ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo I
Il diritto nelle società multiculturali. Il trattamento giuridico delle mutilazioni genitali femminili

Eleonora Ghizzi Gola, 2012

1. Diritto e società multiculturali

1.1 Conseguenze economiche, giuridiche e sociali del fenomeno migratorio

Il diritto penale è divenuto lo strumento privilegiato dal legislatore nazionale nel disperato tentativo di governare una realtà eterogenea e complessa; lo Stato-nazione, lungi dal prendere atto di appartenere ad un'epoca ormai passata, non è disposto a cedere lo scettro che per secoli ha costituito la nervatura del suo potere. Il diritto penale e le sue conseguenze sanzionatorie hanno permesso di modellare la società nazionale, regolamentando le condotte della popolazione nel territorio in cui esso veniva applicato; un privilegio che nessuno Stato è disposto a cedere. Se il modello dello Stato-nazione poteva efficacemente funzionare nel momento in cui i tre elementi costituitivi dello Stato - popolazione, territorio e sovranità - erano strenuamente difesi dai solidi confini nazionali, l'inarrestabile corso degli eventi ha stravolto l'ordine costituito. Il fenomeno che ha coinvolto il mondo intero, con ripercussioni sull'ordine economico, politico e sociale internazionale e su quello interno dei singoli Stati, è comunemente definito globalizzazione.

Dal punto di vista economico, l'apertura dei mercati, l'indebolimento delle frontiere, la facilità degli scambi, cui deve aggiungersi il progresso tecnologico, ha invertito il rapporto di sudditanza che intercorreva tra Stato nazionale e mercato: se prima era lo Stato a controllare il mercato, regolando l'economia per garantire la ricchezza e il benessere dei cittadini, ora è il Mercato a dettar legge e a definire i limiti di sovranità degli Stati. L'altra grandiosa conseguenza è l'intensificarsi dei flussi migratori: come è vero che lo ius migrandi ha origini antichissime, la facilità e la rapidità degli spostamenti è una novità senza precedenti. Il fenomeno migratorio, quindi, si intensifica a partire dalla seconda metà del 1900 in particolare verso l'Europa, anche verso quegli Stati che fino ad allora erano stati Paesi di emigrazione; (1) l'impatto del fenomeno deve distinguersi sul piano economico e su quello giuridico e sociale.

I soggetti migranti che si trasferiscono sul territorio di uno Stato per svolgere un lavoro (2) sono spesso considerati un bene prezioso dal punto di vista economico per diverse ragioni: si tratta spesso di giovani in età lavorativa, in forza (spesso i disumani viaggi che essi devono affrontare per raggiungere il Paese di destinazione costituiscono una scriminante che non ammette deboli) e soprattutto disposti a ricoprire quegli impieghi cui gli autoctoni rifiutano di dedicarsi. Tuttavia, a questa inevitabile considerazione positiva, spesso non corrisponde un riconoscimento dell'effettivo valore della risorsa che essi rappresentano: le politiche migratorie nazionali ostacolano fortemente l'entrata di migranti per motivi di lavoro, concedendo con difficoltà i permessi per risiedere sul territorio nazionale e accordando un basso livello di protezione ai lavoratori stranieri. (3)

Dal punto di vista sociale l'impatto è forse ancora più incisivo, o quantomeno più percepibile; sicuramente anche più rilevante ai nostri fini, essendo lo studio del diritto indissolubilmente legato con la realtà sociale sottostante. La società che si va consolidando nei Paesi Europei di nuova immigrazione è una società multiculturale. I migranti non sono macchine da lavoro ma persone intrise di cultura, tradizioni, religione e lingue: è questo l'unico vero bagaglio che accompagna il loro viaggio. Vedremo come, nonostante lo Stato nazionale abbia allentato le redini con cui dominava il mercato, non sia disposto a fare altrettanto nei confronti della sua popolazione.

Sul piano giuridico si viene a creare quel fenomeno noto come pluralismo giuridico "dal basso" (4): gli ordinamenti stranieri vanno a sovrapporsi all'ordinamento interno. Il soggetto migrante, o il soggetto comunque portatore di una cultura altra, vivrà una situazione di connivenza di più ordinamenti giuridici sullo stesso territorio che può risolversi in un conflitto nel momento in cui l'ordinamento ritenuto valido confligge con quello effettivamente vigente sul territorio. Sebbene noi concentreremo l'attenzione sul più delicato e meno visibile tema delle Mutilazioni Genitali Femminili, assai acceso è il dibattito che è sorto nei Paesi di nuova immigrazione concernente altre situazioni di difficile soluzione, quali la poligamia e il velo islamico. Come reagisce l'ordinamento nazionale di fronte a questo "attacco" sul proprio territorio? Con l'arma più pericolosa: il diritto penale.

1.2 Il diritto penale come risposta giuridica alla diversità culturale. Il reato culturalmente motivato

La leggerezza con cui il legislatore degli Stati nazionali fa deliberatamente uso del delicato strumento del diritto penale è allarmante. Il fenomeno migratorio è il principale bersaglio delle politiche del diritto che ambiscono a controllare e uniformare la società secondo il dettame della maggioranza. L'attacco viene sferrato in due direzioni: in primo luogo criminalizzando non tanto una data condotta ma lo status stesso di soggetto migrante. Molti paesi sanzionano, talvolta solo in via amministrativa, ma sempre più anche penale, l'ingresso e il soggiorno irregolare dello straniero nel proprio territorio. (5) In tal modo si giustifica la diversità di trattamento corrisposta ai soggetti "colpevoli", raccogliendo un ampio consenso popolare, mal celando un preoccupante razzismo istituzionalizzato. Sull'altro versante, il diritto penale viene utilizzato per reprimere quei comportamenti, vietati sul territorio, posti in essere da un soggetto in conformità al proprio sistema giuridico di riferimento, di natura religiosa o culturale.

Qui la questione è molto più complessa: il pluralismo giuridico spesso avvicina tra loro discipline che peccano in comunicazione e interrelazione, ovvero il diritto, l'antropologia, la medicina e l'etica. È immediato rilevare come una risposta semplice e limitata, quale può essere il ricorso al diritto penale, se non accompagnato da altre misure, non potrà mai dirsi adeguata a rispondere a tale complessità. Fabio Basile lucidamente delinea la situazione di conflitto che si verifica quando una norma giuridica vigente nell'ordinamento in uno Stato che ha scelto di incriminare un determinato comportamento entra in collisione con una norma culturale, radicata nella cultura del gruppo (generalmente minoritario) di appartenenza che facoltizza o impone quel comportamento. (6) Con l'espressione reato culturalmente motivato si fa riferimento ad "un comportamento realizzato da un soggetto appartenente ad un gruppo culturale di minoranza che è considerato reato dall'ordinamento giuridico del gruppo culturale di maggioranza; questo stesso comportamento, tuttavia, all'interno del gruppo culturale del soggetto agente è condonato, o accettato come comportamento normale, o approvato, o addirittura incoraggiato o imposto". (7) Questa recente tipologia di reati crea non poche tensioni nella tradizionale dottrina penalistica, in particolare interessando alcuni elementi del reato, primo fra tutti quello soggettivo, cui in seguito rivolgeremo la nostra attenzione.

