma non direi che è cambiata, niente non è cambiata niente, non c'entriamo niente con la Romania e neanche la Romania con noi. Quando ci siamo separati dalla Russia la Romania voleva tanto unirsi, prenderci come sotto di lei, però la gente non ha...

D. Però prima dalla Moldavia alla Romania andavate facilmente e adesso?

L. Adesso no, con il visto bisogna andare perché se non ce l'hai il visto non vai.

D. Ma nessuno vuole andare in Romania dalla Moldavia?

L. Ma no Alessandra perché non è che abbiamo fatto tanta buona amicizia con Romania, mai, non abbiamo avuto questa amicizia, più amicizia abbiamo avuto con la Russia

D. Ma quando le persone partono dalla Moldavia vogliono venire proprio in Italia o è solo perché è vicina?

L. Costava meno per arrivare in Italia che andare in un altro paese. Tutti arrivavano qua perché sentivano: è andato quello e ha fatto un sacco di soldi. E allora vado anche io. E da questo tutti sono venuti qua. Perché è venuto un amico, dopo è venuto un parente, dopo è venuto un figlio e così...e hanno cominciato a venire uno dopo l'altro.

D. Ma tu pensi che... è una domanda un po' complicata... cioè... l'Italia è un paese "buono", tra virgolette, un paese "utile" dove si può vivere anche perché c'è questo sistema per cui si prendono le baby sitter o le ragazze in casa con gli anziani di più che in Spagna o in Inghilterra? Qua in Italia non ci sono servizi pubblici ed è tutto privato, no? Allora io affronto questa situazione di avere per esempio delle persone anziane in casa così... ma secondo te questa cosa ha attirato persone per venire a lavorare dentro le case oppure è al contrario: siccome sono venute tante persone si è attivato questo sistema?

L. Io penso che sia così che questo sistema ha attirato delle persone che vengono qui, sì.

D. Tornando un momento a tua sorella. Questo rapporto con questo bambino lontano, per tre anni e mezzo...

L. Lui non soffriva così tanto per la mancanza della mamma. Lui era un carattere molto vivace, lui non aveva il tempo di pensare alla sua mamma perché piaceva molto la scuola, e dopo piaceva giocare, divertirsi, aveva tanti amici e ogni volta che la sua mamma chiamava, magari per sentirlo o per parlare con lui, lui mai neanche voleva parlargli perché non aveva mai tempo o voleva giocare. Diceva: ciao mamma come stai? Bene, arrivederci. Non voleva mai stare tanto tempo al telefono. Magari ci sono certi bambini che quando sentono la voce della mamma piangono, soffrono, vogliono vedere la mamma. E invece lui no, era un bambino proprio allegro, era sempre impegnato, non voleva...

D. Ma tua sorella come provava a fare la mamma da lontano? Lei cercava di fare la mamma lo stesso?

L. Anche lei direi è un tipo non tanto diciamo, non so come spiegare...aperta, se anche soffre non te lo fa vedere. Chiamava ogni tanto, non chiamava magari una volta alla settimana, no... chiamava una volta al mese perché così magari si sentiva anche lei più... perché anche adesso la vedo che lei non chiama spesso i miei genitori. Chiama una volta la mese anche una volta ogni due mesi, perché la vedi: è un tipo così, chiusa.

D. Ma mandava dei regali?

L. Si si, mandava dei regali, mandava sempre

L. E non ti diceva come dovevi educare suo figlio?

L. Mai, lei è sempre stata fiduciosa in noi. Eravamo sempre una famiglia unita quando vivevamo tutti insieme eravamo sempre uniti, sempre abbiamo fatto tutti insieme.

D. E voi cosa dicevate a questo bambino della sua mamma?

L. Che è andata a lavorare e tornerà. Ma ti dico, Alessandra, per fortuna è stato un bambino che non ha sofferto la mancanza della mamma, per fortuna è stato questo. Perché io quando adesso vado in Moldavia e lascio A. (24) con i nonni per una settimana in campagna e io vado in città per farmi gli affari miei, diciamo così, lei soffre tanto. Una settimana la lascio, non è che la lascio tre anni, e lei soffre. Lei gioca cinque minuti e dopo mi cerca, piange e io sono obbligata a chiamarla e a tranquillizzarla. E così dico abbiamo avuto proprio una grande fortuna per questo.

D. Quindi: tua sorella va avanti, tu rimani tre anni e mezzo con questo bambino, poi parte anche il papà...

L. Sì, dopo un anno che è venuta mia sorella, dopo un anno viene anche il papà diciamo, suo marito, e dopo, non mi ricordo che anno era, 2004 sono arrivata io, 2005, mi sembra che lui è arrivato. Sì, 2005, aspetta un attimo che non faccio confusione.

D. Quindi prima sei arrivata tu e poi nel 2005 è arrivato il bimbo. E come è stato per il bimbo secondo te arrivare in Italia?

L. È stato felicissimo, non ti dico prima volta quando è arrivato l'incontro che abbiamo avuto. Abbiamo pianto due ore. Perché non ce la facevo, non potevo credere che siamo di nuovo insieme, perché tre anni sono stata sempre io con lui e lui era felicissimo di avermi vicina e di avere anche i suoi genitori vicini. Era felicissimi.

D. Quindi voi vi siete ritrovati tutti insieme qui in Italia

L. Si si si si.

D. E adesso lui è contento di stare in Italia?

L. Si, è molto contento e anche molto bravo perché ha imparato molto facilmente la lingua, molto presto, lui praticamente è arrivato in Agosto e a Settembre è già arrivato a scuola qua. È molto bravo, proprio un bravo ragazzo.

D. Quanti anni ha?

L. Adesso ha 14 anni. È grande e sta benissimo e ogni volta che magari gli diciamo: dai andiamo in vacanza dai nonni, lui è proprio contrario, non vuole, non ha tanta nostalgia come diciamo ho io, del mio paese.

D. Per lui è questo il suo paese?

L. Si

D. E tua sorella adesso che lavoro fa?

L. Lei fa come colf, sta pulendo delle case, pulizia delle case.

D. Posso chiederti se è in regola o no?

L. Sì, è da tanto in regola

D. Ma di solito si lavora in regola?

L. Ti ho detto: una volta anche io quando sono arrivata qua sono arrivata come lei, per tanti anni non avevo i documenti in regola. Io ho lavorato più che lei in nero. Lei è stata fortunata perché ha lavorato un anno in nero e subito è capitato che è venuta fuori questa sanatoria e ha fatto tutti i ...

D. Ed è rimasta con la stessa famiglia della sanatoria?

L. Si

D. Quindi è da 10 anni che è con la stessa famiglia?

L. Si. Per cui io direi che io sono...

D. Per cui lei ha un buon rapporto con questa famiglia?

L. Molto. Un buon rapporto, proprio 10 anni e lei adesso studia e vuole un po' cambiare diciamo lavoro, perché 10 anni un lavoro duro per lei... e vuole cambiare ma non ce la fa perché si è attaccata tanto a queste famiglie. Non è una sola famiglia, ci sono tante: lei oggi va a lavorare in una casa e dopo certa ora va in altra cosa così, a pulire, a stirare, a...

D. Ma di solito sono delle famiglie con delle donne giovani? Come se venisse qui da me per esempio?

L. Come se venisse da te, o magari sono anziani, ma sono la gente che magari sono avvocati, sono professori...

D. Ma succede che delle persone col permesso di soggiorno lavorino in nero? Tu diresti che il mercato del lavoro è più in nero o di più...

L. No direi che è più in nero, come spiegarti... mi ha assunto questa famiglia per nove dieci ore settimanali, però tu ti trovi una altro lavoretto in nero che magari quella persona non vuole assumerti. Per cui diciamo che tu lavori in una casa in regola e invece per 5 giorni la settimana in altra casa tu lavori in nero. Per cui la gente lavora più in nero che in regola.

D. Questa famiglia non ti paga tutte le ore che fai? Il contratto te lo ha fatto per meno ore?

L. Sì.

D. Ed è una cosa tipica questa?

L. Tipico sì.

D. Ma tu diresti che voi siete pagati troppo poco per il lavoro che fate? Che gli italiani si approfittano un po'?

L. Ma non direi che è poco Alessandra, perché noi sempre facciamo la differenza tra Moldavia e qua. Se noi facessimo questo lavoro in Moldavia proprio eravamo pagati molto di meno che qua, per cui noi siamo molto, molto contenti di questo, diciamo, di come siamo pagati.

D. Non pensate che gli italiani si approfittino un po' della situazione?

L. Sì, magari ci sono certi momenti che quando fai un lavoro molto molto difficile ti pagano poco. Questo sì, ti fa un po' pensare che loro stanno approfittando, ma magari se fai un lavoro più facile, stare con un bambino, pensi che non prendi quella cifra quando vai a pulire una casa, stirare e tutto quanto.

D. Anche stare con gli anziani è difficile no?

L. Anche stare con gli anziani perché è un bel lavoretto anche quello...

D. Per esempio, questa cosa di stare con gli anziani, che comunque è un lavoro importante, perché ...

L. È un lavoro importante e anche molto... come spiegarmi...giorno e notte e devi essere molto attenta che non succeda qualcosa e magari devi essere sempre disponibile, sempre disponibile. È un lavoro impegnativo.

D. E secondo te in media quando si viene pagati quando si sta giorno e notte con un anziano?

L. In media per il mese viene 800.

D. E quanti giorni liberi hai al mese?

L. Mi sembra che due. Due giorni liberi sì, in tutto il mese.

D. E non ci sono sabati, domeniche? Sempre?

L. Sempre, sempre, sempre. Magari ci sono dei casi, quando gli anziani hanno dei figli e magari alla domenica restano loro con gli anziani e le badanti magari hanno questo giorno di riposo, ma raramente, molto raramente succede così.

D. Quando tu sei venuta qui eri da sola, non eri ancora sposata?

L. No, non ero ancora sposata. Ci siamo incontrati un anno dopo che sono arrivata in Italia, siamo conosciuti qua, abbiamo...

D. E tuo marito cosa faceva?

L. E lui faceva anche lui un lavoro in nero (ride...) lui è arrivato come me: io sono arrivata da mia sorella e lui è arrivato da suo fratello. E lui è stato più fortunato, diciamo, di me perché lui ha trovato subito un lavoro, ha cominciato a lavorare ed era anche pagato bene. Perché in regola sei meno pagato che in nero, se lavori in nero sei più pagato, per cui è stato fortunato. Era come muratore, il lavoro che faceva anche suo fratello, lavoravano insieme

D. Ed è il lavoro che di solito fanno gli uomini quando vengono qui, no? Le donne vanno nelle case e gli uomini...

L. E gli uomini i muratori... sì.

D. Ma, non ti ho fatto questa domanda: quando avevano il debito, tua sorella e suo marito, è partita tua sorella perché, invece che lui?

L. Perché ... perché suo marito è un tipo un po' lento... sai perché? Perché ti dico Alessandra una cosa che... da noi in Moldavia gli uomini sono diversi di questi uomini italiani. Le donne in Moldavia sono tutto: loro lavorano, loro i figli, loro tutto, tutto tutto. E invece gli uomini sono abituati a tornare a casa, mangiare e andare a letto. Non si preoccupano di niente e invece le donne hanno i bambini, hanno la casa, hanno il lavoro. Tutto, e per cui mia sorella è stata sempre lei a fare tutto. Suo marito è stato sempre lento, aspettava sempre da lei: ma tu hai fatto? Ma perché non sei andata? Ma... e per cui lei ha deciso di andare lei.

D. Ma questa è la normalità in Moldavia?

L. Sì, per cui per questo le donne, maggior parte le donne vengono qua che gli uomini, non vengono gli uomini e lasciano a casa le donne che magari abbiano cura dei suoi figli, della casa e di tutto. Vengono le donne, lasciano tutto e vengono qua perché gli uomini sono così. capisci? Loro non vogliono lavorare tanto.

D. E scusami, quando le donne partono di solito i bambini li lasciano con le nonne o con il padre?

L. Si, lasciano con i nonni o con papà. Rimangono...

D. Di più coi nonni o con papà?

L. Di più coi nonni, se sono piccoli, se sono piccoli sì di più coi nonni, ma se sono grandicelli con papà.

D. E cosa fanno questi papà?

L. Cosa fanno, Alessandra? La maggior parte degli uomini... mi vergogno a dirlo, perché loro se la moglie non è vicina ed è andata a lavorare, loro si distruggono. Piano piano si distruggono. Si incontrano tutti insieme, magari bevono, non hanno tanta voglia di fare niente, capisci? E tutto viene distrutto. La famiglia, tutto, non so come spiegarti. È una cosa molto triste per me, molto triste, perché vengono le famiglie distrutte per colpa loro, praticamente. Per colpa loro.

D. Pensi che lo fanno perché si sentono inutili?

L. Perché loro all'inizio magari stanno bene da una parte, ma dopo pensano che le donne, se vengono qua basta, non torneranno più a casa da loro. Si trovano qua magari qualcuno e basta. E loro cominciano ad avere in mente questo pensiero e... niente, cominciano a bere, a non fare niente. E dopo vengono, vengono così, distrutti.

D. Sono pochi quelli come tuo cognato che decidono di venire...

L. Sì, sono pochissimi. Sono pochissimi.

D. Ma perché le donne non li vogliono o perché loro non vogliono partire?

L. Perché loro non vogliono venire qua.

D. Perché secondo te?

L. Ma non lo so, Alessandra. Sinceramente io so delle persone che non hanno voluto venire qua perché non volevano abbandonare la casa dove hanno lavorato, non volevano abbandonare magari quel pezzettino di terra dove sono cresciuti, non lo so.

D. È più facile per le donne lasciare la casa che per gli uomini?

L. Le donne sono obbligate proprio, non è che è facile, loro sono obbligate perché una volta ti dico, è stato facile per le donne, perché non lavoravano così tanto e c'era, non so come dirti, più aiuto dallo stato, e invece adesso niente, lo Stato non dà nessun aiuto. Tutto quello che lavori tu, ti mantieni la vita.

D. Ed è normale che sia la donna a preoccuparsi di mantenere la famiglia in Moldavia? Non solo lavorando in Italia, ma anche se stanno in Moldavia è così?

L. È così, Alessandra, perché certe famiglie, diciamo certe donne che vengono qua lavorano per mettere a posto la casa, mettere a posto la situazione che è in Moldavia. E dopo loro ripensano di tornare...

D. No, dico, anche quando sono in Moldavia, una famiglia che ha la mamma, il papà, i bambini in Moldavia, chi lavoro di più?

L. Le donne! Anche se non partono.

D. E che lavori fanno di solito in Moldavia le donne?

L. Tutto. Tutto Alessandra. Quello che si può lavorare, tutto, e gli uomini cercano di trovare lavoretti magari in città. Ma per andare a lavorare delle terre che sono in campagna, a loro non piacciono questo lavoro, sono...

D. E in campagna lavorano soprattutto le donne?

L. Sì, soprattutto le donne.

D. Quindi queste donne dicono: una volta che devo lavorare così tanto almeno lavoro in Italia che...

L. Sì... che guadagno di più, sì! Per cui loro decidono che magari vengono per un anno e guadagnano un po' di soldi e tornano a casa. E poi cominciano un altro modo di vivere e dopo cambiano idea (ride). Quasi tutte, quasi tutte perché dopo vedono un'altra situazione qua, un'altra possibilità per i loro figlio diciamo, per mandare a scuola, per lo studio, in Moldavia devi pagare un sacco di soldi per mandarlo a studiare e poi alla fine risultano che non trovano lavoro. E tutti sono soldi buttati via. Alla fine i giovanissimi laureati vengono qua in Italia e lavorano perché non trovano lavorano in Moldavia. Fanno lavori proprio, non quello che hanno studiato magari, no...

D. E quindi le famiglie si distruggono...

L. Le famiglie si distruggono Alessandra, purtroppo è così. purtroppo io sono andata l'anno scorso a casa, in campagna, sono stata quasi un mese, e non ti dico quello che ho visto, mi ha fatto una tristezza terribile, terribile perché non ho incontrato una persona, una persona che sia, non so, che sia proprio bella da vedere, diciamo. Tutti proprio giù, giù giù...

D. Quindi diciamo che di sono più soldi ma la società è distrutta. Ci sono più soldi?

L. Sì, ci sono più soldi perché le donne che lavorano qua mandano a casa i soldi e per questo diciamo che ci sono più soldi, ma la società è distrutta, le famiglie sono distrutte. È inutile questi soldi, sono proprio inutili. Magari le donne quando vengono qua dopo un anno o due provano di tutto a portare anche i figli.

D. Ma non i mariti?

L. Rimangono i mariti

D. Non ci provano neanche a portare i mariti?

L. Qualche volta magari, raramente che i mariti vengono anche loro, ma molto raramente. I mariti rimangono, vogliono rimanere, ci sono casi che i mariti si ritrovano anche loro là e si rifanno la vita. Ma la maggior parte si distruggono così, rimangono da soli, le moglie purtroppo non tornano più.

D. Senti ma questi bambini che aspettano che le mamme li riportino a casa, sono tanti?

L. Una volta erano tanti, adesso sono pochi perché provano tutto il possibile di portarli tutti qua perché hanno più disponibilità, diciamo, hanno...

D. Però all'inizio rimangono da soli un anno, un anno e mezzo...

L. Sì, all'inizio rimangono da soli, perché all'inizio finché arrivi qua e ti sistemi tu e ti sistemi anche con i documenti, perché senza i documenti, senza permesso di soggiorno non ce la fai a fare arrivare i tuoi figli qua.

D. Quindi la fretta di sistemare i documenti... da quello dipende rivedere i propri figli?

L. Si, si si. Perché magari anche così possono anche loro andare a casa tranquillamente più volte all'anno, invece di aspettare magari un anno, due, tre, come ha fatto mia sorella che non è andata a casa per tre anni, perché non aveva questa possibilità, non aveva permesso di soggiorno.

D. E quindi questi bambini quanto tempo rimangono in media da soli?

L. Rimangono un anno, due, ma sono certi bambini sai che loro, rimangono a casa con il papà o con i nonni e quando la mamma viene qua e manda a casa dei soli, dei grandi soldi, i bambini smettono di andare a studiare, perché non hanno mancanza di niente. Hanno i soldi, per cui loro non hanno più quell'ascolto, non hanno più quella buona educazione che era quando c'era la mamma, diciamo.

D. Quindi è un problema sociale?

L. È un problema sociale, sì.

D. E se ne parla di questo in Moldavia?

L. Se ne parla Alessandra, ma come se ne parla? In Moldavia sono tanti che rubano e rubano, e rubano e rubano. Ognuno per conto suo, perché non abbiamo un presidente ancora nel nostro paese? Perché nessuno si preoccupa della società, nessuno. Hanno chiuso tutte le gabbriche, hanno distrutto tutto. Dove va la gente a lavorare? All'estero.

D. Quindi alla fine questa emigrazione è causata da un grosso problema e porta anche altri problemi?

L. E porta anche dei problemi perché la Moldavia, diciamo così, vede che la gente viene da Italia con tanti soldi, e per cui diventa più... il mercato diventa più... come posso spiegarti, non è come una volta che costava poco, sempre più alto, alto, alto. Ogni anno i prezzi sono proprio altissimi, quasi come in Italia. Quasi... ma lo stipendio è miserabile perché... sai perché? Perché se la gente vadano a Moldavia con questi soldi che fanno qua, certamente che per loro quello che costa in Moldavia è molto più poco, e per cui la gente di là hanno fatto i prezzi molto più alti.

D. Quindi i prezzi in Moldavia sono fatti pensando alle persone che lavorano in Italia! Anche nei negozi?

L. Si, si, si, anche nei negozi. Si guarda, è una cosa terribile, terribile. La mia mamma poveretta è sempre che piange e dice che non ce la faremo più perché ogni giorno, ogni giorno che i prezzi diventano più alti, più alti, più alti...

D. Quindi le famiglie che non hanno una persona in Italia non ce la fanno...

L. Non ce la fanno Alessandra, non ce la fanno! Ti dico, una povertà terribile! In Moldavia vivono soltanto quelli che hanno le mogli in Italia. Magari quelli che fanno i lavori proprio sporchi, come ti ho detto anche prima... ma io non... a volte mi fa tristezza, ma a volte dico: meno male che sono qua. Meno male che sono qua perché non so che fine avrei fatto anche io là.

D. Quindi è un sistema economico, il fatto che le persone arrivino qui, che fa andare avanti un paese.

L. Si si, è proprio così, è un sistema economico perché... ci sono tante cose da dire ma è difficile spiegare.

D. Come si chiamano quelli che sono emigrati in Italia? Che nome hanno? come vengono chiamati in Moldavia? C'è un nome? Un modo di dire?

L. No. Solo così: quelli che vanno in Italia a lavorare. Praticamente di dico, si è distrutto tutto per questo: che la gente va via, va all'estero a lavorare. E anche se vai in Moldavia, da qua, la gente che è là ti guarda male, ti guarda malissimo e ti risponde in una maniera come se non sei come lui... perché sei andato via

D. Nonostante sei tu che porti i soldi... ma che immagine c'è delle donne che partono? Che pensano in Moldavia di queste donne che partono per venire qui?

L. Pensano bene. Hanno voglia tutti di venire qua, ma ci sono certi mariti che magari le altre mogli non le lasciano, perché vedono quello che succede con altri mariti che rimangono da soli, per cui certe mogli non hanno questa possibilità di venire qua e restano là.

D. Ma tu dici, quando torni in Moldavia e lavori in Italia ti guardano male, però si pensa bene delle donne che partono... (25)

L. Si pensa bene sì, si pensa bene perché loro soffrono là Alessandra, le donne soffrono, non so come spiegarti e quando vengono qua si trovano in tutta un'altra vita. Tutta un'altra vita. Hanno più rispetto, hanno più rispetto della gente. Invece in Moldavia dappertutto se ti giri fai una domanda e ti risponde male. È come se avessero tutta un'altra educazione, tutta un'altra educazione.

D. In Moldavia le donne sono trattate male?

L. Sono trattate molto male.

D. C'è violenza contro le donne di solito? È normale picchiare una donna? Anche in Italia lo è in alcune case, ma...

L. C'è violenza dappertutto, direi, ma Moldavia c'è tanta violenza.

D. Ma tu diresti quindi che le donne moldave vanno via sia per i soldi, ma anche perché vogliono un'altra vita?

L. Sì, penso che sì, penso che sì. È questo. Io ho avuto una mia zia, ho una mia zia, ma adesso siamo un po' allontanate, perché lei si è rifatta la vita. Lei è scappata via solo per questo, solo per questo. Perché non aveva rispetto da suo marito, veniva picchiata ogni giorno. Per cui ha trovato questo motivo che va bene vado a fare un po' di soldi e dopo torno. E lei si è fatto proprio... è venuta qua e ha cominciato proprio...a vivere. Ha detto: basta, non torno più. Anche se ho i miei figli lasciati a casa.

D. Ha lasciato i figli?

L. Sì ha lasciato i figli a casa e dopo... erano grandicelli...il più grande studiava al liceo, e dopo quell'altra aveva 14 e dopo 10, così, tre figli. Elei è venuta qua e si è sposata. Si è sposata...

D. Con un italiano?

L. Sì, con un italiano. E dopo piano piano si è presa i figli, se li è portati tutti qua, hanno studiato, si sono rifatto la vita anche loro. Proprio si sono sistemati molto bene. Per lei la sua casa è qua. Lei sempre me lo dice che non vuole neanche sentire niente di Moldavia. Non torna... MAI.

D. Quindi fammi capire meglio: tante donne, siccome è una cosa accettata dire "vado a fare dei soldi in Italia", alcune donne non riescono a liberarsi dei mariti violenti, però se dicono così, possono.

L. Sì, in qualche modo possono. Ma sono delle famiglie che sono anche unite, ci sono delle famiglie che si amano e si rispettano e decidono di stare insieme e di lavorare insieme, di non allontanarsi uno dall'altro. Ci sono tanti casi invece così.

D. Quali sono di più?

L. Immaginati: tutte quelle donne che sono qua, torneranno un giorno a casa? Non torneranno Alessandra, mai. Loro hanno venduto tutto, tutto. Le case che avevano hanno venduto e si sono comprate queste qua.

D. E i mariti sono rimasti là.

L. E i mariti sono rimasti. A vivere coi genitori, magari o nono so. Ma quasi tutti, quasi tutti, ognuno che chiedi se torna a casa, non torna nessuno.

D. Ma tu che percentuale diresti di famiglie senza più la donna in Moldavia? 50%? 70%? Quanti mariti soli sono rimasti?

L. Potrei dire anche 50 e 50, perché sono pochissimi. In città potrai trovare più donne, ma in campagna proprio...niente. Più uomini soli che famiglie.

D. E il governo dice qualcosa su questo?

L. Il governo ha detto... diceva una volta che magari per aiutare un po' la gente di trovare quel lavoro in Moldavia di aprire, di fare, di costruire qualcosa per dare un lavoro alla gente e invece, dopo... niente, Alessandra, non si è fatto più niente e la gente è rimasta disperata in tutti i sensi.

D. Ma cosa dice di queste cose che vanno via?

L. Cosa dice? Che Moldavia non è mai stata fortunata di avere un presidente normale e che faccia qualcosa per il paese, mai. Tutti quelli che sono entrati a condurre diciamo, sono tutti quelli che hanno mangiato, hanno mangiato, hanno rubato, hanno fatto tutto non per la gente, ma per loro.

D. Per esempio, in Romania ci sono degli accordi proprio per fare uscire fuori le donne a fare dei lavori all'estero. La Moldavia non li vuole fare, ad esempio con l'Italia. Perché questo? In fondo non vuole tanto che...

L. No non vuole tanto che le donne scappano via, che vengono qua a lavorare perché vedono che loro anche se vengono qua a lavorare poi non tornano più a casa. Magari se fossero per così che vengono qua per un anno, per un mese, per due anni massimo e dopo tornino a casa... e invece no, loro vengono e non tornano più, non tornano più.

D. Ma quindi tu pensi che questa emigrazione possa distruggere il paese?

L. Distrugge, Alessandra, lo distrugge e ti dico io che lo distruggerà ancora di più. Lo distruggerà ancora di più perché quello che vedo io che succede, comincia a essere una povertà terribile, terribile. Sono solo gli anziani rimasti, solo gli anziani. E uomini, e i bambini. Ma i bambini una volta erano di più. Adesso scappano via tutti, vanno a studiare. Le mamme che hanno i soldi li fanno mandare magari a studiare in Romania, a studiare bene all'estero diciamo.

D. Per cui ci sono anziani, pochi bambini per poco tempo e molti uomini ubriachi...

L. Si si è così. è terribile.

D. Tu ogni quanto torni a casa più o meno?

L. Vado una volta all'anno, magari quando c'è più possibilità, quando è agosto che vanno tutti in vacanza, che c'è meno lavoro, diciamo.

D. Ma anche le altre tue amiche tornano così tanto?

L. Sì, fanno più possibile di tornare una volta all'anno, magari andare un po', stare con le loro famiglie.

D. Ma A. che rapporto ha con la Moldavia? È contenta di andare?

L. La prima volta era contenta, adesso non troppo Alessandra, perché quando siamo stati l'ultima volta erano dei bambini là in campagna che... ha giocato un po' con loro ed è rimasta molto molto male, per quei bambini che hanno tutta un'altra educazione, tutta un'latra educazione, che parlano male, parlano sempre le parolacce, quelle che sentono magari in famiglia, e dopo gli danno le botte, capisci? Tutto quello che vedono in famiglia lo ridanno, lo rifanno anche loro. E lei è rimasta malissimo per l'altro anno che è stata e ha detto: mamma, non voglio più andare. E perché i bambini sono così cattivi, io non voglio più andare.

D. Ma A. parla moldavo?

L. Sì, parla moldavo, parla russo.

D. E in Moldavia si parla l'italiano ormai?

L. No, quando si va a casa non si parla italiano ma moldavo o russo.

D. Quindi tu non pensi di tornare in Moldavia a vivere?

L. No Alessandra, io mi sono già sistemata qua e la mia famiglia è qua. Mia sorella, mio fratello. Siamo tutti vicini qua. I miei genitori mi fanno tanta, tanta nostalgia. Vorrei tanto, più spesso portare anche loro qua, di potergli fare come una piccola vacanza, però loro non vogliono, non vogliono venire.

D. Quanti anni hanno le donne che partono di solito?

L. Sui 35-45. Un caso, la mia vicina di casa: lei è andata in Italia a lavorare, e lui è morto fra due mesi, suo marito.

D. Come mai è morto?

L. E perché ha cominciato a bere! Ha bevuto ha bevuto ha bevuto e ha bevuto, e un giorno non si è più svegliato!

D. Senti ma di solito che titolo di studio hanno?

L. Ci sono molte donne che anche lavoravano negli ospedali, nei negozi, lavoravano e avevano un posto importante di lavoro

D. Anche nei ministeri...

L. Sì tutto, e hanno abbandonato!

D. E tutte quante in Italia lavorano nelle case?

L. Quasi tutte Alessandra, quasi tutte. Conosco poche che lavorano magari nelle fabbriche, e hanno la fortuna di lavorare là.

D. Perché dici che è meglio nelle fabbriche?

L. Sì, è meglio nelle fabbriche perché sì, perché magari lavorano in un posto stabile, mentre con le case devi correre tutto il giorno come una matta.

D. Ci sono delle forme di organizzazione delle donne moldave qua in Italia? Un sindacato? Un'associazione?

L. Non lo so Alessandra, penso di no.

D. Tu sei iscritta a un sindacato?

L. No

D. Conosci qualche donna moldava che è iscritta a un sindacato?

L. Non conosco, ma io non è che ho tanti amici, tutto quello che conosco, conosco tramite altri.

D. Ma in cosa diresti che la tua situazione è diversa da quella di tante altre donne che vengono nel tuo paese a lavorare in Italia? Diresti che la tua storia...

L. È tutta diversa. Io sono arrivata qua. Ho lasciato i miei genitori, va bene, però certe donne che lasciano i figli, lasciano i mariti, è tutta un'altra cosa. Quindi non ho sofferto tanto. Invece loro soffrono, soffrono tanto.

D. Ma queste donne che sono da sole qui, so che non è il tuo caso, ma ci sono tante donne completamente da sole, cosa fanno, come vivono, lo sai?

L. Come vivono? Alessandra, io ho un'amica che le ho parlato di te e volevo portare anche lei qua, ma dice "non cela faccio, il lavoro è troppo". Lei ha lasciato suo marito a casa con tre figli ed è venuta qua in Italia a lavorare. Ha lavorato due anni è tornata a casa e lui si è trovato un'altra. E praticamente lei ha ripreso i suoi figli, li ha lasciati ai suoi genitori ed è qua da sola, non ha nessuno.

D. Com'è che non riesce a portare qua i suoi figli?

L. Non riesce a portarli per la casa diciamo perché non ce l'ha... dove abita lei... lei abita in affitto in una stanzetta piccola e quando devi fare ricongiungimento e portare i familiari allora ti chiedono lo spazio disponibile che hai magari dove abiti e lei purtroppo non ce l'ha questo spazio e non riesce non riesce poveretta, a portarli qua e soffre, soffre tanto. Va magari due volte l'anno a casa, però soffre perché loro sono già grandicelli, vogliono essere più qua

D. ...E tutto quello che può fare è mandare loro dei soldi e dei regali...

L. Si, si, dei regali, dei soldi. Non gli manda tanti soldi perché non vuole viziarli troppo perché se loro hanno tante cose loro cominciano un po' ad andare oltre e invece sono molto bravi ad ascoltarla e anche sono molto educati, li conosco, per cui... sono bravi

D. Perché sono molti i figli che "vanno oltre" perché la mamma magari gli manda tanti soldi dall'Italia? Cosa succede?

L. E cosa succede? Vanno nelle discoteche, vanno nei bar, vanno a sprecare questi soldi per fare una bella vita, diciamo, non so come spiegartelo. Altri bambini poveretti si perdono nella droga...

D. Bambini?!

L. Sì, bambini.

D. Quanti anni questi bambini che si perdono nella droga?

L. Quattordici, quindici anni, cominciano ad andare via da casa, diciamo e così si perdono, nella droga, nelle altre cose...

D. Con i soldi che la mamma guadagna in Italia?

L. Sì, con quei soldi. Perché loro non hanno mai visto così tanti soldi, per cui loro, avendo così tanti soldi provano tante cose. E per cui per questo anche forse sarebbe il motivo per cui le mamme portano i bambini qua

D. Sarebbe meglio?

L. Sarebbe meglio perché tutta l'educazione la da la mamma ai figli, per cui loro ascoltano sempre dalla mamma e non dal papà anche se il papà comincia ad educarli loro fanno stesso per... per la loro ... perché non c'è quella educazione...

D. Ma ci sono degli istituti dove stanno questi figli delle donne venute in Italia, degli istituti pubblici?

L. In Moldavia no, proprio niente del genere. Ci sono in Romania, che magari ... Tiraspo, mi sembra che è un po' più vicino, in Ucraina, sì, che magari...

D. E in Romani e in Ucraina si mandano anche i figli dei moldavi?

L. Qualche volta, ma non sempre, non sempre Alessandra. Magari li prendono qualche famiglia, li crescono, li adottano, però non ci sono degli istituti per i bambini magari abbandonati, lasciati.

