ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo I
La disciplina del lavoro per il lavoratore extracomunitario

Donata Ciliberto, 2005

1.1 Cenni storici

Fino agli anni '70 del Novecento l'Italia si era caratterizzata per la forte emigrazione di italiani all'estero; dal 1974 si sono invece iniziati a verificare fenomeni migratori di un certo rilievo diretti verso l'Italia. Che il fenomeno si sia realizzato in quel periodo non è casuale, visto che proprio in quegli anni i paesi dell'Europa Centrale - verso cui fino a quel momento si erano indirizzate le correnti di immigrazione - cominciarono ad attuare politiche restrittive nei confronti dell'ingresso di lavoratori stranieri. Negli anni precedenti al 1974, la normativa di riferimento in tema di ingresso e soggiorno del cittadino straniero in Italia era composta dal Testo Unico di Pubblica Sicurezza (TULPS) n. 733 del 18 giugno 1931, in particolare dagli articoli 142 e seguenti, e dal regolamento di esecuzione del r.d. 6 maggio 1940, n. 635, in particolare dal titolo quinto (artt. 261- 271). Tale normativa aveva come oggetto il regolamento di aspetti formali dell'ingresso e del soggiorno dei cittadini stranieri in un'ottica essenzialmente di sicurezza pubblica; la disciplina di accesso al lavoro era invece contenuta in alcune circolari emesse dal Ministero del Lavoro.

Negli anni '80 si verificò un ulteriore e più intenso aumento di immigrati e fu quindi necessario disciplinare in maniera più organica una materia come quella del collocamento e del trattamento dei lavoratori extracomunitari disciplinata fino a quel momento solo da disposizioni amministrative. Secondo Giovanni Bonaccio, avvocato del foro di Roma e autore del libro Cittadini extracomunitari (1), fu l'assenza di una effettiva politica in materia e il progressivo accentuarsi delle differenze economiche fra i paesi del "Terzo mondo" e l'"Occidente", con le conseguenti politiche restrittive e l'aumento dei controlli alle frontiere adottati dai paesi occidentali, a determinare il forte aumento di flusso di stranieri nel nostro paese.

Nel 1981 l'Italia ratificò con la legge n. 158 la convenzione OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) n.143/1975 sulla promozione dell'uguaglianza di opportunità e di trattamento dei lavoratori immigrati. Il 30 dicembre 1986, con la legge n. 943 ("Norme in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine"), venne emanata la prima regolamentazione normativa dell'attività lavorativa straniera. Vennero stabiliti alcuni principi generali in tema di lavoro e venne istituita la Consulta per i problemi dei lavoratori immigrati e delle loro famiglie, che troverà piena disciplina nell'art. 42 del T.U. 286/1998 e nell'art. 55 del D.P.R. n. 394 del 1999, recante il Regolamento di attuazione del Testo unico. La legge recava alcune importanti norme in tema di collocamento, di trattamento dei lavoratori stranieri, di ricongiungimento familiare e stabiliva furono stabilite sanzioni per l'immigrazione clandestina.

Essa introduceva inoltre altri importanti norme per la tutela dei lavoratori stranieri: il divieto di privare il lavoratore disoccupato del permesso di soggiorno, sanzioni penali per contrastare l'intermediazione, lo sfruttamento e l'impiego illegale dei lavoratori stranieri. La legge n.943/1986 conteneva una regolarizzazione: vista la diffusa percezione di una vasta area di irregolarità, il legislatore prevedeva la regolarizzazione delle posizioni lavorative pregresse sia dei datori di lavoro che dei lavoratori, con la possibilità - a seconda dei casi - di ottenere l'autorizzazione al lavoro o l'iscrizione nelle liste di collocamento. In seguito tratteremo in modo più specifico questo tema.

In un articolo l'avvocato Marco Noci fa alcune considerazioni a proposito di questa legge, sostenendo che in realtà essa non prevedeva una reale programmazione ma una disciplina di accessi a seconda delle disponibilità lavorative che venivano emergendo di volta in volta. Inoltre, Noci la considera "piena di buoni propositi" per il tentativo di garantire al lavoratore straniero una parità di trattamento con il cittadino italiano negli altri settori, escludendo l'accesso al lavoro, e per l'impegno previsto di favorire l'inserimento dello straniero nella società italiana.