Assai rilevanti le conseguenze sul piano giurisprudenziale: in sede processuale si attua il passaggio dalla previsione astratta alla situazione concreta, dalla generalità all'unicità del caso in questione, che nei reati culturalmente orientati si mostra decisiva. Se nei Paesi europei di recente immigrazione il corpo dei giuristi si mostra tuttora impreparato nell'affrontare un cambiamento di tale portata, la dottrina statunitense ha avviato un'ampia e approfondita riflessione sui reati commessi dalle minoranze che formano parte della variegata popolazione americana. In un'ottica comparatistica, un rapido sguardo all'esperienza degli Stati Uniti può servire da paragone per poi analizzare quella europea. Si parla di cultural defense per indicare tutti i possibili momenti in cui, in un processo penale, emergono dei fattori culturali che possono impiegarsi a favore di un imputato appartenente ad una cultura di minoranza: si tratta di una strategia difensiva rivolta ad ottenere l'assoluzione o un trattamento sanzionatorio più mite. (8) In pratica si chiede al giudice di comprendere la motivazione culturale dell'agire dell'imputato, socializzato in una cultura minoritaria, qualora realizzi un fatto in adesione a tale cultura.

Tra i casi più noti, avvenuti alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, ricordiamo il caso Kimura, in cui una donna di origini giapponesi si gettò con i due figli nell'oceano, a Santa Monica (California) in seguito al tradimento del marito. Accusata di omicidio aggravato per la morte dei figli, la condanna venne ridotta ad un anno di detenzione e cinque di probation (libertà vigilata): le venne riconosciuta una diminuzione della capacità di intendere e di volere a causa del forte imprinting culturale e del suo isolamento nella società americana. Il caso Chen vede un marito cinese che, da poco negli Stati Uniti, uccide la moglie a martellate dopo aver scoperto di essere stato tradito: venne condannato a soli cinque anni di reclusione e cinque di probation, essendogli riconosciuta l'insanity, similmente al caso Kimura.

La copiosa giurisprudenza statunitense in materia di cultural defense si è dimostrata attenta e vivace. Gli argomenti a favore della cutural difense, nell'altrettanto intenso dibattito che essa ha dato vita, sono il rispetto della diversità culturale e il right of culture, ovvero il diritto a vivere e comportarsi in conformità alla propria cultura e la capacità di ottenere una giustizia individualizzata, capace di ritagliare la risposta punitiva sulla colpevolezza individuale del reo. (9) Gli oppositori della cultural defense denunciano la violazione del principio d'uguaglianza a vantaggio degli autori e a discapito delle vittime dei reati culturalmente motivati, il rafforzamento e la diffusione di stereotipi culturali negativi sui gruppi di minoranza (con la conseguente difficoltà di integrazione degli stessi), un pregiudizio per la funzione di prevenzione generale del diritto penale e il rischio di pregiudizi per le donne appartenenti ai gruppi culturali di minoranza. Su quest'ultimo punto ci concentreremo nell'analisi del dibattito teorico tra femminismo e multiculturalismo.

1.3 Modelli europei a confronto

Invertitosi il flusso migratorio che ha visto numerosi cittadini italiani, spagnoli, francesi e inglesi cercare fortuna in terre lontane, l'Europa si è trovata ad affrontare da poco la sfida di saper gestire una realtà tanto complessa. È bene differenziare: Inghilterra e Francia vantano qualche anno di vantaggio, seguite dalle due nazioni che si affacciano sul Mediterraneo. L'approccio seguito da Francia e Inghilterra nel gestire il fenomeno migratorio nel suo complesso è stato, e continua ad essere, di segno opposto: il primo è noto come modello "assimilazionista-integrazionista", il secondo come "multiculturalista all'inglese". Il modello italiano e quello spagnolo possono considerarsi un ibrido tra questi.

La Francia si ispira ad un concetto di eguaglianza in senso formale che mira ad una parità di trattamento a prescindere dalle differenze; differenze di cui l'Inghilterra prende atto, predisponendo trattamenti diversificati al fine di gestirle nel segno di una concezione sostanziale dell'uguaglianza. La neutralità francese rispetto alle differenze culturali è espressiva di una politica di inclusione che mostra un'apparente omogeneità culturale: nel privato l'individuo è libero di comportarsi in osservanza della propria tradizione culturale o religiosa, ma tali pratiche non devono emergere nella sfera pubblica, non possono essere rilevanti giuridicamente. (10) L'Inghilterra, invece, mostra un interesse nel riconoscimento delle specificità etniche e culturali: attribuisce un ruolo sociale e politico alle comunità e l'appartenenza a un gruppo minoritario può costituire il presupposto di un trattamento giuridico differenziato, sul piano giudiziario e legislativo. (11)

Le scelte legislative dei due Paesi, nelle materie connesse al fenomeno migratorio, sono profondamente diverse: la Francia non emanerà mai una norma ad hoc per criminalizzare una determinata condotta, culturalmente orientata, che confligga con il proprio l'ordinamento: il solo fatto di considerare tale diversità comporterebbe un riconoscimento della stessa. La condotta rea sarà sussumibile in una delle fattispecie penali già esistenti nel codice penale francese, valida per chiunque risieda nel territorio. L'Inghilterra, contrariamente, suole adottare norme giuridiche che prevedono deroghe ed esenzioni proprio in virtù dell'appartenenza ad un gruppo culturale di minoranza. Per citare un esempio pratico, si pensi al divieto vigente in Francia di indossare in pubblico simboli del proprio credo religioso nel rispetto del principio di laicità, cui si contrappongono i numerosi Acts del Parlamento inglese che permettono di indossare i tradizionali turbanti nei luoghi di lavoro, di studio e persino in luogo del casco in moto. (12)

Se si può dire che la Francia tenga "poco impegnato" il proprio legislatore, lo stesso non può dirsi per il giudice, investito di un compito estremamente oneroso. L'integrazione della condotta nella fattispecie delittuosa tipizzata non è che un elemento tra i numerosi che costituiscono il reato. In primis, l'ostacolo più grande è costituito dalla sussistenza o meno del dolo, l'elemento soggettivo del reato: spesso il giudice si trovato a dover abbassare notevolmente la pena rispetto alla cornice edittale prevista per il reato corrispondente, in quanto veniva a mancare la volontà di ledere il bene giuridico protetto dalla norma. Emerge anche l'errore sul fatto laddove la diversità culturale dell'imputato lo abbia condotto ad un'errata percezione della realtà. Ancora, ci si domanda se la motivazione culturale che ha spinto una persona a tenere una data condotta possa essere invocata quale causa di giustificazione, ovvero se l'adesione a una norma culturale possa escludere l'antigiuridicità del reato; (13) qui la scriminante è la natura della norma seguita: se "meramente" culturale o religiosa. Non esistendo un "diritto alla cultura" tutelato allo stesso rango di quello "alla religione", il trattamento, come vedremo confrontando il caso delle mutilazioni genitali femminili alla circoncisione maschile, sarà differenziato. In altre sentenze l'ignoranza inevitabile della norma penale violata da parte dell'imputato da poco residente nel Paese in cui ha commesso il reato, ha portato ad un adeguamento della sanzione. (14) Un ultimo ostacolo è individuabile nel giudizio di imputabilità del reo: la cultural defense statunitense ha vinto parecchie battaglie dimostrando come la diversità culturale dell'imputato avesse influito sulla sua capacità di intendere e di volere. (15)

Italia e Spagna non possono ascriversi in toto né al modello assimilazionista francese né a quello multicuturalista inglese. Come afferma la stessa Cassazione Penale italiana (16), l'Italia si colloca in una posizione intermedia, talvolta valorizzando e accordando maggior tutela allo straniero in ragione della diversità culturale che lo caratterizza e lo relega in una posizione minoritaria, talvolta reprimendo una condotta culturalmente motivata, arrivando a configurare reati ad hoc in quanto contrastanti con l'ordinamento giuridico nazionale. Allo stesso modo, la Spagna non persegue una politica lineare nei confronti del fenomeno migratorio, ma dipendente dalla linea politica governativa, alternando disposizioni di stampo pluralista a interventi legislativi repressivi e assimilazionisti. Di questo stampo la normativa adottata dai due Paesi in merito alle mutilazioni genitali femminili.

