ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

L'art. 94 D.P.R. 309/1990 attraverso alcune esperienze di operatori giuridici e sociali e di tossicodipendenti beneficiari della misura

Vittoria Furfaro, 2005

L'affidamento in prova in casi particolari di cui all'art. 94 del Testo Unico in materia di disciplina degli stupefacenti rientra all'interno del nostro ordinamento fra una serie di disposizioni volte a stabilire una normativa particolare in campo penale per il trattamento del tossicodipendente che si renda anche responsabile di qualche reato. Il presupposto alla base di tale disciplina è la necessità di tenere conto delle peculiari problematiche ed esigenze del soggetto tossicodipendente che sia nello stesso tempo responsabile penalmente, condannato e quindi suscettibile di esecuzione della pena. L'affidamento 'terapeutico' è finalizzato, insieme alla misura della sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'art. 90 dello stesso Testo Unico, a far evitare il carcere al tossicodipendente, in quanto persona caratterizzata da una personalità estremamente fragile e in quanto bisognoso di un trattamento 'terapeutico' che gli permetta di superare lo stato di dipendenza dalla droga.

La dipendenza, infatti, sconvolge la vita del tossicodipendente, soggiogandolo e facendogli assumere una "doppia personalità" (1): quando è "fatto è la persona tranquilla di sempre", quando non è sotto l'effetto di sostanze stupefacenti, in crisi di astinenza, "perde totalmente il controllo". Inoltre la droga è un fattore notevolmente criminogeno dal momento che il tossicodipendente "è sempre alla ricerca di soldi" (2), per cui per potersi procurare la dose, può compiere una serie di reati, anche di una certa gravità. Non è un caso che i reati più comuni commessi dai tossicodipendenti siano reati contro il patrimonio: rapine, furti, ricettazioni, estorsioni anche a danno dei propri familiari, e in primo luogo lo 'spaccio', che è il modo più frequente per procurarsi la sostanza.

Da queste premesse è facile intuire l'estrema facilità con cui il tossicodipendente può arrivare a delinquere, pertanto nel comminargli una pena per il reato commesso e nel fargliela eseguire, non si può prescindere dal tenere in considerazioni le peculiari condizioni in cui versa: si tratta innanzitutto di una persona con problemi, già prima della dipendenza, altrimenti non sarebbe caduto nel 'tunnel della droga', e in secondo luogo di una persona che 'sfoga' o comunque vive il proprio disagio con comportamenti di 'devianza' da quelle che sono le comuni regole di una 'normale' vita sociale, prima ancora che con comportamenti antigiuridici.

E' interessante al riguardo considerare sia le problematiche che spingono il soggetto tossicodipendente all'assunzione di sostanze stupefacenti, sia il contesto sociale di provenienza della maggior parte delle persone che presentano problemi di dipendenza: da tutte le interviste fatte emerge come la causa prima, o se non si vuol parlare di causa, l'esperienza che fa da sfondo alla droga sia un disagio familiare, "si tratta in genere di persone che hanno difficoltà in famiglia, non riescono a comunicare con i genitori e con il contesto che hanno intorno" (3), "sono ragazzi che non hanno delle figure genitoriali autorevoli, delle guide educative di riferimento" (4), e tale disagio familiare a sua volta determina una "scarsa autostima e una fragile personalità" (5). Non è più rassicurante il contesto sociale di appartenenza, nella maggior parte dei casi i ragazzi in affidamento o comunque con problemi di tossicodipendenza provengono da aree suburbane, ambienti degradati e socialmente depressi, dove sono scarse le possibilità di trovare un lavoro, dove scarsa è l'importanza data alla scolarizzazione - la percentuale di ragazzi che termina gli studi con il diploma di scuola media inferiore è notevolmente elevata - e dove è facile venire a contatto con persone che hanno intrapreso una carriera criminale o comunque deviante (6).

Quindi dimostrato il background piuttosto problematico del tossicodipendente, che giustifica la necessità in primo luogo di un trattamento terapeutico per risolvere il problema della dipendenza, e in secondo luogo, ma non di minore importanza, di un trattamento rieducativo e risocializzativo per tentare di condurre gradualmente il soggetto all'acquisizione di fiducia in se stesso e nelle proprie capacità e quindi al reinserimento in società, si deve anche dimostrare l'inopportunità di fare eseguire la pena attraverso la detenzione in carcere ad un soggetto che presenta tal tipo di problematiche. E' probabile, infatti, che se il soggetto tossicodipendente non versasse in questa situazione di 'accecante' dipendenza che lo porta ad assumere un altro stile di vita, non sarebbe neppure un delinquente, in quanto nella stragrande maggioranza dei casi, i tossici rispondono per reati strettamente connessi al loro status, perciò è opportuno evitare il contatto con criminali di ben altro spessore ed intraprendere un tentativo di recupero. Ma soprattutto il carcere è poco adatto al tossicodipendente più che ad ogni altro 'deviante', a causa della estrema fragilità e del carattere estremamente sensibile che in genera presenta: innanzitutto il carcere è repressivo, non aiuta né a superare la dipendenza, né a eliminare il disagio; inoltre essendo il tossico particolarmente "influenzabile, è bene evitare di inserirlo nei circuiti penitenziari dove la consistente presenza di persone aggressive e violente, assolutamente non lo aiuterebbe" (7); infine per il tossicodipendente il carcere può divenire ancora più difficile da vivere in quanto "a parte il fatto che si devono affrontare quasi da soli le crisi di astinenza, si deve soprattutto superare il periodo di adattamento al modello carcerario" e quindi si corre il rischio di diventare facile 'preda', di delinquenti dalla spiccata capacità di assumere posizioni di supremazia e di comando sugli altri "se capiscono che possono fidarsi" (8).

Alla luce di queste rilevanti esigenze, il legislatore ha approntato delle misure alternative alla detenzione in carcere in modo da favorire il recupero del tossicodipendente ed attuare il disposto di cui all'art. 27, terzo comma, della nostra Carta costituzionale: "le pene [...] devono tendere alla rieducazione del condannato". Tuttavia, come si è visto esaminando la disciplina in materia, sono stati anche previsti delle condizioni e dei limiti per poter accedere al beneficio della misura alternativa al carcere, sia che si tratti della sospensione della pena detentiva sia che si tratti dell'affidamento in prova in casi particolari. Vediamo dunque come e se concretamente funziona tale assetto legislativo tenendo sempre presente la finalità che lo ispira, ovvero il recupero, la rieducazione e il reinserimento del soggetto tossicodipendente (9).

1. L'affidamento in prova in casi particolari nel diritto vivente nelle aule del Tribunale di sorveglianza di Catanzaro e negli uffici del Centro Servizi Sociali per Adulti di Catanzaro

L'art. 94 del Testo Unico in materia di stupefacenti stabilisce (10) delle condizioni e dei limiti per poter accedere al beneficio della misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale. Innanzitutto la misura è rivolta al solo "tossicodipendente che abbia in corso un programma di recupero o che ad esso intenda sottoporsi" e che sia stato condannato ad una pena inflitta o ancora da scontare nel limite di quattro anni; quindi si richiede che il condannato sia persona tossicodipendente, tale status deve essere attestato da una certificazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica, ovvero il Servizio pubblico per le tossicodipendenze (Ser.T) (11) operante presso ogni ASL, e deve essere sussistente (12) nel momento in cui la pena deve essere eseguita. La tossicodipendenza, come si è detto, consiste in una "soggezione alla sostanza stupefacente" tale da determinare ogni azione del tossicodipendente in funzione della ricerca di disponibilità della stessa (13).

