ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo IV
Il rito alternativo: le tensioni tra femminismo e multiculturalismo

Eleonora Ghizzi Gola, 2012

1. La proposta del rito simbolico alternativo

La difficoltà del diritto, generale ed astratto, nell'affrontare le diverse sfumature in cui può presentarsi un fenomeno, spesso porta a un risultato che non può dirsi soddisfacente. Abbiamo visto come le questioni concernenti la bioetica e la medicina possano trovare un'ancora di salvezza nell'intervento del corpo giudiziario che "adatta" la risposta alla singolarità del caso in esame. In sede giudiziale acquistano infatti rilevanza una serie di elementi che permettono di contestualizzare il singolo evento, portando alla luce le motivazioni che hanno portato ad un dato comportamento, il background degli attori, il loro imprinting culturale, il loro livello di istruzione. Il giudice, così come il medico, non potrà limitarsi a dare risposte standard, indipendentemente dalla persona che si trova di fronte, ma dovrà adeguarle al caso concreto. Così, se il giudice, a fronte di una condotta di MGF può scontrarsi con la mancanza di dolo giungendo a dichiarare la non configurabilità del reato di lesioni, come si porrà il medico di fronte a una richiesta di una donna adulta e consenziente di sottoporsi a un intervento di infibulazione per adeguarsi alla propria tradizione e quindi essere accettata dalla sua comunità? La maggioranza dei medici si rifiuta di praticare un intervento per ragioni non terapeutiche, spesso anche vietato e punito dalla legge; una esigua minoranza accoglie la richiesta, praticandolo in condizioni di clandestinità; una coraggiosa minoranza ha avanzato una proposta realistica, non lesiva dell'integrità fisica del corpo della donna e rispettosa della carica simbolica e culturale del rito: il rito simbolico alternativo.

Contrariamente a quanto sostenuto dalle arroganti campagne informative che hanno preso vita laddove sono state avanzate proposte di introduzione di un rito simbolico, i sostenitori di tale percorso alternativo, in primis i medici, sono persone che da anni lottano per l'eradicazione della degradante pratica dell'infibulazione, al fianco delle comunità presso le quali è diffusa. Si ha notizia di proposte in questo senso in alcuni Paesi africani; nei Paesi di immigrazione, se ne contano tre: la proposta di circoncisione simbolica avanzata nei Paesi Bassi nel 1992, il rito simbolico presentato dal Complesso di Seattle nel 1996 e dal Centro di riferimento per la prevenzione e cura delle complicanze delle MGF dell'ospedale Careggi di Firenze nel 2004. Premesso che nessuna di queste tre proposte è stata accolta, si può dire che tutte siano state relegate al rango di "tentativi" (1); concentreremo l'attenzione sulla proposta di "sunna lievissima" presentata dall'ospedale fiorentino.

Il Centro di riferimento per la prevenzione e la cura delle complicanze delle MGF dell'ospedale Careggi di Firenze è guidato dal Dott. Abdulcadir Omar Hussen, medico di origini somale che dagli inizi degli anni Ottanta si dedica alla salute delle donne immigrate, intraprendendo al loro fianco un percorso per un superamento del tradizionale rito delle MGF. Con il sostegno della moglie, la Dott.ssa Lucrezia Catania, e altri colleghi impegnati in questo impervio ed appassionato percorso. Il Centro incontra le donne che hanno subito un intervento escissorio, offre loro le cure necessarie e realizza interventi di deinfibulazione, non limitandosi agli aspetti prettamente sanitari: al Centro molte donne si rivolgono solo per parlare, chi per la prima volta, del loro corpo, della loro sessualità, degli ostacoli incontrati nei rapporti con la propria comunità e di quelli con la società circostante. Donne già infibulate e fiere di esserlo, donne che soffrono per quanto hanno subito che chiedono di essere deinfibulate, donne "aperte" desiderose di sottoporsi all'intervento. Le storie di queste donne sono intrise di una profondità e di una unicità tali da rendere impossibile una loro sintesi (2): le sensazioni che si fondono tra loro sono di sofferenza, paura, felicità, rispetto, rabbia, orgoglio, dolore, sottomissione.

Se la richiesta di deinfibulazione, pur richiedendo un percorso preventivo consultivo che andrà a sfociare nella materialità dell'intervento liberatorio, non pone problemi in ordine alla sua accoglibilità, in quanto rivolta a un Centro medico che si propone come obiettivo il superamento della pratica dell'infibulazione, sicuramente più complessa è la richiesta di essere infibulate. Come porsi di fronte all'insistenza e alla determinazione di donne che vogliono essere "chiuse" per potersi sposare con l'uomo di cui sono innamorate, che non accetta di essere il marito di una "non-donna aperta"? Quale la risposta di fronte all'alternativa di sottoporsi a interventi non medicalizzati o addirittura di tornare nel Paese d'origine per il tempo necessario all'operazione? Come reagire quando le discussioni circa la dannosità dell'intervento, i tentativi di incontro e dialogo cadono nel vuoto? Così è nata la proposta di un rito simbolico alternativo.

Il rito simbolico alternativo proposto dal Centro di riferimento dell'ospedale Careggi consisteva in una forma lievissima di sunna: una puntura d'ago sottile (puntura di spillo) sulla mucosa esterna che ricopre il clitoride dopo breve e temporanea anestesia locale con crema anestetica in modo da far sgorgare poche gocce di sangue. (3) Tale rito sarebbe stato proposto esclusivamente alle famiglie (o direttamente alle donne) irriducibili, quando appariva evidente che ogni strategia di informazione ed educativa per prevenirla si fosse dimostrata inutile. (4) L'obiettivo a breve termine della procedura proposta era quello di "salvare almeno una bambina" dalla mutilazione; quello a lungo termine lo sradicamento culturale delle MGF in quanto pratica di violenza perpetrata sulle bambine e sulle donne. Il rito simbolico alternativo si inserisce senza alcun dubbio all'interno di una definita e determinata strategia di lotta senza compromessi alle pratiche lesive di MGF; vi soggiace la convinzione che per l'eradicazione della pratica si debba agire in maniera graduale, senza imposizioni proibizionistiche che eludano il problema, piuttosto che affrontarlo. Lo scopo del rito simbolico è annullare il dolore e gli effetti invasivi ed estremamente dannosi per l'integrità e la salute dei minori e delle donne costretti (si intenda una costrizione anche di tipo culturale) a subirla, fintanto che esso è considerato essenziale ed irrinunciabile; sarebbe ipocrita pensare che vietandolo si evitasse la sua perpetuazione: "tutti i proibizionismi si risolvono nel rifiuto di ogni riduzione del danno". (5) Una politica proibizionista non salva le bambine delle famiglie convinte all'escissione, ma le espone al rischio di una mutilazione peggiore e in condizioni igieniche precarie. (6)