1.1.1 Le prime regolarizzazioni

La prima regolarizzazione di stranieri attuata in Italia fu disposta con le circolari del Ministero del Lavoro 2 marzo e 9 settembre 1982. In quel periodo si attendeva l'emanazione della prima legge sugli stranieri credendola prossima; la legge sarebbe arrivata solo nel 1996. Il Ministero del Lavoro, in seguito a ciò, prese una doppia decisione: bloccò l'assunzione di ulteriori stranieri e emise disposizioni per regolarizzare la situazione di quei cittadini stranieri che avevano il permesso di soggiorno scaduto o erano entrati irregolarmente, alle seguenti condizioni: che fossero entrati in Italia prima del 1981; che dimostrassero di aver svolto dal momento del loro ingresso un'attività lavorativa continuata; che avessero la disponibilità di un datore di lavoro ad assumerli; che fossero in possesso di un'attestazione in cui risultasse che non si erano allontanati dall'Italia dal momento del loro ingresso sul territorio per un periodo superiore ai due mesi ed, infine, che vi fosse stato il deposito da parte del datore di lavoro della somma equivalente al prezzo del biglietto aereo per il ritorno al loro paese.

Tale regolarizzazione ebbe però un'efficacia limitata, soprattutto perché venne utilizzata come strumento normativo una circolare invece che una legge, escludendo così la possibilità di fare ricorso attraverso le vie giurisdizionali in caso di diniego del permesso di soggiorno. La sanatoria inoltre fu poco pubblicizzata, a questo va aggiunto il fatto le amministrazioni locali non avevano un comportamento uniforme, creando ancor maggiore difficoltà e che non erano state previste forme di regolarizzazione della posizione contributiva del datore di lavoro. Tutti questi motivi combinati insieme determinarono lo scarso numero di richieste di regolarizzazione.

1.1.2 La regolarizzazione del 1986

Nella legge n. 943 /86, al titolo IV, art. 16, era prevista la possibilità di regolarizzare la posizione dei cittadini extracomunitari che, entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge, avessero dimostrato che, a qualsiasi titolo, alla data di promulgazione della legge risiedevano o dimoravano in Italia, quindi sia lavoratori dipendenti che disoccupati. La regolarizzazione poteva essere fatta anche dai datori di lavoro, che, sempre a tale data, impiegavano irregolarmente lavoratori stranieri. La data di scadenza venne però prorogata per ben tre volte. La regolarizzazione veniva effettuata attraverso una comunicazione resa all'ufficio provinciale del lavoro competente per territorio. Al comma 3 dell'art. 16 si specificava che a seguito di tale comunicazione l'ufficio provinciale del lavoro rilasciava l'autorizzazione al lavoro ai lavoratori irregolarmente occupati o provvedeva all'iscrizione nelle liste di collocamento dei cittadini extracomunitari disoccupati. Ci furono 105.000 richieste di regolarizzazione: la maggior parte di disoccupati, che furono il 65 %, contro il 35 % dei lavoratori dipendenti. Il titolo I della legge n. 943/86 prevedeva l'istituzione della Consulta per i problemi dei lavoratori extracomunitari e delle loro famiglie. Il Titolo II prevedeva la programmazione dell'occupazione dei lavoratori extracomunitari in Italia. Al titolo III venivano previste le procedure di accesso al lavoro: queste dovevano essere definite con interventi anche degli enti territoriali regionali all'interno dei quali trovava spazio anche la Consulta del Titolo I.

Come ho accennato prima, era anche previsto che le Regioni fossero competenti in particolare nella predisposizione delle modalità di integrazione sociale dei lavoratori extracomunitari. In base alla legge sarebbero state infatti le Regioni a predisporre corsi di formazione e di riqualificazione professionale, a favorire l'inserimento nel tessuto sociale dei lavoratori stranieri e delle loro famiglie, utilizzando come strumenti l'attivazione di corsi di lingua e cultura italiana più in generale salvaguardando la lingua e la cultura d'origine degli immigrati.

1.1.3 Gli anni '90 e la legge "Martelli"

All'inizio degli anni '90 il flusso delle immigrazioni crebbe ulteriormente e venne così emanato un altro provvedimento legislativo di sanatoria con il d. l. n. 416 del 1989, poi modificato e previsto nella legge n. 39/1990, ancora una volta si ricorse come strumento alla legislazione d'urgenza per fronteggiare il fenomeno migratorio.