2. Il trattamento giuridico delle MGF

2.1 Il rito: cenni storici, antropologici e medici

Mutilazioni Genitali Femminili è il nome sotto cui si raggruppano tutte quelle pratiche tradizionali che concernono la modificazione degli organi genitali femminili. Le MGF hanno un'origine remota e incerta: vi sono teorie che sostengono che la pratica cominciò ad essere praticata nel Corno d'Africa, altre che la riconducono all'Egitto o alla penisola araba, da dove si sarebbe poi estesa in altri luoghi; resta indubbio che l'Africa costituisce attualmente lo zoccolo duro delle mutilazioni genitali femminili e in particolare dell'infibulazione. La maggior parte delle bambine e delle donne sottoposte a MGF vivono in 28 Paesi africani, soprattutto in Somalia, Sudan, Etiopia, Eritrea, Egitto, Kenia e in alcune zone del Mali e della Nigeria; la pratica è anche diffusa in Indonesia, Malaysia e in alcune minoranze etniche dello Yemen, Oman, Iran e Iraq. Nonostante sia comune l'erronea credenza che le MGF vengano praticate principalmente nel contesto religioso islamico, non è stato l'Islam a introdurre questa pratica, ma si tratta di usanze indigene profondamente radicate nelle comunità locali e preesistenti alla diffusione dell'Islam nell'Africa sub-sahariana (17); ne sia riprova il fatto che essa sia indifferentemente praticata da popolazioni animiste, cristiane e musulmane.

Il rito assume un significato diverso e si svolge differentemente a seconda della tradizione di riferimento: in certe comunità esso costituisce un rito di passaggio, un'iniziazione all'età adulta e si pratica alla pubertà; in altre viene praticato in età infantile per simbolizzare l'appartenenza ad un'etnia; in altre ancora, laddove viene parimenti praticato il rito circoncisiorio ai bambini, per definire la specificità sessuale del neonato (la credenza vuole che ogni essere venga al mondo privo di una sessualità definita e il rito permetta di chiarificarla); in altre, per ragioni di tipo estetico (i genitali di una donna non infibulata sono considerati brutti), igienico (le donne non escisse non possono maneggiare acqua e cibo) o riproduttivo (si crede che la donna non escissa non possa partorire); (18) ancora, per proteggere la verginità delle giovani e assicurare la fedeltà coniugale attraverso la riduzione del desiderio sessuale.

L'intervento materiale sul corpo della bambina viene realizzato da "mammane", le donne anziane della famiglia o dei clan del villaggio, spesso senza anestesia e con strumenti non chirurgici (coltelli o lamette). Al rito suole accompagnarsi una festa, con danze e grandi pranzi, che segna un momento importante per la bambina, che riceve dei doni, e la sua famiglia. La donna che non venga sottoposta alla pratica, in queste culture in cui è ritenuto doveroso, non sarà accettata dalla comunità, verrà considerata "impura", difficilmente potrà sposarsi, condizione spesso necessaria per la propria sopravvivenza, e sarà motivo di vergogna per la sua famiglia. Gli antropologi parlano delle MGF come un'istituzione attiva nel determinare le relazioni basiche e gli scambi entro l'organizzazione sociale di queste comunità. (19) Spesso gli stessi genitori sono a conoscenza della gravità delle possibili conseguenze sul piano della salute fisica della figlia, ma non vedono alternative per garantirle un futuro: a fronte dell'esclusione sociale della donna non escissa, i pericoli sanitari della pratica e delle sue conseguenze per la salute e la fertilità della donna, per non citare la componente psicologica, passano in secondo piano. Ciò spiega perché molte donne che personalmente ritengono questa pratica riprovevole accettino poi di farla praticare sulle proprie figlie (20); è rilevante che, laddove si sia deciso di non sottoporre la figlia alla pratica, determinante sia stata l'avversione del padre nei confronti dell'intervento.

Le conseguenze mediche, immediate o a lungo termine, possono essere gravi a seconda del tipo di mutilazione, dell'estensione dell'incisione, della pulizia degli strumenti, dell'ambiente e delle condizioni fisiche della bambina o della donna. Nell'immediato l'intervento può causare: sentimento di paura, dolore, emorragia, infezione, difficoltà di guarigione, fino al decesso. (21) Nel tempo può verificarsi: difficoltà del passaggio delle urine, infezioni, infertilità, ascessi e cisti. I rapporti sessuali possono essere estremamente dolorosi e diffusi i problemi durante la gravidanza e il parto. Da un punto di vista psicosessuale, mentale e sociale diventano influenti, oltre alle modalità, il contesto in cui avviene la sottoposizione al rito: l'esperienza della mutilazione genitale porta frequentemente a disfunzioni sessuali di diverso grado e problemi psicosomatici e mentali dovuti allo shock subito, soprattutto se in età infantile. Talvolta, quando la pratica non è avvenuta in maniera traumatica nel Paese d'origine (ad esempio per la lieve entità della lesione o la medicalizzazione dell'intervento), il trauma può originarsi in un momento successivo in caso di spostamento in un Paese occidentale che, "con i continui messaggi contro le pratiche escissorie che, connotandole e stigmatizzandole come mutilate" (22), può indurre a disfunzioni di tipo psicosessuale, mentale e sociale.

2.2 Il ruolo delle fonti internazionali

Tra i molteplici fenomeni ascrivibili al paradigma del pluralismo giuridico, le mutilazioni genitali femminili sono uno dei più spinosi. Per diversi motivi: innanzitutto attengono non solo alla sfera privata delle persone, ma a quella più intima e nascosta; trattare di tali questioni è un tabù nel dibattito pubblico. In secondo luogo si tratta di una pratica lesiva dell'integrità del corpo delle donne che la subiscono, quindi offensiva di un bene giuridico doppiamente tutelato: l'integrità fisica come tale e le condizione della donna, come soggetto da garantire nel segno dell'eguaglianza sessuale.