D. Abbandonati perché la mamma è in Italia?

L. Sì

D. E vengono adottati?

L. Adottati, sì.

D. E come si fa? La mamma li paga?

L. La mamma li paga. Sì.

D. Quindi non adottati formalmente?

L. No. Soltanto per crescerli, e la mamma li paga.

D. E non gli danno una buona educazione?

L. Sai che a volte no perché non è la mamma che li cresce.

D. Quindi c'è anche questa forma di economia: famiglie che prendono bambini in casa... sono tante?

L. Sono tante, sono tante

D. E vivono proprio di questo?

L. Vivono di questo

D. Per esempio, quanto gli da una mamma al mese?

L. Magari anche ci sono delle donne qua che hanno dei genitori poveretti, anziani che poveretti non ce l'ha nessun sostegno da nessuna parte e loro trovano qualche persona là, vicino di casa magari, che gli chiedono per aiutarli in cambio di soldi. Lei paga, e loro li aiutano questi anziani perché non ce l'ha nessuno.

D. Praticamente potresti dire che queste donne vengono a fare qui il lavoro che chiedono ad altre donne di fare lì?

L. Si, si, si, proprio così, perché diciamo, un euro viene quindici Lei, sarebbe, se magari lei manda un 50 euro a loro per il mese costa pochissimo, ma per loro sono grandi soldi. Per magari aiutare quegli anziani o quei bambini, capisci...

D. Quindi loro vengono a curare qui bambini e anziani e chiedono ad altri lì di curare i loro bambini...

L. Sì perché magari le altre persone non hanno questa opportunità di guadagnare dall'altra parte dei soldi, e magari si mettono d'accordo. Perché anche per loro è un più, diciamo.

D. Ma quindi potremmo dire che tanta parte dell'economia moldava si muove con l'emigrazione, in un modo o nell'altro?

L. Si si si si si.

D. Che percentuale diresti?

L. Non so dirti, non sono sicura se dico la percentuale, però una quarantina per cento sì, penso di si.

D. Quindi tu potresti dire che c'è stato proprio un cambiamento sociale, politico ed economico legato all'emigrazione?

L. Si si proprio così Alessandra.

D. Da quando?

L. Eh... adesso ti dico io da quando è cominciata tutta questa ... direi che è cominciata dal 2005 direi così, più o meno. Perché più avanti non si vedeva tanto. La gente si manteneva ancora bene, era ancora ben sistemata, e invece piano piano in 2005 ha cominciato proprio a stare male, a stare male perché la gente correva via dalla Moldavia. Anche tantissima gente in un anno, può darsi che partivano centinaia e centinaia di persone.

D. Quindi di recente?

L. Di recente, sì. Proprio di recente. Perché prima era ancora un affare, la gente si muoveva, s', però di recente è cambiato tutto, tutto tutto.

D. E prima però le donne stavano in Moldavia e stavano male?

L. Vivevano, ma sempre in povertà Alessandra non è che vivevano... vivevano come vivevano...

D. No, coi loro mariti intendo, tu dicevi che adesso la società è distrutta però le donne almeno stanno meglio...

L. Stanno meglio, stanno molto meglio. Non potevano andare da nessuna parte, non avevano il permesso proprio di fare niente, e invece con questo motivo per andare per un qualche mese di fare un po' di soldi per portarli a casa, i loro mariti le hanno lasciate magari. La mia zia che è rimasta là in campagna vicino ai miei genitori sempre mi dice: dai Lilia, aiutami che vengo anch'io là in Italia a fare un po' di soldi, a lavorare un po', per un anno almeno. E suo marito le dice: ma dai, lascia stare.

D. Quanti anni ha tua zia?

L. 49, quasi. 49, sì.

D. Senti ma tu mia hai detto che partono le donne da 35 a 45, ma le ragazze giovani che crescono e sono lì, crescono con l'idea di partire?

L. Dipende, Alessandra. Se vanno in città, magari là si trovano qualche cosina di lavoretti, magari, non lo so. Ci sono tante ragazze che vengono qui giovanissime a lavorare, perché c'è poco lavoro in Moldavia.

D. Quindi non 35 anni, prima anche?

L. Prima anche sì.

D. Diresti la maggior parte tra 35 e 45?

L. Sì, ma a volte vengono anche ragazzine. Finiscono la scuola diciamo a 18 anni e che cosa fa? Gli istituti sono molto cari, molto... e le mamme a volte decidono di pagare questi istituti per mandarle a studiare e loro decidono di venire qua di stare insieme alla mamma, di fare qualche soldino, di provare a studiare qua invece di stare là.

D. Non fanno l'università lì pagata dalla mamma dall'Italia?

L. Adesso no. Adesso ti dico, maggior parte portano i bambini qua. Portano i bambini qua perché costa tantissimi soldi per studiare in Moldavia, tantissimi.

D. Ma quindi tu diresti che questa emigrazione ha cambiato la famiglia in Moldavia, il rapporto tra uomo e donna?

L. Ha cambiato la politica, ha cambiato la famiglia. Ha cambiato tutto. Ha cambiato tutto.

D. Ma diresti che le donne sono diventate più forti?

L. Si, posso dire di sì. Anche più tranquille, più libere diciamo, così.

D. Quindi alla fine questo lato positivo c'è?

L. C'è, c'è abbastanza. Perché loro non si sentono più come delle prigioniere ecco.

D. Adesso che queste mamme portano i figli piccoli ma lavorano tanto come si fa? Si ripropone lo stesso problema? Ci sono tante donne che vengono qui senza la famiglia che aiuta a tenere i bambini e devono lavorare tantissime ore...

L. Con chi stanno i bambini? A casa da soli. Vedi Alessandra, da noi è tutta un'altra educazione diciamo. I bambini vanno da soli a scuola, nelle campagne anche, anche da piccoli piccoli vanno da soli a scuola. Vengono a casa, i genitori non ci sono? E loro stanno da soli. Si arrangiano anche se non ci sono i genitori, capito? È tutta un'altra... non so come spiegarti. Noi abbiamo vissuto così. i nostri nipotini, tutti sono così. loro rimangono da soli e adesso quando sono qua loro si arrangiano da soli. Rimangono da soli, vanno da soli a scuola, magari se gli danno il permesso da scuola. Già a cinque anni loro rimangono da soli a casa.

D. Ma io vedo che tu tieni tanto la bimba di tua sorella, vi aiutate tanto.

L. Sì, tanto, ma quando è arrivato mio nipote, lui aveva sette anni lei lavorava tantissimo e anche suo marito e lui rimaneva a casa da solo perché non andava ancora a scuola, lui è arrivato ad agosto ed è andato a scuola a settembre e quel mese lui è sempre stato a casa da solo ad aspettare la mamma. Le cucinava addirittura, lei tornava a casa e lui le cucinava le uova, magari una pasta asciutta... loro sono abituati ad arrangiarsi da soli, cucinare, magari pulire la casa

D. Non succede che magari vengono i genitori dalla Moldavia a tenere i bambini in Italia

L. Raramente, rari casi.

D. Succede che a partire dalla Moldavia siano le nonne invece che le mamme, nonne giovani e così le mamme rimangono con in figli?

L. Si, ci sono tantissime nonne qua che magari fanno come le badanti e i figli sono a casa. Hanno età 50 60 anni così. non conosco più anziani, però possono essere anche, che vengono qua in vacanza?

D. In vacanza?

L. magari i figli che stanno qua chiamano i genitori e loro stanno un po' come piccola vacanza.

D. Non c'è una sola strategia?

L. Non, non c'è una sola. Ci sono tanti motivi.

D. Quanti lavori stai facendo in questo momento?

L. Tantissimi, magari l'anno scorso ho lavorato per le scuole, magari se mi chiamano per fare qualche traduzione, nelle case, tutto, tutti i tipi di lavori.

2) Lucia, moldava, 5 aprile 2012, Marghera

Lucia è l'amica di cui Lilia parlava riferendosi alla difficoltà di ricongiungere i propri figli a causa dei criteri imposti dalla legge sull'immigrazione in Italia. Ha lasciato i suoi tre figli quando erano piccolissimi, e adesso sono adolescenti. Ha potuto seguire la loro vita solo a distanza, attraverso i racconti dei nonni, a cui li ha lasciati, le videocassette, le telefonate. È tornata pochissime volte a casa a rivederli, per problemi giuridici ed economici. Vive lavorando tutto il giorno per mandare le rimesse a casa. Il padre dei bambini è del tutto assente: come accade spesso in queste famiglie transnazionali, il divorzio è sopraggiunto poco dopo la partenza della moglie. Le parti più interessanti di questa intervista riguardano anche in questo caso l'analisi del cambiamento delle condizioni di vita in Moldavia dopo il crollo dell'Unione Sovietica; la riflessione sui rapporti di genere che sono all'origine del fatto che siano soprattutto le donne a partire; l'amara constatazione delle conseguenze di abusi e sofferenza che riguardano spesso i minori left behind. Lucia, però, vive soprattutto sospesa tra il sogno di vivere ancora con i propri figli, ricongiungendoli o tornando lei in patria, e i doveri di bread winner che ricadono quasi soltanto sulle sue spalle. L'intervista si chiude infine con una sua analisi dei rapporti familiari in Italia: Lucia considera normale e sostenibile la delega parziale della cura dei bambini ad altre donne salariate, ma critica molto il sistema che consegna quasi per intero la cura degli anziani a donne come lei.

Domanda. Ti chiamo col tuo nome?

Lucia. Si tranquilla

D. Quanti anni hai?

L. 34

D. Da che parte della Moldavia vieni?

L. Dal centro. 60 km dalla capitale

D. Sei anche tu in una zona di campagna?

L. Si sono proprio della campagna, anche se sono nata in città, nella capitale.

D. Non è un caso che sia tu che Lilia che abitavate in campagna siete partite? Lilia mi ha detto che tante donne dalle campagne partono...

L. Sì, ma ci sono tante anche che abitavano in città e che sono partite

D. E tu quando sei partita? Quanti anni fa?

L. 8 anni fa

D. E sei venuta subito in Italia?

L. Sì, subito in Italia. Proprio 8 anni. Il 31 marzo, sono arrivata qua, 2004

D. E come sei arrivata?

L. Sono arrivata col visto per lavoro, in Austria però. E sono arrivata subito in Italia e sono arrivata a Vicenza, come tutte all'inizio sono stata senza lavoro, per quasi due mesi. E dopo fai amici, conoscenti, perché ero da sola, non conoscevo quasi nessuno, e ho trovato lavoro a Venezia, e da allora sono a Venezia. ho lavorato per una anno ed un mese in un famiglia, e dopo loro stessi mi hanno trovato il lavoro dove lavoro anche adesso. Lavoro presso l'ordine di Malta.

D. Che lavoro facevi per questa famiglia?

L. Tutto. La domestica, a casa.

D. C'erano bambini?

L. No, c'era un figlio grande di 20 anni. Era una famiglia ricca, ma erano molto gentili. Posso dire sono stata fortunata proprio, ho incontrato solo persone perbene, gentili. Non mi hanno fatto pesare la lontananza e il fatto che sono straniera, che non sapevi parlare. E stiravo, pulivo la casa, facevo da mangiare, preparavo.

D. Hai imparato con loro la lingua?

L. Sì, sono arrivata e sapevo tre parole: sì, grazie e .... Un'altra che non mi ricordo. Loro parlavano proprio l'italiano puro, non è che mi parlavano veneziano. Sono stata proprio fortunata.

D. Tu non avevi un permesso di soggiorno? Il visto era per l'Austria, tu in Italia non avevi niente, giusto?

L. Sì.

D. E hai lavorato in nero?

L. Come tutti. Come tutti.

D. E poi come hai fatto invece a cambiare la situazione?

L. E dopo le persone per cui lavoravo mi hanno... nel 2007 sono riusciti a farmi le carte. Quando ero già via da loro, c'era il ... non era sanatori, c'era i flussi, nel 2007.

D. Quindi tu sei tornata a casa...

L. Io per la verità sono tornata ma non sono tornata nel 2006, sono tornata dopo che mi è arrivato il nulla osta e tutto. Però nel 2006 sono tornata perché avevo bisogno di vedere i miei figli.

D. So che hai tre bambini a casa...

L. Ormai son grandi.

D. Quindi eri tornata nel 2006 e poi nel 2007 per il nulla osta. E fino al 2007 tu non potevi fare il viaggio?

L. No, purtroppo no.

D. E quindi nel 2006 come hai fatto?

L. Ho preso il biglietto aereo sono salita in aereo e sono tornata a casa. No, ma non ce la facevo più. Cioè veramente li ho lasciati piccoli...

D. Quanti anni avevano?

L. La piccola ne aveva 2 anni e dieci mesi. Il grande ne aveva 8, e il secondo ne aveva 6.

D. Posso farti delle domande?

L. Sì, sì.

D. Con chi li hai lasciati?

L. Con i miei genitori.

D. Che erano giovani?

L. Sì, son giovani anche adesso. Son proprio fortunata. Sono fortunata da avere due genitori meravigliosi e ho due sorelle che mi danno una mano coi miei figli

D. E sono rimaste là?

L. Sì, loro sono rimaste là

D. E loro avevano figli?

L. Sì. Mia sorella più grande aveva un figlio di 6 mesi quando sono arrivata in Italia. E quell'altra purtroppo no, non riesce... non riescono ad avere figli

D. Come mai sei partita tu e non l'altra che non ne aveva?

L. No, quell'altra non partirà neanche. Perché quella ha un bel lavoro. è venuta l'estate scorsa, ma mi ha detto che verrà solo per andare al mare, però a lavorare no. Ha un altro carattere.

D. Quindi c'è qualcuno che ha un bel lavoro in Moldavia?

L. Sì, qualcuno. Ma il lavoro c'è. Non posso dire che non c'è il lavoro proprio, solo che i soldi che ti danno non ce la fai un mese, neanche metà mese arrivi. È tutto caro, caro come qua. Ma gli stipendi sono bassissimi. La prima volta che sono arrivata sinceramente non mi rendevo conto neanche dove vado. Avevo 26 anni.

D. Ma perché hai scelto di partire?

L. Come dire... il mio ex marito aveva tanti debiti, e allora lui andava spesso, però andava in Russia a lavorare. Ma tornava sempre senza soldi, e quindi ho deciso di venire io, di partire.

D. Ma stavate insieme quando sei partita?

L. Sì. Ci siamo divorziati nel 2005.

D. Lui andava in Russia a lavorare e tornava senza soldi e quindi hai deciso di partire tu. Perché partono sempre le donne?

L. Non posso dire che è perché abbiamo più coraggio però...

D. Però si

L. Siamo più forti, anche se dicono che siamo deboli. Siamo anche più forti. E allora son partita. È stata dura

D. Sei partita e pensavi di restare così tanto via?

L. No. Sinceramente no. Ho detto: arrivo, lavoro, metto da parte un po' di soldi, e non sono riuscita a farlo neanche in otto anni, e torno a casa. Ma non sono riuscita a mettere neanche un centesimo, perché i bambini son piccoli, e vabbé, ma dopo crescono e ne hanno bisogno sempre di più. E bisogna lavorare.

D. E tu hai sempre mandato tutto ai bambini?

L. Sì.

D. E loro lo sanno?

L. Si. Spero almeno che capiscono il sacrificio. È quello che spero. È dura per anche per loro, molto dura. Non avendomi vicino e anche loro padre non è presente. A parte che da 5 anni non li chiama neanche e non li vede. Però loro hanno speranza che un giorno io li porterò qua.

D. Ma non ci riesci?

L. Ancora no.

D. Come mai?

L. Eh... vediamo. Sinceramente ho anche un po' paura di portarli tutti e tre. Io sono a lavoro, c'ho l'affitto, le bollette, mando i soldi a casa. Non so se ce la farò, con tre. Magari il più piccolo... E poi c'è la burocrazia qua. Hanno cambiato le carte. Adesso ho cominciato a fare le carte, ma vediamo se riesco.

D. Hai problemi come l'alloggio o queste cose qua?

L. L'alloggio... vorrei cambiare casa ora che mi scade il contratto e prendere una un po' più grande perché ho paura che non mi bastano i metri quadri per tre...

D. Dunque abbiamo questo problema dei metri quadri e i bambini che aspettano che tu li chiami qui

L. Sì

D. Quante volte li hai visti in questi anni da quando sei andata via?

L. La prima volta li ho visti dopo due anni e mezzo. E dopo andavo una volta l'anno, d'estate, ad agosto. Sinceramente questo anno sono stata a casa a natale, tre mesi. E poi sono andata a marzo, 4 giorni, per il compleanno di mio figlio, perché toccava a lui questo anno, e allora ho preso una settimana di ferie e sono andata a casa. Due giorni di viaggio e quatto a casa. Però l'importante è che lui è contento che sono andata. Perché l'anno scorso sono andata a casa per il compleanno del grande che ha compiuto 16. Due anni fa per il compleanno della piccola e questo anno ha detto: mamma, tocca a me.

D. Quanti anni faceva lui?

L. 15. non voleva aspettare per l'anno prossimo. Ha detto: no, perché l'anno prossimo quello grande ne compirà 18 e vorrai venire per il diciottesimo compleanno di mio fratello.

D. Ti vogliono tanto ben. Sei riuscita a mantenere un rapporto da mamma...

L. Si, quello sì. Però penso che sia tanto merito di mia mamma, più che mio.

D. È una sofferenza terribile, però sei riuscita a dargli tante cose lavorando qui. Come è cambiata la loro vita per il fatto che tu lavoravi qui?

L. Le cose positive... le cose positive è che hanno il computer, hanno il cellulare, hanno da vestirsi, cosa mangiare. Praticamente posso dire che non gli è mancato niente. Non gli faccio mancare niente.

D. Vanno tutti a scuola?

L. Sì, il grande adesso studia il mestiere a Chiscinau da mia sorella.

D. Che mestiere studia?

L. Vuole fare il meccanico auto. Non so come si chiama di preciso. E quegli latri due sono ancora... vanno a scuola, e poi son bravi a scuola. il grande no, ma gli altri due son bravi.

D. Hanno tanti compagni a scuola che hanno la loro stesso situazione?

L. Sì.

D. Quanti seconde te?

L. Forse metà della classe che hanno un genitore non dico in Italia, ma ci sono dappertutto. In Spagna, Portogallo, in Russia, dappertutto, almeno uno dei genitori. E ci sono anche quelli come i miei che abitano con i nonni.

D. Ma di solito si abita con i nonni, non col papà?

L. No, ci sono anche quelli che abitano col papà, se il papà si prende cura dei bambini, quello è. Sennò coi nonni, più spesso.

D. Perché più spesso coi nonni?

L. Gli uomini non si occupano sempre dei figli. Il mio mi chiamava solo se aveva bisogno dei soldi. Dei bambini non si ricordava neanche il compleanno. Dopo il divorzio non li ha più cercati, non li ha visti, non li chiama. Da quello che ho sentito ha un'altra famiglia, ha un altro figlio, adesso non so e non mi interessa.

D. Tu pensi che questa storia così triste sia una storia paradigmatica? Molto spesso le donne partono e le famiglie finiscono?

L. Sì.

D. Ma perché gli uomini non vengono qui anche loro?

L. Stanno bene a casa, se la moglie gli manda i soldi. Ci sono tanti... ci sono anche quelli bravi, però...

D. E come fanno tutti questi uomini da soli? Si vede?

L. Sì, si vede la persona quando è sola.

D. Adesso, rispetto a 10 anni fa, quando uno arriva in Moldavia si vede che si sono tanti uomini da soli?

L. Almeno uno dei genitori è partito

D. E come diresti che è cambiata la società?

L. Questa emigrazione è iniziata forse dopo che ci siamo divisi dall'Unione sovietica, perché prima c'era lavoro, c'era di tutto, e la vita era bella... per dire. Io ero bambina ma mi ricordo che si stava proprio bene. Poi la gente non era cattiva. Adesso c'è cattiveria. Sono diventati tutti egoisti e invidiosi e cattivi, ma proprio cattivi.

D. Perché soffrono e sono poveri?

L. Non direi? Forse quello povero è rimasto ancora buono dentro, che ha qualcosa di positivo e di buono, son più quelli che hanno i soldi...

D. Ma questo fatto di emigrare in così tante persone, soprattutto donne, sta tenendo in piedi il paese in qualche modo?

L. Sì, praticamente, forse, non vorrei dire una stupidaggine, ma forse siamo proprio tutti noi che siamo fuori e che mandiamo i soldi a casa che manteniamo il paese. Perché sennò mia mamma che ha lavorato tutta la vita e che fa l'insegnante a scuola e prende la pensione di neanche 100 euro al mese... non puoi vivere perché non ti basta perché è tutto caro come qua. Ogni tanto mi sembra che anche l'olio, la pasta, il riso la carne, mi sembra che costi di meno, che è meno caro qui.

D. Ma tu dicevi che anche gli uomini partono?

L. Partono anche gli uomini solo che magari in Russia trovano ancora lavoro, ma qui adesso con la crisi non trovano lavoro e ci sono tanti che sono tornati a casa

D. E invece le donne trovano?

L. Adesso è difficile anche per la donna, ma una volta si trovava. Per gli uomini i muratori, ma oggi nemmeno tanto

D. In Italia più che negli altri paesi europei le donne lavorano nelle case?

L. Sì, mi sembra di sì. Ci sono anche... in Grecia, ma in Grecia adesso no perché son tornati tutti quanti con la crisi che c'è. In Israele ci sono tante.

D. E tutte queste donne lavorano qui nelle case, e come diresti che sono in generale le condizioni di lavoro?

L. In generale, se accudiscono una persona anziana ogni tanto magari la persona ha problemi, però mi sembra che hanno tanta pazienza le donne, spero almeno che ce l'abbiano. Poi per accudire una signora anziana che magari ha l'Alzheimer e dopo due minuti non ti riconosce e ti dice: ma chi sei? Cosa fai nella mia casa? Ci vuole pazienza, o almeno spero che ce l'abbiano.

D. E che cosa pensi delle famiglie che lasciano tutti questi anziani, sinceramente, con delle persone che comunque fino a un minuto prima sono estranee.

L. Non so... hanno fiducia forse. Anche io sono arrivata in questa famiglia qua a lavorare e hanno avuto fiducia. Mi hanno dato le chiavi e la camera e tutte le condizioni.

D. Ma ti sembra normale che tutto un paese i propri vecchi li affidi ad altre persone?

L. No, quello no. Secondo me i genitori li devi accudire te. Come ti hanno cresciuto loro da piccoli. Non so, io non avrei il coraggio e neanche la fiducia di lasciare una persona estranea con i miei. Si fanno vedere magari una volta a settimana...

D. E quando hai deciso di partire da casa la tua mamma e il tuo papà ti hanno appoggiato?

L. Tuta la famiglia mi ha appoggiata. Ma forse all'inizio neanche loro si rendevano conto e neanche io. Forse quando sono arrivata di notte in Italia ho iniziato a rendermi conto che son partita.

D. Gli mandavi tanti regali?

L. Sì. Loro mi mandavano delle videocassette, i miei figli. Con la recita a scuola, il compleanno, o se facevano una festa la registravano e mi mandavano le videocassette. E le foto mi mandavano ogni settimana, mi mandavano un paco così. adesso c'è il computer e ci vediamo spesso su Skype.

D. Ma è stata la tua mamma che è riuscita a tenere insieme tutto?

L. Sì. È stata proprio lei.

D. E adesso tu pensi in futuro di restare lì e farli venire in ogni modo o pensi di tornare?

L. Vorrei fargli comunque le carte, che possano venire almeno in vacanza. Però per la verità ancora non ho deciso cosa fare. Rimarrei qui ma andrei anche a casa.

D. È solo per una questione di soldi?

L. Sì, solo per una questione di lavoro e di soldi.

D. Ma tante donne qui hanno trovato una vita più libera?

L. Ci sono tante donne che qui hanno trovato magari l'amore e si sono fatte una famiglia e hanno trovato... non so. Però non posso dire che vorrei tanto restare qui e non vorrei tornare a casa. Sto bene qua, mi sono trovata bene e mi sono abituata a tutto. Però quando vado a casa mi sento a casa. Mi sento a casa mia.

D. Pensi che in generale la condizione delle donne in Italia sia diverso da quella della Moldavia?

L. Neanche tanto, no. Io non credo che qui gli uomini.... Anche da noi ci sono uomini che hanno un tipo di atteggiamento verso la donna che pensano che la donna debba stare solo in cucina a lavare i piatti, che deve stare coi bambini e non deve uscire... ma da quello che ho sentito ci sono anche qui abbastanza. Ci sono di quelli che si comportano bene per la famiglia, e di quelli... una cosa che ho sentito spesso dire dalle donne moldave è: mio marito si ubriacava, mi picchiava. Ci sono, per carità... ci sono. Per esempio c'è una persona italiana che quando ha sentito che sono divorziata mi ha chiesto: perché, anche il tuo si ubriacava e ti picchiava? Gli ho detto: no, il mio non amava gli alcolici proprio. Ci sono di quelli, però neanche tutti. E mi sembra che gli uomini hanno cominciato a bere, a essere un po' più cattivi e più gelosi da quando le donne hanno iniziato a partire. Sembrano un po' abbandonati, perché gli uomini di solito se c'è la donna lei riesce a risolvere tutto. Gli uomini vanno un po' in tilt quando rimangono da soli. Si perdono un po'.

D. E i bambini che rimangono senza la mamma si perdono un po'?

L. Sì, quello sì. È una sofferenza... io provo a mettermi nei loro panni e a provare quello, ma ho già la mia sofferenza e non posso. Ma penso che soffrono... tantissimo. Ci sono tanti ragazzini che... vabbé... non so spiegare.

D. Pensi che il governo si dovrebbe preoccupare di questi bambini senza la mamma?

L. Sì, questo sì. Per esempio c'è mia sorella che lavora con i bambini un po' difficili, in difficoltà, le vittime degli abusi...

D. E ne incontra molti che hanno la mamma emigrata?

L. Potresti dire che molti dei bambini in difficoltà sono senza la mamma?

D. Sì, e soffrono e si chiudono forse dentro di loro e non riescono a...

D. E magari hanno i soldi, i vestiti e hanno tutto, però...

L. Sì. Dipende anche dalle amicizie che fanno.

D. Ma chi non ha i nonni e ha un papà che va in tilt con chi rimane?

L. Magari c'è una zia o anche persone estranee, forse ci sono ma non lo so.

D. Ma tu speri che finisca?

L. Sì, più per i figli e anche io vorrei tornare a casa. O me li porto qua o torno a casa. E sono tante le donne così. conosco una mamma che è tornata a casa proprio. Ha detto: non basta. Ed è tornata a casa.

D. E le donne italiane che hai conosciuto come ti sembrano con i loro figli e coi loro mariti?

L. Anche da noi se devi andare da qualche parte e non hai dove lasciare il bambino chiedi al vicino o a una persona che la conosci... per la prima volta ti dico ho lavorato in una casa in cui sono ricchi, una famiglia di conti e contesse e mi è sembrata una famiglia normale. Marito, moglie e figlio che stanno a tavola insieme e parlano. Loro la persona di servizio a casa l'hanno sempre avuta.... Poi ho fatto anche la baby sitter la sera e avevo le persone a Venezia, sempre, che lei lavorava tanto e lui lavorava a Bologna all'università e qualcuno doveva tenere i figli almeno per un'ora o due. Mi sembra normale, anche da noi si usa mandare i figli con una vicina o con un'amica. Da noi non la paghi magari...

D. Ti sembra più strana la cosa con gli anziani?

L. Sì. Va bene che venga qualcuno ad aiutarti, ma lasciarlo proprio per anni con una persona estranea e andare là una volta la settimana a portare i soldi o un po' di alimenti... non so... c'era un detto che dice: attenta a come ti comporti con i tuoi genitori, perché ti vedono i tuoi figli.

3) Sveva, moldava, 28 maggio 2012, Marghera

Sveva non è una donna primomigrante, ma è partita per seguire il suo fidanzato emigrato prima di lei. Nonostante ciò, il suo racconto appare complementare a quelli delle altre donne intervistate. Dalla sua testimonianza, come dalle altre, emerge ad esempio chiaramente fino a che punto l'emigrazione di uno dei membri della famiglia sia, soprattutto in alcune zone, l'unico mezzo possibile per sopravvivere dignitosamente. Le parti più interessanti di questa intervista riguardano poi, anche qui, le strategie di attraversamento delle frontiere attuate dai migranti irregolari; la difficile condizione dei bambini rimasti in patria quando la mamma è emigrata per cercare lavoro all'estero e il ruolo ambiguo dei padri in queste situazioni; le difficoltà del ricongiungimento di cui Sveva sottolinea soprattutto la fatica di conciliare il lavoro nelle case con la cura dei propri figli. Da sottolineare soprattutto, però, è nel caso di Sveva la peculiarità del suo rapporto con la datrice di lavoro italiana, che esprime bene tutte le tensioni che la delega salariata della cura può comportare all'interno della gerarchia al femminile che vede donne migranti garantire la "doppia presenza" di quelle italiane sostituendole in alcuni dei loro ruoli familiari. Queste relazioni appaiono segnata da un'inevitabile asimmetria, in cui il "potere" di chi dà lavoro può manifestarsi anche nella possibilità di influire in maniera determinante sul fatto che queste donne migranti possano o meno regolarizzarsi. Questa intervista è utile a comprendere, più nello specifico, anche i meccanismi perversi che hanno segnato la fuoriuscita dall'irregolarità di centinaia di migliaia di lavoratori, e soprattutto lavoratrici, familiari durante la "sanatoria" del 2009.

Domanda. Il tuo paese è la Moldavia

Sveva. Sì. Io sono di campagna, non sono di città. Sono campagnola (ride)

D. Fino a quanti anni hai vissuto lì?

S. Avevo 23 anni quando sono venuta. Prima è venuto il mio fidanzato e dopo sono arrivata io.

D. Come mai lui aveva deciso di partire?

S. Andava anche lui a Mosca, faceva dei lavori, ma avendo questa difficoltà sempre dei soldi... per i giovani è un po' difficile vivere lì, anche se fai degli studi non è che hai tanti lavori. Anche se fai l'università poi vai via. Lui non ha fatto nessuna scuola, era rimasto da solo e ha dovuto per forza andare a lavorare e non studiare. Faceva un po' di tutto, muratore, pittore.

D. E poi ha deciso d partire proprio per l'Italia?

S. Ha degli amici che gli hanno proposto di venire qua e di aiutarlo. E così è partito qua. Era il 2003 o il 2004 non sono sicura. Dall'inizio ha lavorato con un italiano e ha lavorato senza pagarlo. Ha lavorato per tanti mesi però alla fine non è stato pagato. Poi è andato da un altro he per un po' lo ha pagato ma poi... ed essendo in nero non poteva chiedere niente. E per un periodo ha lavorato ma poi per qualche mese neanche questo lo ha pagato.

D. Dopo quanto tempo sei arrivata?

S. Dopo un mese. Non potevo stare senza di lui! Sono arrivata con un visa, che avevo un permesso di turismo per non mi ricordo quanti giorni, 15 o 17 giorni erano. E sono arrivata come sportiva. Perché dovevano andare in Germania un gruppo di sportivi e hanno preso anche a me e passando di qua mi hanno lasciato.

D. Quanto hai pagato?

S. 2.500 euro, m ano a questo gruppo di sportivi ma a una persona che mi ha introdotto con loro. Mio papà era morto due anni prima che io venivo qua. Mia sorella doveva studiare e mia mamma non lavorava perché papà prima di morire non le aveva mai permesso di lavorare. è stata sempre casalinga. Dovevo fare qualcosa, dovevo muovermi. Mia sorella era a scuola a quei tempi. Io lavoravo e anche studiavo prima, poi ho finito lo studio e ho iniziato a lavorare.

D. Cosa hai studiato?

S. Tecnologia dei tessuti. Terzo anno di studio studiavo e lavoravo. Ho studiato soltanto 3 anni perché dovevo prendere il diploma

D. Riuscivi a vivere coi soldi che guadagnavi là?

S. C'era anche mio zio che mi dava qualcosa. Diciamo che non mi bastavano ma riuscivo a vivere. Ogni tanto riuscivo a prendere anche qualcosa per casa

D. Quanto si guadagna in media in Moldavia?

S. Poco. Mia mamma che fa la commessa in un negozio prende 50 euro al mese, ma i prezzi sono come qua. Anche il gas, la luce, anche da mangiare costa come qua. Per il gas questo inverno è arrivato quasi 300 euro.

D. E come fa?

S. Mandiamo noi a casa adesso. A quei tempi non era così costoso. Nel 2003 quando sono arrivata qua era un po' meno, ma da noi crescono tutti anni. Tutti gli anni luce, gas, acqua, stanno alzando, e gli stipendi sono gli stessi.

D. E come si fa a sopravvivere?

S. Non ho la pallida... la minima idea di come fanno. Mia mamma vive in paese e in qualche modo si arrangia. Due o tre patate ce le ha, le ha cresciute a casa. Cipolla, quelle cose che deve pagare ce le ha un po'. Fagioli. Queste cose qua.

D. Quindi l'unico modo per stare bene in Moldavia è che una persona della famiglia stia fuori e manda i soldi?

S. Sì, io non immagino cosa succederebbe alla mamma se noi non mandassimo i soldi. Dobbiamo mandare sennò non ce la fa da sola. Tanti giovani sono andati via in Mosca e in Saint piterburg che lavorano, sennò non ce la fanno a d andare avanti.

D. Si va di più in Russia o di più verso l'Italia?

S. Se avevano possibilità tutti sicuramente che andavano in Europa. ma in Russia non c'è bisogno di documento. Si va soltanto col passaporto. Chiedono la residenza e non il permesso di soggiorno, e quindi vanno di più lì perché è più facile. Partono tanti giovani. Da me d'inverno è vuoto il paese perché tutti i giovani sono andati via. O studiano o sono andati via, ma anche studiando dopo non hanno la possibilità di lavorare quello che hanno studiato e sempre vanno via.

