ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo 2
Ordinamento giudiziario europeo in materia di diritti fondamentali

Alida Surace, 2006

2.1 Premessa metodologica

Il principale strumento giuridico vincolante per la protezione dei diritti fondamentali in Europa è rappresentato dalla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (di seguito "CEDU") che ha celebrato, il 4 novembre del 2000, il suo cinquantesimo anniversario.

Prima di approfondire il ruolo rivestito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (di seguito "Corte EDU") e dalla Corte di giustizia nella protezione giudiziaria di tali diritti in Europa, dedicherò la prima parte del presente capitolo ad un'analisi parallela delle due Corti, per delineare i tratti principali della loro organizzazione e del loro funzionamento rendendo così agevole un primo, generale, confronto.

Mi soffermerò brevemente anche sulla genesi stessa di questa duplice tutela giudiziaria dei diritti dell'uomo per capire quale portata sia stata data, da ciascuno dei due organi, alle garanzie sostanziali contenute nella CEDU.

Quello che interessa in questa sede, come si è spiegato in introduzione, è verificare, in un contesto di interlegalità e dopo aver acquisito un'adeguata conoscenza dei meccanismi di protezione dei diritti fondamentali in ambito europeo, gli effetti concreti negli ordinamenti nazionali e la prassi da essi seguita nel rapporto con la giurisprudenza europea e nell'attuazione delle norme della CEDU, argomento cui dedicherò il terzo capitolo della tesi.

2.2 Organizzazione e funzionamento delle due Corti europee

2.2.1 Composizione e struttura

La Corte europea dei diritti dell'uomo

Gli Stati membri del Consiglio d'Europa (1) hanno elaborato la CEDU (2) con la finalità di «assicurare la garanzia collettiva di taluni diritti enunciati nella Dichiarazione Universale» (3). Il sistema istituito dalla CEDU e destinato a garantire il rispetto da parte degli Stati contraenti degli obblighi da essi assunti (4) prevedeva originariamente tre istituzioni di controllo: la Commissione europea dei diritti dell'uomo (istituita nel 1954 con funzione di filtro rispetto all'attività della Corte), la Corte europea dei diritti dell'uomo (istituita nel 1959) e il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa (cui era attribuita funzione decisoria per le cause non deferite alla Corte e funzione di sorveglianza sull'esecuzione delle sentenze della stessa).

A partire dall'entrata in vigore della CEDU sono stati adottati dodici protocolli aggiuntivi. Il protocollo n. 11, che viene in questa sede posto maggiormente in rilievo, ha riformato il meccanismo di controllo con lo scopo di semplificarne la struttura, per abbreviare la durata delle procedure e rafforzare al tempo stesso il carattere giudiziario del sistema, rendendolo obbligatorio (5) e abolendo il ruolo decisorio del Comitato dei Ministri. La Commissione europea dei diritti dell'uomo e la Corte europea dei diritti dell'uomo sono state sostituite da una Corte unica e permanente a Strasburgo (6), a cui i singoli hanno accesso diretto, senza l'esame preventivo della Commissione. (7)

La Corte EDU è composta da un numero di giudici pari a quello degli Stati contraenti (attualmente quarantasei) che siedono nella Corte a titolo individuale e non rappresentano nessuno Stato. (8) I giudici sono eletti, per sei anni, dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa sulla base delle liste presentate da ciascun governo, anche se il mandato della metà dei giudici designati in occasione delle prime elezioni è scaduto dopo tre anni, in modo che il rinnovo dei mandati della metà dei giudici avesse luogo ogni tre anni. Secondo quanto previsto dal regolamento di procedura, la Corte EDU si suddivide in quattro sezioni la cui composizione deve essere equilibrata, sia dal punto di vista geografico che dal punto di vista della rappresentazione di entrambi i sessi, e deve tener conto dei diversi sistemi giuridici delle Parti contraenti.

In base all'articolo 27 della CEDU, le possibili formazioni in cui la Corte EDU si riunisce per giudicare si distinguono in

  • formazione ordinaria: Comitati e Camere, costituiti in seno a ciascuna sezione e composti rispettivamente da tre giudici e sette giudici, senza alcuna specializzazione per materia;
  • formazione allargata: Grande camera composta da diciassette giudici.

Nell'adempimento delle loro funzioni i giudici sono assistiti da una cancelleria composta da funzionari, dotati di competenze giuridiche e amministrative.

La Corte di giustizia

Fu istituita nel 1957 dal Trattato di Roma, con il compito di assicurare il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione del Trattato e costituisce la suprema istituzione giudiziaria dell'Unione europea. Dal 1989 è stata affiancata dal Tribunale di primo grado, competente a conoscere in primo grado tutti i ricorsi proposti dai singoli e dagli Stati membri, ad eccezione di quelli riservati alla Corte dallo Statuto e di quelli attribuiti ad una Camera giurisdizionale. Nel 2004 è stato inoltre istituito il Tribunale della funzione pubblica (9), «competente in primo grado a pronunciarsi in merito alle controversie tra le Comunità e i loro agenti» (10). Le decisioni del suddetto Tribunale sono impugnabili, limitatamente alle questioni di diritto, dinanzi al Tribunale di primo grado e sono inoltre sottoponibili, eccezionalmente, ad un riesame da parte della Corte di giustizia (11).

La Corte è composta da un giudice per Stato membro (attualmente venticinque), secondo la nomina effettuata di comune accordo dai governi degli Stati membri, con un mandato rinnovabile di sei anni (12), in assenza di vincoli riferiti alla nazionalità, e da otto avvocati generali, nominati in modo analogo, con il compito di presentare con assoluta imparzialità e in piena indipendenza conclusioni motivate su determinate cause che la Corte deve trattare. (13) Entrambe le categorie sono scelte «tra personalità che offrano tutte le garanzie di indipendenza e che riuniscano le condizioni richieste per l'esercizio, nei rispettivi paesi, delle più alte funzioni giurisdizionali, ovvero che siano giureconsulti di notoria competenza» (14). In base all'articolo 221 del Trattato CE, le possibili formazioni in cui la Corte si riunisce, si distinguono in:

  • sezioni: attualmente sei, composte da un numero variabile di giudici e senza alcuna specializzazione ratione materiae;
  • grande sezione: composta da tredici giudici;
  • seduta plenaria: composta da tutti i giudici della Corte che deliberano con un quorum di quindici su venticinque.

Anche in questo caso è prevista la presenza di un gabinetto, composto da giuristi e da personale amministrativo, deputato all'assistenza dei giudici e degli Avvocati generali.

2.2.2 Competenza e funzioni

La Corte europea dei diritti dell'uomo

La competenza della Corte EDU, secondo quanto disposto dall'articolo 32 della CEDU, riguarda tutte le cause concernenti «l'interpretazione e l'applicazione della CEDU e dei suoi protocolli che siano sottoposte ad essa alle condizioni previste dagli articoli 33, 34 e 37». Da ciò si può facilmente dedurre l'esclusione della competenza della Corte EDU in materia di violazione di diritti fondamentali sanciti in testi normativi diversi dalla CEDU, siano essi conclusi nell'ambito del Consiglio d'Europa o riconducibili al diritto interno. (15)

La Corte esercita due tipi di funzioni: una di natura contenziosa e l'altra, attribuita nel 1963 dal Protocollo n. 2, di carattere consultivo, limitata però, ai sensi dell'articolo 47 della CEDU, ad una richiesta del Comitato dei Ministri vertente su questioni giuridiche connesse con l'interpretazione della CEDU e dei protocolli. Si sottolinea a tal riguardo che il Comitato dei Ministri non ha finora mai richiesto alla Corte alcun parere consultivo. (16)

In base alla funzione contenziosa, la Corte è investita della competenza a constatare l'inosservanza delle disposizioni della CEDU e dei suoi protocolli da parte di uno Stato contraente, in caso di ricorso interstatale (art. 33 CEDU) e la sussistenza di una violazione, sempre da parte di uno Stato contraente, dei diritti riconosciuti dalla CEDU e dai suoi protocolli, in caso di ricorso individuale (art. 34 CEDU). La legittimazione attiva in quest'ultimo caso è attribuita a tutti gli individui sottoposti alla giurisdizione (17) di uno degli Stati che hanno ratificato la CEDU, indipendentemente dalla loro nazionalità. (18) È invece inammissibile un'actio popularis, in quanto il diritto di ricorso è riservato alle sole persone fisiche, ad organizzazioni non governative o gruppi di individui, a condizione che lamentino un danno diretto, conseguente alla violazione di diritti loro riconosciuti. Il diritto di azione statale si fonda invece sulla convinzione, di cui si è fatta più volte portatrice la Corte, che tutti gli Stati aderenti hanno il dovere di garantire collettivamente la tutela dei diritti e libertà proclamati dalla CEDU. In base all'articolo 33 pertanto lo Stato fa valere la violazione di diritti la cui titolarità spetta agli individui e non allo Stato (19), rivestendo un ruolo che è stato definito di «pubblico ministero internazionale» (20). Senza voler sottovalutare l'importante ruolo garantista volto alla tutela collettiva dei diritti dell'uomo, è opportuno però sottolineare lo scarso utilizzo, fino a questo momento, del ricorso interstatale. La ragione di ciò risiede evidentemente nella volontà di evitare le situazioni di tensione nelle relazioni internazionali, cui inevitabilmente darebbe adito una denuncia proveniente da uno Stato. Un ragionamento analogo potrebbe altresì essere condotto per giustificare lo scarso numero di ricorsi per infrazione (21) proposti alla Corte di Giustizia e provenienti da uno Stato.

La Corte di giustizia

La competenza della Corte ha subito profonde modifiche dall'istituzione nel 1989, come precedentemente ricordato, del Tribunale di primo grado cui spettava originariamente la competenza relativamente a tutti i ricorsi presentati da persone fisiche e giuridiche (22). In base a quanto disposto dall'articolo 225 Trattato CE, dopo le modifiche apportate con il Trattato di Nizza, il Tribunale è competente a pronunciarsi in primo grado su impugnazione di atti comunitari (art. 230 Trattato CE), ricorso in carenza (art. 232 Trattato CE), azioni in materia di responsabilità extracontrattuale della Comunità (art. 235 Trattato CE), contoversie tra Comunità e agenti (art. 236 Trattato CE) e controversie attribuitele in virtù di una clausola compromissoria purché, in tutti i casi, non si tratti di ricorsi «attribuiti ad una camera giurisdizionale e di quelli che lo Statuto riserva alla Corte di giustizia» (art. 225 Trattato CE) (23). Saranno pertanto esclusi, secondo quanto precedentemente sottolineato, i ricorsi vertenti sul contenzioso della funzione pubblica europea. Il Tribunale sarebbe infine competente, in materie determinate, relativamente alle questioni pregiudiziali, sollevate dai giudici nazionali, ai sensi dell'art. 234 Trattato CE. Le decisioni così prese dal Tribunale sono soggette alla «impugnazione dinnanzi alla Corte di giustizia per i soli motivi di diritto e alle condizioni ed entro i limiti previsti dallo statuto» (art. 225 Trattato CE). Preme tuttavia rilevare l'assenza, nello Statuto, di qualsiasi riferimento specifico a quelle materie. In casi eccezionali, le sentenze del Tribunale di primo grado emesse ai sensi dell'art. 225, paragrafi 2 e 3 del Trattato CE, possono essere riesaminate da parte della Corte se il primo avvocato generale ritiene che «esista un grave rischio per l'unità o la coerenza del diritto comunitario». La Corte è inoltre competente relativamente ai ricorsi per infrazione. Analizzerò brevemente le principali tipologie di ricorso per passare poi allo studio della competenza in via pregiudiziale della Corte, che costituisce il meccanismo per il raccordo funzionale tra giudici nazionali e Corte di giustizia.

  • Impugnazione: può essere proposta, a determinate condizioni, dalla Corte dei Conti, dalla BCE, dagli Stati membri, dalle istituzioni e dalle persone fisiche o giuridiche verso gli atti delle istituzioni comunitarie. L'idoneità a produrre «effetti giuridici nei confronti dei terzi», menzionata dall'articolo 230 Trattato CE con riferimento ai soli atti del Parlamento europeo, è il criterio generale, normalmente utilizzato per determinare l'impugnabilità di un atto (24);
  • Ricorso in carenza: può essere proposto dagli Stati membri e dalle altre istituzioni della comunità nonché, a certe condizioni, da persone fisiche e giuridiche e dalla BCE per far valere l'astensione di un'istituzione della Comunità rispetto ad un obbligo ad essa imposto. La Corte ha tuttavia escluso l'utilizzabilità di tale ricorso nel caso in cui l'istituzione coinvolta sia titolare di un potere discrezionale (25);
  • Ricorso per infrazione: può essere proposto, nei confronti di uno Stato, dalla Commissione (art. 226 Trattato CE) o da un altro Stato membro (art. 227 Trattato CE) per violazione degli obblighi sanciti dal diritto comunitario. La Commissione riceve spesso tali segnalazioni da parte di persone fisiche o giuridiche colpite a vario titolo dalla violazione e la sua attenzione è dedicata soprattutto ai vincoli gravanti sugli Stati in conseguenza dell'emanazione di una direttiva comunitaria;
  • Ricorso per risarcimento danni: può essere proposto per sostenere la responsabilità extracontrattuale della Comunità, relativamente ai danni causati «dalle istituzioni o dai suoi agenti nell'esercizio delle loro funzioni» (art. 288 Trattato CE). Se proposto da persone fisiche o giuridiche deve essere rivolto al Tribunale di primo grado.

