ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Conclusioni

Alida Surace, 2006

In un recente articolo apparso sul quotidiano La Repubblica, il Ministro Giuliano Amato si è riferito al mondo contemporaneo nei termini di un networking, frutto della formazione di «reti di istituzioni a più livelli, che si adeguano a quelle su cui sempre più si muovono le attività umane» (1).

Dietro questa constatazione, apparentemente semplice, pare in realtà celarsi un attento ragionamento che mette in evidenza, tra l'altro, l'importanza di farne il punto di partenza di una riflessione volta non al superamento della complessità, bensì ad un irrinunciabile confronto con essa (2).

Come evidenziato nell'introduzione, la scelta della protezione dell'unità familiare come case study è stata funzionale allo studio concreto dell'interlegalità; la verifica della sua effettiva esistenza consente allora un'importante presa di coscienza, che si traduce innanzitutto in prezioso strumento di valutazione delle conseguenze portate su quella protezione e di lettura critica delle prospettive future.

Prima di pervenire a tali valutazioni si rendono però necessarie alcune considerazioni in merito all'inutilità di semplificare l'attuale assetto. Se la complessità del panorama giuridico, che l'analisi comparativa della giurisprudenza dei legal orders coinvolti ha permesso di svelare, è indubbiamente foriera di incertezze dal punto di vista del livello di tutela ascrivibile all'articolo 8 della CEDU, è altrettanto vero che lo studio dei rapporti intercorrenti tra ordinamento nazionale e ordinamento comunitario ha chiaramente messo in luce come l'esistenza di un formale sistema di fonti, ordinato gerarchicamente, non si rivela in realtà sufficiente né a scongiurare tale rischio, né a garantire semplicità e indefettibilità. Sembra in effetti inevitabile concludere nel senso dell'inadeguatezza, quantomeno allo stato attuale, di proposte che tendano ad individuare la soluzione nella predisposizione di rigide forme di coordinamento, nell'imposizione di una rigida struttura gerarchica, o di una fusione delle due giurisdizioni europee in materia di protezione dei diritti fondamentali (3). È pertanto lo stesso percorso di ricerca intrapreso che induce a prendere atto dell'interlegalità e a leggere la realtà, in questo caso le conseguenze apportate in termini di protezione dell'unità familiare, alla luce di essa.

Quali sono, dunque, queste conseguenze? Innanzitutto lo studio delle sentenze emesse dai giudici nazionali e dalle due Corti europee è stato chiaramente indicativo di come la presenza di differenti livelli di tutela apprestati all'unità familiare in ragione delle possibili interpretazioni dell'articolo 8 della Convenzione, sia ontologicamente connessa all'esistenza di 'reti di legalità' parallele: ciascuna infatti esprime inevitabilmente la propria originalità, un'originalità che costituisce, secondo de Sousa Santos, caratteristica saliente di ogni legal order e fonte di dinamicità nelle relazioni tra essi. Nel contesto europeo queste due caratteristiche sono rintracciabili, tra l'altro, anche nelle specificità di cui le due Corti sono portatrici in ordine alle condizioni di intervento, agli strumenti messi a disposizione degli individui e degli Stati e agli effetti delle proprie decisioni negli ordinamenti nazionali. Ciò è oggettivamente fonte di un'intersezione dinamica che dimostra ancora una volta l'inadeguatezza di un suo superamento, anche in virtù della difficoltà di individuare a priori la soluzione migliore. Due esempi possono essere esemplificativi in tal senso: nel caso in cui venga in rilievo la responsabilità di uno Stato membro, non sottoponibile però al giudizio della Corte di giustizia in quanto la materia esula dalla competenza dell'ordinamento comunitario (4), l'individuo conserva nondimeno la possibilità di ricorrere alla Corte di Strasburgo; se inoltre da un lato le condizioni cui sotto sottoposti i ricorsi individuali alla Corte di giustizia sono più restrittive di quelle contemplate dalla CEDU, è opportuno dall'altro lato ricordare che le sentenze emesse dalla prima godono di un'esecutività sconosciuta a quelle riconducibili alla Corte di Strasburgo.