La lotta per l'eliminazione di questa pratica dalle secolari origini inizia sul piano internazionale su impulso delle organizzazioni che si battono per l'affermazione dei diritti umani. Il primo intervento normativo delle Nazioni Unite sulle MGF risale al 1958, anno in cui il Consiglio Economico e Sociale dell'ONU invitò l'Organizzazione Mondiale della Sanità a "intraprendere uno studio sulla persistenza dei costumi tradizionali che sottopongono le giovani donne a operazioni rituali [...] per porre fine a tali pratiche". (23) In seguito, la Prima Conferenza Mondiale sulla condizione della donna del 1975, organizzata dall'ONU a Città del Messico, ebbe un ruolo fondamentale per dare voce alle donne e alle loro condizioni di vita nel mondo, concretizzandosi nell'approvazione della Convenzione internazionale contro ogni forma di discriminazione verso le donne (CEDAW) del 1979. Di grande importanza nella lotta contro le MGF la Terza Conferenza Mondiale delle Donne tenutasi a Nairobi nel 1985: qui si riconobbe il grave danno arrecato dalle pratiche tradizionali alla salute delle donne (24) e si diede vita a un piano strategico per potenziare le attività del Comitato interafricano per il superamento delle pratiche tradizionali pregiudizievoli per la salute delle donne e dei bambini. Un massiccio piano d'intervento viene elaborato al Cairo nel 2003, quando, nel quadro della Campagna Stop FGM prende forma la Dichiarazione del Cairo per l'eliminazione delle MGF: essa impegna 28 Paesi africani e arabi, con la collaborazione delle Ong e delle organizzazioni internazionali, ad integrare e coordinare le rispettive legislazioni relative alle politiche sociali e sanitarie e istituire programmi di aiuto e cooperazione tra gli Stati firmatari per la lotta alle MGF. (25) Nel 2005 viene redatto il Protocollo della Corte africana dei diritti dell'uomo e dei popoli sui diritti delle donne in Africa (più noto come Protocollo di Maputo) che all'art. 5 afferma "Gli Stati proibiscono e condannano ogni forma di pratiche pregiudizievoli che si ripercuotono negativamente sui diritti umani delle donne".

Nel 2007 l'Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) ha classificato i diversi tipi di lesioni riconducibili alle "mutilazione genitale femminile", definite "tutte le pratiche concernenti la rimozione totale o parziale dei genitali femminili esterni o altri danni agli organi genitali femminili per ragioni non terapeutiche". (26) L'OMS le ha ripartite in tre tipologie (più una quarta residuale), a loro volta suddivise al loro interno, a seconda della gravità degli effetti: dalle più invasive alle pratiche meno dannose.

Tabella 1. Classificazione delle MGF (OMS 2007)

  • Tipo I: Asportazione parziale o totale del clitoride e/o prepuzio (clitoridectomia)

    Tipo Ia: rimozione del glande clitorideo o del solo prepuzio, paragonabile alla circoncisione maschile
    Tipo Ib: rimozione del clitoride e prepuzio

  • Tipo II: Asportazione parziale o totale del clitoride e delle piccole labbra, con o senza asportazione delle grandi labbra (escissione)

    Tipo IIa: rimozione delle piccole labbra
    Tipo IIb: rimozione delle piccole labbra e rimozione parziale o totale del clitoride
    Tipo IIc: rimozione parziale o totale del clitoride, delle piccole labbra e delle grandi labbra

  • Tipo III: Restringimento dell'orifizio vaginale attraverso una chiusura ermetica coprente creata tagliando e avvicinando le piccole e/o grandi labbra, con o senza escissione del clitoride (infibulazione)

    Tipo IIIa: rimozione, apposizione e adesione delle sole piccole labbra
    Tipo IIIb: rimozione, apposizione e adesione delle grandi labbra

  • Tipo IV: Non classificato

    Rientrano in questa categoria tutte le altre pratiche dannose per i genitali femminili condotte per scopi non terapeutici (es. Puntura/pricking, piercing, incisione, raschiatura, cauterizzazione).

L'Unione Europea si è interessata al fenomeno delle MGF a partire da quando i flussi migratori che hanno interessato i suoi Stati membri lo hanno portato alla luce. Con la Risoluzione adottata dal Parlamento Europeo il 24 marzo 2009 "Lotta contro le mutilazioni sessuali femminili praticate nell'Unione Europea" (27), l'Unione ha condannato con fermezza le MGF "in quanto violazione dei diritti fondamentali dell'uomo e feroce attentato all'integrità psicofisica di donne e bambine". Chiede agli Stati membri di "predisporre meccanismi giuridici, amministrativi, preventivi, educativi e sociali" per tutelare efficacemente le vittime della pratica; che si sviluppino campagne di sensibilizzazione nazionali e internazionali; che gli Stati membri esaminino caso per caso ogni domanda d'asilo presentata dai genitori o dalle donne e bambine che sono esposte alla minaccia di subire una mutilazione nel Paese d'origine; esorta a "respingere con convinzione la pratica della puntura alternativa ed ogni tipo di medicalizzazione". Posizione ribadita con un'altra Risoluzione del Parlamento Europeo del 14 giugno 2012, "sull'abolizione delle mutilazioni genitali femminili". L'Unione Europea promuove il programma DAPHNE - Developing National Plans of Action to Eliminate FGM in UE, con lo scopo di elaborare, da parte di ciascuno Stato membro, un piano di azione nazionale per l'eliminazione delle MGF, coinvolgendo tutti gli attori coinvolti nel fenomeno a livello nazionale.

La posizione dell'Unione Europea è quindi di severa condanna contro ogni tipo di rito, anche simbolico: si invitano, in definitiva, gli Stati membri a "considerare come reato qualsiasi forma di MGF, indipendentemente dal fatto che l'interessata abbia dato o meno il suo consenso [...], perseguire, processare e punire qualsiasi residente che abbia commesso il reato di MGF, anche qualora tale reato sia stato commesso al di fuori delle loro frontiere (extraterritorialità del reato) e attuare una strategia preventiva di azione sociale per proteggere le minorenni e assistere le vittime che le hanno subite, offrendo sostegno psicologico e sanitario". Secondo l'Unione è quindi necessario criminalizzare senza mezze misure la condotta, a nulla rilevando la motivazione culturale sottesa o il consenso dell'avente diritto, condannando ogni forma di proposta transitoria alternativa, pur volta al comune obiettivo dello sradicamento della pratica.

2.3 Le normative nazionali

2.3.1 Gli Stati africani

Prima di volgere la nostra attenzione alle soluzioni legislative adottate dagli Stati europei, è d'obbligo accennare alle misure predisposte dagli Stati africani che sono la culla di questa discussa pratica. Sulla spinta della Comunità internazionale e dei movimenti delle donne, molti Paesi del continente africano si sono adoperati per l'adozione di una legislazione che contrastasse questa pratica lesiva dei diritti umani fondamentali. Spesso è stato chiamato in causa il diritto penale, venendo introdotte nei vari ordinamenti norme generali contro le MGF e la violenza contro bambini e donne in genere; soluzione che, dietro la portata formale, nasconde una sostanziale ineffettività: la debolezza degli ordinamenti nel quadro africano ha rivelato una assai limitata forza coercitiva e precettiva; inoltre "la contemporanea operatività di sistemi giuridici di origine religiosa o consuetudinaria e la pluralità delle giurisdizioni contribuiscono a rendere incerta e problematica l'applicazione della norma giuridica statale". (28)

Diritto, società e cultura rappresentano un continuum; il costante dialogo e l'influenza reciproca tra di essi si rivela inevitabile. Il linguaggio dei diritti ha svolto nei secoli la funzione di traduttore ex parte populi delle rivendicazioni sociali; la formazione di un diritto può essere vista come un processo che inizia dal basso, da esigenze diffuse che sono sentite giuste, per passare dalla forma di un diritto morale a quella di un diritto positivo, garantito da norme giuridiche e interventi pubblici (29): perché tali diritti siano effettivi sarà infatti necessario che le norme che li dispongono siano giustiziabili. Al contrario, un'affermazione di diritti dall'alto non rispecchia la cultura dei diritti di un determinato Paese: certi diritti sono considerati estranei alla popolazione stessa e entrando talvolta in conflitto con l'ordinamento giuridico, religioso o culturale vigente, perdono la loro effettività.