Come precedentemente accennato, la competenza pregiudiziale permette un raccordo diretto tra ordinamenti nazionali e ordinamento comunitario, ed ha la finalità principale di tutelare l'uniforme interpretazione delle norme comunitarie e di accertare la validità degli atti delle istituzioni comunitarie e della BCE. La maggior parte delle sentenze emesse dalla Corte di giustizia è riconducibile all'esercizio di tale competenza. L'articolo 234 del Trattato CE prevede la possibilità per una giurisdizione nazionale (26), di deferire alla Corte tali questioni (27) «qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto». Nel caso in cui una questione di interpretazione o validità venga sollevata in un procedimento pendente davanti ad un giudice di ultima istanza, questo ha l'obbligo di rivolgersi alla Corte.

2.2.3 Condizioni di ricevibilità ed elementi procedurali

La Corte europea dei diritti dell'uomo

Tutti i ricorsi presentati alla Corte devono soddisfare determinati requisiti, espressamente previsti dall'articolo 35 della CEDU. Mentre alcune condizioni sono comuni sia ai ricorsi interstatali che a quelli individuali, altre sono applicabili unicamente a questi ultimi. Le condizioni comuni sono quattro:

  • Esaurimento dei ricorsi interni: costituisce un logico corollario del principio di sussidiarietà del meccanismo di controllo introdotto dalla CEDU, dal cui articolo 1 deriva infatti che la funzione di garantire i diritti sanciti dalla CEDU e dai protocolli è attribuita prima di tutto agli Stati contraenti. Prima di rivolgersi alla Corte, il ricorrente ha pertanto l'obbligo di esperire tutti i ricorsi previsti dalla legislazione nazionale che siano però, secondo quanto previsto dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti e richiamati dall'articolo 35 della CEDU, accessibili ed adeguati a risolvere la situazione concreta (28). L'accessibilità fa generalmente riferimento alla mancanza di ostacoli al loro esercizio e alla possibilità per il ricorrente di sollevare personalmente il ricorso. Gli strumenti messi a disposizione dalla legislazione nazionale non soddisfano pertanto tale requisito qualora, pur se previsti da un testo normativo, non siano sorretti da una giurisprudenza consolidata (29), o quando il ricorrente non sia stato posto concretamente in condizione di utilizzarli (30). L'adeguatezza è invece connessa con il risultato ottenibile e quindi con l'idoneità del ricorso a prevenire la creazione di una situazione lesiva dei diritti garantiti dalla CEDU e dai protocolli, o a rimuoverne gli effetti;
  • Termine di sei mesi: tale termine di decadenza, la cui previsione è funzionale a garantire la certezza del diritto, inizia a decorrere «dalla data della decisione interna definitiva» (31), generalmente coincidente con la pronuncia pubblica di una decisione o, in assenza di questa, con la notifica della decisione al ricorrente ovvero con una data successiva qualora il ricorrente provi di non esserne venuto a conoscenza prima. (32) Si tratta di un termine perentorio dal cui mancato rispetto consegue pertanto l'irricevibilità del ricorso;
  • Incompatibilità ratione personae: coerentemente con la legittimazione attiva e passiva, il ricorso deve essere presentato contro uno Stato che ha ratificato la CEDU e da parte della vittima della violazione lamentata;
  • Incompatibilità ratione temporis: le situazioni oggetto del ricorso devono risalire, almeno parzialmente, ad un momento successivo all'entrata in vigore della CEDU rispetto allo Stato convenuto.

Per quanto riguarda invece le ragioni di irricevibilità più chiaramente riconducibili ai ricorsi individuali, ne possiamo individuare cinque:

  • Carattere anonimo del ricorso;
  • Identità del ricorso rispetto ad uno precedentemente sottoposto alla Corte stessa o ad un'altra istituzione internazionale con funzioni giudiziarie o d'inchiesta e non contenente elementi di novità. La regola de ne bis in idem risponde chiaramente ad esigenze di economia processuale;
  • Incompatibilità ratione materiae: il motivo del ricorso deve vertere su una materia rientrante nel campo di applicazione della CEDU. Il diritto di cui si lamenta la violazione deve pertanto rientrare tra quelli garantiti dalla CEDU e dai suoi protocolli;
  • Manifesta infondatezza;
  • Carattere abusivo: il ricorso non può essere strumentale al conseguimento di finalità diverse dalla tutela dei diritti. La Corte ha utilizzato tale motivazione per respingere i ricorsi inquadrabili nelle nozioni di abuso di diritto, di equità e di corretta amministrazione della giustizia. (33)

Per quanto riguarda la procedura dinanzi alla Corte mi limiterò a tracciarne soltanto gli aspetti principali.

Tale procedura, contraddittoria e pubblica, ha inizio con la presentazione alla Corte di un testo (per i ricorsi individuali è fornito dalla cancelleria un apposito formulario) contenente l'esposizione, anche sommaria, dell'oggetto del ricorso (artt. 46, 47 Regolamento della Corte europea dei diritti dell'uomo), a seguito della quale esso viene attribuito ad una sezione, il cui presidente designa un relatore. Il ruolo di questo giudice è redigere un rapporto per esprimere un parere motivato sulla ricevibilità del ricorso e decidere, dopo un'analisi preliminare del caso, se affidarne l'esame ad un Comitato o ad una Camera (la prima ipotesi è esclusa nel caso di ricorsi presentati ai sensi dell'art. 33 CEDU). Oltre ai casi assegnati alle Camere direttamente dai giudici relatori, queste sono competenti a pronunciarsi anche sui ricorsi individuali che un Comitato non ha dichiarato irricevibili. Fino alla pronuncia sulla ricevibilità i ricorrenti individuali non necessitano di assistenza legale. La decisione che conclude questa prima fase determina l'inizio dell'attività istruttoria sul merito e, parallelamente, del regolamento amichevole la cui gestione è affidata alla Corte dall'articolo 38 della CEDU (34). Prima di analizzare questa fase occorre però ricordare la possibilità attribuita ad una Camera o al suo presidente di indicare, sia d'ufficio che a seguito di una richiesta della parte interessata, «tutti i provvedimenti interinali che reputano debbano essere adottati nell'interesse delle parti o del buono svolgimento della procedura» (35).

Le Camere si pronunciano a maggioranza ed è prevista la possibilità, per ogni giudice che ha partecipato all'esame del caso, di allegare alla sentenza una propria eventuale opinione, sia concordante che discordante. (36) A seguito delle novità introdotte dal protocollo n. 11, sono previste due ipotesi di intervento della Grande Camera (37) come organo giudicante:

  • Se la Camera ritiene che il ricorso di cui è investita sollevi gravi questioni relative all'interpretazione della CEDU, o che sussista il rischio di una contraddizione con una sentenza resa anteriormente dalla Corte (38), essa può in qualsiasi momento prima di pronunciarsi, ai sensi dell'articolo 30 CEDU, deferire il caso alla Grande camera, purché nessuna parte faccia opposizione nel termine di un mese, decorrente dalla notifica dell'intenzione della Camera;
  • Ciascuna parte può chiedere, in situazioni eccezionali ed entro tre mesi dalla pronuncia della Camera sul merito, che il caso venga rimesso alla Grande camera sostenendo la sussistenza di «gravi problemi di interpretazione e di applicazione della CEDU o dei suoi protocolli, o comunque un'importante questione di carattere generale» (art. 43 CEDU).

Sulla richiesta di rinvio alla Grande Camera decide un collegio di cinque giudici.

La Corte di giustizia

Ogni tipologia di ricorso contempla condizioni differenti e funzionali allo scopo per il quale esso è predisposto, anche se mancano in realtà delle vere e proprie condizioni di ricevibilità individuabili alla stregua di quanto è stato possibile fare per la Corte EDU.

Per quanto riguarda l'impugnazione, l'articolo 230 del Trattato CE ne elenca i mezzi, comuni a tutti i ricorsi, delineando alcune ipotesi di sovrapposizione, ma senza che ciò abbia conseguenze sull'illegittimità dell'atto viziato. Rientrano nella competenze della Corte i ricorsi fondati su «incompetenza, violazione delle forme sostanziali, violazione del presente trattato o di qualsiasi regola di diritto relativa alla sua applicazione, ovvero per sviamento di potere» (art. 230 Trattato CE). Il ricorrente è tenuto a sollevare la questione di legittimità entro due mesi dalla pubblicazione dell'atto, dalla sua notificazione o, in mancanza, dalla data in cui ne è venuto a conoscenza. Di particolare interesse rispetto alla protezione dei diritti fondamentali risulta la legittimazione attribuita dal medesimo articolo a qualsiasi persona fisica o giuridica a presentare «un ricorso contro le decisioni prese nei suoi confronti e contro le decisioni che, pur apparendo come un regolamento o una decisione presa nei confronti di altre persone, la riguardano direttamente e individualmente». La Corte di giustizia è opportunamente intervenuta a chiarire la portata in particolare di quest'ultimo avverbio, nella nota sentenza Plaumann, affermando che «chi non sia destinatario di una decisione può sostenere che questa lo riguardi individualmente soltanto qualora il provvedimento lo tocchi a causa di determinate qualità personali, ovvero di particolari circostante atte a distinguerlo dalla generalità, e quindi lo identifichi alla stregua dei destinatari» (39). Come sarà approfondito in seguito, la Corte stessa ha inoltre interpretato i presupposti di ricevibilità così delineati, alla luce del principio di una tutela giurisdizionale effettiva.

Il ricorso in carenza è considerato ricevibile «soltanto quando l'istituzione in causa sia stata preventivamente richiesta di agire», e sia inutilmente trascorso il termine di due mesi assegnatole per esprimere la propria posizione (art. 232 Trattato CE).

Nel caso del ricorso per infrazione, secondo quanto disposto dagli articoli 226 e 277 del Trattato CE la Commissione può adire la Corte solo se lo Stato non si è conformato, entro il termine fissato, al parere motivato da essa emesso. Se il ricorso è proposto da uno Stato, esso deve prima rivolgersi alla Commissione, potendo adire direttamente la Corte solo nel caso in cui la Commissione non abbia formulato il proprio parere entro tre mesi dalla domanda del ricorrente.

Le condizioni cui sono sottoposti i ricorsi per far valere la responsabilità extracontrattuale della Comunità sono invece individuabili sulla base delle pronunce della Corte: oltre alla evidente necessità che l'atto lesivo sia illegittimo, una tale responsabilità della Comunità è configurabile, qualora si tratti di un «atto normativo che implica delle scelte di politica economica [...] unicamente in caso di violazione grave di una norma superiore intesa a tutelare i singoli» (40).

Anche nel caso della procedura pregiudiziale, molti aspetti hanno trovato la loro disciplina non tanto in testi normativi comunitari, quanto nella giurisprudenza della Corte che ha specificato, nel corso degli anni, i vari presupposti di tale meccanismo.

Le pronunce della Corte hanno riguardato in particolare i criteri per preservare l'uniforme interpretazione della normativa comunitaria (41); la preclusione per i giudici nazionali di decidere una questione di legittimità dichiarando «invalidi gli atti delle istituzioni comunitarie» (42); le condizioni che i giudici nazionali devono rispettare per sospendere l'esecuzione di un provvedimento interno, applicativo di una norma comunitaria per la quale è stata sollevata una questione di legittimità davanti alla Corte, o l'adozione di un provvedimento positivo (43) e infine i criteri in base ai quali la risoluzione della questione pregiudiziale risulta «necessaria per emanare la [...] sentenza» (art. 234 Trattato CE). (44)

Per quanto riguarda l'iter procedurale, secondo quanto disposto dall'articolo 20 dello Statuto della Corte, esso è composto da due fasi, una scritta e l'altra orale.

La procedura dinanzi alla Corte è instaurata mediante la presentazione di un'istanza, trasmessa al cancelliere e contenente, tra le varie informazioni richieste dall'articolo 21 Statuto, l'esposizione sommaria dell'oggetto del ricorso. In caso di ricorso diretto, esso viene notificato alla parte avversa e, mentre il presidente della Corte assegna la causa ad una sezione designando un giudice relatore cui è affidato il compito di seguire lo svolgimento della causa, il primo avvocato generale, designato dalla Corte per la durata di un anno, ha il compito di decidere in merito all'assegnazione della causa ad un avvocato generale. (45)

Gli Stati membri e le istituzioni comunitarie sono rappresentate da un agente nominato per ogni causa, le altre parti da un avvocato. (46) La decisione viene presa, sulla base del testo elaborato dal giudice relatore, con i voti della maggioranza dei giudici partecipanti, senza che siano ammesse decisioni discordanti o concordanti, a differenza di quanto previsto per la Corte EDU.