Il rito simbolico, significativamente differente dal tradizionale (7), poteva incontrare l'ostacolo della non accettazione da parte della comunità, nel caso non gli fosse riconosciuto il pregnante significato simbolico attribuito alla pratica tradizionale. L'iter che ha condotto alla proposta ha infatti coinvolto le comunità (principalmente quella somala nel caso fiorentino) presso le quali la pratica delle MGF era sentita come doverosa. Non solo la componente femminile di esse, coinvolta in prima persona, ma anche quella maschile: questo passo (raccomandato anche da OMS e Unicef) è ritenuto essenziale in quanto mirato al coinvolgimento e alla responsabilizzazione degli uomini contro le pratiche mutilatorie. (8) L'avversione dei padri di famiglia è spesso stata decisiva nella scelta di non sottoporre la figlia all'infibulazione. Il rito simbolico, quindi, annullerebbe ogni tipo di sofferenza ed ogni effetto lesivo ma manterrebbe una forte carica simbolica, continuando a rappresentare quel momento irrinunciabile nella vita di una donna, desiderato e temuto allo stesso tempo: il momento fondamentale sarebbe l'evento della festa che la famiglia prepara per rendere speciale quel giorno. (9)

Le proposte di pratiche simboliche si pongono come misura transitoria nel segno della totale eradicazione della millenaria pratica dell'infibulazione. Al di là delle critiche ad esse rivolte, come vedremo in seguito, è innegabile l'atteggiamento realista e pragmatico che ad esse soggiace, ispirato al principio della riduzione del danno e all'etica della responsabilità. (10) Le famiglie "irriducibili" non esitano a sottoporre le figlie al rito infibulatorio clandestinamente e, spesso, da persone estranee al mondo sanitario: i tempi di abolizione di una pratica culturale solidamente radicata, quale è quella delle MGF, sono necessariamente lunghi; nel mentre restano da stabilire procedure efficaci per limitare i danni. (11) La possibilità di successo del rito simbolico riposa proprio sul fatto di essere una proposta proveniente dall'interno della cultura interessata, volta a rispondere ad esigenze pratiche immediate e a trasformare gradualmente la cultura stessa. (12)

Anche in alcuni Paesi africani sono state avanzate proposte di riti alternativi volti ad un superamento della pratica tradizionali: in Kenya, Uganda, Tanzania, Gambia, Guinea, Burkina Faso, Mali e Costa d'Avorio (si tratta di Paesi in cui si praticano mutilazioni meno invasive rispetto all'infibulazione) si sono diffuse celebrazioni collettive. In Somalia, laddove è diffusa l'infibulazione, solo nel distretto di Merka è stato proposto il rito alternativo, la sunna gudnin, come passaggio verso l'obiettivo previsto, una celebrazione puramente simbolica: importante è stato il ruolo dell'Organizzazione non governativa WLF (Water for Life) che da anni opera nel distretto. Il progetto del rito alternativo coinvolge le figure religiose, i maestri delle scuole, le madri delle bambine e le loro famiglie: i maestri segnalano le famiglie delle bambine "a rischio" che vengono contattate dai religiosi, i quali spiegano loro che non vi è prescrizione alcuna nel Corano che obblighi di sottoporre le bambine all'infibulazione, cercando di cambiare il loro atteggiamento. Si organizza quindi la cerimonia alternativa, gratuita, e si allestisce la festa cui parteciperà tutta la comunità: alla bambine, dopo anestesia locale, viene praticata la sunna (escoriazione lieve della zona clitoridea). Le madri, durante i festeggiamenti che seguono il rito, dichiarano di aver sostituito l'infibulazione con la sunna liberamente e si invita la comunità a diffondere e a pubblicizzare l'alternativa. (13)

In Kenia due Organizzazioni non governative che promuovono la salute di donne e bambini nei Paesi in via di sviluppo, hanno dato vita ad un'iniziativa per il superamento della pratica delle MGF: la "circoncisione attraverso le parole". Il rito alternativo proposto, e ampiamente accettato all'interno della comunità in cui è stato presentato, consiste in una settimana di isolamento in cui le ragazze ricevono nozioni di anatomia, igiene, salute riproduttiva e sessuale; l'ultimo giorno, tutta la comunità partecipa alla cerimonia con festeggiamenti, musica e danze. (14)

1.1 La critica femminista alla proposta

Abbiamo anticipato che le proposte alternative alla pratica dell'infibulazione avanzate in Italia, nei Paesi Bassi e negli Stati Uniti hanno scatenato un acceso dibattito che ha portato alla loro bocciatura in sede politica. La critica più accanita è giunta dalle correnti femministe, accomunando voci provenienti dalle diverse frange politiche. Oggetto della critica è il significato simbolico del rito alternativo; accettandolo, quale pratica sostituiva all'infibulazione, si avvallerebbero i disvalori che sono alla base delle MGF: violazione dei diritti umani delle donne e delle bambine, subalternità alla sessualità maschile, mortificazione della sessualità femminile, indisponibilità del proprio corpo per le donne. (15) L'obiezione non è affatto irrilevante, come dimostra il fatto che essa sia sostenuta da donne appartenenti a culture che praticano il rito, donne appartenenti a culture altre, donne che difendono con orgoglio la pratica tradizionale e donne che la aborrono con la massima fermezza e non sono disposte a "compromessi". È proprio la lettura del rito tradizionale come un "compromesso con i mutilatori" che porta alla fuorviante idea che il rito simbolico sia una infibulazione soft che perpetua la sottomissione della donna all'uomo, propria delle culture patriarcali.

