ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo III
Il recepimento della 'direttiva rimpatri' in Francia

Diana Genovese, 2013

La Francia, al pari dell'Italia, è uno dei venti Stati membri (1) che alla scadenza del termine per il recepimento fissato alla vigilia di Natale del 2010 (2) ancora non aveva messo in atto alcuna misura di attuazione della direttiva 2008/115/CE: qualcuno ha ipotizzato la volontà di mostrare un certo disagio circa l'ingerenza dell'Unione europea in una materia in cui, più di tutte, si esercita il potere rappresentativo della sovranità statale (3).

Tuttavia è curioso pensare che proprio la Francia lavorò con determinazione affinché la 'direttiva rimpatri' venisse adottata sotto la sua presidenza prima della fine del 2008, e dopo appena due mesi dall'approvazione del Patto sull'immigrazione e l'asilo (4), da questa fortemente voluto (5). Nella consapevolezza che l'Unione europea «non ha mezzi per accogliere degnamente tutti gli immigrati alla ricerca di una vita migliore», l'idea di fondo del Patto del 2008 era quella di non consentire regolarizzazioni generalizzate e permanenti e di diminuire i canali di ingresso per motivi di lavoro, ad eccezione del lavoro altamente qualificato. Il patto rifletteva lo spirito e gli obiettivi della politica in materia di immigrazione della Francia, la quale dal 2003 aveva elevato la 'lotta contro l'immigrazione clandestina' a priorità nazionale.

Essendo la direttiva 2008/115/CE una misura di armonizzazione della normativa di contrasto dell'immigrazione irregolare, il Presidente Nicolas Sarkozy la presentò come un importante segnale in questo ambito.

1. La giurisprudenza amministrativa francese nelle more del recepimento della 'direttiva rimpatri'

Il primo disegno di legge volto all'attuazione della 'direttiva rimpatri' nell'ordinamento interno venne presentato il 31 marzo 2010 da Eric Besson (6), all'epoca Ministro dell'immigrazione, dell'integrazione, dell'identità nazionale e dello sviluppo solidale. Il progetto fu, tuttavia, adottato in prima lettura unicamente dall'Assemblea nazionale il 12 ottobre seguente, dopodiché il procedimento subì una forte battuta d'arresto, che ritardò l'entrata in vigore di alcuni mesi.

A pochi giorni dalla scadenza del termine sì intuì che il progetto non sarebbe stato approvato entro la fine dell'anno anche dal Senato (7), il ché fornì l'occasione alla dottrina di lanciare un appello a tutti gli operatori del diritto affinché invocassero davanti ai giudici francesi gli effetti diretti della direttiva dell'Unione europea e festeggiassero Le Noël des sans-papier (8).

In effetti furono migliaia i ricorsi diretti a ricercare nella directive de la honte delle misure di protezione, seppur temporanee, per mezzo delle quali far cadere le numerose disposizioni di diritto interno che a quel tempo apparivano incompatibili con il diritto dell'Unione europea: «honnie par les associations de défense des droits des étrangers lors de son adoption, est devenue depuis un mois leur principale arme» (9).

Su questo punto è bene precisare che non era trascorso molto tempo da quando la giurisprudenza amministrativa francese, con la nota sentenza Perreux (10), aveva finalmente riconosciuto effetti diretti nell'ordinamento interno alle direttive non recepite. Solo il 30 ottobre 2009, dopo più di trent'anni, il Conseil d'Etat (CE) si decise, infatti, a rivedere la sua giurisprudenza inaugurata con l'arrêt Cohn-Bendit (11), nel quale si affermava chiaramente che la possibilità di avvalersi di una direttiva davanti ad una giurisdizione nazionale era subordinata all'adozione di misure statali destinate ad assicurarne l'esecuzione (12).

Una simile posizione, tuttavia, non sembrava più sostenibile: non solo alla luce dei recenti progressi della sua stessa giurisprudenza, ma anche perché un'evoluzione era necessaria per allinearsi alle giurisdizioni di altri Stati membri, che da molto tempo erano ormai giunte ad affermare il carattere auto-applicativo delle direttive non trasposte (13).

È stato notato, inoltre, che l'inversione giurisprudenziale è avvenuta proprio in costanza dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona con il quale è venuto meno il cosiddetto 'terzo pilastro'; ciò ha permesso di ricondurre la cooperazione in materia di giustizia e di polizia sotto l'alveo del diritto comunitario e di seguire l'iter legislativo ordinario anche per questa materia, conferendo al Parlamento europeo un ruolo non più meramente consultivo. Ora, la partecipazione a pieno titolo nel procedimento legislativo di quello che dovrebbe essere l'organo capace di assicurare un tasso di democraticità ben più significativo ha indotto a considerare gli atti dell'Unione europea più vincolanti per gli Stati membri; e proprio tale conclusione sembrerebbe essere alla base del ragionamento dei giudici del Consiglio di Stato (14).

A sostegno della pronuncia Perreux, veniva, inoltre, richiamata la giurisprudenza del Conseil constitutionnel, il quale aveva affermato che «la trasposizione nel diritto interno di una direttiva risulta da un'esigenza costituzionale» (15): un'esigenza che il Conseil d'État ha ritenuto, qualche anno dopo, discendere dall'art. 88-1 della Costituzione (16).

In tale scenario si collocava il dibattito giurisprudenziale che accompagnava il mancato recepimento della direttiva 'retour': la questione verteva sostanzialmente sulla possibilità di invocare direttamente gli artt. 7 e 8 della direttiva 2008/115/CE, in quanto incompatibili con il diritto interno. Il problema si poneva con riferimento all'applicazione dell'arrêté préfectoral de reconduite à la frontière (APRF), che veniva disposto quando lo straniero era entrato irregolarmente in Francia, vi si era mantenuto oltre il periodo previsto dal visto d'ingresso o senza richiedere il rinnovo del titolo di soggiorno, il quale non prevedeva, in nessun caso, la concessione di un termine per la partenza volontaria (17): il contrasto con il favore riconosciuto alla partenza volontaria da parte della direttiva in questione sembrava, dunque, sussistere.

In seno alla giurisprudenza amministrativa si contendevano il campo due orientamenti (18): da una parte chi riconosceva il carattere preciso e incondizionato dei menzionati articoli della direttiva e ne proponeva la 'invocabilità diretta' (19); dall'altra vi era chi sosteneva la 'invocabilità dell'esclusione' (20), la quale permetteva semplicemente di disapplicare la normativa interna in contrasto con la direttiva europea.

1.1. Il caso Mm. Jia et Thiero davanti al Consiglio di Stato francese

Dopo tre mesi di 'cacophonie judiciaire' - per usare le parole di Serge Slama -, si pose fine alla discussione grazie all'intervento del Conseil d'État, il quale, prendendo parola nel caso Mm. Jia et Thiero (21), ritenne incompatibili alcune disposizioni dell'art. L 511-1 del Code de l'entrée et du séjour des étrangers et du droit d'asile (CESEDA) con gli obiettivi fissati dagli artt. 7 e 8 della 'direttiva rimpatri', nella parte in cui non imponevano che una misura di accompagnamento alla frontiera fosse seguita dalla concessione di un termine appropriato per l'allontanamento volontario, fatti salvi i casi di cui all'art. 7, par. 4, che permettono allo Stato membro di astenersi dal concedere un periodo per la partenza volontaria.

Il Conseil d'État per risolvere la querelle circa la 'invocabilità diretta' di queste disposizioni prese a riferimento una pronuncia della Corte di giustizia (22), nella quale si affermava che le disposizioni di una direttiva devono essere considerate sufficientemente precise quando enunciano un obbligo in termini non equivoci e incondizionate quando prevedono un obbligo o un diritto, non accompagnato da alcuna condizione e non subordinato, per la sua esecuzione o suoi effetti, all'intervento di alcun atto delle istituzioni dell'Unione Europea o degli Stati membri. Ora, il Consiglio di Stato francese riteneva che la circostanza che una direttiva comporti per gli Stati membri un margine di discrezionalità più o meno ampio per l'applicazione di alcune sue disposizioni non impediva di invocare quelle disposizioni che, tenuto conto della finalità a cui si ispirano, sono «divisibles et peuvent être appliquées séparément»: si tratta, infatti, di una garanzia minima in favore delle persone che sono lese dalla mancata attuazione, che deriva dal carattere vincolante dell'obbligo di trasporre le direttive (23). Dunque, a suo avviso, gli artt. 7 e 8 della direttiva sarebbero dotati di effetto diretto prevedendo degli obblighi in termini non equivoci, non essendo accompagnati da alcuna condizione e non essendo subordinati nella loro esecuzione o nei loro effetti all'intervento di alcun atto delle istituzioni dell'Unione europea o degli Stati membri. Tali requisiti non sono indeboliti nemmeno dalla previsione di una facoltà come quella all'art. 7, par. 1, secondo il quale gli Stati possono prevedere che il periodo per la partenza volontaria venga concesso unicamente su richiesta del cittadino di paese terzo, almeno sino a quando lo Stato non abbia esercitato tale facoltà (24).

In modo analogo, il Conseil d'État riteneva che l'art. 3, n. 7 (25), non fosse di ostacolo al riconoscimento del carattere incondizionato dell'art. 7, par. 4: infatti, fino a quando il legislatore nazionale non avesse definito, sulla base di «criteri oggettivi», la nozione di risque de fuite, le prefetture non avrebbero potuto avvalersi dell'eccezione prevista in quest'ultima disposizione, ossia la possibilità di astenersi dal concedere un termine per la partenza volontaria.

Nonostante la pronuncia si collochi sostanzialmente sul terreno della 'invocabilità diretta', affermando la contrarietà delle disposizioni di cui all'art L. 511-1-II del CESEDA, con le finalità perseguite dagli artt. 7 e 8 della direttiva 2008/115/CE, nella parte in cui non impongono che la misura di reconduite à la frontière sia accompagnata da un termine congruo per la partenza volontaria, tende allo stesso tempo a temperare tale asserzione, che avrebbe - di fatto - privato di una base legale tutte le decisioni di accompagnamento alla frontiera fino all'entrata in vigore della legge di attuazione della direttiva (26). Affermava, infatti, il Conseil d'État che non vi sarebbe stato un contrasto con la scopo della direttiva 'retour', se l'arrêté préfectoral de reconduite à la frontière, privo del termine per la partenza volontaria, fosse stato disposto nei casi previsti al numero 5 (condanna definitiva per contraffazione, falsificazione, richiesta sotto altro nome o mancanza di un titolo di soggiorno), 7 (revoca, rifiuto di rilascio o di rinnovo di un titolo di soggiorno in ragione di una minaccia all'ordina pubblico) e 8 (se nel periodo di durata del visto il comportamento dello straniero a costituito una minaccia per l'ordine pubblico o ha violato le disposizioni di cui all'art. L. 341-4 del Code du travail sul lavoro senza autorizzazione) dell'art. L. 511-1-II, sempre che la riduzione del termine o la sua assenza fossero giustificati dalla situazione del cittadino di paese terzo. Queste ipotesi erano, infatti, coperte dalle altre due eccezioni - oltre al rischio di fuga - di cui all'art. 7, par. 4 della direttiva, cioè il rigetto della domanda di permesso di soggiorno perché manifestamente infondata o fraudolenta e la minaccia del cittadino di paese terzo per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale (27): in questo senso, le eccezioni sarebbero divisibles rispetto a quella del risque de fuite. Dunque si riconosce senz'altro la 'invocabilità diretta' delle disposizioni menzionate della direttiva, ma si consente anche quella 'd'esclusione' con riferimento ad alcune ipotesi previste dall'art. L. 511-1-II.

A questo proposito c'è chi ha parlato di una pronuncia «a metà strada tra l'interpretazione conforme e l'invocabilità verticale discendente» (28): infatti, pur salvando l'effetto utile della direttiva 'retour', dichiarando il contrasto tra gli artt. 7 e 8 della direttiva con le disposizioni di cui all'art. L. 511-1-II, queste rimangono applicabili, arricchite da alcune precisazioni che consentono di farle sfuggire ad una manifesta incompatibilità.

Nonostante la decisione resa dall'alta giurisdizione amministrativa francese fosse puramente a carattere consultivo, questa rischiava di mettere in dubbio un aspetto su cui sussiste un'effettiva convergenza tra giurisprudenza nazionale (29) e comunitaria (30), ossia la 'invocabilità verticale discendente' (31). Il Conseil d'État, volendo preservare l'effetto utile della direttiva, finisce per ammettere l'invocabilità e dunque la possibilità di avvalersi di un atto comunitario non recepito nei termini (32).

Appena due giorni dopo la pubblicazione dell'avis del Conseil d'État, il Ministro dell'interno, incaricato dell'immigrazione, si affrettò ad emanare una circolare (33) nella quale invitava i prefetti a disporre APRF provvisti di un termine di sette giorni per la partenza volontaria, salvo i casi indicati nella pronuncia del giudice amministrativo, nei quali era possibile mantenere l'esecuzione coattiva dell'allontanamento; inoltre, si suggerì di inserire all'interno de l'arrêté menzione della possibilità di eseguire coattivamente l'espulsione dopo i sette giorni, tradendo in qualche modo lo spirito della direttiva 'retour' che richiede comunque la concessione di un termine «congruo» dai sette ai trenta giorni.

La soluzione improvvisata dal governo francese attraverso l'emanazione della suddetta circolare, in seguito alla pronuncia dei giudici amministrativi, appare molto simile a quella che, come ricordato, era stata messa a punto dal Ministero dell'interno italiano con la circolare del 17 dicembre 2010 (34), la quale era volta ad aggirare l'attuazione della direttiva 2008/115/CE nell'ordinamento interno, ma allo stesso tempo si preoccupava di suggerire quanto necessario perché le motivazioni dei provvedimenti di espulsione fossero il più possibile riconducibili alle richieste del legislatore europeo.

2. L'arrêt El Dridi e i suoi effetti sull'ordinamento francese

Il secondo episodio, dopo la pronuncia del Consiglio di Stato francese, in cui la directive retour ebbe l'occasione di dimostrare, anche in Francia, la sua inaspettata capacità di proteggere i diritti fondamentali degli stranieri, è da attribuire alla Corte di giustizia dell'Unione europea, la quale, affermando l'incompatibilità del diritto italiano con gli obiettivi della direttiva (35), incominciò ad insinuarsi nella problematica della criminalizzazione degli stranieri irregolari (36) anche in Francia.

Il ricorso al diritto penale in materia di immigrazione irregolare vanta una lunga tradizione nel diritto degli stranieri francese, a differenza dell'Italia dove simili previsioni sono state introdotte in tempi relativamente recenti (37).

In Francia, l'uso della sanzione penale come strumento di repressione nei confronti degli stranieri irregolari, fu introdotta per la prima volta dal decreto legge 'Daladier' (38) nel 1938, sotto l'onda della crisi che precedette la seconda guerra mondiale (39).

Nel corso dei decenni, il nucleo penale del diritto degli stranieri francese si è consolidato e ha ampliato progressivamente i suoi margini applicativi: in particolare, fino alla fine del 2012, assurgevano a fatti penalmente rilevanti l'ingresso e la permanenza irregolari nel territorio dello Stato, la mancata ottemperanza all'ordine di allontanamento e l'aiuto o il sostegno all'immigrazione illegali, ed erano rispettivamente puniti dagli artt. L. 621-1 (40), L. 624-1 e L. 622-1 CESEDA.

Nonostante oltralpe viga la discrezionalità nell'esercizio dell'azione penale e la strumentalità del procedimento penale rispetto a quello amministrativo finendo per produrre una residuale applicazione di queste disposizioni a livello giurisprudenziale (41), le ricadute della qualificazione di simili fatti come reati non sono, comunque, di poco conto vista la possibilità di sottoporre l'indiziato alla misura precautelare della garde à vue (42)- per un periodo di ventiquattro ore, rinnovabile al massimo sino a quarantotto - che, di norma, si converte automaticamente nella misura della rétentionin vista dell'espulsione.

La situazione è parzialmente mutata in seguito alla legge nº 1560 del 31 dicembre 2012 (legge cosiddetta 'Valls'), volta sostanzialmente a conformare il diritto interno alla recente pronuncia della Corte di giustizia dell'Unione europea resa nel caso Achughbabian (43).

Occorre, comunque, fare luce sugli antefatti che hanno portato alla pronuncia dei giudici di Lussemburgo, a partire dalla sentenza El Dridi, intervenuta qualche mese prima della legge 'Besson' (16 giugno 2011). Risulta, infatti, interessante analizzare le ricadute di questa decisione sull'ordinamento francese, in quanto costituì la prima incrinatura nel consolidato rapporto tra diritto penale e droit des étrangers (44).

La sentenza, come visto, è stata pronunciata a seguito della questione pregiudiziale sollevata dalla Corte d'Appello di Trento, investita di un caso che riguardava la violazione di ordine di allontanamento del questore (art. 14, co. 5-ter, d. lgs. 286/1998) da parte di un cittadino straniero, il signor El Dridi.

I giudici di Lussemburgo hanno dichiarato incompatibile con la 'direttiva rimpatri' il reato di cui all'art. 14, co. 5-ter, d. lgs. 286/1998 nella parte in cui puniva lo straniero con una pena della reclusione da uno a quattro anni in caso di inottemperanza, senza giustificato motivo, all'ordine di espulsione del questore. La Corte di giustizia dell'Unione europea sancisce il contrasto con la normativa comunitaria della previsione di una pena detentiva per il solo motivo che uno straniero, in situazione irregolare, continui a soggiornare in violazione di una misura coercitiva nel territorio di uno Stato membro senza un giustificato motivo (45). La reclusione impedirebbe, infatti, ad avviso della Corte, il rimpatrio immediato e priverebbe di effetto utile la direttiva dell'UE, ossia il ritorno dello straniero nel paese di origine (46).

La questione in Francia, invece, si pose in termini del tutto differenti rispetto all'Italia, la cui normativa era direttamente interessata dalla pronuncia; infatti, nonostante la legge 'Besson' sia entrata in vigore successivamente alla pronuncia, si decise di mantenere sostanzialmente immutata la sezione penalistica del CESEDA (47). Almeno due sue disposizioni erano fortemente problematiche: l'art. L. 621-1 CESEDA che puniva con un anno di reclusione e un'ammenda di 3.750 euro l'ingresso e il soggiorno irregolare sul territorio dello Stato e l'art. L. 624-1 dello stesso codice che sanzionava con una pena detentiva fino a tre anni il comportamento dello straniero che si fosse sottratto o avesse tentato di sottrarsi ad una misura di allontanamento ovvero avesse fatto reingresso in Francia senza un'autorizzazione (48).

Nel maggio del 2011, il Parlamento francese stava approvando la nuova legge, nella quale riformulava l'art. L. 624-1 CESEDA al fine di sanzionare penalmente nuove misure di allontanamento, ma prevedendo ancora la pena detentiva fino a tre anni; inoltre, lasciava immutato l'art. L. 621-1 CESEDA che puniva l'ingresso e il soggiorno irregolare con la reclusione fino ad un anno.

L'intervento legislativo, nonostante le evidenti fratture con la giurisprudenza dell'Unione europea, non fu di fatto censurato nemmeno dal Conseil constitutionnel (49) che, nella pronuncia del 9 giugno 2011, affermò di non poter valutare la conformità del diritto interno a quello europeo, in quanto la disposizione in questione non costituiva attuazione della direttiva 2008/115/CE (50).

Per quanto riguardava l'art. L. 624-1, i dubbi circa la sua conformità alla direttiva 2008/115/CE erano, tuttavia, palesi: la sanzione aveva, infatti, per oggetto proprio quello di penalizzare il soggiorno irregolare sul solo fondamento del permanere sul territorio di uno straniero destinatario di una decisone di rimpatrio.

Si devono, in verità, alla giurisprudenza amministrativa francese gli sforzi diretti a conformare la normativa interna rispetto agli obblighi comunitari, ancor prima dell'intervento del legislatore. In un primo tempo il Ministro dell'interno aveva, infatti, dichiarato che la portata dell'affaire El Dridi fosse limitata al caso italiano (51); di contrario avviso era, invece, la giurisprudenza amministrativa, le cui pronunce nel senso di una disapplicazione dell'art. L. 624-1 CESEDA, cominciavano a diffondersi in numerosi tribunali (52).

Preso atto della situazione il Ministro della giustizia francese, il 12 maggio 2011, inviò istruzioni precise alle autorità giudiziarie competenti, per riconoscere l'inapplicabilità della pena detentiva prevista dall'art. L. 624-1 CESEDA e, allo stesso tempo, salvare l'art. L. 621-1 CESEDA, in quanto ritenuta incriminazione del tutto indipendente dalla procedura di allontanamento (53).

Tuttavia, è interessante notare che le prime pronunce che diedero applicazione al principio espresso dalla Corte di Giustizia, non riguardarono tanto la fattispecie di inottemperanza dello straniero all'ordine di allontanamento, bensì il reato di ingresso e soggiorno irregolare previsto all'art. L. 621-1 CESEDA: proprio la sua conformità alla direttiva 'retour' divise maggiormente la giurisprudenza (54) e spinse alcuni giudici a sollevare questione pregiudiziale di fronte alla Corte di giustizia dell'Unione europea.