D. E più le donne o più gli uomini?

S. Uomini, le donne rimangono a casa. Ma anche le ragazze vanno via e a Mosca lavorano come commesse.

D. Ma qui in Italia si vedono tante donne

S. Anche loro pagano per venire! Una volta venivano a piedi poverine! Si gli uomini vanno a Mosca, ma da queste parti vengono di più le donne pensando che troveranno qualche lavoro fisso come badante. Loro pensano che più le donne trovano lavoro qua che gli uomini.

D. Gli uomini restano a casa?

S. Sì, con bambini. E cominciano a bere.

D. I bambini restano coi papà di solito?

S. In maggior caso sì. Restano con papà e i papà parlano male delle mamme. Che si sposano degli italiani, che non vengono a lavorare ma vengono a fare la... che fanno un lavoro non onesto, così pensano loro.

D. Però mandano i soldi a casa!

S. Sì, quando ricevono i soldi sono contenti. Ci sono tante donne che lavorano posto fisso e mandano a casa, mandano i bambini a studiare... per questo vengono qua. Vogliono fare un futuro per i suoi bambini.

D. Perché non li portano con loro?

S. Non li portano perché non hanno un aiuto. Pensando che lavorando con una vecchietta posto fisso guadagnano di più che prendendo una casa in affitto. Una casa in affitto devi pagarla. Pagare l'affitto, pagare da mangiare. Cosa ti resta? Non ti resta niente, e poi le ore non le trovi così facilmente come un posto fisso, per esempio. Io no ce la farei a lasciarlo, non ce la farei, impazzirei. Non mi immagino una cosa del genere, non so spiegarlo.

D. Sono tanti i bambini rimasti da soli?

S. Sì.

D. Se io andassi in Moldavia me ne accorgerei? Si vede che mancano le donne?

S. Da dove sono io non sono tante persone andate via in Italia. Dal paese di campagna dove è A. (26) sono tante persone che sono qua. Tante mamme li hanno lasciati coi nonni, per esempio.

D. E come stanno questi bambini?

S. Sono cresciuti senza madre. Una nonna non è una madre. Hanno bisogno di questo affetto di madre. E poi i bambini non rispettano le nonne come i genitori, pensano che sono... non so perché ma si comportano in un'altra maniera con i nonni che con i genitori.

D. E chi non ha i nonni con chi li lascia?

S. Se c'è il padre rimangono con il padre. Sempre. Loro bevono e si fanno gli affari suoi, ma i bambini o vanno dai parenti che mangiano o vanno... fanno di testa sua, non sono curati, non sono come una famiglia. Quando c'è una famiglia hai cura di quel bambino ma quando c'è in questo caso che il caso non pensa ai bambini, o trova un'altra donna...

D. Ma certe volte le mamme pagano una persona per stare coi bambini?

S. Sì, succede anche questo però non sapendo come si comportano le donne a casa con i loro bambini. Perché non essendo loro lì non è quella attenzione. Ci sono i casi che quando le mamme chiamavano da qua i bambini piangevano dicevano che si comporta male, o si teneva i soldi e non comprava niente al bambino di questa donna. Ho sentito da altre mamme che piangevano e aveva questi casi.

D. Ma alla fine questi bambini non vengono mai portati qua?

S. Sì, dopo qualche anno, dopo che si metteva in qualche modo in piedi questa donna. Trovava una casa... doveva... e poi i documenti non si fanno così facilmente questi qua. Devi aspettare due tre anni, due anni sicuramente devi aspettare per fare il ricongiungimento familiare. Devi fare tanti documenti, andare a casa e spendere un sacco di soldi. In archivio devi andare a tirare tanti documenti e poi a casa da noi si paga tutto .qua è un po' più... ma da noi dove vai devi pagare, devi dare. Poi devi avere qui la residenza, senza la residenza non puoi portarli qua. E devi fargli vedere che hai dove vivere con questi bambini, anche questa è una richiesta che chiedono i documenti. Senza questa non si può fare.

D. E poi tante donne non hanno neppure il permesso di soggiorno...

S. Sì, come me che non ho avuto per sei anni il permesso di soggiorno. Lavorando, io non ho fatto mai delle stupidaggini. Volendo lavorare, ma non ho avuto mai la possibilità di fare dei documenti. Avendo poche ore non avevo... poi non era nessuna persona che mi metteva in regola. Sono andata sei anni quasi avanti così. sei anni sono stata a casa. Povera mamma non mi ha visto sei anni. Non avevamo prima skype il computer, non avevamo possibilità di prendere. Se andavo a casa non potevo tornare indietro, perdevo tutto quello che ho iniziato qua, non potevo aiutarlo. Poi ho aiutato anche mia sorella a aiutare qua. Ho mandato anche a lei i soldi per arrivare qu. Anche lei ha pagato per arrivare qua. Mia sorella è arrivata dopo tre anni che ... dopo tre anni io ho mandato i soldi a lei e lei è venuta qua. Anche lei è venuta in nero ma è venuta peggio di me. Io sono arrivata bene, lei è venuta con difficoltà camminando, a piedi. Nascondendosi. Ci ha messo due, tre giorni per arrivare. È partita una volta, e poi non è riuscita ad arrivare. È tornata indietro. Poi dopo una settimana ha provato di nuovo ed è riuscita a venire.

D. Tu dove lavoravi in questi sei anni senza documenti?

S. Un po' dappertutto. Avevo due o tre famiglie che andavo qualche mattina. Poi ho trovato baby sitter, con una bambina. Di mattina facevo pulizie in quelle famiglie.

D. Come erano quelle famiglie?

S. Brave, mi sono trovata benissimo, si comportavano bene con me. Non ho avuto problemi con nessuno. Mattina mi occupavo della casa e pomeriggio stavo con bambina, prendevo dalla scuola e stavo con lei fino a che non arrivava la mamma. Tutti i giorni tranne sabato e domenica. La sua mamma arrivava alle sette dal lavoro. alle sei, sette, dipende.

D. Com'era il tuo rapporto con questa bambina e con questa mamma?

S. Si chiamava Matilde, era una brava bambina, mi trovavo bene. A quei tempi era piccolina, era prima classe, aveva sei anni. Andavo a danza con lei, mi trovavo bene, anche con la sua mamma. Eravamo come amiche quasi. Un po' di distanza, perché anche lavorando da lei non era quella confidenza come con un'amica. È questa signora che mi ha fatto fare conoscenza con questa che mi ha trattato male perché sono amiche loro, sono architette, ma questa con bambine è una donna brava che capisce, buona anche.

D. Ti sembrava triste di non vedere tanto sua figlia?

S. Quando veniva si vedeva che la coccolava, quando non vedi un bambino tutto il giorno senti questa mancanza di vederla, ma non era nervosa. E poi abitava da sola con questa bambina perché erano divorziati con suo marito. La bambina stava un po' da suo papà e un po' dalla mamma. Non ho visto questo atteggiamento che ho visto dall'altra donna. Da questa signora facevo anche delle pulizie, due volte la settimana, e il pomeriggio andavo a prendere la bambina. Mi pagava a quei tempi 7 euro all'ora in nero. In quegli anni era questo il prezzo per le pulizie.

D. E oggi qual è?

S. Oggi dipende, chi prende 8, chi prende 9. Non è un prezzo fisso, dipende.

D. Con la crisi sono abbassati i prezzi?

S. No, anzi. In regola ti possono pagare anche 6 euro l'ora, perché pagano anche i contributi, dipende.

D. E la tua esperienza con questa donna che ti trattava male?

S. Da quando ha iniziato a lavorarci mia sorella?

D. Raccontami la tua storia intanto

S. Stando a casa mi serviva un lavoro, anche se non ero in regola dovevo lavorare, e siccome mia sorella lavorava da questa signora ed è rimasta incinta, mi ha chiesto, e anche io le ho chiesto... chiedi a questa signora se posso restare al posto tuo... così stai tu con mio bambino visto che ormai rimani a casa. Siccome il mio bambino non andava all'asilo perché non avevo i documenti, per forza dovevo lasciarlo a qualcuno. Per un asilo provato non mi bastavano i soldi. E quindi mia sorella ha parlato con questa signora e anche lei aveva chiesto se non conosceva qualcuno per sostituirla. E mia sorella le ha detto di me. E la signora era contenta, perché sapeva di me, perché io ho lavorato dalla sua amica, prima. Sapeva come sono io. Ero contenta che io vado da lei a lavorare, e ha detto, queste sono parole di mia sorella, ma sono sicura che le ha dette: " se viene tua sorella allora io le faccio i documenti quando uscirà la legge per farli. Abbiamo parlato in giugno, o verso luglio, perché ci siamo incontrate per conoscermi meglio, e ci siamo messe d'accordo che iniziavo a lavorare da settembre, da quando tornano loro dalle vacanze. E nel frattempo è uscita questa legge, 2009, la sanatoria. E questa signora ha sentito che era uscita e ha proposto a mia sorella che mi fa i documenti. Io ho detto a mia sorella di chiedere come può fare. Siccome si è proposta di farlo, io approfitto della proposta. Abbiamo fatto richiesta di questi documenti, ma la legge era che il datore di lavoro doveva mettere in regola il lavoratore dall'aprile prima, e quindi soldi che doveva pagare, questi 500 euro, siccome io non avevo in realtà lavorato prima da questa signora, questi contributi glieli ho dato io, e fino a settembre ho pagato io tutti i contributi.

D. Tua sorella come si era trovata dalla signora?

S. Malissimo. Era contenta anche per questo di essere rimasta incinta. Io pensavo che qualcosa non era andata in Tatiana, che Tatiana non si era trovata con lei... non lo so. Speravo che io non mi troverò così come mia sorella, e invece è stato così. Anche con mia sorella sempre si è comportata malissimo, la incolpava di tutte le cose con il bambino. Ti dico un esempio: stavano fuori, il bambino era piccolino e il giorno dopo dava la colpa a mia sorella perché il bambino era raffreddato.

D. Secondo te perché una che era così ha deciso di metterti in regola?

S. Si può dire che in questa cosa è stata gentile, ma lei non era disposta di pagare lei i contributi, e poi non era ... perché lo so che si faceva i calcoli, non voleva pagarmi le ferie, le tredicesime, non voleva darmi busta paga, non voleva mettermi in regola. Quando è arrivata la risposta dei documenti che dovevamo andare due volte alla prefettura, doveva venire anche lei, è stato un casino, mi sono sentita umiliata che non t'immagini, dovevo pregarla per venire in prefettura, mi metteva sempre in faccia che io le prendo del tempo, che devo restituirle questo tempo, perché lei non ha tempo di perdere con me... e poi lei sempre mi ... come dirti in italiano... mi soffocava, mi diceva che perdevo tempo. Due giorni che lei è stata in prefettura, queste due ore che ha aspettato per firmare due carte per me sono stati un inferno. Io la pregavo... mi mette a posto e basta... io speravo che lei mi mettesse tutte le carte a posto... non pensavo che mi prendesse in giro... tutte le volte che io dicevo: ma quando facciamo i documenti? La bista paga, il contratto, volevo fare tutto insieme, non chiederle continuamente per due anni...

D. Ma lei ti ha fatto il contratto?

S. Quello doveva per forza. L'avevano chiamata dalla prefettura, ma la risposta dei documenti era arrivata in maggio e lei da settembre mi pagava in nero, 620 euro per 25 ore a settimana, e dopo quando mi è arrivata la risposta dei documenti lei mi ha fatto restituire una parte dei soldi che avevo guadagnato da quando avevo lavorato. Non l'ho detto al sindacato perché non lo posso dimostrare.

D. Quanto ti ha fatto restituire?

S. Mi scalava 35 euro da ogni stipendio. Mi dava 590 euro dello stipendio meno 35. Io non sapendo le leggi e le cose le ho detto sempre sì. Il contratto della prefettura è arrivato nel 2010 ma quello tra me e lei lo ha fatto nel 2011. La busta paga non me l'ha mai data, solo negli ultimi due mesi del lavoro perché io mi ero aperta un conto bancario. Poi era possibile che lavoravo anche di più, quando lei andava in vacanza io stavo a casa, e quando tornava mi faceva restituire queste ore senza mettersi d'accordo, mi metteva tante ore tutte insieme quando conveniva a lei. Ma la sera le ho detto che non posso, perché anche io ho un bambino e devo tornare a casa per fargli da mangiare e fargli il bagnetto, lei sapeva che ho un bambino. E poi A. non era contento che io venivo tardi a casa, d'inverno è tutto buio... lei l'ha accettato con difficoltà e me lo chiedeva sempre.

D. Ma pulivi anche casa da lei?

S. Sì. Pulivo casa, quando il bimbo grande era all'asilo, facevo la spesa, con il piccolo nel passeggino, facevo quello che voleva lei.

D. com'era il rapporto tra te e lei?

S. Un po' difficile, quando volevo parlarle mi diceva sempre che non mi capiva. Lei non era una donna cattiva, ma un po' strana, non lo so. Voleva che facessimo tutti quello che vuole lei, era un po'... non ho visto in lei una madre felice... sempre si lamentava che è stanca, diceva che non ce la fa, diceva: "perché ho fatto questi bambini? Perché ho partorito?" era sempre stressata. Al bimbo grande si vedeva che mancava la mamma. Tutte le volte che stavamo a casa non voleva stare con me, sempre cercava la sua mamma. E la sua mamma non ha tempo, non ce la fa, e poi dava la colpa a me che io non gioco con il bambino, non faccio il possibile per non farlo andare da loro. Lavoravano a casa tutti e due. Si occupava di più suo marito dei bambini per lei, e lui faceva anche da mangiare. Ma lui si sentiva anche più importante di lei nel lavoro, la sgridava anche, le diceva come si doveva fare, e lei voleva essere brava come lui ma secondo me non le riusciva. Una volta lui ha detto a mia sorella, quando ancora non era fidanzata: "sai che non riesco a dormire, e che penso sempre a te?". Mia sorella faceva finta di non capire, e lui: "sai che mi piaci, sei bella, sei carina". E mia sorella: "ma cosa stai dicendo? Sei un uomo sposato con i figli e io con tua moglie non voglio avere niente... io lavoro da voi e basta. Se era un uomo solo può darsi che si può pensare a qualche cosa, essendo io da sola, ma in questo caso neanche per sogni, non sono quella persona che pensate". E lui ha finito il discorso e non ha più detto niente e dopo qualche ora è tornata anche lei e Tatiana ha sentito che parlavano piano e si raccontavano, e dopo qualche tempo ha capito che era come una trappola.

D. ma perché hanno fatto così secondo te?

S. Forse lei aveva paura, perché tante volte usciva e lui restava a casa, ma non lo so. Con me non hanno mai fatto così perché hanno capito che io tengo tanto ad A. e non ho questi pensieri in testa...

D. Però i problemi sono arrivati lo stesso...

S. Un po' alla volta. Lei non voleva fare quasi niente: lei voleva una signora a casa che facesse "tutto tutto" e che lei non pensasse a "niente niente", ecco come mi ha detto lei. Che lei non pensasse a mettere i piatti per il bambino nello zaino o a mettere il bucato in lavatrice. Dovevo pensare a tutto io, tutte le cose semplici di casa, per esempio quando andavo io in giornata io non sapevo cosa lei voleva che facevo. Sapevo che dovevo pulire casa, ma non sapevo prima tutto quello che voleva e poi lei arrivava e mi diceva: "ma perché non hai fatto questo?" E io le dicevo: "ma non sono una veggente. Dimmi le cose e io le faccio. Lei voleva che io facessi quello che voleva fare lei e che lei non faceva. E non era contenta quando disturbavo per chiedere cosa voleva. Io volevo fare, ma dovevo sapere. Io le ho detto una volta: a te ti serva un robot, non una persona. Mi rimproverava perché sono con la testa tra le nuvole, avevo i miei pensieri". E io le dicevo: "anche io sono una persona viva", ma io lavoravo, pensavo soltanto al lavoro, non avevo problemi a casa, il mio bimbo era con mia sorella, non ero in pensiero come una mamma che lascia un bambino con un'altra persona estranea. Mi sforzavo di capire perché diceva così e non riuscivo. Mi diceva anche che parlo poco o che rido poco. Ma io lavoravo, non avevo tempo per chiacchierare o ridere sempre, dovevo concentrarmi tra il lavoro a casa e il suo bambino. Veramente le serviva un robot, io non posso essere come vuoi tu sempre: "stai così, o fai così".

D. Ti rimproverava duramente?

S. Una volta che ho rotto un pezzo dell'aspirapolvere ha iniziato a urlare che a casa sua prima di lei non si rompeva mai niente! O quando si è ristretta una maglietta... mi sentivo una che non sono capace di fare niente... quasi, ma io avevo sempre lavorato prima di questa signora e non mi era mai...

D. Lei si prendeva anche del tempo per controllarti...

S. Sempre mi spiava! Anche quando uscivo col bambino mi seguiva agli angoli della strada, mi controllava. Io non mi accorgevo ma si accorgevano altre e mi dicevano: "guarda che ho visto la mamma del bambino". Io mi sono accorta solo una volta che l'ho vista dietro una bancarella di frutta... e poi calcolava esattamente quanto tempo stavo fuori se andavo a prendere suo figlio da qualche parte, e se ritardavo secondo i suoi calcoli si arrabbiava. Se lo facevo dormire troppo si arrabbiava perché la sera poi dormiva troppo tardi. Lei mi diceva sempre di svegliarlo perché se io non lo sveglio li dorme e lei dopo non ce la fa a lavorare a casa, perché dovrà stare con bambino quando io andrò via. A me dispiaceva per questo bambino che era così piccolo e doveva dormire...

Io intanto le chiedevo ogni mese la busta paga e lei ogni volta trovava una scusa che non aveva tempo, che ci penserà... ma io volevo farmi l'Isee, mi serviva il Cud e lei non voleva. Le ho detto che pagavo io il commercialista, doveva solo darmi il suo documento e firmare un carta che diceva che lei mi pagava i soldi ogni mese ma non ha voluto. Non lo so perché, quando parlavo di queste cose, che sono andata all'Inps, che mi sono interessata, lei andava via di testa... quando capiva che io so un po' le cose... lei pensava che io non so niente... sai quando vai a un lavoro volentieri, con il cuore... io tutte le volte che andavo da loro mi sentivo male, ero stressata, non avevo più energia. Anche di notte non dormivo per quello che mi diceva lei di giorno, ci pensavo tutta la notte: perché me l'ha detto? È colpa mia?

D. E tu eri stressata anche col tuo bambino?

S. Succedeva che venivo a casa e non avevo voglia di giocare con lui. Ero nervosa, per fortuna il mio compagno a casa sapeva cosa... e giocava lui, anche lui era stanco arrivando dal lavoro, era stanchissimo ma non mi rimproverava. Cercavo di calmarmi per lui, ma succedeva che avevo dei giorni brutti... anche questo mi ha fatto lasciare questo lavoro, ero sfinita. I bambini non erano un problema, erano bravi, ero contenta con loro, ero contenta quando lei non era a casa.

D. e poi come è successo che è finito tutto?

S. è arrivato quel giorno che ho detto che basta, visto che lei non mi mette i documenti a posto e io non cela facevo. Per sbaglio le ho rovinato due vestiti mettendoli in lavatrice, le ho detto che li pagavo, e lei mi ha sgridato tantissimo, ha detto che erano preziosi, ma conoscendo il tessuto io so che quei tessuti non erano molto cari. Ma era già la fine, si sentiva la pressione tra me e lei. Per cui ho detto: "ti pago i vestiti, quello che vuoi, ma domani ti porto il licenziamento". Lei pensava che dicevo per dire, ma il giorno dopo ho portato il licenziamento e lei, visto che ho fatto il primo passo, ha cominciato a gridare, a dire che io non ho il diritto di licenziarmi e che mi licenzia lei. E abbiamo cominciato a litigare, urlavamo tutte e due, il marito non c'era, c'era solo il bambino piccolo. Se c'era il marito a casa penso che la cosa non era così. e litigando a un certo punto mi ha picchiata. Io le avevo detto le cose che le avevo sempre detto: che non mi ha mai pagato le ferie, non mi ha mai fatto un contratto vero, non mi ha mai fatto una busta paga, non mi ha mai dato la tredicesima. Non le ho detto niente del resto, le cose della famiglia non si dicono. E mi ha picchiata, mi ha dato uno schiaffone e una spinta anche. Non mi ha fatto cadere, però mi sono sentita... all'inizio non ho capito... stavo così, ferma. Poi ho detto: "mio papà non mi ha mai dato uno schiaffo, e tu ti permetti di farlo?". Era sconvolta anche lei, secondo me. Ha capito che ha fatto uno sbaglio. Aveva paura, ho detto che andavo a denunciare, lei ha paura di queste cose, come quando mi gridava perché andavo all'Inps. Sono andata in bagno e lei mi è venuta dietro, volevo uscire e lei stava in mezzo al corridoio e non mi lasciava uscire. Poi sono uscita e lei gridava che devo darle le chiavi. Le ho tirate sul tavolo con rabbia. Ho sbattuto la porta e sono uscita fuori, quando sono uscita fuori non ce la facevo... ho cominciato a piangere. Dopo sono andata in questura a Venezia a denunciarla. Hanno visto che non ce la facevo neanche a parlare, mi hanno lasciato che mi calmassi un po'. Mi hanno chiesto di scrivere tutto quanto. Quando mi hanno chiamato dopo mi hanno detto che anche questa signora aveva fatto la denuncia. Hanno detto che le ho tirato le chiavi addosso, ma io non potevo farlo, perché era con bambino in braccio dopo che ero in bagno, e anche se era con bambino in braccio non le faccio queste cose. Adesso sto aspettando cosa sarà. Ho un po' di paura. Ho fatto anche la denuncia all'Inps. Non mi sono venuti incontro, anzi, mi hanno trattato un po' male, un po' da "straniera".

D. Che significa "trattare da straniera"?

S. Che loro credono che non capisco niente, che se mi spiegheranno le cose non capirò niente. Secondo me loro pensano così. l'ultima volta che sono stata mi hanno calpestato proprio. Non mi aiutano. A Cisl questo. Secondo me perché sono una straniera, se era un'italiana non si comportava così. quando mi ha accompagnata tuo marito loro parlavano in un'altra maniera con lui. Adesso ho sempre paura di raccontare questa cosa, ho sempre paura che non pensassero che è colpa mia, che...

D. Quando pensi al tuo futuro pensi che vorrai tornare a casa o pensi che tuo figlio crescerà in Italia?

S. Ci sono tante cose che cambierei qua... ci sono cose buone, per l'asilo, per l'ospedale, che non devi pagare niente, ma nel tuo paese nella tua casa, sei a casa, non ti senti straniero, non ti senti un'altra persona.

D. Che vuol dire "sentirsi un'altra persona"?

S. Che qua mettono da una parte persone straniere e da una parte persone italiane... non siamo uguali... razzismo? C'è un po' di razzismo qua. Non so com'è in altre parti, per questo mi sento così. Con questa donna io volevo sentirmi una persona di famiglia, non volevo sentirmi una persona che mi paga soltanto, ma una persona di fiducia, non so come esprimermi meglio, e invece è stato che io mi sono sentita come una .... Serva? Perché... ero una serva.

4) Lilli, moldava, giugno 2012, Marghera

Lilli è una delle tantissime donne migranti che hanno studiato fino all'università, che nel loro paese svolgevano una professione appagante, ma che non riuscivano ad avere un reddito sufficiente per vivere come avrebbero voluto, magari comprando una casa tuta per sé. Nel paese di arrivo, queste donne subiscono quasi sempre una forte svalutazione professionale, legata al mancato riconoscimento formale dei loro titoli, ma ancor di più alla segmentazione "etnica" del mercato del lavoro che le relega solo a determinati impieghi. La sua storia, raccontata da lei come un fiume in piena, è segnata più delle altre da partenze e ritorni, da frontiere che hanno ridisegnato costantemente il suo percorso confinato, ma che sono state superate anche grazie a costanti tentativi di sconfinamento intessuti di solidarietà e amicizia. Nel campo di forza dentro il quale Lilli è immersa, prodotto dalle tensioni tra le sue scelte libere e le costrizioni, e tra la sua volontà di incedere e i dispositivi di controllo delle migrazioni, è sempre la sua forza a emergere, insieme alla sua ironia che non cede di fronte a niente e che stravolge i luoghi comuni e gli stereotipi, fino a rendere ridicolo ogni giudizio troppo semplicistico di cose e persone. Solo una volta, nel corso di questa intervista durata più giorni, Lilli ha pianto. Non quando ha raccontato di essere finita incinta in un centro di detenzione per soli uomini, o di quando ha trascorso la notte nei boschi, fuggiasca o dentro un commissariato della polizia italiana. Lilli ha manifestato una forma di disperazione nel ricordare, solo quando ha ripercorso la sua storia di baby sitter in una villetta di Padova. In quei mesi Lilli, nonostante fosse trattata "come una di famiglia", Lilli si è sentita per la prima volta prigioniera e fuori luogo, come ci si può sentire vivendo la vita di altri, rinchiusa quasi sempre dentro le mura di una casa estranea, da straniera. Le parti più interessanti di questa intervista riguardano quindi gli attraversamenti clandestini delle frontiere, con il loro correlato di detenzioni e riaccompagnamenti al punto di partenza; i pericoli della vita da irregolare, che costringe a nascondersi e ad accettare condizioni di lavoro e abitative difficili; la discrasia tra il livello culturale e le aspirazioni professionali di questa donna e le condizioni in cui si trova a vivere in Italia; ancora una volta i rapporti di genere: il differente modo di affrontare le contingenze e le responsabilità che queste donne esprimono rispetto ai loro compagni, e la difficoltà, infine, di crescere dei figli in Italia - Lilli non è riuscita ad essere una madre transazionale, lasciandoli in patria - perché se si svolge il lavoro familiare salariato con tutte le difficoltà di conciliazione dei tempi di vita che esso strutturalmente implica, non si può anche avere dei bambini propri da curare. Per questa ragione Lilli ha cercato di fare mille altri lavori, senza successo.

Domanda. Ecco... sta registrando. Che nome ti diamo?

Lilli. Va bene Lilli... senza vagabondo però!

D. Come ti è venuta l'idea di partire da casa? In che anni siamo? Quanto tempo fa?

L. allora... la prima volta è stato nel 1997... si. I miei cugini sono partiti in Grecia, hanno lavorato per un anno e la mamma mi ha detto... io stavo lavorando in una scuola, perché sono insegnante di scuola elementare. Ho fatto l'università di psicologia e pedagogia per bambini - e dopo quattro anni di lavoro mi ha detto: guarda, i tuoi cugini sono partiti in Grecia, magari vai anche te e ti fai un soldino per un appartamento e lavori tranquilla. Abitando in una cameretta piccolina con un'altra persona, con una ragazza, io ho deciso e ho detto: va bene, meglio. Perché col tempo era possibile comprarti un appartamento con uno stipendio. I nostri soldi di adesso, sarebbe venti euro che prendevo. Mi bastava soltanto per qualche rossetto, per qualche calzino e basta. Tutto da mangiare io lo portavo da casa, dalla mamma che preparava, e vivevo in sostanza con i soldi fatti dalle lezioni private, perché erano per esempio i bambini che facevano più fatica e io mi occupavo di loro. Quindi quello era lo stipendio vero con cui vivevo.

D. Però ti piaceva il tuo lavoro?

L. Tanto, tanto. Io da piccolina insegnavo a tutte le bambole. Le mettevo in riga e le insegnavo. Mio fratello ha iniziato a leggere a quattro anni grazie a me, perché a me piaceva tanto. E sempre avevo paura che io non avrò mai bambini, perché li amavo troppo. E dicevo a tutti: ah, se vuoi troppo qualcosa non ne avrai mai. E avevo il terrore. E quindi io... anche adesso, la prima promozione dei bambini, che avevo fatto cinque anni con i miei alunni, anche adesso, loro hanno 23 anni e mi scrivono anche adesso. È stato bello. Da noi si fa anche il liceo per fare la maestra e anche l'università per diventare maestra. Io facevo pedagogia e psicologia. Avevo studiato... vabbé.

Però non vivevi, non ti bastava. Ero in capitale, in Cishinau. La mamma era a 70 km. Ci vedevamo una volta al mese, perché non è che era facile. Mia mamma abitava con mio papà che era medico. Faceva il terapista... in ospedale praticamente. Internista, terapista, non so come si dice qua. Quindi noi stavamo bene come famiglia, non ci mancava mai niente. L'unica cosa era avere un appartamento: la mamma mi voleva insegnante con un appartamento e se magari mi trovo un bel marito, un bel fidanzato è ancora meglio. Ecco questa è stata l'idea di partire. La mia mamma ha insistito. Se era per me non andavo. Ero povera, però felice. Avevo le mie amiche, la mia scuola, i miei bambini, cioè i miei alunni... ero giovanissima, avevo 21-24 anni. Quindi ovviamente vedevo anche io che non è facile andare avanti, ma non è che era l'idea... a quella idea non è che ti va in testa di fare cose grandissime, nel senso ... eh... arrivando in Grecia non mi è andata per niente bene.

D. Come sei andata in Grecia?

L. Abbiamo fatto il visto, perché si faceva facilmente, tramite un'agenzia di viaggio. Andavano tutti là in quel tempo per questo. Io avevo trovato... dovevo sostituire una collega di lavoro di papà che era sempre una dottoressa ed era andata in Grecia per lo stesso motivo.

D. Perché anche facendo i dottori da voi non si riusciva a guadagnare...

L. No... no. Mio papà riusciva a vivere molto bene perché lui era come... dirigeva un ospedale, la terapia praticamente la dirigeva lui. E lì sai com'è... uno viene con un maiale, l'altro viene con un pollo... sempre qualcosa avevamo. E se non avevano i prodotti da mangiare avevano un soldino da portare, no? Quindi non è che morivamo di fame. Erano tanti che stavano molto peggio, male voglio dire. Io mi considero che sono stata in vaso di cristallo... dopo un mese mi hanno mandato a casa i greci.

D. Aspetta un attimo. Questa dottoressa che lavoro faceva in Grecia?

L. Badante. Lei doveva andare a casa per un mese e io l'ho sostituita. Noi ogni domenica incontravamo i miei cugini che ti dicevo erano là in Atene. E la sera quando tornavo dalla signora che... dalla vecchietta... mi ha fermato la polizia perché c'era stata una rissa, non so bene, vicino a casa loro. Mi hanno fermato, mi hanno chiesto i documenti, io la lingua non la sapevo ovviamente, capivo qualcosina però non è che... hanno visto che stava per scadere il visto e siccome ero giovane, avevo 25 anni, 24... mi hanno rinchiusa, mi hanno tenuta per qualche giorno, e dopo ho saputo che loro pensavano che io sono prostituta, perché lì evidentemente venivano tante per prostituirsi.

D. Dove ti hanno rinchiusa?

L. In una cella del loro distretto di polizia. All'inizio io piangevo che non ti dico. Non volevo neanche mangiare. Piangevo, piangevo. Perché ho sentito quando loro dicevano che non esistono brave persone ma soltanto prostitute. Dopo hanno portato altre tre ragazze che una di loro era ucraina e faceva compagnia nei bar, nei ristoranti... lei mi ha raccontato che se vedeva qualcuno ricco lei si avvicina e io sono rimasta un po' scioccata perché ero una ragazzina per bene e non avevo mai sentito queste cose in vita mia (ride). Alla fine questi poliziotti evidentemente hanno capito chi sono, oppure non lo so, ma comunque non mi hanno più detto nessuna parola, anzi mi parlavano con rispetto oppure mi chiedevano se ho ancora fame. Quando alla sera loro avevano la tv fuori dalla cella in un ufficio, loro chiamavano noi fori dalla cella a guardare la tv. Io ero l'unica che rimanevo dentro, perché non volevo andare con loro. Le ragazze andavano, e io invece mi chiudevo: gli dicevo chiudetemi, non esco da nessuna parte! Non mi sentivo bene: mi sentivo che faccio io compagnia ai poliziotti, no? Quindi preferivo rimanere dentro. E dopo mi hanno mandato a casa. Tutto il viaggio in areo ho pianto.

D. Come ti hanno mandato a casa? Fisicamente ti hanno portato in aeroporto?

L. Sì, mi hanno scortato fino all'aeroporto. E io gli dicevo: lasciatemi andare, perché io voglio farmi un soldino e la mamma mi ha prestato i soldi per mandarmi qua, e io adesso come faccio? Come faccio a ridarle i soldi, no? Perché erano tanti: 2000 dollari in quel tempo, se non sbaglio o anche di più. Non mi ricordo, però una bella somma. Non ha funzionato (ride) i miei pianti non hanno funzionato. Tutto il viaggio nell'aereo pensavo: mamma mia, mi vergogno di andare a casa. Neanche un mese sono rimasta là... tuti quanti fanno soldi e io... (ride un sacco).

D. E la tua vecchietta era rimasta là ad aspettarti?

L. Lei aveva saputo perché mi hanno fato telefonare, ma lei ha detto che non mi conosce. Perché aveva paura, non pagava le tasse, no? E lì era severo da questo punto di vista. E quindi sono rimasta così. Metti pausa... guarda che è lunga eh?