Le voci che si levano contrarie al rito simbolico, solidamente spalleggiate da Convenzioni internazionali e, come abbiamo visto, da Risoluzioni europee, sono capitanate dalle associazioni di donne che lottano per la parità dei diritti sotto il motto: Il corpo della donna non si tocca! Esse auspicano azioni preventive e repressive nei confronti delle MGF che non lascino spazio alla medicalizzazione ed a proposte di pratiche sanitarie alternative. L'atteggiamento dei Paesi presso i quali è diffuso il rito, così come quelli in cui si è stanziata una comunità minoritaria appartenente ad una cultura a tradizione escissoria, dovrà essere di severa condanna: pena, rendersi complici, accettare passivamente tali pratiche. (16)

In primis viene posta la seguente questione: sottoporre il corpo femminile ad un rito che simboleggia l'oppressione di genere non si porrebbe d'ostacolo ad un percorso emancipatorio delle donne? Per rafforzare l'autodeterminazione femminile si vede un'unica strada: eliminare ogni forma, fisica, psicologica o simbolica di sottomissione. L'anello debole di questa critica è costituito dal fatto, non così anomalo come parrebbe essere, che talvolta sono le donne stesse a difendere e rivendicare pratiche di cui sono "vittime" (17): qui le difficoltà aumentano e solo nascondendosi di fronte alla realtà dei fatti si può pretendere di aver compreso la complessità della questione.

Il rito simbolico viene quindi accusato di essere contrario alla deontologia medica: sarebbe contrario in quanto non si tratterebbe di una cura ma di un intervento sul corpo di una bambina sana. (18) In realtà esso si potrebbe leggere, posizione avvallata dalla Commissione Regionale di Bioetica della Regione Toscana che ha accolto favorevolmente la procedura proposta dal Dott. Abdulcadir, come "atto che si inserisce nell'ottica della prevenzione dei danni da infibulazione e che, pur provocando una lievissima lesione, non provoca un danno permanente ed è effettuata in assenza di dolore". (19) Un'altra obiezione a tale critica muove dall'assunto della liceità degli interventi di chirurgia estetica e della circoncisione maschile, praticata principalmente su minori, non giustificati da ragioni di tipo sanitario ma per conformarsi a standard di natura estetica, culturale o religiosa: si tratta di un'interpretazione evolutiva del concetto di salute che non si limita al raggiungimento del benessere fisco, ma include anche quello psico-sociale.

Guardando al senso ultimo delle critiche e confrontandolo con la ratio della proposta di un rito simbolico alternativo, si vedrà che l'abisso scavato dalle polemiche che ne sono scaturite non è in realtà un ostacolo insormontabile, ma si tratta piuttosto di un fraintendimento. L'obiettivo condiviso è l'abbandono delle pratiche di mutilazione genitale femminile, unanimemente considerate atti lesivi dell'integrità fisica delle donne, una manipolazione del corpo da combattere e da abbandonare per sempre, una sofferenza inutile e difficile da dimenticare. Lo scopo dei riti alternativi si inserisce in una strategia di prevenzione, di segno contrario rispetto alla mera condanna ex post: laddove vi sia la certezza che una famiglia sottoporrà la figlia ad una pratica di MGF più o meno invasiva, si proporrà un'alternativa transitoria. Se è vero che ideologicamente al rito simbolico è associabile il connotato negativo, riferito al rito tradizionale, di subalternità femminile, è doveroso riconoscere che esso non è l'unico significato ad esso attribuito e che la priorità dovrebbe essere la salute delle bambine. Quanto ai significati, molte bambine desiderano trepidanti il momento in cui diventeranno donne e ricordano con gioia il momento dell'attesa; con immenso dolore rivivono la sofferenza dell'incisione e della lunga convalescenza dopo l'intervento: il rito simbolico permetterebbe di serbare a mente solo il primo ricordo. I genitori delle bambine, parimenti, non associano un disvalore a ciò che per loro è il massimo bene per le loro figlie. Quanto alla salute, salvare anche una sola bambina da un'infibulazione dovrebbe permettere di superare la rigidità mentale che porta all'ostinato rifiuto di un rito non dannoso.

Non è casuale che le proposte di riti alternativi siano state avanzate da persone che da anni lavorano in ambito sanitario nel campo delle MGF e lottano al fianco di donne, con cui hanno condiviso momenti di dialogo e confronto, per un superamento definitivo, graduale e condiviso di questa pratica. Volendo concentrare l'attenzione sulle reazioni delle comunità immigrate a cultura escissoria (partendo dal presupposto che la soluzione dovrà prendere forma ed essere condivisa all'interno di esse), le reazioni sono state di segno opposto: vi è chi ha sostenuto con forza la proposta (20) e chi l'ha osteggiata. Tra questi si distinguono coloro che rifiutano l'alternativa simbolica in quanto non sufficiente a rappresentare il profondo significato che la tradizione dispone, da coloro che rifiutano qualsiasi forma anche simbolica di manipolazione del corpo femminile. È proprio tale eterogeneità di posizioni che deve indurre ad una riflessione ponderata e attenta circa la possibilità o meno di proporre un'alternativa transitoria che prenda in considerazione anche i casi più difficili.

Il ruolo dei media ha sicuramente influito in maniera negativa sull'esito delle proposte, alimentando una critica dai toni arroganti e irrispettosa della delicatezza dell'argomento in questione. Il dibattito merita invece attenzione e, perché possa rendersi costruttivo e portare al raggiungimento di una soluzione concordata, richiede un lungo studio che includa conoscenze di medicina, antropologia, etica e diritto, ma soprattutto un atteggiamento maturo: la capacità di adattarsi, di accettare soluzioni transitorie, di muoversi lungo cammini anche tortuosi e insicuri che, seppur a tempi debiti, conducano alla meta prefissata. Un altro aspetto che la "mala informazione" ha sottovalutato è l'importanza dell'approvazione da parte di molte donne e uomini appartenenti alle comunità a tradizione escissoria; le critiche esterne hanno un peso limitato se non sorrette da una conoscenza profonda del mondo che ruota intorno alle MGF.