Altra condizione è lo svolgimento in corso di un programma di recupero, per cui non sarebbe opportuno sospenderlo per eseguire la pena in carcere, o l'intenzione di sottoporsi ad un percorso trattamentale, anche se al riguardo la Cassazione ha sostenuto che per l'applicazione della misura non basta l'intenzione ma occorre anche che sussistano condizioni ed elementi che possano portare a giustificare un giudizio prognostico favorevole (14) sulla buona riuscita del beneficio. In particolare lo stesso art. 94 prevede che il programma di recupero sia concordato dal soggetto con una azienda sanitaria locale o con un ente ausiliario, in primis le comunità, e che di tale programma sia attestata l''idoneità' da parte del Ser.T. Tali certificazioni devono essere allegate alla domanda con cui si propone istanza per l'affidamento terapeutico.

Comunque occorre distinguere le due differenti ipotesi dell'istanza proposta da 'liberi' (15) e dell'istanza proposta da 'detenuti' (16): l'interessato può infatti chiedere "in ogni momento" di essere ammesso all'affidamento in prova. Per il detenuto che voglia ottenere il beneficio è previsto che venga redatta la cosiddetta "relazione di sintesi", ovvero l'équipe operante nella casa circondariale, di cui fanno parte il direttore e l'educatore del carcere, nonché l'assistente sociale del C.S.S.A., compie un'osservazione sul detenuto e sulla sua personalità, al fine di stabilire se il soggetto possa aspirare alla misura alternativa, e redige una relazione che presenta al Tribunale di sorveglianza al quale dà contestualmente un parere sull'opportunità o meno di concederla. Per quanto riguarda i liberi, invece, l'attività di osservazione è compiuta esclusivamente dal C.S.S.A., il quale redige una "relazione sociale" sulla base delle informazioni ottenute esaminando il soggetto durante la sua vita da libero, con particolare attenzione al modo di porsi rispetto alla commissione dei reati e alle prospettive future che potrebbe avere. Anche tale relazione viene poi presentata al Tribunale di sorveglianza, al quale il .C.S.S.A. propone il ragazzo per un beneficio, se lo ritiene opportuno.

Il Tribunale a questo punto, "fissa senza indugio" (art. 92 D.P.R. 309/1990) la data della trattazione e all'udienza è necessario che compaia il richiedente affinché la domanda possa avere buon esito. Il Tribunale compie una serie di valutazioni, in primo luogo accerta la sussistenza del limite di pena di quattro anni, tenendo in considerazione solo la pena che il condannato deve effettivamente scontare; in secondo luogo valuta le relazioni provenienti dall'équipe del carcere o dal C.S.S.A., in genere tenendole in grande considerazione, "ci atteniamo a questo tipo di indicazioni perché riteniamo che la cosa principale sia a tutela del soggetto, sia a tutela della società, sia il recupero del soggetto perciò se è proposto un programma di recupero ben venga" (17). Tuttavia a volte capita che il Tribunale non si attenga alle proposte avanzate, e questo avviene in due ipotesi in particolare: quando si rende conto che la richiesta di affidamento è strumentale, ovvero è avanzata al solo ed esclusivo fine di sottrarsi al carcere, e quando si tratta di soggetti portatori di una notevole pericolosità sociale, che hanno già avuto misure alternative, senza averle rispettate e che quindi non danno affidabilità sulla possibilità di autodeterminarsi verso un serio percorso trattamentale. Sia l'équipe che il C.S.S.A. cercano di tenere in considerazione i "sentimenti e le necessità del tossicodipendente" (18), riportandoli poi nelle relazioni stilate. Il Tribunale, invece, molto spesso non si attiene alle richieste del soggetto se costui propone istanza per l'affidamento da adempiere con un "programma territoriale presso il Ser.T", preferendo invece il trattamento terapeutico presso la comunità, in quanto il programma territoriale consiste essenzialmente nell'adozione di un trattamento farmacologico sostitutivo tramite il metadone, di colloqui psicologici periodici con gli operatori del Ser.T e di controlli tossicologici delle urine, e permette al soggetto di stare a casa propria, quindi con una certa libertà di movimento. Al riguardo la Cassazione ha comunque stabilito che "non richiedendo la norma [art. 94 D.P.R. 309/1990, N.d.A.] che il programma terapeutico debba essere necessariamente attuato in struttura 'residenziale', ma soltanto che esso sia concordato con una unità sanitaria locale o con un ente ausiliario, deve escludersi che il diniego della misura alternativa in questione possa essere validamente motivato con il semplice richiamo alla mancata previsione dell'attuazione del programma di recupero in struttura residenziale" (19). Perciò il Tribunale di Catanzaro nel momento in cui rigetta delle richieste di affidamento terapeutico di tipo territoriale che non ritiene adeguate, spiega nella motivazione che per la personalità del soggetto tale tipo di affidamento non è opportuno e suggerisce che andrebbe bene un affidamento in comunità. Tale orientamento è condiviso anche dal C.S.S.A, il programma territoriale permette infatti al soggetto di poter vivere a casa propria, recandosi al Ser.T secondo delle scadenza prefissate, e "il Ser.T non può garantire di essere in grado di seguire in maniera ravvicinata il tossicodipendente, né il colloquio settimanale può bastare al magistrato di sorveglianza per avere la certezza e la tranquillità che la misura sia svolta in modo regolare" (20). La scarsa propensione a concedere l'affidamento con programma territoriale non deve comunque indurre a ritenere che questo non venga mai concesso; al contrario tale modalità di svolgimento della misura viene preferita nell'ipotesi in cui, a causa della notevole lentezza della giustizia italiana, il tossicodipendente, fra la data del commesso reato e la data del passaggio in giudicato della sentenza e dell'esecuzione, abbia già intrapreso un percorso di recupero, e magari abbia già trovato un lavoro, messo su famiglia cosicché essendo un soggetto "già parzialmente uscito dal tunnel della droga, può eseguire la misura con un programma di tipo territoriale" (21).

Il Tribunale di sorveglianza, d'altra parte, non è assolutamente vincolato all'attestazione di idoneità del programma, ma "può disporre gli opportuni accertamenti in ordine al programma terapeutico concordato" (art. 94, terzo comma) e deve anche compiere una complessa valutazione circa il probabile conseguimento delle finalità del programma proposto, tenendo anche conto della pericolosità del soggetto e della "attitudine del trattamento a realizzare un suo effettivo reinserimento nella società" (22). Pertanto il Tribunale potrebbe anche rigettare l'istanza qualora ritenesse non idoneo al fine del recupero del soggetto il programma concordato con la comunità o il Ser.T. Tuttavia il Tribunale di Catanzaro finora non ha mai rigettato un istanza sulla base della non idoneità del programma, innanzitutto perché le comunità sono accreditate dai Ser.T, in secondo luogo perché in genere i programmi delle varie comunità sono molto simili fra di loro, prevedendo delle fasi e delle modalità di svolgimento che garantiscano una certa affidabilità nella comunità stessa.

Il Tribunale può influire sulla definizione del programma modulando le prescrizioni, che in genere si limitano a determinare solo quale debba essere la sfera di libertà del soggetto; le prescrizioni più frequenti sono gli obblighi di entrare ed uscire dal domicilio ad una certa ora, il divieto di frequentare pregiudicati, il divieto di frequentare tossicodipendenti, il divieto di uscire da un determinato ambito territoriale. Per il resto il Tribunale si attiene ai programmi e alle prescrizioni stabiliti dalla comunità anche per permettere all'affidato di svolgere le attività della comunità, che molto spesso prevedono un contatto con il mondo esterno. Nel corso della prova e nel caso in cui il programma terapeutico finisca prima del termine della stessa, il magistrato di sorveglianza può modificare le prescrizioni, se lo ritiene opportuno sulla base delle informazioni ricevute dal C.S.S.A. (artt. 97 e 98 regolamento di esecuzione (23)).