In particolare i tribunali amministrati francesi giunsero a differenti soluzioni circa la legittimità del trattenimento in garde à vue degli stranieri sospettati di aver commesso quest'ultimo reato.

Nonostante l'art. L. 621-1 CESEDA, prevedendo in caso di violazione la pena della reclusione fino ad un anno (55), rendesse legittimo il ricorso alla misura nei confronti dei sospettati di ingresso o soggiorno irregolare, la garde à vue veniva nella prassi utilizzata in Francia per preparare la procedura di espulsione.

Accadeva infatti che, prima della scadenza delle ventiquattrore dal fermo, allo straniero venisse notificato l'ordine di allontanamento dal territorio nazionale insieme all'eventuale provvedimento di detenzione amministrativa: di conseguenza il procedimento penale veniva archiviato e la garde à vue rivelava la sua natura di 'anticamera' della procedura di espulsione (56).

Parte della giurisprudenza ritenne illegittimo il ricorso alla garde à vue per gli stranieri indiziati di aver commesso il reato di cui all'art. L. 621-1 CESEDA in quanto, a seguito della sentenza El Dridi, era venuto meno il presupposto richiesto dall'art. 62-2 del Code de procédure pénale, il quale autorizzava tale misura cautelare solo nei confronti delle persone sospettate di aver commesso o tentato di commettere un crimine o un delitto punito con pena detentiva (57). Non essendo più possibile punire il reato di ingresso e soggiorno irregolare con la pena detentiva, in quanto in contrasto con la direttiva 'retour', è chiaro che - ad avviso di questa giurisprudenza - la garde à vue non avrebbe potuto più essere disposta e lo straniero avrebbe dovuto essere immediatamente rimesso in libertà.

Un'altra parte della giurisprudenza (58) cercò, invece, di salvare il trattenimento in garde à vue sull'argomento - peraltro sostenuto anche dal Guardasigilli - (59) secondo il quale l'obbligo rimpatrio, così come declinato dalla direttiva europea, implica necessariamente l'emissione di un'ordinanza, ma che l'art. L. 621-1 CESEDA prescinde del tutto da questo provvedimento; pertanto, la disposizione del fermo di polizia si collocherebbe in una fase anteriore rispetto all'ordine di partenza volontaria di cui all'art. L. 551-1 CESEDA e dunque rientrerebbe nella competenza del legislatore nazionale (60). Per questi motivi la garde à vue sarebbe illegittima, solo, laddove fosse già intervenuta l'obligation de quitter le territoire.

Come si vedrà, la querelle venne affrontata dai giudici di Lussemburgo qualche mese dopo, in seguito alla proposizione di una questione pregiudiziale da parte della Corte d'appello di Parigi, incerta se convalidare o meno una misura di garde à vue (61).

Nonostante le numerose questioni lasciate in sospeso dalla Corte di giustizia nella sentenza El Dridi (62), in Francia, come in Italia, il risultato sembra essere quello di un importante contributo alla protezione dei diritti fondamentali dei cittadini di paesi terzi di fronte agli arbitri e alle scorrette interpretazioni da parte degli Stati membri.

3. Il recepimento della 'direttiva rimpatri'

3.1. L'entrata in vigore della legge nº 672/2011 ('Besson')

Come accennato, il primo progetto di legge volto alla trasposizione della direttiva 'retour' nell'ordinamento interno fu presentato da Eric Besson, all'epoca Ministro dell'immigrazione, integrazione e identità nazionale. Il progetto iniziale prevedeva unicamente una serie di misure volte a recepire tre direttive (63), nonché la semplificazione delle procedure e del contenzioso delle decisioni di allontanamento: il risultato finale è quello di centoundici articoli dove l'obiettivo di partenza sembra divenuto l'interesse marginale.

Le successive tappe di adozione della legge furono condotte da Brice Hortefeux, Ministro dell'interno dal 2009 al 2011, a causa della soppressione del Ministero dell'immigrazione, integrazione e identità nazionale.

Il progetto era stato approvato in prima lettura dall'Assemblea nazionale, il 12 ottobre 2010, e dal Senato, il 10 febbraio del 2011, con alcune modifiche; ciò comportò la necessità di una seconda lettura in seno all'Assemblea. Nel frattempo, il 27 febbraio 2011, venne nominato il nuovo Ministro dell'interno, Claude Guéant. La 'navetta' tra le due camere durò ancora qualche mese fino a quando, il 10 maggio 2011 l'Assemblea nazionale e, l'11 maggio il Senato, adottarono lo stesso testo.

Prima ancora della sua promulgazione, la legge ricevette, inoltre, l'avvallo del Conseil constitutionnel (64): la decisione, resa il 9 giugno 2011, infatti, non constatò nessuna manifesta contrarietà del testo con le disposizioni e gli obietti fissati dalla direttiva 2008/115/CE. L'unica censura pronunciata riguardava il caso in cui non si potesse eseguire l'allontanamento di una persona implicata in questioni di terrorismo per mancata collaborazione dello stesso o per ritardo imputabile all'autorità consolare: il testo votato dalle due assemblee prevedeva la possibilità di prolungare il trattenimento amministrativo fino a diciotto mesi, ma l'esercizio legittimo di tale facoltà fu negato in quanto capace di comportare una limitazione della libertà personale contraria all'art. 66 della Costituzione francese (65) e in quanto non finalizzata a rispondere ad un'esigenza comunitaria (66).

La posizione assunta dai giudici di de la rue de Montpensier ha attratto le critiche di numerosi studiosi, che hanno parlato dell'ennesima dimostrazione di «debolezza della protezione costituzionale degli stranieri» (67): l'apporto di tale pronuncia appare molto fragile, per non dire nullo, in termini di protezione dei diritti fondamentali degli stranieri, in quanto lascerebbe operanti molteplici disposizioni manifestamente incompatibili con il diritto dell'Unione europea, nonché lesive dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (68).

La legge nº 672 relativa à l'immigration, à l'intégration et à la nationalité viene finalmente promulgata il 16 giugno 2011 (69) e attuata con decreto nº 820 del giorno 8 luglio dello stesso anno.

Si tratta del quarto grande intervento dal 2003 ad oggi per quanto riguarda il diritto degli stranieri francese (70); una materia questa che sembra non aver mai suscitato nel legislatore la volontà di procedere ad una riflessione d'insieme, ma, al contrario, oggetto di continue strumentalizzazioni da parte della politica (71).

Si tratta di valutazioni che valgono per la maggior parte degli Stati membri che si trovano a regolare flussi migratori sempre più indisciplinati e perciò capaci di sfuggire alla capacità di gestione dei governi interni. In particolare, la filosofia che sembra sottendere a queste continue riforme del droit des étrangers va ricercata nella volontà di contrastare l'immigrazione clandestina, per attrarne una 'selezionata', scelta in base alle esigenze della popolazione autoctona (72).

Le preoccupazioni che, nelle circostanze in esame, guidarono la mano del legislatore potrebbero ravvisarsi, come si vedrà a breve, anche nell'episodio dello sbarco di rifugiati curdi sul litorale corso, verificatosi qualche mese prima dell'approvazione definitiva della legge.

Dunque, dall'analisi del contesto, la necessità di recepire le direttive europee nell'ordinamento sembrava un'occasione come tante altre per rimettere ancora mano alla legge in materia di immigrazione (73).

La legge in questione apporta numerose modifiche sia al Code civil (Codice civile), al Code de l'entrée et du séjour des étrangers et du droit d'asile o CESEDA (Codice dell'ingresso e del soggiorno degli stranieri e del diritto di asilo) e al Code du travail (Codice del lavoro).

I punti principali della riforma sono quelli che riguardano le 'zones d'attente', alcune delle condizioni di soggiorno in Francia, la 'Carte bleu européenne', la lotta contro il lavoro irregolare, la disciplina relativa alle espulsioni degli stranieri irregolari e la detenzione amministrativa degli stessi.

L'analisi si concentrerà unicamente sulla riforma di quegli aspetti che hanno attuato la directive retour nell'ordinamento francese, lasciando in disparte tutti gli altri elementi della riforma.

3.2. L'ambito di applicazione delle garanzie previste dalla direttiva 'retour' e la riforma delle 'zones d'attente'

L'art. 2, par. 2, come è noto, consente agli Stati di non applicare la 'direttiva rimpatri' ai cittadini di paesi terzi in due casi: (a) qualora siano sottoposti a respingimento alla frontiera ai sensi dell'art. 13 del Codice frontiere Schengen ovvero quando siano fermati o scoperti dalle competenti autorità in occasione dell'attraversamento irregolare via terra, mare o aria della frontiera esterna di uno Stato membro; (b) laddove siano sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale, in conformità della legislazione nazionale ovvero sottoposti a procedure di estradizione.

Quest'ultimo caso (b) in cui la direttiva concede l'applicazione del diritto interno al posto delle disposizioni da essa contemplata verrà trattato nei successivi paragrafi, al momento dell'esame della pronuncia della Corte di giustizia dell'Unione europea nel caso Achughbabian.

Concentrandosi sulla prima ipotesi, questa corrisponde nel diritto degli stranieri francese al refus d'entrée e alle réadmissions simplifiées.

Per quanto riguarda la prima categoria, l'ingresso sul territorio francese può essere rifiutato, in seguito alle modifiche apportate dalla legge nº 672/2011, nel caso in cui lo straniero non soddisfi le condizioni richieste dall'art. 5 del Codice frontiere Schengen (74) e qualora la presenza dello straniero rappresenti una minaccia per l'ordine pubblico, perché colpito da un'interdiction judiciaire du territoire o da un arrêté d'expulsion o da un arrêté de reconduite à la frontière disposto meno di tre mesi prima in applicazione dell'art. L. 533-1 ovvero da un divieto di reingresso sul territorio francese (75). Una simile previsione coincide, dunque, solo parzialmente con quanto previsto dal Codice frontiere Schengen: ciò significa che l'esistenza di casi autonomi di respingimento alla frontiera, non essendo coperti dalla direttiva 'retour', finiscono per ostacolare l'applicazione delle procedure e delle garanzie previste dalla stessa (76), nonostante si tratti pur sempre di casi di irregolarità nel soggiorno. Di conseguenza, il rifiuto di ammissione sul territorio nazionale, non essendo soggetto ad alcun obbligo derivante dalla 'direttiva rimpatri' potrà legittimare il trattenimento nelle zones d'attente.

Le zones d'attente, create nel 1992, si distinguono dai locali dell'amministrazione penitenziaria, sia per il regime a cui sono sottoposte le persone ivi trattenute, sia per la loro collocazione geografica, trovandosi esclusivamente nei pressi di stazioni, porti o aeroporti. La situazione è, tuttavia, parzialmente cambiata con la riforma del 16 giugno 2011, la quale ha eroso sostanzialmente la nozione di zones d'attente come inizialmente configurate dal legislatore francese, ossia come luoghi ben delimitati, oggettivamente definiti e fortemente legati alle frontiere dello Stato.

Fino a questa data il mantenimento nelle zones d'attente poteva essere disposto solo nei confronti di coloro che non fossero stati autorizzati ad entrare sul territorio francese e coloro che avessero fatto richiesta di asilo per il tempo strettamente necessario, rispettivamente, alla partenza e all'esame della domanda volto a determinare che la stessa non sia manifestamente infondata (77); inoltre, la disposizione si applicava (e tuttora si applica) allo straniero «in transito» da una stazione, un porto o un aeroporto se l'impresa di trasporto che doveva portarlo nel paese di destinazione rifiuti di imbarcarlo o se le autorità del paese di destinazione gli hanno rifiuto l'ingresso e l'hanno rinviato in Francia (78).

Ora, una novità introdotta dalla legge nº 672/2011 prevede la possibilità di istituire delle zones d'attente «itinérantes» (79), per un periodo massimo di ventisei giorni, qualora sia manifesto che un gruppo di almeno dieci stranieri è appena arrivato in Francia «en dehors d'un point de passage frontalier, en un même lieu ou sur un ensemble de lieux distants d'au plus dix kilomètres»; tali zone si potranno estendere dal luogo in cui sono stati scoperti gli interessati fino al passaggio di frontiera più vicino (80). La conseguenza di questa modifica non è altro che la possibilità di creare temporaneamente delle zones d'attente mobili, che consentano di ampliare i margini di applicazione del regime derogatorio al diritto comune (81).

Il risultato della norma è, senza dubbio, strettamente legato ai fatti di cronaca che hanno interessato la Francia nei mesi antecedenti l'adozione della legge: il 22 gennaio 2010 erano infatti sbarcati sulle coste della Corsica, nei pressi di Bonifacio, più di cento curdi provenienti dalla Siria. Già qualche anno prima, nel 2003, un avvenimento simile aveva condotto il legislatore francese a modificare la normativa e a prevedere la possibilità di creare una zone d'attente in prossimità del luogo dello sbarco (lieu de débarquement) (82). Ora, nel caso dei curdi, la modifica non sarebbe stata d'aiuto, in quanto essi erano stati detenuti arbitrariamente in una palestra e successivamente, dopo aver ricevuto un arrêté préfectoral de reconduite à la frontière, erano stati trasferiti in differenti centri di detenzione presenti sul territorio; dopodiché i centoventitré rifugiati curdi erano stati messi in libertà dal juge des libertés et de la détention (JLD), perché l'irregolarità del loro interrogatorio iniziale aveva inficiato tutto il procedimento successivo; insomma, non essendo stati trovati sul luogo dello sbarco ma a qualche passo da questo, il posizionamento in zone d'attente non era applicabile (83).

Con questa riforma, pertanto, porzioni di territorio francese potrebbero diventare una sorta di dilatazione della frontiera esterna e, dunque, permettere di aggirare anche l'applicazione della direttiva 'retour' (84), che in questo caso sarebbe doverosa perché il cittadino di paese terzo che si trova «sul» territorio di uno Stato membro e fuori dai casi di cui all'art. 13 Codice frontiere Schengen (85).

Su questa nuova disposizione si è pronunciato anche il Conseil constitutionnel nel momento in cui ha esaminato la conformità dell'intera legge nº 672/2011 al diritto dell'Unione europea e alla Costituzione francese. I giudici hanno condiviso la scelta del legislatore, ritenendo che il rischio di un arbitrio da parte dell'autorità amministrativa fosse stato scongiurato dalla previsione di disposizioni sufficientemente precise e che il principio di indivisibilità della Repubblica, nonché l'esercizio effettivo del diritto di asilo, non fossero affatto messi in discussione, in quanto questa zona non riguarda che gli stranieri del gruppo e non, invece, gli altri stranieri che si troveranno in questa zona senza appartenere al gruppo (86). Tuttavia, occorre notare che la legge non indica formalmente né i motivi che permettono di mantenere lo straniero in questa zona, né i criteri di identificazione del gruppo (87).

Nell'evidente intento di riparare i danni e conformare quanto più possibile il diritto interno al diritto europeo, il Governo, il giorno stesso della pubblicazione della legge in questione, ha emanato una circolare specificando che le disposizioni relative al regime delle nuove zones d'attente hanno carattere eccezionale e che l'attraversamento a cui fa riferimento la legge riguarda unicamente una frontiera esterna, ai sensi del Codice frontiere Schengen (88).

Per quanto riguarda la seconda categoria delle réadmissions simplifiées, l'art. L. 531-1 CESEDA prescrive che chi entra o soggiorna in violazione delle norme del codice può essere consegnato (remis) alle autorità competenti dello Stato membro che lo hanno ammesso ad entrare o soggiornare sul suo territorio ovvero allo Stato da cui direttamente proviene, in applicazione degli accordi conclusi a questo scopo tra gli Stati membri dell'Unione europea.

La formulazione dell'articolo potrebbe indurre a pensare che una simile ipotesi fuoriesca dall'ambito di applicazione della direttiva 'retour', la quale concerne unicamente il rimpatrio di cittadini di paesi terzi al di fuori dei confini dell'Unione europea, tuttavia l'art. 6, par. 2, della direttiva in questione pone dei dubbi in proposito (89). Tale disposizione, infatti, impone agli stranieri irregolari in possesso di un permesso di soggiorno valido rilasciato da un altro Stato membro di recarsi immediatamente nel territorio di quest'ultimo (90); tuttavia, in caso di inottemperanza o qualora lo straniero costituisca una minaccia per l'ordine pubblico e la sicurezza nazionale, lo Stato potrà adottare una decisione di rimpatrio ai sensi dell'art. 6, par. 1, direttiva 2008/115/CE.

Nonostante ciò, il Conseil d'État francese ha rifiutato l'applicazione della direttiva nella vicenda relativa ad un cittadino tunisino, entrato irregolarmente in Francia ma in possesso di un permesso di soggiorno in Italia (91): in primo grado il tribunale amministrativo di Lione, aveva ritenuto la decisione prefettizia di réadmission disposta nei suoi confronti illegittima perché non accompagnata de un termine per la partenza volontaria, come richiesto dalla direttiva 'retour', e pertanto aveva sospeso la sua esecuzione. Successivamente il Consiglio di Stato francese, senza prendere in considerazione l'art. 6, par. 2, affermò, invece, che la direttiva non si occupava delle procedure di riammissione di un fuoriuscito da uno Stato membro verso un altro Stato membro e pertanto la procedura seguita doveva considerarsi corretta.

La questione si inserisce nella nota querelle franco-italiana scaturita dalla regolarizzazione avvenuta da parte del Governo italiano di più di 20.000 tunisini sbarcati sull'isola di Lampedusa nel 2011, i quali grazie ad un permesso di soggiorno temporaneo, ai sensi dell'art. 20 del Testo Unico italiano in materia di immigrazione (d. lgs. n. 286/1998) (92), erano riusciti a raggiungere la Francia, in forza della libertà di circolazione, conseguita grazie al rilascio del suddetto permesso di soggiorno. Il governo francese, fortemente preoccupato dall'afflusso massiccio di queste persone, emise una circolare con la quale indicava che i cittadini di paesi terzi, per poter circolare validamente nell'area Schengen, oltre ad avere un permesso di soggiorno rilasciato da un altro Stato membro, dovevano essere in possesso di un passaporto o di un altro titolo di viaggio, nonché di risorse economiche sufficienti (sessantadue euro al giorno) fino ad un massimo di tre mesi (93).

Questo episodio mette in luce, in particolare, il carattere fluctuant della nozione di 'soggiorno irregolare', che, non essendo attualmente regolata a livello di Unione europea, varia da uno Stato membro all'altro: per questo motivo potrebbe essere problematico l'obbligo di emettere una decisione di rimpatrio nei confronti di tutti gli stranieri che si trovino in soggiorno irregolare (art. 6 direttiva 2008/115/CE), in mancanza di un'armonizzazione delle legislazioni nazionali (94).

Inoltre, è utile notare che la 'direttiva rimpatri' offre, all'art. 18, un simile strumento normativo per regolare situazioni di emergenza come quelle verificatesi in Italia a partire dal gennaio del 2011. Questa norma consente, infatti, di derogare a talune disposizioni quando «un numero eccezionalmente elevato di cittadini di paesi terzi da rimpatriare comporta un notevole onere imprevisto per la capacità dei centri di permanenza temporanea di uno Stato membro o per il suo personale amministrativo o giudiziario» (95); nonostante il non ancora avvenuto recepimento della direttiva, il nostro legislatore ha potuto rilasciare permessi di soggiorno a carattere umanitario in base all'art. 20 T.U.I.

3.3. La riforma della disciplina relativa all'allontanamento degli stranieri irregolari

Nella legge del 16 giugno 2011 le norme volte a trasporre la direttiva 2008/115/CE sono raccolte all'interno del titolo III: si tratta di disposizioni che modificano nel dettaglio le procedure che regolamentavano, fino a poco tempo fa, l'allontanamento degli stranieri irregolari dal territorio dello Stato.

Prima dell'entrata in vigore della legge nº 672/2011 il sistema di espulsione francese era strutturato intorno a due procedure: l'obligation de quitter le territoire (OQT) e l'arrêté préfectoral de reconduite à la frontière (APRF) (96).

La prima era disposta in seguito al mancato rilascio o rinnovo di un titolo di soggiorno da parte del prefetto, la seconda invece prevedeva l'emanazione di un provvedimento di espulsione nel caso in cui lo straniero fosse entrato irregolarmente sul territorio, si fosse mantenuto oltre il periodo indicato nel visto d'ingresso o non avesse domandato nei termini il rinnovo del permesso di soggiorno (97).

Fino al 24 dicembre 2010, come si è visto, il diritto francese non prevedeva la possibilità di concedere un termine per la partenza volontaria allo straniero che fosse destinatario di una decisione di rimpatrio (98); tuttavia, l'avis del 23 marzo 2011 del Consiglio di Stato e la successiva circolare del Ministero avevano previsto la possibilità di corredare tutte le decisioni di allontanamento di un simile termine, salvo in quelle ipotesi che potevano ricondursi all'art. 7, par. 4 della direttiva 2008/115/CE.

Con il recepimento della direttiva 'retour', all'art. L. 511-1-I CESEDA si è deciso di mantenere unicamente l'OQT, la cui disciplina è stata modificata al fine di prevedere un arco temporale entro il quale favorire il rimpatrio spontaneo.