Una soluzione che potrebbe essere proposta al vaglio delle comunità a tradizione escissoria consisterebbe nell'introduzione di un rito alternativo meramente simbolico, similmente a quello proposto in Kenia dalla ONG Water for Life: la "circoncisione attraverso le parole". Eliminando in toto la fisicità del rito, la proposta incontrerebbe il parere favorevole di quel ramo della critica che si oppone alla sunna non tanto per il disvalore simbolico che avvallerebbe quanto perché consistente in una, seppur lievissima, manipolazione del corpo della donna; fondamentale resta, come sempre, il riconoscimento del rito da parte delle comunità interessate.

1.2 Femminismo e multiculturalismo a confronto

Le critiche avanzate dalle correnti femministe nei confronti del rito simbolico alternativo alle MGF sono iscrivibili nell'ambito del più ampio dibattito che vede protagonisti femminismo e multiculturalismo. Il rito simbolico, nei Paesi d'immigrazione, si inserisce infatti in un'ottica multiculturalista nel momento in cui propone una soluzione che mira a raggiungere un punto d'incontro con le istanze di natura culturale avanzate da gruppo minoritario; di segno opposto sarebbe il rifiuto di prendere in considerazione le diversità culturali (si veda il modello "assimilazionista" alla francese) o la scelta di criminalizzare un dato comportamento culturalmente motivato. Le correnti femministe si oppongono all'alternativa di "salvare il rito" in quanto associato a un elemento di disvalore, fortemente combattuto da esse: il controllo della sessualità femminile e, più in generale, la subordinazione della donna all'uomo. La soluzione da loro auspicata è quindi il disconoscimento di tali comportamenti culturalmente motivati in quanto espressivi di culture patriarcali che necessitano un superamento nel segno della parità sessuale. In tal senso si parla di tensione tra femminismo e multiculturalismo laddove le culture minoritarie siano portatrici di pratiche lesive o scriminanti nei confronti del sesso femminile.

1.3 Bipolarismi: universalismo dei diritti e particolarismo delle culture, diritti collettivi e diritti individuali

Femminismo e multiculturalismo sono apparsi per lungo tempo alleati: entrambi i movimenti hanno seguito percorsi comuni di critica alle teorie liberali nella loro assunzione di un soggetto universale modellato sulle caratteristiche del gruppo dominante; (21) entrambi si opponevano all'universalità dei diritti in capo all'uomo reclamando l'uno la differenziazione sessuale, l'altro quella culturale. La critica comune era indirizzata verso l'uomo maschio, bianco, proprietario e occidentale cui si riferiscono le Dichiarazioni dei diritti dell'uomo e i Trattati a livello internazionale. Se le teorie multiculturaliste denunciavano la cecità dell'universalismo di fronte al pluralismo culturale pretendendo un riconoscimento di diritti speciali delle culture, la critica delle teorie femministe mirava piuttosto ad un superamento dell'universalità nel nome della differenziazione sessuale.

All'interno del movimento femminista, nato nel mondo Occidentale, un momento importante è dato dalla presa di coscienza dell'esistenza di differenze di natura culturale che portano ad una diversificazione delle esigenze delle molte donne che costituiscono l'universo femminile; si pone quindi il problema di non riprodurre lo stesso vizio che si era combattuto, ovvero il declinarsi del movimento femminista come portatore delle istanze della donna, bianca e occidentale (22): la sfida del pluralismo culturale impone una lettura attenta e consapevole delle differenze anche culturali. Presto emergono le difficoltà nel conciliare diritti delle donne e diritti delle culture: molte pratiche comunitarie sono discriminatorie nei confronti del sesso femminile. Come districarsi in questo groviglio apparentemente senza uscita? Rispettare i diritti culturali dei gruppi minoritari in nome del multiculturalismo così legittimando comportamenti lesivi dei diritti fondamentali delle donne o difendere l'autonomia individuale della donna a scapito della sua appartenenza culturale?

Le tensioni che caratterizzano il rapporto tra femminismo e multiculturalismo si collocano all'interno di due più ampie dicotomie o, per utilizzare l'espressione di Alessandra Facchi, bipolarismi (23), estremi di quel continuum entro cui si muove la pratica dei diritti: universale/particolare e individuale/collettivo.

Il primo bipolarismo mette in discussione l'universalità dei fondamenti dei diritti, sottolineando le difficoltà nel formulare parametri universali, in quanto essi risulterebbero essere variabili a seconda del contesto culturale di appartenenza: i contenuti degli stessi fondamentali diritti di libertà ed eguaglianza potrebbero dirsi "particolari". Il particolarismo dei diritti, in contrapposizione al proclamato universalismo, è stato messo in luce dalle teorie relativistiche degli antropologi. Il primo documento in tal senso è stato presentato nel 1947 dall'American Anthropological Association alla Commissione sui diritti umani delle Nazioni Unite; nello statement si denunciava la difficoltà di formulare parametri universali dei diritti facendo notare che il loro contenuto dipendeva contesto culturale. (24) In seguito, con la Dichiarazione di Bangkok, presentata dagli Stati asiatici in occasione della Conferenza mondiale delle Nazioni Unite tenutasi a Vienna nel 1993, per la prima volta si afferma l'esistenza di "valori asiatici" fondati sull'ordine, la coesione sociale e la disciplina, inconciliabili con l'individualismo occidentale. (25)

I diritti particolari o speciali quindi spetterebbero ad un individuo o ad un gruppo in virtù di qualche caratteristica che si suppone meritevole di un riconoscimento o una tutela specifici. La questione è la seguente: i diritti fondamentali (o umani) sono di per sé particolaristici, in quanto portatori di una filosofia e antropologia culturalmente determinata o si tratta di diritti universali? (26) In tal senso si inserisce il tema dei diritti fondamentali delle donne: essi sono universalmente validi e rivendicabili o si declinano differentemente a seconda dell'intorno culturale di riferimento? Un'interpretazione contestualizzata dei diritti può portare a leggere lo stesso principio di eguaglianza sessuale come un diritto particolare, che assume diverse sfumature a seconda delle culture, religioni e tradizioni in cui viene declinato.