Il Tribunale di sorveglianza deve infine accertare che "lo stato di tossicodipendenza o l'esecuzione del programma non siano preordinati al conseguimento del beneficio" (art. 94, terzo comma) (24). Per quanto riguarda il primo punto, cioè la volontaria induzione dello stato di tossicodipendente per sottrarsi al carcere, il magistrato di sorveglianza Antonini sostiene che si tratta di un ipotesi assai remota, infatti il Tribunale necessita di un'attestazione dello status di tossico da parte del Ser.T, il quale a sua volta è in grado di produrla in quanto il soggetto in questione è iscritto presso quel servizio pubblico, perché è già andato a fornirsi di metadone. Il problema si pone quando dal Ser.T si ricevono delle certificazioni in cui si dice: "il soggetto è utente di questo servizio dal...", dalle quali non emerge chiaramente se il tossicodipendente sia ancora tale o si sia già affrancato dal giogo della droga. In tali casi comunque vengono in aiuto le relazioni del C.S.S.A. o dell'équipe del carcere che indagano maggiormente sul vissuto tossicomanico del soggetto e riescono ad appurare se ha finito il programma di recupero o se è ancora vittima della tossicodipendenza anche se è estremamente difficile stabilire quando termina la dipendenza, perché non si tratta solo di dipendenza fisica, ma anche e soprattutto di dipendenza psichica, una fragilità che il soggetto porta dietro con sé per tutta la vita.

Per quanto riguarda invece l'accertamento che il programma di recupero non sia intrapreso al solo fine di sottrarsi al carcere, il discorso si fa più complesso. Innanzitutto il riscontro di tale predeterminazione nel soggetto comporta immediatamente il rigetto dell'istanza; in secondo luogo è facile intuire se il soggetto ha presentato la richiesta di affidamento in maniera strumentale quando si verificano determinate situazioni, ad esempio se l'istanza è stata presentata già da tempo e il soggetto arriva in udienza senza essere ancora andato in comunità. In tutte le altre ipotesi il Tribunale di sorveglianza di Catanzaro, purché vi sia un minimo di volontà da parte del soggetto di intraprendere un percorso trattamentale, tende a concedere la misura dall'affidamento terapeutico, nonostante vi possa essere il rischio che sia richiesta per sottrarsi al carcere perché comunque "si dà al soggetto una possibilità di poter iniziare una nuova vita, e di essere sorretto e incoraggiato in tale percorso, magari alcuni si motivano anche strada facendo" (25).

Infine l'ultimo limite alla concessione dell'affidamento in prova di cui all'art. 94 sta nel divieto di poterne beneficiare per più di due volte (art. 94, quinto comma). Disposizione questa che la dottrina e la giurisprudenza, come già evidenziato, interpretano nel senso di un divieto di reiterazione del beneficio per fatti commessi in un momento successivo alla prima o seconda concessione, divieto non operante nel caso in cui sopraggiungano nuove condanne per reati compiuti prima del conseguimento del beneficio e dunque si realizzi una mera estensione dello stesso. Tuttavia il Tribunale di Catanzaro è piuttosto restio a concedere una misura alternativa per la seconda volta quando il soggetto nonostante abbia beneficiato di un affidamento in prova in passato, sia ricaduto nel problema e nella commissione di nuovi reati.

Resta infine da esaminare in questa sede (26) l'ipotesi del rigetto dell'istanza di affidamento in prova 'terapeutico', sebbene le cause che portano il Tribunale di sorveglianza a respingere tale richiesta siano più o meno emerse nel corso della precedente trattazione della normativa. Il legislatore non ha previsto esplicitamente, fatta salva l'ipotesi della richiesta del beneficio in questione per più di due volte, i casi in cui l'istanza debba essere rigettata, lasciando perciò al Tribunale una certa discrezionalità. In giurisprudenza è comunque prevalente un orientamento teso a concedere nella maggior parte dei casi tale beneficio, in quanto volto al recupero del tossicodipendente. Il Tribunale di Catanzaro generalmente rigetta l'istanza in due ipotesi: quando la richiesta è strumentale, quindi avanzata con la sola finalità di evitare il carcere, e quando il soggetto sia portatore di notevole pericolosità sociale (27). Al riguardo la Cassazione ha sostenuto che essendo la misura finalizzata alla "cura del tossicodipendente, ai fini dalla sua applicazione non può farsi esclusivo riferimento alla pericolosità sociale, ma si deve valutare principalmente l'idoneità della misura stessa al conseguimento del suindicato obiettivo" (28). Tuttavia l'art. 4 bis dell'ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975) esclude l'applicabilità di detta misura nel caso di commissione di reati particolarmente gravi, indice di una consistente pericolosità sociale: "in Calabria esiste il problema della criminalità organizzata, per cui alle volte si tratta di soggetti in contatto con organizzazioni criminali, perciò dobbiamo valutare la pericolosità sociale e l'affidabilità del soggetto" (29) anche a tutela delle stesse comunità, perché "basta solo un soggetto che crei scompiglio e tutto il meccanismo della comunità entra in crisi" dal momento che le comunità sono per l'appunto basate su una notevole responsabilizzazione del soggetto messo a confronto con i suoi "compagni di esperienza" e quindi sul meccanismo, che si potrebbe impropriamente definire 'selettivo', dell'emulazione. Dunque vediamo più da vicino come funzionano tali "enti ausiliari" volti alla cura e alla riabilitazione del tossicodipendente, attraverso l'esperienza concreta di una comunità lametina.

2. Il beneficio dell'affidamento terapeutico all'interno della comunità Fandango di Lamezia Terme

La misura dell'affidamento in prova in casi particolari di cui all'art. 94 del Testo Unico in materia di stupefacenti, è concessa dal Tribunale di sorveglianza con ordinanza "immediatamente esecutiva" (art. 97 regolamento di esecuzione), trasmessa "senza ritardo" al beneficiario della misura, all'ufficio di sorveglianza competente per la prova, al p.m. competente per l'esecuzione e al centro di servizio sociale per adulti (C.S.S.A.) (30). L'ordinanza di affidamento ha però effetto solo se l'interessato sottoscrive il verbale contenente le prescrizioni "con l'impegno" a rispettarle.

Il tossicodipendente in affidamento terapeutico evita il carcere e viene preso in carico dal centro servizi sociali per adulti competente, che si occupa della gestione della misura, dei controlli e delle verifiche sull'andamento del programma. La responsabilità 'giuridica' della misura alternativa in generale, grava in prima battuta sul magistrato di sorveglianza che supervisiona l'andamento del beneficio, e che, qualora debba prendere decisioni di particolare rilevanza, investe della questione il Tribunale di sorveglianza.

Il tossicodipendente che richieda ed ottenga la misura dall'affidamento in prova e che abbia intrapreso o intenda intraprendere un programma terapeutico di tipo 'residenziale', deve avere anche ottenuto preventivamente la disponibilità all'accoglienza da parte di una comunità accreditata dal Ser.T, con il quale dovrebbe essere stipulata un'apposita convenzione (art. 117 T.U. 309/1990) (31). La comunità inoltre 'deve' essere iscritta nell'albo a ciò predisposto, e l'iscrizione è subordinata al possesso di alcuni requisiti minimi, quali personalità di diritto pubblico o privato, o natura di associazione riconosciuta o riconoscibile; disponibilità di locali ed attrezzature adeguate al tipo di attività; personale sufficiente ed esperto in materia di tossicodipendenti (art. 116 secondo comma) (32).