Innanzitutto è interessante notare la scelta stilistica, consapevole o meno, del legislatore francese di conservare all'art. L. 551-1-I CESEDA il potere discrezionale dell'autorità amministrativa circa l'emissione dell'obbligo di lasciare il territorio per lo straniero irregolare (99); in effetti, una simile previsione sembrerebbe stridere con il principio stabilito all'art. 6 della direttiva 'retour' (100), quale fondamento della politica messa in atto dall'Unione europea in materia di immigrazione illegale. Pur lasciando ampi margini alla regolarizzazione degli stranieri, la direttiva 'rimpatri' obbliga chiaramente gli Stati ad adottare una decisione di rimpatrio a fronte dell'irregolarità della presenza. Ciò ha indotto alcuni autori a ritenere, viceversa, che laddove non si possa disporre l'allontanamento, gli Stati membri saranno obbligati a regolarizzare coloro che si trovano in una posizione irregolare, scoraggiando il mantenimento di situazioni di «limbo» (101), tanto frequenti in Francia (102), quanto in Italia.

Nell'intento di tradurre lo spirito della direttiva 2008/115/CE, la riforma favorisce il rimpatrio volontario, prevedendo come regola che l'OQT sia accompagnato da un termine massimo di trenta giorni per la partenza volontaria (DDV) (103), non avvalendosi, pertanto, della facoltà prevista all'art. 7, par, 1 della direttiva, che consente si concedere tale termine solo su richiesta dell'interessato (104). È possibile, inoltre, a livello del tutto eccezionale, concedere un termine superiore a trenta giorni avuto riguardo della situazione personale del cittadino di Paese terzo ai sensi dell'art. L. 511-1-II, secondo periodo.

Laddove ricorra, tuttavia, una delle situazioni contemplate all'art. L. 511-1-II CESEDA il provvedimento di allontanamento potrà essere disposto senza la concessione di un termine: si tratta di otto ipotesi che ricalcano a grandi linee quelle in cui, nella normativa precedente, si procedeva all'APRF (105). Oltre al caso in cui lo straniero costituisca una minaccia per l'ordine pubblico o gli sia stato rifiutato il rilascio o il rinnovo del suo titolo di soggiorno perché la domanda era manifestamente infondata o fraudolenta (106), le autorità si astengono dal concedere un termine per la partenza volontaria quando sussista un rischio di fuga, che si è preferito tradurre - in una forma più morbida - risque que l'étranger se soustraie à cette obligation (rischio che lo straniero si sottragga all'obbligo di allontanamento).

Tale rischio, ai sensi dell'art. L. 511-1-II si configura 'sauf circonstance particulière' in sei ipotesi: (a) se lo straniero, che non può dimostrare di essere entrato regolarmente sul territorio francese, non ha sollecitato il rilascio di un titolo di soggiorno; (b) se lo straniero si è trattenuto sul territorio francese oltre la durata della validità del suo visto o, se non subordinato all'obbligo di visto, oltre la scadenza di un termine di tre mesi a partire dal suo ingresso in Francia, senza aver sollecitato il rilascio di un titolo di soggiorno; (c) se lo straniero si è trattenuto sul territorio francese più di un mese dopo la scadenza del suo titolo di soggiorno, del suo riconoscimento della domanda di soggiorno o della sua autorizzazione provvisoria di soggiorno, senza aver fatto domanda di rinnovo; (d) se lo straniero si è sottratto all'esecuzione di una precedente misura di allontanamento; (e) se lo straniero ha contraffatto, falsificato o stabilito sotto altro nome il suo titolo di soggiorno o un documento di identità o di viaggio; (f) se lo straniero non presenta delle sufficienti garanzie di identificazione, perché non può giustificare il possesso di documenti d'identità o di viaggio in corso di validità o perché ha simulato elementi della sua identità o non ha dichiarato il luogo della sua residenza effettiva o permanente o si è precedentemente sottratto alle obbligazioni previste dagli articoli L. 513-4, L. 552-4, L. 561-1 e L. 561-2 (107).

L'estensione di tale fattispecie, che rischiava di ridurre la partenza volontaria ad ipotesi eccezionale del sistema (108), ha indotto a sollevare una questione di legittimità costituzionale sul punto di fronte al Conseil constitutionnel: in particolare, si faceva valere l'inidoneità di talune ipotesi a provare o far presumere un rischio di fuga, in quanto situazioni talvolta indipendenti dalla volontà del cittadino di paese terzo (109). I giudici costituzionali hanno, tuttavia, ritenuto che i criteri oggettivi individuati dal legislatore non fossero 'manifestamente incompatibili' con la direttiva (110).

A questo punto il rischio è che si proponga un importante contenzioso con riguardo all'individuazione del carattere obiettivo della definizione, categoria per categoria (111).

Occorre notare che la maggior parte delle situazioni atte a configurare un risque que l'étranger se soustraie à cette obligation nell'ordinamento francese sono assimilabili alla quasi totalità delle circostanze declinate dall'art. 13, co. 4-bis, d. lgs. 286/1998, in presenza delle quali si deve presumere il 'rischio di fuga', e dunque procedere all'espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo di forza pubblica. Analogie si riscontrano, in particolare, con riguardo alla mancanza del possesso di un passaporto, di una documentazione capace di dimostrare la disponibilità di un alloggio, l'attestazione di false generalità, il mancato ottemperamento a taluni degli obblighi imposti dall'autorità amministrativa. Il legislatore francese, tuttavia, si è spinto ben oltre le ipotesi previste dalla normativa italiana: se, in Italia, il perimetro del 'rischio di fuga' è stato disegnato in modo significativamente ampio, tale da ricomprendere al suo interno la maggioranza degli stranieri da espellere, la legge 'Besson' ha voluto presumere il 'rischio di fuga' anche dalla semplice mancanza della richiesta di un titolo di soggiorno o dal trattenimento sul territorio nazionale oltre la validità del visto di ingresso ovvero oltre la scadenza del titolo di soggiorno. Queste ultime ipotesi evidentemente non possono dirsi sempre addebitabili allo straniero o necessariamente sintomi di un rischio di fuga dello stesso.

Inoltre, l'ipotesi prevista all'art. L. 511-1-II, lett. (f), CESEDA - che collega la sussistenza del rischio di fuga alla mera mancanza di un passaporto (o di altro documento in corso di validità) - solleva alcuni dubbi circa la sua compatibilità con le garanzie offerte dalla direttiva retour, specificatamente all'art. 9, co. 2, lett. (b), laddove si precisa che «gli Stati membri possono rinviare l'allontanamento per un congruo periodo, tenendo conto (...) delle ragioni tecniche come l'assenza di mezzi di trasporto o il mancato allontanamento a causa dell'assenza di identificazione». Nonostante tale norma non preveda un vero e proprio diritto in capo al cittadino di Paese terzo al rinvio dell'allontanamento, non ammette neanche la soppressione di garanzie come quella di concessione di un termine per la partenza volontaria. Questi rilievi sono stati mossi da una parte della dottrina con riferimento alla legge italiana di recepimento della 'direttiva rimpatri', la quale prevede la stessa ipotesi di mancato possesso del passaporto tra le presunzioni di sussistenza del rischio di fuga ai sensi dell'art. 13 co. 4-bis d. lgs. 286/1998 e, per questo, si ritiene che possano valere allo stesso modo con riferimento alla Francia (112).

La nuova disciplina contempla, inoltre, l'obbligo della motivazione e la specificazione del paese di destinazione all'interno dell'OQT.

3.4. L'interdiction de retour sur le territoire français (IRTF)

Un nuovo istituto introdotto della legge nº 672/2011, all'art. L. 511-1-III CESEDA, è l'interdiction de retour sur le territoire français o IRTF (divieto di reingresso) (113), che si distingue sia dall'interdiction du territoire français (ITF) (114) che viene disposta nei confronti degli stranieri che hanno commesso determinati reati e comporta l'espulsione immediata e il divieto di soggiorno temporaneo e definitivo, sia dall'interdizione di soggiorno che è una pena complementare di cui agli artt. 131-31, 131-32 Code pénal.

L'IRTF è una misura di polizia amministrativa (115) che consente l'espulsione forzata dell'immigrato irregolare qualora questi sia destinatario del suddetto divieto e rientri nel territorio dello Stato o vi si mantenga. La qualificazione nel senso di una misura di polizia comporterà, come si vedrà, l'inapplicabilità di una serie di garanzie, quali il diritto di difesa e il principio del contraddittorio, riconosciute dalla Dichiarazione del 1789 e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e il cui rispetto, dunque, non può essere garantito senza l'adozione della misura in questione (116).

Il legislatore francese ha lasciato al prefetto, in tutti i casi, piena discrezionalità nel decidere se applicare o meno il divieto di reingresso (117), contravvenendo a quanto richiesto dalla direttiva 2008/115/CE, che all'art. 11, par. 1, stabilisce che le decisioni di rimpatrio sono corredate di un divieto di reingresso almeno in due casi: qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria e qualora non sia stato ottemperato l'obbligo di rimpatrio.

La questione dell'obbligatorietà del divieto di reingresso aveva inizialmente contrapposto le due Camere (118): in prima lettura, infatti, l'Assemblea nazionale aveva previsto che la decisione di rimpatrio fosse corredata dall'IRTF nei due casi previsti dalla direttiva salvo situazioni particolari, mentre la commissione competente al Senato, facendo leva sulle eccezioni previste dall'art. 11, par. 3 della direttiva e sul fatto che la stessa autorizza gli Stati a revocare il divieto in casi relativamente ampi (119), rese l'applicazione del divieto facoltativa.

Infine la legge 'Besson' ha stabilito quattro casi che permettono di disporre l'IRTF: in caso di mancata concessione del termine per la partenza volontaria si può disporre un divieto massimo di tre anni, in caso contrario, invece, il divieto comincerà a decorrere dalla scadenza del termine per una durata massima di due anni; qualora, invece, lo straniero si mantenga sul territorio oltre il termine concesso, senza aver precedentemente ricevuto un IRTF, la durata potrà essere al massimo due anni, mentre se aveva ricevuto il divieto in precedenza, questo proseguirà i suoi effetti e potrà essere prolungato al massimo di due anni (120).

Le ragioni di una simile previsione discrezionale, laddove la direttiva richiede espressamente l'esercizio di un potere obbligatorio (121), è da ricercare nella giurisprudenza del Conseil constitutionnel (122): nel 1993 i giudici costituzionali si erano, infatti, già pronunciati su un simile divieto amministrativo e l'avevano dichiarato incompatibile con l'articolo 8 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 (123) e sui principi vigenti in materia penale (124), per il carattere automatico della sua applicazione, che non teneva conto della gravità del comportamento né della possibilità di modularne la durata. Al momento dell'entrata in vigore della legge nº 672/2011 non solo questa giurisprudenza non era stata abbandonata dal Conseil constitutionnel (125), ma l'automaticità della misura non appariva conforme né alla direttiva 'retour' né alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.

La questione che si poneva era di capire se una tale misura fosse conforme alle esigenze derivanti dall'art. 8 della Dichiarazione del 1789 (necessità e proporzionalità delle pene) e allo stesso tempo se fosse rispettosa del diritto di difesa, del principio del contraddittorio, nonché del diritto di asilo (126). Il dubbio è stato sciolto, come accennato, dal Conseil constitutionnel, che pronunciatosi sulle censure formulate con riferimento alla legge nº 2011-672, ha affermato che l'IRTF che accompagna l'OQT costituisce una misura di polizia a carattere preventivo, e non una «sanzione» avente il carattere di una punizione ai sensi dell'art. 8 della Dichiarazione del 1789 (127). Dalla differente qualificazione emerge, dunque, la natura di una misura di prevenzione dal turbamento e dalla minaccia per l'ordine pubblico, che la presenza dello straniero sul territorio farebbe presumere e non la retribuzione di un comportamento tenuto dallo straniero (128).

In ogni caso, l'autorità amministrativa, nell'adottare questa misura conformemente a quanto richiesto dalla direttiva, dovrà tener conto della durata della presenza dello straniero sul territorio francese, della natura e dell'anzianità dei suoi legami con la Francia, dei suoi precedenti e della minaccia per l'ordine pubblico che lo straniero può rappresentare. Il prefetto potrà in qualsiasi momento porre fine al divieto di reingresso se lo straniero risiede fuori dalla Francia.

L'interessato sarà, inoltre, allo stesso tempo informato della segnalazione ai fini della non ammissione nel sistema di informazione Schengen (S.I.S. II).

3.5. Il controllo sulle decisioni inerenti il rimpatrio

L'OQT, la fissazione o meno del termine per il rientro volontario, l'indicazione del paese di destinazione e l'IRTF, nonostante possano essere contenute tutte nello stesso atto, sono decisioni autonome contro le quali può essere proposto ricorso giurisdizionale di fronte all'autorità amministrativa.

Ai sensi dell'art. L. 512-1-I CESEDA, l'OQT corredata dal termine per la partenza volontaria può essere oggetto di ricorso di fronte al tribunale amministrativo, entro trenta giorni dalla sua notifica, per chiederne l'annullamento. Lo stesso termine è previsto nei ricorsi avverso il rifiuto di soggiorno, l'atto che menziona il paese di destinazione e l'interdiction de retour di cui all'art. L. 511-1-III CESEDA, qualora sia stato concesso il termine ai sensi dell'art. L. 511-1-I CESEDA.

Se invece lo straniero non ha ottenuto il termine per lasciare volontariamente il territorio, ha quarantotto ore per portare il suo caso davanti al tribunale amministrativo o per ricorrere contro il rifiuto di soggiorno, la mancata concessione del termine, la scelta del paese di ritorno e il divieto di reingresso. In entrambi i casi, il tribunale si pronuncia nei tre mesi successivi, ma si tratta comunque di un termine ordinatorio che non comporta alcuna conseguenza in caso di sua violazione.

L'obligation de quitter le territoire non può comunque essere eseguita d'ufficio prima della scadenza del termine per la partenza volontaria o, nel caso in cui il termine non sia concesso, prima di quarantotto ore né, in ogni caso, prima della pronuncia del giudice amministrativo (129).

Pertanto, il ricorso avverso la decisione di rimpatrio ha carattere sospensivo, non potendo essere quest'ultimo eseguito prima di un eventuale controllo del giudice.

Dal 2005, il legislatore francese ha previsto che la pronuncia del giudice amministrativo possa essere contestata davanti alla Corte amministrativa d'appello (Cour administrative d'appel), e non più davanti al Conseil d'État, ma a differenza del giudizio in primo grado, il ricorso in appello non avrà carattere sospensivo (130).

Al contrario, in Italia, tutte le espulsioni sono immediatamente esecutive, anche se sottoposte a gravame o impugnativa (131), tuttavia l'esecuzione dell'espulsione rimane sospesa fino a quando il giudice di pace non ha deciso sulla convalida, in un'apposita udienza in camera di consiglio, con la partecipazione necessaria del difensore e dell'interessato (132). Dunque nell'ordinamento italiano si è preferito sotto la spinta della giurisprudenza della Corte costituzionale (133), prevedere una convalida automatica di tutte le espulsioni che debbano essere eseguite mediante accompagnamento alla frontiera, mentre nessun rimedio è previsto nel caso di concessione di un termine per la partenza volontaria, visto che quest'ultimo può essere rilasciato solo su richiesta dell'interessato: solo le misure cautelari disposte nel contesto del rimpatrio volontario potranno essere sottoposte al controllo del giudice di pace. Per quanto riguarda il ricorso contro il decreto di espulsione, il quale può essere impugnato di fronte al giudice di pace (134), nulla è previsto circa la possibilità di sospenderne l'efficacia esecutiva nelle more della decisione sul ricorso; tuttavia, restano validi i principi stabiliti dalla Corte costituzionale che con due ordinanze ha sancito il potere di disporre la tutela cautelare pur in mancanza di una previsione legislativa espressa, in quanto ricavabile dai principi generali dell'ordinamento. Inoltre non si deve dimenticare che la direttiva 2008/115/CE ha prescritto di offrire allo straniero «mezzi di ricorso effettivo (...), compresa la possibilità di sospenderne temporaneamente l'esecuzione, a meno che la sospensione temporanea sia già applicabile ai sensi del diritto interno» (135). Pertanto il giudice nazionale potrà applicare tali principi, anche in assenza di una previsione espressa che consente di sospendere il decreto espulsione nelle more della decisione sul ricorso.

3.6. Le misure di controllo precedenti all'allontanamento

Allo scopo di recepire la 'direttiva rimpatri' nell'ordinamento interno, il legislatore ha provveduto a riformare altresì le procedure che anticipano temporalmente l'esecuzione del rimpatrio forzato e che sono, di conseguenza, finalizzate ad assicurare che lo straniero non si sottragga allo stesso.

Da una parte il legislatore ha riformato l'art. L. 513-4 CESEDA, prevedendo l'obligation de présentation (obbligo di presentazione), una misura che potrà essere applicata allo straniero a cui sia stato concesso il termine per la partenza volontaria e che lo obbliga a presentarsi all'autorità amministrativa, agli uffici di polizia o alle unità della gendarmeria per indicare le procedure effettuate per la preparazione della sua partenza. Tuttavia, a parte l'indicazione degli uffici ai quali lo straniero dovrà presentarsi, la frequenza di al massimo tre presentazioni alla settimana e il trattenimento del passaporto in cambio di un documento di riconoscimento, non vi è alcuna menzione dei motivi per i quali può essere disposta questa misura, né nei confronti di quali stranieri può trovare applicazione (136). Certamente non potrà essere giustificata dalla presenza di un rischio di fuga dello straniero, in quanto, automaticamente, questo farebbe scattare un OQT senza concessione del termine per la partenza volontaria (137) e dunque mancherebbe il presupposto per disporre l'obligation de présentation.

Dall'altra, ulteriori modifiche sarebbero state necessarie per rispondere alle esigenze fissate dal considerando n. 16 della direttiva 2008/115/CE (138), dal quale si evince chiaramente che la misura del trattenimento amministrativo si configura in termini di residualità nel nuovo sistema e dalla clausola con cui si apre l'art. 15 della stessa che disciplina il trattenimento ai fini dell'allontanamento (139). Tuttavia, in Francia, non si assiste all'introduzione di particolari misure coercitive idonee a rendere sussidiaria la disposizione del trattenimento (140).

In Italia invece, nell'ambito delle misure coercitive, il contrasto tra la precedente disciplina e il sistema delineato dalla 'direttiva rimpatri' è stato attenuato con la legge n. 129/2011 che ha attribuito al questore la facoltà di disporre, in luogo del trattenimento, alcune misure (consegna del passaporto, obbligo di dimore, obbligo di presentazione periodica presso la forza pubblica), a condizione che lo straniero sia in possesso di un passaporto e che l'espulsione non sia stata disposta per motivi di sicurezza dello Stato, per motivi di terrorismo o di pericolosità sociale (141); tuttavia, nonostante si possa accogliere con favore l'introduzione di misure meno coercitive rispetto alla detenzione amministrativa, la loro applicazione si è rivelata in questi due anni pressoché nulla.

La legge 'Besson', in Francia, pur non avendo previsto ulteriori misure alternative al trattenimento, si è comunque adoperata per un'importante riforma dell'istituto dell'assignation à résidence, che oggi forma un nuovo titolo - il sesto - del libro V del CESEDA.

Ai sensi dell'art. L. 561-1 CESEDA, nei casi in cui sussiste l'impossibilità di lasciare il territorio francese o di raggiungere il proprio paese di origine o qualsiasi altro paese, l'autorità amministrativa può disporre tale misura fino a che sussista una perspective raisonnable (prospettiva ragionevole) circa l'esecuzione del suo allontanamento, in deroga al collocamento in un centro di detenzione amministrativa. L'applicazione è prevista in una serie di ipotesi dalla stessa norma elencate (142), per una durata massima di sei mesi, per la prima volta, e rinnovabile una o più volte per la stessa durata. Lo straniero, obbligato a risiedere nei luoghi fissati dall'autorità amministrativa, deve presentarsi periodicamente agli uffici di polizia o dei carabinieri.

Ai sensi dell'art. L. 561-2 CESEDA, invece, nei casi previsti dall'art. L. 551-1 della stessa legge, ossia quelli che permettono il trattenimento amministrativo, l'autorità può disporre l'assignation à résidence nei confronti dello straniero, qualora vi siano prospettive ragionevoli di allontanamento ed egli presenti delle garanties de représentation effectives, ossia almeno un passaporto e un indirizzo fisso, al fine di assicurare che lo stesso non si sottragga alla misura, per un periodo massimo di quarantacinque giorni. L'assignation à résidence costringe lo straniero a risiedere in un luogo determinato e a consegnare alle autorità l'originale del suo passaporto in cambio un riconoscimento (récépissé) con il quale giustificare la sua identità. Se la misura tende a prolungarsi nel tempo, l'interessato potrà essere autorizzato a lavorare, ma tale autorizzazione verrà riesaminata annualmente per verificare che non sia intervenuto nessun cambiamento nel paese in cui dove essere rimpatriato (143). Infine, coloro che lasciano il luogo dove sono costretti a risiedere, senza l'autorizzazione dell'autorità amministrativa, sono punibile con una pena fino a tre anni di reclusione (144).

La riforma introduce, inoltre, a titolo eccezionale, un'assignation sous surveillance électronique: già utilizzata in Francia come misura alternativa all'esecuzione di determinate pene detentive e ora prevista anche dall'art. L. 562-1 CESEDA, il quale costituisce un valido escamotage al fine di evitare il collocamento in un centro di detenzione di un'intera famiglia, come d'altronde sembrerebbe richiedere la direttiva 'retour' (145).