D. E quando sei arrivata a casa?

L. Avevo una paura e una vergogna che non ti dico... mi sembrava morire, mi sembravo un verme di quello... (imita un verme e ride) e quando sono entrata in casa mio papà, così felice che mi ha visto e mia mamma. La tavola piena di tutto da mangiare. Piena. Mi sono ricordata di quello... la scrittura nella bibbia, di quel figlio che quando è tornato e il papà gli ha fatto festa. Ti ricordi? La stessa identica cosa, perché io tutto il tempo ho pregato. Dicevo: dai dio per favore, parlagli che non si arrabbiano con me. Ero tanto preoccupata. Vabbé. Dopo un anno sono tornata a lavorare a scuola, e dopo un anno la mamma mi ha detto che c'era la possibilità di fare la vista di Schengen, non mi ricordo che paese era e venire Italia.

D. La mamma era fissata con questa cosa che dovevi partire...

L. Sì, perché lei ha cominciato prima con la Romania perché doveva vendere le sue cose perché per sopravvivere bisognava fare qualcosa, no? Io facevo l'università e non potevo lavorare e quindi lei sempre girava per guadagnare qualcosa. Noi siamo praticamente vicinissimi, 30 km, e in Romania per esempio mancavano le medicine, papà era medico e noi facevamo trovare le medicine e la mamma le andava a vendere. Comprare per esempio per studio i libri che mi servivano. Così... non è che moriva di fame, però era un bell'aiuto. Lei voleva assolutamente farmi un appartamento in Cishinau, per lei era una fissa di quelle... un chiodo

D. Quanti anni aveva la tua mamma?

L. Adesso ha 61... 48 anni, 47. Che matematica bella che ho...lei ha sognato moltissimo che io mi faccio il mio lavoro, perché sapeva che a me piace e quindi mi voleva vedere maestra, insegnante, con il mio appartamento. Però non ha calcolato tante cose (ride). E quindi siamo venute qua perché lei aveva qualche indirizzo, qualche numero di telefono, perché erano già partite tante persone prima...

D. Siamo?

L. Era nel '99, agosto.

D. Ma siamo chi?

L. Io con la mamma. Mamma e figli alla riscossa! Sì... (ride) io non è che ero contraria, però non mi rendevo conto della gravità... mi dicevano tutti: guarda che è tanto difficile, pochi riescono a resistere. Io dicevo: va bene, va bene. Non avevo paura di niente, non so, mi sentivo in forza, mi sentivo che ogni montagna che è davanti a me la sposto senza problemi. C'ero tanto forte, nel senso, avevo tanta energia, e però dall'inizio, da subito, sono cominciati così tanti problemi... arrivando, siamo arrivati a Padova...

D. Come siete arrivati a Padova?

L. Avevamo il visto, siamo arrivati a Padova. Ci hanno lasciato. E da lì, io non sapevo niente... la mamma aveva tutti i telefoni che non sapeva neanche ... le chiedevo: guarda tu volevi a Padova, dimmi perché almeno! Perché ho dei numeri di telefono.

D. il visto vi era costato tanti soldi o eravate riuscite ad averlo tranquillamente?

L. Tanti. Era 1500 dollari di persona. Il visto dall'ambasciatore sai che costa pochissimo, 30 euro, però l'agenzia ci faceva... morire. Quindi questi erano debiti, perché noi questi soldi non li avevamo... comunque. Abbiamo chiesto da uno e dall'altro... abbiamo fatto... così. La mamma aveva un numero di telefono di una certa Paola. L'indirizzo. L'abbiamo trovato. Abbiamo chiesto in giro perché c'erano altri ragazzi che... poi quando siamo arrivati, era una casa, diciamo, di quelle vecchie, anni Venti, diciamo così, non lontano dalla stazione dei treni. Ci ha accolto una signora, se non sbaglio era una avvocata, non so, comunque una persona... avvocata se non sbaglio. Lei teneva lì, in quella casa, più di 100 persone... ragazze.

D. Un'Avvocata?

L. Sì. Si chiama Paola, dicono. Non è vero però.

D. Nascoste?

L. Allora... a piano terra era un ufficio di avvocati o non so di chi. E noi di notte mettevamo le lenzuola sul pavimento così, e dormivamo. E anche sul tetto. Siccome era estate, agosto, anche se pioveva o qualcosa del genere freddo non era. E dormivamo sul tetto, era delle coperte o delle cose così, non so come si chiamano, di plastica. In tutto eravamo 120.

D. Pagavate?

L. Ti spiego, allora...

D. Questa era una che si approfittava di voi o una che voleva aiutarvi?

L. Una che voleva aiutarci. Lei faceva così, ovvio, anche approfittava, nel senso... lei ci insegnava l'italiano, faceva lezione di italiano, ci insegnava i detersivi, ci insegnava tutto, e anche ci trovava il lavoro. Ovviamente, anche io, per esempio, tanti dicevano che lei approfittava. Io non sono d'accordo perché quello che faceva lei era pure un lavoro. per esempio se lei ti portava a lavorare da qualche parte in una famiglia, lei si prendeva una percentuale molto piccola. Per esempio se tu prendevi 800 euro al mese, un 50 euro erano suoi. Non era tanto, secondo me.

D. Ma stai scherzando? Era una ladra! Sai che vuol dire 50 euro al mese per 120 ragazze?

L. Si lo so, ma non lavoravano tutte!

D. Ma non è regolare!

L. Ma neanche noi siamo legali! Io per esempio non ero... io ero contenta anche di ... sì, nella vostra mentalità e giusto, perché significa che approfitta, ma dal nostro punto di vista senza di lei non ce la facevamo. Per qualche mese io ero d'accordo che si prendesse anche quei 50 euro, basta che mi trovava il lavoro, però per esempio per me non poteva trovare perché ero troppo giovane e nessuno non mi voleva, per esempio. Lei trovava più che altro badanti o cose del genere.

D. Che anni erano?

L. Era il 99. E dopo avevamo anche un tetto, alla fine, in delle condizioni sgradevolissime, però sperando che... se trovavamo il lavoro, sai com'è? 24 ore su 24 in famiglia. E allora...dopo... e questo durava per qualche mese soltanto, perché lei prendeva per 4 o 5 mesi non di più. Non prendeva ogni mese.

D. Ma era tutto di nascosto? Lei avrà avuto paura della polizia...

L. Certo! Era una cosa molto... ti dico una volta... aspetta che qua è un casino, adesso comincio a mettermi le idee... no, io ti dico, se non c'era lei noi in quella sera non sapevamo dove andare. Può darsi hai ragione che lei ha fatto delle cose non giuste... però...mi sa che lei è stata chiusa dopo...

D. Ma è stata arrestata anche, magari...

L. Sì, ma hanno detto che lei portava le ragazze a prostituirsi ed è questo che ci ha fatto più arrabbiare, perché non era vero. Però aspetta per arrivare là... ancora è lunga! Noi andavamo a mangiare in cucina popolare intanto, e lì io ho conosciuto un ragazzo. Anzi, prima di tutto, erano un sacco di romeni, che come ho capito io prendevano le ragazze giovani e le facevano prostituire, erano in cucina popolare, erano sempre là. Per esempio, se io non avevo lavoro loro venivano da me e dicevano, guarda, noi possiamo trovarti il lavoro vieni con noi, e così via. Poi ti portavano da qualche parte, non ti trovava più nessuno e ti convincevano di prostituirti. Io di questa cosa già lo sapevo, quindi non avevo paura. Ho conosciuto un ragazzo che ci ha invitato a me e mia mamma a bere un caffè. Noi siamo andati e lui ci ha avvertiti di questa cosa e ci ha detto non date retta a nessuno. Anche perché ha detto che gli sono piaciuta molto... era da qualche giorno che mi... dopo di che ha detto che... ogni giorno quando andavamo a mangiare ci vedevamo, cambiavamo parole, insieme con la mia mamma, con lui. E dopo la mamma ha trovato lavoro, ha pagato 500 dollari, a quei tempi, per un posto di lavoro.

D. A chi?

L. Sempre a una moldava! Dopo due giorni la mamma è tornata perché diceva che questa signora sempre urlava, lei non capiva niente di italiano... un casino!

D. Un posto di lavoro in una casa come badante?

L. Si

D. A nero?

L. Certo! Niente si faceva in regola a quel tempo. E quindi la mamma è tornata sempre da Paola. Nel frattempo io mi sono vista con questo ragazzo. Era tanto dolce, timido. Ma timidissimo, che non ho mai visto un ragazzo così timido. Chiacchieravo io più che lui. E dopo la mamma è venuta dopo due giorni, e poi la mattina, noi ti dico dormivamo sul pavimento soltanto con un lenzuolo. Ci alzavamo come zombie... io la odiavo Paola per questa cosa, sinceramente. E dicevo... meglio dormire sull'erba perché è più morbida! E una mattina, la mattina dopo che è arrivata la mamma, una ragazza è entrata nell'ufficio dove dormivamo, eravamo 30 ragazze, non so quante che stavamo lì, appiccicate tutte, e dice: guarda, alzatevi tutte perché è arrivata la polizia! Noi non ci credevamo all'inizio... quando abbiamo guardato dalla finestra i poliziotti ci hanno circondato, non potevamo uscire dalla finestra, non potevamo fare niente! Tutti si vestivano in panico, io tranquillamente sono andata a farmi la doccia e tutti urlavano: esci da là! E io dicevo: ma lascia stare, mica devo andare puzzolente! (ride) Mi faccio la doccia e dopo esco, chi se ne frega! Scusami... dopo cancelli! Vabbé. Ci ha portate, qualche ragazze non c'erano, quindi un 90 ragazze ci ha portate al distretto di polizia di Padova. Non parlavano neanche. Noi ridevamo! Per noi era una barzelletta!

D. Tutte ridevate?

L. No, quelle più anziane erano spaventate. Figurati! Polizia, ci portano via! Noi più giovani eravamo più...

D. Ma eravate irregolari o avevate ancora il visto a quel tempo?

L. Avevamo ancora il visto, ma solo per due tre giorni. Era come un'avventura, figurati: cosa abbiamo fatto noi di male che ci stanno portando, no? Siccome il distretto non era previsto per così tante donne, rinchiuderci, ci hanno portate tutte nel corridoio. Hanno iniziato a prenderci a tutte le impronte...

D. Impronte?

L. Impronte, scusami, parlo rumeno. E le foto... noi facevamo delle battute per tenerci su di morale, ma sapevamo che non era una cosa buona, quella. Mi ricordo che sono venuti anche i giornalisti, e ci hanno fatto la foto, e mi dispiace da morire che non ho potuto trovare nell'archivio l'articolo, perché c'è la mia foto sul primo piano. Gazzettino di Padova, del 99, sarebbe il 29 luglio, dovrebbe essere. L'ho cercato ma non l'ho trovato, non so dove andare a cercare. C'è il mio face là, che mi riconoscevano tutti! Non mi ricordo bene il titolo, ma era tipo: 80 donne che sono state sfruttate, tipo schiavitù. Noi eravamo arrabbiatissime perché avevamo dei debiti. Va bene schiavitù, ma se non portavamo a casa i nostri debiti ci ammazzavano, non ci interessa se schiavitù o no. Capito? Finché noi non restituivamo i debiti noi eravamo pronte a lavorare anche come la Paola ci faceva, con 50 euro al mese, non ha importanza, basta che... ecco. Noi siamo rimaste là in polizia dalle 7 del mattino fino alle 10 di sera, perché doveva venire un autobus a portarci via a Roma e a Roma doveva aspettarci un aereo per portarci in Moldavia.

D. Anche tua mamma?

L. Sì (ride)

D. E tua mamma rideva?

L. Macché rideva! E a proposito, in quel giorno era il compleanno di Luca, questo ragazzo che ho conosciuto, e il giorno prima lui mi aveva detto: se volete tu con tua mamma venite da noi, e mangiamo una torta, un qualcosa. E io con la mamma abbiamo deciso di sì, tanto non avevamo dove andare, perché alle 8 del mattino noi dovevamo uscire e tornare alle 9 di sera perché gli uffici... e io ero così tanto dispiaciuta per questo ragazzo: dicevo, guarda che disgrazia, oggi che è il suo compleanno mi ha preso la polizia!

D. Era questo il tuo pensiero? Allora eri innamorata!

L. Mi è piaciuto perché non sono mai stata trattata così bene, come i romeni sanno fare

D. I romeni lo sanno fare?

L. Sì, sanno trattare le donne. Sono da un'altra parte con la personalità un po' così, però tri senti donna.

D. Sei la prima donna che me lo dice, di solito dicono che sono violenti...

L. Non so altre, mio marito era così. io mi sentivo la più bella del mondo vicino a lui, figurati! E adesso non posso andare al suo compleanno?! Mi sono messa a piangere solo per questo (ride) ho chiesto a un poliziotto di fargli una telefonata, no? Ho chiamato e ho detto: "Luca scusami, sono al distretto di polizia, mi sa che mi riportano a casa!" E lui mi ha detto: "non ti preoccupare, vado in Moldavia se ce la farò e ti riporterò, tu non ti preoccupare!". E io, ancora di più mi son messa a piangere. Dicevo: "chissà, primo mio amore lo perdo. Ci conoscevamo già abbastanza, era già giorni che parlavamo insieme".

D. Quanto sei rimasta da Paola?

L. Tre settimane più o meno. A mezzogiorno in distretto hanno portato un sacchetto per pranzo. Io per rabbia mi sono seduta fuori, perché potevamo anche uscire nel cortile. Ho mangiato, e dopo che ho mangiato mi sono guardata intorno. Le donne piangevano, una era disperatissima.

D. Avevate smesso di ridere?

L. Sì, sì. A mezzogiorno sì. Era una situazione disperata. Un sacco di ragazze non potevano mangiare dall'emozione. Io mi sentivo tranquilla, anche se ero cosciente che mi mandavano a casa, non capivo questa sensazione. Visto che le ragazze lì, e le signore - perché c'erano un sacco di signore adulte, come mamma, dopo 50 anni - parlavano sempre di debiti, parlavano sempre dei loro mariti che sono rimasti fuori, perché noi dormivamo da Paola e c'erano dei mariti che sono rimasti fuori, si arrangiavano da soli.

D. Ah, erano con loro?

L. Sì, erano tante famiglie così, marito e moglie. Erano preoccupate: mio marito non sa neanche che sono qua, devo telefonargli! E io gli ho proposto: non mangiamo, facciamo ... come si chiama la...

D. sciopero della fame?

L. Sciopero della fame! Ma dopo che ho mangiato io mi è venuto in testa! (ride) Tutte povere! Dopo mi mordeva un po' la coscienza... guarda io ho mangiato e loro tutte con le sacchette in mezzo e pensavo: guarda che scema che sono, io ho mangiato bene e poi... (ride). Poi siamo rimaste fino alle 9, 9 e mezza così... io non mi davo pace. Entravo dentro e uscivo dal cortile... Entravo dentro e uscivo dal cortile... a un certo punto si è sentito che è arrivato l'autobus. È successo... cioè... è diventato una tensione così alta tra noi, tra le donne, che una si è alzata anche e ha cominciato anche a picchiare un poliziotto. Ci hanno circondato con i mitra. Avevano i caschi e il mitra. Il loro costume sarà, non credo che ci sparavano (ride). Chissà, magari potevano fare a meno di uscire quelle armi... quindi sono usciti tanti poliziotti ci hanno circondato e le donne hanno cominciato a piangere e a urlare... ma panico in crisi isterica che non ti dico. Io non potevo più restare là. Quindi un panico totale, io ho cominciato a essere un po' agitata, mi sono alzata da dove stavo io giù in cortile, sono andata dentro e sono andata in bagno. La mamma mi dice: "vuoi scappare via?" E io: "ma stai scherzando? Come faccio a scappare via?" E lei: "non no no, tu vuoi scappare via, ti conosco". Ma sinceramente non mi è venuto neanche in mente in quel momento, volevo andare in bagno e basta. La vedo, mamma viene dietro di me, io vado in bagno, dopo di che vedo delle scale: erano fatte di legno, come forse andavi su... delle scale normali ma di legno. E io per la curiosità, siccome erano tutti fuori, per la curiosità, per vedere le donne che fanno panico, nessun poliziotto era dentro, noi siamo saliti su e la prima porta che abbiamo visto siamo entrate. Quel corridoio se non sbaglio dovevano essere gli uffici, perché era fatto bene, con le porte di vetro un po' scurite, no? Un bagno molto pulito. E abbiamo pensato che quello doveva essere il piano di uffici. Siamo entrate in bagno, io con la mamma in una sola cabina. E io a voce alta stavo pensando: che facciamo? Stiamo chiuse qui dentro fino al mattino e poi usciamo e facciamo finta di niente? Ci riconoscono? Sì... magari facciamo una faccia diversa? No. Magari aspettiamo un'altra oretta e aspettiamo di notte? Va bene, vedremo come faremo, intanto aspettiamo qua finché va via l'autobus... ok (ride). Per due minuti siamo rimasti così. cominciavo già di soffocare, non perché mi mancava il respiro, ma per la tensione. Ho aperto la porta, vedo tre o quattro ragazze, come un fulmine sono entrate nel bagno e sono andate direttamente alla finestra. Non mi hanno neanche visto, dalla tensione. Hanno avuto stessa idea mia, praticamente. Le vedo che vanno dalla finestra e una ad una saltavano dalla finestra.

D. Era il primo piano?

L. Secondo o terzo! In giù c'erano dei tubi di gas sottili e si poteva mettere i piedi sui tubi e poi il piano più giù... e io: guarda che scema, guarda che idea. Poi ha toccato a me di scendere e la mamma pesava 108 chili... sì, tubi così, sottili, e la mamma da su: "Lilli ho paura!". E io: "guarda che c'è l'autobus giù! vai a casa? Ci vediamo non so quando?" E lei: "no!". La vedo, mi butta le scarpe e la vedo scendere. Siamo passate dopo qualche anno da là e la mamma ha detto: "se mi dai un miliardo di euro credo che non salterò più da là!" (ride) e quando ci siamo ritrovate in strada... una paura. Più o meno eravamo 8 ragazze. Io ero lucida, quelle là non si ricordano neanche di me, perché dopo ci siamo incontrate e loro non si ricordavano di avermi vista, che ero con loro. Una ragazza ha detto che non sa dove andare, non ha nessuno, ma io ho detto: "guarda se andiamo in gruppo saremo più facili da trovare, ci vedranno". Abbiamo cominciato a correre... non sapevo dove, non avevo idea dove mi trovavo, dov'è l'ufficio di polizia, non sapevo l'italiano non sapevo niente...Notte: undici di notte e noi siamo con la mamma in strada. Le strade così, alberi niente, tutto scoperto: e ho detto: dove vai a nasconderti? Bo! Allora mi è venuta l'idea di chiamare Luca. Lui non aveva il telefono, l'aveva il suo amico. Chiamo il suo amico e lui mi dice: "guarda che Luca è andato al distretto di polizia, voleva vederti, voleva... cioè, dirti almeno addio, non è a casa". E io che cosa faccio? E lui dice: "guarda, dimmi cove sei, veniamo a prenderti". Ma io gli dico non so dove sono, non c'era nessun cartellino. E lui: "va bene, quando saprai dove sei mi chiami e noi veniamo a prenderti". Le macchine di polizia ogni due o tre minuti passavano vicino a noi. Una paura! Mi sembravano che mi si alzano tutti i capelli e tutto il corpo, non potevo neanche parlare. E poi ho un'idea bellissima di nascondermi un una cabina telefonica, ché dappertutto è buio e lì è luce (ride) noi con la mamma stavamo nella cabina telefonica e poi ci siamo resi conto che solo qua era luce, che eravamo come dei... come si chiama quegli insetti che luccicano, come lucciole... intelligenti! Vabbé, usciamo. È da ridere perché in quel momento non puoi pensare dalla paura e tutto quanto. Era per noi una possibilità di restare, e non avevamo niente! Sapevamo che da Paola non potevamo tornare, i bagagli non li avevamo, non avevamo niente. Avevo solo pantaloncini, una borsetta piccolina con un rossetto, e la maglietta e basta! Non avevo più niente. Quindi ovviamente la tensione c'era. A un certo punto siamo arrivate a un campanile, vicino all'ospedale S. Antonio, adesso lo conosco ovviamente, ma in quel giorno là non sapevo dove mi trovo, e ho detto: dovrebbe sapere Alessandro dove mi trovo! Lo richiamo e dico: "guarda adesso potrei dirti dove sono, ho visto anche il cartellino col nome della strada. Guarda ho una chiesetta in mezzo la strada". E lui: "guarda ci sono un sacco di chiesette in mezzo alla strada! Dove sei? Come si chiama il nome della strada?". Io guardo il cartellino, le lettere così, ballavano e ho detto: "mamma per favore dimmi che strada è!". E lei: "non ci vedo!". Stava anche lei vicino al cartellino e non ci vedeva! Dall'emozione non vedevo come si chiama la strada. Oddio! Vabbé ti richiamo dopo. Butto giù il telefono, abbiamo cominciato a correre e come Dio, davanti a noi, è apparso il prato della Valle che è l'unico posto che conoscevo, che mi portava sempre Luca. Lo richiamo: "Alessandro sono in Prato della Valle!". E lui: "finalmente! È da mezz'ora che girate!" (ride). Ci ha portato dove stavano loro in affitto, abbiamo dormito con la mamma in cucina perché avevano un divano. Il secondo giorno è sceso il proprietario sapeva che c'è qualcuno perché loro hanno detto già che noi verremo a dormire una notte, è sceso con il giornale in mano, mi ha riconosciuto! Ha preso Luca da parte e ha detto: "io queste ragazze non le voglio vedere qua". Mi ha riconosciuto dalla foto! Mamma mia! Dove vado a dormire? Oh Dio! Luca con un suo amico mi ha detto: "guarda non vi preoccupate, andremo da un prete che lui aiuta molto le persone come noi e magari vi da una mano, no?". Siamo andati là, l'abbiamo trovato e l'amico di Luca parlava molto bene l'italiano e gli ha spiegato molto bene la situazione e lui ha detto: "guarda, tornate stasera, magari vi posso aiutare con qualcosa". Noi siamo andati di nuovo in cucina popolare e per fortuna siamo entrati quando non c'era più che sono stati i poliziotti a cercarci, perché hanno trovato quasi tutte le ragazze e noi due non ci hanno trovato... più. Il giornale era sul tavolo in cucina popolare e tutti mi hanno riconosciuto: "sei te questa nel giornale! Guarda se te!". Perché un boom è successo: noi andavamo tutte e cento a mangiare là e di colpo non c'eravamo più. Hai capito? Sapevano tutti di quella cosa. E vedo la mia foto là, non avevo neanche la forza di guardarmi. Ero negli stessi vestiti della sera prima quando mi hanno preso... figurati non mi riconoscevano. Alla sera siamo tornati dal prete, non l'abbiamo trovato. Abbiamo aspettato fino alle dieci di sera io Luca e la mamma non arrivava e Luca mi ha detto: "guarda io non so cosa fare, in mia casa non vi posso portare, non ho più nessun posto dove potremo dormire". Camminando così lui mi dice: "guarda che c'è un cimitero di macchine abbandonate". Giravano tutti colori: di drogati, di... ah che paura mamma mia! Alla fine siamo usciti con delle facce schiacciate in tutte le direzione e degli occhi cipolla... siamo andati in cucina popolare a mangiare a mezzogiorno e come Dio ci è apparso questo prete con una faccia così dispiaciuta: "guarda vi ho pensato tutta la notte. Dove siete state? Dove avete dormito?". E noi ci guardavamo... meglio non chiederci. Ci ha preso e ...

D. Magari dovrà chiederti di rivederci un'altra volta, siamo solo all'inizio della storia e devo chiederti un sacco di cose...

L. Questa è la prima parte, poi viene la seconda parte, la più interessante. Di quando ero incinta e venivo a pedi qua. Tanto volevo fare un libro su questa cosa, ma non trovavo persone giuste a chi raccontare.

Questa cosa che siamo scappati dalla polizia è stato un disastro con tutti. So che una ragazza lavorava da un poliziotto in casa e ha detto che due persone sono state licenziate perché ci hanno fatto scappare (ride forte), si parlava dappertutto, tutti quanti sapevano in Padova, si ricordano tanti del 99 quando 80 persone sono state mandate a casa. Eravamo star del momento, non era mai successo fino a quel tempo, eravamo prime di fare ciliegine sulla torta in tutti i punti di vista. Quindi ecco...

Questo prete aveva un appartamento lasciato da una famiglia che si sono spostati a sud o non so e hanno lasciato al prete l'appartamento. Lui ci ha dato le chiavi, ci ha dato un carrello pieno da mangiare, ci ha dato dei vestiti e ci ha promesso anche che ci troverà un lavoro. guarda, io non so, non credevo che ci sono ancora persone così. lo sapevo che i preti sono molto per aiutare le persone in questi momenti, ci ha capiti. Vecchio come era è venuto in cucina popolare a Padova in centro per trovarci, che non c'entrava niente, la sua chiesa era dall'altra parte di Padova. La mamma ha trovato subito lavoro, per la mamma etra più facile: in qualche giorno, massimo una settimana, lei aveva un lavoro

D. Tutto a nero ovviamente

L. si, a quel tempo se non sbaglio non erano dei leggi ancora... Nel frattempo noi parlavamo a casa, no? E dicevano che in Moldavia stava andando molto male. Io essendo ancora bambina, senza esperienze di vita non sapevo come si vive in una famiglia, avevo poche preoccupazioni, allora. Papà d'altra parte mi diceva: "guardate che qua succede un casino, stanno perdendo tutti quanti il lavoro". A parte che la politica non so, è complicata là, devi fare una storia intera. E allora noi abbiamo deciso di andare avanti per aiutare anche a casa. La mamma ha cominciato a lavorare come ho detto. Noi con Luca, che alla fine è diventato mio marito, ci vedevamo spesso. Dopo neanche due settimane son venuti in quella casa dei rumeni cattolici. Noi eravamo ortodossi. Cattolici che frequentavano la chiesa dove ... da quel prete che ci ha aiutati. E il prete ha aiutato anche loro e li ha mandati sempre in quella casa dove stavo io. E loro erano in tantissimi; sorelle, fratello, cognato, sono venuti in 8, non so. E io praticamente ho occupato una stanza intera con un'altra ragazza e quelli là si lamentavano che non avevano dove dormire. Quell'appartamento a quanto ho capito io era stato riservato apposta per loro e quando mi hanno trovato là hanno fatto un po' di storie.

D. Tua mamma viveva nella casa dove era badante?

L. Si

D. E che casa era? Chi accudiva?

L. Una vecchietta e si trovava anche molto bene. Quindi io ho cominciato a cercare il lavoro, Luca mi aiutava parlava un po' l'italiano e qualcosina capiva e poteva esprimersi. Noi andavamo in giro a cercare e sempre uno di quelli là che viveva in quella casa, quei rumeni, mi ha detto che c'è una persona, una ventina o trentina di chilometri da Padova, non mi ricordo neanche il posto, cercava una donna in una fabbrica, di fare le porte in plastica. Pure mi davano dove stare, mangiare e tutto e io ero contenta. Invece di stare con questi qua che mi fanno solo storie, meglio che vado a lavorare. Quando sono arrivata là all'inizio mi sembrava tutto ok, ma dal secondo giorno hanno cominciato di svegliarmi alle sei e mezza. Mi davano un bicchiere d'acqua al mattino, con biscotti perché hanno detto che latte loro non bevono. A mezzogiorno mi davano un piattino di pasta, ma guarda neanche per una mosca, e alla sera non mangiavamo e finivamo il lavoro alle undici di sera. In due settimane sono dimagrita ero 48 chili. Adesso solo 73, si vede, no? (ride) Ti rendi conto? Era tanto duro il lavoro, mi sono bruciata le dita, però ho detto: vabbé, sto qua. Ma ogni sera quando andavamo a letto quei due si picchiavano. Erano marito e moglie italiani, mi ha fatto anche firmare una lettera che se viene qualcuno a controllare io non lavoro là. Non mi ricordo bene cosa era scritto perché non capivo niente di italiano. Ho detto: male non mi farà. Se lavoro bene...

L. C'era un altro rumeno che abitava là e lavorava sempre in quella fabbrica. Aveva una cameretta dove abitava. E io a casa con loro. Avevo la mia cameretta, però senza armadio, senza niente solo il letto e basta. La casa era praticamente vuota. Non mi lasciavano entrare nelle loro camere, non mi lasciavano fare niente né entrare da nessuna parte. La mia traiettoria era l'entrata, cucina, solo se mangiavano loro mi chiamavano, e la mia cameretta, e basta. Dalle sei di mattina si usciva, e fino alle undici di sera si lavorava. Un'oretta di pausa era, e così...

D. Quanto è durata questa vita?

L. Per due settimane perché nel frattempo Luca, noi avevamo parlato a telefono, no? E mi ha detto: guarda, non ti preoccupare, troverò io qualcosa... mi ha detto che stava cercando un posto come baby sitter e infatti dopo due settimane mi ha trovato come baby sitter con tre bambini, vitto e alloggio, vicino a Padova, non mi ricordo adesso come si chiama.

D. Com'era questa famiglia?

L. Molto buona, lui era dentista e lei lo aiutava, era come segretaria, faceva tutto, segretaria, assistente alla poltrona, lavoravano in due. Questi tre figli, uno era di 8 mesi e io dovevo badare a lui praticamente. Durante la scuola ci alzavamo tutti quanti alle sette e mezza, facevamo tutti insieme la colazione, poi tutti andavano a scuola, anche quel piccolo andava al nido, io aiutavo la signora che veniva a fare pulizie, l'aiutavo a fare le pulizie, e il pomeriggio io avevo libero due ore e dopo di che veniva il piccolo e io stavo con lui al parco altre due o tre ore. E la sera soltanto aiutavo la signora di mettere a posto i piatti e... non era un lavoro pesante, mi tenevano come una figlia, mi volevano tanto bene, mi trattavano molto bene. L'unica cosa è che non mi hanno messo in regola, anzi loro... anche perché io non avevo ancora i documenti, e loro volevano farmi il permesso di soggiorno e tutto quanto, ma non potevano... A proposito quello della plastica, quando Luca è venuto a prendermi, non mi ha pagato neanche un centesimo per quelle due settimane. Luca mi ha preso dal lavoro e lui non mi lasciava neanche fare una doccia. Sono venuta in camera mia e lui mi teneva aperta la porta per farmi uscire.

D. In famiglia quanto ti pagavano?

L. Un milione e duecento, se non sbaglio. Molto bene. Siamo stati anche in montagna con loro. Però sempre ero tesa, anche se loro si comportavano bene con me ero tesa perché...

D. La mamma secondo te era contenta di averti lì o era stressata di non potere stare lei coi bambini?

L. Guarda sono rimasta male un giorno quando siamo stati là in montagna e sai quelle funivia, siamo saliti tutti quanti in funivia, e il piccolo non è andato dalla sua mamma, ma ha cercato me. Io mi sono sentita male perché ho detto, sua mamma magari è gelosa oppure... e invece no, lei era molto contenta di questa cosa. Comunque lei gli dedicava moltissimo tempo a suo figlio. Cioè moltissimo... poteva secondo me anche molto di più, perché quando ero io lei non lavorava, stava a casa e mi aiutava con le pulizie, poi lei rimaneva a casa quando uscivo col bambino e non so cosa faceva, eravamo in due che pulivamo la casa... lo faceva per il lusso... per il lusso praticamente. Con tutti e tre anche, andavamo tutti e tre al parco, e lei era molto contenta quando vedeva che io organizzavo i giochi. Ero appena uscita dall'università pure io, no? E sapevo un sacco di giochi, un sacco di lavori a mano, che facevo con loro. Era contentissima. Quindi vedendo questo mi ha lasciato fare di più, no? Anche, secondo me, non dico che le mamme... però visto che so fare le cose allora lei mi lasciava fare.

D. Ho lavorato lì 8 mesi. Mi ha portato via Luca da là perché spesso per esempio mi prometteva che ti do libero... stammi la domenica e ti do libero il lunedì e queste cose qua... succedeva. Suo marito era sempre contrario, il dentista, però lei era sempre... per esempio, una festa loro e allora lei voleva che io gli tenessi i bambini e loro dovevano andare festa.

L. Suo padre non sopportava la presenza del piccolo. Lui aveva 67 anni. Non sopportava la sua presenza a cena. Lui voleva darmi la domenica libera, ma non sopportava la sua presenza, quindi era una cosa un po' assurda. Lei senza di me sarebbe stata sola, lui non faceva niente per i figli. Tutta la responsabilità era di lei. Lui andava la mattina presto e tornava la sera tardi, era soltanto poteva dare indicazioni, così non va, qua non va bene, qua non hai fatto bene. Perché i miei calzini hanno polvere? Solo lamentele. Se il bimbo piangeva al tavolo: portatemelo via da qua... solo queste cose qua. Lo ha voluto lei, lei aveva 33 anni e lui 65. 66, boh? E con tre figli poi... ma lei se la cavava abbastanza bene, avendo soldi, avendo me, avendo quell'altra signora, e poi come donna aveva un carattere, era ferma, aveva la parola in casa, anche col marito. Comunque era una famiglia colta. Si discuteva la sera, quando lui era più riposato, discutevamo della politica tutti insieme, scherzavamo, non mi tenevano mai da parte. Ti dico, l'unica erano i giorni, io per esempio mi organizzavo: ho libero il martedì, vado da Luca. Anche perché andavo in bicicletta ed erano 15 km all'andata e 15 al ritorno. Gli dicevo: "Luca guarda prenditi libero quel giorno perché io vengo". E lei la mattina, oppure la sera tardi mi diceva: "guarda, resta, perché abbiamo bisogno".