Il bipolarismo diritti individuali - diritti collettivi, traslato sul piano delle società multiculturali, concerne invece la compatibilità dei diritti individuali del soggetto membro della comunità minoritaria con i diritti collettivi riconosciuti alla comunità stessa. Semplificando notevolmente la complessità raggiunta dalle molteplici analisi e teorie che si occupano di investigare questo campo, basti rilevare le difficoltà che si incontrano riconoscendo da una parte diritti culturali e collettivi ad un gruppo minoritario mantenendo fermo dall'altra il valore fondamentale dell'autonomia dell'individuo in una società di stampo liberale. Will Kymlicka (27) propone un criterio per valutare l'ammissibilità delle misure richieste dai gruppi minoritari riallacciandosi alla distinzione tra due tipi di rivendicazioni corrispondenti a due tipi di diritti di gruppo: le "restrizioni interne" e le "tutele esterne". Ritiene che le prime, che "mirano a limitare le capacità degli individui del gruppo a mettere in questione, correggere o abbandonare ruoli e pratiche culturali tradizionali" (28), siano inaccettabili all'interno di una teoria liberale dei diritti di gruppo; le seconde invece, concernenti "quel tipo di diritti che un gruppo minoritario rivendica nei confronti della società più ampia entro cui vive allo scopo di ridurre la propria vulnerabilità di fronte al potere economico o politico della società più ampia", sono rivendicazioni avvallabili.

Tornando alle tensioni tra multiculturalismo e femminismo, la questione, come già esposta, si pone in termini problematici quando le stesse "vittime" rivendicano pratiche e istituzioni, proprie della minoranza culturale cui appartengono, che appaiono lesive dei loro diritti. Vi sono due concezioni che si fronteggiano nella teoria del diritto: diritto soggettivo come volontà e diritto soggettivo come interesse. (29) Secondo la prima l'elemento costitutivo del diritto soggettivo è la volontà, quindi la scelta del titolare del diritto se farlo valere o meno; la seconda sostiene invece che l'elemento costitutivo sia l'interesse protetto o promosso dalle norme giuridiche a prescindere dalla volontà del titolare. (30) Quale è lo spazio di autodeterminazione che si può lasciare a una donna adulta e consenziente nella determinazione del suo bene? La volontà di una donna di portare il velo o di sottoporsi alla pratica di MGF in osservanza al proprio dettame culturale deve essere rispettata? Fino a che punto i diritti di gruppo e i diritti individuali devono prevalere l'uno sull'altro?

È essenziale considerare le culture nella loro complessità e pluralità, cercando una risposta che venga dall'interno di esse in quanto gli individui che con essa si identificano sono soggetti individuali, ma, allo stesso tempo, appartenenti ad una realtà collettiva. È necessario contemperare la tutela delle donne sia all'interno del gruppo sia come componenti del gruppo all'interno della società complessiva, superando una rappresentazione di queste identità con caratteri estremizzati e semplificati. (31)

1.4 Il dibattito teorico: Is Multiculturalism Bad for Women?

L'acceso e appassionato dibattito che vede protagonisti femminismo e multiculturalismo non cessa di arricchirsi di contenuti e di spunti di riflessione pratica e teorica; la realtà multiculturale è un fatto in continua evoluzione che si alimenta degli inarrestabili flussi migratori che coinvolgono il mondo intero. Se la fine è quindi improbabile da definirsi, l'inizio di tale discussione può essere fatta risalire al celebre lavoro di Susan Muller Okin che chiese provocatoriamente: Is Multiculturalism Bad for Women? (32) Il testo di Okin, che affronta per la prima volta di petto la questione circa la compatibilità tra multiculturalismo e femminismo, ha diviso la dottrina: cosa fare quando le istanze delle culture o delle religioni delle minoranze collidono con la norma dell'uguaglianza di genere che, almeno formalmente, è promossa dagli Stati liberali? (33)

La critica di Okin nei confronti delle politiche multiculturalistiche denuncia l'incompatibilità tra protezione delle comunità culturali e protezione dell'autonomia dei propri membri; (34) l'attribuzione di diritti di gruppo alle minoranze culturali celerebbe una tacita tolleranza verso pratiche oppressive perpetrate nei confronti della componente femminile del gruppo. Tolleranza inammissibile, a detta di Okin, in una società liberale che si erge a garanzia della libertà dell'individuo. L'accusa di "ingenuità" rivolta al multiculturalismo liberale si trasforma in "complicità", in quanto il rispetto acritico dei diritti comunitari "può incoraggiare le pulsioni tiranniche interne e le specifiche dinamiche patriarcali". (35) Okin quindi auspica un effettivo esercizio della libertà dissociativa, un diritto di exit dal gruppo minoritario di appartenenza qualora questo possieda una struttura patriarcale che non garantisce alle donne quella sfera di autonomia e libertà ritenuta intangibile; arriva ad affermare, eccedendo in paternalismo agli occhi dei suoi critici, che alcune culture meriterebbero di estinguersi, giungendo così ad un'affermazione che collide in toto con l'obiettivo di fondo delle politiche di stampo multiculturalista: dotare le culture minoritarie di diritti speciali o privilegi di gruppo perché possano non tanto sopravvivere, ma vivere e dare identità alla cultura stessa ed ai suoi membri.

Okin prende in considerazione la versione liberale di multiculturalismo proposta da Kymlicka secondo il quale l'identità dei gruppi va difesa nella misura in cui tutela gli individui che dei gruppi sono membri. Okin ritiene tuttavia che la concezione di "restrizioni interne" di Kymlicka sia troppo limitata in quanto non considera quanto avverrebbe nella più nascosta sfera privata, laddove prenderebbero forma le più acute forme di discriminazione sessuale. Okin quindi si mostra restia ad accettare anche una forma liberale di multiculturalismo, assumendo una posizione che rischia di porsi come estremamente radicale.