Tale legge, conosciuta come legge "Martelli", determinò le disposizioni urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno di cittadini extracomunitari, cercando di disciplinare in maniera esaustiva l'intera materia dell'immigrazione. È possibile affermare che attraverso la legge n. 39/1990 ai soggetti migranti furono riconosciuti i diritti fondamentali della persona, non solo quindi quelli propri dei lavoratori, e una sorta di cittadinanza connessa alla residenza con i conseguenti diritti. Secondo Bonaccio la legge "Martelli" è il primo vero tentativo di disciplina del fenomeno migratorio e, soprattutto, la prima volta in cui l'Italia "ha riconosciuto ufficialmente l'immigrazione come presenza ormai stabile di stranieri che ormai vivono e lavorano nel territorio nazionale." (2) Gli elementi di maggiore innovazione della legge Martelli sono: è stabilito che la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato può essere presentata da stranieri di qualsiasi cittadinanza, a prescindere dal paese di provenienza, con l'esclusione quindi di una riserva geografica. Il rifugiato gode dello stesso trattamento dei cittadini italiani in materia di libertà religiosa, istruzione elementare, assistenza sanitaria, lavoro e fisco.

Sono stabiliti motivi di ingresso legale del soggetto extracomunitario nel territorio nazionale: turismo, studio, lavoro subordinato e autonomo, cure mediche e culto. Il visto d'ingresso è obbligatorio eccezion fatta per quei paesi con i quali sono stati stipulati accordi bilaterali o multilaterali che permettono di poter rimanere per motivi di turismo nel paese senza visto per un termine non superiore ai tre mesi.

Altro elemento di notevole importanza è stata l'introduzione dello strumento dei "flussi d'ingresso" in Italia per ragioni di lavoro per i lavoratori extracomunitari. Esso è stato concepito come lo strumento cardine per controllare il flusso di immigrati regolari, e veniva posto in essere con decreto del Presidente del Consiglio attraverso un provvedimento governativo adottato ogni anno in concertazione con vari soggetti, quali i Ministri degli Affari Esteri, Interno, Bilancio e Programmazione economica, Lavoro e previdenza sociale, dopo avere sentito la Conferenza Stato-Regioni, sulla base delle esigenze dell'economia nazionale, della disponibilità finanziaria all'accoglienza di questi nuovi soggetti e della presenza di lavoratori extracomunitari sul territorio. Il Testo Unico previsto nella legge n.40/1998 e in seguito la legge n.189/2002 hanno introdotto dei correttivi che analizzeremo in seguito.

Venne inoltre designata espressamente la Regione come l'ente di riferimento per la promulgazione di iniziative, attività o leggi per l'integrazione dei soggetti extracomunitari nel tessuto sociale.