E io mi mettevo a piangere anche perché ero stressata, sola, senza amici, non avevo l'occasione di parlare con nessuno, l'italiano non sapevo bene, non avevo neanche dove uscire perché erano tutte villette, dove vai? Avevo paura anche della mia ombra. Anche se avevo quelle due ore libere non è che uscivo. Dove andavo? Mi mettevo lì a dormire, ecco cosa facevo. Ero sempre tesa, avevo para di dire una parola sbagliata e non al posto suo, di toccare qualcosa che non dovrei, di notte non potevo scendere perché io dormivo in mansarda e quando scendevo sulle scale si sentiva anche dal piano terra che scendo quelle scalette. Ogni tanto mi trattenevo per non svegliare i bambini o loro... mi trattenevo... non mi sentivo bene io... non mi sentivo a casa.

Mia mamma la vedevo una volta ogni due settimane, una volta a settimana, la vedevo sì. Ma lei stava bene perché poteva uscire. Era al centro di Padova, praticamente vicino a Prato della Valle e usciva sempre, si incontrava con le sue amiche perché erano tante dal nostro paese.

D. Riuscivate a mandare molti soldi a casa?

L. Io per esempio quello che sono riuscita a fare coi miei soldi era soltanto i debiti che avevo. In quegli otto mesi mi sa che ho messo da parte soltanto due mesi di lavoro e basta. Dopo di che Luca ha detto che non possiamo...

Ultimamente io piangevo spesso. Non ce la facevo più rinchiusa 24 ore su 24. Non sentire... non avere il tuo parere, non avere la tua libertà, non avere niente di tuo. Anche se mi trattavano bene, mi sentivo come in galera. È dura, dura, tanto dura. Io non capisco neanche adesso come fanno le persone a stare anni interi, non riesco a capire. Io andavo fuori di testa, anche adesso mi viene da piangere quando...(piange)

D. Mi racconti questa storia come se fosse più triste della prigione in Grecia. Quando mi hai parlato di quelle cose non ti veniva da piangere...

L. No. Perché per me era come un'avventura (Piange). Sono diventata tanto sensibile. Sai perché? anche perché in Grecia io non ho avuto tempo di soffrire. Guarda che scema che sono, eppure sono passati 12 anni, figurati...

D. Ma cosa è la cosa che ti fa piangere? La cosa che ti mancava di più?

L. Guarda, non so, può darsi anche tutto quello che è successo e non soltanto quello. Perché sai... raccontando mi ricordo come un film, mi ricordo tutto. Quindi... io dico, in questi otto mesi non mi sono mai sentita felice, dovevo sorridere, il mio carattere è così, devo sorridere, e lì non potevi essere con il muso. Di cosa potevo lamentarmi? Da mangiare ce l'avevo, il letto ce l'avevo, il lavoro ce l'avevo, i soldi mi davano. di cosa potevo lamentarmi? Non potevano capire. Anche quando veniva qualcuno da loro e mi presentavano, cercavano di sentirmi come un loro familiare. Questa ragazza è come nostra figlia, così dicevano. Abbiamo anche un'altra bambina, perché ero sempre allegra. Facevamo anche a cuscinate coi piccoli, figurati!, ma mi sentivo come un animaletto nella gabbia, sai come quelli dell'Australia che si vedono poco qua in giro. Così mi sentivo e così mi guardavano. Non mi sentivo libera, non mi sentivo a mio agio. Mi veniva da mettermi sottoterra, mi immaginavo che qualcuno mi prenda dai capelli e mi porta via lontano.

E ti dico, Luca sentendomi ogni volta che io piango, allora mi ha detto;: guarda, hai messo due stipendi da parte, andremo in Romani e ti faccio... perché è arrivata la legge del permesso di soggiorno, e Luca aveva ricevuto il permesso di soggiorno, e allora ha detto; andiamo a sposarci così avrai anche tu il permesso... era il '99, la sanatoria, o '98, non so bene. Luca ha preso nel '99 il permesso, ma non so quando ha presentato i documenti, e io a febbraio sono andata via da loro.

Abbiamo pianto tutti, loro e io. Io perché mi dispiaceva, non era colpa loro e capivo che queste persone mi volevano bene, però non ce la facevo più. Avevo nostalgia del mio lavoro, di casa, di papà.

La famiglia era delusa. Non mi hanno più parlato da allora. Anche se io volevo spiegargli, però... magari lei si sentiva molto sicura con me, molto più libera, poteva fare le sue cose tranquillamente e quando sono andata via le è crollato il mondo addosso. La capivo benissimo, ma non ce la facevo più.

Io da casa avevo sentito: guarda è molto difficile lavorare in una famiglia anche se ti vogliono bene. Io non è che non credevo: credevo. Sapevo. Però non ho mai... quando ho sentito sulla mia pelle, ho detto: a quelle persone che stanno rinchiuse così serve un monumento. Io farei un monumento per le badanti.

Siamo andati in Romania a sposarci. Siamo stati a casa e io sono rimasta incinta. Lui è rumeno, siamo andati prima da lui. Dopo lui è rimasto a casa e io sono andata in Moldavia. Lui doveva mandarmi il nulla osta e tutti questi documenti per farmi tornare indietro. Lui aveva il contratto di casa e sai, per tutti questi documenti bisogna avere la casa, un lavoro...

Papà era insieme con mio fratello, lo aiutava comunque molto, perché mio fratello ha portato una sua fidanzata a casa. Però mi è sembrato molto invecchiato dopo 8 mesi, tanto nervoso, faceva fatica a organizzarsi, anche perché la mamma faceva tutto a casa, ma non ha mai detto: quando tornate, o... cioè... non so... comunque era tanto triste, non era come lo conoscevo io... non veniva in Italia perché lui era molto legato al suo lavoro, lui era un medico, e qua cosa faceva un medico rumeno? Aveva quasi 50 anni, cosa faceva lui qua? Cominciava a fare i muri? A 50 anni? Ne valeva la pena? E lui era il primario, e non poteva venire. Non insisteva con la mamma perché tornasse, perché erano cominciati dei brutti periodi, erano dei bruttissimi periodi, servivano i soldi anche per mettere in piedi per mio fratello. Mio fratello è ingegnere e non aveva lavoro... lui faceva i computer e in Moldavia dove di fanno i computer? Cioè... aveva studiato a casa, in Moldavia, ma era a livello europeo, i suoi lavori li hanno comprati i canadesi... mio fratello aveva in quel momento 24 anni e la mia mamma doveva stare via anche per lui. Lei voleva per me, per l'appartamento, ma quando mi sono messa insieme con Luca i soldi li mandava a casa e li metteva da parte perché la nostra cosa non era vecchia, ma cadeva sempre qualcosa, era una casa fai da te! I soldi non bastano mai... allora ti dico, Luca è tornato in Italia, dopo 5 mesi, io ero già incinta di 5 mesi, lui mi chiama e mi dice: guarda che io ho perso la casa, ho perso tutti i soldi, non posso farti i documenti per tornare!

Io quando ho sentito ho detto: mio marito è in Italia, io da sola qua senza un soldo! Aveva perso il lavoro, la casa, tutto, non aveva niente e io ero di là incinta. Sono caduta in una disperazione che non ti dico. Ho chiesto a mio papà di aiutarmi. Lui ha trovato uno che lavora con italiani e quello là mi ha fatto una lettera raccomandata per tipo come venire qua nella firma italiana per portarla dall'ambasciatore, per il visto per farmi venire qua. Ma l'ambasciata in quel tempo era in Ungheria, non ne avevamo in Moldavia. Quindi dovevamo attraversare Romania e andare in Ungheria in ambasciata per il visto per l'Italia. Io sono andata all'ambasciata con mio fratello, incinta. Coi mezzi pubblici. E l'ambasciatore mi ha rifiutato. Prima mi ha visto col pancione... questo era logico... però ha detto che io dovevo avere il biglietto di aereo andata e ritorno, le camere di albergo pagate, e solo in questo caso si potrebbe fare. E io disperata... in quell'epoca tutti quanti andavano a piedi... perché non era possibile fare il visto per l'Italia...ognuno andava come poteva andare. Nei secchi di immondizia... andavano come potevano (ride). E io ho detto a mio fratello: non mi interessa, prenditi i bagagli, torna indietro, io vado da sola. Ero consapevole: non volevo partorire in Moldavia. Se io partorisco il bambino in Italia non ci vado più. Ma io senza mio marito non volevo starci. Ho pensato; stare in Moldavia, morire di fame. La mamma non può mantenerci tutti quanti... papà non se ne parlava neanche perché lo stipendio era di 20 euro e le spese erano di 200. Era il gas, era la luce. Non ce la facevano. E anche il mangiare; il mangiare era più caro di qua, no ce la facevamo. Non era possibile vivere. E ho detto: no, vado. A piedi! (e ride).

Solo io e mio fratello potevamo... ma mio fratello diceva: "sei matta?! Vuoi partorire qua? Vuoi farlo ungherese?". Lui non sopportava gli ungheresi perché erano cattivissimi! E allora noi abbiamo preso la mappa, abbiamo preso i materassini sai di quelli sottili per il viaggio? Sergio, andiamo! Non mi interessa niente io a casa non ci torno più!

Ha chiamato la sua fidanzata e ha detto: "guarda che la mia sorella è diventata matta. Sta partendo da sola, come faccio a lasciarla?". E lei ha detto: "va bene. Abbi cura di lei".

Io ero impazzita, non ti rendi conto... siamo stati una settimana in Ungheria per chiedere il visto all'ambasciatore, lui aveva già allergia, solo quando mi vedeva da lontano sbuffava. Alla fine mi veniva da dire: guarda che ho il marito là, devo andare! Però questo non è che lo riscaldava tanto... quindi ho detto; basta! Parto da sola, non mi interessa! Mi son presa la mappa... guardavamo i punti da dove prendere i trenini, i pullman, e dove si passa a piedi. Perché abbiamo sentito che si passa a piedi la dogana e poi si prende di nuovo il pullman e così abbiamo pensato noi di fare... abbiamo detto: rischiamo? E che dobbiamo fare? E poi quello che sarà, sarà! Questo era a luglio. Luglio. Siamo partiti e a un certo punto siamo arrivati a dei paesini piccoli con dei trenini che sembravano giocattoli, quando siamo saliti mi sembrava di andare in carro, di quelli sai sulla terra da campagna, mi faceva andare tutta così, su e giù e io dovevo tenermi con le mani (ride) dopo di ché noi pensavamo che la dogana tra Ungheria e Austria è come da noi: da noi c'è il filo spinato e pensavamo che anche qua è così, ma chi lo sapeva! Noi da due generazioni non siamo usciti dall'Unione sovietica, non ci lasciavano! Noi quando vedevamo i bagni con i pulsanti dicevamo: mamma mia! Sai come le scimmie... ecco! Stupiti no, perché con internet mio fratello sapeva tutto, ma teoricamente! Allora... mancavano ancora una ventina di km fino alla dogana e noi come sai siamo usciti sulla strada come i pidocchi sulla fronte, camminavamo. Dicevamo: eeeeh mancano ancora 20 km! A 5 km quando arriverà il filo spinato allora entreremo nel bosco, intanto camminiamo sulla strada no? (ride).

Ed è arrivata una macchina di frontiera. Hanno iniziato a farci un sacco di domande, noi non capivamo niente. Ci hanno portato uno che sapeva rumeno e traduceva. Era la polizia di frontiera dell'Ungheria. Ci hanno cominciato a fare un sacco di domande e noi dicevamo che abbiamo sbagliato la strada. Dove andate? Mah, stiamo camminando così... e hanno controllato nello zainetto, hanno trovato la lettera di Luca che mi stava aspettando, che voleva che io... che lui faceva tutto il possibile per farmi venire, e così via, e hanno capito subito che cosa abbiamo in mente. E chi hanno rinchiusi.

Ci hanno portato via, all'inizio stavamo tranquillissimi, finché ci hanno fatto il rapporto, finché ci hanno preso le impronte digitali e le foro, eravamo tranquillissimi. Dicevo: è normale che è successo così. nella mia testa dicevo: magari, chissà, in strada cosa poteva succeder, no? E io... allora mi son tranquillizzata in un certo senso. Ma a un certo punto loro ci hanno portati in un edificio. Siamo saliti sulle scale e davanti a noi era una porta... il corridoio era lungo e c'era una porta... come un cancello di ferro. Al di fuori del cancello era un poliziotto che guardava... come si chiama, una guardia... dall'altra parte del cancelletto un sacco di facce da su fino a giù... tutti con le barbe. Mi sembravano così brutti... era praticamente un corridoio chiuso con qualche camera, chiuso con quel cancelletto. Erano tutti uomini. Quella guardia si è alzata dal tavolo e mi ha spinto dentro a quel corridoio. Ho cercato di resistere, ero con mio fratello ma non volevo andarci, sono entrata in panico quando ho visto quelle facce... sai come nei film... quelli rinchiusi che hanno facce tipo da "ti ammazzo" come dire... mi è sembrato così in quel momento. Mi hanno spinto dentro, hanno chiuso il cancello e io ho cominciato a urlare... panico totale. E mio fratello non l'ho mai visto in quella condizione. Era tutto come ghiaccio. Io almeno ho avuto una reazione: ho pianto. Lui niente, non poteva neanche reagire. Quei prigionieri là mi dicevano: guarda, puoi andare, non so cosa mi dicevano, mi facevano vedere dove andare, dove entrare e io niente, io ho detto: guarda dormo qua nel corridoio, perché anche il letto era senza materassi e senza niente. Però urlavo, cioè piangevo con il panico (ride e me lo fa sentire anche se in sordina). Mio fratello mi ricordo non poteva neanche consolarmi: è rimasto vicino a me ma attaccato, così, era lui forse che cercava la protezione, no io. Adesso mi ricordo, ma in quel momento non pensavo. A un certo punto è venuto uno da me, con una voce, così, ha cominciato a chiedermi in tante lingue. Mi ha chiesto in inglese, dopo mi ha chiesto in francese. Dopo mi ha chiesto in rumeno, ma io piangevo. Dopo mi ha chiesto i russo e allora ho alzato gli occhi e ho detto: non si ferma più questo... cambiava le lingue, sai... e io gli ho fatto segno che capisco, e dopo lui ha cominciato a parlarmi in russo e mi ha detto che non devo preoccuparmi: qui tutte le persone sono esattamente come te. Mi ha detto: è vero che tu volevi attraversare la dogana? Ho detto sì'. E allora tutti noi siamo uguali: guarda, quello è da Afghanistan, quello è da Leningrad, guarda quello da San Pietroburgo, guarda quello è da là, guarda quello è dell'altra parte. Non pensare che noi siamo presi qui perché abbiamo fatto male a qualcuno. Io ho cominciato a calmarmi e lui mi ha detto: guarda: questo per esempio è un avvocato, quello era un insegnante... quell'altro era un farmacista...

Io li guardavo e quando ho cominciato a guardare più attentamente le facce mi sono resa conto che non è quello che ho visto all'entrata... può darsi lo spavento, sai... però adesso tutti erano con un sorriso, tutti, come dire, si vedevano nelle loro facce che sono tanto sofferenti. Per esempio uno ha detto che ha avuto un sacco di problemi con la mafia ucraina che lui non so che cosa ha scoperto e quelli là lo cercavano per ucciderlo e avevano già ucciso o sua madre o suo padre, non mi ricordo bene, e lo minacciavano sempre. E lui era fuggito da là per chiedere asilo politico, ma era già da un anno dentro quel centro ad aspettare... avevano degli occhi tristissimi, mi ricorso anche adesso...

Sono rimasta lì dentro una settimana. Ero incinta e mangiavo soltanto delle schifezze con così tanto pepe, piccante... loro mangiano tanto piccante, anche dopo tutto ti brucia. Mi davano questo mangiare piccante... ma gli altri prigionieri mi trattavano molto bene

Ti dico: all'inizio, a noi ci hanno messi dentro alle nove del mattino, più o meno, e fino alla sera io sono rimasta in corridoio....

La maggior parte di loro sapeva o il russo o il rumeno o un po' di francese, comunque ci capivamo, qualcuno traduceva... parlavamo tra di noi tranquillamente, nel senso... ho conosciuto quasi tutte le storie. E purtroppo era soltanto due stanze: una era con due matti che stavano già da un bel po'. Ma matti malati, non so come mai si trovavano là, non mi sono mai chiesta: hanno detto che stanno là e facevano... erano ungheresi comunque. L'altra camera era grandissima, dove dormivano tutti e 15 i machi coi letti uno vicino all'altro. E basta non c'era più niente, due camere soltanto. Era un bagno solo, da parte, ma aveva 3 o 4 docce. Faceva schifo, faceva tutto schifo, e io ero l'unica donna, anche se dopo qualche giorno sono venute altre, ma erano prostitute. Quei ragazzi là mi hanno detto: o dormi in corridoio, o dormi con quei pazzi, o dormi qua con noi: ti diamo un letto e anche se siamo maschi tu stai tranquilla che non ti facciamo niente. Mi hanno parlato in modo convincente, mi hanno convinto che stare là è meglio che... guarda ogni sera a una certa ora, non mi ricordo più, verso le 8, uscivano tutti quanti, chiudevano la porta, anche se la porta non si chiudeva a chiave, chiudevano la porta e stava uno all'uscita dall'altra parte. E io mi lavavo, mi cambiavo, tutto. E alla mattina la stessa cosa, tutti uscivano e io non dovevo dire neanche una parola: si alzavano tutti 15 muniti prima di me e quando io mi svegliavo non c'era nessuno, tutti uscivano. Io mi sentivo una regina. E lì c'erano ragazzi che stavano più mesi, e ogni settimana tanti di loro uscivano a far la spesa, li lasciavano uscire, avevano il permesso di uscire, una volta a settimana e tornavano a dormire. Ogni giorno usciva uno, in giorni diversi. Tornavano perché la maggior parte volevano asilo. Ogni giorno io avevo qualcosina: o i biscotti o il latte... ogni giorno quello che usciva mi portava qualcosa.

Questo qua che sapeva sette lingue ...

Abbiamo avuto l'udienza in tribunale e mi hanno dato a me e mio fratello un anno di espulsione dall'Ungheria, e mi hanno dato questa sentenza e sono rimasta un altro giorno perché dovevano organizzare l'autobus per mandarci in Romania, perché dovevano lasciarci in Romania. E quella notte nessuno ha dormito perché studiavamo sulla mappa, i ragazzi avevano la mappa, come fare per andare a piedi e rifare e non sbagliare la seconda volta (ride) non so se ce la farei un'altra volta, ero giovane... tutti erano lì che studiavano per me e mio fratello. Sapevano che volevo andare in Italia, io avevo spiegato che se restavo a partorire in Moldavia o non potevo più uscire da là e non volevo più la vita dei miei figli come la mia... nel senso: ho studiato e ho fatto l'università e lavoravo quasi gratis! Volevo farli uscire e studiare per aprire un po' le porte! Magari in futuro potevano tornare! E tutti erano d'accordo... abbiamo studiato un piano: mi hanno preso il passaporto e hanno detto: guarda che se la seconda volta ti prendono non dargli il passaporto! Va bene, e noi abbiamo lasciato il passaporto da loro. Hanno detto che quando avrò bisogno loro mi mandano, il mio e anche quello di mio fratello. Abbiamo preso la mappa con i segni dove passare. Mi hanno disegnato tutto: ogni puntino dove andare come andare dove prendere il taxi da dove prendere il treno... ogni puntino... ogni... loro erano nella stessa situazione come la mia... ognuno con la sua... io non vedevo l'ora di andare via da là perché comunque mi sentivo rinchiusa, ero rinchiusa, no? Gli ungheresi sono un popolo molto freddo... e non sopportavo quelle persone ungheresi. Però mi dispiaceva lasciarli: ci siamo scambiati i numeri di telefono, e so che ho avuto anche un regalino, una collanina con un ciondolino da uno di loro. Ognuno voleva darmi qualcosa per ricordarsi di loro. Sono stati molto, molto gentili... non erano persone semplici, contadini, erano persone con le quali potevi parlare di qualsiasi cosa. La maggior parte erano colti. A parte che io ero unica donna e pure incinta. Ti rendi conto... ero la principessa rinchiusa nella torre per tutti loro (ride). Ovviamente abbracci, saluti, non ho pianto perché ero contenta di andare via, e ci conoscevamo solo da pochi giorni, ma questa esperienza mi ha... me li ricordo ancora.

Secondo giorno: la mattina, i bagagli in mano siamo saliti sull'autobus e ci hanno portato fino al confine, alla frontiera con la Romania e i rumeni ci hanno lasciato andare a piedi perché nel loro territorio non avevamo fatto niente di male e avevamo il diritto di stare là. E c'era un altro ragazzo moldavo con noi, più o meno dell'età di mio fratello. Anche lui voleva tornare con noi e fare di nuovo la strada perché in Italia c'era sua mamma e non poteva fare il visto e ha detto: ragazzi vengo anch'io con voi!

Abbiamo trovato una camerette vicino al confine in un albergo. Di nuovo, quasi tutta la sera abbiamo guardato la mappa. E come facciamo a passare. Abbiamo il passaporto sporco per un anno, e come facciamo ad attraversare? Quindi abbiamo dormito un po' di ore e verso le due di notte ci siamo alzati e siamo partiti a piedi. Volevamo attraversare il confine che era più o meno a un km e mezzo, due km dalla dogana. Noi abbiamo pensato di attraversare in Ungheria... c'erano cespugli e allora non vedevamo niente niente. Camminavamo così come... sentivamo soltanto sul viso o nelle gambe l'erba oppure quei cespugli là che ogni tanto ti facevano male. Mio fratello mi teneva la mano e quel ragazzo là andava avanti, lui era quello che tagliava (ride). Avevamo paura di parlare a voce alta: pensavamo magari c'è qualcuno della dogana che passano sempre, o magari sentono. A un certo punto siamo arrivati a un tipo di erba ma puzzolente che non ti dico! Alta... erano due metri e qualcosa. Era sottile, però densa, tanto densa. E non si finiva più: andavamo, andavamo e non si finiva più! Quando siamo usciti da là mi ricordo che tutti i vestiti - anche se non si vedeva bene c'era un po' di luce dalla luna - io avevo blue jeans chiari ed ero tutta verde da quell'erba là! Si vedevano le macchie (ride) erano attaccate le fogli: mamma mia che schifo! E puzzavamo così tanto! E quando siamo usciti da là non potevo credere. Dopo mio fratello mi diceva che ha guardato sulla mappa e quel pezzo là era piccolissimo, neanche 5 metri, però lungo e noi abbiamo preso tutta la lunghezza! (ride). Era solo là e noi lì abbiamo attraversato! Se andavamo qualche metro a destra o a sinistra era molto più facile! Siamo arrivati dopo che abbiamo attraversato questo schifo in un campo di mais. Ma eravamo sfiniti! Ho detto a mio fratello: "non ce la faccio più! Io devo dormire". Abbiamo detto: ci fermiamo prima che salga il sole. Mancava poco. Ci siamo messi giù per terra sotto il mais e abbiamo dormito.

Ci siamo svegliati con un cane vicino che leccava i piedi al nostro amico. Quanto abbiamo riso! Perché vicino a noi era un paesino piccolo ungherese. So che noi da quello schifo là eravamo tutti bagnati dall'umidità della mattina. Per fortuna avevamo dei cambi e dovevamo assolutamente cambiarci perché quell'odore da quella erba uccideva e anche perché non eravamo per niente presentabili se uscivamo fuori da là.

Ci siamo cambiati, abbiamo attraversato quel campo là e siamo usciti su un paesino. Avevamo una sete da morire, mio fratello è entrato nella casa, anche se avevamo un po' di paura: magari ci denunciano! Ha chiesto un bicchiere di acqua. Loro hanno dato a tutti quanti acqua e poi siamo partiti, praticamente scappati. A un certo punto questo nostro amico, ogni volta diceva che vuole andare da una parte, o vuole andare in bagno, e spariva! È sparito... dopo un'ora e qualcosa non tornava più, noi lo abbiamo aspettato che lui è andato in bagno e non tornava più. Sai che paura?

Poi abbiamo visto delle indicazioni dove erano degli autobus, praticamente era una piccola stazione con più autobus e... chi credi che abbiamo visto? Il nostro amico che stava nell'autobus! Voleva andare senza di noi... io ero troppo lenta per lui. Chissà cosa ha pensato, era pericoloso... (ride).

Lo abbiamo visto nell'autobus e siamo saliti anche noi là: abbiamo chiesto: ehi amico dove vai? E lui ha detto: io per sbaglio vi avevo perso! E noi: va be dai...

Per qualche km siamo stati sullo stesso autobus, poi lui è sceso di nuovo, non mi ricordo ora esattamente ogni punto dove siamo scesi, ma so che noi dovevamo salire in un altro trenino che va da un paesino all'altro, trenini di quelli regionali, piccolini, e abbiamo trovato di nuovo a metà giornata il nostro amico nello stesso trenino (ride) non poteva sbarazzarsi di noi neanche morto! Noi ridevamo con mio fratello: guarda! Vuole essere più veloce ma ci incontra sempre! Voleva fare le strade più corte, non so cosa voleva fare, ma sempre ci incontravamo! Poi a un certo punto non lo abbiamo più visto.

Noi alla fine della giornata quasi siamo arrivati a un paesino non tanto lontano dal confine con l'Austria. Siamo arrivati dall'altra parte praticamente. Ci mancava ancora un bel pezzo di strada, però... non sapevamo dove dormire. Dormire di nuovo chissà dove, stava arrivando la pioggia... abbiamo trovato una stazione di autobus piccola, sembrava abbandonata, piccolina, con una panchina e ci siamo stesi su quella panchina per dormire. Lì era così sporco... ti dico, sembrava abbandonata, senza finestre, senza porta, senza niente. A un certo punto arriva uno ubriaco morto, appena si teneva sulle gambe, e pure con un coltello in mano. Urlava non so... sembrava che litigasse con qualcuno. Era già tutto arrabbiato... e poi un altro, ma correndo, entra un altro dietro di lui e cominciano a picchiarsi davanti a noi, questi due... noi che guardavamo... (ride) per mezz'oretta, forse anche di più, noi stavamo guardando questo spettacolo (ride) con le gambe sulla panchina, una paura che non ti dico... si stavano picchiando, picchiando e picchiano e alla fine si sono alzati quando non ce l'hanno più fatta. Alla fine uno se n'è andato via picchiando i pugni sui muri. E quell'altro si è alzato e ci ha guardato come se ci avesse appena visti, e se n'è andato via pure lui...

Questa cosa è durata quasi tutta la notte perché noi non abbiamo più dormito. Dovevamo già andare via, non potevamo restare là, quindi...

Io non mi ricordo quanto tempo, ma mi è sembrata un'eternità tutto questo spettacolo, non si finiva più

Mi porti la borsa per favore? Mi sa che mi chiamano i miei figli...

Dopo di che alla mattina noi abbiamo trovato un telefono per chiamare i ragazzi, perché ci eravamo messi d'accordo che hanno punto più importante li chiamavamo per fargli sapere dove eravamo così non stavano in pensiero. Li avevamo chiamati il giorno prima all'inizio della giornata, quando ci eravamo svegliati, e adesso al secondo giorno li abbiamo chiamati di nuovo e abbiamo detto: guarda siamo qua... era una città che apparteneva al confine, così ho capito io, che quelli della dogana vivono nel raggio di 10 o 30 km, quindi erano le cittadine di confine, e i ragazzi ci hanno detto che due di loro, di Afghanistan sono scappati via. Gli hanno dato il permesso e loro invece di tornare sono scappati via. Ci hanno detto di aspettarli in un punto e... ci siamo incontrati con loro! Loro volevano andare in Inghilterra o in Francia, non mi ricordo. Ci siamo incontrati più o meno a mezzogiorno e nel frattempo abbiamo camminato ancora un bel po'. Dovevamo incontrarci in una cittadina, mi ricordo che mio fratello parlava francese e anche quelli dell'Afghanistan parlavano francese e i tassisti ci avevano detto che ci portano in un punto vicino al confine e noi ci siamo fidati praticamente! E quando sono arrivati quelli di Afghanistan sono venuti insieme con taxi. Noi siamo saliti sul taxi e funzionava così praticamente ...avevo sentito anche a casa: ci sono i tassisti ungheresi che tu li paghi e loro ti portano il più vicino possibile al confine, perché sanno benissimo le strade, sanno dove ci sono o non ci sono le guardie, sanno gli orari più o meno, e tanti hanno detto che ce l'hanno fatta così, e abbiamo provato anche noi. Questi qua hanno detto che c'era un tassista che era disposto ad aiutare. Avendo la mappa noi vedevamo dove va... e il tassista ha preso la strada di una cittadina che era sul confine, praticamente a qualche decina di metri dal confine che era sulla mappa, ti immagini come no? L'ultima cittadina sul confine, piccolina, con pochissime case. Mi sa che erano tutti quanti dei militari, secondo me... e sulla mappa quella cittadina non c'era. Abbiamo detto ci porta troppo vicino! Quando ho visto le casse ho detto: questo qua ci ha portato nelle mani degli ungheresi di nuovo! E ho detto a mio fratello: "scendiamo qua perché quello ci porta nella cittadina... si vedeva da lontano". E lui diceva: "no, lui sa dove ci porta!". Io insistevo, mi ha preso il panico, e le mie intuizioni da donna si sono avverate. Quello là ci ha portato proprio in centro della cittadina. Siamo scesi dal taxi e come le galline rimbambite non sapevamo dove andare... neanche cinque minuti è venuta la macchinetta e ci ha preso di nuovo... (ride) O Io! Che stupida mossa abbiamo fatto! Mamma mia! Mi veniva da ammazzarli quelli due Afghani, non hai idea! Io insisteva in macchina lo dicevo a mio fratello e a quelli e loro: no, no che lo conosciamo!

Ed è stato così come ho detto io.

Quindi ci hanno portato di nuovo. Noi eravamo senza documenti, senza niente... e ci hanno portato in un'altra parte, non era lo stesso centro di accoglienza, era un altro molto grande, con due o tre edifici. Lì era solo uno, non era grande, ma qua erano due o tre... e pure avevamo il giardino... che onore! (ride)

Uno schifo di centro di accoglienza che non ti dico... pensavo: se sapevo! Ormai basta! Non ho più pianto, sapevo cosa mi aspetta, non vedevo l'ora che mi mandassero a casa di nuovo e così, ho detto, vado in Moldavia e poi non lo so... vedremo! Nel frattempo avevo chiamato anche in Italia mio marito e lui mi urlava al telefono: non partire, perché può succedere qualcosa con il bambino! Quando andavamo a piedi ogni tanto lo chiamavo. Ma io non mi fidavo più di lui che mi faceva i documenti perché ha perso il lavoro, dopo ha fatto un prestito in banca di 1500 euro e li ha persi e anche quelle notizie a me hanno proprio fatto disperare. La casa non ce l'aveva più... cioè...

In quel centro di accoglienza non ho tante... so che era proprio da schifo, un sacco di prostitute che volevano attraversare l'Ungheria per venire in Italia e andare dove non lo so.

Tu non hai ide! Bambole... 16, 17 anni, 15 anni, ragazzine. Quando le guardavi ti sembrava che sono dalle riviste di bellezza. Così belle... ma quando aprivano la bocca di parlare, sembrava un cesso. Volgari che non ti dico. Non mancava nessuna... cioè, tutte le parole... una frase intera con tutte le parole tutte volgari oppure parolacce, e sapevano pure dove vanno, sapevano, anche se erano bambine loro sapevano dove vanno. Era anche la loro guida con loro, un uomo che le portava di là, in Italia. Comunque li hanno presi lì al confine e li hanno portati in questo centro. Erano rumene queste ragazze che sono state per forza portate a prostituirsi. Da quel momento ho detto che non è possibile non ribellarsi, non è possibile che una ragazza non può fare niente per se stessa. Quando le ho viste che loro sapevano dove vanno, e vanno lo stesso! Ero già convinta che la maggior parte delle ragazze vanno volentieri... nel senso... soldi facili! La maggior parte non sono costrette. Ok, ce ne sono, ma la maggior parte sanno dove vanno. Non è che è iniziata da adesso, ma è iniziata da quando hanno aperto i confini... 89, '90. Da quel tempo si sapeva che le ragazze sono portate a prostituirsi, per forza, e tuti questi trucchi li sano tutti. Però ci cascano ancora. Ci cascano e allora vogliono! Se uno dice: dai vieni con me che ti troverò un lavoro! devi essere stupido completamente di credere! Quanto ho visto io in quei giorni là ho detto: no... non esiste! La morale è al di sopra di tutto quanto, vabbé...

Qua io... mi hanno detto gli ungheresi che non avendo passaporto tu resterai qui a partorire. Quando ho sentito ho detto: No! Non ci posso credere! Mi ammazzo ma io non lo faccio ungherese manco morta! Ho chiamato i ragazzi e ho detto: ragazzi non me ne importa niente mandatemi il passaporto perché questi mi vogliono fare partorire qua!

E al secondo giorno i passaporti c'erano e in tre giorni ci hanno portato in Romania. Di nuovo...

Mi hanno fatto di nuovo l'udienza, mi hanno fatto di nuovo l'interdizione, stavolta per 5 anni. E ho detto: tanto non vorrei mai più passare di qua!

Il centro non era sporchissimo, ma ti davano da mangiare peggio dei cani. Stavolta io con mio fratello ci hanno dato una camera a parte, avevamo due letti: era da quattro posti, ma due erano liberi.