Dei passi in avanti sono tuttavia stati compiuti in alcuni Paesi in cui si è affrontato il tema in maniera più sistematica, ovvero non limitandosi a vietare la pratica, ma nell'ottica di un suo superamento condiviso dalla società (ad esempio attraverso un'opera di educazione e trasformazione del costume e promuovendo la valorizzazione della donna nell'economia e nella vita sociale del Paese), e laddove, a causa di fenomeni globali quali le guerre, l'urbanizzazione e la globalizzazione, sia mutato il tessuto sociale portando a una perdita di significato di alcune tradizioni prima irrinunciabili; la richiesta di intervenire contro la pratica è anche fortemente sostenuta da nascenti organizzazioni di donne africane.

2.3.2 I Paesi Europei

Passando ora all'analisi legislativa dei Paesi Europei, che si sono trovati nelle condizioni di disciplinare un fenomeno estraneo alla propria cultura, la via della criminalizzazione ha facilmente incontrato il consenso della maggioranza. Alcuni legislatori occidentali hanno peccato tuttavia di mancanza di cautela e di leggerezza nel decidere di reprimere una pratica, sicuramente in contrasto con i diritti fondamentali delle donne e delle bambine, senza tenere in debita considerazione le profonde e radicate motivazioni e la tradizione secolare di una minoranza culturale. Quando si tratta di valutare le forme di intervento pubblico e giuridico che si rivolgono a gruppi che costituiscono una minoranza, principalmente composta da immigrati, le considerazioni da fare sono numerose e le scelte notoriamente difficili. (30) Non è altro che un'illusione credere che per estirpare una pratica dannosa basti sanzionarla penalmente: la realtà dei fatti dimostra il contrario. Coloro che sono intimamente convinti che essa sia dovuta, in osservanza ad un altro sistema giuridico cui fanno riferimento e che ritengono superiore, non cederanno di fronte alla minaccia della sanzione, ma continueranno a praticarla all'ombra della liceità, clandestinamente.

La Francia, in continuità con il modello "assimilazionista-integrazionista" che la contraddistingue, ha deciso si non creare un reato ad hoc che punisse le MGF. La pratica è stata perseguita attraverso reati già esistenti nel codice penale: lesioni (lievi, gravi o gravissime) fino all'omicidio colposo. Alla scelta di non tipizzare un reato culturalmente motivato non corrisponde la volontà di non perseguire la pratica: la Francia è il Paese europeo in cui si sono svolti il maggior numero di processi penali a carico di genitori e autori materiali di MGF. Le sentenze di condanna emanate dalle Corti francesi si sono però distinte per la loro lievità. Se la condotta può infatti essere con certezza riconducibile ad alcune fattispecie di reato, le complicazioni nascono in sede giudiziale: non essendo tipizzato un dolo specifico per la condotta di MGF, il giudice incontra un ostacolo insuperabile nel momento della valutazione dell'elemento soggettivo del reato. Viene a mancare, infatti, la volontà e la rappresentazione del fatto tipico: il genitore imputato di MGF non agisce con lo scopo deliberato di ledere, ma, anzi, il suo fine è diametralmente opposto: tutelare la "vittima", garantendole l'inserimento sociale nella vita della comunità. Altra questione rilevante è l'ignoranza della legge: molte delle persone processate dimostravano una scarsa, se non inesistente, conoscenza delle norme e talvolta anche della lingua francese. (31) Si può dire, quindi, che la Francia abbia completamente scaricato la responsabilità circa la valutazione della condotta di MGF in capo all'organo giudiziario, che ha potuto (o dovuto) adeguare la sanzione al caso concreto: sostanzialmente, quindi, si è arrivati a un implicito riconoscimento delle motivazioni culturali della pratica, venendosi a delineare un percorso processuale disseminato di ostacoli rappresentati dalle cause di giustificazione e di non punibilità.

Diversa la scelta adottata da Regno Unito, Italia e Spagna. È tuttavia necessario distinguere in modo netto il primo Paese dagli altri due: se tutti infatti hanno optato per un riconoscimento differenziato della condotta, tipizzando un reato specifico per le MGF, assai diverse sono le ratio delle disposizioni. Il Regno Unito, non scostandosi dalla tradizionale linea multiculturalista che da sempre lo caratterizza, ha riconosciuto la particolarità della condotta rispetto alla genericità degli atti lesivi, approvando il Female Genital Mutilation Act 2003. La disposizione normativa condanna la pratica in questione, ma non dimentica di dotarla di quell'immancabile grado di flessibilità che permetterà al giudice di adeguare la sua decisione al singolo caso in esame; i savings previsti sono di ampia portata: è lecita l'operazione, se eseguita da un operatore sanitario autorizzato (anche questo punto è rilevante), quando sia necessario per la sua salute fisica e mentale. Per quanto si affermi successivamente che non saranno giustificati gli interventi ritenuti dovuti in virtù dell'osservanza di un'usanza o un rituale, ai fini della valutazione della salute mentale della ragazza, si può ipotizzare che il giudice di common law si adopererà per un'adeguata opera di bilanciamento nel valutare l'ammissibilità di una operazione di chirurgia estetica genitale (lecita) e un intervento di MGF, se avvenuto a parità di condizioni (da un operatore sanitario e con il consenso della donna). Si tratta di presupposizioni dal momento che, e qui emerge il dato ancor più degno di nota, nessun processo si è svolto da quando è entrata in vigore questa norma, quasi dieci anni fa.

Dall'altra parte si collocano Italia e Spagna che hanno approvato due leggi che meritano sicuramente l'appellativo di leggi manifesto: in ambedue i casi sembra prevalere un uso del potenziale simbolico del penale, piuttosto che un uso della sua funzione deterrente. (32) Le disposizioni normative introdotte hanno inasprito le pene previste per i "semplici" reati di lesioni: l'ideazione di un reato ad hoc ha portato al riconoscimento della differenza culturale ma in senso negativo, come fosse una circostanza aggravante già valutata nella fattispecie delittuosa. Qui il fatto di realizzare la condotta obbedendo a una propria tradizione culturale, lungi da costituire una scriminante (come accade laddove si parla di cultural defense) costituisce la ragione dell'incriminazione. (33) La tipizzazione del reato e dei suoi elementi ha permesso al legislatore italiano e spagnolo di scavalcare il giudizio in sede processuale circa la sussistenza del dolo: il dolo si configura per il solo fatto di aver posto in essere la condotta. Sarebbe infatti contrario alla ratio della norma, diretta a colpire una condotta culturalmente motivata, escludere la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato in forza di una necessità di adeguarsi alle proprie tradizioni culturali.

Ciò nonostante, come dimostrano le sentenze emesse dalle Corti italiane e spagnole in seguito all'entrata in vigore della legge che ha introdotto il reato di mutilazioni genitali femminili (si ha notizia dello svolgimento di un solo processo in entrambi i Paesi), altre circostanze del reato valutate dal giudice in sede processuale hanno permesso di adeguare la pena al concreto disvalore del fatto e la pena inflitta è stata ben al di sotto delle cornici edittali prefigurate dal legislatore. In Italia, infatti, al di là riconoscimento della lieve entità della lesione che ha notevolmente abbassato la pena irrogabile (34), il giudice ha ritenuto di dover comunque valutare le ragioni della condotta, "posta in essere sulla base di forti spinte culturali e radicate tradizioni etniche": la discrezionalità del giudice riesce quindi a far breccia nella apparentemente inespugnabile costruzione giuridica del legislatore. In Spagna la sentenza è più pesante; di diversa entità, d'altra parte, anche i fatti commessi dagli autori del reato: la pratica cui è stata sottoposta la bimba è riconducibile a un grado di gravità assai maggiore. Anche qui il giudice prende atto di avere le mani legate dalla norma nella valutazione della colpevolezza degli imputati: "il solo peso della tradizione è insufficiente per fondare l'esenzione della responsabilità". Più libertà gli è tuttavia concessa nell'individuare la sussistenza o meno di un errore circa l'antigiuridicità della condotta: la madre, infatti, viene condannata a una pena di lieve entità poiché, vista la brevità del suo soggiorno sul territorio spagnolo e il livello di isolamento nel tessuto sociale, si è ritenuto ragionevole riconoscere la non consapevolezza del carattere antigiuridico del fatto commesso.