La misura può essere applicata qualora l'espulsione debba essere effettuata nei confronti di padre o madre di figlio minore residente in Francia, qualora questi contribuiscano effettivamente al suo mantenimento e alla sua educazione alle condizioni previste dall'art. 371-2 del Code civil, dal momento della nascita o dal compimento di almeno due anni di età, e sempre che non sia applicabile l'istituto dell'assignation à résidence di cui all'art. L. 561-2 CESEDA.

Essa viene disposta dall'autorità amministrativa, previo accordo dello straniero interessato, per una durata massima di cinque giorni ed è prorogabile, alle stesse condizioni previste per la rétention administrative, dal juge des libertés et de la détention (JLD). Lo straniero, nel periodo in questione, non potrà assentarsi dal proprio domicilio o da altro luogo indicato dall'autorità amministrativa o dal JLD fuori dagli orari stabiliti dagli stessi; il controllo del rispetto della misura sarà assicurato attraverso un'apposita strumentazione che rileverà la presenza o l'assenza delle persone nei luoghi predetti.

3.7. La rétention administrative dopo la legge del 16 giugno 2011

La detenzione amministrativa degli stranieri irregolari in Francia vanta una lunga tradizione: è, infatti, a partire dagli anni Ottanta che questa diventa un elemento centrale del sistema di espulsione degli immigrati (146), ampliando con il tempo notevolmente i suoi margini applicativi.

Con l'entrata in vigore della legge nº 672/2011, la disciplina di cui al titolo V del CESEDA si è dovuta, tuttavia, conformare ai principi espressi dalla direttiva retour, in base ai quali deve essere accordata preferenza a misure meno coercitive rispetto al trattenimento amministrativo, qualora queste siano sufficienti a perseguire l'obiettivo dell'allontanamento e, comunque, anche laddove la misura più restrittiva della libertà venga disposta, non sarà giustificata - con la conseguenza che lo straniero dovrà essere messo in libertà - se non sussistano effettive prospettive di un allontanamento (147).

Nell'intento di seguire questa logica, il legislatore francese ha configurato la detenzione come misura eccezionale, applicabile in otto ipotesi tassative elencate all'art. L. 551-1 CESEDA (148), suscettibile di essere sottoposta a controllo giurisdizionale, sempre nel caso in cui non si possa preferire la misura dell'assignation à résidence di cui all'art. L. 561-2 dello stesso codice.

Ciò comunque non assicura un contenimento nel ricorso a questa misura, sino ad ora sistematico: si è rilevato, infatti, che l'ambiguità e la formulazione generica di alcune norme lasciano dedurre che il trattenimento negli appositi centri di rétention administrative (CRA) continuerà ad essere un passaggio obbligato nella procedura di espulsione (149).

In particolare i casi in cui si procederà al trattenimento riguardano: lo straniero che deve essere riammesso verso un Stato membro dell'Unione europea; colui che è destinatario di un arrêté d'expulsion (misura di allontanamento forzato); colui che deve essere ricondotto alla frontiera in esecuzione di interdiction judicaire du territoire (150) o in esecuzione di un interdiction de retour; colui che è oggetto di segnalazione ai fini della non-ammissione da parte di un altro Stato dell'area Schengen o di una decisione si allontanamento presa da uno Stato membro che la Francia deve eseguire; colui che deve essere ricondotto alla frontiera in applicazione dell'art. L. 533-1 o chi ha ricevuto un OQT senza la concessione di un termine per la partenza volontaria, o qualora il termine non sia stato rispettato; infine, colui che, essendo già stato trattenuto in un CRA non ha ottemperato alla misura di allontanamento nel termine di sette giorni o, avendo ottemperato, è tornato in Francia.

Alla stregua di quanto accaduto in Italia, dunque, le ipotesi di trattenimento amministrativo in Francia non sono state ricondotte a situazioni in cui non possono essere applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive per cause imputabili al comportamento dello straniero - come richiede la direttiva 2008/115/CE (151) - ma ricomprendendo di fatto tutti i casi in cui il cittadino di paese terzo deve essere coattivamente allontanato dal territorio nazionale e non facendo alcun riferimento neanche parziale alla formulazione di cui all'art. 15 della direttiva, come almeno è avvenuto in Italia in occasione del recepimento dell'atto comunitario in questione (152).

Per quanto riguarda i tempi entro cui è consentita l'applicazione di tale misura, il legislatore francese non si è avvalso, a differenza del legislatore italiano (153), dei termini massimi indicati dalla direttiva, cioè sei mesi rinnovabili per ulteriori dodici; ma ha sicuramente colto l'occasione per prolungare la durata massima del trattenimento - in precedenza fissata a trentadue giorni - fino a quarantacinque giorni.

Un'eccezione era stata inizialmente prevista per gli stranieri condannati alla pena dell'ITF (interdiction du territoire français), per aver commesso atti di terrorismo o nei cui confronti fosse stata disposta l'espulsione per comportamenti connessi ad attività a sfondo terroristico: per questi era possibile disporre una detenzione della durata di un mese, rinnovabile per ulteriori sei mesi; tuttavia, era possibile un prolungamento di dodici mesi supplementari (154). L'unica censura formulata dal Conseil constitutionnel sulla legge nº 672/1998 riguarda proprio quest'ultimo punto: se da una parte, infatti, il Conseil convalida la privazione della libertà per una massimo di sei mesi, in conseguenza di un semplice rinnovo mensile da parte del JLD, ritiene in contrasto con l'art. 66 della Costituzione il prolungamento supplementare fino a diciotto mesi (155), visto che l'interessato ha scontato la sua pena. Dunque, non si capisce perché un simile ragionamento non è stato condotto per censurare il primo prolungamento fino a sei mesi (156). Effettivamente una simile previsione incostituzionale sarebbe stata contraria ancor prima alla direttiva 2008/115/CE, la quale non ammette alcuna applicazione differenziata dell'art. 15 per i 'terroristi stranieri che abbiano pagato la loro colpa' (157).

La detenzione amministrativa fino a quarantacinque giorni è stata suddivisa in due tempi: si permette, infatti, all'autorità amministrativa di adire il JDL entro cinque giorni dalla decisione della detenzione ai fini di un primo prolungamento di venti giorni e, allo spirare di tale termine, di domandare un secondo prolungamento della medesima durata solo, però, in casi di urgenza assoluta o di minaccia di particolare gravità dell'ordine pubblico o nel caso d'impossibilità di eseguire la misura dell'allontanamento a causa del comportamento dello straniero o di ritardo non imputabile all'Amministrazione (158).

Prima della riforma del 16 giugno 2011, la Francia era il paese che prevedeva la durata della detenzione amministrativa più breve (nel massimo) rispetto a tutti gli altri Stati membri dell'Unione Europea (159). In poco più di trent'anni, tuttavia, la Francia era riuscita a passare da un termine massimo iniziale di sette giorni, nel 1981, fino ad arrivare, sotto la spinta dell'agone politico, ad una durata totale di trentadue giorni, nel 2003.

Ora, per alcuni autori (160), la trasposizione della direttiva 'retour' sembra aver costituito il pretesto per abbassare ulteriormente gli standard nazionali esistenti.

Il Ministro dell'Immigrazione in carica, Brice Hortefeux, infatti, nonostante gli impegni assunti durante la negoziazione della direttiva, anche di fronte al Parlamento (161), ha deciso di prolungare la durata da trentadue a quarantacinque giorni sulla scorta dell'argomento di un necessario allineamento europeo, come se la direttiva costituisse un invito ad una progressiva armonizzazione della durata della detenzione in Europa (162); necessità che, tuttavia, non è assolutamente imposta dalla direttiva 'retour', la quale, ai sensi dell'art. 15 § 5 lascia, agli Stati membri la facoltà di determinare liberamente la durata della detenzione, prevedendo unicamente un limite massimo.

Uno degli aspetti più toccati dalla legge del 16 giugno 2011 è stato il contenzioso concernente la detenzione amministrativa degli stranieri, giacché la sua riforma costituiva una delle reali priorità, nonché il cœur del progetto 'Besson' (163).

Nella procedura di allontanamento intervengono due organi giurisdizionali, uno amministrativo e uno giudiziario dove il primo conosce della legalità del provvedimento adottato dal Prefetto a seguito di un ricorso per l'annullamento da parte dello straniero e il secondo, adito stavolta dall'amministrazione, della sussistenza dei presupposti che giustificano il prolungamento della rétention (164).

Questi controlli paralleli, del giudice amministrativo e del giudice ordinario, avevano finito per causare una strutturale inefficienza nella politica di allontanamento degli stranieri e per tale motivo se ne reclamava una loro rapida revisione (165).

La precedente disciplina prevedeva, infatti, che il giudice ordinario si pronunciasse prima del giudice amministrativo, ponendo così il rischio che una misura confermata da un organo giurisdizionale potesse essere messa in discussione, in un momento successivo, da un organo amministrativo, attraverso l'annullamento dell'atto di disposizione della detenzione o del provvedimento di espulsione.

Al fine di rimediare alla complessità del contenzioso, il governo francese, nel luglio del 2008, aveva incaricato una Commissione, presieduta da Pierre Mazeaud, con il compito di studiare tre ipotesi di unificazione del contenzioso davanti ad un'unica giurisdizione (il giudice amministrativo, il giudice giudiziario o un giudice specializzato creato ad hoc) (166). La Commissione non ha, tuttavia, ritenuto opportuna una simile unificazione e ha concluso nel senso del mantenimento di entrambe le giurisdizioni, suggerendo, piuttosto, un miglioramento delle disposizioni esistenti del CESEDA.

Con riferimento a tale problematica, la soluzione trovata dalla legge nº 672/2011, ispirandosi talora alle proposte del rapporto di Mazeaud, è stata quella di mantenere la doppia giurisdizione non modificando in nulla la ripartizione delle competenze ma invertendo l'ordine di intervento dei due organi.

Lo straniero dispone, infatti, di quarantotto ore per adire il giudice amministrativo, il quale, successivamente, avrà settantadue ore per pronunciarsi sulla legalità della misura amministrativa (167); al contrario, il giudice ordinario potrà intervenire sull'ammissibilità del prolungamento della detenzione solo una volta trascorsi cinque giorni - e non più quarantotto - dalla notificazione dell'atto che dispone il trattenimento e dovrà pronunciarsi nelle successive quarantotto ore (168).

Questo escamotage permette di ritardare, per quanto costituzionalmente possibile, l'intervento del giudice ordinario, incaricato di esercitare un controllo sulla limitazione della libertà personale ed evitare che egli «prolunghi gli effetti di un [eventuale] provvedimento illegittimo» (169).

Nonostante le 'buone intenzioni', la nuova previsione finisce per stabilire che un cittadino di un paese terzo possa essere privato della libertà personale per almeno cinque giorni meramente in forza di un provvedimento amministrativo, prima che possa intervenire un'autorità giudiziaria ordinaria, dotata delle necessarie garanzie di indipendenza e terzietà, a pronunciarsi sulla legittimità della misura disposta (170).

La dottrina francese, unanime sul punto, ha rilevato come la modifica legislativa fosse mossa in realtà dalla volontà di limitare, se non escludere, l'intervento del JLD (171): posticipare l'intervento del giudice ordinario, infatti, vuol dire permettere all'amministrazione di sfuggire alle sanzioni per le eventuali irregolarità commesse durante il procedimento di espulsione e prima del trattenimento amministrativo, che porterebbero ad una liberazione immediata dello straniero da parte del JLD (172).

In questo modo lo straniero potrà essere trattenuto - per centosessantotto ore consecutive -, in vista di una sua espulsione, prima che il giudice ordinario possa intervenire e, di conseguenza, in caso di avvenuto allontanamento, nessuno potrà conoscere della regolarità della procedura di espulsione (173).

Il carattere eccezionale di una simile previsione appare anche da una lettura sistematica delle norme del diritto penale francese dove, ai sensi dell'art. 63 del Code de procédure pénale, si stabilisce che la misura cautelare della garde à vue disposta dalla polizia giudiziaria non può durare più di ventiquattro ore, trascorse le quali, è ammesso un prolungamento solo su ordine dell'autorità giudiziaria (174). La legge 'Besson' introduce dunque un regime speciale e peggiorativo per gli stranieri che devono essere allontanati rispetto a coloro che sono detenuti perché sospettati di reati comuni (175).

L'allungamento del termine entro il quale adire il giudice ordinario, nonostante attenti alle garanzie in materia di libertà personale di cui all'art. 66 della Consitution (176), non ha, tuttavia, attirato le censure del Conseil constitutionnel. Al fine di convalidare le disposizioni in esame, i giudici costituzionali hanno dovuto apportare delle importanti modifiche alla propria giurisprudenza protectrice de la liberté individuelle (177), la quale non aveva mai ammesso, nel campo del diritto degli stranieri, un termine superiore a quarantotto ore per l'intervento del giudice ordinario (178).

Il Conseil, per emendare la propria giurisprudenza e, allo stesso tempo, ritenere equilibrata la scelta effettuata dal legislatore nel bilanciare la protezione della libertà individuale, i valori costituzionali della buona amministrazione della giustizia e la protezione dell'ordine pubblico, ha tenuto conto, in particolare, di tre elementi (179).

In primo luogo ha scelto di andare incontro alle preoccupazioni del legislatore, circa la volontà di invertire l'ordine degli interventi dei giudici, affinché il giudice amministrativo si pronunci prima di quello ordinario (180). In secondo luogo, il Conseil ha rilevato che in caso di trattenimento nel CRA lo straniero, può chiedere l'annullamento al giudice amministrativo, entro 48 ore, non solo della misura di allontanamento, ma anche della stessa misura del trattenimento (APRA); il giudice amministrativo statuisce al massimo entro settantadue ore dal momento in cui viene adito e lo straniero è rimesso in libertà laddove, non solo sia annullata la misura del trattenimento, ma anche l'OQT o il rifiuto di concedere un termine per la partenza volontaria (181). Pertanto sussistono delle garanzie anche nella fase antecedente l'intervento del giudice ordinario.

Infine ha ritenuto come la presenza dell'art. L. 554-1 CESEDA (182), non modificato dalla legge 'Besson', prevedendo che lo straniero non può essere trattenuto in un CRA se non per il tempo necessario al suo rimpatrio, costituisca garanzia del rispetto dello spirito della 'direttiva rimpatri'.

In questo modo l'organo di giustizia costituzionale francese ha finito per convalidare il 'differimento' dell'intervento e, dunque, del controllo del JLD a cinque giorni dall'inizio del trattenimento, al fine «de garantir l'examen prioritaire de la légalité de ces mesures» e «permettre un traitement plus efficace des procédures d'éloignement des étrangers en situation irrégulière» (183).

È stato notato, che la presa di posizione dei giudici costituzionali - come da loro stessi ammesso (184) - produce una modulazione della libertà individuale a seconda delle persone coinvolte, visti gli interessi pubblici sottesi alla materia del diritto degli stranieri, quali la lotta contro l'immigrazione irregolare e la salvaguardia dell'ordine pubblico che trova riscontro anche nei valori costituzionali.

4. Il 'reato di clandestinità' francese e la direttiva 'retour'

4.1. L'arrêt Achughbabian di fronte alla Corte di giustizia dell'Unione europea

La causa in esame, come accennato, trae origine da un contrasto giurisprudenziale sorto in seno alla giurisprudenza amministrativa francese, seguito alla pronuncia della Corte di giustizia del 28 aprile 2011 (185).

I fatti che hanno dato luogo all'arrêt Achughbabian (186) emergono, sullo sfondo della Val-de-Marne, un dipartimento francese della regione dell'Île-de-France, nell'ambito di un controllo di identità nei confronti di un giovane armeno di diciannove anni, sospettato di aver commesso il reato di ingresso e soggiorno irregolare ex art. L. 621-1 CESEDA e perciò posto in garde à vue ai sensi dell'art. 62-2 Code procédure pénale.

Durante l'esecuzione della misura pre-cautelare, secondo la prassi consolidata in Francia, gli veniva notificato un provvedimento con il quale il Prefetto disponeva l'accompagnamento coattivo alla frontiera e il trattenimento in un centro di detenzione amministrativa (CRA). Successivamente il juge des libertés et de la détention (JLD) accordava il prolungamento del trattenimento richiesto dal Prefetto per ulteriori quindici giorni, non accogliendo le eccezioni di nullità della procedura di allontanamento sollevate dal ricorrente (187).

Una delle eccezioni della difesa prendeva proprio le mosse dalla recente pronuncia della Corte di giustizia, El Dridi: dal principio stabilito in questa sentenza, secondo il quale la direttiva 'retour' sarebbe in contrasto con una pena detentiva comminata per il solo motivo che lo straniero si trova, in condizione dei irregolarità sul territorio, senza giustificato motivo, in violazione di un ordine di allontanamento, il ricorrente faceva derivare l'illegittimità della pena detentiva prevista dall'art. L. 621-1 CESEDA. La caducazione della pena detentiva avrebbe comportato di conseguenza - secondo la difesa - l'illegittimità del ricorso alla garde à vue, la quale può essere disposta solo nei confronti di soggetti sospettati di aver commesso un reato per il quale sia prevista la pena della reclusione.

Contro la decisione del juge des libertés et de la détention (JLD), venne successivamente adita la Corte di Appello di Parigi che, a sua volta, sottopose la questione alla Corte di Giustizia, alla quale domandava di valutare la compatibilità dell'art. L. 621-1 CESEDA con la direttiva 2008/115/CE e di trattare la causa secondo il 'procedimento di urgenza' di cui all'art. 104-ter del previgente Regolamento di procedura della Corte di giustizia.

Con un'ordinanza del 30 settembre 2011, tuttavia, la Corte decise di accordare al posto del 'procedimento d'urgenza', ritenuto non idoneo visto che il sig. Achughbabian era stato nel frattempo rimesso in libertà, la 'procedura accelerata' ex art. 104-bis del citato regolamento, in considerazione, comunque, della rilevanza che la pronuncia avrebbe potuto avere nei confronti della libertà personale dei soggetti irregolari sottoposti a garde à vue (188).

In particolare, la Cour d'appel di Parigi chiedeva «se, tenuto conto del suo ambito di applicazione, la direttiva osti ad una norma nazionale come l'art. L. 621-1 CESEDA che prevede l'irrogazione della pena della reclusione ad un cittadino di un paese terzo esclusivamente in ragione del suo ingresso o soggiorno irregolare sul territorio nazionale» (189)

La Grande sezione della Corte, il cui intervento era stato richiesto dal governo francese, ha inizialmente richiamato alcuni principi già espressi nella sentenza El Dridi, per cui la direttiva «non vieta che il diritto di uno Stato membro qualifichi il soggiorno irregolare alla stregua di un reato e preveda sanzioni penali per scoraggiare e reprimere la commissione di siffatta infrazione» (190); subito dopo, tuttavia, i giudici del Lussemburgo si sono spinti oltre queste premesse dichiarando che la direttiva 2008/115/CE non è di ostacolo neppure alla detenzione finalizzata a determinare se il soggiorno del cittadino di un paese terzo sia regolare (191). È evidente che intorno a questa statuizione - che assumerà nella sentenza il ruolo di un mero obiter dictum - ruoteranno le incertezze interpretative della giurisprudenza successiva in merito all'applicazione della garde à vue che erano all'origine della questione pregiudiziale, ma che non hanno trovato una risoluzione nella pronuncia della Corte, in quanto non espressamente interpellata sul punto.

Così facendo, la Corte di giustizia sottrae dall'ambito di applicazione della direttiva l'«arresto iniziale» dello straniero in situazione irregolare e per giungere a questo risultato utilizza due argomenti (192): da una parte richiamando il considerando n. 17 (193), dal quale si dedurrebbe la volontà di mantenere la disciplina delle misure precautelari privative della libertà personale nell'ambito delle competenze nazionali e dall'altra facendo leva sul principio dell'effetto utile del diritto dell'Unione europea e riprendendo l'argomento del governo francese, secondo il quale la finalità della 'direttiva rimpatri' «risulterebbe compromessa se gli Stati membri non potessero evitare, mediante una privazione di libertà come il fermo di polizia, che una persona sospettata di soggiornare irregolarmente fugga ancora prima che la sua situazione abbia potuto essere chiarita» (194).

Gli Stati normalmente dovranno disporre di un periodo breve, seppur ragionevole (195), per identificare lo straniero e verificarne la situazione, e solo una volta che avranno constatato l'irregolarità del soggiorno, dovranno emettere una decisione di rimpatrio ai sensi dell'art. 6 della direttiva 2008/115/CE (196). La Corte ritiene, dunque, di dover rigettare la tesi, sostenuta dal governo tedesco e da quello estone, secondo la quale gli Stati potrebbero ritardare l'inizio della procedura di rimpatrio, applicando preliminarmente una pena detentiva: l'allontanamento degli stranieri irregolari, infatti, dovrebbe essere portato a termine dalle autorità nazionali «con la massima celerità», in quanto la finalità della direttiva finirebbe ugualmente per essere frustrata «se lo Stato membro interessato, dopo aver accertato il soggiorno irregolare del cittadino di un paese terzo, anteponesse all'esecuzione della decisione di rimpatrio, o addirittura alla sua stessa adozione, un procedimento penale, eventualmente seguito dalla pena della reclusione» (197).