Così sono ritornata a casa in Moldavia. Due mesi è durato tutto questo: sono venuta a casa ed ero incinta di 7 mesi. Quando mi hanno visto gli zii... mamma mia! Gli zii mi hanno detto: sei pazza! Dove sei partita! (ride) da una parte mi capivano, figurati, c'è mio marito là, sono incinta, sto qua da sola! È ovvio che io come donna da sola non ce la farei mai, mi capivano, dove andavo da sola? Dai miei zii o da chi? Mio padre era molto tranquillo, nel senso... mi sosteneva, quando io gli ho raccontato tutto quanto si tratteneva dal pianto, perché lui voleva tanto che io arrivavo là. Ma non si era mai aspettato che io avessi avuto un coraggio così per partire... da sola incinta. È rimasto con la bocca aperta di... di quello che sono stata capace di fare, no? Perché lui diceva: non credo che ci sono tante persone così che si decidono in questa situazione di fare un gesto del genere, no?

A parte che ho sentito che tanti sono partiti, magari non incinta, ma sono venuti tanti clandestini, lo sai no?

E allora sono rimasta a casa e il mio gesto ha spinto mio marito di muoversi più velocemente. Nel senso che ha trovato la casa, è andato dall'assistente sociale, gli ha detto che io sto arrivando, e sono incinta, e lui vuole fare la domanda per la casa. L'assistente sociale lo ha aiutato. E tornato al lavoro dove lo ha lasciato, perché era di notte, è capriccioso, e anche quello aveva... io da una parte ho detto che lo capisco, ma... lui diceva che di giorno doveva cercare la casa e di notte andare a lavorare e ha perso il lavoro... non andava più! Lo hanno cacciato via perché non andava più! E gli dicevo: guarda che tu devi tenere il lavoro con i denti perché se tu non lavorerai io come faccio a crescere quel bambino? Avevamo un sacco di litigate così, e faceva sempre in modo di convincermi: non ce la faccio, devo trovare la casa... ha detto che ha perso 15000 euro nel Prato della Valle, ma non ci credo. Perché lui era un giocatore di macchinette e soltanto adesso ho capito che non le ha persi dalla tasca, ma li ha persi giocando d'azzardo.

E questa cosa lo ha spinto a correre più velocemente, nel senso, a svegliarsi. Ha trovato la casa con l'assistente sociale: gli ha dato una cameretta insieme con un'altra famiglia in un appartamento. È tornato al lavoro...

Era l'appartamento di qualcuno che lo ha dato allo Stato di usarlo. Erano due livelli, molto bello. Soggiorno con cucina e sopra erano le camere da letto. In una camera da letto era quell'altra famiglia e... nell'altra stavamo noi. Erano due piccoline, per una persona.

È lunga perché Luca è venuto ad aiutarmi a tornare. Ci hanno fatto scendere in Slovenia dal treno a mezzanotte. Io avevo il nulla osta, nel frattempo avevo cambiato anche in Moldavia il passaporto per averlo pulito, perché era tutto sporco! (ride) non era tutto computerizzato come adesso. Vedendomi incinta non hanno più controllato il computer. Hanno visto il passaporto pulito e mi hanno fatto passare. Ma se mi prendevano di nuovo stavo a vita là!

È lunga tanto anche questa... Luca di è anche picchiato con uno in Austria, a Vienna... vuoi che te la racconto?

Che dici, è importante per capire?

Eh... boh, magari sai potrei raccontarti così e poi se decidi che è bello lo scriviamo, sennò lasciamo stare e scriviamo quello che è più importante...

Lui mi ha mandato in Moldavia il nulla osta, e noi dovevamo andare di nuovo in Ungheria per il visto, perché l'ambasciata italiana lo sai che era in Ungheria... e io con Luca ci siamo incontrati in Ungheria. Lui mi è venuto incontro e lui quando sono venuta in treno ho conosciuto una rumena che abitava in Ungheria e mi ha lasciato il suo numero di telefono se avevo bisogno... e infatti ho avuto bisogno perché quando siamo stati dall'ambasciatore lui ha detto che ha bisogno di un documento da Romania e Luca mi ha lasciato da sola in Ungheria ed è andato in Romani a Bucarest... mi aveva trovato una cameretta da una vecchi e quella là a mezzanotte mi ha buttata fuori dalla camere. Penso che mi ha visto troppo incinta... ero di 8 mesi e qualcosa, mancavano tre settimane a partorire. Chissà cosa ha pensato! Io mi ero messa a letto e lei a mezzanotte mi ha mandato via. Io non avevo dove andare, sono andata alla stazione dei treni, con la valigia, piangevo come una deficiente e mi sono ricordata di questa Melinda si chiamava, come le mele... l'ho chiamata e le ho detto: guarda sono disperata non so dove andare sono sulla valigia nella stazione... lei è venuta da me e mi ha portata in un albergo. Sai che in Ungheria non capisci niente, neanche NO, non capisci niente niente, nessuna parola... figurati... inglese non sapevo... rumeno non sapeva nessuno a cui chiedevo... disperazione totale, e di notte poi! Luca è rimasto lì due giorni e poi quando è arrivato abbiamo risolto coi documenti. Abbiamo preso, ci hanno fatto il visto, abbiamo preso i biglietti per Venezia sul treno, ultimi soldi erano... eravamo così contenti: finalmente andiamo in treno! E quel treno andava verso .... Attraversava Croazia, Slovenia... quando siamo arrivati al confine di Slovenia per controllare i passaporti, sai? La dogana? Hanno visto che sono moldava e hanno detto: guarda che i moldavi non possono attraversare il paese, dovete scendere! Erano le due di notte. Mi ha detto: se mi dai 100 dollari allora passi, altrimenti no. Io avevo 10 dollari, se li avevo... solo questi? Non mi ha creduto. Mi ha fatto scendere. Ero disperata, ho cominciata a piangere, e mentre piangevo mi sono ricordata che piangevo esattamente come quando mi ha preso il panico nel centro. Ovvio, mi ha preso il panico! Allora dovevamo attraversare Romania, Austria e dopo Italia, non potevamo attraversare la Slovenia. Siamo saliti in un trenino in Romania, poi siamo entrati in Ungheria di nuovo ... comunque siamo arrivati in Austria, con quei pochi soldi che avevamo in Vienna, però da Vienna per prendere il treno fino a Italia so che costava un sacco di soldi e non ne avevamo. Abbiamo telefonato a mamma che ci mandasse tramite western Union e abbiamo incontrato anche un italiano, tanto bravo. noi stavamo là e siamo messi a parlare. Abbiamo detto: stiamo andando Italia ma aspettiamo i soldi che sono finiti. E lui così gentile, senza chiederlo, ci ha offerto dei panini con succo e anche caffè. E noi tanto contenti... era tanto gentile... era uno studente penso... non so.

La notte l'abbiamo passata con Luca nella stazione dei treni. Ci siamo messi su una panchina nella cameretta di vetro, era una sala d'attesa. Solo che la polizia ci ha chiesto come mai siamo qua, perché ci sono degli alberghi, e noi abbiamo detto: no, abbiamo il treno tra poco.

Poi quando siamo arrivati a Padova... tu non ti rendi conto di come mi sentivo! Una terra irraggiungibile per me era! Non mi sembrava vero! Ho tirato fuori la testa dal treno e ho detto: "Ciao Padova!". Urlavo come una pazza. Mio marito diceva: "smettila! Ti sentono!".

E lascia che mi sentano!

Sempre con la mia pancia sono venuta qua, e quando mi ricordavo che io facevo 30 km al giorno a piedi con il pancione... 30 km a piedi.

Quando ero in Moldavia cercavo il nome per mia figlia e non trovavo...

Io tra poco vado perché i miei bambini non mi hanno chiamata e sono un po' preoccupata.

Stavo cercando il nome per la figlia, e mi è venuto così... in Moldavia quando ero pensavo a un nome e per caso ho trovato in un giornale il nome Pamela... (non era Anderson) e ho pensato; guarda che bel nome, mi piacerebbe avere la figlia con questo nome. Poi ho dimenticato, è stato come un fulmine in testa.

Mio marito, quando siamo arrivati in Italia e facevamo le nostre passeggiate giornaliere, eravamo in una stradina che va verso Prato della Valle e mi dice: guarda che io ho pensato a un nome, ma non credo che ti piacerà, non è un nome normale. Gli dico: dai dimmelo, tanto anche a me è piaciuto uno che non credo piacerà anche a te. E ti rendi conto? Lui ha detto il nome Pamela. Sono rimasta sbalordita. Ho detto: No! Ma tu sai che anche io ho pensato questo nome, ma pensavo che non è possibile dare un nome Pamela a una bambina che... io da Moldavia, tu da Romania, nata a Italia... ma solo perché abbiamo pensato lo stesso nome è stato così ed è rimasta Pamela. Questa storia è bellissima, la racconto sempre a tutti. Pensavo; veramente c'è qualcosa di soprannaturale che ci unisce, c'è qualcosa che non possiamo spiegare. Non è possibile pensare allo stesso nome, per la stessa bambina, essendo lontani. Lui non mi credeva all'inizio...

Io fino a quel momento non avevo ancora deciso il nome, e quello è stato il momento in cui abbiamo deciso e dopo qualche giorno ho partorito. È stato dopo due settimane dall'arrivo.

Eppure è uscita veloce di qua... a mezzanotte mi hanno presa e all'una la Pamela già era fuori. Ti rendi conto in un'oretta, fuori! Travaglio e tutto!

E dopo di che è cominciata la vita dura, durissima! (ride) mamma mia! Dopo sì. Questa era facile perché ero sola, perché io non pensavo di proteggere me. E dopo è diventata durissima. Avendo sott protezione una famiglia non era più facile. Non cambierei la vita facile, preferisco la vita difficile ma che almeno c'è un senso alla vita, faccio per qualcuno, ha un senso quello che faccio. Ma mi sentivo un po' impotente, avendo la bambina io non ero in grado di lavorare, mio marito non lavorava perché aveva dei caprici: che qui lo offendono, che qui è così... avevamo delle litigate di quelle pazzesche.

Mi dispiaceva che non si sentiva responsabile di mantenerci. Io se fossi stata un capofamiglia mangerei sassi e carbone per poter portare qualcosa alla famiglia a casa e lui invece cercava i capricci: che quello non mi pagava bene che di notte non voglio andare perché voglio dormire con la mia famiglia... gli dicevo: "guarda, lascia un po' il tuo orgoglio...finché non troverai qualcosa di meglio stai così"!. Comunque, lasciamo stare... il suo repertorio è solo suo... piuttosto preferiva andare a rubare i pannolini che andare a umiliarsi per chiedere di prenderlo di nuovo a lavoro. io lo odiavo per questa cosa, perché so in che famiglia sono cresciuta e con quali valori e per me... non ho mai avuto amici che rubano, non avevo amici così, per me era umiliante questa cosa. E io ho detto: "guarda, non vorrei che un giorno venisse la polizia a casa mia e ti portassero via per due o tre pannolini...", e lui lo faceva lo stesso. Finché l'ho convinto ed è andato a chiedere scusa a quelli del lavoro e l'hanno preso. È andato con delle foto della bambina, con delle foto mie e quelli là, grazie a questo datore di lavoro perché era una persona veramente che ... e ha cominciato mio marito al lavoro, però comunque non ce la faceva con lo stipendio, ancora aveva lo stipendio piccolino e lo chiamavano soltanto quando c'era bisogno... io non avevo soldi... niente... non sapevo bene l'italiano, non avevo vestitini per la bambina, sono andata un giorno a un centro aiuto vita, sai questi, hai sentito no, penso? E mi hanno dato qualche vestitino di seconda mano, ma finiti, scoloriti, rovinati. Li ho cuciti, ho fatto quello che potevo fare. Ero contentissima perché avevo qualcosa da metterle. E per uscire fuori, meno male che era inverno, le mettevo una copertina sopra, per non far vedere che cosa ha addosso la bambina.

Dopo di che dovevo andare dopo un mese, sai al bilancio della salute? Non avevo cosa mettere alla bambina, mi vergognavo ad andare dal pediatra, pensavo: mi butterà fuori a calci! Ed è stata così comprensiva, mi ha detto: guarda, tu non ti devi vergognare, se hai bisogno, dimmi, perché anche noi, anche se io sono medico, ci cambiamo i vestitini, se una mia amica ha un bambino più grande me li passa, perché costano! E sai cosa ha fatto? Ha scritto un annuncio, non mi ricordo bene come l'ha scritto, tipo che una ragazza moldava ha bisogno di qualche vestitino e di qualche aiuto per la sua bambina e lo ha attaccato al suo ambulatorio, vicino alla sua segreteria... non mi aspettavo, sinceramente, Alessandra, mi hanno portato ... uno mi ha messo lì 50 mila lire... ricevevo buste con i soldi, sacchettini con i vestitini... ero così tanto in imbarazzo, ma anche felice... e anche adesso io ho un'amica italiana che l'ho conosciuta nel 2000 a quel tempo, e anche adesso lei mi aiuta! Ti rendi conto? Sono 12 anni che ci conosciamo. Lei ha chiesto il numero di telefono alla pediatra ed è venuta a casa mia con una macchina strapiena. Con lettino, passeggino, vestitini, giocattoli, libricini, piena! Aveva una bambina un po' più grande. Ha fatto una cameretta per la bambina... oh Dio, ti immagini queste cose?

È la mi amica Eli, viene da Montenegro.

Dopo di che ho trovato un lavoro anche per me, anche se la bambina era ancora... cosa aveva... sei mesi? La allattavo ancora. Ma io ero costretta ad andare a lavorare perché non ce la facevamo. Da mangiare, l'affitto dovevamo pagare. E con la famiglia di rumeni sempre ci rompeva le scatole che noi eravamo in ritardo con l'affitto, sempre qualcosa non gli andava bene, ci chiudeva il gas. Loro d'inverno avevano il sole tutto il giorno nella loro cameretta e si riscaldavano i muri, era caldo. Noi invece eravamo dalla parte opposta all'ombra. E noi dormivamo coi maglioni per non litigare con loro, perché loro chiudevano il gas perché costava tanto.

E io ho cominciato a lavorare a Mestre, venivo a Mestre, al Gazzettino, all'imballaggio, un servizio per il Gazzettino. Era un capannone di imballaggio dei giornali, dove si preparava per esempio per l'edicola, e spesso si lavorava di notte, perché si doveva preparare per la mattina per l'edicola. Facevamo i turni con mio marito: lui di giorno e io di notte e viceversa. Sabato ad esempio si lavorava 24 su 24. Lui veniva e io andavo, dipende come ci mettevamo d'accordo. Mi ricordo che io allattavo ancora, e dovevamo anche per due orette, prendere il baby setter per fare tenere la bambina, il tempo che davo il cambio alla bambina. Era un po' dura, non dico niente di questa cosa, difficile. Con i rumeni avevamo un sacco di problemi, ci siamo anche picchiati alla fine.

Dopo due anni abbiamo comprato l'appartamento con mio marito, abbiamo fatto il mutuo perché non era più possibile di vivere in due famiglie. Quelli sempre avevano problemi con noi: non gli piaceva che noi stavamo in due stanze, anche se erano piccoline, e loro in una.

Abbiamo fatto mutuo, abbiamo comprato un appartamento a Vigonza e ci mancava ancora una settimana, due al massimo per traslocare. E un giorno sono venuta a casa, ho lavorato 12 ore in quel giorno, ero stanca morta, sempre magrissima, ero tutta sporca, non so se ti immagini, lavorare con i libri, coi giornali, il naso dentro era tutto nero di stampa. Sono andata in bagno a fare la doccia e vedo che non ci sono le chiavi. Scendo in cucina e ho chiesto alla mia vicina e lei inizia a gridare: oggi dovevi pulire il bagno, tu non l'hai pulito e io non ti do le chiavi.

Che nervi che ho avuto! In vita mia no ho mai litigato con nessuno sul serio, oppure picchiare ancora peggio, mai! La mia mano si è alzata da sola, e le ho dato uno schiaffo... adesso rido, però, lei giustamente ha cominciato a difendersi e a picchiarmi e io non sentivo più niente, le davo... e lei è scappata via ha cominciato a gridare ha chiamato i carabinieri... io ho spiegato tutto...

Dopo noi abbiamo traslocato, abbiamo preso in prestito i soldi per i mobili, lavoravamo, avevamo il contratto a tempo indeterminato. La bambina la portavamo all'asilo pagando 370 euro al mese perché avevamo la proprietà privata, e il mutuo erano 600 euro... questo siamo nel 2002. Ce la facevamo appena perché erano troppe spese, spesso Pamela si ammalava e non ce la facevo ad andare a lavorare... perdevamo moltissimo comunque.

Poi il tasso era variabile e il mutuo è diventato 1000 euro, è arrivato il secondo figlio e il datore di lavoro è deceduto.

Mio marito è stato spostato dalla notte al giorno e lavorava 600 euro meno.

Capisco quelle che lasciano i bambini a casa: non puoi vivere così.

Ho perso la casa. Ho divorziato. Lui dalla disperazione aveva cominciato a giocare, non tornava più a casa. Era il 2008. Siamo rimasti senza gas, non potevamo pagare le bollette. O hai i bambini o hai una casa, non ce la fai con tutte e due. Per tenere i bambini con me ho dovuto lasciare la mia casa.

Altre mamme vengono un anno o due per poi tornare indietro. Non si fanno una vita in Italia. Non puoi avere tutto: casa e figli. La casa non è un lusso, non si dovrebbe fare così, è una necessità. Io volevo solo un tetto e un letto.

Per salvare la casa abbiamo prima portato Patrick dai suoceri. Abbiamo lasciato d'estate i bambini dai suoceri in Romania per poter lavorare. L'ultimo anno di nido, per risparmiare il 370 euro al mese e poter lavorare lo abbiamo lasciato lì. La banca ci ha pagato 12.000 euro col finanziamento per un'assicurazione inutile. Ci hanno usati. Alla fine di agosto siamo andati a prendere solo Pamela. Ma Patrick era così felice di vederci, e quando gli ho detto che lo lasciavamo lì per un anno... ma lui non capiva il tempo... come fai a spiegare a un bimbo di due anni che un anno è un anno... siamo praticamente scappati. Luca stava calcolando i soldi risparmiati. Io urlavo. Mi viene da piangere. Siamo arrivati a casa, per due notti non ho chiuso occhio. Mia suocera ha detto che stava bene, ma che appena sentiva una macchina correva fuori. Allora ho chiesto i soldi a un'amica e sono andata in Romania a riprendermelo. È stata dura e non ho più trovato lavoro. lavoricchiavo con un'agenzia. Dopo un'altra. Mio marito era sempre peggio coi giochi e tutto quanto... si è giocato gli ultimi 200 euro per pagare il gas. Era febbraio. Per la disperazione. Non è una persona colta, è egoista e viziato. Tutto quanto seve venire così, secondo lui, e allora nella disperazione non si rimboccano le maniche ma vanno a giocare (gli uomini).

Mio marito lavorava pochissimo.

I figli sono un lusso. Le donne lasciano a casa e si abituano senza di loro. Una mia compagna di classe aveva lasciato una bambina di 8 mesi quando eravamo in Sacra Famiglia. Quando un rumeno le ha detto: tu non hai figli, lei ha pianto tanto. Era il 2000, ora è il 2012 e lei è ancora senza figli. Li cresce sua madre. Lei li vede in vacanza. Lei è operatrice socio-sanitaria in un centro per anziani. Ha fatto il costo. Io non l'ho mai fatto perché costa. O fai il corso o mantieni il figlio qui.

La maggior parte delle donne pensano di lasciare i bambini per uno o due anni. Io ho potuto andare a riprendermelo perché avevo i documenti, se non li hai sei bloccata e aspettando, capisci? Ti abitui. Pensi come faresti a curarlo se si ammalasse qua. Poi, appena ricevi il documento hai già capito. Ti sei abituata e pensi che non ha senso. Guardi quanto costa la scuola, o l'università.

Io prego che i miei figli apprezzeranno, ma magari invece un giorno mi diranno: perché non ci hai lasciato lì' e non ci hai mandato i soldi? Ma io penso di no, vedendo tanti che si suicidano. L'adolescenza è difficile e se non hai appoggio cadi in depressione. Conosco una bimba che sta da sola con una bimba che non la guarda mai. La zia è ubriaca ogni giorno. I genitori stanno qua a lavorare e lei fa tutto da sola, si lava i vestiti da sola, va a scuola da sola. Eppure i genitori lo sanno.

Io capisco che è difficile. Mio fratello e sua moglie sono ingegneri e non riescono a lavorare. Lui mette impianti di riscaldamento per sopravvivere e non ha mai lasciato la famiglia. Altri, per disperazione, scappano via e si abituano da soli senza i figli.

5) Carmen, rumena, ottobre 2012, Palermo

Carmen non è solo una madre, ma adesso anche una nonna transnazionale. A volte sono proprio le nonne a migrare, ancora in un'estrema forma di responsabilizzazione tutta al femminile, per permettere alle proprie figlie di non separarsi dalla famiglia. Partendo, Carmen ha anche abbandonato un matrimonio insoddisfacente, e nelle sue parole ritorna, come in quella delle altre, una generale disillusione verso ciò che dagli uomini si può attendere in termini di risorse economiche ed affettive. Suo marito non ha mai accettato di fare quello che Carmen ha fatto per i suoi figli.

Le parti più interessanti di questa intervista riguardano, anche in questo caso nonostante si tratti della Romania e non più della Moldavia come per le interviste precedenti, il collasso dell'economia del paese d'origine dopo il crollo del regime comunista, collasso che ha spinto alla partenza centinaia di migliaia di donne; la difficile relazione che si instaura con le famiglie italiane datrici di lavoro, eternamente sospesa nell'ambiguità tra l'intimità che il lavoro di cura forzatamente implica e la distanza della condizione tra datori di lavoro e lavoratrici, nonostante la bellezza di alcuni rapporti che comunque possono venire a crearsi; e, su tutto, l'annullamento di ogni prospettiva che riguardi i desideri e le aspirazioni individuali, sempre subordinati al dovere di sostenere i propri figli e i propri nipoti, nonostante la fatica e tutti gli anni che passano.

Domanda. Da che parte della Romani vieni?

Carmen. Da Brasov, una città grande come Palermo.

D. Quando sei arrivata in Italia?

C. Nel 2006, ho lasciato 3 figli e mio marito. I figli avevano 18, 20 e 23 anni. E poi ho lasciato mia madre e mio padre. Quando mio figli ha fatto 18 anni, quando è diventato maggiore, io ero in Italia, non ero con lui.

D. Lavoravi in Romania?

C. Lavoravo ma poi per crisi mi hanno licenziato e un'amica che è venuta in Italia prima di me ha trovato posto di lavoro e sono venuta anche io. Sua figlia è venuta da me e mi ha detto che c'era posto e in un giorno e mezzo io mi sono preparata a partire. Anche mio marito prima voleva partire ma lei ha trovato solo per me. Poi ha trovato per lui, ma quando gli hanno detto che doveva venire e pulire il culo a un anziano lui ha detto no. Capisci? Io posso, lui non può. Non mi sono arrabbiata, ma ora comincio ad arrabbiarmi perché devo pensare a tutti io. Lui ha lavorato 2 mesi e poi basta: sempre davanti alla TV. Prima faceva l'arrotino, ma poi ha smesso perché è stato licenziato. Poi ha lavorato in fabbrica privata di tedeschi per fare pezzi di macchina, diciamo operai, ma si è fatto licenziare. Lui era d'accordo quando sono partita. Per 3, 4 anni è stato tutto a posto perché lui poteva pagare il mutuo, ma di soldi non ha conservato niente. Allora adesso li mando a mia figlia. Non so cosa ha fatto lui dei soldi... sigarette... ha bevuto.

Miei figli abitano con lui, mio figlio fa il cameriere e vuole fare università, anche mia figlia fa cameriera ma è incinta e vuole sposarsi. Per questo devo mandare i soldi a casa, ma una parte deve restare a me.

D. Quanto mandi ogni mese?

C. 400 riesco a mandare, ma dipende. Con 400 euro in Romania riescono a vivere. Loro hanno stipendio piccolo. Devo aiutare anche io, loro sono grandi. Serve un vestito, una scarpa, pagare la scuola. Altra mia figli è qui. Io sono arrivata a gennaio 2006 e lei a maggio. Anche mia figlia grande una volta è venuta ma ha lavorato 3 mesi e poi è tornata a fare università. Poi è tonata 6 mesi e poi di nuovo a casa. Non le piace tanto lavorare in Italia. Poi adesso è incinta e deve pagare tutte le analisi.

D. E la prima volta che sei partita dalla Romania?

C. La prima volta che sono andata via dalla Romania era nel 2006 sono venuta a Palermo. Sono partita col pullman, tre giorni di viaggio. Quando arrivavi a questo punto di passare Ungheria, diciamo non chiedeva a tutti i documenti, diciamo... turisti. Quando parti per la prima volta non ti dice niente. Non ho pagato nessuno, ho pagato solo biglietto e mia amica non ha preso soldi per trovarmi il posto di lavoro.

Quando sono partita da casa sono stata un pochino... di lasciare i miei figli così, senza me... capisci? Ma poi quando sono arrivata è stato facile... non lo so, perché questa amica Mariana lavorava vicino di me, lungo il mare a Sferracavallo.

Sono arrivata col pullman fino a Palermo, la figlia di Mariana è venuta a prendermi, siamo arrivati a Sferracavallo. Di domenica sono arrivata, e poi di sera mi ha portato da signorina Rosa, il mio posto di lavoro.

D. I tuoi figli come l'hanno presa che sei partita?

C. Diciamo bene perché sapeva che venivo qui per loro... per fare qualcosa per loro...

D. Non ti hanno mai detto mamma non ti preoccupare, troviamo un altro modo?

C. No, erano contenti perché loro sapevano che era per loro. Forse perché erano grandi, forse perché davanti non mi volevano dire per stare tranquilla.

D. Cosa hai messo nella valigia?

C. I vestiti, tutte le cose che ti servono quando parti in un posto. Mutande, reggiseno, stivali, tutte cose...

D. E quanto tempo pensavi di restare?

C. Sinceramente non pensavo di restare così molto tempo lontano. Non mi ero fatta un'idea: sto un anno, sto due... sono partita così: Dio ce l'ha cura di me... capisci?

D. Quando li hai salutati?

C. Mia figlia ha cominciato a piangere da morire e quando sono salita sul pullman è stato difficile. Poi Do mi ha dato un po' di forza, anche io mi ho dato un po' di forza... sono venuti tutti con me. La mia sensazione era di fare bene per la famiglia. Non c'era voglia di partire, non c'era curiosità. C'era bisogno di partire. In Romania non c'è lavoro e il mutuo, tutte le cose da pagare, è uguale a qua. Qua la vita è cara ma là è di più cara anche coi soldi nostri. Ci vuole una persona che va via se vuoi fare qualcosa in Romania, in tua casa.

Quando è andato via Ceausescu è diventato così.

D. con lui era meglio?

C. Sì, così penso io, perché avevi di tutto quando c'è stato lui, avevamo un lavoro e conservavamo i soldi e ogni anno andavamo 10 giorni al mare col sindacato che aiutava a pagare il biglietto. Ma ora ho dovuto andare di lavorare dentro un paese straniero, giusto? Altri pensano che è stato peggio con lui, dipende.

D. Ci sono tante donne che sono dovute partire?

C. Sì, ci sono tante, vicine di casa, mie amiche. C'è amica che 10 anni è venuta in Italia

D. E come mai sei venuta a Palermo?

C. Così... un'altra amica ha portato. Una sua amica ha portato lei, lei ha portato altri e così siamo venuti. Ha fatto chiamare sue amiche, sue nipoti, sue sorelle...

D. Ci sono tante donne rumene a Palermo?

C. Credo che in tutte le città italiane ci sono rumene. Io ho lavorato anche a Pordenone e quando uscivi ti incontravi per la strada e dicevi: sei in Romania. Anche in autobus... sono amiche che escono quando hanno un giorno libero insieme. Anche io quando sono venuta la prima volta con mia amica con mia figlia e con sua figlia usciamo giovedì e domenica insieme

D. E adesso?

C. Adesso mia amica si è fidanzata con un italiano da 4 anni, perché si è divorziata con suo marito prima di partire. Io sono ancora con mio marito (ride) sono stanca di uomini... se sto parlando con un uomo in modo amichevole va bene, giusto? Ma altri pensieri di mettermi con qualcuno... no!

D. Sei arrabbiata con lui?

C. Sì. Io sono venuta perché non c'è lavoro in Romania, giusto? A casa devi fare qualcosa! Non devi stare tutta la giornata a letto col telecomando in mano a bere, fumare, e guardare la Tv e non quali altre cose sta facendo! Quando ce l'ha soldi beve, quando non ce l'ha... per questo ho deciso ora di quando ho trovato un lavoro di non mandare lui i soldi. Ora mia figlia è contenta, lei risparmia, l'anno scorso ho mandato 4000 euro e li ha messi in banca. Compra solo quello che è necessario. Lei conserva soldi, lei è una risparmiatrice di soldi. È uguale a mia madre che non compra neppure un succo di frutta o una coca cola.

D. Ma tu con i tuoi soldi mantieni anche i tuoi genitori?

C. No! Mia madre è uguale tua madre, lei mi da una mano. Anche i miei figli mi ha dato una mano! Con la pensione. Loro sanno conservare. Mia madre ha 70 anni ed è malata col cuore. Io devo badare a mia madre.

D. Come fai da lontano?

C. Quando è stata operata non ho più cercato lavoro e sono stata a casa per stare con mia madre.

D. E salutare tuo marito com'e stato?

C. Non così come salutare i miei figli... è stato un pochino freddo, ti dico sinceramente

D. Ma eri già un po' stanca di tuo marito?

C. Sì, perché avevo dovuto anche in Romania di lottare tutto io. Aiutava, così, ma non andavamo d'accordo. Ora è peggio di prima volta. Prima faceva anche lui faceva pulizie, faceva la spesa, diciamo è stato un po' di aiuto. Di tre anni indietro... i primi anni faceva, di mangiare, lavava, stirava, faceva. In quel momento aveva lavoro. ora non c'è di lavorare e lui non fa più niente, niente.

D. Ma perché secondo te? Perché si sente inutile e sei tu che porti i soldi a casa?

C. Non lo so. Forse anche questo

D. Prima portavi lo stesso i soldi a casa?

C. Certo! Avevo tre bambini e lavoravo. Quando mi hanno licenziato sono stata a casa.

D. Forse poi non ha sopportato che tu portavi più soldi a casa dopo che sei partita?

C. Forse, ma problema è anche amici. Perché mio vicino di casa non lavorava e dice che i suoi figli deve mantenere lui, perché quando erano piccoli ha badato lui e ora i suoi figli deve mantenere i soldi di mantenere. Io penso io. Altre cose non si può giustificare. Sua moglie lavora a casa e lui prende tutti i soldi dai suoi figli quando prendono stipendio.

D. Ma tuo marito ha amici che hanno mogli che sono adnati via?

C. Sì. Ha anche un amico che è partito ed è andato a lavorare in Spagna e questo è un uomo per la sua famiglia, perché un marito deve mantenere la sua famiglia, così penso io.

D. Tu sei partita per mantenere i tuoi figli, ma avresti voluto che partisse tuo marito?

C. Insieme! Perché abbiamo detto: ci troviamo un posto di lavoro a un anziano, per badare. 6 anni fa non c'era tutta questa crisi. Ma lui ha detto che non lava il culo a nessuno, e questo mi ha chiuso la bocca. Non lo so perché io posso e lui no.

Poteva venire anche lui e guadagnare i soldi per i nostri figli. Guadagniamo tutti e due soldi, n? perché ci sono tre figli grandi che devono sposare, ci sono i nipoti! Devi dare una mano d'aiuto quando siamo sani, no? Quando siamo vecchi che fai?

D. E i tuoi figli sarebbero rimasti soli?

C. I figli sono da mia madre! Anche ora mio marito dorme e i figli vanno da mia madre che prepara da mangiare quando non c'è Stefania che è al lavoro. dormono a casa ma sono sempre da mia madre.

D. Perché non potevano partire i tuoi figli?

C. Mio figlio ha cercato di andare sulla nave come cameriere, ma non è venuto nessun responso. Dove può andare un ragazzo di 18 anni? Lavorava come cameriere e faceva anche università. Adesso ha 25 anni e lavora e ha fatto anche università. E Stefania anche. Si è iscritta all'università e doveva fare anche turno di notte. Loro sono giovani, devono lavorare, fare una scuola.

Mio marito ha 55, 56 anni e siamo sposati da 30 anni.

D. eravate innamorati?

C. Amorati, amorati... diciamo sinceramente, così pazzi, no! (ride)

D. E perché te lo sei sposato?

C. Anche io penso, Ale, perché mi sono sposata? (ride) mia figlia vuole fare matrimonio in Comune e io dico: stai ferma, non fare niente, che la passione di prima volta, diciamo 5, 6, 7 anni, se ne va e stai divorziando. Vedi, ci sono tanti divorzi?

D. Ma tu hai fatto l'università?

C. No, perché non mi è piaciuta così la scuola di continuare. Poi ho cominciato di lavorare quando ho finto 18 anni. Poi mi sono sposata a 20 e ho fatto la Stefania, veloce veloce. All'inizio sono stata bene.

D. E tua figlia, quella che adesso è qui, quando è partita?

C. Subito, dopo tre mesi. A Palermo. Ha abitato con me e la signorina Rosa che ha detto: "no! Andrea non sta in affitto, ma dorme in questa casa, sta con te!". Poi Mariana le ha trovato un lavoro come baby sitter. E questa signora coi bambini ha detto ad Andrea: "spero che non stai facendo anche tu come altre che dopo tre mesi te ne vai a casa". E Andrea:" no, io sono venuta per lavorare". E poi Andrea è stata una bella ragazza, così lei aveva paura che faceva qualcosa con suo marito e dopo due mesi ha detto: "Andrea, sono incinta, non ho più bisogno di te". E poi è ritornata di nuovo con me e con signorina Rosa, una settimana, e poi ha trovato un posto di lavoro a San Lorenzo. Faceva pulizie, di mangiare e poi dormiva lì, in una famiglia di marito e moglie con figli grandi e con nipoti che abitavano in un'altra casa a San Lorenzo.