La formazione in cui la Corte si riunisce dipende normalmente dalla complessità del ricorso proposto, ma anche dalle implicazioni politico-giuridiche. Ai sensi dell'articolo 16 dello Statuto della Corte, essa «si riunisce in grande sezione quando lo richieda uno Stato membro o un'istituzione delle Comunità che è parte in causa», e in seduta plenaria qualora sia «adita ai sensi dell'articolo 195, paragrafo 2, dell'articolo 213, paragrafo 2, dell'articolo 216 o dell'articolo 247, paragrafo 7, del trattato CE». Il medesimo articolo prevede un ulteriore caso in cui la Corte può decidere, dopo aver sentito l'avvocato generale, di deferire la decisione alla seduta plenaria «ove reputi che un giudizio pendente dinanzi ad essa rivesta un'importanza eccezionale».

2.2.4 Effetti delle sentenze negli ordinamenti nazionali

La Corte europea dei diritti dell'uomo

Prima di illustrare gli effetti delle pronunce della Corte EDU, è opportuno esaminare brevemente il loro contenuto. Come abbiamo visto in precedenza, la Corte statuisce sulla sussistenza o meno di una violazione della CEDU e dei suoi protocolli.

Qualora la sentenza accerti che ci sia stata una tale violazione, e il diritto interno dello Stato coinvolto permetta solo parzialmente di rimuoverne le conseguenze, ai sensi dell'articolo 41 CEDU, che ricalca sostanzialmente quanto disposto precedentemente dall'articolo 50 (47), «la Corte accorda, se del caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa». L'«equa soddisfazione» consiste concretamente in una riparazione, imputabile a seconda delle circostanze al danno materiale e/o morale e al rimborso di talune spese legali innanzi alle giurisdizioni interne, delle conseguenze della violazione qualora, nel caso concreto, sia impossibile una restitutio in integrum. Nel caso in cui l'amministrazione italiana si rifiutasse di pagare, è stata prospettata la soluzione di ricomprendere la sentenza della Corte di Strasburgo tra quegli atti che costituiscono titolo esecutivo in base all'articolo 414 c.p.c. o, soluzione più facilmente sostenibile, considerarla come prova scritta di un credito ai sensi dell'articolo 633 c.p.c. e farne quindi derivare l'emissione di un decreto ingiuntivo. (48)

La dichiarazione di violazione della CEDU e/o dei suoi protocolli e l'«equa soddisfazione» vengono normalmente ricondotte ai cosiddetti 'effetti diretti' delle sentenze della Corte (49). Tali effetti potrebbero anche scaturire da due distinte tipologie di sentenze: di accertamento sul merito per pronunciarsi sull'esistenza della violazione e di condanna per decidere la corresponsione dell'indennizzo. Normalmente tuttavia la Corte statuisce su entrambi gli aspetti in un'unica pronuncia.

L'efficacia vincolante delle sentenze si fonda sul disposto dell'articolo 46 CEDU in base al quale gli Stati contraenti «s'impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti». Tale disposizione ripete, quasi letteralmente, quella precedente contenuta nell'articolo 53 della CEDU (50). Il primo paragrafo dell'articolo 46 sembra, quantomeno ad una prima lettura, limitarsi a sancire l'efficacia vincolante, per le parti coinvolte, delle sentenze della Corte EDU, una norma quindi che riconosce ad esse la cosiddetta 'efficacia di cosa giudicata in senso sostanziale'. Intesa in tal senso, tale disposizione risulterebbe analoga ad altre contenute, ad esempio, in compromessi arbitrali o nei trattati di regolamento giudiziale delle controversie (51). Lo stesso articolo 46 della CEDU affida però, nel secondo paragrafo, il compito di sorvegliare l'esecuzione delle sentenze definitive al Comitato dei Ministri, il quale verifica innanzitutto che lo Stato abbia adempiuto l'obbligo di corrispondere, normalmente entro tre mesi da quando la sentenza è diventata definitiva, l'equa soddisfazione accordata dalla Corte alla parte ricorrente. Proprio la prassi del Comitato dei Ministri e il comportamento conforme degli Stati, hanno suggerito la possibilità che la norma in questione non si limiti a sancire l'efficacia vincolante delle sentenze, ma contenga una seconda categoria di effetti (indiretti), un quid pluris che impone alle parti un obbligo ulteriore: prendere i provvedimenti necessari a rimuovere gli effetti della violazione (misure di carattere individuale) e impedire che essa si ripeta (misure a carattere generale). Nonostante si tratti di un obbligo vincolante per gli Stati solo nei fini e non anche nei mezzi, si ritiene comunemente che il Comitato dei Ministri abbia il compito di valutare l'adeguatezza dei mezzi da essi predisposti.

Nella sentenza Scozzari e Giunta c. Italia (52) la Corte ha affermato, per la prima volta in modo esplicito, i principi tracciati dalla suddetta prassi. Risulta utile riportare di seguito i due paragrafi di tale sentenza, nei quali viene chiarita la portata dei vincoli imposti dagli articoli 41 e 46 della CEDU:

249. La Corte mette in evidenza che ai sensi dell'art. 46 le Alte Parti Contraenti hanno assunto l'impegno di rispettare le sentenze definitive della Corte in ogni causa nella quale fossero state parti, la cui esecuzione è sorvegliata dal Comitato dei Ministri. Ne consegue, tra l'altro, che nel caso di una sentenza ove la Corte individui una violazione, si impone allo Stato coinvolto l'obbligo giuridico non solo a pagare le somme comminate a titolo di equa soddisfazione, ma anche di scegliere, sotto la sorveglianza del Comitato dei Ministri, le misure generali e/o individuali (qualora applicabili), da adottare nella legislazione nazionale per porre fine alla violazione constatata dalla Corte e per rimediare, per quanto possibile, agli effetti (si veda, mutatis mutandis, la sentenza 31 ottobre 1995 (art. 50), Papamichalopoulos e altri c. Grecia, Serie A n. 330-B, pp. 58-59, 34). Inoltre, lo Stato coinvolto, soggetto al controllo del Comitato dei Ministri, rimane libero di scegliere i mezzi attraverso i quali adempirà all'obbligo giuridico previsto dall'art. 46 della Convenzione, a condizione che tali mezzi siano compatibili con le conclusioni esposte nella sentenza della Corte.

250. Pertanto, ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione, lo scopo dei risarcimenti comminati a titolo di equa soddisfazione è di offrire un rimedio unicamente per i danni subiti dai soggetti coinvolti, in quanto tali eventi costituiscono una conseguenza della violazione non altrimenti rimediabile.

Da quanto affermato dalla Corte risulta chiaramente che le sentenze hanno valore meramente dichiarativo, non essendo cioè immediatamente esecutive nell'ordinamento giuridico interno. È infatti necessario che le autorità nazionali adottino una serie di misure per conformarsi alle pronunce della Corte. Per sopperire alla mancanza di un'efficacia processuale automatica di diritto interno, alcuni Stati membri della CEDU hanno previsto la possibilità per i soggetti interessati, di far valere la sentenza di condanna della Corte, direttamente davanti agli organi giudiziari competenti, al fine di ottenere il riesame dei casi che, secondo la Corte, hanno portato ad una violazione della CEDU. Un chiaro esempio è costituito dall'inserimento, tra le motivazioni che giustificano una richiesta di revisione del processo penale, della possibilità di far valere una sentenza in cui la Corte EDU abbia affermato che una condanna penale è stata inflitta in esito ad un processo iniquo, ovvero contrario all'articolo 6 della CEDU, il quale garantisce appunto il diritto ad un equo processo. (53)

È possibile distinguere in particolare due diverse tipologie di strumenti predisposti dagli Stati: da un lato le procedure cosiddette 'ordinarie' che permettono, come nell'esempio sopra citato, la revisione di una decisione definitiva, inserendo tra i presupposti una sentenza di condanna da parte della Corte, e attivabili su istanza del ricorrente o del procuratore generale; dall'altro lato procedure 'straordinarie' previste espressamente per l'esecuzione di una sentenza della Corte. Vi sono infatti alcuni ordinamenti che contemplano tra i motivi di revisione una sentenza di condanna della Corte (54), altri che prevedono, esclusivamente o in aggiunta alle procedure ordinarie, una procedura straordinaria e infine quelli che non hanno finora previsto alcuna apertura in questo senso. (55) Per quanto concerne in particolare l'Italia il disegno di legge 3168-bis presentato al Senato il 24 marzo 1998, prevedeva di aggiungere al comma 1 dell'articolo 630 c.p.p. (Casi di revisione), la seguente lettera d-bis): «se sia stata accertata con sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo la violazione dell'articolo 6, paragrafo 3, lettere c) e d), della Convenzione [...]». La relazione di accompagnamento al progetto di legge rilevava che nel caso in cui la Corte EDU avesse censurato una sentenza di condanna emessa dalle autorità giudiziarie italiane per violazione dei diritti di difesa di un cittadino, sarebbe stato paradossale non permettere a quest'ultimo di ottenere una nuova pronuncia. Anche se tale proposta non ha avuto alcun seguito è opportuno evidenziarne alcuni profili critici: innanzitutto i diritti enunciati dalla CEDU sono riconosciuti non solo ai cittadini, ma «ad ogni persona sottoposta alla [...] giurisdizione» (56) degli Stati Contraenti; in secondo luogo è poco chiaro perché tra i motivi della revisione rientrino solo le lettere c) e d) e non anche le altre lettere del medesimo articolo; infine non sono ben comprensibili i motivi dell'esclusione del settore civile e amministrativo.

Ad ogni modo, se rispetto alle misure individuali la predisposizione di misure processuali interne può portare risultati immediatamente positivi per l'interessato, non altrettanto può dirsi rispetto alle misure a carattere generale. Queste richiederanno inevitabilmente un intervento ulteriore e discrezionale da parte degli ordinamenti interni, concretizzabile ad esempio in una modifica della legislazione o della prassi amministrativa, nei casi in cui la violazione sia derivata proprio da esse. (57) Non va ovviamente dimenticato che, anche nel caso in cui l'ordinamento interno non preveda l'esecuzione in forma specifica della sentenza, essa comporta comunque un vincolo di risultato per lo Stato. Le affermazioni contenute nella sentenza Scozzari e Giunta inducono però a domandarsi in cosa consistano gli obblighi di esecuzione a carico degli Stati nel caso in cui il diritto processuale interno non offra più alcun margine di intervento. Nel caso sopra citato, trattandosi di volontaria giurisdizione, le autorità interne, innanzitutto il Tribunale per i minorenni, potevano riesaminare il caso in qualunque momento, alla luce degli elementi sopravvenuti (quale ad esempio una sentenza della Corte EDU) e non è forse un caso che la Corte abbia specificato gli obblighi di esecuzione proprio con riferimento ad una vicenda di questo tipo. Pur ammettendo che la Corte non abbia voluto imporre tali obblighi anche in situazioni di diritto interno non automaticamente modificabili, il dovere di rimuovere la situazione lesiva dei diritti garantiti dalla CEDU, avrebbe comunque rilievo di fronte al Comitato dei Ministri ai sensi dell'articolo 46 della CEDU e della prassi da esso seguita.

La mancata esecuzione della sentenza può unicamente dare luogo a pressioni di carattere politico sullo Stato inadempiente, da parte del Comitato dei Ministri o dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa. Il Comitato dei Ministri può ad esempio, se lo ritiene opportuno, adottare una risoluzione, non vincolante, al fine di contestare l'inadempienza. (58) Talune sanzioni, dalla sospensione dei diritti di rappresentanza all'espulsione dal Consiglio d'Europa, sono inoltre previste (si tratta di un'eventualità finora mai verificatasi) per la violazione dei principi fondamentali di tale organizzazione. (59)

La recente legge del 9 gennaio 2006, n. 12, recante «Disposizioni in materia di esecuzione delle pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo» (60), prevede, tra le funzioni del Presidente del Consiglio, la promozione degli adempimenti di competenza del Governo nell'ambito dell'esecuzione delle pronunce della Corte EDU, rilevanti per l'Italia. La principale modifica apportata dalle legge in tale ambito consiste nell'introduzione di una lettera a-bis) all'articolo 5, comma 3 della legge 400/1988 in base alla quale il Presidente del Consiglio «promuove gli adempimenti di competenza governativa conseguenti alle pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo emanate nei confronti dello Stato italiano». È previsto inoltre che lo stesso Presidente del Consiglio «comunica tempestivamente alle Camere le medesime pronunce ai fini dell'esame da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti e presenta annualmente al Parlamento una relazione sullo stato di esecuzione delle suddette pronunce». Ciò comporterà innanzitutto che il Presidente del Consiglio dovrà provvedere a promuovere l'esecuzione delle misure individuali da parte delle amministrazioni governative competenti, mentre per quanto riguarda le misure generali analoga opera di sollecitazione riguarderà i Ministeri interessati e le Camere. Per quanto si tratti di una modesta innovazione, essa potrà nondimeno contribuire ad una sensibilizzazione del Parlamento su questi temi. La sua importanza è deducibile inoltre dalla sua collocazione all'interno della stessa legge che aveva già attribuito al Presidente del Consiglio il compito di promuovere «gli adempimenti di competenza governativa conseguenti alle pronunce della Corte di giustizia delle Comunità europee» (61). Questa scelta può essere letta come dimostrazione della volontà del legislatore italiano di attribuire alla giurisprudenza della Corte EDU analoga rilevanza e di considerare entrambe le Corti europee fonti di diritto per i paesi appartenenti all'Unione europea o al Consiglio d'Europa.