3. Il doppio standard legislativo

3.1 MGF e circoncisione maschile

L'eterogeneità delle pratiche racchiuse sotto il nome di Mutilazioni genitali femminili può portare a conclusioni affrettate; come risulta dalla classificazione stilata dall'Organizzazione Mondiale per la Sanità (35) sono numerose le varianti della pratica, differente a seconda della zona in cui viene praticata. È doveroso distinguere le pratiche più crude e invasive quali la clitoridectomia e l'escissione dalla più diffusa infibulazione fino a quegli interventi di minore entità realizzati sull'apparato genitale femminile, tra cui ricordiamo la puntura, la raschiatura, il piercing e l'incisione. Tra le culture che sottopongono le donne ad una delle pratiche viste, molte prevedono un rito di passaggio anche per l'altro sesso, consistente nella circoncisione maschile. Anche qui il rito è denso di significati e prevede la partecipazione dell'intera comunità: le donne della famiglia prendono parte al rito e offrono doni al ragazzo che vive il passaggio. Una volta circoncisi i ragazzi devono stare a lungo isolati dal resto della comunità; al loro rientro saranno accolti con festeggiamenti.

È noto che il rito circoncisorio, per quanto condivida con la pratica delle MGF il fatto di essere un intervento eseguito sulle zone genitali di minori per motivi non terapeutici, sia meno estraneo alla cultura occidentale rispetto a quello delle MGF: la religione ebraica vuole che tutti i maschi vengano circoncisi. È proprio questo il perno attorno a cui ruota il differente trattamento giuridico che gli Stati occidentali accordano al primo: la circoncisione è una pratica più vicina alla loro cultura, anche giuridica, e discende da un dettame di tipo religioso, quindi riconducibile al principio della libertà di culto, che non trova un corrispettivo in un diritto alla cultura; per questo essa è considerata accettabile e "non è oggetto del un pregiudizio culturale" (36) della maggioranza.

Italia e Spagna, due Paesi che perseguono penalmente la condotta delle MGF, non condannano l'intervento quando diretto agli organi genitali di un minore dell'altro sesso. L'Italia ha approvato con la legge n. 7/2006 una normativa volta alla repressione della condotta di mutilazioni genitali solo femminili; la scelta è naturalmente voluta, come ricorda il giudice del Tribunale di Bari nell'affrontare il caso di un bambino tragicamente morto in seguito a un intervento di circoncisione (37). La Spagna, invece, non ha distinto la mutilazione in base al sesso della vittima: la disposizione punisce genericamente qualsiasi intervento agli organi genitali. L'interpretazione giurisprudenziale della norma ha tuttavia portato a ritenere lecita la condotta di una madre che ha sottoposto il figlio alla pratica della circoncisione: essa infatti non viene considerata una mutilazione genitale. Conclusione che, per coerenza, dovrebbe considerare tutte le forme meno invasive di intervento agli organi genitali femminili, che non determinino conseguenze di ordine fisico, una condotta non sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 149 c.p. spagnolo; caso non ancora affrontato ad oggi dalle Corti spagnole. Se, infatti, generalmente le conseguenze della circoncisione sono meno gravi rispetto alle forme di MGF, non si deve dimenticare che queste prevedono una varietà di interventi (si ricordi che la formulazione della fattispecie di mutilazioni ex art. 149 è aperta), taluni privi di conseguenze, (38) e che l'esperienza clinica segnala patologie e disfunzioni anche tra i circoncisi: emorragie, infezioni, fistole uretrali, ritenzione urinaria, cisti del prepuzio, necrosi del glande. (39)

In Italia la liceità della pratica della circoncisione è confortata anche da un importante parere adottato dalla Commissione Nazionale di Bioetica in data 25 settembre 1998, in cui affronta separatamente la "circoncisione femminile" e quella maschile. Riguardo le prima, il CNB "non può che ritenere tali pratiche eticamente inammissibili sotto ogni profilo ed auspicare che vengano esplicitamente combattute e proscritte, anche con l'introduzione di nuove, specifiche norme di carattere penale". La giustificazione di tale condanna proviene dal fatto che esse vengono effettuate a scopi non terapeutici, non essendo poste in essere per ovviare a problemi di salute né fisica, né psichica delle donne che le subiscono e non sembrano rivestire alcun carattere propriamente religioso, ma sono giustificate dalle popolazioni che le pongono in essere con argomentazioni di tipo tradizionale o culturale. Non vengono nascosti tuttavia gli "immensi problemi bioetici che pongono, perché esse sono in genere non solo accettate, ma richieste ed esigite dalle adolescenti che appartengono alle etnie nelle quali esse sono comunemente poste in essere". (40) Per quanto riguarda la circoncisione maschile, la conclusione è differente: questa pratica antichissima che trova un riferimento anche nella Bibbia, comune alla religione ebraica e a quella islamica, ma praticata anche da diversi popoli di tutti i continenti, è ritenuta compatibile nell'ordinamento giuridico italiano, nonostante essa sia "a carico di minori, che non sono ovviamente in grado di prestare un valido consenso, provocando in loro modificazioni anatomiche irreversibili".

Il ragionamento effettuato dal CNB riconduce la prassi della circoncisione alle forme di esercizio del culto garantite dall'art. 19 Cost., che lascia piena libertà di espressione e di scelta in campo religioso; il limite del "buon costume" non costituirebbe un ostacolo ad essa. Lo spinoso punto della minore età dei soggetti sottoposti alla pratica viene risolto riconducendo l'atto in quei margini di disponibilità riconosciuti ai genitori dall'art. 30 Cost. in ambito educativo. Sancita dunque la liceità della pratica della circoncisione, il CNB affronta il tema delle modalità della sua effettuazione giungendo alla conclusione che l'intervento, se diretto a un neonato, non necessita (seppur sia auspicabile) della figura professionale di un medico ma, per la sua estrema semplicità, possa essere praticata da appositi e riconosciuti ministri che possiedano adeguata competenza. Infine, argomenta negativamente l'ammissibilità della pratica rituale nelle prestazioni garantite dal Servizio Sanitario Nazionale; linea non seguita dalla Regione Toscana (41) che ha scelto di coprire tutte le spese di questo tipo di intervento. Il ragionamento che ha portato a tale decisione si rinviene nell'interpretazione evolutiva del concetto di salute, quale diritto riconosciuto e garantito dalla Carta costituzionale all'art. 32, non più circoscritto alla sola integrità fisica ma anche al benessere psichico. (42)

Tornando al confronto con le MGF, se, stando alle affermazioni di principio, il diverso trattamento giuridico, confermato dall'art. 583 bis c.p. italiano, può riassumersi nella minor gravità delle conseguenze fisiche e la sua riconducibilità a un atto concernente l'esercizio di un culto, è lecito tuttavia insinuare che altre motivazioni abbiano portato a tale disparità di trattamento; motivazioni che troviamo candidamente esposte in sede giurisprudenziale (43): si afferma che si accoglie una nozione di salute intesa come raggiungimento della massima integrazione possibile tra benessere fisico e psichico "anche al fine di adeguarsi ad un'identità etnica o culturale", ma "non ci si può sottrarre ad un giudizio di valore determinato dal grado di accettazione di una data pratica nel contesto sociale: [...] anche se si è contestato che la circoncisione maschile determina comunque la violazione dell'integrità psicofisica di un soggetto che, per la tenera età, non è in grado di esprimere un efficace consenso, appare difficile contestare che essa, dato che è priva delle connotazioni fisiche, psicologiche e simboliche negative tipiche delle mutilazioni genitali femminili, e probabilmente anche per l'influenza dell'ebraismo, sia da tempo accettata dal costume e dalla cultura occidentali".