Il ragazzo - perché di ragazzi si tratta avendo tali soggetti nella maggior parte dei casi un età compresa fra i venti e i trenta anni- è preso in carico dal C.S.S.A. ma giunge in comunità tramite il Ser.T (33) che si occupa in particolare di due aspetti: dispone una scaletta farmacologica di metadone oppure subutex (34) e si preoccupa del mantenimento del ragazzo in quanto sostiene la 'retta' dello stesso presso la comunità. La comunità stipula poi con il ragazzo un "contratto terapeutico" (35) attraverso cui quest'ultimo si impegna a partecipare alla realizzazione del programma terapeutico e a ottemperare alle prescrizioni stabilite. Nel caso della comunità esaminata, tale contratto prevede due momenti rilevanti: in primo luogo l'osservazione e l'orientamento in modo che vi sia una conoscenza reciproca fra il soggetto e la comunità; in secondo luogo il programma di assistenza, che prevede una serie di regole di comportamento volte a facilitare, ma soprattutto abituare, alla convivenza con altre persone, nel caso di specie, gli altri 'utenti' della comunità. E' importante che il programma terapeutico sia stabilito tenendo conto delle esigenze e della volontà del soggetto che dovrà poi attuarlo. Al riguardo si è espressa anche la Corte di Cassazione ritenendo illegittimo l'affidamento terapeutico concesso al tossicodipendente quando costui si limita alla sola sottoscrizione del programma terapeutico, predisposto e approvato dalla sola struttura sanitaria pubblica, perché in tal modo il trattamento risulta "imposto al condannato, e non, invece voluto", e la volontarietà del programma si esclude anche laddove si presuppone l'accordo sul metodo da seguire (36).

La comunità Fandango opera ripartendo le proprie energie in due tappe fondamentali del programma terapeutico: la fase dell'accoglienza, il cui obiettivo è la disintossicazione del soggetto tossicodipendente, e la fase del trattamento terapeutico, finalizzata alla rieducazione e al reinserimento. Per raggiungere efficacemente tali obiettivi si compone di due strutture: il centro di prima accoglienza e la sede della comunità vera e propria. Nonostante che il metodo d'intervento sia basato sulla "relazione d'aiuto" tra operatori e utenti della comunità, vi sono delle differenze salienti fra la prima e la seconda fase: la prima 'tappa' è incentrata soprattutto sull'osservazione del soggetto ed ha carattere maggiormente 'direttivo' (37), in quanto essendo di solito i soggetti da rieducare "ragazzi di strada", si deve far loro capire l'importanza del rispetto delle regole e di determinati comportamenti da tenere quando si trovano a contatto con altre persone, "la comunità sostanzialmente costituisce un contesto microsociale all'interno del quale i ragazzi cominciano il loro percorso di reinserimento". Inoltre come si è detto, lo scopo di tale fase è la disintossicazione del soggetto attraverso una terapia farmacologica a base di metadone o subutex, ovviamente forniti dal Ser.T che ne determina anche le modalità, in genere preferendo la terapia 'a scalare'. In tale percorso di superamento della dipendenza fisica è notevole il supporto dato dagli operatori (38) della comunità con colloqui e aiuto nei momenti di difficoltà. La seconda tappa ha invece più carattere relazionale ed è prevalentemente autogestita dai ragazzi, in quanto giungono in tale fase già motivati sul percorso da intraprendere, per cui è lasciata loro maggiore autonomia. In particolare si cerca di responsabilizzarli e far loro acquisire maggior autostima e sicurezza in se stessi, soprattutto attraverso il confronto reciproco e l'emulazione (39). Infatti superata la dipendenza fisica, si deve vincere la dipendenza psichica, passaggio più ostico da affrontare, in quanto la dipendenza psichica può durare anche anni dopo che è terminata la dipendenza fisica, dipendendo il suo superamento esclusivamente dalla volontà del soggetto.

La metodologia utilizzata in comunità, proprio perché incentrata su un approccio relazionale, di sostegno e aiuto al tossico, si fonda sulla volontà del soggetto: ogni singolo aspetto del programma è basato sulla motivazione e sull'impegno personale dell''utente'. Il presupposto di partenza è che "per quanto si possano mettere in atto le più svariate strategie, se una persona giunge in comunità non volontariamente e senza un minimo di maturità, non si ricaverà nulla dal percorso trattamentale", pur ammettendo che riesca a portarlo a termine. Infatti una volta scontata la pena il soggetto è libero e può pertanto decidere in qualsiasi momento di interrompere il percorso.

Dunque il trattamento del tossicodipendente in affidamento terapeutico o comunque sottoposto ad un'altra misura alternativa presso la comunità, per esempio la detenzione domiciliare, è più difficile da perseguire dal momento che nella stragrande maggioranza dei casi il tossico propone istanza per conseguire un beneficio mosso se non esclusivamente, quanto meno in maniera determinante dall'intenzione di sottrarsi al carcere, pertanto manca la volontà dell'interessato che è il presupposto fondamentale per il successo del percorso trattamentale.

Da tutte le interviste emerge chiaramente che sia il magistrato di sorveglianza e il Tribunale, sia gli assistenti sociali del C.S.S.A. e gli operatori della comunità hanno la consapevolezza della notevole forza determinante a proporre istanza esercitata dalla possibilità di evitare la detenzione in istituto. "Noi non lo pensiamo ma sappiamo che la maggior parte dei ragazzi viene qui in comunità per non farsi il carcere" (40); "è chiaro che rientri nella normale logica dare per scontato che dietro l'istanza vi sia il desiderio di evitare il carcere" (41); del resto anche i ragazzi lo ammettono espressamente "ho deciso di proporre istanza per l'affidamento per evitare il carcere" (42). Tuttavia ciò non porta a una totale sfiducia nella buona riuscita del percorso terapeutico "perché comunque si dà al soggetto una possibilità, io credo molto al recupero del tossicodipendente in comunità" (43) e non è escluso che "la motivazione provenga dalla stessa comunità" (44), capita che il ragazzo una volta in comunità capisca di non poter più condurre una certa vita e si impegni a portare a termine il contratto terapeutico. Da questo punto di vista sembra confortante il caso di Antonio, il quale nel primo periodo di affidamento in prova essendo motivato dal solo intento di evitare la detenzione in istituto, ha anche commesso delle evasioni, ma ad un certo punto si è reso conto che essendo in comunità aveva la possibilità di scontare la pena e disintossicarsi, ed ha deciso di intraprendere un serio percorso trattamentale, "per salvare la mia vita".

La comunità Fandango ospita ragazzi che nella maggior parte delle ipotesi sono in esecuzione di una misura alternativa, ad esempio la comunità di prima accoglienza è composta da dodici persone, otto delle quali sono o condannate (45), e quindi stanno scontando la pena attraverso un beneficio, o in attesa della condanna. Le difficoltà più rilevanti nel trattamento del tossico sottoposto a misure esecutive penali, non sono risentite tanto dalla comunità, quanto dal singolo soggetto, dal momento che in genere vive la condanna come pensiero fisso, e questo può ritardare o impedire lo svolgimento del programma.

Ovviamente i tossicodipendenti in affidamento terapeutico presso la comunità sono sottoposti a controllo: il primo controllo è effettuato dagli operatori della comunità, che vigilano sul rispetto delle regole interne alla comunità; si tratta di regole molto semplici ma nello stesso basilari, quali il divieto di usare comportamenti violenti, l'obbligo di collaborare alle varie attività, l'obbligo di comportarsi in maniera rispettosa nei confronti degli altri utenti e degli operatori, previste affinché il ragazzo possa abituarsi al controllo della propria aggressività e all'autocontrollo in generale; l'obiettivo è la rieducazione attraverso la responsabilizzazione. Il mancato rispetto comporta in genere il richiamo da parte degli operatori, ma nei casi più gravi vi è o la comunicazione al C.S.S.A. di una "nota di demerito" (46) che preclude la possibilità di ottenere uno sconto di pena, o l'espulsione dalla comunità.