Nella riunione tenutasi il 4 luglio 2006 a Strasburgo il Comitato dei Ministri, ribadendo la necessità di prevedere la riapertura delle procedure giudiziarie in Italia, ha sottolineato che tale riapertura è considerata il mezzo migliore per eliminare le conseguenze delle violazioni del diritto ad un giusto processo rilevate dalla Corte EDU ed ha affrontato il problema nell'ambito del controllo dell'esecuzione delle sentenze della Corte che avevano constatato diverse violazioni della CEDU (62). Il Comitato dei Ministri ha invitato in tale sede le autorità italiane ad incrementare gli sforzi per eliminare, sia attraverso la giurisprudenza, sia con una riforma legislativa, le conseguenze dei procedimenti giudiziari dichiarati contrari alla CEDU. (63) L'esperienza dimostra tuttavia che solo quando la pressione internazionale viene affiancata da una pressione interna, proveniente dall'opinione pubblica, dai mass media (64), dagli operatori del diritto e da organizzazioni non governative, gli effetti della sentenza potranno forse giungere a compimento. (65)

La Corte di giustizia

Come precedentemente detto, secondo quanto disposto dal Regolamento di procedura della Corte di Giustizia, i giudici deliberano sulla base di un progetto di sentenza redatto dal giudice relatore. Ciascun giudice del collegio giudicante interessato può proporre modifiche. Le decisioni della Corte di giustizia sono adottate a maggioranza e non si fa menzione di eventuali opinioni dissenzienti. Ai sensi dell'articolo 244 del Trattato CE «le sentenze della Corte di giustizia hanno forza esecutiva» e la procedura di esecuzione forzata è disciplinata dalle norme di procedura civile in vigore nello Stato coinvolto. Gli effetti delle sentenze sono però individuabili in modo analitico, a seconda del tipo di ricorso presentato. Analizzerò brevemente i tratti maggiormente significativi.

Per quanto riguarda l'impugnazione degli atti comunitari, il suo accoglimento determina l'annullamento dell'atto, totale o parziale a seconda dell'estensione del vizio. Nel caso in cui la questione riguardi un regolamento, la Corte può tuttavia precisare «gli effetti del regolamento annullato che devono essere considerati definitivi». (66) Ne consegue, oltre alla possibilità che l'efficacia retroattiva dell'annullamento non sia completa, che, come stabilito dalla Corte, gli effetti del regolamento annullato siano mantenuti fino all'adozione di un ulteriore regolamento. (67)

Nel caso di sentenze rese in via pregiudiziale, nonostante si sia talvolta parlato di una loro efficacia erga omnes, il vincolo per il giudice di conformarsi alla pronuncia della Corte è limitato al giudizio in cui la questione è stata sollevata. (68) È opportuno inoltre distinguere gli effetti a seconda che si tratti di questioni di interpretazione o di validità.

Nel primo caso può configurarsi un limite all'obbligo, gravante in base all'articolo 234 sulle giurisdizioni di ultima istanza, di deferire la questione alla Corte, se questa si è già pronunciata a titolo pregiudiziale ed esse intendono adeguarsi all'interpretazione fornita. (69)

Riguardo alle questioni di validità invece, l'esigenza di rispettare il principio della certezza del diritto, ha indotto la Corte a permettere a qualsiasi giudice nazionale di disapplicare un atto comunitario di cui essa ha già dichiarato l'invalidità. (70)

Gli effetti che maggiormente incidono sul comportamento degli Stati e che vengono inevitabilmente in rilievo con riferimento all'ipotesi di violazione dei diritti garantiti dalla CEDU, riguardano il caso del ricorso per infrazione. La sentenza con cui la Corte accerta l'inadempimento di uno Stato membro (71), impone ad esso di adottare al più presto (72) i provvedimenti necessari per porre termine alla violazione. (73) Sussiste inoltre il divieto, per le autorità nazionali competenti, di «applicare una disposizione nazionale dichiarata incompatibile con il Trattato e, se del caso, l'obbligo di adottare tutti i provvedimenti necessari per agevolare la piena efficacia del diritto comunitario». (74) Nel caso in cui lo Stato non ottemperi l'obbligo sancito dall'articolo 228 del Trattato CE, lo stesso articolo permette di instaurare un nuovo ricorso per infrazione (75), il quale comporta unicamente, su richiesta della Commissione, una sanzione pecuniaria, la cui entità è però determinata autonomamente dalla Corte. (76) Vengono tuttavia sollevati molti dubbi circa la capacità di tale sanzione di porre un effettivo rimedio all'inadempimento, dal momento che esso deriva normalmente da motivazioni politiche difficilmente soccombenti di fronte ad una condanna pecuniaria. (77)

È pertanto inevitabile concludere che l'ordinamento comunitario non garantisce in modo pienamente adeguato la violazione dei diritti da esso sanciti. (78)

2.3 Origini della duplice protezione: ingresso della Corte di giustizia nel campo dei diritti dell'uomo

La Corte di Lussemburgo, diversamente dalla Corte EDU la cui genesi è naturalmente connessa alla tematica dei diritti dell'uomo, è stata istituita con lo scopo di assicurare «il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione del [...] trattato» (79), il quale aveva originariamente vocazione quasi esclusivamente economica (80). Nei Trattati mancava infatti qualsiasi riferimento, anche indiretto, ai diritti dell'uomo. Oltre a tale oggettiva constatazione, qualcuno (81) ha talora dedotto da alcune pronunce della Corte (82), che essa fosse restia ad occuparsi di questioni legate ai diritti dell'uomo. Anche prima di sviluppare un vero e proprio interesse alla tutela di tali diritti, quantomeno a livello giurisprudenziale, la Corte aveva iniziato a muovere i primi passi in quella direzione. Nella sentenza del 1963 resa nel caso Van Gend en Los, ad esempio, la Corte afferma per la prima volta che l'ordinamento giuridico comunitario riconosce come soggetti non soltanto gli Stati, ma anche i singoli individui e pertanto, «nello stesso modo in cui impone ai singoli degli obblighi, attribuisce loro dei diritti soggettivi» (83). Tuttavia la nascita della tutela, dei diritti dell'uomo è generalmente collocata dalla dottrina negli anni 1969-1975.

Preme sottolineare che, diversamente da quanto si sarebbe portati a credere, nel momento in cui si perfeziona la duplicazione della tutela giudiziaria dei diritti dell'uomo in Europa (84), il sistema convenzionale in cui si inserivano le pronunce della Corte di giustizia non era affatto sviluppato: la Corte EDU aveva emesso solo 19 sentenze (85). Tale duplicazione è motivata, secondo l'opinione maggioritaria (86), dal rischio che la preminenza stessa del diritto comunitario fosse minata dalle critiche mosse dal alcuni Corti costituzionali, in particolare quella tedesca (87) e talvolta quella italiana, alla reticenza della Corte rispetto alla tutela dei diritti dell'uomo e alla ventilata possibilità di subordinare l'efficacia del diritto comunitario al rispetto degli ordinamenti costituzionali nazionali.

In particolare il caso Erich Stauder è considerato il turning point nell'approccio della Corte a tale tematica. In occasione di quella pronuncia resa a titolo pregiudiziale, la Corte affermò che «i diritti fondamentali della persona [...] fanno parte dei principi generali del diritto comunitario, di cui la Corte garantisce l'osservanza» (88). In seguito, pronunciandosi in via pregiudiziale in un caso analogo a quello oggetto della sentenza Friedrich Stork and Co., la Corte, dopo aver ribadito l'impossibilità di prendere in esame norme di diritto interno nella valutazione della legittimità degli atti delle istituzioni comunitarie, ha tuttavia sottolineato l'opportunità di «accertare se non sia stata violata alcuna garanzia analoga, inerente al diritto comunitario. La tutela dei diritti fondamentali costituisce infatti parte integrante dei principi giuridici generali di cui la Corte di giustizia garantisce l'osservanza. La salvaguardia di questi diritti, pur essendo informata alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, va garantita entro l'ambito della struttura e delle finalità della Comunità». (89) Mentre in tale pronuncia la fonte di riferimento dei diritti fondamentali era costituita unicamente dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, essa venne successivamente arricchita dalla Corte includendovi dapprima i trattati internazionali (90) e poco dopo, sebbene inizialmente solo in modo indiretto (91), la Convenzione europea attribuendole un ruolo particolare fra i trattati internazionali in materia di diritti fondamentali (92).

È opportuno concludere questa ricostruzione richiamando le opinioni di chi ritiene che i criteri ricavabili dalla giurisprudenza della Corte in tema di tutela di diritti fondamentali nell'ordinamento comunitario siano stati, almeno nella prima fase, poco omogenei e talvolta ambigui ed indeterminati (93). Come fa giustamente notare Gaja, innanzitutto il riferimento alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri «non è [...] adeguata ed è altresì impropria perché le tradizioni degli Stati membri possono difficilmente definirsi comuni». L'analisi della giurisprudenza dimostra che non è possibile concludere né nel senso che la Corte abbia voluto in tal modo riferirsi all'ordinamento che offre la tutela più ampia, garantendo così il livello massimo di tutela concretamente configurabile, né che essa abbia invece voluto limitarsi agli elementi comuni ai diversi ordinamenti nazionali. La Corte sembra piuttosto scegliere la disciplina nazionale che pare meglio rispondere alle esigenze dell'ordinamento comunitario, la cosiddetta 'better law', risultante da una sommaria comparazione (94) delle soluzioni offerte dagli ordinamenti interni.

Anche rispetto ai trattati internazionali viene sottolineato come il riferimento ad essi sia rimasto alquanto generico, se si prescinde, come prima esaminato e come verrà ulteriormente sostenuto nel paragrafo successivo, dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

2.4 Evoluzione successiva e ostacoli alla protezione dei diritti fondamentali da parte della Corte

La tutela dei diritti fondamentali da parte della Corte di Lussemburgo si è inizialmente sviluppata a prescindere dalla CEDU (95). Con il passare del tempo tuttavia, e soprattutto con le modifiche apportate dal Trattato di Amsterdam, la Corte vede esplicitamente confermato il suo ulteriore ruolo di garante dei diritti fondamentali nell'ordinamento comunitario, grazie a quanto sancito dal secondo comma dell'articolo 6 del Trattato sull'Unione europea secondo il quale «l'Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitrio». Vi è nondimeno chi auspica una modifica di tale articolo, con l'inclusione di un riferimento anche ad altri Trattati finalizzati alla protezione dei diritti fondamentali, così da garantire anche ad essi un più elevato status giuridico nell'ambito dell'ordinamento comunitario. (96) Analoga statuizione è contenuta nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea inserita nel Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa.

L'analisi condotta nei precedenti paragrafi circa le condizioni cui sono sottoposti i ricorsi diretti alla Corte di giustizia e l'efficacia delle sue sentenze dovrebbero indurre a leggere in modo realistico e senza eccessive aspettative l'ingresso ufficiale della Corte di Lussemburgo nel campo dei diritti fondamentali. L'opera della Corte è infatti inevitabilmente sottoposta ai limiti strutturali derivanti dal suo funzionamento, primo fra tutti il fatto che l'impugnazione degli atti comunitari è permessa ai singoli alle rigide condizioni dettate dall'articolo 230 del Trattato CE, sopra riportate, mentre nei confronti di condotte prive di carattere decisionale, l'unico rimedio è costituito da un ricorso per responsabilità extracontrattuale contro la Comunità (97). Per quanto la Corte, nel valutare i presupposti di ricevibilità dei ricorsi proposti dalle persone fisiche o giuridiche, si ponga, come accennato, nell'ottica di garantire una tutela giurisdizionale effettiva, essa ha tuttavia affermato che tale criterio «non può condurre ad escludere il requisito di cui trattasi, espressamente previsto dal Trattato, senza eccedere le competenze attribuite da quest'ultimo ai giudici comunitari» (98). Agli Stati membri spetta però il compito di garantire il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva interpretando e applicando, secondo il principio di leale collaborazione sancito dall'articolo 5 del Trattato CE, le norme nazionali in modo da «consentire alle persone fisiche e giuridiche di contestare in sede giudiziale la legittimità di ogni decisione o di qualsiasi altro provvedimento nazionale relativo all'applicazione nei loro confronti di un atto comunitario di portata generale, eccependo l'invalidità di quest'ultimo» (99).