Al saggio di Okin si deve sicuramente riconoscere il merito di aver dato il la ad un vivace e costruttivo dibattito, ma soprattutto di aver fatto luce su una contraddizione reale e fondata, prima non sufficientemente oggetto di attenzione dai sostenitori delle politiche multiculturaliste: le donne possono essere vittime del multiculturalismo poiché molte culture sono condizionate da un retaggio patriarcale. Le critiche alla sua posizione sono tuttavia giunte da più voci. In particolare, oltre all'accusa di "etnocentrismo liberale" e "femminismo patriarcale occidentale", si critica la rigidità del concetto di cultura, la semplificazione del concetto di uguaglianza e la superficialità della soluzione paventata come auspicabile, ovvero il diritto di exit: il problema è verso dove? Non si sentirebbe forse la donna privata anche delle risorse sociali ed economiche su cui poteva contare? Non è forse auspicabile una soluzione che provenga dall'interno della cultura stessa?

La prima accusa è quella di essere portatrice delle istanze di un femminismo: quello dominante nella tradizione di pensiero e nelle società occidentali. (36) Non si deve correre assai addietro nel tempo per risalire alle origini di altri femminismi che si sono sviluppati al di là della tradizione occidentale. Questi femminismi devono affrontare contemporaneamente due sfide che corrispondono alle due dimensioni di differenza: donna rispetto all'uomo e donna non-occidentale rispetto a donna occidentale. A questo si aggiunga, nei Paesi d'immigrazione, la terza dimensione di "straniera" rispetto agli "autoctoni". (37) Se alcuni movimenti di donne musulmane lottano per il riconoscimento di un rapporto paritario tra uomini e donne idealizzando la donna occidentale, autonoma e libera, altre femministe musulmane danno priorità al superamento della dimensione donna-uomo, scegliendo di mantenere una distanza con lo standard occidentale di "donna". Così, mentre le prime si batteranno per "togliere il velo", associandolo ad una condizione oppressiva della donna, le seconde lo indosseranno con orgoglio come forma di resistenza alla cultura occidentale (38), come "atto che mira sia a restare dentro la tradizione sia a metterla in discussione, sia ad accettare la disuguaglianza culturale sia a creare uno spazio per l'uguaglianza". (39) La rivendicazione del velo nelle democrazie occidentali non può quindi essere sempre e semplicemente ricondotta ad un'accettazione della condizione subordinata delle donne, ma talvolta rappresenta un gesto di sfida e ostentazione, in difesa delle proprie origini culturali contro l'inglobazione in un modello maggioritario di cittadinanza: (40) il velo è dunque un atto discriminatorio o un diritto fondamentale? Alcune femministe non occidentali si interrogano inoltre circa la indiscutibilità della presunzione che i regimi liberali occidentali siano necessariamente "meno patriarcali" di altri regimi, riscontrando in certe tendenze ed atteggiamenti, più o meno velate forme di subordinazione della componente femminile della società.

Alcuni studiosi, invece, notano come Okin concepisca la cultura come un'etichetta che si può rimuovere "a colpi di diritti" senza incidere sulle persone che ad essa appartengono. (41) Critica che si collega a quella rivolta al diritto di exit auspicato da Okin. L'antropologia culturale, che studia e confronta con rispetto culture diverse, ha il merito di cogliere la rilevanza che la cultura riveste per il genere umano: gli antropologi hanno dimostrato che la cultura va rispettata in quanto è l'insieme degli schemi simbolico-normativi che guidano il comportamento delle persone e permette loro di dare un significato al mondo circostante. Il gruppo culturale in cui vive la persona, quindi, deve essere rispettato non tanto in via primaria, bensì strumentale: in quanto funzionale alla natura dell'uomo e alla sua esistenza. (42) Per moltissime donne l'abbandono della propria comunità, come proposto da Okin quale via di emancipazione, significa la perdita di ogni mezzo di sostentamento o l'emarginazione: il rischio è quello di lasciarle in una condizione di isolamento di fronte alla cultura dominante. (43)

Infine, si critica il concetto di uguaglianza preso in riferimento da Okin: la sua definizione di "eguaglianza sessuale" sarebbe troppo generica e non susciterebbe il consenso universale. (44) Vi sono società in cui, nonostante l'apparenza sessista, le donne sono stimate e ottengono uno status di superiorità rispetto agli uomini: è visto come sintomatico di un atteggiamento di paternalismo occidentale il condannare tali culture, l'abbandono delle quali priverebbe le donne di quell'eguaglianza di cui il liberalismo occidentale vorrebbe che godessero. I canoni di riferimento sono variabili da cultura a cultura: è necessario adottare una nozione di eguaglianza più sfumata e complessa. Come afferma Letizia Gianformaggio, l'eguaglianza giuridica è un valore in crisi: "i valori dell'identità e della differenza hanno assunto un carattere di spinta all'emancipazione, alla liberazione dall'oppressione [...] che a lungo è stata propria dell'eguaglianza". (45)

1.5 Un'alleanza possibile: una soluzione dall'interno del gruppo culturale

Una via d'uscita all'apparentemente insolvibile dilemma che concerne la compatibilità delle istanze di matrice multiculturalista e femminista è realizzabile ed auspicabile: multiculturalismo e femminismo possono tornare a seguire binari paralleli nelle correlate battaglie che conducono, rafforzandosi a vicenda piuttosto che ostacolandosi. (46) Una strada che porta in direzione di un superamento del contrasti tra universalismo e particolarismo, tra diritti delle donne e diritti delle culture, è data dallo sviluppo di movimenti per i diritti delle donne che si muovono all'interno delle culture tradizionali e religiose (47); l'unica via percorribile dovrà trovarsi internamente alle culture stesse, affidando alle donne interessate un ruolo determinante e gli strumenti per affrontarlo, nella trasformazione delle norme che le opprimono.

Il diritto di exit, come abbiamo già argomentato, non risolve la tensione ma propone una risposta che può dimostrarsi semplicistica: si tratta di un'operazione costosa per l'individuo che decida di praticarla ed è ben lungi dal prospettare un accesso dignitoso nella società più ampia. (48) Tuttavia essa costituisce un'alternativa che deve essere praticabile in quanto conferisce all'individuo facente parte di un gruppo di cui non condivide alcuni istituti o norme di "uscire" da esso per riproporsi al suo "esterno". (49) A tal proposito sosterremo in seguito che una misura concreta adottabile da parte dei Governi dei Paesi di immigrazione in cui si stanziano comunità minoritarie la cui componente femminile si trovi in una condizione di subalternità economica o sociale, consiste nel garantire misure di sostegno e strumenti di tutela ed emancipazione che contribuiscano all'autonomia femminile e mettano le donne nelle condizioni di poter scegliere una via alternativa, piuttosto che attraverso divieti o imposizioni.