Abbiamo già rilevato come parlare genericamente di MGF non permetta operare una distinzione nella varietà delle pratiche ad esse riconducibili. Ci si dovrebbe chiedere: non si può parlare di benessere psichico della donna che chiede di subire un intervento lieve o addirittura simbolico per adeguarsi alla propria identità etnica o culturale? La questione è di una complessità tale da non essere riducibile ad una risposta univoca e sicuramente attiene al delicato campo della bioetica. Ciò che si critica è la differenza di trattamento operata in via generale e astratta tra le due pratiche, quando si rivela invece fondamentale l'avere attenzione per le singole varianti del caso. Non è eccessivo il termine coniato da Lorenzo Miazzi nel commentare le ragioni della differenziazione del trattamento a seconda se si tratti di modificazioni del corpo maschile o femminile: egli parla di reati coloniali, non più di reati culturali. (44) Con questa espressione intende sottolineare come i due comportamenti vengano valutati dalla cultura maggioritaria in base alla propria scala di valori che differenzia la circoncisione, propria della vicina cultura ebraica, dalle MGF, impropriamente collegate all'Islam o in ogni modo a culture più lontane; la criminalizzazione delle seconde sarebbe quindi indotta da un fattore culturale della società di accoglienza che opera una distinzione tra comportamenti che, secondo il fattore culturale della minoranza etnica, sono indifferenziati. Il fatto che "una cultura giudichi i comportamenti indotti da una cultura diversa, attribuendo loro valore o disvalore secondo la propria scala, richiama il colonialismo" (45), inteso come quel giudizio di superiorità secondo cui i valori etici e culturali dei colonizzatori siano superiori a quelli dei colonizzati: il reato quindi si originerebbe dalla cultura di maggioranza, non da quella di minoranza.

3.2 MGF e Female Genital Cosmetic Surgery

La chirurgia estetica è da sempre oggetto di un acceso dibattito che ha interessato trasversalmente il campo del diritto, della medicina e dell'etica (46); ha coinvolto in prima persona le donne, incontrandovi alleate e nemiche, scontrandosi soprattutto con le correnti femministe. I confini tra ciò che è consentito e ciò che è vietato in campo etico e giuridico relativamente alla manipolazione del corpo sono divenuti piuttosto labili (47); manipolazione che non si limita ad interventi di lieve entità, ma spesso si tratta di vere e proprie operazioni chirurgiche che rispondono alla sempre crescente richiesta di perfezione estetica che rispecchi lo standard promosso dalle ricche società occidentali. Se sono più noti i classici interventi correttivi a parti del corpo più visibili e da esibire, da alcuni anni si è sviluppata una branca, la Female Genital Cosmetic Surgery (FGCS) che interviene sugli organi genitali femminili dando ad essi la conformazione desiderata. Inevitabile l'accostamento con le pratiche di MGF.

Diversi sono i tipi di modificazione cui le donne hanno sottoposto i propri organi più intimi; si passa da "banali" piercing e tatuaggi fino a vere e propri interventi chirurgici: il più frequente consiste nella labioplastica, ovvero la riduzione delle piccole labbra. Il primo intervento è stato realizzato in California nel 2000 ad una pornostar che lo ha fatto filmare, mettendo il filmato all'asta. Così si è dato il la ad una campagna pubblicitaria che non ha tardato a mostrare i suoi effetti: in poco tempo le cliniche sono state sommerse di richieste, nonostante l'elevato costo dell'operazione (fino a 18 mila dollari). Ginecologi e femministe hanno lanciato subito l'allarme: i primi per denunciare le implicazioni mediche di tali interventi che possono cagionare gravi infezioni nonché determinare la perdita della funzionalità e della sensibilità degli organi; le seconde per sostenere che piuttosto che dimostrare una riappropriazione del proprio corpo, la volontà di realizzare tali interventi celi un atto di sottomissione ai modelli di bellezza imposti dalla mentalità maschilista.

Questi interventi quindi sono ritenuti leciti nei Paesi dell'occidente, addirittura (più o meno tacitamente) pubblicizzati; in quegli stessi Paesi in cui ogni forma di "mutilazione genitale" femminile è sanzionata penalmente. Ma "se il rimodellamento consiste nel ridimensionamento, la parte eccedente viene mutilata: fino a che punto si potrà tagliare se non si vuole incorrere in un reato penale? Vi è differenza tra etico e estetico?" (48) La legittimità della chirurgia estetica è stata riconosciuta superando un'interpretazione restrittiva di quelle norme che consentono di compiere atti di disposizione sul proprio corpo, permettendo non più solo quegli interventi finalizzati ad un miglioramento delle condizioni fisiche del paziente; si è così giunti ad un'interpretazione estensiva del diritto alla salute, che include il benessere psichico (49); ma il disagio psicologico provato dalla donna occidentale nel suo non rispecchiare i canoni estetici che rispondono al dettato sociale è forse più rilevante dello stato di isolamento, psicologico e materiale, vissuto dalla donna che viene rifiutata dalla comunità e dagli uomini della stessa se non si è "purificata" con il rito di passaggio? La risposta sta della diversa valutazione dei due comportamenti: al primo "si riconosce un valore liberatorio in quanto espressione dell'autonomia personale, mentre si ritiene che la pratica dell'infibulazione sia un'imposizione culturale". (50)

È inadeguato formulare giudizi di approvazione o di disapprovazione circa l'opportunità o meno di ricorrere a tali interventi; proprio per questa ragione le questioni di bioetica, per la loro forte caratterizzazione morale, devono garantire un margine di libertà ampio, non soggiacente alla rigidità di una normativa legislativa, perché possa essere rispettata la scelta individuale del singolo. Così, se si lascia alla donna la possibilità di disporre liberamente del proprio corpo sottoponendolo ad interventi di FGCS, in nome della parità di trattamento, si dovrebbe altrettanto permettere che la donna, adulta e consenziente che voglia sottoporsi a una pratica che consista parimenti in una modificazione del proprio corpo sia libera di farlo. E nella garanzia di un luogo idoneo che non leda la sua salute: la stessa legalizzazione e ospedalizzazione delle pratiche abortive ha come obiettivo quello di sconfiggere l'aborto clandestino per ovviare ai rischi che attentano alla salute della donna.

Note

1. Santoro E., "La regolamentazione dell'immigrazione come questione sociale: dalla cittadinanza inclusiva al neoschiavismo" in Santoro E. (a cura di), Diritto come questione sociale, Torino, Giappichelli, 2010, p. 129.