D. Ma dalla Signorina Rosa tu lavoravi in regola?

C. No! Dalla Signorina Rosa ero senza documenti. Lei aveva 80 anni e abitava con la signorina Caterina che aveva 91 anni e io ero venuta per lei che era caduta e stava a letto.

D. Come ti trovavi con loro?

C. Sono stata bene dalla signorina Rosa. Da gennaio al 16 agosto badavo a Caterina. È morta il 16 agosto. Abitava in quella cosa con suo fratello, che era nonno Vincenzo, e con sua cognata e con due nipoti. Al primo piano. Troppo gentili sono stati. Quando è morta signorina Caterina la signorina Rosa ha detto; non parti stai con me. Anche io ho bisogno di alzarmi in vasca e di fare pulizie. Poi sono stata due anni e 4 mesi dalla signorina Rosa e poi mia madre è stata malata, si è rotta il femore e sono stata a casa. Lei ha detto: "ti aspetto un mese". E io le ho detto: "non mi aspettare perché non lo so quando torno e poi mi dici che sono una rumena bugiarda". Ha trovato due e non è stata contenta di nessuna e poi ha preso un'italiana a ore che viene tre volte a settimana per pulizie. E io sono restata amica con loro, quando penso o di andare, sono troppi buoni, quando me ne vado sempre mi danno soldi: nonno Vincenzo mi dà 50 euro... signorina Rosa mi dà 100 euro... anche adesso... sono stata ora un mese indietro da loro di vedere perché non la vedevo di molto tempo e mi ha dato di nuovo soldi. Per questo non vado frequentemente da loro a fare una visita... perché mi vergogno, non me ne vado mai da quella casa senza niente. Capisci?

Quando sono stata da loro mi ha comprato due pigiami di quelli pesanti, mi ho fatto occhiali da vista, per il compleanno mio mi dava soldi signorina Rosa e anche nonno Vincenzo. Capisci? E sono stata bene, capisci?

D. E quando sei tornata a casa? Era la prima volta?

C. No! Perché di natale a pasqua io andavo e signorina Rosa restava da sola. La prima volta sono arrivata in gennaio e sono andata in dicembre. Quando ho visto i miei figli sono stata contenta, felice!

D. Era tutto uguale a prima?

C. Sì, la prima volta e poi per tre o quattro anni sono stata bene quando andavo a casa. Parlavo ogni giorno con loro al telefonino, a internet quando avevo un giorno libero con skype parlavo con loro. Ora mi viene così, è difficile dopo tanti anni, ma la prima volta non sono stata così.

D. Hai portato tanti regali?

C. Anche signorina Rosa mi dava sempre di portare regali per tutti, per Stefania, per mia madre, per mio figlio. E portavo a loro... quanto posso lo porto...a nonno Vincenzo una bottiglia di vino, a signorina Rosa qualcosa, ornamenti della Romania, qualcosa di artigianato...capisci?

D. E le vicine di casa le amiche come erano? Forse un po' invidiose?

C. Forse davanti non si faceva di invidiarmi, ma poi sono andate una a Pordenone, una a Firenze... tutte sono partite. Tutte donne.

D. Tutte a lavorare nelle case?

C. Nelle case, sì.

D. e queste donne che facevano in Romania?

C. Uguale che me, lavoravano in una fabbrica. Una aveva la mia età, una più grande...

D. Di solito partono le donne grandi o giovani?

C. Anche giovani, anche grandi, non c'è differenza. Quando io sono venuta è venuta anche mia figlia.

D. Tornavi a casa due volte l'anno?

C. Pasqua e natale, due volte l'anno. Poi la signorina Rosa mi voleva mettere in regola, ma io sono dovuta andare per mia madre a casa e dopo un mese sono arrivate le carte. C'era da pagare tante cose e quindi... basta.

D. E quando sei tornata in Italia?

C. Sono stata da mia figlia che abitava con Carmelo, fidanzato italiano da 5 anni. Sono stata due settimane e Carmelo mi ha trovato posto di lavoro da genitori di un suo amico.

D. Dove si sono conosciuti Andrea e Carmelo?

C. In una discoteca rumena! Ci sono tanti italiani che vanno nelle discoteche rumene! Per divertire...(...).

Ora Carmelo ha cominciato a fare Università in Romania, Università di dottore dentale. Andrea lo ha aiutato. Abita a Palermo e ogni mese se ne va a scuola in Romania dieci giorni. Oggi è partito.

D. Senza Andrea?

C. Andrea ce l'ha lavoro adesso, come può andare?

D. E che lavoro fa Andrea?

C. Badante! A un'anziana...Sì perché che deve fare a casa? Tutta la giornata a casa? Così guadagna soldi suoi.

D. E non ha trovato un altro lavoro?

C. Gli piace perché guadagna stipendio buono. È una famiglia buona, c'è la tredicesima...ha le vacanze in estate, quando vuole lei...

D. È in regola!

C. No! Lei non vuole essere in regola, lei ce l'ha carta di identità italiana. Quando una famiglia si comporta bene e tu sei onesta e ti comporti bene anche con anziano... Andrea in questa casa è uguale a sua casa. E non dorme là. Lavora dalle 9:30 alle 13:30 e poi dalle 17:00 alle 19:30, ma il sabato e la domenica solo fino a 18:30. È un lavoro onesto, ci lavora in questa casa di quattro anni.

D. Lei torna ogni tanto in Romania?

C. Sì! Di natale, di pasqua, in estate! E poi è stata con Carmelo in giugno per la scuola.

D. Ma adesso non può restare solo lei a lavorare qui e tu tornare in Romania? Devi restare per forza qui anche tu per aiutare l'altra figlia?

C. Ale! Devo guadagnare soldi per mia figlia grande, per mio nipote, per mio figlio! Andrea ora ha la sua famiglia! Ora ho cominciato per il bambino a comprare tutto, le tutine, tutte le cose, ho una sacchetta piena di cose per bambino. Il passeggino, tutte... e mando pacco a casa per loro...

D. Ma tu vorresti tornare?

C. Sì, quando ho qualcosa da parte, di essere i miei figli un pochino sistemati, di dare qualcosa per loro, capisci tu? E qualcosa per me quando sono malata, capisci? Così certo che voglio.

D. Non ti piace di più la vita italiana di quella rumena?

C. Mi piace, dovrebbe essere due, stare qua e stare là...

D. Quindi non è solo un obbligo vivere qui...

C. Sì è obbligo, per mantenere i miei figli. Ora viene un bambino, giusto?

D. Se avessi i soldi torneresti a casa e non ti mancherebbe l'Italia...

C. Non mi mancherebbe, solitudine che vivo ora è peggio

D. Ma hai tua figlia Andrea qui...

C. Ma io non voglio disturbare, sono giovani Ale, devi lasciare un po' di spazio...

D. Ma tu cosa vuoi per te?

C. Che i miei figli sono felici. Per me non lo penso. Esiste la felicità? Non credo. Voglio che i figli sono tranquilli e poi posso morire anche domani. I miei figli deve essere tranquilli.

D. Ma ci pensi che quando i tuoi genitori saranno più vecchi dovrai tornare a casa?

C. Speriamo che passa ancora un po' di tempo che stanno bene.

D. E a tuo marito non ci pensi proprio?

C. Sinceramente no, non mi interessa che sta facendo. Lavora o non lavora, sta morendo non sta morendo. No, solo i miei figli. Ma sono stanca di questa vita Ale, sono stanca fisicamente e dei pensieri di tante cose. Non lo so se sono forte, non lo so...(...) devo fare ancora sforzo per dare una mano per loro, per pagare università, per comprare quello che serve, loro non buttano soldi a destra e a sinistra.

D. E quando sei stata a Pordenone?

C. Ero tornata da Palermo per stare ancora con mia madre e poi la mia vicina di casa mi ha detto: devo venire a casa a farmi i denti. Vuoi sostituirmi un mese a Pordenone? Mia madre iniziava a stare meglio e sono andata e ho lavorato in quel posto un mese e una settimana e ho sostituito la mia vicina di casa. Poi sono andata in affitto da una signora a 5 euro al giorno che mi ha trovato un altro posto di lavoro a Pordenone. Una anziana. Sono stata attenta che lei aveva diabete. Abitava con suo figlio ma lui aveva una fidanzata e una volta era sera a casa e una sera no. Questa signora anziana aveva altri due figli, erano in tutto tre maschi e una femmina e veniva un giorno a settimana di stare con lei: mezza giornata uno, mezza giornata un'altra. Ma era molto sola quando no venivano i suoi figli. Telefonavano una volta sera di sera per chiedere come si sente e basta.

Quando sono arrivata le finestre erano sporche da morire, vestiti e lenzuola era un casino. Poi è stata malata per un mese e mezzo, è venuto il dottore e ha portato in ospedale e poi dopo una settimana ha detto che la metteva in casa di riposo e che dovevo andare. Sono state tante cose brutte in quella casa.

D. Quali cose brutte?

C. Dicevano che sono contenti ma quando non ci sono mi sparlavano alle spalle, non sono stati contenti del mio lavoro ma io sono stata troppo attenta con lei. Mi faceva mangiare patate bollite perché lei mangiava così. e se mi compravo io diceva che mangiavo troppa frutta... è stato un casino.

D. Ti pagavano bene?

C. Sì, mi pagavano 900 euro.

D. In regola?

C. Prima hanno detto ti mettiamo in regola, ma dopo due mesi ho dovuto andare perché hanno messo in casa di ricovero. O almeno hanno detto così. ma dopo un mese ho chiamato e lei era ancora dentro, non avevano portato in nessuna casa di ricovero. Ho cercato di nuovo lavoro ma non ho trovato, a maggio sono andata di nuovo a casa ma avevo messo annuncio su internet, avevo lasciato il numero di mia figlia e quando il telefono ha iniziato a suonare Andrea mi ha detto: "devi tornare, devi venire da casa". E poi quando sono arrivata non ha chiamato nessuno. Capisci tu? Silenzio! E poi ho sostituito mia figlia due settimane, e poi ho lavorato in un altro posto per tre settimane da anziana con demenza senile, alzheimer, come si dice ora. Ma non ho potuto resistere in quella casa. Non stava un munito ferma: tutto il tempo portare in bagno per fare la pipì, prenderla, girarla, stare vicino a lei. Capisci? Andiamo in bagno, mettiamo per fare la pipì, si alzava, girava per tutta la casa. Mettiamo nel letto, sistemiamo lenzuola di coprire e poi si alzava. E di nuovo, andiamo in bagno. Capisci? Notte non dormiva e ho detto a sua figlia: mi dispiace non posso resistere di lavorare. Io ce l'ho una responsabilità e non posso. Mi dispiace, di giorno non dormiva, di notte solo due o tre ore e anche quelle non dormiva tranquilla perché gridava, si alzava e si metteva nuda.

D. E ci sono rimasti male quando lo hai detto?

C. No, suo figlio lo sapeva. Dieci signore ha cambiato (...). Dopo di me ha portato un'altra ed è stata un mese anche lei. Poi è andata quella ed è venuta un'altra. Non si può, deve stare con questa persona in due: una di notte e una di giorno. E loro lo sanno, e hanno dovuto portare in casa di riposo. Ma poi l'hanno portata di nuovo a casa perché lì le davano medicine per dormire, così... non erano contenti di lasciarla. Sua figlia era affettuosa.

D. Ma in Romania come si fa quando ci sono questi problemi?

C. Se sono pazzi pazzi si porta in ospedale di pazzi ma non ho mai sentito che sei solo vecchio ti portano dentro una casa di riposo. Devi resistere se sono miei parenti che si sono sacrificati per noi anche noi si deve sacrificare per loro. Così penso io... penso male, non penso male. Boh...

D. E poi?

C. E poi una signora mi ha trovato in internet e quando sono venuta qua, dove lavoro ora, ho incontrato lei e sua sorella perché mi volevano per la loro mamma anziana.

D. Come è stato l'incontro con questa nuova anziana?

C. Mi è piaciuta di lei, lei diceva che piace di me, ma che lo saccio io se è vero tutto... e poi sono andata a casa e la mattina dopo sono venuta qua con valigetta con due o tre cose. Tengo tutto da mia figlia perché qua non c'è spazio di portare.

D. Ti dà fastidio il fatto di non avere una stanza tua?

C. No, no, no. Perché io dormo bene in questo letto. Diciamo è stanza mia di sera, no? Mi trovo bene. Mi manca tante volte, mi sto arrabbiando, quando dico qualcosa alla signora lei si sta arrabbiando con me. Non lo so, è contenta, non è contenta? Vuole cambiarmi, non vuole cambiarmi?

D. Ma nelle altre case avevi una stanza tua? E non ti dispiace davvero non averla?

C. Non lo so. So che quando dormi con qualcuno in letto è brutto. Perché con quella signora che aveva l'Alzheimer ho dormito nel letto con lei, e quando non puoi dormire tranquilla questo è peggio. Ma sennò non sono pretenziosa da avere mia stanza, mi sento bene. È peggio di dormire con un'anziana nel letto, quando fa la pipì, quando si alza. È difficile. Ci sono tante che vuole stanza sua, bagno suo, sono tante. Boh, non lo so...

D. Forse quelle più giovani?

C. Sì, vuole stanza loro per essere più comode, ma dipende.

D. Ma quando parlate tra di voi, tu e le altre donne del tuo paese che fate questo lavoro, che cosa pensate di questo sistema per cui tutte voi vi prendete cura dei nostri anziani?

C. Che voi italiani non ci trattate bene ma come schiavi, come servi. Ci sono tante famiglie che non ti danno da mangiare, e coi pochi soldi devi comprare anche da mangiare. Loro pensano che andare via da casa nostra è così facile... tutti mi dicono che trattano come schiavi. Davanti ti parla bene, sei brava ragazza, sei così, sei pulita, tutte cose, ma poi quando te ne vai ti sta sparando alle spalle. Ma se hai qualcosa da dire me lo dici! Ma se te ne vai come fai a trovare facile un posto di lavoro? ormai è crisi! Italiani invece ci possono cambiare: non è buona questa, troviamo un'altra! Così si fa...prima era facile trovare lavoro, non ti conveniva qualcosa, ti piace cambiare posto e te ne andavi. Capisci? Ma non è facile mai cambiare casa. Ti stai abituando dentro una casa e te ne vai in un'altra, devi passare una settimana o due, cominci a capire, come è abituata quella persona, capisci? Non tutti mangiate uguale, così devi insegnare tuto di fare di nuovo...

D. E delle donne italiane cosa dite?

C. Dipende Ale, dipende di famiglie, dipende come sono educate, dipende tutto perché ci sono famiglie che non gli interessa, che lascia i bambini e loro vanno in giro a bere e poi sono stanche morte. Non sono abituate di lavorare e lasciano di fare tutto ai mariti, e questo di vede Ale. Guarda la signorina Rosa è stata un famiglia ti ho detto brava, in tutti i punti di vista. Anche sua nipote mi invitava al compleanno del bambino, sono stata a tavola con loro, tutti parlavano con me, non sono stata trattata come una straniera, sono stata trattata bene (...). Mi facevano mangiare di tutto, non solo quello che mangiavano loro. Era una famiglia educata (...). Mi comprava di tutto. Non faceva così: io mangio questo e non mi interessa che tu non lo mangi. Devi mangiare quello che mangio anche io (...) Anche i nipoti, le bambine che aveva scuola vicino quella casa di nonno Vincenzo e Signorina Rosa, prima passava di salutare a loro e saliva a salutare me. La piccina, quando sono andata a casa Romania per la prima volta e sono ritornata dopo un mese, è venuta e tu lo sai? Si è buttata tra le mie braccia e mi ha stretto così forte forte forte che lo sai mi ha dato di piangere a me? E la signorina Rosa diceva: "vedi a tutti sei mancata!" (...). Dopo che sono andata io due rumene sono andate, una è stata due giorni, una è stata tre giorni e non ha preso nessuno. Ora ce l'ha una signora italiana che è buona per fare pulizia.

D. E tu pensi che sia giusto creare dei legami di affetto nelle famiglie in cui lavori?

C. Sì, perché io quando mi attacco diciamo di una persona, per quella io posso ammazzare qualcuno, diciamo. Se sono attaccata io posso fare di tutto per loro.

D. Anche se è lavoro...

C. Sì, anche se è lavoro. Io non mi aspetto di essere come una figlia, come una nipote, ma non così, schiava. Capisci? Guarda, anche quando ho lavorato a Santa Flavia, anche questo anziano che ero andata per sua moglie e poi lei è caduta è andata in ospedale ed è andata in coma (...) sono andata e dopo due o tre giorni lei è tornata a casa ed è morta. E loro hanno detto: resti con mio padre. Anche loro mi hanno trattato, dico io, bene.

D. Quindi alla fine, tranne quella signora di Pordenone...

C. Sì, tutti mi hanno trattato bene. A Sud e a Nord Italia, dipende di famiglia. Tu lo sai perché sei venuta qua, no? Sei venuta per lavoro. Non sei venuta per stare tutta la giornata così, seduta. È vero? Devi fare qualcosa per soldi che prendi, no? (...) Ma in cambio ci vuole un po' di... calore (...).

D. Ma secondo te le persone qua capiscono quello che voi fate? Che partite, che lasciate i vostri figli?

C. No, no, no. Non tutti capiscono quello che facciamo qui. Forse quelli che sono stati un pochino lontani di sue famiglie forse capiscono (...), dipende di persona. Dipende di persona. Perché devi pensare anche che ce l'ha un figli, ce l'ha un nipote e adesso hanno lavoro, ma poi non lo sai, magari un giorno dovrà partire anche loro, andare in Svizzera, ci sono tanti italiani che lo hanno fatto. Ma quando guardano noi non ci pensano. Dobbiamo stare qui per il loro bene e... vaffanculo, non gli interessa di persona che è vicino a loro. Guarda quando ci trovi un posto di lavoro devi tenere questo posto anche coi denti per non perdere, capisci? Perché non sai se trovi un altro e forse trovi peggio di qua. No?

D. Adesso devi tornare a casa perché la figlia che è rimasta lì sta per partorire. È un problema gestire i tempi del lavoro in Italia con quelli della tua famiglia?

C. Sì, devi trovare un'altra di portare in tuo posto, di sostituire (...). E resti col pensiero: posso andare o non posso andare a casa? Perché anche gli italiani deve capire... quando te ne vai, diciamo, a casa per un mese, o te ne vai per mezzo anno o un anno, o te ne vai a pasqua o a natale, credo che forse devono capire anche loro che c'è una situazione... se si sta ammalando mia madre, se ho ora questo problema con mia figlia. Ma ogni volta che te ne vai pensi: poi torno e lo trovo il mio posto di lavoro? Perché ci sono anche tante ragazze che le porti per sostituire e fanno di più di te... parla meglio di te, e ci resta loro al tuo posto. Capisci?

D. Ci vuole tanta pazienza in questo lavoro?

C. Sì. Troppa pazienza, troppa pazienza.

D. Cosa ci vuole per fare questo lavoro?

C. Devi cercare di stare calma, di non mettere tutto al cuore se ti fa male. Tante volte non puoi stare così... di non pensare che non c'è niente, capisci? Tante volte ti si mette male al cuore... una parola, qualcosa che ti si dice... e tu devi stare così, senza innervosirti... sono anziani, sono malati... tante volte è anche la malattia che li fa essere così. io capisco queste cose, ma tante volte non posso stare tranquilla, stare... perché stai così, cerchi un giorno, due, ma poi non puoi più sopportare e devi esplodere.

D. E sulla situazione della Romania? Pensi che sta cambiando il paese con le vostre partenze, con le partenze di tutte queste donne?

C. Sta cambiando tutto perché tutti, anche giovani, anche i ragazzini se ne vanno, uno per la scuola, uno per lavoro, così... (...) anche gli uomini, ma di più le donne, perché Romania non c'è lavoro, uguale come qua. Non vedi? Quella fabbrica chiude, quell'altra chiude, quella fa licenziare...

D. E tutti quegli uomini che restano soli a casa?

C. Qualche uomo si trova un'altra così si rovina la famiglia. Anche se ci sono uomini, diciamo, di casa, per la famiglia, buoni e tranquilli, anche mia cognata parte di nuovo oggi per lavorare, e mio fratello fino ad ora non ha trovato nessuna. Va a lavorare e poi a casa con suo figlio. Guadagna poco ma ha lavoro. Prima di sua moglie anche lui è stato in Italia in una pizzeria, ma poi è tornato a casa e ha trovato questo lavoro.

D. Ed è d'accordo che tua cognata vada via?

C. Per guadagnare soldi, pagare un mutuo, comprare una macchina.

D. Tra la paura che la famiglia si rovini e il bisogno di soldi vince il bisogno di soldi?

C. Sì, vince. Perché mia cognata era tornata a casa di nuovo per sua madre che era caduta e si era rotta il femore e ora cammina e può tornare a lavorare. Ha figli grandi, uno 19 anni e l'altro 24.

D. Ma tu avresti lasciato i tuoi bambini se fossero stati piccoli?

C. Piccoli piccoli, no.

D. E cosa pensi delle donne che partono e li lasciano piccoli piccoli?

C. E cosa devo pensare? Non penso niente male di loro, perché per sua famiglia, per guadagnare, che può fare? Deve pensare che deve dare da mangiare ai figli, mandarli alla scuola, comprare tutte cose che servono...

6) Elena, rumena, marzo 2013, Palermo

Elena è una madre a distanza, che non ha mai cresciuto suo figlio da vicino. Negli anni, ha trasferito il suo bisogno di dare cura prima sui bambini e poi sugli anziani che ha accudito. La sua famiglia è composta prevalentemente da donne. Gli uomini l'hanno abbandonata, o sembrano comunque inesistenti. Le parti più rilevanti di questa intervista riguardano la difficoltà, che Elena sembra non riuscire nemmeno fino in fondo a esprimere, della maternità a distanza, vissuta in questo caso con una delega quasi completa alla nonna del bambino; l'impossibilità di conciliare la maternità con il lavoro familiare prestato in Italia: anche non tornare a casa diventa un gesto d'amore, perché i soldi che servirebbero per il viaggio vengono destinati alle cure del bambino; le riflessioni di Elena sulle ragioni per le quali gli italiani delegano alle donne straniere il lavoro di cura: perché loro hanno la loro vita, e non ci rinunciano.

Domanda. Da dove vieni?

Elena. Il mio paese è la Romania. Non vengo da una città molto grande, è a Sud, si chiama Braila.

D. Quando sei partita?

E. Sono via d 7 anni. Ho 37 anni, ne avevo 30. Sono partita perché ero già separata e lavoravo in una fabbrica. Volevo di più per mio figlio e da sola non ce la facevo con lo stipendio ad avere tutto quello che volevo per mio figlio. Lui aveva 4 anni e abitavamo con i miei genitori.

D. è partito con te?

E. È rimasto con loro. Era all'asilo quando l'ho lasciato. Era piccolo, non ha sentito tutta la mancanza. Era abituato a vivere con loro. Il papà del bambino non voleva avere a che fare né con lui né con me. Lui si è rifatto la vita e noi abbiamo preso la nostra strada. Anche quando è nato il suo papà non gli stava vicino. Lui non lavorava ed ero obbligata lo stesso a vivere vicino a mia mamma che mi poteva aiutare. I miei hanno sempre lavorato. Avevano una ditta di famiglia con mia sorella, mio cognato, io e mia mamma. Dopo un paio d'anni sono aperti dei supermarket con prezzi più bassi di un negozio e la vendita non ci aiutava a vivere tutti: eravamo 3 famiglie. Ho deciso di partire io per aiutare la mamma e mio figlio. È stata una scelta mia. I miei non erano d'accordo perché si sapeva che qua siamo come schiavi. Si sentivano tante cose brutte, non belle.

D. Avevi studiato?

E. Dall'età di 15 anni ho fatto la scuola professionale e 2 anni di teoria. Lavoravo sempre, c'era ancora il comunismo. La mamma lavorava pure lei come sarta e io lavoravo con lei.

D. Com'era quando c'era il comunismo?

E. Quando c'era il comunismo potevi lavorare, avevi la tua casa, mangiare di tutto, anche se c'erano porzioni che ti davano. Adesso c'è tutto ma non hai i soldi per comprarlo. Tante donne scelgono di partire perché hanno fatto debiti per avere di più: la televisione, un frigorifero. E allora uno della famiglia deve andare fuori per pagare i debiti e vivere ancora. Piano piano hanno iniziato a chiudere le fabbriche le sartorie. Quando è finito il comunismo è finito tutto. Pure il lavoro.

D. Ma perché secondo te sono soprattutto le donne a partire?

E. Partono di più le donne perché lottano di più per la famiglia, sono più attaccate alla famiglia e possono sopportare di più. La donna è più forte di un uomo in queste cose.

Mio cognato è partito in Germania per la famiglia perché in Romania lavorava solo la moglie. Ma lui non resiste tanto fuori e ogni tre mesi torna a vedere la moglie e la figlia. Le donne sopportano di più. Io non torno da un anno e due mesi per colpa del lavoro che l'ho sempre cambiato. Sto pensando di andare a giugno per 10 giorni.

D. Ma come è stato per te andare via?

E. I primi mesi sono stati difficili. Il mio bambino era piccolo, non sapevo parlare a telefono con me quando lo chiamavo per sentire la sua voce. Non c'era il computer.

Sono partita col pullman e sono arrivata a Palermo perché avevo qua zia e cugina arrivate un paio di mesi prima di me. Mia zia fa la badante e la cugina la colf. Loro hanno lasciato: la zia due figli grandi - lei è nonna, è partita per il figlio grande che aveva problemi di salute - e la cugina è partita per il figlio e la famiglia. Dopo due mesi che ha conosciuto un ragazzo si è sposata e ha avuto un figlio. Dopo un anno si sono lasciati. Mamma separata, sorella vedova. Tre famiglie senza uomini. E allora è rimasta la mamma e lei è partita. Mia cugina aveva già parlato per me e io sono partita per un lavoro sicuro.

D. Come sei entrata in Italia?

E. Sono entrata col passaporto e un visto per 3 mesi. Poi la Romania è entrata nell'Ue. Mia cugina ha trovato il lavoro in una famiglia con 4 bambini. Facevo la domestica e mi occupavo dei bambini piccoli, perché ami i bambini. C'erano due gemelli di 6 mesi. Di giorno facevo i lavori di casa e la sera mi occupavo dei bimbi. La mattina li teneva la baby sitter. La mamma era presente il pomeriggio. Io ero attaccata ai bambini e preferivo stare con loro il più possibile. Sono ancora in contatto con quella famiglia, pasqua scorsa l'ho passata con loro. Hanno ancora la mia foto sul frigorifero. Non mi hanno fatto il contratto perché non ero in regola. Prima erano problemi... ho lavorato con loro 6 mesi perché prima di partire per l'Italia ho conosciuto un ragazzo che lavorava a Pavia. Ci sentivamo al telefono e così sono andata a vivere a Pavia. Mi ha aiutato tanto stare coi bambini per andare avanti. Non mi sentivo in colpa con mio figlio, e neanche oggi mi sento in colpa. Li ho trattati come se erano i miei bambini. Il maschio non dormiva di notte e io lo prendevo e lui dormiva sopra il mio petto tutta la notte. A volte la mamma mi dava il cambio, ma non era gelosa, anche se lui con lei non dormiva perché lei lo lasciava nel suo letto e mi diceva: tu lo hai abituato male!

Lei si occupava di un deposito farmaceutico.

D. Ti va di parlarmi ancora del tuo rapporto con il tuo bambino per come è stato da quando sei partita?

E. Il mio bambino lo sentivo al telefono. Mia mamma mi diceva di stare tranquilla: il bimbo è piccolo, non sente la mancanza. Non gli facevo mancare niente. Tutto quello che serviva dicevo di comprarlo. Io sono felice di come mi hanno educato i miei, e pensavo: se lo educa così sono felice. Lei ha più pazienza di me.

Ma lui lo sa che la mamma sono io, e dice che sono la più bella, mi fa i complimenti. La nonna invece è la nonna. Anche quando lei gli dice di chiamarla mamma lui non vuole e le dice: la mamma è la mamma.

Io non l'ho mai portato a scuola, non so nemmeno com'è. Questo è un pensiero brutto perché è cresciuto e certe cose sono perse, non le avrai mai. Mi consola il fatto che mia mamma è molto attenta e lo accontenta in tutto e che la mia mia mamma è la più buona e la più brava di tutte. Io non so se posso essere una mamma brava. Lavoro e faccio tutto il possibile per non fargli mancare nulla. Solo questo... ma le altre cose...

D. Continuiamo con la tua storia in Italia, cosa è successo a Pavia?

E. Vado a Pavia per amore... una tragedia. Lui era romeno. Aveva la mia età, non si era mai sposato. Sono rimasta lì 5 anni. Dopo un po' di tempo lavoravo tramite altri romeni. Mi sono sentita in colpa per due mesi perché non potevo mandare soldi a mio figlio ma lui mi aiutava. Dopo due mesi ho iniziato a fare le pulizie a ore e a stirare, ma era troppo poco. Poi ho trovato lavoro come badante a una signora che stava bene, e aveva bisogno solo di compagnia. Non mi faceva nemmeno cucinare. La figlia lavorava a Milano e veniva il fine settimana, così io ero libera il sabato e la domenica. Lì ero in regola e non mi sfruttavano. Abitavo con lei, avevo uno stanza tutta mia. Ero la padrona di casa. Per pulire e stirare aveva un'altra, io ero solo per compagnia. Un anno e 10 mesi sono rimasta, le volevo bene, era bello. Per me è stato bello perché ho trovato persone che si sono affezionate a me e io a loro. Solo una volta ho litigato e alzato la voce perché metteva il riscaldamento fortissimo e io mi svegliavo soffocando.

È finita che è caduta un giorno che era con sua figlia e ha iniziato a dimenticare tutto. È iniziato l'Alzheimer e la figlia ha deciso di prendere un'infermiera professionista. Non è stato brutto perché dentro di me sapevo che potevo fare altro che fare solo compagnia a una signora. Volevo uscire, lavorare di più. Mi soffocava fare compagnia, guardare la televisione, volevo lavorare. Avevo già una casa in affitto.

D. Non hai mai pensato di fare un altro tipo di lavoro?

E. Sì, ma troviamo solo questo. Dopo due settimane ho trovato un lavoro a 8 ore a settimana di pulizie. Fare un altro lavoro è difficile se non trovi la persona giusta che ti può aiutare. Un lavoro da badante o colf lo trovi da conoscenti, ma non hai amicizie diverse che possono trovare un altro tipo di lavoro.

Oggi come oggi, che tutti voi non avete un lavoro fisso, chi ci trova un altro lavoro?

D. Perché secondo te gli italiani non fanno questo lavoro?

E. Gli italiani non fanno questo lavoro perché hanno la loro famiglia e non si permettono di fare gli orari che facciamo noi. Hanno la loro casa... il secondo motivo è perché non sono abituati a vivere una vita di questo genere. I figli mettono gli anziani in casa di riposo e non li tengono in casa o preferiscono mettere una badante e loro vengono 5/10 minuti a vederla e a salutarla.

In Romania è impossibile. Siamo molto attaccati ai nostri genitori che sono sempre vicino ai figli. In casa di riposo da noi vanno solo gli anziani che non hanno figli. Per noi curare i genitori è come curare tuo figlio. Non puoi mandare in casa di riposo, non è solo una questione di affetto, ma di vergogna. Avere una badante in casa di dà più affetto, ti dà tante cose in più di un'infermiera in una casa di riposo, perché loro hanno le loro famiglie, non come una badante che vive con te tutti i giorni. È vero che puoi litigare e avere discussioni, gli anziani si fissano sulle loro cose, ma dopo 5 minuti ti passa. Lei capisce un po' di te e tu capisci un po' di lei e vai avanti. Se hai una discussione in casa non è che poi la odi, già hai affetto e dimentichi, come dimentichi quello che ti fa la tua mamma.

D. Come descriveresti il lavoro che fai per le famiglie italiane?

E. In questo lavoro devi mettere l'anima, come in tutto, anche quando fai le pulizie o la sarta.

Curare una persona è diverso mentalmente perché a fare la sarta devi avere immaginazione e sapere muovere le mani, per essere una brava badante devi mettere l'anima per quella persona, lavarla, vestirla, tenendo conto che ha 80/90 anni. La porti con te in giro, la devi guardare pure tu, chi guarda lei guarda te, se lei è vestita male significa che non l'ahi guardata, che non t'importa niente di lei.

D. Continuiamo con la tua storia...

E. Facevo 8 ore di pulizia a settimana in una villetta. Quando ho conosciuto questa donna con due bambini ha messo in prova 2 volte a settimana per 4 ore al giorno. Lei non era mai a casa e io dovevo tenere tutta la casa. Anche cucire. Dopo un paio di settimane mi ha detto: sei brava, mi piaci, ti vorrei tutti i giorni per 3 ore al giorno. E così sono andata tutte le mattine da lei. Era un lavoro molto comodo perché di pomeriggio ero a casa mia. Questo lavoro da badante è buono, ma non ti senti a casa tua. Se ora voglio fare la doccia devo dirlo, se alle cinque del pomeriggio voglio mettermi in pigiama non lo posso fare. Non è che te lo dice qualcuno, ma non ti senti come a casa tua. Là vivevi anche casa tua, stavi in tuta, qua mi manca stare in tuta.