Oltre ai limiti suddetti, la Corte incontra anche limiti interpretativi (100) dovuti al fatto che, come essa stessa ha affermato nella sentenza Internationale Handelsgesellschaft mbH prima citata, la tutela dei diritti fondamentali «va garantita entro l'ambito della struttura e delle finalità della Comunità» (101). Ai sensi dell'articolo 46, lett. d) del Trattato sull'Unione europea, le disposizioni del Trattato CE dedicate alla Corte di giustizia si applicano all'articolo 6, secondo comma, ma limitatamente all'«attività delle istituzioni, nella misura in cui la Corte sia competente a norma dei trattati che istituiscono le comunità europee e a norma del presente trattato». Nonostante la Corte abbia esteso la propria verifica del controllo del rispetto dei diritti dell'uomo anche agli atti degli Stati membri, qualora essi diano attuazione ad obblighi incombenti in virtù del diritto comunitario (102), la connessione con esso permane quale condizione essenziale per la sottoposizione al controllo, alla luce dei diritti fondamentali, anche degli atti nazionali. Ciò comporta, stante la difficile valutazione circa la sussistenza in concreto di un legame di questo tipo, ad una scarsa coerenza da parte della Corte e alla frequente sottoposizione a critiche delle sue decisioni. Risultò ad esempio molto discutibile una pronuncia della Corte, resa in un caso strettamente connesso alle problematiche dei soggetti migranti, in cui essa si rifiutò di esaminare la normativa nazionale tedesca sul diritto al ricongiungimento familiare di alcuni cittadini turchi regolarmente soggiornanti per verificarne la compatibilità con l'articolo 8 della CEDU, motivando tale rifiuto con l'assenza di collegamento tra detta normativa e il diritto comunitario, nel senso che essa non «doveva porre in atto una disposizione di diritto comunitario» (103). Ciò implica, come sottolinea Gaja, che non è lo scopo della normativa nazionale ad essere rilevante, bensì il fatto che sulla medesima materia esista una normativa comunitaria (104).

Assume un'importanza fondamentale per comprendere la posizione della Corte a tal riguardo, il parere 2/94 sulla compatibilità dell'adesione della Comunità alla Convenzione europea con il Trattato CE (105). In tale occasione la Corte, premettendo che «dall'art. 3B [ora art. 5] del Trattato, a termini del quale la Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal Trattato, emerge che essa disponga unicamente di poteri attribuiti», rilevava l'assenza nel Trattato CE di una qualche attribuzione generale nei suoi confronti del potere di disciplinare la materia dei diritti dell'uomo, o di concludere convenzioni in merito ad essa. Nonostante il tentativo di ricondurre all'articolo 308 del Trattato CE tale settore per trovare in esso la base giuridica della compatibilità della CEDU con il Trattato stesso, la Corte ha tuttavia concluso che «se il rispetto dei diritti dell'uomo costituisce [...] un requisito di legittimità degli atti comunitari, si deve tuttavia rilevare che l'adesione alla CEDU determinerebbe una modifica sostanziale dell'attuale regime comunitario di tutela dei diritti dell'uomo, in quanto comporterebbe l'inserimento della Comunità in un sistema istituzionale internazionale distinto, nonché l'integrazione del complesso delle disposizioni della CEDU nell'ordinamento giuridico comunitario. Una siffatta modifica del regime della tutela dei diritti dell'uomo nella Comunità, le cui implicazioni istituzionali risulterebbero parimenti fondamentali sia per la Comunità, sia per gli Stati membri, rivestirebbe rilevanza costituzionale ed esulerebbe quindi, per sua propria natura, sai limiti dell'art. 235 [ora art. 308]». Nel 1998 la Corte di giustizia ha inoltre dichiarato la propria incompetenza a fornire al giudice nazionale elementi interpretativi al fine di valutare la conformità ai diritti sanciti dalla CEDU, di cui essa garantisce l'osservanza in ambito comunitario ai sensi dell'articolo 6 del Trattato sull'Unione europea, di una normativa nazionale, dal momento che «tale normativa riguarda una situazione che non rientra nel campo di applicazione del diritto comunitario» (106).

Resta peraltro da rilevare come, dopo l'introduzione nel Trattato CE da parte del Trattato di Amsterdam, dell'articolo 13 che attribuisce alla Comunità il potere di «prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali», sembra verosimile poter ricavare da tale disposizione nuove competenze della Comunità in materia di diritti fondamentali (107).

2.5 Il rapporto tra le due Corti e le possibili forme di coordinamento

Come visto in precedenza, lo sviluppo del sistema convenzionale è avvenuto senza rilevanti discrasie temporali tra l'opera della Corte di giustizia e quella della Corte EDU. Al di là dei vari limiti che la prima incontra in tale ambito, e che esistono peraltro anche per la seconda, essendo la sua competenza definita ratione materiae, essa costituisce di fatto un secondo polo giudiziario, senza che nessuna delle due possa, senza cadere nell'autoreferenzialità, definirsi «la giurisdizione costituzionale europea» (108). Una specializzazione in materia dei diritti dell'uomo in Europa è tuttavia attribuibile naturalmente solo alla Corte EDU.

Esistono peraltro diversi settori in cui la sfera di cognizione delle due Corti si trova a coincidere, rendendo opportuna un'analisi delle conseguenze che tale sovrapposizione inevitabilmente comporta. È impossibile tuttavia descrivere in maniera univoca il rapporto tra i livelli di tutela offerti dalle due Corti e tra questi e il sistema convenzionale. Mentre in alcuni settori (109) sono infatti individuabili concordanze sostanziali tra le due giurisdizioni, in altre sono individuabili contrasti netti (110). Analogamente, mentre in alcuni casi le pronunce della Corte di giustizia si sono chiaramente ispirate alla giurisprudenza della Corte EDU, in altri la prima ha privilegiato un'interpretazione della CEDU maggiormente garantista rispetto alla seconda e in altri ancora è accaduto il contrario. L'esempio più significativo, alla luce dell'argomento trattato, è rintracciabile in materia di soggiorno degli stranieri, anche se è doveroso sottolineare che il dato normativo di cui dispone la Corte di Lussemburgo in tale settore offre maggiori margini di intervento a tutela dei diritti spettanti ai soggetti coinvolti. (111) Anche relativamente alla sola CEDU le Corti hanno comunque usato criteri di interpretazione differenti.

Dal punto di vista della Corte EDU, le norme sull'immigrazione sono vincolate al rispetto dell'articolo 8 della CEDU, in particolare per quanto riguarda il diritto al rispetto della vita familiare. Essa intende tuttavia tale disposizione nel senso che il diritto in questione vada garantito in quanto tale e non con riferimento ad un paese determinato, diventando pertanto indispensabile valutare, da parte della Corte stessa, la possibilità che la vita familiare venga rispettata anche nel paese di origine o in quello verso cui l'interessato potrebbe essere inviato a seguito di espulsione.

La Corte di giustizia ha invece dato una portata più ampia alle garanzie applicabili alla luce della CEDU, con riferimento ai cittadini comunitari. Una trattazione più dettagliata delle singole pronunce sarà tuttavia offerta successivamente e si rivelerà utile anche per comprendere come il rischio di interpretazioni discordanti sia ontologicamente connesso all'esistenza stessa di meccanismi giurisdizionali autonomi in un medesimo ambito, conclusione cui si può a titolo esemplificativo ricollegare il brocardo latino «Quot Homines, tot sententiae; suus cuique mos» (112).

Al di là dei diversi tipi di inevitabile interazione tra i due meccanismi giurisdizionali, essi restano formalmente privi di collegamento, non essendo qualificabile come tale la presenza di alcuni tentativi di coordinamento tra i quali la redazione, ad opera del servizio ricerche della Corte di giustizia, di un'informativa giurisprudenziale per i membri della Corte stessa tutte le volte in cui una causa sia connessa ad un diritto garantito dalla CEDU (113) e i periodici incontri di delegazioni di giudici delle due Corti. Il coordinamento è pertanto affidato alla loro totale discrezione, con il rischio che, in assenza di qualsiasi strumento per assicurare un innalzamento di tutela al livello di quella delle due Corti che nel caso concreto risulta maggiormente garantista, prevalga la volontà di assicurare coerenza e armonia tra le due giurisdizioni, indipendentemente dalle conseguenze sui diritti sanciti dalla CEDU, metodo alquanto fuorviante per realizzare un coordinamento.

Inoltre la questione, chiaramente fondamentale, del carattere vincolante o meno delle pronunce della Corte EDU rispetto alla Corte di giustizia e ancora non risolta, contribuisce inevitabilmente ad aumentare le incertezze circa il rapporto tra le Corti. Un avvocato generale si era pronunciato in proposito sostenendo l'assenza di un vincolo formale al rispetto delle decisioni degli organi della CEDU. (114) Analogamente si era espresso chi sosteneva che «il fatto di tener conto di un testo non significa che si attribuisca alle sue disposizioni forza obbligatoria» e che nonostante il riferimento esplicito alla CEDU «non si possa, tra l'altro, dedurre dalla giurisprudenza europea che il giudice comunitario considera che la Comunità sia giuridicamente vincolata dalla Convenzione, [del resto] la formula secondo la quale la Convenzione può fornire le indicazioni di cui conviene tener conto nell'ambito del diritto comunitario è frequentemente utilizzata» (115).

Qualche indicazione, seppur indiretta e concisa, è ricavabile dall'articolo 52 n. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, secondo il quale nel caso in cui «la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta CEDU. La presente disposizione non preclude che il diritto dell'Unione conceda una protezione più estesa». La situazione è resa ulteriormente ambigua dal fatto che il Trattato CE non contiene alcuna disposizione relativa al principio del ne bis in idem rispetto ai casi pendenti davanti alla Corte EDU o da essa già trattati.

Sarebbe certamente auspicabile che il coordinamento tra i due poli giudiziari avvenisse con lo scopo di assicurare la prevalenza della soluzione più favorevole dal punto di vista della tutela dei diritti garantiti dalla CEDU, conducendo ovviamente una valutazione concreta alla luce della situazione del soggetto leso, essendo un approccio astratto poco utile in tale materia, oltre che di difficile realizzazione. In questo senso l'adesione dell'Unione europea alla CEDU, e il conseguente superamento da parte della Corte CE della posizione espressa nel parere 2/94 prima analizzato, potrebbe risolvere molte questioni in sospeso, consentendo alla Corte EDU di innalzare il livello di tutela rispetto a pronunce insoddisfacenti della Corte di giustizia, la quale resterebbe comunque libera di adottare, come tuttora avviene in certi settori, un approccio maggiormente garantista stimolando in tal modo la Corte EDU (116). In questo senso si esprime chi auspica un'interpretazione estensiva dell'articolo 53 della CEDU (117) in modo da dedurne un obbligo per la Corte EDU ad adeguarsi a standard di tutela più elevati, eventualmente esistenti nell'ambito di altri sistemi. (118)

Uno stimolo in tal senso poteva forse provenire dall'entrata in vigore del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa, con la conseguente attribuzione di forza vincolante alla Carta dei diritti fondamentali e la competenza della Corte di giustizia a controllarne il rispetto, soluzione peraltro piuttosto remota, come già accennato nel precedente capitolo, in questo momento. Non manca tuttavia chi solleva perplessità circa l'attribuzione di quella competenza. In particolare Gaja mette in evidenza il rischio di «attribuire il ruolo decisivo nell'interpretazione ad una Corte non specializzata, che sarebbe inoltre sovraccaricata, a meno che non si accetti l'idea di creare una nuova Corte dei diritti dell'uomo all'interno dell'Unione europea - soluzione che risulterebbe politicamente difficile e complicherebbe la posizione delle Corti nazionali nel momento in cui si trovassero ad affrontare la questione della validità degli atti comunitari» (119).

Da non sottovalutare inoltre che dal carattere vincolante della Carta e dal ruolo attribuito in tal caso, la Corte di giustizia potrebbe conseguire un crescente rafforzamento del meccanismo comunitario a scapito di quello convenzionale, mentre la soluzione migliore sarebbe forse privilegiare il ruolo della Corte EDU quale giudice specializzato nella tutela dei diritti dell'uomo, favorendo la prevalenza di un «unico standard, a livello europeo, riguardo ad ogni diritto, così che sarebbe più semplice per le autorità statali applicarlo, mentre il rischio di conflitti tra i diritti diminuirebbe» (120).

Le questioni che ho fin qui sollevato, la maggior parte delle quali ancora irrisolte, assumeranno inevitabilmente un taglio diverso nel momento in cui il punto di osservazione si sposterà dal panorama europeo a quello prettamente nazionale, e sarà da tale prospettiva utile studiare la soluzione migliore per una tutela effettiva dei diritti fondamentali, come le conseguenze connesse alla presenza di un sistema di interlegalità.

