ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Prefazione

Gianni Giordano, 2006

Se osservassimo con metodo storico comparativo il diritto oggettivo, inteso come "ordinamento giuridico, e pertanto, un insieme di norme (di condotta e di struttura, generali e individuali) che, nel rispetto e per la realizzazione di fondamentali valori, organizza un corpo sociale", (1) ci accorgeremmo che e il diritto sostanziale e quello processuale da sempre hanno avuto una considerazione "particolare" dei malati di mente, del loro stato di ridotta o assente responsabilità, con tutto ciò che ne deriva sul piano dei diritti loro riconosciuti e talora negati. Basterebbe citare solo alcuni esempi per suffragare tale affermazione: agli albori della storia di Roma i "fatui" e i "furiosi" se avessero commesso un reato non venivano puniti; nella legislazione giustinianea, erano causa di esclusione della pena la "dementia", la "insania", la "fatuitas", "la mania"; la Constitutio criminalis carolinae del 1532, le codificazioni del 1700, quelle illuministe, il code Napoleon, i codici pre-unitari, parlavano di "furiosi", di "alienati", di "dementia", di "pazzia" e il Codex juris canonici di Benedetto XV distingue la mentis exturbatio dalla mentis debilitas; in poche parole molti termini per indicare una sola condizione, la follia. I termini usati dal legislatore non sono casuali e riflettono le conoscenze e il sapere di un'epoca e quindi anche il sapere psichiatrico. Scorrendo il nostro codice penale del 1930 e civile del 1942, vi troviamo cristallizzato il sapere della psichiatria italiana dell'epoca. In quei codici vi è la visione positivista e organicista della malattia mentale propria della psichiatria italiana contemporanea alla redazione dei due testi normativi. Per anni è accaduto che diritto e scienza psichiatrica procedessero di pari passo; un connubio armonico che con il tempo è venuto meno. Da un lato, infatti, la legge, i codici, sono rimasti gli stessi, dall'altro, la concezione della malattia mentale è mutata come lo sono le strategie terapeutiche. Pensiamo al fatto che i manicomi sono stati chiusi, è nata la neurofarmacologia, è cambiato il volto della follia, i malati oggi sono "diversi" ma i codici sono gli stessi. Da anni la psichiatria italiana denuncia la discrasia tra legge e scienza psichiatrica, ma nulla è stato fatto al di là della presentazione di disegni di legge puntualmente naufragati. Queste pagine vogliono evidenziare il rapporto tra psichiatria e diritto in un ambito ben delineato: il diritto ed il processo penale.

Sappiamo che anche il codice ed il rito civile, ai fini dell'interdizione e dell'inabilitazione, riconoscono l'importanza della sanità mentale, ma non sarà tema di queste pagine. Del diritto e del processo penale, saranno analizzati i concetti di imputabilità e di pericolosità sociale (2) e sarà descritto il mezzo attraverso il quale la psichiatria entra nel processo penale: la perizia psichiatrica. Di questa saranno evidenziati e i momenti processuali in cui s'inserisce, e il concreto svolgimento della stessa. Infine attraverso l'indagine sul campo (colloqui con psichiatri) si tratterà di cogliere lo stato d'animo con cui i professionisti vivono quotidianamente il connubio non idilliaco tra diritto e psichiatria.

Note

1. La definizione di diritto oggettivo è di L.L. Vallauri ed è tratta da: Corso di filosofia del diritto. CEDAM.

2. La presente relazione tratterà il tema dell'imputabilità e della perizia. Per la parte relativa alla pericolosità sociale rinvio alla relazione di A. Marconi con cui ho collaborato nello studio della perizia psichiatrica.