Ora, è stato sostenuto, che una simile legittimazione dell'«arresto iniziale» ai fini dell'identificazione dello straniero, si traduca in compromesso necessario alla realizzazione dell'obiettivo della direttiva, ossia l'effettivo allontanamento dello straniero irregolare dallo Stato. Alla misura della garde à vue non sembrano applicarsi infatti quei requisiti di necessità e proporzionalità (198) della limitazione della libertà espressi nella sentenza El Dridi (199). Si ricorda, a proposito, che la misura precautelare in questione prevede una privazione della libertà personale fino a quarantotto ore, nonostante l'ordinamento francese contempli anche altre misure precautelari privative della libertà personali, egualmente efficaci, ma meno afflittive per lo straniero che deve essere identificato (200).

In secondo luogo, la Corte, constatando che nei confronti del ricorrente era già stata emessa un decisione di rimpatrio e che, dunque, la sua situazione era riconducibile a quella prevista dall'art. 8, par. 1, della direttiva 2008/115/CE, rileva che la pena detentiva prevista dall'art. L. 621-1 CESEDA sia in grado di ostacolare lo scopo della direttiva stessa (201). La pena ad un anno di reclusione della disposizione francese, infatti, non può essere considerata alla stregua di «misura coercitiva» ex art. 8, par. 4, della direttiva 'retour', proprio perché quest'ultima si differenzia dalla prima proprio per il fatto di essere finalizzata all'esecuzione della decisione di rimpatrio, ossia l'allontanamento dello straniero irregolare dal territorio dello Stato (202).

In risposta al governo francese che aveva addotto l'applicabilità della clausola prevista all'art. 2, par. 2, lett. (b) della direttiva in questione, la Corte ha avuto modo di precisare - in modo esauriente e risolutivo rispetto a quanto era avvenuto nel caso El Dridi - la ratio di tale previsione, la quale consentirebbe un'espulsione più rapida, o comunque in deroga alla procedura comune, disposta dal giudice penale in caso di condanna per una fatto diverso rispetto alla violazione delle norme in materia di ingresso e soggiorno. La Corte stabilisce che l'art. 2, par. 2, lett. (b) «non può manifestamente essere interpretato, salvo privare la direttiva della sua ratio e del suo effetto vincolante, nel senso che gli Stati membri possano omettere di applicare le norme e le procedure comuni previste dalla direttiva in parola si cittadini di paesi terzi che abbiano commesso solo l'infrazione consistente nel soggiorno irregolare» (203). Una simile incompatibilità non sarebbe nemmeno sanata - secondo la Corte - dalla presenza di istituti processuali interni idonei a favorire il procedimento amministrativo di espulsione rispetto all'esercizio dell'azione penale (204). La Corte riteneva, infatti, idonea di per sé la fattispecie di reato di cui all'art. L. 621-1 CESEDA a condurre lo straniero a scontare una pena detentiva «considerato che, tra l'altro, il giudice del rinvio e il governo francese non hanno menzionato né un'archiviazione né, più in generale, una decisione che escluda definitivamente qualsiasi possibilità di perseguire il sig. Achughbabian per detto reato» (205). In questo modo, la Corte invalida indirettamente l'escamotage messo in atto dal Governo italiano per sottrarre l'applicazione della direttiva 2008/115/CE ad un vasto numero di espulsioni, configurando il 'reato di clandestinità' alla stregua di una contravvenzione e punendola con una sanzione pecuniaria, sostituibile con l'espulsione, in modo da farla rientrare nella clausola di cui all'art. 2, par. 2, lett. (b), in quanto «conseguenza di una sanzione penale».

Infine, la Corte, per conformarsi alle premesse della sua pronuncia circa il diritto degli Stati a ricorrere al diritto penale, anche in materia di immigrazione irregolare, ribadisce la possibilità di adottare sanzioni penali, ma solo qualora la procedura di rimpatrio sia giunta al termine e lo straniero continui a soggiornare in modo irregolare nel territorio di uno Stato membro senza che esista un giustificato motivo che precluda il rimpatrio (206).

La pronuncia, dunque, spezza in due l'art. L. 621-1 CESEDA, dichiarando la fattispecie ivi prevista conforme e non conforme alla 'direttiva rimpatri' (207): non conforme qualora suscettibile di condurre ad una pena detentiva nel corso della procedura di rimpatrio, conforme qualora la pena detentiva intervenga al termine della procedura di rimpatrio e il cittadino di paese terzo continui a soggiornarne sul territorio senza che esista un giustificato motivo che ne impedisca il rimpatrio.

Inoltre, si ricorda, che la Corte legittima, e ritiene non in contrasto con la direttiva, la misura provvisoria privativa della libertà personale al fine di accertare l'irregolarità dell'ingresso o del soggiorno dello straniero.

4.2. La fine della garde à vue per gli stranieri irregolari in Francia

Le statuizioni della Corte di giustizia nel caso Achughbabian sono apparse incerte e contraddittorie per molta parte della dottrina, nonché per la successiva giurisprudenza francese che continuerà ancora per qualche mese a dividersi - in continuità rispetto a quanto accadde dopo la sentenza El Dridi - sulla questione dell'applicabilità della garde à vue agli stranieri sospettati di ingresso o soggiorno irregolare in Francia.

In particolare, parte della dottrina ha rilavato un contrasto nella pronuncia della Corte laddove da una parte sembra ammettere la legittimità dell'adozione della garde à vue nei confronti dei cittadini di paesi terzi sospettati del reato di cui all'art. L. 621-1 CESEDA e dall'altra parte negare che una simile condotta possa costituire il presupposto per l'esercizio dell'azione penale usufruendo della clausola di riserva di cui all'art. 2, par. 2, lett. (b) della direttiva 2008/115/CE (208).

In realtà proprio la questione circa la legittimità del trattenimento in garde à vue sulla base della violazione dell'art. L. 621-1 CESEDA, rimaneva sostanzialmente aperta, perché la pronuncia della Corte di giustizia poteva prestarsi ad entrambe le letture.

Nel senso della legittimità, oltre alla dottrina appena richiamata che riteneva contraddittoria la pronuncia Achughbabian sul punto in questione, si orientava la circolare del Ministro della giustizia (detto anche Chancellerie) emanata, senza perdere tempo, il 13 dicembre 2011 (209), con la quale il Ministero si premurava di affermare che la direttiva 'rimpatri' non precludeva il ricorso alla garde à vue, né l'eventuale successivo trattenimento in un CRA.

In senso opposto, invece, marciava il sindacato della magistratura, secondo il quale l'interpretazione dell'arrêt Achughbabian, offerta dalla circolare, sarebbe stata erronea e parziale, come d'altronde potevano dimostrare le numerose giurisdizioni che si erano pronunciate in modo difforme dalla Chancellerie (210). Il sindacato riteneva che una lettura attenta della pronuncia della Corte non potesse che condurre nel senso dell'impossibilità di applicare la misura precautelare della garde à vue nel caso in esame e ciò, non tanto per le statuizioni contenute nella sentenza, quanto per le conseguenti considerazioni alla luce del diritto nazionale: la Corte, infatti, non affronta direttamente la questione della compatibilità o meno della garde à vue rispetto al diritto dell'Unione europea, e d'altronde non avrebbe potuto dato che la questione non era stata sottoposta alla sua attenzione. Tuttavia, l'art. 62-2 del Code de procédure pénale, come si è visto, stabilisce che la misura della garde à vue non potrà essere disposta se non nei confronti di coloro che sono sospettati di aver commesso o tentato di commettere un crimine o un delitto punito con la pena detentiva; ora, ciò che è stato espressamente dichiarato incompatibile con il diritto dell'Unione europea è proprio la pena della reclusione comminata dall'art. L. 621-1 CESEDA, in quanto idonea a compromettere l'obiettivo dell'allontanamento fisico dello straniero irregolare dal territorio dello Stato. Di conseguenza ciò che viene a cadere è proprio il fondamento legale della garde à vue, la quale non potrà più essere giustificata sulla base di una fattispecie di reato che non prevede più la pena detentiva, incompatibile con la direttiva 2008/115/CE (211).

Altri ancora hanno ritenuto che la garde à vue non sarebbe applicabile nemmeno in forza della sua durata, che andando dalle ventiquattro alle quarantotto ore, non può essere certamente qualificata come «brève mais raisonnable» (212) e di conseguenza sarebbe in contrasto con quanto richiesto dalla Corte di giustizia.

Proprio tali considerazioni avevano spinto numerosi giudici francesi a rimettere in libertà gli stranieri sottoposti a garde à vue (213).

Occorre ricordare che il 23 novembre 2011 era stata sollevata, altresì, questione prioritaria di costituzionalità (QPC) dell'art. L. 621-1 CESEDA di fronte al Conseil constitutionnel: questo, tuttavia, evitava di pronunciarsi rifugiandosi dietro la sua classica giurisprudenza sulla distinzione tra controllo di costituzionalità e controllo di euro-compatibilità (214). L'eccezione, sollevata con riferimento alla mancanza di compatibilità della legge francese con la direttiva comunitaria non costituiva, a suo parere, una rimostranza d'incostituzionalità in quanto l'esame circa la compatibilità con il diritto dell'UE rileverebbe solo davanti ai giudici ordinari. Il Conseil, secondo alcuni, avrebbe potuto accogliere la tesi avanzata dall'associazione GISTI, secondo la quale una pena giudicata incompatibile con una direttiva dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea non poteva essere considerata come «necessaria» ai sensi del principio di necessità delle pene formulato dall'art. 8 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789; inoltre, la disposizione sarebbe potuta cadere - visto il giudizio della Corte di Lussemburgo - anche in nome dell'equivalenza delle protezioni con riguardo ai diritti e alle libertà garantite dalla Costituzione e si sarebbe dunque potuto far prevalere la preoccupazione di coerenza ed interpretazione conforme tra la giurisprudenza nazionale e quella europea (215). Nonostante tali giudici avessero già affermato che l'esigenza costituzionale di trasposizione delle direttive non figurasse nel novero dei diritti e delle libertà che la Costituzione garantisce (216), il difetto di attuazione nell'ordinamento interno, come nel caso di specie, può ben incidere sui diritti e le libertà, in quanto si preserverebbe la facoltà di pronunciare sanzioni che prevedono la reclusione, anche se dichiarate incompatibili con il diritto dell'Unione europea.

L'odissea giudiziaria giunse al termine solo quando si decise di sottoporre la questione alla Prima sezione civile della Cour de Cassation, competente in materia di prolungamento della detenzione amministrativa degli stranieri irregolari, che, a sua volta, richiese il parere della Chambre criminelle, competente in materia di garde à vue.

In un avis del 5 giugno 2012 (217), quest'ultima, dopo aver ribadito che la misura in questione può essere disposta dagli organi di polizia solo quando vi sia il fondato sospetto che la persona abbia commesso o tentato di commettere un reato punito con la pena della reclusione e che tale misura deve essere necessariamente strumentale al procedimento penale, ha affermato che, a seguito dell'entrata in vigore della 'direttiva rimpatri', nell'interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia, il cittadino di un paese terzo accusato del solo reato di ingresso e soggiorno irregolare non incorre nella pena della reclusione prevista dall'art. L. 621-1 CESEDA, almeno fino a quando non siano state applicate le misure coercitive previste dall'art. 8 della direttiva e pertanto che lo straniero «non potrà essere sottoposto a garde à vue se sospettato del solo reato di ingresso e soggiorno irregolare».

Esattamente un mese dopo, il 5 luglio 2012 (218), la Prima sezione civile della Corte di Cassazione - senza discostarsi dal parere della Chambre criminelle che lei stessa aveva sollecitato - ha messo fine al sistematico ricorso alla garde à vue per il solo fatto del soggiorno irregolare, nonché alle divergenze della giurisprudenza. Tuttavia la pronuncia, offrendo un'interpretazione errata della direttiva 2008/115/CE rispetto a quella fornita dalla Corte nel caso Achughbabian, ritiene che sia possibile disporre la garde à vue qualora il cittadino di paese terzo sia stato sottoposto «ad una» della misure coercitive di cui all'art. 8 della direttiva 'retour' (219) ovvero sia già stato destinatario di un provvedimento di trattenimento. Questa lettura risulta in aperto contrasto con quanto affermato al punto 50 della sentenza, dal quale si evince che le misure coercitive vanno considerate non in termini di alternatività, come sembra ritenere la Corte di Cassazione, bensì di cumulo fino ad arrivare al trattenimento. Ciò lo si evince dall'uso della congiunzione «e» utilizzata dalla Corte di giustizia, nel momento in cui afferma che la direttiva 2008/115/CE «osta alla normativa di uno Stato membro che reprime il soggiorno irregolare mediante sanzioni penali, laddove detta normativa consente la reclusione di un cittadino di un paese terzo che, pur soggiornando in modo irregolare nel territorio di detto Stato membro e non essendo disposto a lasciare tale territorio volontariamente, non sia stato sottoposto alle misure coercitive di cui all'art. 8 di tale direttiva e per il quale, nel caso in cui egli sia stato trattenuto al fine di preparare e realizzare il suo allontanamento, la durata massima del trattenimento non sia stata ancora superata» (220). Pertanto, secondo un'attenta lettura della sentenza, l'applicazione di una pena detentiva è possibile solo laddove lo straniero sia stato sottoposto ad almeno una delle misure coercitive previste dalla direttiva e al trattamento fino alla sua durata massima consentita.

La Corte di giustizia aveva affermato il contrasto con la direttiva 2008/115/CE di una normativa che consente la reclusione di un cittadino di un paese terzo che non sia stato sottoposto alle misure coercitive di cui all'art. 8 e per il quale, laddove sia stato trattenuto in un centro di detenzione, la durata massima del trattenimento non sia stata ancora superata: da tale affermazione si evince chiaramente la necessità di un esaurimento dell'insieme delle misure coercitive e, in particolare, del trattenimento ai fini della detenzione. Al contrario la Prima sezione civile afferma che per evitare l'applicazione della garde à vue sia sufficiente che lo straniero non sia stato precedentemente sottoposto ad una misura coercitiva oppure che non sia stato trattenuto senza aver raggiunto la durata massima della detenzione possibile (quarantacinque giorni in Francia), rendendo di fatto alternativo l'esperimento delle misure al fine dell'applicazione della pena detentiva. Questa interpretazione appare dunque in contrasto con la formulazione in termini cumulativi, prima richiamata, utilizzata dalla Corte di giustizia (221). La 'direttiva rimpatri', si ricorda, si caratterizza per la previsione di un sistema di misure graduali e proporzionate per giungere infine a quella più restrittiva, ossia il trattenimento in un centro di permanenza temporanea, pertanto solo in caso di fallimento dell'insieme dei meccanismi coercitivi previsti dalla direttiva potrà essere giustificato l'uso di una pena detentiva come quella prevista all'art. L. 621-1 CESEDA. Per questi motivi, dunque, i JLD e le corti d'appello dovranno ignorare l'alternativa proposta dalla Corte di cassazione.

Tale possibilità non è stata, peraltro, presa in considerazione nemmeno dalla circolare del Ministro della Giustizia (222), inviata il 6 luglio 2012, agli ufficiali di polizia giudiziaria al fine di fornire nuove istruzioni circa il ricorso alla garde à vue per gli stranieri sospettati di ingresso o soggiorno irregolare in Francia

In particolare, la Chancellerie invita gli ufficiali di polizia giudiziaria a procedere alla garde à vue dello straniero irregolare, solo qualora, oltre al delitto di soggiorno irregolare, sia rilevata una violazione punita con la pena detentiva; la circolare richiama, inoltre, le istruzioni fornite il 12 maggio e il 13 dicembre 2011, che ne ammettono il ricorso anche in caso di comportamento violento nei confronti delle persone depositarie dell'autorità pubblica. A questo proposito i praticanti del diritto degli stranieri denunciano una tendenza della polizia a moltiplicare i casi di connessione dei delitti e l'utilizzo dell'incrimination de rébellion (223).

Il secondo invito del Ministero è quello di applicare, nel caso di flagranza, l'art. 78-3 Code de procédure pénale, che prevede una procedura finalizzata alla verifica dell'identità del soggetto fermato, ma essendo solo a questo teleologicamente orientata, potrà essere disposta solo nei confronti di coloro che sono sprovvisti di un qualsiasi documento atto a dimostrare la propria identità e non nei confronti di chi, per esempio, è in possesso di documenti scaduti. Per questo motivo, dunque, la procedura de vérification d'identité sembrerebbe inidonea a stabilire l'irregolarità del soggiorno dello straniero, nonché a preparare la decisione di rimpatrio (224).

5. La riforma del 31 dicembre 2012: la legge 'Valls'

Il quadro normativo in Francia è stato modificato recentemente dalla legge nº 1560 del 31 dicembre 2012. In seguito alla sentenza resa nel caso Achughbabian, e alle successive pronunce della Cour de Cassation, il legislatore ha ritenuto di dover intervenire nuovamente con la legge che prende il nome dal Ministro dell'Interno proponente, Manuel Valls.

In particolare, premeva l'esigenza di una soluzione al divieto di ricorrere alla misura della garde à vue, fino ad allora privilegiata da tutte le forze di polizia implicate nella procedura di allontanamento degli stranieri; ciò aveva condotto il Guardasigilli a tentare in un primo tempo di sostituirla con degli strumenti giuridici esistenti e indispensabili per l'espletamento delle procedure. Nell'intento di conformare l'ordinamento interno a quanto statuito dai giudici di Lussemburgo, come si è visto, il Ministro della Giustizia aveva emanato una circolare all'indomani della pronuncia della Prima sezione civile della Cour de Cassation, dove contemporaneamente al divieto di garde à vue, veniva caldeggiato il ricorso all'audition libre e alla procédure de vérification d'identité di cui all'art. 78-3 Code de procédure pénale.

Tuttavia entrambe non sembravano adattarsi alle esigenze dei servizi di polizia e delle prefetture, da una parte per la loro brevità e dall'altra per la palese inidoneità alla verifica dell'irregolarità del soggiorno.

È in questo contesto che nasce l'idea di una nuova detenzione, in deroga al diritto comune, destinata precipuamente alla verifica del diritto di soggiorno degli stranieri.

Una simile modifica non ha mancato, ovviamente, di suscitare critiche da più parti (225), tra cui, in particolare, quelle della Commissione nazionale consultiva dei diritti dell'uomo (CNCDH), la quale, in un avis reso in seguito alla presentazione del progetto di legge 'Valls', si è opposta fermamente all'introduzione di una nuova detenzione collocata al di fuori del Codice di procedura penale e sprovvista, oltretutto, di alcune delle garanzie riconosciute alla persona in garde à vue; una simile soluzione - si legge - non farebbe altro che «sommarsi al lungo processo di precarizzazione dei diritti degli stranieri iniziato dalle precedenti riforme» (226).

All'art. L. 611-1-1 CESEDA (227), così modificato dalla legge nº 1560/2012, è ora prevista la retenue pour vérification du droit au séjour d'un étranger volta a mettere lo straniero nelle condizioni di fornire i documenti richiesti al fine di accertare il suo diritto di circolazione o soggiorno sul territorio. Questa inedita misura amministrativa, che non può durare che per il tempo necessario a questi accertamenti, e comunque non oltre sedici ore, è fornita di alcune garanzie, quali il diritto ad essere assistito da un interprete, da un avvocato e da un medico, nonché a prendere contatto con tutta con la propria famiglia e con le autorità consolari del proprio Paese d'origine. Si tratta di una procedura finalizzata al controllo della regolarità del soggiorno dello straniero, il quale non potrà essere trattenuto che per il tempo necessario alla verifica della sua situazione e in ogni caso non oltre sedici ore (228). Il termine in questione, seppur inizialmente contestato al Senato per la sua eccessiva ampiezza, è stato giustificato dalla complessità delle verifiche da effettuare; a seguito di un emendamento si è tuttavia precisato che le misure coercitive messe in atto in questa occasione devono comunque essere «proporzionate alla necessità delle verifiche» (229). Inoltre, lo straniero non potrà essere posto in un locale che contemporaneamente accoglie anche persone sottoposte alla misura della garde à vue nel contesto delle investigazioni penali. Infine, tutta la procedura si svolgerà sotto il controllo del Procuratore della Repubblica che in ogni momento può porre fine alla detenzione.

In linea con quanto statuito dalla Corte di giustizia nel caso Achughbabian, la stessa legge ha inoltre abrogato l'art. L. 621-1 CESEDA nella parte in cui sanzionava il soggiorno irregolare del cittadino di paese terzo sul territorio dello Stato.

Il legislatore francese ha tuttavia mantenuto il reato di ingresso irregolare (230), in ragione del fatto che questo sarebbe previsto dal regolamento (CE) nº 562/2006 (Codice frontiere Schengen) che imporrebbe di stabilire delle sanzioni «in caso di attraversamento non autorizzato delle frontiere esterne (...) effettive, proporzionate e dissuasive». Evidentemente verranno perseguiti unicamente i casi di flagranza.