Ancora più auspicabile dell'exit è tuttavia una soluzione che sappia contemperare le istanze dei due movimenti, partendo dal presupposto che il soggetto dotato di questa doppia anima, difficilmente scindibile, è uno: la donna migrante. Privare la donna della propria identità culturale o imporre modelli dall'alto non si dimostrerebbe adeguatamente rispettoso della bipolarità che la caratterizza: la strada alternativa da percorrere consiste nella reinterpretazione delle pratiche culturali dall'interno in modo da generare opportunità di liberazione "dal di dentro". (50) Luca Baccelli, argomentando contro la tesi di chi auspica un diritto di exit delle donne, sostiene la strada della critica interna, riportando il caso del movimento delle donne indigene della comunità Maya del Chiapas in Messico. Qui le rivendicazioni del movimento indigeno e femminista hanno assunto un significato nuovo con l'insurrezione zapatista, movimento composto in gran parte da donne. Si contestava l'incompatibilità dei movimenti sul presupposto che il riconoscimento dei diritti indigeni avrebbe significato la perpetuazione della condizione di asservimento delle donne (matrimoni forzati, poligamia, esclusione delle donne dai processi decisionali); le donne indigene hanno avviato una riflessione critica alla ricerca di un difficile equilibrio tra appartenenza al gruppo e identità personale, (51) partendo dall'assunto che il riconoscimento dei diritti indigeni fosse un presupposto necessario per l'emancipazione delle donne indigene. Le argomentazioni contro il riconoscimento dei diritti indigeni, accampando il pretesto di una difesa dei diritti delle donne, rischiano in realtà di negare alle donne lo spazio politico per affermare i propri diritti. (52)

Abbiamo già osservato come molte pratiche tradizionali siano state gradualmente superate e finalmente abbandonate dalle culture anche occidentali in quanto giudicate "barbare", oppressive, inutili o lesive. Se si intende affrontare con rispetto e attenzione alla diversità pratiche culturali che risultano agli occhi della cultura maggioritaria incomprensibili o inaccettabili, si deve tener presente che "lo strumento più efficace allo scopo è il concreto sostegno alle forze del mutamento interno ad una cultura, e non è lo strumento del proibizionismo legale, ammantato da retoriche quanto ambigue motivazioni legate ai diritti": (53) in tal senso si sostiene che solo attraverso percorsi interni alle singole culture si potrà affrontare con successo pratiche discriminatorie ed oppressive. (54)

Multiculturalismo e femminismo devono essere rispettosi delle rispettive priorità: i sostenitori del primo devono porre attenzione alle diseguaglianze di genere, quelli del secondo non devono essere indifferenti ai problemi relativi alla differenza culturale. Così come le misure multiculturali non devono mirare a "preservare la purezza immacolata dei diversi gruppi culturali ma dovrebbero metterli in grado di cambiare e di adattarsi all'interno di una comunità più ampia, pur continuando a preservare la loro integrità, l'orgoglio per la loro identità e la continuità col passato" (55), la critica femminista deve essere in grado di adattarsi alla realtà multiculturale, condividendo la propria battaglia volta al raggiungimento dell'eguaglianza sessuale nel rispetto di ciò che è altro.

Note

1. Nonostante la bocciatura da parte dei rispettivi Governi, tutte le proposte erano state ritenute legittime dai Comitati di Bioetica cui erano state sottoposte a verifica.

2. Si veda per una lettura integrale delle storie di queste donne: Catania L., Abdulcadir O., Ferite per sempre. Le mutilazioni genitali femminili e la proposta del rito simbolico alternativo, Roma, DeriveApprodi, 2005.

3. La "sunna rituale" è una pratica tradizionale che si è diffusa nella Somalia del nord (Somaliland) per sostituire l'infibulazione, proibita dal nuovo clero islamico che la considera un rituale tribale di cui non vi è traccia nel Corano.

4. Morrone, A., Vulpiani, P., Corpi e simboli. Immigrazione sessualità e mutilazioni genitali femminili in Europa, cit., p. 232.

5. Belvisi F., "Società multiculturale, diritti delle donne e sensibilità per la cultura" in AAVV, Diritti delle donne tra particolarismo e universalismo, Ragion Pratica n.28.2004, p. 522.

6. Galeotti E., "Genere e culture altre" in AAVV, Diritti delle donne tra particolarismo e universalismo, cit., p. 479.

7. Come sottolinea più volte L. Catania in Ferite per sempre. Le mutilazioni genitali femminili e la proposta del rito simbolico alternativo, in risposta alle provocatorie critiche rivolte alla proposta, non si può paragonare il rito simbolico a un'infibulazione dolce o soft, non comportando esso una lesione nemmeno lontanamente paragonabile all'escissione dei genitali esterni.

8. Catania L., Abdulcadir O., Ferite per sempre. Le mutilazioni genitali femminili e la proposta del rito simbolico alternativo, cit., p. 31.

9. Catania L., Abdulcadir O., Ferite per sempre. Le mutilazioni genitali femminili e la proposta del rito simbolico alternativo, cit., p. 81. Abdulcadir, proveniente da una famiglia di origine somala che praticava il rito tradizionale, ricorda l'atmosfera festosa paragonabile a quella descritta da Leopardi ne Il sabato del villaggio, che faceva da cornice alle sofferenze della bambine che subivano l'infibulazione.

10. Facchi A., Politiche del diritto, mutilazioni genitali femminili e teorie femministe: alcune osservazioni, cit., p. 21.

11. Miazzi L., Vanzan A., "Modificazioni genitali: tradizioni culturali, strategie di contrasto e nuove norme penali", cit., p. 34.

12. Belvisi F., "Società multiculturale, diritti delle donne e sensibilità per la cultura", cit., p. 520.

13. Catania L., Abdulcadir O., Ferite per sempre. Le mutilazioni genitali femminili e la proposta del rito simbolico alternativo, cit., p. 98.