Note

1. Si tratta, com'è noto, di un'organizzazione internazionale di cooperazione europea, il cui Statuto fu firmato a Londra il 5 maggio 1949 con lo scopo, previsto dall'articolo 1 dello Statuto stesso, di «conseguire una più stretta unione fra i suoi Membri per salvaguardare e promuovere gli ideali e i principi che costituiscono il loro comune patrimonio», perseguibile grazie all'attività dei suoi organi e in particolare «con la salvaguardia e l'ulteriore sviluppo dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali». La Commissione europea dei diritti dell'uomo nel descrivere il sistema di protezione dei diritti dell'uomo affermò che «Nel concludere la Convenzione, gli Stati contraenti non hanno voluto concedersi diritti ed obblighi reciproci utili al perseguimento dei loro interessi nazionali rispettivi, bensì realizzare gli obbiettivi ed ideali del Consiglio d'Europa, quali li enuncia lo Statuto, ed instaurare un ordine pubblico comunitario delle libere democrazie d'Europa al fine di salvaguardare il loro patrimonio comune di tradizioni politiche, di ideali, di libertà e di preminenza del diritto», nella decisione 788/60, Austria c. Italia.

2. Firmata a Roma il 4 novembre 1950 ed entrata in vigore il 3 settembre 1953.

3. Preambolo della CEDU. Per un approfondimento delle dichiarazioni ivi contenute si veda M. de Salvia, La Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Editoriale scientifica, Napoli 2001.

4. Secondo M. de Salvia la particolarità della CEDU come trattato multilaterale risiede proprio nel fatto che essa «istituisce un ordinamento dotato di un proprio organo di produzione giuridica» in M. de Salvia, op. cit., p. 59.

5. L'art. 25 della CEDU prevedeva la sottoposizione facoltativa dello Stato alla giurisdizione degli organi di controllo sovranazionali, in conformità a quanto tuttora avviene per altri strumenti di tutela sovranazionale come la Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite. In realtà, la portata della riforma è più teorica che pratica se si considera che la maggior parte degli Stati aveva accettato la giurisdizione della Corte e, in occasione dell'allargamento del Consiglio d'Europa ai paesi dell'ex blocco sovietico, si era instaurata una prassi per cui, tra le condizioni di accesso al Consiglio d'Europa, era prevista la ratifica della CEDU e l'accettazione della giurisdizione della Commissione e della Corte EDU. Cfr. E. Battaglia, La Corte europea dei diritti dell'uomo in G. di Federico (a cura di) Manuale di ordinamento giudiziario, Cedam, Padova 2004.

6. L'art. 19 della CEDU prevede espressamente l'istituzione di una Corte «per assicurare il rispetto degli impegni derivanti alle Alte Parti contraenti dalla presente Convenzione e dai suoi protocolli».

7. Anche il protocollo n. 14 del 13 maggio 2004, non ancora in vigore, prevede varie modifiche alla CEDU, finalizzate in particolare a rendere più efficace il funzionamento della Corte. Gli Stati che non lo hanno ancora ratificato sono attualmente quattro: Belgio, Polonia, Russia, Turchia. Le modifiche introdotte riguardano in particolare i seguenti settori: a) ricorsi palesemente inammissibili: le decisioni di ammissibilità, attualmente prese da una commissione di tre giudici, verrebbero prese da un singolo giudice, assistito da relatori extra-giudiziari con lo scopo di accrescere le capacità di filtraggio della Corte; b) ricorsi ripetitivi: per i ricorsi che appartengono ad una serie derivante dalla stessa carenza strutturale a livello nazionale, la proposta è che l'istanza possa essere dichiarata ammissibile e giudicata da una commissione di tre giudici (contro l'attuale Sezione, composta da sette giudici) sulla base di una procedura sommaria semplificata; c) nuovo criteri di ricevibilità: oltre alle condizioni già previste, la Corte potrebbe dichiarare inammissibili le istanze nel caso in cui il richiedente non abbia subito uno svantaggio significativo, purché il rispetto dei diritti umani non richieda che la Corte si faccia pienamente carico del ricorso e ne esamini il merito. Tuttavia, per evitare che ai ricorrenti venga negata una tutela giuridica per il pregiudizio subito, per quanto minimo esso sia, la Corte non potrà rigettare un ricorso su tali basi, se lo Stato chiamato in causa non ne prevede una tutela; d) Comitato dei Ministri: sulla base del protocollo tale organo avrebbe maggiori poteri per avviare un'azione giudiziaria davanti alla Corte in caso di inottemperanza di una sentenza da parte dello Stato condannato e potrebbe inoltre chiedere alla Corte l'interpretazione di una sentenza. Ulteriori modifiche presenti nel protocollo riguardano il mandato dei giudici e l'eventuale adesione dell'Unione europea alla CEDU.

8. Si veda in proposito le considerazioni svolte nel paragrafo 1.4 a proposito dei giudici della Corte di giustizia.

9. La decisione del Presidente della Corte di giustizia con cui si dichiara la regolare costituzione del Tribunale per la funzione pubblica risale al 2 dicembre 2005.

10. Art. 1 dell'allegato allo Statuto della Corte di giustizia, riferito al Tribunale per la funzione pubblica dell'Unione europea. L'istituzione di tribunali specifici con competenze per materia, detti Camere giurisdizionali, ha lo scopo di sgravare la Corte di una parte di ricorsi ad essa presentati. Tale strumento è stato utilizzato per la prima volta proprio nel 2004 con l'istituzione del Tribunale della funzione pubblica.

11. Si veda quanto previsto dal comunicato stampa n. 88/04/IT del 2 novembre 2004.

12. Anche in questo caso, come per la Corte EDU, si procede ad un rinnovo parziale dei giudici e degli avvocati generali ogni tre anni come disposto dall'art. 223 Trattato CE.

13. Art. 222 Trattato CE.

14. Art. 223 Trattato CE.

15. Per un approfondimento sul tema si veda E. Battaglia, La Corte europea dei diritti dell'uomo in G. di Federico (a cura di), op. cit.

16. Un'unica richiesta di parere consultivo risale al 2002, ma la Corte dichiarò la sua incompetenza.

17. Nell'ambito del sistema della CEDU, tale concetto ha assunto una portata particolarmente ampia. La Corte ha fatto infatti rientrare nell'ambito del controllo dello Stato anche territori situati oltre i tradizionali confini in cui esso esercita la propria sovranità, ma soggetti comunque al suo controllo di fatto. Il riferimento è in particolare alle sentenze 23 marzo 1995, Loizidou c. Turchia e 12 dicembre 2001 Bankovic e altri.

18. Esempi frequenti di casi in cui ricorrono alla Corte individui privi della nazionalità di uno degli Stati del Consiglio d'Europa, sono forniti dalle cause connesse con l'espulsione degli stranieri.

19. Per un approfondimento a tal riguardo si rimanda a R. Pisillo Mazzeschi, Esaurimento dei ricorsi interni e diritti umani, Giappichelli, Torino 2004. Si tenga presente che con la protezione diplomatica invece uno Stato fa valere il proprio diritto affinché i suoi cittadini siano trattati conformemente alle norme sul trattamento degli stranieri. Questa concezione è stata espressa dalla Corte permanente di giustizia internazionale nel caso Mavrommatis: «è un elementare principio di diritto internazionale quello in base al quale uno Stato ha il diritto di proteggere i suoi cittadini, qualora questi siano offesi da una violazione del diritto internazionale commessa da un altro Stato, dal quale essi non hanno potuto ottenere soddisfazione attraverso i mezzi ordinari. Occupandosi del caso di uno dei suoi cittadini e ricorrendo all'azione diplomatica o ad un procedimento giudiziale internazionale nel suo interesse, uno Stato sta in realtà facendo valere i suoi diritti affinché siano rispettati, nella persona dei suoi cittadini, le norme di diritto internazionale» (Mavrommatis Palestine Concession, 1924 P.C.I.J. Series A. No. 2.). Recentemente, la Commissione di diritto internazionale, nel Progetto di articoli sulla protezione diplomatica adottato in seconda lettura il 19 maggio 2006 (UN. Doc. A/CN.4/L.684), si è in parte allontanata dalla cosiddetta 'finzione vattelliana', in base alla quale, il diritto al rispetto delle norme sul trattamento degli stranieri è attribuito allo Stato, e non al suo cittadino che potrebbe subire un'eventuale violazione di quelle norme. Ha infatti definito in tal modo la protezione diplomatica: «agli scopi del presente progetto di articoli, la protezione diplomatica consiste nell'invocazione da parte di uno Stato, attraverso l'azione diplomatica o altri mezzi pacifici di composizione delle controversie, della responsabilità di un altro Stato in ordine ad un danno causato dalla violazione del diritto internazionale di quello Stato ad una persona fisica o giuridica cittadina del primo Stato, con la finalità di dare attuazione a tale responsabilità».

20. J.L. Charrier, Code de la Convention européenne de l'homme, Litec, Parigi 2000, p. 244.

21. Come avrò modo di approfondire in seguito la legittimazione a proporre tali ricorsi spetta, secondo quanto disposto dagli articoli 226 e 227 Trattato CE, alla Commissione o ad uno Stato membro.

22. Si vedano le decisioni 93/350 e 94/149 in «Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee», 16 giugno 1993, L 144 e 7 marzo 1994, L 66.

23. Si veda in proposito l'art. 51 dello Statuto della Corte di giustizia.

24. «L'azione di annullamento deve [...] potersi esperire nei confronti di qualsiasi provvedimento adottato dalle istituzioni (indipendentemente dalla sua natura e dalla sua forma) che miri a produrre effetti giuridici». Così la Corte di giustizia si era espressa nella sent. 31 marzo 1971, Commissione c. Consiglio, causa 22/70, in «Raccolta» 1971, p. 263.

25. Si veda, ad esempio, la sent. 14 febbraio 1989, Star Fruit, causa 247/87 in «Raccolta» 1989, p. 291.

26. Sono esclusi da tale categoria, secondo quanto enunciato dalla Corte in varie sentenze, i Tribunali arbitrali, la cui giurisdizione sia stata volontariamente accettata dalle parti. Nella sent. 17 settembre 1997, Dorsch Consult Ingenieurgesellschaft mbH c. Bundesbaugesellschaft Berlin mbH, causa C-54/96 in «Raccolta» 1997, p. 4961, la Corte afferma infatti che «Per valutare se l'organo remittente possegga le caratteristiche di un giudice ai sensi dell'art. 234 del Trattato [...] la Corte tiene conto di un insieme di elementi quali l'origine legale dell'organo, il suo carattere permanente, l'obbligatorietà della sua giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento, il fatto che l'organo applichi norme giuridiche e che sia indipendente». La Corte costituzionale italiana, considerando le proprie peculiarità rispetto agli organi giudiziari dell'ordinamento italiano, ha escluso di potersi rivolgere alla Corte di giustizia in quanto non qualificabile come «giurisdizione nazionale» ai sensi dell'art. 234 del Trattato CE. Cfr. ordinanza del 29 dicembre 1995, n. 536, in «Giurisprudenza costituzionale» 1995, I, p. 4459.

27. Esiste in realtà però una deroga alla possibilità per qualsiasi giudice nazionale di rivolgersi alla Corte in via pregiudiziale per sottoporle una questione di interpretazione o legittimità di atti comunitari. L'art. 68 Trattato CE riserva infatti tale possibilità ai giudici di ultima istanza quando la questione rientri nel nuovo Titolo del Trattato CE «Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone». È inoltre in ogni caso esclusa la competenza della Corte relativamente alle «misure o decisioni adottate [...] in materia di mantenimento dell'ordine pubblico e di salvaguardia della sicurezza interna».

28. «Ai sensi dell'articolo 35 i normali ricorsi dovrebbero essere indirizzati dal ricorrente ai rimedi che sono accessibili e adeguati ad ottenere riparazione per le presunte violazioni. L'esistenza di tali rimedi deve essere sufficientemente certa non solo in teoria, ma anche in pratica, in assenza della quale essi sarebbero privi del requisito di accessibilità ed effettività». Corte europea dei diritti dell'uomo (giudizio di ammissibilità) del 27 marzo 2003, Scordino v. Italy.

29. Corte europea dei diritti dell'uomo, 28 giugno 1984, Campbell e Fell c. Regno Unito, par. 61.

30. Corte europea dei diritti dell'uomo, 18 dicembre 1986, Bozano c. Francia, par. 48.

31. Art. 35 CEDU.

32. Si tratta evidentemente di regole processuali diverse da quelle interne relative al deposito e alla notifica degli atti.

33. J.L. Charrier, op. cit., p. 282.

34. Tale funzione era in precedenza attribuita alla Commissione.

35. Articolo 39 del Regolamento di procedura. Prima della modifica apportata dalla Corte il 4 luglio 2005, tale articolo era rubricato 'Misure cautelari'. L''Istruzione pratica domanda di provvedimenti interinali', emanata dalla Corte il 5 marzo 2003, ai sensi dell'articolo 32 del Regolamento, stabilisce le modalità per l'invio della richiesta di tali provvedimenti «in caso d'urgenza, specialmente nei casi d'estradizione o d'espulsione».