La legge 'Valls' ha parallelamente introdotto all'art. L. 624-1 CESEDA un nuovo delitto di cosiddetta 'résistance passive' (resistenza passiva), il quale commina la pena di un anno - e dunque la possibilità di ricorrere alla garde à vue - e l'ammenda di 3.750 euro a chi sia stato destinatario di «un arrêté d'expulsion, d'une mesure de reconduite à la frontière, d'une obligation de quitter le territoire français ou d'une interdiction judiciaire du territoire» e continui a rimanere in situazione irregolare sul territorio francese senza giustificato motivo, dopo che nei suoi confronti sia stata disposta la misura di trattenimento amministrativo in un CRA o l'«assignation à résidence» e che queste siano terminate senza che si sia potuto procedere all'allontanamento.

Come specificato dalla circolare del Ministro dell'Interno del 18 gennaio 2013 (231), che ha fornito indicazioni in merito alla nuova legge, la formula utilizzata per l'art. L. 624-1 CESEDA, è finalizzata a subordinare l'azione penale alla realizzazione effettiva dell'allontanamento, qualora l'autorità amministrativa abbia esercitato con la dovuta diligenza quanto richiesto dalla direttiva 'retour' per l'espulsione degli stranieri irregolari, senza essere riuscita a portare a termine con successo la procedura.

Anche quest'ultima modifica ha attirato le critiche della CNCDH: la disposizione in esame è stata definita, infatti, mort-née (nata morta), perché comminando la pena della reclusione ad un cittadino di un Paese terzo, entrato irregolarmente in Francia, colto in flagrante, o trattenutosi sul territorio in violazione di una misura di allontanamento, si scontrerà, inevitabilmente, con gli obiettivi di efficienza delle procedure di allontanamento perseguiti dalla direttiva 2008/115/CE (232).

In realtà il nuovo art. L 624-1 CESEDA non fa che mettere in pratica quanto affermato dalla Corte di giustizia nel caso Achughbabian, la quale dopo aver affermato che non è consentito agli Stati membri di prevedere la pena della reclusione di cittadini di paesi terzi in situazione di soggiorno irregolare che devono essere allontanati, osserva che ciò non esclude la facoltà di adottare o mantenere disposizioni, anche di natura penale, che disciplinino le situazioni in cui le misure coercitive previste dalla direttiva, compresso il trattenimento, non abbiano consentito di raggiungere l'obiettivo dell'allontanamento (233). Preoccupata di non menomare la competenza penale in capo agli Stati, la Corte sembra dunque aprire alla possibilità di applicare sanzioni penali laddove lo scopo della direttiva sia divenuto irraggiungibile.

Note

1. Belgio, Bulgaria, Germania, Danimarca, Grecia, Francia, Italia, Cipro, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Ungheria, Malta, Olanda, Austria, Polonia, Romania, Slovenia, Finlandia e Svezia. Si ricorda che tutti questi Stati, il 27 gennaio 2011, hanno ricevuto una lettera di 'messa in mora' da parte della Commissione.

2. Il termine di attuazione nell'ordinamento interno della direttiva 2008/115/CE era fissato al 24 dicembre 2010, salvo - si ricorda - per quanto riguarda la disposizione che prevede l'assistenza e/o rappresentanza legale gratuita (art. 13, par. 4), per l'attuazione della quale è accordato un anno supplementare.

3. M. La Rosa, Diritto penale e immigrazione clandestina in Francia: cui prodest?, cit., p. 2.

4. Il Patto è allegato alle conclusioni del Consiglio europeo di Bruxelles del 15-16 ottobre 2008, cit.

5. F. Kauff-Gazin, La directive «retour»: una victoire du réalisme ou du tout répressif?, cit., p. 3.

6. Projet de loi relatif à l'immigration, à l'intégration et à la nationalité, nº 2400 du 31 mars 2010.

7. S. Slama, La transposition de la directive «retour»: vecteur de renforcement ou de régression des droits des irréguliers?, in L. Dubin (sous la direction), La legalité de la lutte contre l'immigration irrégulière per l'Union européenne, Bruylant, Bruxelles, 2012, p. 290.

8. S. Slama, Le Nöel des sans-papiers: invoquez directemente la directive «retour» et la charte des droits fondamentaux..., in Combats pour le droits de l'homme (CPDH), 26 dicembre 2010.

9. «(...) odiata dalle associazioni di difesa dei diritti degli stranieri al momento della sua adozione, è divenuta dopo una mese, la loro principale arma», così M. Gautier, Où l'on reparle de l'effect direct des directives communautaires, in AJDA, 2011, p. 297.

10. CE, Ass., 30 octobre 2009, nº 298348, Perreux, JurisData nº 2009-012252. La vicenda riguardava il ricorso proposto da un magistrato contro l'atto di nomina di un collega alla scuola nazionale di magistratura, per la quale anch'egli aveva presentato domanda, richiedendone l'annullamento. Il ricorrente invocava la diretta applicazione della direttiva 2000/78/CEE in materia di discriminazione sindacale, nella parte in cui questa prevede un regime probatorio più favorevole al ricorrente. Nonostante il consolidato orientamento in tema di mancato recepimento delle direttive nell'ordinamento francese, il giudice riconobbe il carattere auto-applicativo delle direttive qualora precise e incondizionate: nel caso di specie negò tuttavia la presenza di tali requisiti.

11. CE, Ass., 22 décembre 1978, nº 298348, Cohn Bendit, in RFDA, 2009, p. 1225 ss.

12. Sul punto si veda, tra gli altri: R. Kovar, Le Conseil d'État et l'effect direct des directives: la fin d'une longue marche, in Europe, 2010, 1, p. 6.

13. Ivi, p. 5.

14. M. La Rosa, Diritto penale e immigrazione clandestina in Francia: cui prodest?, cit., p. 5.

15. Conseil constitutionnel, décision du 10 juin 2004, nº 2004-496 DC, Loi pour la confiance dans l'économie numérique.

16. CE, 8 février 2007, nº 287110, Socièté Arcelor-Atlantique, Recueil CE 2007, p. 55.

17. Previgente art. 511 - 1 Code de l'entrèe et du sejour des étrangers et du droit d'asile (CESEDA). All'epoca solo l'«obligation de quitter le territoire», che accompagnava i rifiuti di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno prevedeva un termine di un mese entro il quale lo straniero si sarebbe dovuto allontanare.

18. S. Slama, Invocabilité de la directive «retour»: ou comment le droit de l'UE dégonfle la bulle des objectifs chiffrés de reconduites de Guéant (CE, avis du 21 mars 2011, MM. Jin et Thiero), in Combats pour le droits de l'homme (CPDH), 28 marzo 2011.

19. TA Paris, 10 janvier 2011, nº 1100170/8; TA Lille, 12 janvier 2011, nº 1100125; TA Rouen, 20 janvier 2011, Mme Tie Z. X., nº 1100087; TA Lyon, JRF, 26 janvier 2011, Nº1100341; TA Nîmes, 17 janvier 2011, nº 1100128; TA Melun, 3 février 2011, nº 11000615/9.

20. TA Marseille, 24 février 2011, nº 1101063.

21. CE, avis du 21 mars 2011, nº 3459578, Mm. Jia et Thirio, AJDA, 2011, p. 588. Il caso partito dal Tribunale amministrativo di Montreuil riguardava due cittadini stranieri, il sig. Liang Jia e il sig. Kadarou Thiero, colpiti rispettivamente da un ordine di trattenimento in detenzione amministrativa e da un provvedimento di accompagnamento coattivo alla frontiera.

22. Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza del 19 gennaio 1982, C-8/81, Ursula Becker.

23. CE, avis du 21 mars 2011, Mm. Jia et Thirio, cit., § 4.

24. Ivi, § 5. Per un resoconto si veda anche: A. Natale, Consiglio di Stato francese, seconda e settima sezione riunite, dec. nº 3459578 del 21 marzo 2011 (direttiva rimpatri e ordinamento francese), in Diritto penale contemporaneo.

25. L'art. 3, n. 7, Direttiva 2008/115/CE, cit., definisce il «rischio di fuga» come «la sussistenza in un caso individuale di motivi basati su criteri obiettivi definiti dalla legge per ritenere che un cittadino di un paese terzo oggetto di una procedura di rimpatrio possa tentare la fuga».

26. S. Slama, Invocabilité de la directive «retour»: ou comment le droit de l'UE dégonfle la bulle des objectifs chiffrés de reconduites de Guéant (CE, avis du 21 mars 2011, MM. Jin et Thiero), cit.

27. Salvo per il riferimento al lavoro senza autorizzazione, che non costituisce né domanda infondata o fraudolenta, né minaccia all'ordine pubblico.

28. H. Alcaraz, L'effet direct de la diretctive Retour, in AJDA, 2011, p. 1692.

29. CE, 23 juin 1995, SA Lilly France, Rec. CE p. 257, concl. C. Maugüé; RFDA 1995.1037, concl. C. Maugüé; AJDA 1995.496, chron. Stahl et Chauvaux. V. pour une application: TA Toulouse, JRF, 18 février 2011, Trézor SB, nº 1100742.

30. Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza del 5 aprile 1979, Ratti, C-148/78; Corte di giustizia dell'Unione europea sentenza del 26 febbraio 1986, Marshall, C-152/1984.

31. M. La Rosa, Diritto penale e immigrazione clandestina in Francia: cui prodest?, cit., p. 6.

32. S. Slama, Invocabilité de la directive «retour»: ou comment le droit de l'UE dégonfle la bulle des objectifs chiffrés de reconduites de Guéant (CE, avis du 21 mars 2011, MM. Jin et Thiero), cit.

33. Circulaire 23 mars 2011 sur le conséquences à tirer de l'avis du Conseil d'État du 21 mars 2011 sur la directive 'retour'.

34. Ministero dell'interno, Dipartimento della pubblica sicurezza, Protocollo 400/B/2010 del 17 dicembre 2010, cit.

35. Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza del 28 aprile 2011, El Dridi, cit.

36. F. Kauff-Gazin, La directive «retour» au secours des étrangers?: de quelques ambiguïtés de l'affaire El Dridi du 28 avril 2011, in Europe, 2011, 6, p. 10.

37. Come ricordato, in Italia solo nel 2002 con la legge 'Bossi-Fini' sono stati introdotti i reati di mancanza ottemperanza all'ordine di allontanamento del questore (art. 14 co. 5-ter e co. 5-quater, d. lgs. 286/1998): inizialmente configurati come contravvenzioni e, dal 2004, come delitti con pene da sei mesi a cinque anni di reclusione. Per quanto riguarda, invece, il reato di ingresso e soggiorno irregolare sul territorio, questo è stato introdotto in Italia con la legge n. 94 del 2009 ('pacchetto sicurezza').

38. Decreto legge del 2 maggio 1938 sur la police des étrangers, completato dal decreto legge del 12 novembre 1938.

39. L. D'Ambrosio, I rapporti tra diritto UE e legislazione penale francese in materia di immigrazione irregolare alla luce della sentenza El Dridi, cit.

40. Come vedremo, la legge n. 1560 del 2012 ('Valls') ha abrogato il delitto di soggiorno irregolare sul territorio dello Stato per conformarsi alla pronuncia della Corte di giustizia resa nel caso Achugbabian, ma ha mantenuto il delitto di ingresso irregolare (art. L. 621-2 CESEDA), in quanto previsto dal regolamento (CE) n. 562/2006 (Codice frontiere Schengen) che impone agli Stati di stabilire delle sanzioni «in caso di attraversamento non autorizzato delle frontiere esterne (...) effettive, proporzionate e dissuasive».

41. M. La Rosa, Diritto penale e immigrazione clandestina in Francia: cui prodest?, cit., p. 15.

42. La garde à vue, quale misura privativa della libertà personale assimilabile al nostra fermo di polizia, è disposta, ai sensi dell'art. 62-2 del Code de procédure pénale, per esigenze di natura investigativa da un ufficiale di polizia giudiziaria nei confronti di una persona sospettata di aver commesso o tentato di commettere un reato per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione. Tale misura è applicabile, di regola, per un massimo di ventiquattro ore, prorogabile, in caso di necessità e previo intervento del procuratore, fino a quarantotto ore.

43. Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza del 6 dicembre 2011, Achughbabian, cit.

44. L. D'Ambrosio, I rapporti tra diritto UE e legislazione penale francese in materia di immigrazione irregolare alla luce della sentenza El Dridi, cit.

45. Per un commento critico della sentenza si veda K. Parrot, Cour de justice de L'union européenne. - aff. C-61/11 PPU - 28 avril 2011 (nota a sentenza), in Revue critique de droit international privé, 2011, p. 835. L'autrice mette in luce il paradosso dell'alternativa tra carcerazione ed espulsione affermato dalla Corte di giustizia e pone in discussione la rinnovata opinione della dottrina circa la natura protettiva della direttiva 'retour', pur dovendo riconoscere gli effetti positivi che la sentenza produce sull'ordinamento francese.

46. Come ricorderete, il legislatore italiano, con il decreto legge n. 89/2011, che recepisce la 'direttiva rimpatri', fu costretto, perciò, a modificare la normativa interna prevedendo un illecito che - pur mantenendo la sua natura penale - non commina più la sanzione della pena detentiva ma unicamente una sanzione pecuniaria. Si veda l'art. 14 co. 5-ter e 5-quater come modificati dal D. L. 23 giugno 2011 n. 89 (convertito con modifiche in L. 2 agosto 2011, n. 129).

47. M. La Rosa, Diritto penale e immigrazione clandestina in Francia: cui prodest?, cit., p. 6.

48. Come abbiamo visto, in Italia, la violazione del divieto di reingresso continua tuttora a costituire un reato punito con la reclusione da uno a quattro anni (art. 13, co. 13, d. lgs. 286/1998), sollevando non pochi dubbi di legittimità rispetto agli obblighi imposti all'ordinamento italiano dalla 'direttiva rimpatri': la previsione di una pena detentiva nei confronti dello straniero che abbia fatto ingresso in violazione di un divieto di reingresso è idoneo ad ostacolare l'allontanamento dello stesso, e dunque a compromettere l'effetto utile della direttiva 2008/115/CE (Corte di appello di Milano, sezione III penale, ordinanza del 16 marzo 2012, cit.).

49. Conseil constitutionnel, 9 juin 2011, décision nº 2011-631 DC, JO 17 juin 2011, p. 10306, cons. 84.

50. S. Slama, Statut consstitutionnel des étrangers: nouvelle illustration de la faiblesse de la protection constitutionnelle des étrangers, in Lettre «Actualités Droits-Libertés» du CREDOF, 13 juin 2011. Nel commentare criticamente la decisione dei giudici 'de la rue de Montpensier', richiama anche una memoria depositata da sessanta senatori qualche giorno dopo, la quale argutamente nota che una disposizione così manifestamente in contrasto con la direttiva non può aver certo per oggetto la finalità di trasporla nell'ordinamento interno: «à ce qu'une disposition législative qui serait tellement manifestement contraire à la directive qu'elle transpose ne pourrait être regardée comme ayant pour objet de la transposer. Cela reviendrait à assimiler le manquement à l'obligation de transposition à une absence de transposition».

51. H. Labayle, La loi relative à l'immigration, l'intégration et la nationalité du 16 juin 2011 réformant le droit des étrangers: le fruit de l'arbre empoisonné, in Revue française de droit administratif (RFDA), 2011, p. 942.

52. Cour d'appel de Nîmes, 6 mai 2011, nº 11/00186; Cour d'appel Toulouse, 7 mai 2011, nº 11/00508; Cour d'appel de Rennes, 6 mai 2011, nº 2011/126.

53. Instruction de la Direction des affarire civiles et du sceau et de la Direction des affaires criminelles et de grâces, 12 mai 2011. Il passaggio in questione: «A fin de se conformer à la décision du 28 avril dernièr précitée, il importe donc que le parquet veilleà ne faire placer en garde à vue et à ne poursuivre un étranger sur le fondement de l'article L. 624-1 du CESEDA relatif à la soustraction à l'exécution d'une misure d'éloignement» se non nel caso in cui il comportamento dello straniero impedisca di eseguire l'allontanamento forzato, e qualora sia stata adottata la misura più coercitiva ovvero il trattenimento; «à la différence de l'article L.624-1 du CESEDA et de la législation italienne remise en cause par l'arrêt de la CJUE, cette incrimination [de l'article L.621-1] est indépendante de toute décision d'éloignement, de sorte que les dispositions de l'article 15 et 16 de la directive «retour», relatifs au placement en rétention des étrangers visés par une décision d'éloignement, ne peuvent lui être opposés».

54. L. D'Ambrosio, I rapporti tra diritto UE e legislazione penale francese in materia di immigrazione irregolare alla luce della sentenza El Dridi, cit.

55. Ai sensi dell'art. 62-2 Code de procédure pénale, la garde à vue può essere disposta solo nei confronti delle persone sospettate di aver commesso un reato che commina la pena detentiva.

56. L. D'Ambrosio, Niente più garde à vue per gli stranieri irregolari in Francia in seguito alle sentenza della Corte di giustizia UE sulla direttiva rimpatri, in Diritto penale contemporaneo.

57. CA Nimes, 6 mai 2011, ord. nº 11/00186; TGI Meaux, 18 mai 2011, ord. nº 11/00706: TGI Toulouse, 13 mai 2011, ord. Nº 11/265. Sul punto si veda anche: S. Slama et M-L. Basilien-Gainche, «L'arrêt El Dridi: la nécessaire remise à plat du dispositif de pénalisation de l'irrégularité», in AJ Pénal, 2011 p. 362; gli autori ritengono che dal 25 dicembre 2010 gli stranieri in situazioni irregolare non avrebbero potuto, se non in violazione dell'art. 8 direttiva 2008/115/CE, più essere sottoposti a garde à vue sul solo fondamento del delitto di soggiorno irregolare sanzionato dall'art. L. 621-1 CESEDA, o dal delitto di sottrazione ad una misura di allontanamento di cui all'art. L. 624-1, salvo il caso in cui sia spirata la durata massima del trattenimento amministrativo (Achughbabian, cit., § 50).

58. CA Aix-en Provence, 9 mai 2011, ord. nº 11/00128; CA Paris, 7 mai 2011, ord. nº11/02050.

59. Si veda la nota nº 47: Instruction de la Direction des affarire civiles et du sceau et de la Direction des affaires criminelles et de grâces, 12 mai 2011, cit.

60. Questa interpretazione è stata, peraltro, riproposta dai Governi francese, tedesco ed estone nell'ambito del procedimento davanti alla Corte di giustizia, Achughbabian, cit. Secondo tale tesi la direttiva 'retour' non vieterebbe, dunque, agli Stati di applicare una pena detentiva nella fase antecedente l'adozione di una decisione di rimpatrio: in questo modo gli Stati potrebbero rinviare il momento di applicazione della direttiva rimandando nel tempo l'adozione della decisione di rimpatrio. Sul punto si veda anche: R. Raffaelli, La direttiva rimpatri e il reato di ingresso e soggiorno irregolare francese: principi ed effetti della sentenza Achghbabian nell'ordinamento italiano, cit., p. 75.

61. Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza del 6 dicembre 2011, Achughbabian, cit.

62. Tra le questioni aperte dopo le prime pronunce rese dalla Corte di giustizia nei casi Kadzoev e El Dridi sulla direttiva 2008/115/CE si rileva la mancata individuazione del termine iniziale e di quello finale della procedura di rimpatrio, l'esatto ambito di applicazione di applicazione dell'art. 2, par. 2, lett. (b) della 'direttiva rimpatri', nonché il trattamento degli immigrati irregolari che non possono essere espulsi. Sul punto: R. Raffaelli, La direttiva rimpatri e il reato di ingresso e soggiorno irregolare francese: principi ed effetti della sentenza Achughbabian nell'ordinamento italiano, cit., p. 73.

63. Direttiva 2008/115/CE, cit.; Direttiva 2009/50/CE del Consiglio, del 25 maggio 2009, sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendono svolgere lavori altamente qualificati, in GUUE L 155; Direttiva 2009/52/CE, cit.

64. Conseil constitutionnel, 9 juin 2011, décision nº 2011-63, cit.

65. Art. 66 Consitution de la République française: "Nul ne peut être arbitrairement détenu. L'autorité judiciaire, gardienne de la liberté individuelle, assure le respect de ce principe dans les conditions prévues par la loi".

66. V. Tchen, Étrangers: regards critiques sur la réforme du 16 juin 2011, in Droit administratif, 2011, 8-9, p. 25.

67. Si ricorda che, salvo per quanto riguarda il quarto paragrafo del Preambolo del 1946 che garantisce protezione a chiunque sia perseguitato in ragione della sua azione a favore della libertà, la Costituzione non prevede alcuna norma specifica sugli stranieri: ciò comporta che il legislatore e il potere regolamentare possano essere esercitare molto liberamente, sebbene nel rispetto delle norme costituzionali generali. Sul punto: V. Tchen, Droits des étrangers, Paris, Ellipses, 2011, p. 9 ss.

68. S. Slama, Statut consstitutionnel des étrangers: nouvelle illustration de la faiblesse de la protection constitutionnelle des étrangers, cit.

69. Loi nº 2011-672. 16 juin 2011, JO 17 juin 2011, p. 10290.

70. Loi nº 2003-1119 du 26 novembre 2003 "relative à la maîtrise de l'immigration, au séjour des étrangers en France et à la nationalité" et nº 2003-1176 du 10 décembre 2003 "relative au droit d'asile"; la loi nº 2006-911 du 24 juillet 2006 "relative à l'immigration et à l'integration"; la loi nº 2007-1631 du 20 novembre 2007 "relative à la maîtrise de l'immigration, à l'intégration et à l'asile".