14. Catania L., Abdulcadir O., Ferite per sempre. Le mutilazioni genitali femminili e la proposta del rito simbolico alternativo, cit., p. 104.

15. Galeotti E., "Genere e culture altre" in AAVV, Diritti delle donne tra particolarismo e universalismo, cit., p. 478.

16. Si veda la mozione n. 709 del 3.02.2004 del Consiglio Regionale della Toscana con cui si è vietata l'autorizzazione del rito simbolico alternativo proposto dal Centro di riferimento dell'Ospedale Careggi.

17. Facchi A., "Introduzione" in AAVV, Diritti delle donne tra particolarismo e universalismo, cit., p. 332.

18. Si veda il Comunicato stampa delle Associazioni di donne AIDOS e Nosotras del 19.01.2003.

19. Commissione Regionale di Bioetica, Prevenzione delle mutilazioni genitali femminili: liceità etica, deontologica e giuridica della partecipazione dei medici alla pratica di un rito alternativo, 9.03.2004.

20. Si legge in un documento firmato da alcuni rappresentanti della comunità africana a tradizione escissoria: "Siamo consapevoli che questo è un passo importantissimo nell'avviare l'abbandono di tali pratiche e nel fare in modo che le future generazioni non le ritengano più necessarie alla conservazione della nostra identità".

21. Facchi A., I diritti nell'Europa multiculturale. Pluralismo normativo e immigrazione, cit., p. 132.

22. Facchi A., I diritti nell'Europa multiculturale. Pluralismo normativo e immigrazione, cit., p. 132.

23. La Facchi preferisce parlare di bipolarismi e non di conflitti: non andrebbero quindi considerati in opposizione tra loro ma visti come estremi della pratica dei diritti entro cui è possibile trovare un punto di sintesi.

24. Facchi A., "Diritti", in E. Santoro (a cura di), Diritto come questione sociale, cit., p. 84.

25. Baccelli L., I diritti dei popoli. Universalismo e differenze culturali, Roma-Bari, Laterza, 2009, p. 72.

26. Pitch, T., I diritti fondamentali: differenze culturali, diseguaglianze sociali, differenza sessuale, Torino, Giappichelli, 2004, p. 117.

27. Si veda Kymlicka W., La cittadinanza multiculturale, Bologna, Il Mulino, 1999.

28. Kymlicka W., "Compiacimenti liberali" in Okin, S., Diritti delle donne e multiculturalismo, cit., p. 29.

29. Facchi A., "Diritti", in E. Santoro (a cura di), Diritto come questione sociale, cit., p. 76.

30. MacCormick giustifica questa tesi partendo dal caso dei diritti dei bambini.

31. Facchi A., I diritti nell'Europa multiculturale. Pluralismo normativo e immigrazione, cit., p. 140.

32. La prima edizione dell'ormai classico saggio di Okin apparve nel 1997 in Boston Review.

33. Okin, S., Diritti delle donne e multiculturalismo, 1999, tr. it Raffaello Cortina Editore 2007, p. 3.

34. Besussi A., "La libertà di andarsene. Autonomia delle donne e patriarcato" in AAVV, Diritti delle donne tra particolarismo e universalismo, p. 441.

35. Okin, S., Diritti delle donne e multiculturalismo, cit., p. XIV.

36. Facchi A., I diritti nell'Europa multiculturale. Pluralismo normativo e immigrazione, cit., p. 135.

37. Facchi A., I diritti nell'Europa multiculturale. Pluralismo normativo e immigrazione, cit., p. 140.

38. La questione del velo è stata lungamente dibattuta in Francia in seguito all'emanazione della normativa che vieta di indossare il velo nelle scuole pubbliche.

39. Parekh B., "Un variegato mondo morale", in Okin, S., Diritti delle donne e multiculturalismo, cit., p. 80.

40. Mancini S., Il potere dei simboli, i simboli del potere. Laicità e religione alla prova del pluralismo, Padova, CEDAM, 2008, p. 148.

41. Belvisi F., "Società multiculturale, diritti delle donne e sensibilità per la cultura", cit., p. 507.

42. Belvisi F., "Società multiculturale, diritti delle donne e sensibilità per la cultura", cit., p. 509.

43. Baccelli, "In a Plurality of Voices. Il genere dei diritti, fra universalismo e multiculturalismo" in AAVV, Diritti delle donne tra particolarismo e universalismo, cit., p. 492.

44. Parrekh B., Parekh B., "Un variegato mondo morale", in Okin, S., Diritti delle donne e multiculturalismo, cit., p. 78.

45. Gianformaggio L., Eguaglianza, donne e diritto, Bologna, Il Mulino, 2005, p. 125.

46. Di questo avviso W. Kymlicka che sostiene: "Il multiculturalismo e il femminismo sono alleati impegnati in battaglie parallele a favore di una concezione di giustizia più estesa".

47. Facchi A., "Introduzione" in AAVV, Diritti delle donne tra particolarismo e universalismo, cit., p. 329.

48. Galeotti E., "Genere e culture altre" in AAVV, Diritti delle donne tra particolarismo e universalismo, cit., p. 456.

49. L'esistenza di meccanismi che consentano la libera adesione al gruppo e ne permettano il distacco privilegerebbe i gruppi che li prevedono nell'ottica di un riconoscimento di diritti speciali nei confronti della loro comunità.

50. Galeotti E., "Genere e culture altre" in AAVV, Diritti delle donne tra particolarismo e universalismo, cit., p. 465.

51. Baccelli L., I diritti dei popoli. Universalismo e differenze culturali, cit., p. 146.

52. Baccelli L., "In a Plurality of Voices. Il genere dei diritti, fra universalismo e multiculturalismo" in AAVV, Diritti delle donne tra particolarismo e universalismo, cit., p. 502.

53. Belvisi F., "Società multiculturale, diritti delle donne e sensibilità per la cultura" in AAVV, Diritti delle donne tra particolarismo e universalismo, cit., p. 519.

54. Facchi A., "Diritti", in E. Santoro (a cura di), Diritto come questione sociale, cit., p. 87.

55. Raz J., "Quanto perfetti si dovrebbe essere? E di chi è la cultura" in Okin, S., Diritti delle donne e multiculturalismo, cit., p. 109.