36. Art. 45 CEDU.

37. Il meccanismo introdotto rispecchia quello previsto, dal vecchio sistema, nei rapporti Tra Corte e Commissione. La Grande Camera svolge quindi la funzione, antecedentemente attribuita alla Corte nel suo complesso, di «garantire la coerenza e la qualità della giurisprudenza e di permettere un riesame per i casi più importanti». Così il rapporto esplicativo annesso al protocollo n. 11.

38. In tal senso le funzioni svolte dalla Grande Camera sono analoghe a quelle attribuite alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione italiana.

39. Corte di giustizia, sentenza del 15 luglio 1963, Plaumann et co c. Commissione, causa 25/62 in «Raccolta» 1963, p. 197.

40. Sent. 2 dicembre 1971, Aktien-Zuckerfabrik Schoeppenstedt c. Consiglio, causa 5/71 in «Raccolta» 1971, p. 975.

41. Tra le pronunce più importanti si ricorda la sent. 6 ottobre 1982, CILFIT, causa 283/81 1982, p. 3415.

42. Si veda la sent. 22 ottobre 1987 Foto-Frost, causa 341/85 in «Raccolta» 1987, p. 4199.

43. Si vedano la sent. 21 febbraio 1991, Zuckerfabrik Süderdithmarschen, cause C-143/88 e C-92/89, in «Raccolta» 1991, p. I-415 e la sent. 9 novembre 1995, Atlanta, causa C-465/93 in «Raccolta» 1995, p. I-3761.

44. Si vedano la sent. 20 maggio 1976 Mazzolai, causa 111/75 in «Raccolta» 1976, p. 657, la sent. 16 luglio 1992, Lourenço Dias, causa C-343/90 1992 in «Raccolta» 1992, p. I-4673, responsabile di un cambiamento nella giurisprudenza della Corte a riguardo, la sent. 13 dicembre 1979, Hauer, causa 44/79 in «Raccolta» 1979, p. 3727 e la sent. 26 gennaio 1993, Telemarsica Abruzzo, cause C-320-322/90 in «Raccolta» 1993, p. I-393. Per un approfondimento sul tema si rimanda a G. Gaja, Introduzione al diritto comunitario, cit..

45. Art. 10 Regolamento di procedura della Corte di giustizia.

46. Art. 19 Statuto Corte di giustizia.

47. Prima delle modifiche apportate dal Protocollo n. 11, l'art. 50 recitava: «Se la decisione della Corte dichiara che una decisione presa o una misura ordinata da una autorità giudiziaria o da ogni altra autorità di una Parte Contraente si trova interamente o parzialmente in contrasto con obblighi che derivano dalla presente convenzione, e se il diritto interno di detta Parte non permette che in modo incompleto di eliminare le conseguenze di tale decisione o di tale misura, la decisione della Corte accorda, quando è il caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa».

48. G. Raimondi, Effetti del diritto della Convenzione e delle pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo in «Rivista Internazionale dei diritti dell'uomo» 1998, pp. 433-434.

49. La distinzione tra effetti diretti e indiretti è riconducibile in particolare a A. Bultrini, Il meccanismo di protezione dei diritti fondamentali istituito dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Cenni introduttivi in B. Nascimbene (a cura di), La Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Profili ed effetti nell'ordinamento italiano, Giuffrè, Milano 2002.

50. Prima delle modifiche apportate dal protocollo n. 11, l'art. 53 recitava: «Le Alte Parti Contraenti si impegnano a conformarsi alle decisioni della Corte nelle controversie nelle quali sono parti».

51. Si veda a tal riguardo, l'art. 59 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia, il quale attribuisce l'efficacia di cosa giudicata alle sentenze della Corte, circoscrivendone la portata a «le parti in lite e riguardo alla controversia decisa».

52. Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza del 13 luglio 2000, n. 39221/98. Il caso riguardava l'allontanamento di due figli minorenni dalla famiglia di origine, disposto a causa di episodi di violenza dovuti al comportamento del padre, precedentemente evaso dalla prigione belga in cui era rinchiuso per gravi reati, e a fatti verificatisi ad opera di ulteriori persone.

53. Per un approfondimento sull'impatto della Convenzione e della giurisprudenza di Strasburgo nell'ordinamento nazionale si rimanda al paragrafo 3.1.5.

54. Si vedano gli artt. 139 a e 141 c della legge federale svizzera sull'ordinamento giudiziario i quali, come riportato in I.C. Barreto, L'impatto della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e della giurisprudenza della Corte europea sulla giurisprudenza nazionale, in «Rivista internazionale dei diritti dell'uomo» 2001, p. 99 ss., prevedono la revisione di una sentenza emessa da un Tribunale nazionale, nel caso in cui la Corte abbia rilevato la fondatezza di un ricorso individuale per violazione della Convenzione. Si veda inoltre la sentenza 6 dicembre 1988, Barberà, Messegué e Jabardo, Serie A, n. 146 nella quale il Tribunale costituzionale spagnolo, facendo prevalere la giustizia 'materiale' su quella 'formale', ha fornito un prezioso esempio di come i giudici interni possono fungere da stimolo, anche nei confronti del potere legislativo, per l'armonizzazione tra ordinamento nazionale e sistema convenzionale.

55. Secondo lo studio condotto da I.C. Barreto, op. cit., in materia di revisione del procedimento interno è possibile infatti individuare tre categorie: a) Stati dotati di una regolamentazione specifica (Austria, Germania, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Polonia e Svizzera); b) Stati nei quali sono ipotizzabili procedimenti di revisione (Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Finlandia, Francia, Regno Unito, Russia, Spagna e Svezia); c) Stati nei quali un procedimento di revisione è considerato quasi impossibile (Cipro, Italia, Lettonia, Liechtenstein, Lituania e Paesi Bassi). Il testo stesso rimanda poi al documento del Consiglio d'Europa DH-PR (99) 10 rev., del 28 agosto 2000, Riapertura dei procedimenti davanti ai tribunali nazionali a seguito delle conclusioni di violazione pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.

56. Art. 1 CEDU.

57. Cfr. A. Bultrini, Il meccanismo di protezione dei diritti fondamentali istituito dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Cenni introduttivi in B. Nascimbene (a cura di), op. cit.

58. Cfr. le Risoluzioni interlocutorie DH (2001) 65 del 29 maggio 2001 e DH (2001) 151 del 15 ottobre 2001 relative al caso Scozzari e Giunta sopra citato, richiamate da A. Bultrini, Il meccanismo di protezione dei diritti fondamentali istituito dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Cenni introduttivi in B. Nascimbene (a cura di), op. cit., p. 47.

59. L'art. 8 dello Statuto del Consiglio d'Europa sancisce che: «Ogni Membro del Consiglio d'Europa che contravvenga alle disposizioni dell'articolo 3, può essere sospeso dal diritto di rappresentanza e invitato dal Comitato dei Ministri a recedere nelle condizioni di cui all'articolo 7. Il Comitato può risolvere che il Membro, il quale non ottemperi a tale invito, cessi d'appartenere al Consiglio dal giorno stabilito dal Comitato stesso». Si veda anche quanto disposto analogamente dall'art. 7 del Trattato sull'Unione europea, adottato a Maastricht nel 1992.

60. Gazzetta Ufficiale n. 15 del 19 gennaio 2006.

61. Art. 5, comma 3 lett. a della legge 400/1988.

62. Si vedano i casi Bracci del 13 ottobre 2005, Dorigo del 16 settembre 2000, F.C.B. del 28 luglio 1991, R.R. del 9 giugno 2005, Sejdovic del 10 novembre 2004, relativi alla violazione da parte dell'Italia dell'art. 6 della CEDU.

63. Il Comitato riprenderà l'esame dei progressi compiuti nell'esecuzione delle sentenze e delle decisioni nella prossima riunione (17-18 ottobre 2006). Per quanto riguarda i testi adottati in precedenza dal Comitato dei Ministri e dall'Assemblea parlamentare si segnalano rispettivamente le risoluzioni DH (2002)30, DH (2004)13, DH (2005)85; la risoluzione 1411 (2004) e la raccomandazione 1684 (2004).

64. Indicativo del ruolo fondamentale dei mezzi di comunicazione è il caso Hakkar c. Francia del 1991. Come riferito da A. Bultrini, Il meccanismo di protezione dei diritti fondamentali istituito dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Cenni introduttivi in B. Nascimbene (a cura di), op. cit., a seguito di un lungo periodo di riluttanza da parte della Francia ad attuare le misure conseguenti alla violazione dell'art. 6 dichiarata dalla Corte EDU, il quotidiano Le Monde del 16 febbraio 2000 aveva dato forte risalto alla vicenda, sottolinenado in particolare lo sconcerto che essa aveva destato a livello europeo e appoggiando l'iniziativa legislativa volta a permettere la riapertura del processo in casi analoghi. Il Parlamento francese giunse quindi ad una modifica del c.p.p. in tale direzione.

65. Così A. Bultrini, Il meccanismo di protezione dei diritti fondamentali istituito dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Cenni introduttivi in B. Nascimbene (a cura di), op. cit.

66. Art. 231 Trattato CE.

67. Così G. Gaja, Introduzione al diritto comunitario, cit., p. 59. Si veda in proposito il paragrafo 22 della sentenza della Corte di giustizia del 1 giugno 1994, Parlamento c. Consiglio, causa C-388/92 in «Raccolta» 1994, p. I-2067. Nella sentenza resa nel caso Consiglio c. Parlamento il 3 luglio 1986, causa 34/86 in «Raccolta» 1986, p. 1339 la Corte ha inoltre esteso l'applicazione dell'art. 231 ad atti diversi dai regolamenti.

68. Cfr. G. Gaja, Introduzione al diritto comunitario, cit., pp. 68-69.

69. Le condizioni cui è sottoposta tale possibilità sono individuate dalla Corte nella sentenza del 6 ottobre 1982, CILFIT c. Ministero della Sanità, causa 283/81 in «Raccolta» 1982, p. 3415.

70. Corte di giustizia, sentenza 13 maggio 1981, Spa International Chemical Corporation c. Amministrazione delle finanze dello Stato in «Raccolta» 1981, p. 1191, causa 66/80. Rimane peraltro la possibilità per il giudice di sottoporre nuovamente la questione alla Corte, soprattutto quando si tratta di individuare in concreto gli effetti della dichiarazione di invalidità e la loro operatività temporale.

71. Si vedano le considerazioni svolte nel paragrafo 2.4, relativamente alle condizioni che un provvedimento nazionale deve soddisfare per poter essere sottoposto al vaglio della Corte di giustizia, con riferimento al rispetto della CEDU.

72. Il paragrafo 82 della sentenza della Corte di giustizia del 4 luglio 2000, Commissione c. Grecia, causa C-387/97 in «Raccolta» 2000, p. I-5047 afferma che: «per giurisprudenza consolidata, l'esigenza di un'immediata e uniforme applicazione del diritto comunitario impone che tale esecuzione sia iniziata immediatamente e conclusa entro termini il più possibile ristretti».

73. Art. 228 Trattato CE.

74. Si veda la sentenza della Corte di giustizia del 13 luglio 1972, Commissione c. Italia, causa 48/71 in«Raccolta» 1972, p. 529. Gaja sottolinea la mancanza, in questa come in altre pronunce della Corte, di un'individuazione più precisa dei provvedimenti che lo Stato è tenuto ad adottare in Introduzione al diritto comunitario, cit., p. 51.

75. Questa nuova procedura, introdotta nel 1992 con il Trattato di Maastricht, ricalca sostanzialmente quella delineata dall'art. 226 Trattato CE.

76. La Corte di giustizia ha per la prima volta comminato una sanzione pecuniaria a carico di uno Stato inadempiente, con la sentenza resa nel caso Commissione c. Grecia prima citato, individuando i criteri da utilizzare per garantire la natura coercitiva della sanzione inflitta.

77. Così G. Gaja, Introduzione al diritto comunitario, cit., p. 52.

78. Come peraltro fa notare Gaja, le persone fisiche e giuridiche hanno la possibilità di ricorrere ai giudici nazionali facendo valere la responsabilità dello Stato inadempiente, mentre la Corte non permette agli Stati di avvalersi di contromisure nei confronti degli altri Stati che abbiano violato i propri diritti (Ivi, p. 53).

79. Art. 220 Trattato CE. B. De Witte sottolinea in proposito che «era chiaro fin dall'inizio che una delle sue principali funzioni fosse controllare la legittimità degli atti della Comunità» in The Past and Future Role of the European Court of Justice in the Protection of Human Rights, in P. Alston, M. Bustelo e J. Heenan, The EU and Human Rights, Oxford University Press, New York 1999, pp. 859 ss.

80. Da sottolineare peraltro come il Ministro degli esteri francese Robert Schuman, in occasione della proposta nel 1950 di istituire la Comunità europea del carbone e dell'acciaio, CECA, individuava in tale progetto «il fermento di una comunità più ampia e più profonda». Cfr. G. Gaja, Introduzione al diritto comunitario, cit., p. 3.