Vi è poi il controllo da parte del C.S.S.A. e per tramite di tale organo da parte del magistrato di sorveglianza: tale controllo è effettuato innanzitutto attraverso le forze dell'ordine, che verificano se tali soggetti sottoposti a misure alternative, rispettano le prescrizioni, ed eventualmente informano delle eventuali trasgressioni il magistrato. In secondo luogo lo stesso C.S.S.A. nell'ambito della propria attività di gestione della misura, è obbligato a redigere periodicamente delle relazioni sull'andamento del programma, attenendosi alle informazioni date dalla comunità e a svolgere altrettanto periodicamente dei colloqui con il ragazzo. I servizi sociali non esercitano "un controllo di tipo poliziesco, ma un controllo con finalità terapeutica, ovvero si valuta l'andamento, in particolare del processo di interiorizzazione delle norme, affinché queste non siano vissute come un obbligo, ma diventino un bisogno personale del soggetto in questione" (47). D'altra parte il C.S.S.A. fa da intermediario nelle comunicazioni fra la comunità e il magistrato di sorveglianza per cui è sempre al corrente dell'attività della comunità, delle richieste di permessi, delle violazioni delle prescrizioni. Infatti i servizi sociali sono tenuti a riferire al magistrato di sorveglianza notizie sul comportamento del soggetto almeno ogni tre mesi (ex art. 97, nono comma, regolamento di esecuzione).

Nel caso di trasgressione delle prescrizioni (48), la comunità deve informare immediatamente il Ser.T e il C.S.S.A., il quale a sua volta ha la competenza ad informare il magistrato di sorveglianza, anche se nella prassi si verifica molto spesso che la comunità informi direttamente il magistrato. Le violazioni più gravi nell'ambito dell'affidamento in prova terapeutico sono l'abbandono del programma e l'assunzione di sostanze in corso di trattamento, che in un percorso di recupero sono secondo gli operatori 'fisiologiche', ma che se incominciano ad essere frequenti, essendo sintomo della attuale sussistenza della dipendenza e del fatto soprattutto che il soggetto frequenta ancora degli 'spacciatori' e potrebbe perciò continuare a delinquere, inducono il magistrato a sospendere la misura. Tuttavia il magistrato in caso di violazioni, non è obbligato a sospendere immediatamente la misura, può anche preferire dare un'altra possibilità e quindi convoca il ragazzo e gli spiega che l'andamento della misura non è del tutto positivo, per cui deve cambiare atteggiamento se non vuol "finire in galera" (49). Altrimenti il magistrato dispone la sospensione cautelativa della misura alternativa (art. 51 ter ord. penit.) e trasmette gli atti al Tribunale che in trenta giorni deve decidere se revocare la misura oppure se farla proseguire, perché si ritiene che si sia trattato di un "incidente di percorso" o perché la violazione non è particolarmente grave.

La revoca della misura comporta l'immediata carcerazione del soggetto e in tal caso viene in rilievo il problema della determinazione del residuo periodo di pena da espiare, la Corte di Cassazione ha proposto delle precisazioni in merito sostenendo che "il Tribunale di sorveglianza deve prendere in considerazione le limitazioni patite per raffrontarle con quelle osservate, in modo da stabilire fino a quando possa ragionevolmente ritenersi che l'affidato abbia contribuito al raggiungimento di un grado parziale di risocializzazione" (50). Pertanto può anche verificarsi che il Tribunale consideri la pena espiata in affidamento come non utilmente espiata e quindi il periodo di tempo trascorso in misura alternativa non viene affatto computato come parziale esecuzione della pena, così che il tossicodipendente dovrà espiarla per intero.

Se l'affidamento terapeutico procede con notevoli progressi per il tossicodipendente o comunque senza motivi di revoca, al termine del periodo di pena da scontare attraverso il beneficio, il C.S.S.A. redige una relazione conclusiva, sulla base sempre delle notizie e delle attestazioni che provengono dalla comunità, e la trasmette al Tribunale di sorveglianza, il quale a sua volta emette una declaratoria di buon esito della misura alternativa e con un atto formale dichiara estinta la pena e ogni altro effetto penale (art. 47, comma dodicesimo, ord. penit.). A questo punto il C.S.S.A. archivia il fascicolo ed il soggetto è libero, perciò se dovesse avere ancora in corso il programma di recupero, può liberamente decidere se proseguirlo oppure interromperlo. Da questa scelta si capisce se effettivamente il soggetto ha proposto istanza al solo scopo di evitare il carcere o anche perché motivato ad intraprendere un serio percorso trattamentale; sono molti purtroppo coloro che terminata l'espiazione della pena, abbandonano il programma ed una volta fuori vanno a cercare lo 'spacciatore'. I ragazzi, invece che portano a termine il programma terapeutico, vivono anche l'ultima fase dello stesso, che è interamente dedicata al reinserimento in società (51).

Proprio per favorire e facilitare il reinserimento, già nelle altre fasi del programma, la comunità prevede molteplici attività da svolgere fuori dalla stessa (52), a contatto con il mondo esterno. Comunque il vero e proprio reinserimento avviene attraverso il lavoro, a cui i ragazzi sono abituati fin dal primo momento in cui entrano in comunità: il lavoro è considerato la modalità per eccellenza attraverso cui rieducare il 'deviante' (53). I ragazzi svolgono un'attività di formazione al lavoro attraverso tirocini formativi presso quelle poche aziende disposte ad accoglierli, in genere vengono utilizzate a tale scopo delle "borse lavoro", anche se gli operatori lamentano una scarsa attenzione non solo politica, ma anche da parte della società civile a tale problema. Particolari difficoltà al reinserimento tramite il lavoro si hanno per quei soggetti affetti da AIDS o da epatiti (54), essendo poco idonei a tollerare lavori faticosi. Soprattutto la comunità tenta di trovare al ragazzo un lavoro stabile in modo che una volta uscito dalla comunità "abbia qualcosa da fare" e non sia indotto a ritornare nel proprio contesto di provenienza, a contatto con le stesse compagnie e con gli stessi pericoli di prima. Infine la comunità si impegna a mantenere i rapporti con i ragazzi una volta fuori, qualora questi intendano farlo, spesso i ragazzi ritornano in comunità per "chiacchierare con lo psicologo o con qualche operatore" (55).

Una volta finito il programma terapeutico e lasciata la comunità il soggetto deve trovare la forza di affrontare da solo le difficoltà della vita quotidiana, ma è frequente che non tutti ci riescano, è difficile il reinserimento in società per una persona che ha avuto problemi di tossicodipendenza ma soprattutto è difficile superare la dipendenza psichica. Dalle interviste fatte emerge che solo il 2-3% dei ragazzi riesce a reinserirsi integralmente, la maggior parte di loro hanno ricadute nel problema droga e una cospicua percentuale si rende responsabile di nuovi reati. "Il problema più difficile da controllare è quello della recidiva, perché i ragazzi durante l'affidamento riescono a comportarsi bene, risolvono il problema e stanno anche anni senza avere difficoltà, ma ad un certo punto è frequente che ricomincino a drogarsi e a ricommettere reati connessi a tale uso" (56).

Conclusioni

E' opportuno, dopo aver esaminato la disciplina in generale e il funzionamento della misura alternativa dell'affidamento terapeutico in particolare nelle aule del Tribunale di sorveglianza, negli uffici del C.S.S.A. e nella comunità, tracciare un bilancio sugli esiti positivi e sui risvolti negativi del beneficio e rispondere agli interrogativi di partenza, ovvero se tale misura è idonea a risolvere il problema dell'incompatibilità fra tossicodipendenza e carcere; se è efficace nel raggiungimento dell'obiettivo del recupero del tossicodipendente; e infine se è effettivamente conforme ai principi costituzionali che vengono in rilievo al riguardo.

Non occorre soffermarsi più di tanto sul primo interrogativo, ovvero se la misura in questione sia idonea a risolvere il problema dell'incompatibilità tra stato detentivo e status di tossicodipendente, in quanto pare insita nella sussistenza di tale condizione la dimostrazione della necessità di un'alternativa al carcere, e sicuramente l'affidamento in prova è un valido strumento per evitare al condannato tossicodipendente l'esperienza detentiva, seppure nei limite entro i quali è usufruibile. Comunque è verosimile sostenere che la misura alternativa prevista nel caso di specie possa essere considerata necessaria, ma non sufficiente, e il perché di tale insufficienza sarà rilevato meglio dopo aver dato risposta a tutti gli altri interrogativi.