71. H. Labayle, La loi relative à l'immigration, l'intégration et la nationalité du 16 juin 2011 réformant le droit des étrangers: le fruit de l'arbre empoisonné, cit., p. 934.

72. O. Lecuq, L'eloignemnt des étragers sous l'empire de la loi 16 juin 2011, in AJDA, 2011, p. 1936. Si ricorda, a questo proposito, quanto sancito dal Patto sull'immigrazione e l'asilo del 2008, della cui adozione si è fatto promotore il governo Sarkozy.

73. Ivi, p. 395; a questo proposito si veda anche V. Tchen, Étrangers: regards critiques sur la réforme du 16 juin 2011, cit., il quale ritiene che, secondo un rapido conto statistico della legge nº 672/2011, sarebbero stati sufficienti venti articoli per trasporre la direttiva 'retour'.

74. Art. L. 213-3 CESEDA richiama l'art. 5 del Regolamento (CE) n. 562/2006 (Codice frontiere Schengen) il quale ai fini dell'ammissione di cittadini di paesi terzi nel territorio UE richiede: il possesso di documento di viaggio valido, e di un visto valido, la giustificazione dello scopo e delle condizioni del soggiorno e la disposizione di mezzi di sussistenza sufficienti; inoltre, è necessario non essere segnalato nel sistema di informazione Schengen e non rappresentare una minaccia per l'ordine pubblico e la sicurezza nazionale.

75. Art. L. 213-1 CESEDA. Prima il rifiuto di ingresso era previsto anche in caso della disposizione di una misura di accompagnamento coattivo alla frontiera quando lo straniero aveva svolto un lavoro senza autorizzazione; adesso l'ipotesi di lavoro irregolare costituisce un caso autonomo e obbligatorio di accompagnamento alla frontiera (art. L. 533-2-II CESEDA).

76. S. Slama, La transposition de la directive «retour»: vecteur de renforcement ou de régression des droits des irréguliers?, cit., p. 299.

77. Art. L. 221-1 CESEDA: "L'étranger qui arrive en France par la voie ferroviaire, maritime ou aérienne et qui, soit n'est pas autorisé à entrer sur le territoire français, soit demande son admission au titre de l'asile, peut être maintenu dans une zone d'attente située dans une gare ferroviaire ouverte au trafic international figurant sur une liste définie par voie réglementaire, dans un port ou à proximité du lieu de débarquement, ou dans un aéroport, pendant le temps strictement nécessaire à son départ et, s'il est demandeur d'asile, à un examen tendant à déterminer si sa demande n'est pas manifestement infondée".

78. Art. L. 221-1-II CESEDA: "Les dispositions du présent titre s'appliquent également à l'étranger qui se trouve en transit dans une gare, un port ou un aéroport si l'entreprise de transport qui devait l'acheminer dans le pays de destination ultérieure refuse de l'embarquer ou si les autorités du pays de destination lui ont refusé l'entrée et l'ont renvoyé en France".

79. In realtà, fu la legge 'Sarkozy I' ad introdurre per la prima volta, nell'art. L. 221-1-III CESEDA, una nozione di 'zone d'attente' senza alcun rapporto diretto con la frontiera: questa autorizza, infatti, l'estensione della zona ai luoghi nei quali lo straniero deve recarsi sia nel quadro della procedura in corso, sia in caso di necessità medica. In questo modo si fa dipendere la collocazione della zona a seconda degli spostamenti dello straniero, e a seconda di dove viene instaurata la procedura in corso: si veda S. Slama, La transposition de la directive «retour»: vecteur de renforcement ou de régression des droits des irréguliers?, cit., p. 300.

80. Art. L. 221-2-II CESEDA così come modificato dall'art. 10 della legge del 16 giugno 2011.

81. H. Labayle, La loi relative à l'immigration, l'intégration et la nationalité du 16 juin 2011 réformant le droit des étrangers: le fruit de l'arbre empoisonné, cit., p. 936.

82. Si tratta della legge 26 novembre 2003 che aveva completato l'art. 35-quater dell'ordinanza del 2 novembre 1945 per autorizzare una simile creazione, divenuto poi l'art. L. 221-1 CESEDA.

83. D. Turpin, La loi nº 2011-672 du 16 juin 2011 realtive à l'immigration, à l'intégration et la nationalité: de l'art de profiter de la transposition des directives pour durcir les prescriptions nationales, in Revue critique de droit international privé, 2011, pp. 507-508.

84. Nonostante la scelta opinabile del legislatore francese, il regime da cui sono caratterizzate le 'zones d'attente' dovrebbe in ogni caso sottostare a quanto previsto dall'art. 4, par. 4 della direttiva 2008/115/CE circa quantomeno un trattamento e un livello di protezione non meno favorevole di quello previsto agli artt. 8, 9, 14, 16 e 17. Ma legge 'Besson' ignora totalmente tali garanzie.

85. S. Slama, La transposition de la directive «retour»: vecteur de renforcement ou de régression des droits des irréguliers?, cit., p. 301.

86. Conseil constitutionnel, 9 juin 2011, décision nº 2011-631 DC, cit., cons. 21.

87. S. Slama, Statut consstitutionnel des étrangers: nouvelle illustration de la faiblesse de la protection constitutionnelle des étrangers, cit.

88. Effettivamente senza tale specificazione si sarebbe potuto pensare che la Francia avesse voluto ristabilire un controllo frontaliero con la creazione di queste particolari zones d'attente: S. Slama, La transposition de la directive «retour»: vecteur de renforcement ou de régression des droits des irréguliers?, cit., p. 302.

89. S. Slama, La transposition de la directive «retour»: vecteur de renforcement ou de régression des droits des irréguliers?, cit., p. 304.

90. Art. 6, par. 2, Direttiva 2008/115/CE, cit.: "Un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare e che è in possesso di un permesso di soggiorno valido o di un'altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare rilasciati da un altro Stato membro deve recarsi immediatamente nel territorio di quest'ultimo. In caso di mancata osservanza di questa prescrizione da parte del cittadino di un paese terzo interessato ovvero qualora motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale impongano la sua immediata partenza, si applica il paragrafo 1".

91. CE, ord. 27 juin 2011, Ministre de l'intérieur, de l'outre-mer, des collectivités territoriales et de l'immigration c/ M. El Mahdaoui, req. nº 350208, AJDA, 2011, p. 1352.

92. Art. 20 T.U.I.: "Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato d'intesa con i Ministri degli affari esteri, dell'interno, per la solidarietà sociale, e con gli altri Ministri eventualmente interessati, sono stabilite, nei limiti delle risorse preordinate allo scopo nell'ambito del Fondo di cui all'articolo 45, le misure di protezione temporanea da adottarsi, anche in deroga a disposizioni del presente testo unico, per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all'Unione Europea". In seguito all'afflusso di persone provenienti dai Paesi del nord Africa a causa degli sconvolgimenti politici avvenuti nei primi mesi del 2011 (cosiddetta 'primavera araba'), il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 5 aprile 2011 ha individuato le condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, della durata di sei mesi, a favore dei cittadini di Paesi del nord Africa affluiti in Italia dal 1º gennaio 2011 al 5 aprile 2011. Con il protrarsi della dichiarazione dello stato di emergenza su tutto il territorio nazionale, con D.P.C.M. del 6 ottobre 2011 è stata prorogata la scadenza dei predetti permessi di soggiorno di sei mesi, successivamente prorogata di ulteriori sei mesi ai sensi del D.P.C.M. del 15 maggio 2012.

93. Circulaire du Ministre de l'Intérieur du 6 avril 2011 relative aux autorisations de séjour délivrées à des ressortissants de pays tiers par les États membres de Schengen. Pubblicata inizialmente solo sul quotidiano Le Figaro, e solo a fine maggio del 2011 sul sito del governo francese.

94. S. Slama, La transposition de la directive «retour»: vecteur de renforcement ou de régression des droits des irréguliers?, cit., p. 305.

95. Art. 18, Direttiva 2008/115/CE, cit.: "Nei casi in cui un numero di cittadini di paesi terzi da rimpatriare comporta un notevole onere imprevisto per la capacità dei centri di permanenza temporanea di uno Stato membro o per il suo personale amministrativo o giudiziario, sino a quando persiste la situazione anomala detto Stato membro può decidere di accordare per il riesame giudiziario periodi superiori a quelli previsti dall'articolo 15, paragrafo 2, terzo comma, e adottare misure urgenti quanto alle condizioni di trattenimento in deroga a quelle previste all'articolo 16, paragrafo 1, e all'articolo 17, paragrafo 2.

96. Tale dicotomia era sta introdotta solo nel 2006 dalla legge 'Sarkozy'.

97. V. Tchen, Droits des étrangers, cit., p. 96.

98. Fatta eccezione per l'«obligation de quitter le territoire», che accompagnava i rifiuti di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno prevedeva un termine di un mese entro il quale lo straniero si sarebbe dovuto allontanare.

99. L'art. L. 511-1-I CESEDA afferma, infatti, che il prefetto «peut» («può») obbligare il cittadino di un paese terzo che non soddisfi le condizioni richieste per soggiorno a lasciare il territorio francese. Si noti, inoltre, la differenza con la normativa italiana che all'art. 13, co. 2, d. lgs. 286/1998 recita "Il prefetto dispone l'espulsione, caso per caso, quando lo straniero (...)".

100. Art. 6, par. 1, Direttiva 2008/115/CE, cit.: "Gli Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di paese terzo il cui soggiorno nel territorio è irregolare, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5". L'uso del verbo al presente lascia intendere l'obbligatorietà della decisione di rimpatrio al momento della constatazione dell'irregolarità del cittadino di paese terzo.

101. S. Slama, La transposition de la directive «retour»: vecteur de renforcement ou de régression des droits des irréguliers?, cit., p. 332.

102. In Francia, ai sensi dell'art. L. 512-4 CESEDA, in caso di annullamento dell'OQT cessano immediatamente le misure di sorveglianza e allo straniero viene rilasciata un'autorizzazione provvisoria al soggiorno fino a che la prefettura non avrà modo di statuire nuovamente sul suo caso.

103. Art. L. 511-1-II CESEDA: "Pour satisfaire à l'obligation qui lui a été faite de quitter le territoire français, l'étranger dispose d'un délai de trente jours à compter de sa notification et peut solliciter, à cet effet, un dispositif d'aide au retour dans son pays d'origine. Eu égard à la situation personnelle de l'étranger, l'autorité administrative peut accorder, à titre exceptionnel, un délai de départ volontaire supérieur à trente jours".

104. Facoltà di cui invece si è avvalsa l'Italia: l'art. 13 co. 5, d. lgs. 286/1998 afferma, infatti, che "lo straniero, destinatario di un provvedimento di espulsione, qualora non ricorrano le condizioni per l'accompagnamento immediato alla frontiera di cui al co. 4, può chiedere al prefetto, ai fini dell'esecuzione dell'espulsione, la concessione di un periodo per la partenza volontaria, anche attraverso programmi di rimpatrio volontario ed assistito, di cui all'art. 14-ter".

105. V. Tchen, Étrangers: regards critiques sur la réforme du 16 juin 2011, cit., p. 28.

106. Si tratta delle due ipotesi coperta espressamente dall'art. 7, par. 4, Direttiva 2008/115/CE, cit., come ricorda il Conseil constitutionnel nella sua decisione del 9 giugno 2011, décision nº 2011-631 DC, cit., cons. 42.

107. Art. L. 511-1-II CESEDA: "Ce risque est regardé comme établi, sauf circonstance particulière, dans les cas suivants: a) Si l'étranger, qui ne peut justifier être entré régulièrement sur le territoire français, n'a pas sollicité la délivrance d'un titre de séjour; b) Si l'étranger s'est maintenu sur le territoire français au-delà de la durée de validité de son visa ou, s'il n'est pas soumis à l'obligation du visa, à l'expiration d'un délai de trois mois à compter de son entrée en France, sans avoir sollicité la délivrance d'un titre de séjour; c) Si l'étranger s'est maintenu sur le territoire français plus d'un mois après l'expiration de son titre de séjour, de son récépissé de demande de carte de séjour ou de son autorisation provisoire de séjour, sans en avoir demandé le renouvellement; d) Si l'étranger s'est soustrait à l'exécution d'une précédente mesure d'éloignement; e) Si l'étranger a contrefait, falsifié ou établi sous un autre nom que le sien un titre de séjour ou un document d'identité ou de voyage; f) Si l'étranger ne présente pas de garanties de représentation suffisantes, notamment parce qu'il ne peut justifier de la possession de documents d'identité ou de voyage en cours de validité, ou qu'il a dissimulé des éléments de son identité, ou qu'il n'a pas déclaré le lieu de sa résidence effective ou permanente, ou qu'il s'est précédemment soustrait aux obligations prévues par les articles L. 513-4, L. 552-4, L. 561-1 et L. 561-2".

108. M.-L. Basilien-Gainche e S. Slama, The implementation of the Returns Directive in France, in K. Zwann (ed.), The Returns Directive: central themes, Problem Issues and Implementation in selected Member States, cit., p. 119.

109. O. Lecuq, L'eloignemnt des étragers sous l'empire de la loi 16 juin 2011, cit., p. 1939.

110. Conseil costitutionnel, 9 juin 2011, décision nº 2011-631 DC, cit., consid. 48.

111. S. Slama, Statut consstitutionnel des étrangers: nouvelle illustration de la faiblesse de la protection constitutionnelle des étrangers, cit.

112. A. Natale, La direttiva 2008/115/CE. Il decreto legge di attuazione n. 89/2011 - Prime riflessioni a caldo, cit.

113. Questo tipo di misura amministrativa non è sconosciuta al diritto francese: esiste, infatti, un precedente introdotto con al legge 30 dicembre 1993, mai sottoposto al vaglio del Conseil consitutionnel, e successivamente abrogato dalla legge nº 349 dell'11 maggio 1998.

114. L'interdiction du territoire français fu introdotta per la prima volta, nell'ambito della lotta al traffico di stupefacenti, dalla legge nº 70-1320 del 3 dicembre del 1970. Si tratta di una pena principale o accessoria a una pena detentiva o a una multa che secondo il codice penale deve essere inflitta per più di duecento reati, tra i quali lo stupro, l'aggressione sessuale, i crimini contro l'umanità e lo sfruttamento della prostituzione. Sul punto: G. Cosuin, Sanzioni penali e condizione dell'immigrato in Francia: tra funzione amministrative e finalità politiche, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2010, 4, p. 71 e ss.

115. Investito della questione, il Conseil constitutionnel ha chiarito che si tratta di una misura di polizia amministrativa e non di una sanzione a carattere punitivo: Conseil costitutionnel, 9 juin 2011, décision nº 2011-631 DC, cit., consid. 52. Per un commento critico si veda: S. Slama, Statut consstitutionnel des étrangers: nouvelle illustration de la faiblesse de la protection constitutionnelle des étrangers, op. cit.; l'autore ritiene che la qualificazione adotta dai giudici costituzionali sia da ricondurre al fatto che la misura dell'IRTF venga ritenuta necessariamente collegata a quella dell'allontanamento, quando, in realtà, queste potranno essere pronunciate in due momenti differenti e essere oggetto di due contenziosi differenti.

116. S. Slama, La transposition de la directive «retour»: vecteur de renforcement ou de régression des droits des irréguliers?, cit., p. 342.

117. Art. L. 511-1-III CESEDA: "L'autorité administrative peut, par une décision motivée, assortir l'obligation de quitter le territoire français d'une interdiction de retour sur le territoire français".

118. S. Slama, La transposition de la directive «retour»: vecteur de renforcement ou de régression des droits des irréguliers?, cit., p. 343.

119. Rapporto redatto da Claude Gaosguen, nº 3163 del 16 febbraio 2011, a nome della commissione «des lois» del Senato. Egli ritiene che «la rédaction ne donne donc aucun caractère d'automaticité à l'interdiction de retour mais assouplira les conditions de sa mise en œuvres».

120. Art. L. 511-1-III CESEDA.

121. Si deduce dall'uso del verbo essere al presente indicativo: «Le decisione di rimpatrio sono corredate di una divieto di reingresso (...)».

122. S. Slama, Statut consstitutionnel des étrangers: nouvelle illustration de la faiblesse de la protection constitutionnelle des étrangers, cit.

123. Art. 8 DDHC: "La loi ne doit établir que des peines strictement et évidemment nécessaires, et nul ne peut être puni qu'en vertu d'une loi établie et promulguée antérieurement au délit, et légalement appliquée".

124. Conseil constitutionnel, 13 août 1993, décision nº 93-325 DC, cons. 43-49.

125. Riconfermata in: Conseil constitutionnel, 11 juin 2010, décision nº 2010-6/7 QPC, M. Stéphane A. et autres.

126. D. Turpin, La loi nº 2011-672 du 16 juin 2011 realtive à l'immigration, à l'intégration et la nationalité: de l'art de profiter de la transposition des directives pour durcir les prescriptions nationales, cit., p. 532.

127. Conseil costitutionnel, 9 juin 2011, décision nº 2011-631 DC, cit., consid. 52.

128. H. Labayle, La loi relative à l'immigration, l'intégration et la nationalité du 16 juin 2011 réformant le droit des étrangers: le fruit de l'arbre empoisonné, cit., p. 944.

129. Art. L. 512-3, secondo periodo, CESEDA: "L'obligation de quitter le territoire français ne peut faire l'objet d'une exécution d'office ni avant l'expiration du délai de départ volontaire ou, si aucun délai n'a été accordé, avant l'expiration d'un délai de quarante-huit heures suivant sa notification par voie administrative, ni avant que le tribunal administratif n'ait statué s'il a été saisi. L'étranger en est informé par la notification écrite de l'obligation de quitter le territoire français".

130. V. Tchen, Droits des étrangers, cit., p. 111.

131. Art. 13, co. 3, d. lgs. 286/1998. "L'espulsione è disposta in ogni caso con decreto motivato immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell'interessato (...)".

132. Art. 13, co. 5-bis, d. lgs. 286/1998: "Nei casi previsti al comma 4, il questore comunica immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione, al giudice di pace territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l'accompagnamento alla frontiera. L'esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio nazionale è sospesa fino alla decisione sulla convalida. L'udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito. L'interessato è anch'esso tempestivamente informato e condotto nel luogo in cui il giudice tiene l'udienza".

133. Corte costituzionale, sentenza n. 222/2004. La legislazione precedente a tale pronuncia della Corte costituzionale consentiva l'esecuzione dell'accompagnamento prima della convalida, con la conseguenza che l'eventuale mancata convalida sarebbe rimasta priva di effetti. Tuttavia, nel 2004, la Consulta ha affermato che un simile meccanismo era incostituzionale perché palesemente in violazione del diritto di difesa e della riserva di giurisdizione sui provvedimenti restrittivi della libertà.

134. Art. 13, co. 8, d. lgs. 286/1998. "Avverso il decreto di espulsione può essere presentato ricorso all'autorità giudiziaria ordinaria. Le controversie di cui al presente comma sono disciplinate dall'art. 18 del decreto legislativo 1º settembre 2011, n. 150".

135. Art. 13, Direttiva 2008/115/CE, cit.

136. O. Lecuq, L'eloignemnt des étragers sous l'empire de la loi 16 juin 2011, cit., p. 1939.

137. Art. L. 511-1-II CESEDA.

138. La detenzione, infatti, deve essere giustificata unicamente dalla necessità di preparare il rimpatrio o effettuare l'allontanamento, e disposto solo laddove l'uso di misure coercitive meno afflittive sia insufficiente.

139. Art. 15, par. 1, Direttiva 2008/115/CE, cit.:"Salvo nel caso concreto possono essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive (...) ".

140. S. Slama, La transposition de la directive «retour»: vecteur de renforcement ou de régression des droits des irréguliers?, cit., p. 321.

141. Art. 14, co. 1-bis, d. lgs. 286/1998: "Nei casi in cui lo straniero è in possesso di passaporto o altro documento equipollente in corso di validità e l'espulsione non è stata disposta ai sensi dell'articolo 13, commi 1 e 2, lettera c) del presente testo unico, o ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, il questore, in luogo del trattenimento di cui al comma 1, può disporre una o più delle seguenti misure: a) consegna del passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, da restituire al momento della partenza; b) obbligo di dimora in un luogo preventivamente individuato, dove possa essere agevolmente rintracciato; c) obbligo di presentazione, in giorni ed orari stabiliti, presso un ufficio della forza pubblica territorialmente competente".

142. Art. L. 561-1 CESEDA: "(...) l'autorité administrative peut, jusqu'à ce qu'existe une perspective raisonnable d'exécution de son obligation, l'autoriser à se maintenir provisoirement sur le territoire français en l'assignant à résidence, par dérogation à l'article L. 551-1, dans les cas suivants 1) Si l'étranger fait l'objet d'une obligation de quitter le territoire français sans délai ou si le délai de départ volontaire qui lui a été accordé est expiré; 2) Si l'étranger doit être remis aux autorités d'un Etat membre de l'Union européenne en application des articles L. 531-1 ou L. 531-2; 3) Si l'étranger doit être reconduit à la frontière en application de l'article L. 531-3; 4) Si l'étranger doit être reconduit à la frontière en exécution d'une interdiction de retour; 5) Si l'étranger doit être reconduit à la frontière en exécution d'une interdiction du territoire prévue au deuxième alinéa de l'article 131-30 du code pénal".