81. Si veda ad esempio C. Turner, Human Rights Protection in the European Community: Resolving Conflict and Overlap Between the European Court of Justice and the European Court of Human Rights, in «European Public Law» 1999.

82. Viene normalmente citata la sentenza del 4 febbraio 1959, Friedrich Stork and Co. c. L'Alta Autorità della Comunità europea del carbone e dell'acciaio, causa 1/58 in «Raccolta» 1958-59, p. 44. In tale occasione in realtà la Corte, più che un rifiuto tout court ad occuparsi dei diritti dell'uomo, aveva espresso la propria incompetenza a conoscere il conflitto tra norme di diritto interno e norme di diritto comunitario (si trattava in concreto di un asserito contrasto tra una decisione proveniente dalla CECA e l'ordinamento costituzionale tedesco). La Corte aveva infatti affermato che essa «deve semplicemente garantire il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione del Trattato e dei regolamenti di esecuzione, ma non è di regola tenuta a pronunciarsi in merito alle norme dei diritti nazionali».

83. Corte di giustizia, sentenza 5 febbraio 1963, Van Gend en Los c. Amministrazione olandese delle imposte, causa 26/62 in «Raccolta» 1963, p. 1. Come fa notare A. Bultrini, il riconoscimento della titolarità di diritti soggettivi è la premessa indispensabile perché determinati diritti individuali vengano qualificati come fondamentali (La pluralità dei meccanismi di tutela dei diritti dell'uomo in Europa, Giappichelli editore, Torino 2004). Si veda inoltre la sentenza Maurice Alvis c. Consiglio della Comunità economica europea, causa 32/62 in «Raccolta» 1963, p. 97 in cui la Corte fa riferimento ai principi comuni a tutti gli Stati membri della Comunità, e la sentenza del 1 luglio 1964 Robert Degreef c. La Commissione della Comunità economica europea, causa 80/63 in «Raccolta» 1964, p. 761.

84. Espressione utilizzata più volte da A. Bultrini, La pluralità dei meccanismi di tutela dei diritti dell'uomo in Europa, cit.

85. J.A. Frowein afferma infatti che la CEDU «fu soprattutto, fino agli anni '70, ciò che è possibile definire la bella addormentata» in Sistemi regionali di tutela dei diritti dell'uomo: conquiste e problemi, in «Rivista internazionale dei diritti dell'uomo» 1992, p. 855.

86. Alcuni sostengono invece la presenza di un'ulteriore motivazione consistente nell'importanza crescente che la tematica dei diritti umani andava assumendo negli anni '60. J.H.H. Weiler e N.J.S. Lockhart sostenevano infatti che «anche se la protezione dell'integrità dell'ordine legale ha fornito alla Corte la motivazione primaria, questo sviluppo è stato un'inevitabile conseguenza di Van Gend en Los ed è stato affiancato ad altre pesanti ma sussidiarie motivazioni, come la protezione individuale in una politica caratterizzata da un profondo deficit democratico, dal cambiamento del contesto storico e dalla consapevolezza internazionale dei diritti umani. Com'è usuale, altruismo e opportunismo sono spesso intrecciati» in "Taking Rights Seriously" Seriously: the European Court and its Fundamental Rights Jurisprudence in «Common Market Law Review» 1995.

87. Le questioni pregiudiziali che hanno dato origine alla tutela dei diritti dell'uomo anche da parte della Corte, sono infatti state sollevate da giudici tedeschi.

88. Corte di giustizia, 12 novembre 1969, Erich Stauder c. città di Ulm-Sozialamt, causa 29/69 in «Raccolta» 1969, p. 419.

89. Corte di giustizia, 17 dicembre 1970, Internationale Handelsgesellschaft mbH c. Einfuhr-und Vorratsstelle, causa 11/70 in «Raccolta» 1970, p. 1125.

90. Si veda la sentenza del 14 maggio 1974, J. Nold, Kohlen-und Baustoffgrosshandlung c. Commissione delle Comunità europee, causa 4/73 in «Raccolta» 1974, p. 491. Inoltre nella sentenza 13 dicembre 1979, Hauer, cit., la Corte, dopo aver ripetuto quanto espresso nella sentenza prima citata, aggiunge infatti che «i trattati internazionali in materia di tutela dei diritti dell'uomo, cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito, possono del pari fornire elementi di cui occorre tener conto nell'ambito del diritto comunitario» e ricorda che tale orientamento era stato ripetuto nella dichiarazione comune dell'Assemblea, del Consiglio e della Commissione del 5 aprile 1977 in cui era stata espressamente richiamata anche la Convenzione europea.

91. Si veda la sentenza del 28 ottobre 1975, Roland Rutili c. Ministre de l'Intérieur, causa 36/75 in «Raccolta», p. 1219.

92. Si veda la sentenza Marguerite Johnston c. Chief Constable of the Royal Ulster Constabulary, causa 222/84 in «Raccolta» 1986, p. 1651. Da notare peraltro come in tale pronuncia la Corte rileva che le disposizioni della CEDU ricalcano quanto già ricavabile dalla normativa comunitaria affermando, con riferimento ad una direttiva in materia di discriminazione, che «il sindacato giurisdizionale che il succitato articolo vuole sia garantito costituisce espressione di un principio giuridico generale su cui sono basate le tradizioni comuni agli Stati membri. Detto principio è stato del pari sancito dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali».

93. Cfr. G. Gaja, Aspetti problematici della tutela dei diritti fondamentali nell'ordinamento comunitario in «Rivista di diritto internazionale» 1988.

94. In realtà nella sentenza resa nel caso Hauer prima citata, l'unica da cui è ricavabile tale atteggiamento della Corte, essa, lungi dall'aver effettuato una reale comparazione, si è limitata a richiamare alcune norme costituzionali degli Stati membri.

95. In molte pronunce la Corte, pur occupandosi di diritti fondamentali il cui contenuto era ricalcato sulle garanzie sancite dalla CEDU, non si è espressamente richiamata ad essa.

96. Così G. Gaja, New Instruments and Institutions for Enhancing the Protection of Human Rights in Europe?, in P. Alston, M. Bustelo e J. Heenan, op. cit., p. 794.

97. Artt. 235 e 288 Trattato CE.

98. Corte di giustizia, sentenza 25 luglio 2002, Unión de Pequeños Agricultores c. Consiglio, causa C-50/00 P in «Raccolta» 2002, p. I-6677.

99. Ibidem. Nella sentenza Philip Morris International, Inc. e altri c. Commissione delle Comunità europee, cause riunite T-377/00, T-379/00, T-380/00, T-260/01, e T-272/01 il Tribunale di primo grado sostiene a tal riguardo che «il giudice comunitario non può sostituirsi al potere costituente comunitario per procedere ad una modifica del sistema dei rimedi giuridici e dei procedimenti istituiti dal Trattato».

100. Cfr. A. Bultrini, La pluralità dei meccanismi di tutela dei diritti dell'uomo in Europa, cit., p. 25.

101. Tale precisazione implica inoltre che la ricostruzione della tutela dei diritti fondamentali va condotta nell'ambito dell'ordinamento comunitario, in modo autonomo rispetto alla tutela garantita dagli ordinamenti nazionali.

102. Corte di giustizia, sentenza 13 luglio 1989, Hubert Wachauf c. Repubblica federale di Germania, causa 5/88 in «Raccolta» 1989, p. 2609.

103. Corte di giustizia, sentenza 30 settembre 1987, Meryem Demirel c. Comune di Schwäbisch Gmünd, causa 12/86 in «Raccolta» 1987, p. 3719. La Corte affermò in particolare che l'accordo del 1963 con cui era stata creata un'associazione tra la Comunità e la Turchia e il protocollo addizionale del 1970 non potevano essere considerate norme direttamente applicabili nell'ordinamento interno degli Stati membri. La Corte concluse l'esame della questione affermando che essa «deve vegliare al rispetto dei diritti fondamentali nella sfera del diritto comunitario, ma non può sindacare la compatibilità, con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, di una disciplina nazionale che non rientri nell'ambito del diritto comunitario. [...] non vi sono attualmente norme di diritto comunitario che definiscano le condizioni alle quali gli Stati membri devono autorizzare il raggiungimento da parte della famiglia dei lavoratori turchi legittimamente stabiliti nella Comunità. [...] stante così le cose, la Corte non è competente a valutare la compatibilità di una normativa nazionale come quella in questione coi principi sanciti dall'articolo 8 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo». Per osservazioni ulteriori su questo tema A. Bultrini, La pluralità dei meccanismi di tutela dei diritti dell'uomo in Europa, cit. A fronte dell'emanazione della direttiva 2003/86/CE sul ricongiungimento familiare la situazione è naturalmente molto diversa. Per osservazioni in tal senso si veda il paragrafo 4.1.

104. Cfr. G. Gaja, Aspetti problematici della tutela dei diritti fondamentali nell'ordinamento comunitario, cit., p. 587.

105. Per la questione inerente all'ammissibilità della richiesta di parere, che esula dall'argomento trattato, si rimanda ai paragrafi 1-22 del parere suddetto 2/94 del 28 marzo 1996, Parere sull'adesione della Comunità alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo in «Raccolta» 1996, p. I-1759.

106. Corte di Giustizia, sentenza del 29 maggio 1997, Kremzov, causa C-299/95 in «Raccolta» 1997, p. I-2629.

107. Così A. Adinolfi (a cura di), Materiali di diritto dell'Unione europea in nota al parere 2/94, cit., p. 253.

108. Per osservazioni in tal senso A. Bultrini, La pluralità dei meccanismi di tutela dei diritti dell'uomo in Europa, cit., p. 29.

109. Ad esempio in materia di equo processo (art. 6. CEDU), di vita privata (art. 8 CEDU), di libertà d'informazione e di espressione (art. 10 CEDU), di divieto di discriminazione (art. 14 CEDU).

110. Ad esempio in materia di legalità delle fattispecie incriminatrici e delle pene (art. 7 CEDU), in materia di perquisizioni (art. 8 CEDU). Cfr. A. Bultrini, La pluralità dei meccanismi di tutela dei diritti dell'uomo in Europa, cit., p. 32 ss.

111. Il riferimento è ovviamente al fatto che mentre gli artt. 39 e 43 sanciscono espressamente la libertà di circolazione e di stabilimento, dalla giurisprudenza della Commissione e della Corte EDU si deduce che non è configurabile un diritto di ingresso o soggiorno in un paese del quale non si possiede la cittadinanza, non essendo peraltro sufficienti a garantirlo le disposizioni sulla libertà di circolazione contenute nel protocollo n. 2.

112. P.A. Terenzio, Formione, Libreria Editrice Lombarda, Milano 1995.

113. Si tratta di una prassi riferita da J. Rideau e J.F. Renucci, Dualité de la protection juridictionnelle européenne des droit fondamentaux: atout ou faiblesse de la sauvegarde des droit de l'homme?, in «Justice» 1997, p. 99.

114. Corte di giustizia, sentenza dell'11 gennaio 2000, Regno dei Paesi Bassi e Gerard van der Wal c. Commissione delle Comunità europee, C-174/98 P e C-189/98 P, in «Raccolta» 2000, p. 1 ss.

115. J. Rideau e J.F. Renucci, op. cit., p. 104. Si veda anche B. De Witte, op. cit., p. 878, il quale sostiene che è «molto chiaro che i trattati internazionali sui diritti umani e le costituzioni nazionali (e le loro rispettive applicazioni giudiziarie), non vincolano la Corte di giustizia. Come affermato dalla Corte stessa, essi semplicemente forniscono ispirazione e orientamento».

116. «La Corte di giustizia si sforzerebbe senza dubbio, più di quanto abbia mai fatto, di interpretare la CEDU coerentemente alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo». Così G. Gaja, New Instruments and Institutions for Enhancing the Protection of Human Rights in Europe? in P. Alston, M. Bustelo e J. Heenan, cit., p. 799.

117. Secondo tale articolo infatti «Nessuna delle disposizioni della presente CEDU può essere interpretata in modo da limitare o pregiudicare i Diritti dell'Uomo e le Libertà fondamentali che possono essere riconosciuti in base alle leggi di ogni Parte Contraente o in base ad ogni altro accordo al quale essa partecipi».

118. Cfr. A. Bultrini La pluralità dei meccanismi di tutela dei diritti dell'uomo in Europa, cit., p. 319. Egli fa giustamente notare come tale adattamento rispetto agli standard esistenti a livello interno sarebbe di difficile realizzazione, data la difficoltà che inevitabilmente incontrerebbe la Corte EDU a imporre agli Stati membri orientamenti più garantisti, adottati però solo da alcuni di essi nel proprio ordinamento.

119. G. Gaja, New Instruments and Institutions for Enhancing the Protection of Human Rights in Europe? in P. Alston, M. Bustelo e J. Heenan, cit., p. 798.

120. Ivi, p. 797.