Più rilevante è il secondo interrogativo, ovvero l'idoneità della misura al recupero del tossicodipendente. Infatti "l'affidamento in prova previsto per i tossicodipendenti dall'art. 94 del Testo Unico approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, si differenzia da quello ordinario per la peculiarità del suo obiettivo, che è essenzialmente la cura dello stato di tossicodipendenza" (57), a cui si affianca l'obiettivo perseguito dalla prassi dei Tribunali di sorveglianza e dalle comunità, della rieducazione e del reinserimento in società. Per stabilire se tale misura sia idonea a raggiungere lo scopo prefissato dal legislatore, nel prevederla come misura specifica per il tossicodipendente, sembra interessante considerare innanzitutto le opinioni dei diretti interessati: i ragazzi che la eseguono.

Entrambi i ragazzi intervistati, Antonio e Raffaele, hanno sostenuto che la misura dell'affidamento in prova non sia di per sé sufficiente per risolvere definitivamente il problema della tossicodipendenza, ma la risoluzione "dipende solo dalle persone", "ci sono ragazzi che vengono in comunità solo per scontare la pena, per sottrarsi al carcere". La buona riuscita del percorso terapeutico, che ha come presupposto la volontà del soggetto, è determinata dalla stessa volontà del tossico di venire fuori dal tunnel della droga, anche se ritengo alla luce delle esperienze dei ragazzi, che sia parimenti determinante o comunque la renda più semplice il carattere del soggetto. Antonio avendo un carattere più forte, determinato, sicuro è riuscito a risolvere definitivamente il problema e non abbattersi neppure in seguito all'ulteriore condanna sopraggiunta dopo essersi già ben inserito in società; Raffaele invece, essendo più timido e insicuro, ha portato a termine il programma e si è mantenuto 'sano' fintantoché è rimasto sotto l'egida della comunità, ma una volta solo, è ricaduto nel problema sia della droga che dell'attività delinquenziale connessa a tale uso, anche se "sono riuscito a frenarmi, perché della comunità rimane sempre qualcosa". La comunità plasma il ragazzo, non certo in maniera autoritaria, ma inducendolo a capire, a riflettere sugli sbagli compiuti e sulle prospettive future, "la Fandango non impone nulla, cerca semplicemente di farci capire il perché di ogni regola e soprattutto ci riabitua a vivere secondo certi valori, che noi facendo una determinata vita tendiamo a perdere, e ci insegna ad avere rispetto per noi stessi e per gli altri".

L'esperienza della comunità ha sicuramente un esito positivo per quanto riguarda la rieducazione del ragazzo, quindi da questo punto di vista è bene credere nella finalità rieducativa della stessa e concedere quanto più possibile il beneficio dell'affidamento in prova con un programma di tipo 'residenziale', nel caso di specie. Il magistrato di sorveglianza Antonini considera piuttosto soddisfacente la soluzione legislativa per affrontare il problema del tossicodipendente condannato o detenuto, ritiene infatti che "l'affidamento in prova eseguito presso una comunità sia un ottima soluzione per determinati soggetti, è ovvio che non si riesce a recuperare tutti ma il tentativo va comunque fatto". Il recupero del 'deviante', della persona che sbaglia è "un bene non solo per il soggetto stesso, ma per la società, c'è sostanzialmente un delinquente in meno". Più che di lacune dal punto di vista legislativo, secondo il magistrato di sorveglianza esiste un problema di carenza di strumenti per attuare le varie misure alternative, in generale, previste dal legislatore, ovviamente riferendosi specificamente alla realtà regionale calabrese: ad esempio il C.S.S.A. di Catanzaro ha un organico coperto solo per la metà e deve ciò nonostante occuparsi delle comunità di tre province, Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia, questo comporta che gli assistenti sociali non possano seguire attentamente i soggetti in affidamento né relazionare in maniera approfondita sull'andamento del programma e sul recupero del tossicodipendente al Tribunale di sorveglianza. Ancora oggi dopo un certo periodo di tempo dall'istituzione dei C.S.S.A., non esiste un protocollo d'intesa fra i vari enti operanti nel settore, in modo da consentire un maggior coordinamento sul territorio e quindi poter seguire il detenuto dal momento in cui entra in carcere al momento in cui va in misura alternativa, decidendo di comune accordo quale sia il percorso che quel determinato soggetto possa e debba compiere. Anche gli operatori della comunità hanno lamentato la mancanza di reti di integrazione e di intervento diffusa sul territorio.

Dalle notizie raccolte, mi sembra di poter sostenere che nella maggior parte dei casi la misura alternativa dell'affidamento terapeutico si concluda positivamente (58), nel senso che coloro che decidono di proporre istanza per ottenere il beneficio portano a termine l'esecuzione dello stesso; quindi da un punto di vista strettamente giuridico si potrebbe concludere che la misura dell'affidamento funziona efficacemente. La stessa conclusione, invece non è ammissibile se si considera il proseguo dei ragazzi che hanno beneficiato di un affidamento, dopo la conclusione dello stesso: solo il 2-3 % riesce a reinserirsi e non ricadere nel problema della droga e nella commissione di altri reati (59). Questo significa che finché il ragazzo è sotto tutela riesce a liberarsi dal giogo della droga, non appena esce fuori dalla comunità ricade nel problema; al riguardo credo che vi sia non solo una difficoltà nell'autodeterminarsi o una difficoltà caratteriale, ma anche un'esiguità di mezzi, di opportunità, di 'alternative'. Considerando infatti il passato della maggior parte dei ragazzi tossicodipendenti, emerge come la prima causa di debolezza che può indurre alla sostanza o alla commissione di un reato, sia un disagio personale, in genere legato alla carenza di affetto, o alla mancanza di un contesto sociale 'sviluppato', di un lavoro, di altri 'svaghi', perciò è ovvio che il soggetto, che una volta uscito dalla comunità si ritrovi in quello stesso ambiente, sia indotto a condurre la stessa vita che conduceva prima.

Pertanto per prevenire, prima ancora che 'curare' il problema droga, sarebbe opportuno investire maggiormente nel sociale, e nel caso di specie, sarebbe bene che il soggetto che ha portato a termine l'affidamento terapeutico, e ha quanto meno superato la dipendenza fisica, non venisse abbandonato a se stesso ma ancora seguito fintantoché non trovi un lavoro e si renda pienamente autonomo. "La cosa essenziale secondo me è assicurare a chi esce dalla comunità un lavoro" (60). Le comunità da questo punto di vista fanno quello che possono, ma ovviamente non riescono a garantire da sole, senza la collaborazione dei vari enti locali e della società civile, una chance di riscatto al tossicodipendente che superato il problema della dipendenza, si riaffaccia alla vita sociale.

Dunque il problema più rilevante connesso alla tossicodipendenza e all'attività delinquenziale a questa legata, è essenzialmente un problema a carattere 'sociale', la cui risoluzione necessita l'intervento e il sostegno sia dell'intera società in virtù del principio di "solidarietà sociale" di cui all'art. 2 della nostra carta costituzionale, sia dello Stato dal momento che si caratterizza come "stato sociale".

A questo punto si è centrata la questione: la misura dell'affidamento terapeutico è idonea a risolvere il problema dell'incompatibilità fra tossicodipendenza e carcere; è conforme al principio costituzionale secondo il quale la pena deve 'tendere' alla rieducazione del condannato; e sembra anche finalizzata alla tutela della salute e della libertà individuale, non certo in senso paternalistico, quanto piuttosto attraverso un atteggiamento, almeno nella sue intenzioni, solidaristico visto che permette al tossicodipendente di riacquistare la libertà e la dignità umana perse sotto il giogo della droga e di essere affiancato in tale percorso di 'ritorno alla vita' da enti la cui attività è a ciò finalizzata. Ciò nonostante e benché sia un'alternativa al carcere necessaria, la misura in questione non è ancora sufficiente.