2. Si suole distinguere tra "migranti economici" per definire quei soggetti che emigrano dal proprio Paese alla ricerca di dignitose o migliori condizioni di vita e "migranti politici", che fuggono dal proprio Paese perché perseguitati per ragioni di ordine politico o sociale.

3. E. Santoro arriva a teorizzare un sistema di regolamentazione dell'immigrazione di tipo neoschiavistico, sostenendo che lo scopo ultimo delle politiche migratorie che adotta lo Stato italiano sia lo sfruttamento economico dei migranti, realizzabile attraverso la loro esclusione dai diritti sociali e politici, così rendendoli facilmente ricattabili.

4. Si parla di pluralismo normativo "dall'alto" facendo riferimento alla pluralità di ordinamenti giuridici sovranazionali (a livello Europeo o internazionale) con cui lo Stato nazionale deve confrontarsi.

5. Si veda l'art. 10 bis del TU Immigrazione italiano, d. lgs. 286/98.

6. Basile F., Immigrazione e reati culturalmente motivati. Il diritto penale nelle società multiculturali, Milano, Giuffrè, 2010, p. 42.

7. Basile F., Immigrazione e reati culturalmente motivati. Il diritto penale nelle società multiculturali, cit., p. 42.

8. Basile F., Immigrazione e reati culturalmente motivati. Il diritto penale nelle società multiculturali, cit., p. 266.

9. Basile F., Immigrazione e reati culturalmente motivati. Il diritto penale nelle società multiculturali, cit., p. 326.

10. Facchi A., I diritti nell'Europa multiculturale. Pluralismo normativo e immigrazione, Roma-Bari, 2004, p. 13.

11. Facchi A., I diritti nell'Europa multiculturale. Pluralismo normativo e immigrazione, cit., p. 14.

12. Road Traffic Act 1998, sezione 16(2).

13. Basile F., Immigrazione e reati culturalmente motivati. Il diritto penale nelle società multiculturali, cit., p. 371.

14. Vedi Audencia Provincial de Teruel, 15.11.11, n. 197.

15. Cfr. Caso Kimura e caso Chen.

16. Vedi Cass. Pen., sez. VI, 26.11.2008, n. 46300.

17. Botti F., Manipolazioni del corpo e mutilazioni genitali femminili, Seminario giuridico della Università di Bologna, 2009, p. 50.

18. Miazzi L., Vanzan A., "Modificazioni genitali: tradizioni culturali, strategie di contrasto e nuove norme penali", in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1.2006, p. 16.

19. Abdlucadir J., Care of women with female genital mutilation/cutting, in Swiss Med Wkly. 2011;140.

20. Botti F., Manipolazioni del corpo e mutilazioni genitali femminili, cit., p. 52.

21. Morrone, A., Vulpiani, P., Corpi e simboli. Immigrazione sessualità e mutilazioni genitali femminili in Europa, Roma, Armando Editore, 2004, p. 40.

22. Catania L., Parere sulle conclusioni espresse dalle consulenti dott.sse Bacciconi, Zaglia e Marcolongo.

23. Morrone, A., Vulpiani, P., Corpi e simboli. Immigrazione sessualità e mutilazioni genitali femminili in Europa, cit., p. 98.

24. A partire dalla Conferenza di Nairobi si definisce con l'unico nome di Mutilazioni Genitali Femminili le diverse pratiche diffuse nel continente africano che comportano l'asportazione o l'alterazione di una parte dell'apparato genitale esterno della donna.

25. Botti F., Manipolazioni del corpo e mutilazioni genitali femminili, cit., p. 122.

26. Eliminating Female genital mutilation - An interagency statement (OHCHR, UNAIDS, UNDP, UNECA, UNESCO, UNFPA, UNHCR, UNICEF, UNIFEM, WHO), WHO. 2008.

27. Risoluzione del Parlamento europeo del 24 marzo 2009 sulla lotta contro le mutilazioni sessuali femminili praticate nell'UE (2008/2071(INI)).

28. Botti F., Manipolazioni del corpo e mutilazioni genitali femminili, cit., p. 130.

29. Facchi A., "Diritti", in E. Santoro (a cura di), Diritto come questione sociale, Torino, Giappichelli, 2010, p. 63.

30. Facchi A., Politiche del diritto, mutilazioni genitali femminili e teorie femministe: alcune osservazioni, in "Diritto, immigrazione, cittadinanza", 2004, p. 13.

31. Pitch T., "Il trattamento giuridico delle mutilazioni genitali femminili" in Questione giustizia, n. 3.2001, p. 505.

32. Pitch T., "Il trattamento giuridico delle mutilazioni genitali femminili", cit., p. 510.

33. Miazzi L., "Il diverso trattamento giuridico delle modificazioni genitali maschili e femminili, ovvero: dai reati culturali ai reati coloniali", in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 3.2010, p. 112.

34. Il co. 2 art. 583 bis c.p. prevede che "la pena è diminuita fino a due terzi se la lesione è di lieve entità".

35. Cfr. Tabella 1. Classificazione delle MGF (OMS 2007).

36. Miazzi L., Vanzan A., "Modificazioni genitali: tradizioni culturali, strategie di contrasto e nuove norme penali", p. 13.

37. Cfr. Tribunale di Bari, sent. 21.05.2009. "L'aver approvato una normativa che cita espressamente solo le mutilazioni degli organi genitali femminili, con esclusione di qualsivoglia riferimento alla circoncisione maschile, non può essere considerato fattore neutro ascrivibile a mera svista o disinteresse del legislatore, ma ad una precisa scelta di campo del legislatore medesimo, specie considerando il dibattito culturale che ha preceduto tale normativa".

38. Si veda nuovamente la relazione della Dott.ssa Catania, Parere sulle conclusioni espresse dalle consulenti dott.sse Bacciconi, Zaglia e Marcolongo.

39. Zolo D., Infibulazione e circoncisione, in Jura Gentium.

40. Comitato Nazionale di Bioetica, La circoncisione: profili bioetici, parere del 25.9.1998.

41. Scelta che rientra nella discrezionalità delle Regioni in materia di sanità, quindi nella definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) in ambito sanitario.

42. È sempre in virtù dell'evoluzione di tale concetto che si è giunti all'approvazione della legge sul cambio di sesso, legge n. 164/1982. All'art. 3 è previsto che "Il tribunale, quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, lo autorizzi con sentenza".

43. Cfr. Tribunale di Padova, sent. 9.11.2007.

44. Miazzi L., "Il diverso trattamento giuridico delle modificazioni genitali maschili e femminili, ovvero: dai reati culturali ai reati coloniali", cit., p. 112.

45. Miazzi L., "Il diverso trattamento giuridico delle modificazioni genitali maschili e femminili, ovvero: dai reati culturali ai reati coloniali", cit., p. 113.

46. Il riferimento è a quella chirurgia estetica che viene realizzata per ragioni non terapeutiche ma per conformarsi a un ideale estetico.

47. Botti F., Manipolazioni del corpo e mutilazioni genitali femminili, cit., p. 198.

48. Botti F., Manipolazioni del corpo e mutilazioni genitali femminili, cit., p. 200.

49. È questo il ragionamento seguito dal giudice del Tribunale di Padova nella sent. 9.11.2007 per giustificare la liceità della pratica della circoncisione maschile.

50. Santoro E., "La democrazia è adatta alle società multiculturali?" in AA. VV., Iuris quidditas. Liber amicorum per Bernardo Santalucia, Napoli, Esi, 2010, p. 335.