All'art. 9 fu prevista un'ulteriore sanatoria per coloro che potevano attestare di essere entrati in Italia entro il 31-12-1989 a prescindere da ogni altra condizione. Questa sanatoria venne rivolta sia ai lavoratori dipendenti, che furono circa il 10% dei beneficiari, sia ai lavoratori autonomi, che furono solo il 4% dei beneficiari. È da sottolineare come lo scopo principale della sanatoria fosse più che la regolarizzazione di precedenti situazioni, l'emersione dei soggetti clandestini. Intendiamo con questo indicare le due categorie in cui possono essere inseriti gli stranieri che ottengono un permesso di soggiorno a seguito di una sanatoria. Sono classificati "irregolari" gli stranieri entrati regolarmente nel territorio italiano ma a cui è scaduto il permesso di soggiorno; mentre sono classificati "clandestini" gli stranieri che ottengono grazie alla sanatoria il primo permesso di soggiorno, e che prima erano "inesistenti" agli occhi delle autorità, in quanto non erano mai stati registrati da alcuna parte. Dal Dossier Statistico sull'Immigrazione della Caritas del 2003 si rende evidente che gli stranieri considerati "irregolari", secondo la classificazione appena effettuata, sono senza dubbio la minoranza fra coloro che hanno usufruito delle regolarizzazioni. In particolare nella sanatoria prevista dalla legge "Martelli" si attestano al 18% del totale dei regolarizzati. In quell'occasione fecero domanda di regolarizzazione 225.000 soggetti, e solo il 4% poté dimostrare di essere alle dipendenze di un datore di lavoro. Chi invece non avesse un rapporto di lavoro in corso, aveva la possibilità di trovarlo non soltanto nel settore del lavoro subordinato ma anche del lavoro autonomo o nelle cooperative. Inoltre questi avrebbe avuto due anni di tempo a disposizione per instaurare un rapporto di lavoro; alla scadenza di tale termine e in assenza di lavoro il permesso non sarebbe stato rinnovato. Non meno dell'85% dei beneficiari della regolarizzazione si iscrisse alle liste di collocamento "con riserva", cioè con la clausola di dimostrare a distanza di due anni di aver trovato un lavoro e poter così ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno. Da un punto di vista statistico si rileva che la maggior parte dei regolarizzati provenivano da paesi africani, in particolare dal Marocco (22%), dalla Tunisia (12%), dal Senegal (7%), il 6% dei regolarizzati erano invece filippini; mentre il 4% dei regolarizzati provenivano dalla Ex Jugoslavia. A partire dagli anni '90 si sarebbe invece verificata una maggiore incidenza nelle regolarizzazioni dei cittadini dell'Europa dell'Est. Sempre attraverso i dati raccolti nel Dossier della Caritas del 2003 è interessante notare come in generale le richieste di regolarizzazioni riguardino più gli uomini, che le donne, mentre l'afflusso di stranieri è equamente diviso fra donne e uomini. Secondo l'interpretazione di Massimo Carfagna della Caritas, proprio a partire dagli uomini regolarizzati è stato poi possibile l'ingresso delle donne per motivi di ricongiungimento familiare. Questo è testimoniato dai dati statistici che registrano un maggior numero di permessi familiari in seguito alle sanatorie. (3) Per motivazioni storico-politiche, quali la crisi economica che affliggeva pesantemente i paesi dell'Est, la guerra nella ex-Jugoslavia e la disgregazione dell'Albania, si rese quasi subito evidente che l'apparato normativo predisposto nel corso degli anni '80 e nel 1990 non era sufficiente per la gestione del fenomeno migratorio.

1.1.4 Ulteriori modifiche

Il sistema previsto dalla legge n. 39/1990 non fu efficace, tanto che dal 1992 al 1996 furono emanati sei decreti legge nel tentativo di adeguare l'impianto della legge del '90 alle esigenze concrete sorte nella società a causa del fenomeno migratorio. Il primo di questi decreti, emanato dal Governo Dini conteneva un provvedimento di regolarizzazione, che introduceva fra l'altro la regolarizzazione per motivi di famiglia. Tale decreto non fu però convertito in legge. Fu così necessaria la legge n. 617/1996 per fare salvi gli effetti della regolarizzazione iniziata nel dicembre del 1995. Tale provvedimento contemplava tre ipotesi di regolarizzazione: per lavoro subordinato, per iscrizione nelle liste di collocamento, per ricongiungimento familiare. Tale sanatoria restrinse però la concessione dei permessi di soggiorno ai lavoratori dipendenti in grado di ufficializzare un'attività lavorativa irregolare in corso (73% dei beneficiari), mentre i lavoratori che potevano solo attestare un precedente rapporto di lavoro poterono iscriversi nelle liste di disoccupati (21% dei beneficiari), con l'impegno a trovare un lavoro entro un anno. Vennero accolte 246.000 domande. Facendo ricorso alle statistiche fornite dal Dossier Caritas del 2002, è importante evidenziare come molti dei soggetti che hanno usufruito di una regolarizzazione si sono poi stabiliti nel territorio italiano in maniera permanente; il 40% dei regolarizzati del 1986 sono ancora regolarmente in Italia; il 56% di regolarizzati della legge "Martelli", e soltanto il 15% di coloro che erano rientrati nella sanatoria prevista dal d. l. 489/95 nel 2000 non avevano ancora ottenuto o non avevano richiesto il rinnovo del permesso. (4)

Contestualmente è importante notare come fosse aumentato il numero degli stranieri sposati, e il numero di minori a carico. Questo rende chiaro che c'era e c'è tuttora un'esigenza di stabilità da parte di questi soggetti, accompagnata da un programma se non di stanziamento permanente sul territorio italiano, quantomeno di permanenza a medio - lungo termine. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare però l'inserimento lavorativo di questi soggetti non fu pacifico, tanto che addirittura un quarto dei soggetti regolarizzati dalla sanatoria del '86 alla fine degli anni '90 risultava ancora in cerca di lavoro, almeno seimila casi.