La misura dell'affidamento in casi particolari infatti è prevista come 'alternativa' alla detenzione in istituto, per cui risulta strettamente intrecciata alla sanzione penale, riconducendo a questa tutte le volte che il tossicodipendente dà un segno di cedimento nel proposito di portare a compimento il programma terapeutico. Ciò significa non solo che il percorso di recupero è affrontato sotto la costante minaccia della pena in istituto, ma anche che nella stragrande maggioranza delle ipotesi di richieste di affidamento terapeutico, il soggetto tossicodipendente è indotto a proporre istanza se non completamente, quantomeno in misura determinante dal proposito di sottrarsi al carcere. Il problema della autenticità e della volontarietà della scelta di intraprendere un percorso di recupero incide profondamente sull'efficacia della misura in questione, in quanto essendo l'affidamento richiesto quasi esclusivamente al fine di evitare l'esperienza detentiva, non è sorretto da una genuina volontà di liberarsi dal giogo della droga. E questo spesso comporta che l'esito della messa alla prova sia solo formalmente e temporaneamente positivo, fintantoché grava sul tossicodipendente la minaccia della pena detentiva. Una volta venuta meno tale minaccia, il programma terapeutico in un'alta percentuale di casi, come si è visto, non produce gli effetti voluti. E' evidente che non si può attribuire la responsabilità del fallimento della misura in questione alla poca 'serietà', se così la si vuol definire, del tossicodipendente, dal momento che è pienamente razionale scegliere l'alternativa per evitare la detenzione in istituto. Piuttosto la soluzione legislativa in merito al trattamento penitenziario del tossicodipendente, solleva un dubbio: che tale misura alternativa sia stata approntata per ragioni di opportunità -si pensi al problema della governabilità delle sovrappopolate carceri italiane- e al fine di dare una 'parvenza' di risoluzione del problema dell'incompatibilità fra stato di tossicodipendente e carcere, senza preoccuparsi veramente di quanto l'affidamento in casi particolari funzioni come 'terapia' -e quindi come effettivo recupero del tossicodipendente- piuttosto che soltanto come 'alternativa' al carcere.

Note

1. La definizione del tossicodipendente come persona caratterizzata da una "doppia personalità" mi è stata data da entrambi i ragazzi intervistati, Antonio e Raffaele, attualmente in detenzione domiciliare presso la comunità Fandango di Lamezia Terme, nella quale hanno già entrambi eseguito la misura alternativa dell'affidamento 'terapeutico'.

2. Tutte le citazioni riportate sono ricavate dalle interviste ad Antonio, ragazzo seguito dalla comunità.

3. Intervista a Isabella, assistente sociale presso la comunità.

4. Intervista a Elisabetta Palmieri, vicedirettrice del C.S.S.A. di Catanzaro.

5. Intervista a Francesco, educatore presso la comunità.

6. Le esperienze di entrambi i ragazzi intervistati confermano pienamente tali assunzioni: Antonio proviene da una famiglia 'operaia' molto numerosa, in cui il padre ha avuto problemi di alcooldipendenza e la madre ha da sola svolto entrambi i ruoli di genitore, ed è venuto a contatto con la droga tramite il proprio gruppo di amici, a sua volta facente parte di un organizzazione criminale, che, considerando anche altre notizie, penso fosse di stampo mafioso. Raffaele, invece, è orfano per cui ha vissuto in istituto fino a quattordici anni, e poi con la nonna, ma lui stesso si è reso conto di non aver avuto le persone di cui avrebbe avuto bisogno e che lo avrebbero tutelato.
Da tali considerazioni si potrebbe cogliere una dimostrazione della teoria della disorganizzazione sociale di Sutherland, la quale ravvisa una "stretta dipendenza tra la destabilizzazione dei valori culturali di una società e la irregolarità della condotta dei suoi membri", perché i fattori disorganizzativi sociali - tra i quali la perdita dei fattori primari di controllo, ad esempio la famiglia - annullano i parametri di riferimento normativo e di guida della condotta dei membri di quella società. Vd. F. Mantovani, Il problema della criminalità, Cedam, Torino, 1984, pp. 265 e ss.; Cfr. E. Santoro, Carcere e società liberale, Giappichelli Editore, Torino, 2004, pp. 41 e ss.
E' altrettanto significativo il fatto che negli ultimi anni stia emergendo una nuova figura di tossicodipendente, per il quale viene effettuata la "doppia diagnosi", si tratta cioè di un tossico che oltre ad avere problemi di dipendenza da una sostanza stupefacente, ha anche problemi psichiatrici, e il cui disagio non è più determinato da problemi di disadattamento, povertà e dal contesto sociale degradato, ma da problemi di depressione, di personalità. Inoltre non si tratta più del classico tossicodipendente di strada, al contrario è una persona che tranquillamente lavora, anche in settori di un certo spessore, ma che all'occasione è pronto a 'sballarsi', finendo col trovarsi ormai dipendente ed assuefatto. A mio avviso anche tale comportamento è sintomatico di un certo disagio e di una certa difficoltà di comunicare se non superando magari la propria timidezza o la propria insoddisfazione attraverso qualche sostanza

7. Intervista alla vicedirettrice del C.S.S.A Elisabetta Palmieri.

8. Intervista a Raffaele, in detenzione domiciliare presso la comunità, che ha già prima vissuto l'esperienza del carcere. Mi sono sembrate interessanti queste affermazioni perché dimostrano chiaramente l'effettiva esistenza del fenomeno della 'prigionizzazione', studiato da Clemmer, che si manifesta in maniera del tutto evidente sui detenuti tossicodipendenti in quanto persone fragili e sensibili, quindi con minori possibilità di resistere o ritardare l'assimilazione dei costumi e della cultura in generale del mondo penitenziario. In particolare dall'intervista emerge come all'interno del carcere si riproduca quello che è l'assetto sociale proprio dei "quartieri popolari" in cui le persone dal carattere più forte e dal vissuto delinquenziale più interessante, assumono il ruolo di modello e di 'guida', o 'capo' da seguire, al quale gli altri si legano sulla base di una sorta di rapporto di affiliazione e di fiducia. Cfr. E. Santoro, op. cit., pp. 210-218.

9. Come è già stato messo in evidenza, benché l'affidamento di cui si tratta sia stato predisposto dal legislatore con lo scopo principale, o meglio esclusivo, di permettere al tossicodipendente condannato all'esecuzione di una pena, di intraprendere o proseguire un programma terapeutico, nella prassi sono stati affiancati a tale scopo anche altri due ulteriori obiettivi, quali la rieducazione e il reinserimento sociale del medesimo beneficiario della misura, vd. retro.

10. Per riuscire ad esaminare al meglio come viene attuata la misura alternativa di cui all'art. 94 conviene richiamarne brevemente le disposizioni; per un esame più approfondito della disciplina, vd. retro cap. 2.

11. I servizi pubblici per le tossicodipendenze sono stati introdotti dallo stesso Testo Unico in materia di stupefacenti (art. 118), prevedendo che in tempi brevi si sarebbe dovuto istituire almeno un Ser.T per ogni unità (ora azienda) sanitaria locale. Dopo poco dall'entrata in vigore del D.P.R. 309/1990, il Ministro della sanità ha emanato un decreto (n. 444 del 30 novembre 1990), contenente il regolamento in materia di organizzazione e funzionamento dei Ser.T.

12. Si è già detto che lo status di tossicodipendente si considera attuale non solo quando vi è una dipendenza fisica, ma anche quando superata quest'ultima, vi sia ancora la dipendenza psichica, che è d'altra parte la dipendenza più difficile da debellare. Cfr. Cass. Pen., sez. I, 17 luglio 1995, cit.