In secondo luogo, in un contesto di interlegalità, dal momento che nessun sistema può attualmente ritenersi formalmente depositario di un'autorità superiore in materia di protezione dell'unità familiare, l'inevitabile e continua sovrapposizione, la divergenza, la complementarietà o l'antagonismo, deducibili in particolare dalla giurisprudenza esaminata, vanno quindi lette in chiave di potenziale utilità e progresso nella definizione di quella protezione. Un livello di tutela più elevato eventualmente accordato da un ordinamento, può infatti, a prescindere dagli effetti pratici, dar seguito ad uno stimolo e ad un'influenza nei confronti degli altri. Si tratta in effetti di un'influenza che l'analisi della giurisprudenza ha chiaramente messo in risalto, in particolare nel confronto tra ordinamento nazionale e sistema convenzionale. Nelle sentenze della Corte di Cassazione è infatti riscontrabile, come più volte sottolineato nel corso della ricerca, un chiaro adeguamento all'interpretazione dell'articolo 8 della CEDU fornita dalla Corte, indipendentemente dallo Stato nei confronti del quale la questione era stata sollevata. La potenziale utilità cui facevo riferimento si è quindi talvolta effettivamente realizzata: basti pensare alla portata recentemente attribuita dalla Suprema Corte al requisito della convivenza tra genitori e figli, in perfetta sintonia con quanto più volte ribadito dalla Corte di Strasburgo. Come verificato, vi sono naturalmente delle eccezioni, ma esse sono verosimilmente imputabili, quantomeno in alcuni casi, più alla lentezza della giustizia italiana che all'assenza di una volontà di conformazione. Anche l'esclusione da parte della Cassazione del requisito di convivenza tra genitori e figli, al fine della realizzazione di una vita familiare tutelabile ai sensi dell'articolo 8 della CEDU, è in effetti intervenuta con circa 9 anni di ritardo, rispetto a quanto stabilito dalla giurisprudenza di Strasburgo. Fra le eccezioni è possibile annoverare in particolare la portata restrittiva attribuita ai «gravi motivi», contemplati dall'articolo 31 del T.U. sull'immigrazione, che possono giustificare l'ingresso o la permanenza del familiare del minore in Italia, così come la differente disciplina ancora riservata ai coniugi non sposati sia dalla giurisprudenza che dalla legislazione nazionale, (5).

L'indiscutibile presenza di una tendenza all'uniformazione, assolutamente spontanea e quasi sempre in assenza di un qualsiasi riferimento in tal senso, può tuttavia essere interpretata in due modi: si può ritenere che la convergenza sia dovuta al fatto che nell'ordinamento italiano sono rinvenibili tutti i principi che trovano espressione nel sistema convenzionale (6) oppure che essa sia un effetto diretto dell'interlegalità. Se risulta difficile propendere in modo netto per l'una o per l'altra, lo studio svolto impone certamente di attribuire all'interlegalità un valore imprescindibile.

Per quanto concerne invece la giustizia comunitaria, la Corte di giustizia si è dimostrata in realtà poco in sintonia con le esigenze del rispetto della vita familiare come interpretato dalla Corte EDU. Giudizio inevitabile, soprattutto a seguito dell'analisi condotta in merito alla direttiva comunitaria sul ricongiungimento familiare e alla sentenza pronunciata dalla Corte di giustizia. Come deducibile tuttavia dallo schema di decreto legislativo volto all'attuazione di quella direttiva, l'ordinamento italiano si è dimostrato anche in tale occasione propenso ad un'interpretazione convenzionalmente orientata. La strada seguita dalla Corte di giustizia è forse spiegabile in termini di una diversità di approccio, ancora incolmabile, della stessa nei confronti dei cittadini comunitari e di quelli provenienti da paesi terzi. Se questa diversità è in certo qual modo fisiologica in virtù delle origini e delle finalità dell'ordinamento comunitario, essa diventa però difficilmente accettabile in materia di protezione dei diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU ad ogni individuo. Non resta allora che indossare ancora una volta le lenti dell'interlegalità per osservare il fenomeno e prospettare, quantomeno come possibilità, la convergenza anche in questo caso, a prescindere dalla realizzazione di un rigido meccanismo di coordinamento tra le due giurisdizioni.

Note

1. G. Amato, Chi sfida la democrazia su La Repubblica del 14 settembre 2006. Si tratta di una sintesi, ad opera dell'autore, dell'ultimo capitolo del suo libro Forme di Stato e forme di governo, Il mulino, Bologna 2006.

2. «Per questo non possiamo andare oltre. E ci dobbiamo fermare [...]». Ibidem

3. Si tratta di una soluzione legata soprattutto all'ipotesi che la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea acquisti forza vincolante determinando così un rafforzamento del ruolo della Corte di giustizia nella protezione dei diritti fondamentali. Per considerazioni a tal riguardo si rimanda ai paragrafi 1.3 e 2.5.

4. È in effetti ciò che si verifica, allo stato attuale del diritto comunitario, ogniqualvolta si tratti di verificare la compatibilità tra la normativa nazionale volta alla disciplina dell'espulsione degli stranieri e la protezione dell'unità familiare ai sensi dell'articolo 8 della CEDU.

5. Si ricordi che la riconducibilità all'art. 8 della CEDU delle unioni prive di un vincolo giuridico-formale è stata indicata dalla Corte di Strasburgo fin dal 1979 ed espressamente confermata nel 1986.

6. È ciò che ha sostenuto la Corte Costituzionale nella decisione n. 376/200. Si veda in proposito il paragrafo 3.4.