ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Introduzione

Diana Genovese, 2013

La trattazione si propone di analizzare l'impatto della direttiva 2008/115/CE, 'recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare' ('direttiva rimpatri') in due Stati membri tenuti alla sua recezione, l'Italia e la Francia. Il sistema di espulsione degli stranieri irregolari di questi paesi, risultante dall'attuazione degli obblighi comunitari, è messo, successivamente, a confronto con quello attualmente vigente nel Regno Unito, che, in forza del suo diritto di esercizio del potere di opt-in, ha deciso di non adottare la direttiva in questione.

La prima parte del capitolo I è dedicata all'analisi del contesto europeo all'interno del quale è stata emanata la 'direttiva rimpatri'. Si fa riferimento, in particolare, all'incessante arrivo di migranti sul territorio europeo e al prioritario obiettivo di creazione di uno 'spazio di libertà, sicurezza e giustizia', due fattori che hanno spinto l'Unione europea a dotarsi, a partire dal 1999, di una competenza in materia di immigrazione ed asilo volta ad una gestione efficace del fenomeno immigratorio in tutti gli Stati membri.

Il contrasto all'immigrazione irregolare, quale obiettivo primario della politica di immigrazione dell'Unione europea, è stato perseguito attraverso due direttrici parallele: dapprima mediante l'attuazione di un controllo 'armonizzato' delle frontiere esterne e, successivamente, con l'adozione di misure repressive come fattore disincentivante all'arrivo o alla permanenza irregolare di cittadini di Paesi terzi. Parallelamente a questa azione di contrasto, l'Unione europea ha progressivamente sviluppato una politica complementare cosiddetta 'de retour' ('di rimpatrio') dei cittadini di Paesi terzi che soggiornino irregolarmente nel territorio degli Stati membri, affinché l'allontanamento si configuri come l'unica conseguenza possibile all'ingresso e al soggiorno irregolare degli stranieri. A questo scopo le istituzioni europee inserirono tra le priorità della propria agenda la conclusione di accordi di riammissione con i Paesi terzi e la predisposizione di norme comuni in materia di rimpatrio.

Oggetto della seconda parte del capitolo I è il processo di adozione della 'direttiva rimpatri', la quale ha sancito a livello europeo l'inammissibilità sul territorio degli Stati membri dei cittadini di Paesi terzi in situazione irregolare. Trattandosi, tuttavia, del primo atto in materia di immigrazione adottato con la procedura di codecisione ed essendo stata riscontrata la resistenza della quasi totalità degli Stati membri, preoccupati di un'ingerenza eccessiva in una materia di competenza tradizionalmente nazionale, l'accordo tra il Consiglio e il Parlamento europeo venne raggiunto solo dopo tre anni. L'analisi si concentra, in particolare, sulle posizioni diametralmente opposte delle due istituzioni circa gli emendamenti da presentare alla proposta, avanzata dalla Commissione europea nel 2005, e sul successivo riavvicinamento avvenuto con le negoziazioni ('triloghi') dei primi mesi del 2008, grazie alle quali si è potuti giungere ad un testo di compromesso, approvato in prima lettura sia dal Parlamento che dal Consiglio nel corso del 2008. Dopo una comparazione delle differenti versioni della direttiva che si sono succedute nel corso dei negoziati e un esame del testo finale di compromesso confrontato con la proposta originale della Commissione, la trattazione si sofferma sulle reazioni europee e internazionali che la 'direttiva rimpatri' ha suscitato, le quali con voce pressoché unanime le hanno regalato la fama di directive de la honte ('direttiva della vergogna').

Nei capitoli II e III sono messi a confronto i sistemi di espulsione degli stranieri irregolari in Italia e in Francia, così come si sono configurati a seguito del recepimento della direttiva 2008/115/CE, sottolineando i miglioramenti e le regressioni che i due ordinamenti hanno subito per effetto della direttiva e per volontà dei legislatori. In entrambi gli Stati, i rispettivi governi non hanno osservato i termini per il recepimento della direttiva e hanno cercato di sanare le evidenti distanze tra le discipline nazionali e la direttiva, attraverso l'emanazione di circolari ministeriali estremamente parziali e approssimative.

L'analisi si sofferma in particolare sulle incompatibilità che caratterizzavano le precedenti legislazioni dei due Stati rispetto all'atto comunitario in questione e sulle quali sono intervenute tra il 2011 e il 2012 due importanti sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea, nonché sulle difformità che tuttora permangono sia rispetto alla direttiva sia rispetto a quanto sancito dai giudici di Lussemburgo. In questi due capitoli si cerca di dimostrare che la cosiddetta directive de la honte si è dimostrata capace di far cadere le disposizioni di diritto interno meno rispettose dei diritti degli stranieri.

L'ultimo capitolo concerne, infine, l'analisi del sistema di espulsione degli stranieri irregolari del Regno Unito, uno Stato membro che storicamente si distingue dagli altri per la sua partecipazione differenziata all'Unione europea, in particolare per quanto riguarda il controllo delle frontiere e le misure in materia di immigrazione. Al momento della presentazione della proposta di 'direttiva rimpatri' da parte della Commissione, il governo britannico, dopo aver consultato e informato le due camere del Parlamento, decise di non esercitare il proprio potere di opt-in. Il mantenimento della legislazione interna era infatti ritenuto preferibile, soprattutto per la sua flessibilità, rispetto all'adozione dell'atto comunitario, il quale secondo l'esecutivo avrebbe diminuito l'efficacia dei rimpatri e posto problemi pratici dati dalla mancata adesione del Regno Unito a numerose parti dell'acquis di Schengen. Da un confronto dell'attuale normativa britannica con le disposizioni della 'direttiva rimpatri' si nota tuttavia una notevole vicinanza tra le discipline, più di quanto non sia avvenuto in Italia e in Francia a seguito della recezione dell'atto comunitario.