13. Le sostanze stupefacenti più usate sono l'eroina, la cocaina, la cannabis, e soprattutto negli ultimi anni le cosiddette "droghe sintetiche". La legislazione vigente in materia non contiene un'espressa definizione di sostanza stupefacente, infatti gli artt. 13 e 14 del D.P.R. 309/1990 si limitano a indicare i criteri in base ai quali il Ministro della sanità, di concerto con il Ministro della giustizia e sentito il parere dell'Istituto superiore di sanità e del Consiglio superiore di sanità, debba provvedere a formare le sei tabelle contenenti l'elenco di tutte le sostanze stupefacenti e psicotrope.

14. Cass. Pen., sez. I, 17 marzo 1993, cit.

15. Per liberi si intende coloro che non sono in stato di detenzione benché siano già stati condannati, quindi la sentenza sia passata in giudicato. Infatti l'art. 656 comma quinto c.p.p. prevede che nel caso in cui sussistano i presupposti per la concessione di una misura alternativa, tenendo conto però dei soli limiti di pena, il pubblico ministero, che è competente per la ricezione delle istanze in questione, emetta l'ordine di carcerazione e contestualmente lo sospenda, invitando il condannato a presentare entro trenta giorni istanza per la concessione di una misura alternativa. Perciò è possibile che il soggetto non transiti proprio dal carcere, vada direttamente dalla libertà in affidamento terapeutico, nel caso di specie, cfr. retro, § 2.2. Vd. Cass. pen., sez. VI, 4 giugno 1998, cit.

16. Se il soggetto è in stato di detenzione il pubblico ministero può anche disporne la scarcerazione in attesa che il Tribunale decida in ordine alla concessione del beneficio ex art. 91, quarto comma.

17. Intervista a Laura Antonini, magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Catanzaro.

18. Intervista a Isabella Palmieri del C.S.S.A.

19. Cass. pen., sez. I, 1 dicembre 1995, n. 5347.

20. Intervista A Elisabetta Palmieri, vicedirettrice del C.S.S.A.

21. Intervista al magistrato di sorveglianza Antonini.

22. Cass. pen., sez. I, 5 settembre 2001, cit.; vd. anche Cass. pen., sez. I, 30 giugno 1997, cit.

23. Approvato con D.P.R. n. 230 del 30 giugno 2000 Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà.

24. Sulla necessità che il Tribunale compia tale accertamento si è espressa anche la suprema corte, vd. Cass. pen., sez. I, 6 febbraio 1995, cit.

25. Intervista al magistrato Antonini.

26. Per quanto riguarda la disciplina e la prassi in materia di controlli, violazioni delle prescrizioni, sospensioni della misura alternativa e revoca si rimanda al paragrafo successivo.

27. Rimane comunque la possibilità di riproporre istanza dopo un certo periodo di tempo e di ottenere il beneficio se alla luce del comportamento tenuto in istituto e dei risultati conseguiti in corso di detenzione il soggetto non risulti più inaffidabile o comunque sia diminuita la sua pericolosità sociale.

28. Cass. pen., sez. I, 12 maggio 1999, cit.

29. Intervista al magistrato di sorveglianza Laura Antonini.

30. La competenza del C.S.S.A. si ricava in maniera indiretta determinando la competenza del Tribunale di sorveglianza, in quanto il centro servizi sociali fa parte dell'amministrazione penitenziaria.

31. La convenzione deve essere conforme allo "schema tipo predisposto dal Ministro della sanità ed a quello predisposto dal Ministro della giustizia ai fini di cui all'art. 94" ex art. 117 comma terzo.

32. L'iscrizione è condizione necessaria per lo svolgimento delle attività di riabilitazione e reinserimento sociale dei tossicodipendenti (art. 116, secondo comma) nonché per poter ottenere i contributi e i benefici da parte dello stato di cui agli artt. 127 e ss. D.P.R. 309/1990. Sui risvolti negativi della 'istituzionalizzazione' delle comunità vd. retro cap. 2.

33. Intervista a Francesco, educatore presso la comunità Fandango. Tale comunità non ha infatti una convenzione con il Ministero della Giustizia per cui tutti i rapporti con il Tribunale di sorveglianza sono mediati dal C.S.S.A., ma del ragazzo si occupa il Ser.T presso cui risulta iscritto.

34. Il subutex è un derivato del metadone a compresse.

35. Vedi allegato.

36. Cass. pen., sez. I, 2 dicembre 1992, cit.

37. Intervista ad Isabella, operatrice della comunità.

38. In comunità operano l'educatore, l'assistente sociale, lo psicologo, lo psichiatra, il medico.

39. E' interessante da questo punto di vista quanto riferito dall'assistente sociale della comunità "è importante che ci sia solidarietà di gruppo perché quando si crea un gruppo molto affiatato i ragazzi si seguono a ruota". Parimenti interessante è quanto mi è stato riferito al riguardo dal magistrato di sorveglianza "basta che ci sia un solo ragazzo che crei scompiglio perché tutto il meccanismo della comunità entri in crisi" facendo appunto intendere che la comunità si basa sulla vita e sulla solidarietà di gruppo.

40. Intervista a Francesco, educatore della comunità.

41. Intervista a Elisabetta Palmieri, vicedirettrice del C.S.S.A. di Catanzaro.

42. Intervista a Antonio, in detenzione domiciliare presso la comunità per una condanna successiva all'esecuzione di una precedente pena attraverso la misura dell'affidamento terapeutico presso la stessa comunità.

43. Intervista al magistrato di sorveglianza Antonini.

44. Intervista a Isabella, assistente sociale della comunità.

45. Solo un ragazzo però proviene dal carcere, tutti gli altri hanno proposto istanza da "liberi".

46. E' raro comunque che la comunità ricorra a tal tipo di comunicazioni, in quanto preferisce far capire al soggetto in cosa ha sbagliato e trattenerlo in comunità.

47. Intervista alla vicedirettrice del C.S.S.A.

48. I ragazzi le definiscono 'comandamenti'.

49. Una sorta di minaccia a fin di bene!

50. Cass. Pen., sez. I, 8 ottobre 1997, De Pascale.

51. E' importante a mio avviso, sottolineare al riguardo il fatto che del reinserimento si occupi esclusivamente la comunità.

52. Per tale motivo la Fandango non accetta ragazzi che non abbiano fra le prescrizioni dettate dal magistrato la possibilità di allontanarsi, seppure accompagnati, dalla comunità.

53. E' palese l'analogia con l'idea del 'disciplinamento' attraverso il lavoro come giustificazione per eccellenza del carcere, di cui si resero conto per primi Tocqueville e de Beaumont attraverso la loro indagine sulle carceri statunitensi. L'idea della "rieducazione attraverso al lavoro" è anche alla base del Panopticon di Bentham, il quale considerava la disciplina del lavoro come "la medicina capace di arrestare la dissoluzione morale". Tuttavia è altrettanto evidente che in questo caso la finalità non è produrre "corpi docili" per le fabbriche, bensì il riscatto del soggetto attraverso un qualcosa che lo renda utile per sé e per gli altri. Cfr. E. Santoro, op. cit., pp. 10-20.

54. Nel periodo in cui ho visitato la comunità, solo un 20% dei ragazzi presenti risultava affetta da AIDS o da epatiti, ma ci sonno stati periodi in cui oltre il 50% dei ragazzi presentavano tali malattie.

55. Intervista a Isabella, operatrice della comunità.

56. Intervista a Laura Antonini, magistrato di sorveglianza.

57. Cass. Pen., sez. I, 12 maggio 1999, Condello.

58. Nel 2004 si sono avute 212 declaratorie, ovvero affidamenti in prova terminati positivamente; 25 prosecuzioni della misura ex art. 51 bis, ord. penit., dunque casi di sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà in corso di esecuzione della misura; 51 sospensioni del beneficio e solo 3 revoche.
Nel primo semestre del 2005 si sono avute 80 declaratorie, 9 prosecuzioni, 6 sospensioni, e nessuna revoca.

59. Intervista a Isabella, assistente sociale della comunità.

60. Intervista a Raffaele, ragazzo in cura presso la comunità.