Se vivi in casa i soldi bastano di più, ma per me avere una casa per conto mio significava ricostruire una famiglia. Volevo stare col mio compagno e pensavo: se le cose vanno bene mi porto mio figlio. Per questo volevo un lavoro a ore e ho preso la casa in affitto e un compagno per avere sostegno maschile in casa: perché un giorno mi porterò mio figlio.

Poi ho conosciuto un vicino di casa palermitano che era lì da 40 anni e lui era un magazziniere allo stadio di calcio di Vigevano e mi ha trovato lavoro come lavandaia per i calciatori con uno stipendio fisso mensile. Così lavoravo pure di pomeriggio due ore tutti i giorni. Poi la signora mi ha fatto conoscere sua madre che mi ha preso pure lei per 2 o 3 volte a settimana. Poi la cognata per 2 volte a settimana. E così avevo tutte le giornate piene di lavoro. ero libera solo la domenica tranne un'ora che ero allo stadio. E quindi ho rinunciato a mio figlio anche perché con il mio compagno è finita male. Ho rinunciato a lui, alla casa, e dopo un apio di mesi ho rinunciato anche a tutta quella vita di Vigevano a Pavia. Sono tornata a Palermo dove avevo sempre sognato di tornare.

7) Tamara, ucraina, 20 giugno 2013, Mestre

Tamara è la Presidentessa dell'Associazione Ucraina più con sede a Venezia. è una donna istruita ed intelligentissima, che ha scelto di fare qualcosa per migliorare la condizione delle lavoratrici migranti in Italia. Le parti più interessanti di questa intervista riguardano alcuni concetti che Tamara spontaneamente ha tracciato, come: la doppia assenza delle donne che migrano, e che però potrebbe anche trasformarsi in una doppia presenza positiva, tenendo insieme i due mondi; la difficile garanzie del loro "diritto di cura", intesa anche come cura verso se stesse, viste le condizioni di lavoro e le responsabilità familiari che non lasciano spazio per pensare a sé. Tamara, infine, parla anche lei delle conseguenze sociali disastrose che la partenza delle madri ha sulla vita dei figli rimasti in patria, degli effetti perversi delle rimesse, usate a volte in maniera distruttiva, della forza delle donne di fronte alla crisi economica dopo il crollo del comunismo, che contrasta con la debolezza di uomini che hanno perso in un momento il loro ruolo familiare ed economico.

D. Sei la presidentessa di un'associazione ucraina qui a Venezia. Mi racconteresti la sua storia?

Tamara. L'associazione è nata nel 2003, siamo registrati dall'estate del 2004. Praticamente 9 anni. Dal 2005 abbiamo organizzato scuola per bambini ucraini in ucraino e dal 2007 la nostra scuola è ufficialmente registrata presso il Ministero della Pubblica Istruzione a Kiev e così i nostri bambini vanno a scuola normalmente qui in Italia, e il sabato vengono da noi, e così a fine anno hanno il certificato statale italiano e ucraino.

Questo progetto è nato per dare possibilità ai nostri bambini di tornare in Ucraina dove avranno documento riconosciuto, perché documento italiano da noi, come nostro qui nessuno vuole riconoscere, da noi è la stessa roba.

D. Da dove è venuta questa idea?

T. L'idea era mia perché ho portato mio figlio qui e dopo 6 mesi, lui aveva 9 anni, quasi 10, e una sera lui ha scritto una lettera alla nonna e mi ha chiesto: mamma non ricordo come si scrive una lettera, e questo mi ha spaventato, perché erano passati solo 5, 6 mesi. Io ho trovato una nostra signora che era maestra di scuola e con lei abbiamo cominciato. Il primo anno avevamo 3 bambini. Proprio perché non dimentichino la lingua. Dopo nel 2006 io sono stata delegata a un forum mondiale degli ucraini a Kiev, sono stata delegata dall'Italia, e lì abbiamo parlato di questo tema. Non eravamo solo noi, ma venivamo da tanti paesi in questa organizzazione mondiale tipo "veneti nel mondo" o "italiani nel mondo" e dal 2007 hanno creato questa scuola internazionale. Adesso, tre settimane fa, abbiamo avuto qui una commissione didattica da Kiev, quelli che hanno fatto esami statali e rilasciato il certificato per i bambini, e io siccome alcuni bambini già sono andati via, ce li ho con me, questi certificati (me li mostra) che sono tipo una pagella. E poi per l'ultimo anno di scuola abbiamo anche un attestato di maturità, che mio figlio per esempio ha ricevuto qui.

D. Ma tanti bambini ucraini rimangono a casa quando le loro madri emigrano, giusto?

T. Le mamme che lavorano come badanti non portano qui i bambini, ma di solito cercano di portarli perché in Ucraina magari o le famiglie sono già separate o divorziate... ce ne sono tante storie...

D. Ma come si fa a lavorare nelle case e avere con sé anche i bambini?

T. Molto difficile, vera tragedia. Anche io ero convinta... sono convinta, che il bambino deve crescere con la mamma, ma conosco qui i casi per esempio di diversi bambini che non possono partecipare, non possono venire alla nostra scuola, perché la mamma lavora, anche sabato e dice: non posso mandare il bambino da solo, di 11, 10, 9 anni, con pullman o con treno, perché vengono da Padova, da Dolo, da Preganziol... e così tanti bambini stanno a casa davanti al computer tutto il giorno.

Quelle che hanno portato i bambini non è che hanno risolto il problema...

D. Secondo te in Italia si conosce questa realtà?

T. A me pareva che questo tema è già parlato e super parlato e super conosciuto, perché anche dal servizio di immigrazione mi hanno detto una volta: basta con queste badanti, basta parlare di loro... ci sono altri temi da sviluppare! Certo, in questa crisi che viviamo, io dico crisi non è fuori di noi. Crisi abbiamo qui e qui (indica testa e cuore). Tutto il resto dipende dal nostro punto di vista e da quello che facciamo per noi stessi e per i nostri bambini.

D. Ma cosa pensi del nome che gli italiani vi danno: "badanti?

T. La nostra associazione nata nel 2003 e registrata nel 2004 è stata formata dalle cosiddette badanti. Anche noi abbiamo protestato di questo nome, abbiamo fatto ricerche e non ci è piaciuto per nulla. E fino ad oggi...

D. E del modo in cui le famiglie italiane considerano il vostro lavoro?

T. sapete cosa è un prodotto elettrodomestico? Un ferro da stiro, una cosa che voi usate quando vi serve? Quando vi serve c'è spina, usate, e dopo mettete a parte... così siamo noi, molto spesso ci sentiamo noi in queste condizioni. Perché funziona molto spesso così. non posso dire che nessuno... ce ne sono tante che hanno trovato famiglie per bene, che sono state accolte come nella sua famiglia, come sua figlia, ma molto spesso fino a oggi, il fenomeno di maltrattamento in condizione economica e per tutto quel che riguarda la nostra vita esiste. Questi diritti violati, questi...

Sapete che in Ucraina nel 2007 dai nostri psicologi è stata descritta questa nuova malattia che si chiama: "sindrome Italiana". Praticamente, donne che hanno lavorato come badanti e che tornano a casa e non riescono a reintegrarsi nella società e soprattutto nella famiglia. Non trovano più questi legami, non trovano lavoro, non trovano... non ci capiamo... che società non accetta e non capisce. La donna che qui ha cambiato il suo carattere, ha cambiato il punto di vista, ha cambiato tante cose, e non accetta quello che vede lì.

D. Non hai mai pensato che la partenza di tutte queste donne possa anche rappresentare una forma di emancipazione da relazioni familiari difficili?

T. Sì, magari alcuni, tanti, pensano che abbiamo scelto per questo... io ero emancipata già, da anni, in Ucraina, perché la mia emancipazione è stata quando ho deciso di fare divorzio. Perché 10 anni di un matrimonio terribile, sono stata la prima nel nostro villaggio, la prima di una famiglia numerosa che ha chiesto il divorzio. Questa era mia emancipazione. Sono felicemente single, ma non significa che le donne quando dicono "felicemente single" non vogliono stare con un uomo. Io non credo in emancipazione come fenomeno, questo è il mio punto di vista, molto personale.

D. Ma tu perché sei partita?

T. Come mamma, io avevo già tre bambini ed ero davanti di una scelta: o andare a vivere sotto ponte, e magari che i miei bambini diventano barboni e vanno a chiedere elemosine sotto chiesa, o dovevo prendere questa decisione di emigrare, con mie due lauree, che non servivano lì, e che non servono qui.

Così la mia storia come tante altre è partita non da Ucraina ma da frontiera, dove abbiamo lasciato tutto. Siamo arrivati qui nudi, senza tutto, e qui abbiamo cominciato a creare il nostro percorso quasi da zero. I bambini che sono stati strappati sono rimasti lì... è una tragedia. Io sono convinta che ogni mamma deve crescere il suo bambino vicino. Deve tenere tra le braccia ogni sera, deve leggere una favola, raccontare una storia. Ma qui anche altro discorso perché io per esempio ho fatto venire tutti e tre: due erano già grandi, e sapete cosa è successo? Che tutti e tre sono tornati. E io sono felicissima perché questo è stato loro decisione, loro punto di vista. Per giovani qui non c'è tanto da fare, o devono studiare per andare avanti, ma fare badante ... non lo auguro a nessuno, né donna adulta, né soprattutto donna giovane.

D. Ma come crescono i bambini in Ucraina quando la loro mamma parte per lavorare all'estero?

T. C'è altro fenomeno quello che si chiama bambini... "orfani sociali" e come dato di fatto è una cosa terribile di raccontarvi, ma devo dire perché 10, 12, 15 anni fa eroina, quello che usava, quello che voleva usare poteva trovare solo in città grandi, magari Kiev, nella fascia del beau monde, i cosiddetti artisti... adesso anche in un villaggio sperduto in Ucraina potete trovare. Perché quelli che distribuiscono sanno dove c'è soldi, perché lì mandiamo tutto. La donna che lavora in casa di italiani non paga affitto, spendeva per telefonino, adesso quasi tutte nostre donne hanno computer, hanno skype, e questa è stata una rivoluzione perché ogni giorno, ogni sera possono vedere suoi bambini, suoi cari, ma ... bambino non può abbracciare computer andando a dormire... non so è un tema molto particolare, molto duro...

D. Cosa diresti della condizione delle donne ucraine a Venezia?

E. A Venezia oggi come oggi siamo registrati presso Comune, abbiamo residenza circa 5000 Ucraini. Tra di loro conosco solo una decina, quelli che hanno fatto esami e quelli che hanno fatto riconoscere sua laurea qui, perché è molto complicato, costa troppo e se una donna giovane lavora come badante è impossibile... proprio impossibile. A Venezia c'è una farmacia in campo San Bartolomio e lì lavora una mia carissima amica come farmacista e lei ha impiegato 6 anni, ha fatto tre esami a Roma per fare questo riconoscimento.

D. Perché secondo te, anche dall'Ucraina, sono soprattutto le donne a partire?

T. Quando è crollato muro, ieri eravamo ricchi, ieri eravamo persone con dignità, soprattutto nostri mariti, nostri uomini. Perché crollo del Soviet Union non è stato in anni, come è crisi oggi, che abbiamo cominciato a parlarne 2, 3 anni fa e ogni mese dicono: adesso abbiamo toccato fondo. No. Crollo del Soviet Union è stato un giorno. 2 giorni. Sapete quanti suicidi ci sono stati? Sapete quanti soldi abbiamo perso nelle banche? Io avevo, adesso posso dire, avevo 40.000 rubli. Ero non ricchissima, super ricca nel nostro paese, perché lavoravo... giorno dopo io con questi soldi non potevo comprare neppure un chilo di salame. È stata una cosa terribile. E quando uomini, soprattutto nostri uomini che era padrone della casa, che portava soldi, che suo stipendio era sempre più alto della donna, è rimasto senza lavoro! perché legami economici tra Ucraina e Siberia, o Kazakistan, tutto crollato, tutto è restato fermo. Tutta l'industria, mercato, tutto. Pagavano stipendi con ferro da stiro, con lavatrici, con collana, con lenzuola. Do mangiare ai miei bambini cosa? Abbiamo cominciato a fare mercato con Polonia, andare a Mosca, come mia nonna ha fatto nel 1931 quando era carestia, quando lei prendeva un pezzo di stoffa, una pentola e andava a cambiare per un chilo di farina, così è stato nel '92, '92, '94. Uomo cosa ha fatto? Chiedo scusa di quelli che sono presenti qui.... Antropologicamente è persona più debole e ha cominciato a bere. La donna è più responsabile, perché ha questa creatura accanto che deve dare da mangiare... e cosa abbiamo fatto? Abbiamo deciso di emigrare! Qualcuno ha deciso di rubare, qualcuno ha deciso di... ma negozi erano vuoti... vuoti! Niente... e noi siamo qui venuti non come d'Africa, per un pezzo di fame. Perché da noi un Ucraina, altro fenomeno che voi non conoscete, anche in Kiev, anche in città grandi, ogni famiglia fuori di casa ha il suo orto. 3000 metri quadrati, 600, ma ha il suo orto. Ha famiglia in villaggio da dove porta latte, magari patate, magari carne, tutto. Questo non era grande problema. Per noi è stato problema più grande di dare istruzione ai nostri bambini. E sapete quante lauree abbiamo dato da qui? Che adesso questi bambini, nostri bambini, non hanno lavoro! metà dei nostri cosiddetti badanti hanno pagato studio e loro non lavorano, perché non c'è lavoro! per nostre lauree è questo fenomeno che qui non è possibile.

D. Come sono stati i tuoi rapporti con le famiglie per cui hai lavorato in Italia?

T. Io anni e anni ero arrabbiata con la pima signora dove ho fatto sette mesi di badante... sapete che sto scrivendo un piccolo libro? Ma non credo che uscirà... è un libro di racconti della vita... ho lavorato sette mesi con una signora cattivissima, quelli che capitano raro, ma è capitato a me... era cattiva, cattiva, proprio davvero cattiva, penso che fin dalla nascita era così. E quando nel 2002 era uscita sanatoria, fino a ultimo giorno lei mi ha promesso: ti faccio documenti, e non mi ha fatto. Io sono uscita da lei a novembre e 11 novembre scadeva sanatoria. E io ho detto a me stessa: o trovo qualcuno che mi aiuta, trovo lavoro quello che per me è meglio, perché non sopportavo proprio questo lavoro, o torno a casa, perché a casa ho genitori da accudire. Avevo desiderio molto forte, e giorno dopo ho incontrato un'italiana che mi ha fatto contratto e con chi ho lavorato 5 anni come impresa di pulizia, mi ha inserito nella scuola edile per fare pulizia. Oggi io faccio parte di amministrazione della scuola. Da noi si dice hai fatto carriera! Perché ho fatto pulizie, ho fatto bidella e adesso faccio amministrazione. E sono contenta perché nessun regalo mi è caduto dal cielo, ma ho fatto io...

Ero talmente arrabbiata con questa donna, perché ero trattata malissimo... e poi ogni sabato o ogni domenica noi ci incontravamo con nostre amiche, quelle conosciute qui, da Ucraina che lì non potevo conoscere... e ogni domenica qualcuno piangeva, qualcuno raccontava la stessa storia, qualcuno raccontava di questi maltrattamenti, qualcuno era felice perché diceva: a me hanno accettato come figlia (conosco persone che da 8, 9 anni lavorano nella stessa famiglia e non vogliono cambiare nulla. Perché stanno bene!). ma io ho deciso con nostre donne abbiamo parlato tanto, che dobbiamo fare qualcosa, non è possibile che qui, XXI secolo, un paese libero, un paese democratico, non riusciamo a trovare protezione per noi. Poi mi pare nel 2008 è uscito quello che siamo diventati una categoria "assistente domestico", prima eravamo semplicemente "badanti" e fino a oggi nel Cisl, CGIL, c'è "ufficio per badanti", e questo è stato una spinta. Oggi se questa signora è viva vorrei ringraziare che ha dato questa tanta rabbia...

Ultimamente ho visto che associazione per donne cosiddette badanti magari non serve più, perché quasi tutte sono sistemate stanno meglio, qualcuno ha trovato compagno, qualcuno ha trovato lavoro più dignitoso, e così al nostro sportello informativo vengono meno, e da questo punto di vista anche contenta

D. Pensi davvero che le donne migranti che lavorano nelle case italiane ora stiano meglio?

T. è vero che vivono sempre di là e di qua... i primi anni quando parlavamo tra di noi, quando piangevamo tra di noi, dicevamo sempre: siamo così, non posso dire disgraziate, ma non viviamo né di qua né di là. Io adesso, personalmente ho imparato, e sto insegnando a tante nostre donne che possiamo e c'è possibilità vivere e di là e di qua. Non come parlavamo prima, 5 anni fa, che non puoi sedere con un sedere a due sedie, e non puoi spezzare cuore per due paesi. Non dobbiamo spezzare, dobbiamo semplicemente amare. Adesso con areo è più facile andare a casa: io consiglio sempre: andate a casa più spesso. Soldi non è l'unica cosa. Sempre c'è qualcuno che ti aspetta anche senza soldi. Nostra fortuna non è caduta dal cielo. Nostra fortuna è guadagnata

Un mio suggerimento: parla del diritto di cura delle donne che fanno le badanti.

Fino ad oggi quelli che curano altri non si curano di se stessi, quanti casi di cancro, quelli che un anno fa potevamo salvare adesso è impossibile: perché non aveva il permesso di uscire da casa, perché non aveva tempo, non aveva soldi, perché lei non sapeva dove andare, non aveva documenti, ecc.

Io sono qui con permesso scaduto, se domani mi succede qualcosa mi accettano in ospedale, ma se vado dal mio medico di base non mi fa il certificato medico.

Oggi dopo 12 anni in Italia, dopo 12 anni di contributi pagati regolarmente, io dipendo da un pezzo di carta... è così.

8) Eugenia, moldava, 20 giugno 2013, Venezia

Eugenia è la presidentessa dell'Associazione Dacia più, a Venezia, nata per dare un risvolto costruttivo alla nostalgia di tanti migranti, ma soprattutto per sostenere le donne che prestano lavoro familiare nel loro difficile percorso. Eugenia ha sviluppato una capacità inedita di vivere in e tra due mondi. Le parti più interessanti della sua intervista riguardano proprio lo struggimento del distacco e della lontananza, ma anche la forza di reinventare un'identità nuova, che è molto più della semplice sommatoria delle condizioni di emigrata e di immigrata.

Domanda. Come è stata la tua vita in Italia fino ad oggi?

Eugenia. Questo tempo che ho lavorato qua come badante ho scritto tante poesie dove... ho messo tutto: mia nostalgia, dolore, tutta la rabbia che veniva giorno dopo giorno che incontravo.

D. E come mai hai deciso di creare un'associazione?

T. Tra noi ci incontriamo e sempre le compaesane mi dicono: dai Eugenia leggi per favore una poesia, di nuovo leggi per favore un'altra poesia. E così, stiamo in gruppi e dico: magari sarà facile formare un'associazione e ottenere uno spazio e incontrarci e di mettere magari anche altri problemi in comune e non solo quelle poesie che erano lette così in gruppi piccoli. E così nel 2006, meno di un anno di quando sono venuta qua è stata registrata la nostra prima associazione. Dico prima perché era un tentativo di associazione, che ci ho messo tanto cuore, ci ho messo tanto da fare, e poi non diciamo come sia finita perché subito dopo un anno abbiamo fatto nostra associazione Dacia che è presente anche oggi e che davvero fa quello che deve fare un'associazione.

Ma se vuoi capire di più, devi leggere un libro. Si chiama Totentanz. Vita di una notte, diario di una badante, (27) di una scrittrice nostra moldava. Tradotto da tre donne splendide. Il giorno in cui abbiamo fatto presentazione di questo libro, dopo otto anni che sono qua e ho lavorato come badante, e anche adesso, mi sembra che rimane per tutta la mia vita queste emozioni che ho vissuto quando ho lavorato e quando abbiamo fatto questa presentazione. Vi dico solo che dovete leggerlo questo libro per capire la vita di una badante. Sono tre protagoniste, ma che comprendono tutto: e nostalgia dei figli, e lontananza, e ricchezza di quello che abbiamo lasciato a casa, di tristezza di nostre situazioni che sono qua.

D. Spiega meglio questa condizione comune...

E. Perché quando noi veniamo a prendere questo lavoro non importa se sei laureata o non sei laureata, hai lavorato, hai studi non hai studi: sei badante, non sei in regola, sei lontano di figli, sei lontano di tuoi genitori, sei lontano di casa. Siamo tutti uguali, con lo stesso dolore, con gli stessi problemi, con la stessa nostalgia. come dico tante volte, il sangue ha colore sì, ma le lacrime non ha colore e non ha frontiera, non le riconosci. Le lacrime sono uguali come per noi stranieri e anche per voi. Solo che... distanza... è questo.

Il problema per noi è distanza... è lontananza... di quello che abbiamo caro e che abbiamo lasciato... di là.

D. E tu cosa riesci a fare con la tua associazione?

E. Anche stando in associazione, così, con i nostri compaesani tante volte mi trovo così che non so come aiutarli. Certo, posso rispondere, posso dire da dove veniamo, che abbiamo anche noi un paese d'origine bello, da dove veniamo. Sempre gli italiani mi chiedono: ma avete anche voi delle città? Potete usare ferro da stiro? (...) Va bene che io non rispondo con cattiveria, questo è il modo mio di essere, e un po' alla volta Mi sono messa dove devo essere. Ma tutte nostre donne che non possono rispondere, non conoscono la lingua e non hanno coraggio di affrontare, di mettersi, parlare, di dire chi sei, che sei una persona per bene, che sei venuta a lavorare, non per fare male. Tante volte non siamo capiti bene, tante volte. Ed è peggio per chi non può rispondere e non si può mettere in discussione. E allora questa malattia ti viene qua dentro (cuore) e ti viene qua (testa) quando non ti puoi sfogare, non puoi parlare.

Tutti questi problemi tante volte noi li mettiamo a discutere tra noi: magari vengono, si sfogano e noi le ascoltiamo e possiamo dare un consiglio, un rimedio. L'associazione c'è un posto dove vengono non solo per... perché facciamo tante feste, ne conosco tanti che fanno feste, fanno da mangiare, presentazione belle, sì, queste ti arrivano fuori... ma dentro di noi, dentro di associazione, sono tanti problemi, importanti e gravi, che forse noi possiamo dare quel sollievo che hanno bisogno nostre donne che lavorano come badanti e in altre parti non trovano

Noi abbiamo fatto un progetto insieme con... a Santa Elena, ritorno a Casa Mare. Casa Mare per noi è una stanza sacra, santa, dove si viene dal battesimo al funerale. È un posto dove si tengono le robe sante, dei tappeti, asciugamani e tutto quello che ci rappresenta. E noi abbiamo portato qui a Venezia Casa Mare, è un pezzo del nostro paese e del nostro cuore. Quando facciamo le feste dappertutto siamo andati anche a Padova, a Vicenza, con questa Casa mare nostra, tutti: mio Dio mi sono sentita come a casa... quanti ringrazieri, mio Dio mi sono sentita come a casa. Magari quello che si può fare con questo tavolo, o con discorso, non so... si può parlare tanto e tanto perché non sono racconti ma è nostra vita....

Una canzone che cantiamo noi dice così:

"Non piangere bella

Io devo partire

E devo restare lontano da te"

E così siamo partiti, siamo stati lontano, siamo immigrati come tanti altri italiani anni fa... non lo so se si ferma questo giro, perché di qua vieni qua... di qua vai in un'altra parte, perché noi gente muoviamo... cerchiamo posto dove sentiamo che qua sarà più bello di dove siamo. Ma lo stesso, non importa dove andiamo, le radici rimangono radici, io le sento, le apprezzo e le mantengo per tutta la vita.

D. Tu quanto tempo sei rimasta lontano da casa?

E. Non sono andata a casa 5 anni e avevo una nostalgia nel tornare a casa, tante emozioni che non vi dico. Di rivedere i genitori, figli. Proprio quell'anno sono tornata in maggio e mi sono incontrata con mia figlia, e poi quando sono tornata piangeva lei e io di più. Sono andata a casa dopo 5 anni e sono stata due mesi, e vi dico che dopo due mesi sentivo già la nostalgia di tornare qua.

D. Nostalgia dell'Italia?

E. Vado spesso a casa. Non prendo adesso un mese per tornare a casa, ma 10 giorni vado tre volte l'anno. Quando non c'è tanto lavoro lascio mia amica e parto sempre. Quello che è qua io vivo e do tutto quello posso. Non esisto, io vivo, mi piace dire che io vivo, per me è una piccola differenza di vivere o di esistere, anche se tu pensi che è uguale, io vivo. E poi di là che ci sono le mie radici, i miei bambini i miei genitori. Quando vado di à vivo di là, quando sono qua io vivo qua. Io lavoro con me stessa per essere così, non è facile. Io voglio essere così. Sono fortunata perché dopo 5 anni sono tornata a casa ed erano già le nove di sera e mia mamma mi aspettava e mi incontra: eh, buona sera signora! In Italiano. Lei mi ha dato coraggio... dalle radici viene l'amore per la vita. E lo stesso ho fatto io per i miei figli, e così va avanti generazione dopo generazione.

Note

1. Possenti parla a questo proposito delle politiche migratorie come di un "dispositivo di flessibilità". Cfr. I Possenti, Attrarre e respingere. Il dispositivo di immigrazione in Europa, Pisa University Press, Pisa 2012, p. 10.

2. E Santoro, La regolamentazione dell'immigrazione come questione sociale: dalla cittadinanza inclusiva al neoschiavismo in, Diritto come questione sociale, a cura di F Belvisi, A Facchi, T Pitch, C Sarzotti, Giappichelli, Torino 2010.

3. Per una definizione del lavoro di riproduzione sociale, cfr. B Casalini, Il care tra lavoro affettivo e lavoro di riproduzione sociale, in «La società degli individui», Fascicolo 46, Franco Angeli, Milano 2013.

4. S Castles, M J Miller, L'era delle migrazioni. Popoli in movimento nel mondo contemporaneo (1993), Odoya, Bologna 2012, pp. 32-33.

5. E Kofman, P. Raghuram, Genere, migrazione e lavoro di cura nel Sud globale, in Welfare transnazionale. La frontiera esterna delle politiche sociali, a cura di F. Piperno e M. Tognetti Bordogna, Ediesse, Roma 2012.

6. L. Balbo, M. Bianchi, L. Zanuso, E. Wilson, Doppia presenza e mercato del lavoro femminile: una ricerca sulla condizione della donna nelle società a capitalismo avanzato, in «Inchiesta», n. 32, 1978.

7. Molte ricerche hanno dimostrato come l'aumento della presenza migrante in Italia, soprattutto femminile, abbia provocato un corrispettivo aumento dell'offerta di lavoro per le donne autoctone. Cfr., ad es., C. Agostini, E. Longobardi, G. Vitaletti, Donne migranti. Quali opportunità per il nostro paese? in «L'economia dell'immigrazione», Fondazione Leone Moressa, n. 2, 2012.

8. A. Del Re, Questioni di genere: alcune riflessioni sul rapporto produzione/riproduzione nella definizione del comune, in «About Gender», n. 1, 2012, p. 153.

9. S Sassen, The Other Workers in the Advanced Corporate Economy, in «The Scholar and Feminist Online, Valuing Domestic Work», Issue 8.1: Fall 2009.

10. Nel 1990, Tronto definiva la cura "come una specie di attività che include tutto ciò che noi facciamo per conservare, continuare e riparare il nostro 'mondo' in modo da poterci vivere nel miglior modo possibile. Quel mondo include i nostri corpi, noi stessi e il nostro ambiente, tutto ciò che cerchiamo di intrecciare in una rete complessa di sostegno della vita". Cfr. J C Tronto, Confini morali. Un argomento politico per l'etica della cura (1993), Diabasis, Reggio Emilia 2006, p. 118. Cfr. anche M Fischer, J C Tronto, Toward a Feminist Theory of Care, in Circles of Care, a cura di E K Abel e M K Nelson, State University of New York Press, Albany 1990, pp. 36-54.

11. A Ioli, Dal primo contratto collettivo sul lavoro ai giorni nostri, in Lavoro domestico e di cura: quali diritti? A cura di R Sarti, op. cit.

12. E F Kittay, Love's Labor. Essays on Women, Equality and Dependency, Routledge, New York and London 1999, pp. 117-118.

13. R Sarti, Lavoro domestico e di cura: quali diritti?, in Lavoro domestico e di cura: quali diritti?, a cura di R Sarti, op. cit.

14. C Turri, Le Acli-colf e l'evoluzione dei diritti delle lavoratrici domestiche, in Lavoro domestico e di cura: quali diritti?, Ediesse, a cura di R Sarti, Roma 2011.

15. C. Bartoli, Per due centimetri a settemila chilometri da un figlio. Il razzismo istituzionale passa anche dall'idoneità alloggiativa in Di Vita, A. M., Miano, P. (a cura di), Da Antigone a Sakineh. Culture femminili e soggettività, Franco Angeli, Milano 2011.

16.A R Hochschild, Love and Gold, in S&F Online, Valuing Domestic Work, Issue 8.1: Fall 2009.

17. Cfr., tra gli altri studi disponibili: Associatia Alternative Sociale, Home alone! Study made in Iasi area on children separated from one or both parents as result of parents leaving to work abroad, 2006; Soros Foundation Romania, Effects of Migration: Children Left at Home, 2007; Unicef-Aas, National analysis of the phenomenon of children left home by their parents who migrate abroad for employment, 2008; Fondazione Albero Della Vita, Dossier "Orfani bianchi", 2010.

18. Come scrive Kittay, "Scelta di Sofia" è un modo di dire derivato dall'omonimo romanzo di William Styron, noto soprattutto per la sua trasposizione cinematografia con protagonista Meryl Streep. Quest'espressione viene spesso usata per indicare una decisione immorale e impossibile. Nel film, Sofia, una giovane donna polacca, deportata ad Auschwitz con i suoi due bambini, è costretta da un generale tedesco a decidere a quale dei due salvare la vita. La bambina viene inviata alla camera a gas; il bambino viene rinchiuso in un altro campo, ma presto se ne perde ogni notizia e rimane il sospetto che anche lui abbia ben presto perso la vita. La scelta tragica devasterà per sempre l'esistenza della donna. Cfr. Kittay E. F., Il danno morale del lavoro di cura migrante: per un diritto globale alla cura, trad. it. di Brunella Casalini, in SIFP, 14 luglio 2009.

19. A Sciurba, La scelta di Sofia: come incidono le migrazioni femminili sui diritti dei minori 'Left behind'?, in Il divieto di tortura e altri comportamenti inumani o degradanti nelle migrazioni, a cura di L Zagato, Cedam, Padova, 2012. Il concetto di "campo di forza" è diverso da quello di "regime" utilizzato in precedenza sulla scia di Esping-Andersen. Il "campo di forza", infatti, definisce più precisamente, e con particolare riferimento alle migrazioni, la tensione esistente tra controllo istituzionale e scelte soggettive degli attori sociali (in questo caso i migranti) cui tale controllo è diretto e, all'interno di questa tensione che ridisegna i percorsi migranti, il ruolo specifico che tali scelte, e gli atti che ne derivano, possono assumere. Cfr. A Sciurba, Campi di forza. Percorsi confinati di migranti in Europa, Ombre corte, Verona 2009.

20. E F Kittay, 2009, op. cit.

21. Molto produttivo, per cogliere in cosa consista questo diritto e quindi in che modo esso venga violato, è l'approccio dell'etica della cura, ovvero, come scrive Gilligan, «di quell'etica che, con la sua attenzione alla voce (al fatto che ognuno abbia una voce e che questa voce sia ascoltata e compresa) e alle relazioni, è l'etica propria di una società democratica». Cfr. C Gilligan, Un regard prospectif à parti du passé, in V Nurock, Carol Gilligan et l'éthique du care, PUF, Paris 2010, p. 20. Questa assunzione preliminare della cura come categoria politica comporterebbe, evidentemente, anche la necessità di ripensare le relazioni tradizionali tra la sfera pubblica e la sfera privata, tanto che «in un mondo in cui la centralità della cura fosse considerata più seriamente, definiremmo come cittadini le persone impegnate in relazioni di cura con altri. La cura stessa diverrebbe in tal modo una possibile caratteristica qualificante della cittadinanza». Cfr. J Tronto, Care as the Work of Citizens. A modest proposal, in, Women and Citizenship, a cura di M Friedman, Oxford University Press, New York 2005, p. 131 (traduzione nostra).

22. Cfr. ad. Es., per l'Italia, C. Morini, La serva serve. Le nuove forme del lavoro domestico, DeriveAppordi 2001, o Bonizzoni, P. Famiglie globali. Le frontiere della maternità, Utet, Torino 2009.

23. Marian Barnes, Caring and social justice, Palgrave Macmillan, New York 2006, pp. 22 e ss.

24. A. è la figlia di L., ai tempi dell'intervista ha 5 anni ed è compagna di classe di mio figlio Nicolò fin dal primo anno di asilo nido.

25. Capisco dopo che forse c'è un'incomprensione linguistica "si pensa" non è forma verbale che Lilia comprende e crede che io le chieda cosa pensano le donne che sono andate via.

26. Si riferisce al suo fidanzato.

27. Cfr. C. Partole, Totentanz. Vita di una notte. Diario di una badante, Supernova Edizioni, Torino 2013.