143. V. Tchen, Droits des étrangers, cit., p. 135.

144. Art. L. 624-4 CESEDA: "Les étrangers qui n'auront pas rejoint dans les délais prescrits la résidence qui leur est assignée en application des articles L. 523-3, L. 523-4, L. 523-5 ou L. 561-1 qui, ultérieurement, ont quitté cette résidence sans autorisation de l'autorité administrative, sont passibles d'une peine d'emprisonnement de trois ans".

145. Art. 17, par. 1, Direttiva 2008/115/CE, cit.: "I minori non accompagnati e le famiglie con minori sono trattenuti solo in mancanza di altra soluzione e per un periodo adeguato il più breve tempo possibile".

146. M.-L. Basilien-Gainche e S. Slama, The implementation of the Returns Directive in France, cit, p. 121. Gli autori rilevano che, prima del recepimento della direttiva 'retour', meno del 7% dei cittadini di paesi terzi soggetti ad una procedura di rimpatrio usufruivano di misure alternative rispetto al trattenimento amministrativo.

147. Art. 15, par. 4, Direttiva 2008/115/CE, cit.: "Quando risulta che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono più le condizioni di cui al paragrafo 1, il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata".

148. Art. L. 551-1 CESEDA: "A moins qu'il ne soit assigné à résidence en application de l'article L. 561-2, l'étranger qui ne peut quitter immédiatement le territoire français peut être placé en rétention par l'autorité administrative dans des locaux ne relevant pas de l'administration pénitentiaire, pour une durée de cinq jours, lorsque cet étranger: 1) Doit être remis aux autorités compétentes d'un Etat membre de l'Union européenne en application des articles L. 531-1 ou L. 531-2; 2) Fait l'objet d'un arrêté d'expulsion; 3) Doit être reconduit à la frontière en exécution d'une interdiction judiciaire du territoire prévue au deuxième alinéa de l'article 131-30 du code pénal; 4) Fait l'objet d'un signalement aux fins de non-admission ou d'une décision d'éloignement exécutoire mentionnée à l'article L. 531-3 du présent code; 5) Fait l'objet d'un arrêté de reconduite à la frontière pris moins de trois années auparavant en application de l'article L. 533-1; 6) Fait l'objet d'une obligation de quitter le territoire français prise moins d'un an auparavant et pour laquelle le délai pour quitter le territoire est expiré ou n'a pas été accordé; 7) Doit être reconduit d'office à la frontière en exécution d'une interdiction de retour; 8) Ayant fait l'objet d'une décision de placement en rétention au titre des 1º à 7º, n'a pas déféré à la mesure d'éloignement dont il est l'objet dans un délai de sept jours suivant le terme de son précédent placement en rétention ou, y ayant déféré, est revenu en France alors que cette mesure est toujours exécutoire".

149. M. La Rosa, Diritto penale e immigrazione clandestina in Francia: cui prodest?, cit., p. 11.

150. Si tratta dell'interidiction judiciaire du territoire prevista al secondo alinea dell'art. 131-30 del Codice penale.

151. Art. 15, par. 1, Direttiva 2008/115/CE, cit.: "Salvo nel caso concreto possono essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive, gli Stati membri possono trattenere il cittadino di un paese terzo sottoposto a procedure di rimpatrio soltanto per preparare il rimpatrio e/o effettuare l'allontanamento, in particolare quando: a) sussiste un rischio di fuga o b) il cittadino del paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o dell'allontanamento".

152. Art. 14, co. 1, d. lgs. 286/1998: "(...) Tra le situazioni che legittimano il trattenimento rientrano, oltre a quelle indicate all'articolo 13, comma 4-bis [rischio di fuga], anche quelle riconducibili alla necessità di prestare soccorso allo straniero o di effettuare accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità ovvero di acquisire i documenti per il viaggio o la disponibilità di un mezzo di trasporto idoneo".

153. Si veda l'art. 14, co. 5, d. lgs. 286/1998.

154. Il prolungamento avrebbe, comunque, dovuto rispettare le condizioni richieste dall'art. 15, par. 6, Direttiva 2008/115/CE, cit.: "Gli Stati membri non possono prolungare il periodo di cui al paragrafo 5, salvo per un periodo limitato non superiore ad altri dodici mesi conformemente alla legislazione nazionale nei casi in cui, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, l'operazione di allontanamento rischia di durare più a lungo a causa: (a) della mancata cooperazione da parte del cittadino di un paese terzo interessato, o (b) dei ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi".

155. Conseil costitutionnel, 9 juin 2011, décision nº 2011-631 DC, cit., consid. 76.

156. S. Slama, La transposition de la directive «retour»: vecteur de renforcement ou de régression des droits des irréguliers?, cit., p. 338.

157. Ivi, p. 339.

158. Art. L. 552-7 CESEDA: "Quand un délai de vingt jours s'est écoulé depuis l'expiration du délai de cinq jours mentionné à l'article L. 552-1 et en cas d'urgence absolue ou de menace d'une particulière gravité pour l'ordre public, ou lorsque l'impossibilité d'exécuter la mesure d'éloignement résulte de la perte ou de la destruction des documents de voyage de l'intéressé, de la dissimulation par celui-ci de son identité ou de l'obstruction volontaire faite à son éloignement, le juge des libertés et de la détention est à nouveau saisi".

159. Sulla situazione della detenzione degli stranieri sottoposti alle procedure di espulsione si veda il rapporto dell'Agenzia del diritti fondamentali dell'Agenzia per i diritti fondamentali dell'UE (FRA): Agence des droits fondamentaux de l'Union européenne, Rétention des ressortissants de pays tiers dans le cadre des procédures de retour, novembre 2010. Dal rapporto si rilevava la mancanza a livello legislativo di un termine massimo per il trattenimento degli stranieri a Cipro, in Danimarca, in Estonia, in Finlandia, in Lituania, a Malta, in Svezia e nel Regno Unito. In questi paesi il tetto era fissato dai tribunali, caso per caso, oppure dalla politica come nel caso di Malta che ha previsto un limite massimo di diciotto mesi. Tutti gli altri paesi prevedevano, invece, una durata massima che andava da 32 giorni per la Francia, a 60 per la Spagna, fino a venti mesi per la Lettonia o due anni in Romania. In questi ultimi due paesi la durata superava addirittura l'ampiamente criticato tetto massimo di 18 mesi della direttiva 'retour'.

160. Tra cui: H. Labayle, La loi relative à l'immigration, l'intégration et la nationalité du 16 juin 2011 réformant le droit des étrangers: le fruit de l'arbre empoisonné, cit., p. 946 e S. Slama, La transposition de la directive «retour»: vecteur de renforcement ou de régression des droits des irréguliers?, cit., p. 337.

161. Risposta del ministro dell'Immigrazione all'interrogazione posta al Governo il 18 giugno 2008: QG nº 633, JO débats parlamentaires, 18 juin 2008, p. 3499. Si ricorda, inoltre, che qualche giorno prima Thierry Mariani e Brice Hortefeux avevano ritenuto inutile il termine di diciotto mesi e l'allungamento della durata del trattenimento: Rapport d'information de la délégation de l'Assemblée nationale pour l'Union européenne sur la poitique commune de l'immigration, E 3678 et E 3679, 3 juin 2008, par Mariani Thierry.

162. Rapport Assemblée Nationale nº 2814, 16 septembre 2010, p. 26.

163. H. Labayle, La loi relative à l'immigration, l'intégration et la nationalité du 16 juin 2011 réformant le droit des étrangers: le fruit de l'arbre empoisonné, cit., p. 947.

164. M. La Rosa, Diritto penale e immigrazione clandestina in Francia: cui prodest?, cit., p. 11.

165. H. Labayle, La loi relative à l'immigration, l'intégration et la nationalité du 16 juin 2011 réformant le droit des étrangers: le fruit de l'arbre empoisonné, cit., p. 948.

166. D. Turpin, La loi nº 2011-672 du 16 juin 2011 realtive à l'immigration, à l'intégration et la nationalité: de l'art de profiter de la transposition des directives pour durcir les prescriptions nationales, cit., p. 539.

167. Art. L. 512-1-III CESEDA.

168. Art. L. 552-1 CESEDA.

169. Rapport Mazeaud, Pour une politiques des migrations trasparente, simple et solidaire, deuxième partie, juillet 2008.

170. J. Delforno, La condizione dello straniero nell'ordinamento giuridico della quinta repubblica francese, in P. Stancati (a cura di), Lo status libertatis del "cittadino di paese terzo" nell'Unione europea, Roma, Aracne, 2011, p. 299.

171. ADDE, Acat France, Anafé, CFDA, Cimade, Fasti, Gisti, InfoMIE, Migreurop, MOM, Association Primo Levi, SAF, Syndicat de la magistrature, Analyse collective du projet de loi «Besson» du 30 mars 2010 «relatif à l'immigration, à l'intégration et à la nationalité», 2010, p. 14.

172. V. Tchen, Étrangers: regards critiques sur la réforme du 16 juin 2011, cit., p. 26.

173. M. La Rosa, Diritto penale e immigrazione clandestina in Francia: cui prodest?, cit., p. 12.

174. Art. 63-I Code de procédure pénale: "La durée de la garde à vue ne peut excéder vingt-quatre heures. Toutefois, la garde à vue peut être prolongée pour un nouveau délai de vingt-quatre heures au plus, sur autorisation écrite et motivée du procureur de la République, si l'infraction que la personne est soupçonnée d'avoir commise ou tenté de commettre est un crime ou un délit puni d'une peine d'emprisonnement supérieure ou égale à un an et si la prolongation de la mesure est l'unique moyen de parvenir à l'un au moins des objectifs mentionnés aux 1º à 6º de l'article 62-2".

175. J. Delforno, La condizione dello straniero nell'ordinamento giuridico della quinta repubblica francese, cit., p. 300.

176. O. Lecuq, L'eloignemnt des étragers sous l'empire de la loi 16 juin 2011, cit., p. 1939.

177. Conseil costitutionnel, 9 juin 2011, décision nº 2011-631, cit., cons. 72.

178. Si veda Conseil constitutionnel, 22 avril 1997, décision nº 97-389 DC, cons. 55.

179. S. Slama, Statut consstitutionnel des étrangers: nouvelle illustration de la faiblesse de la protection constitutionnelle des étrangers, cit.

180. Conseil costitutionnel, 9 juin 2011, décision nº 2011-631, cit., cons. 70.

181. Ivi, cons. 71.

182. Art. L. 554-1-I CESEDA: "Un étranger ne peut être placé ou maintenu en rétention que pour le temps strictement nécessaire à son départ. L'administration doit exercer toute diligence à cet effet".

183. Ivi, cons. 72. Inoltre, il Conseil constiutionnel ha ritenuto equilibrato il bilanciamento trovato dal legislatore tra protezione della libertà individuale e i valori costituzionale della buona amministrazione della giustizia e della protezione dell'ordine pubblico.

184. Ivi, cons. 64. Sul punto si veda anche: S. Slama, Statut consstitutionnel des étrangers: nouvelle illustration de la faiblesse de la protection constitutionnelle des étrangers, cit.

185. Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza del 28 aprile 2011, El Dridi, cit.

186. Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza del 6 dicembre 2011, Achughbabian, cit.

187. G. Poissonnier, Etranger en simple situation irrégulière: il y a urgence à légiférer, in Recueil Dalloz, 2012, p. 333.

188. F. Kauff-Gazin, Politique des retours - CJUE ch., 6 déc. 2011, aff- C-329/11, Alexandre Achughbabian c/ Préfet du Val de Marne (nota a sentenza), in Europe, 2012, 2, p. 21.

189. Questione pregiudiziale: «Compte tenu de son champ d'application, la directive [nº 2008/115] s'oppose-t-elle à une réglementation nationale, telle [que] l'article L. 621-1 du CESEDA, prévoyant l'infliction d'une peine d'emprisonnement à un ressortissant d'un pays tiers au seul motif de l'irrégularité de son entrée ou de son séjour sur le territoire national?».

190. Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza del 6 dicembre 2011, Achughbabian, cit., § 28.

191. Ivi, § 29.

192. L. D'Ambrosio, Se una notte d'inverno un...sans papiers. La Corte di giustizia dichiara il reato di ingresso e soggiorno irregolare conforme e non conforme alla "direttiva rimpatri", in Diritto penale contemporaneo, p. 4.

193. Considerando n. 17 Direttiva 2008/115/CE, cit.: "I cittadini di paesi terzi che sono trattenuti dovrebbero essere trattati in modo umano e dignitoso, nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e in conformità del diritto nazionale e internazionale. Fatto salvo l'arresto iniziale da parte delle autorità incaricate dell'applicazione della legge, disciplinato dal diritto nazionale, il trattenimento dovrebbe di norma avvenire presso gli appositi centri di permanenza temporanea".

194. Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza del 6 dicembre 2011, Achughbabian, cit., § 30.

195. La Corte precisa che le misure limitativa della libertà personale dovranno avere una durata proporzionata al compimento delle pratiche amministrative e che le autorità nazionali «sono tenute ad agire con diligenza e a pronunciarsi senza indugio». Ivi, § 40.

196. Ivi, § 31.

197. Ivi, § 45.

198. Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza del 28 aprile 2011, El Dridi, cit., § 43.

199. L. D'Ambrosio, Se una notte d'inverno un...sans papiers. La Corte di giustizia dichiara il reato di ingresso e soggiorno irregolare conforme e non conforme alla "direttiva rimpatri", op. cit., p. 6. L'autore ritiene, peraltro, che la pronuncia della Corte abbia avuto per effetto quello di avallare l'utilizzo delle misure precautelari privative della libertà personale in materia di immigrazione irregolare; una prassi, questa, presente anche in Italia dove prima della riforma del 2011 si prevedeva l'arresto obbligatorio in flagranza per i reati di inottemperanza all'ordine di allontanamento del questore (artt. 14, co. 5-ter e co. 5-quater, d. lgs. 286/1998), e oggi mantenuta per il reati di cui agli artt. 13 e 13-bis, d. lgs. 286/1998, in tema reingresso sul territorio dello Stato senza autorizzazione.

200. Questo argomento era stato sostenuto da: Cour d'appel di Nîmes, Ordonnance de Référé rendue au fond, 6 mai 2011. La Corte d'appello riteneva che la presenza nell'ordinamento di una misura privativa della libertà personale come il fermo fino a quattro ore rendesse di fatto sproporzionato il ricorso alla garde à vue per gli stranieri, in quanto il primo sarebbe stato sufficiente a soddisfare le esigenze di identificazione dello straniero indiziato per ingresso e soggiorno irregolare.

201. Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza del 6 dicembre 2011, Achughbabian, cit., § 39.

202. Ivi, § 35, 36 e 37.

203. Ivi, § 41.

204. L'eccezione in questione era stata sollevata dal governo francese: questo faceva valere l'emanazione di alcune circolari ministeriali in forza delle quali le autorità avrebbero dovuto esercitare l'azione penale per il reato di ingresso e soggiorno irregolare in Francia solo nel caso di commissione di un fatto di reato diverso dal primo; in caso contrario, invece, le autorità avrebbero dovuto emettere un provvedimento di archiviazione (classement sans suite), in modo da avviare la procedura amministrativa di rimpatrio. Si veda: Governo della Repubblica francese, Osservazioni scritte, 27 Settembre, § da 104 a 118.

205. Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza del 6 dicembre 2011, Achughbabian, cit., § 42.

206. Ivi, § 48.

207. P. De Pasquale, Misure nazionali di rimpatrio e diritto dell'Unione europea: da El Dridi ad Achughbabian, in Studi sull'integrazione europea, 2012, p. 518.

208. L. D'Ambrosio, Se una notte d'inverno un...sans papiers. La Corte di giustizia dichiara il reato di ingresso e soggiorno irregolare conforme e non conforme alla "direttiva rimpatri", cit., p. 7.

209. Dépêche du 6 juillet 2012, Conséquence des arrêts de la 1ère chambre civile de la Cour de cassation du 5 juillet 2012 relatif à la garde à vue en matière de séjour irrégulier et de l'arrêt de la même chambre du 6 juin 2012 concernant l'article L.611-1 du CESEDA conjointe DACG-DACS 11-04-C39.

210. P. Henriot, Garde à vue et séjour irrégulier: les inseignements de l'arrêt Achughbabian sont limpides..., in Gazette du Palais, 2012, p. 226.

211. Ivi, p. 228.

212. S. Slama, Epilogue d'une saga judiciaire sur la garde à vue pour séjour irrégulier, in Recueil Dalloz, 2012, p. 2004.

213. CA Paris, 7 décembre 2011, nº 11/04971; CA d'Aix en Provence, 8 décembre 2011, nº 11/00383; CA de Nîmes, 14 décembre 2011, nº 11/01675.

214. Conseil consitutionnel, 3 février 2012, nº 2011-217 QPC.

215. Per un commento si veda: D. Simon, Directive retour» et sanctions pénales du séjour irrégulier. Le conseil constitutionnel dans sa décision du 3 février 2012 refuse de censurer la loi française, in Europe, 2012, 3, p. 1.

216. Coneil. constitutionnel, décembre 12 mai 2010, nº 2010/605 DC.

217. Chambre criminelle de la Cour de Cassation, 5 juin 2012, avis nº 9002.

218. Première chambre civile de la Cour de Cassation, 5 juillet 2012, nº 11-30.371, 11-19.250 et 11-30.530: pubblicate in Ajda, 2012, p. 1372.

219. S. Slama, «Confirmation de l'impossibilité de placement en garde à vue d'un ressortissant d'un pays tiers sur le seul fondement de son séjour irrégulier sans épuisement des mécanismes coercitifs de la directive», in Lettre «Actualités Droits-Libertés» du CREDOF, 14 juillet 2012.

220. Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza del 6 dicembre 2011, Achughbabian, cit., § 50 (corsivo non nel testo originale).

221. S. Slama, Epilogue d'une saga judiciaire sur la garde à vue pour séjour irrégulier, in Recueil Dalloz, 2012, p. 2005.

222. Circulaire DACG-DACS 11-04-C39 du 6 juillet 2012.

223. S. Slama, Epilogue d'une saga judiciaire sur la garde à vue pour séjour irrégulier, cit., p. 2006.

224. A questo proposito si ricorda che Ghislain Poissonnier aveva proposto, poco dopo la sentenza Achughbabian, di sostituire la garde à vue in caso si soggiorno irregolare con una «pré-rétention administrative» sotto il controllo di un magistrato: G. Poissonnier, Etranger en simple situation irrégulière: il y a urgence à légiférer, in Recueil Dalloz, 2012, p. 333.

225. Tra gli altri: François Béguin et Frank Johannès, Une retenue de "seize"heures, pour les sans-papiers, in Le Monde, 29 septembre 2012.

226. Commission nationale consultative des droits de l'homme (CNCDH), Etrangers: projet de loi sur la retenue de seize heures marque un nouveau recul des droits, 23 novembre 2012 - communiqué de presse.

227. Art. L. 611-1-1-I CESEDA: "Si, à l'occasion d'un contrôle effectué en application de l'article L. 611-1du présent code, des articles 78-1, 78-2, 78-2-1 et 78-2-2 du code de procédure pénale ou de l'article 67 quater du code des douanes, il apparaît qu'un étranger n'est pas en mesure de justifier de son droit de circuler ou de séjourner en France, il peut être conduit dans un local de police ou de gendarmerie et y être retenu par un officier de police judiciaire de la police nationale ou de la gendarmerie nationale aux fins de vérification de son droit de circulation ou de séjour sur le territoire français. Dans ce cas, l'officier de police judiciaire ou, sous le contrôle de celui-ci, un agent de police judiciaire met l'étranger en mesure de fournir par tout moyen les pièces et documents requis et procède, s'il y a lieu, aux opérations de vérification nécessaires. Le procureur de la République est informé dès le début de la retenue. L'officier de police judiciaire ou, sous le contrôle de celui-ci, un agent de police judiciaire informe aussitôt l'étranger, dans une langue qu'il comprend ou dont il est raisonnable de supposer qu'il la comprend, des motifs de son placement en retenue et de la durée maximale de la mesure ainsi que".

228. La «vérification d'identité» prevede, invece, un fermo dello straniero di massimo quattro ore, il ché rendeva di fatto impraticabile il controllo delle forze di polizia.

229. V. Tchen, La loi relative à la retenue pour vérification du droit au séjour et modifiant le délit d'aide au séjour irrégulier pour en exclure les actions humanitaires et désintéressées, in Actualité du droit des étrangers, 25 gennaio 2013.

230. Art. L. 621-2 CESEDA.

231. Circulaire du Ministère de l'Intérieur, 18 janviér 2013, nº NORINTK1300159C.

232. Per un commento sul progetto di legge c.d. Valls, a partire dall'avis della Commission nationale consultative des droits de l'homme reso il 22 novembre 2012, si veda anche: Benjamin Francos, Un avis cinglant envers un projet de loi qui heurte les droits des étrangers et les exigences européennes, in Lettre «Actualités Droits-Libertés» du CREDOF, 3 décembre 2012.

233. Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza del 6 dicembre 2011, Achughbabian, cit., § 46.