1.2 L'influenza europea

1.2.1 L'influenza della Convenzione di Schengen

Prima di procedere in un'ottica nazionale è necessario analizzare il panorama europeo. È stato infatti l'ingresso dell'Italia nella convenzione di Schengen a determinare la modifica della legge "Martelli" e a introdurre alcuni dei principi che hanno supportato la successiva legge n. 40/1998; in seguito venne emanato il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 che recava il Testo Unico sull'Immigrazione. Il 14 giugno 1984 cinque paesi (Francia, Repubblica Federale Tedesca, Belgio, Olanda e Lussemburgo) sottoscrissero l'Accordo di Schengen che ha segnato la chiave di volta per il processo di liberalizzazione della circolazione delle persone e delle merci in un'area comune attraverso l'abolizione dei controlli alle frontiere comuni e la previsione di un rafforzamento delle frontiere esterne. Il rafforzamento sarebbe stato possibile attraverso una serie di impegni conclusi fra gli Stati firmatari, stabiliti dalla Convenzione di applicazione degli Accordi di Schengen. In seguito all'Accordo è stata firmata la Convenzione il 19 giugno 1990 alla quale hanno aderito altri Stati dell'Unione Europea: Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Austria, Danimarca, Svezia e Finlandia. Nel 1996 anche Norvegia e Islanda, non appartenenti alla UE, hanno sottoscritto un accordo di cooperazione e hanno assunto la qualifica di membri associati. Infine con l'allargamento dell'UE del 2004 tutti i nuovi membri dell'Unione sono entrati a far parte del sistema di Schengen, mentre non fanno parte della Convenzione la Gran Bretagna e l'Irlanda.

Il 26 marzo del 1995 le disposizioni contenute nella Convenzione divennero operative per gli originari stati firmatari nonché per Spagna e Portogallo, mentre l'Italia non poté entrate nell'area di Schengen a causa della mancata approvazione di una legge sul trattamento dei dati personali a cui si sarebbe provveduto solo attraverso la legge n. 675/1996.

Inoltre in Italia non erano state istituite le strutture tecniche per poter istallare la sezione italiana del Sistema d'Informazione Schengen (SIS). Questo sistema aveva come scopo quello di permettere a tutti gli agenti di polizia e agli agenti dei consolati degli stati aderenti allo spazio Schengen di poter disporre dei dati delle persone che erano state segnalate e dei veicoli ricercati. Tecnicamente gli stati membri inviano i dati al SIS attraverso delle reti nazionali (N-SIS) che sono collegate al sistema centrale (C-SIS) con sede a Strasburgo, integrato a sua volta da una rete chiamata SIRENE, composta da polizia, gendarmerie, dogane e apparato giudiziario. Nel 2001 la rete SIRENE è stata sostituita da una nuova struttura chiamata SISNET, che è un sistema di informazione europeo integrato anche dai dati sull'immigrazione.

Recentemente è stata approvata la costituzione di una nuova versione del SIS, detta SIS II approvato dal Consiglio nel settembre 2004.

I motivi per i quali è necessario questo nuovo sistema sono i seguenti; da una parte mentre in origine l'Unione Europea era composta da 12 membri, si è successivamente allargata a 25 membri dal maggio 2004 e adesso sono in programma ulteriori allargamenti; è evidente quindi che, come si può leggere nel sito dell'Unione europea che: "La realizzazione del SIS di seconda generazione costituisce una condizione sine qua non per la partecipazione degli Stati membri ad uno spazio di sicurezza senza frontiere interne"; inoltre si era resa evidente che la tecnologia informatica sulla base della quale era stato realizzato il SIS I fosse ormai superata.

L'iter che ha portato l'Italia a far parte dello spazio Schengen non è stato pacifico: come già abbiamo detto, nonostante il fatto che già nella legge "Martelli" ci fossero norme compatibili con la Convenzione di Schengen e le ulteriori modifiche apportate in tema di respingimento alla frontiera, rifiuto e revoca dei permessi di soggiorno, nel 1995 l'Italia non poté fare diventare operativa la disciplina Schengen, al contrario degli originari stati firmatari e di Spagna e Portogallo.

Il 19 febbraio 1997 venne presentato dal Governo il disegno di legge n. 3240 con ad oggetto il tema dell'immigrazione che venne convertito poi nella legge n. 40/1998.

Il 17 settembre 1997 il Ministro degli Esteri in carica, Lamberto Dini, emanò la circolare n. 8 del 17.9.1997, "Norme sui visti e sull'ingresso degli stranieri in Italia e nello spazio Schengen". Finalmente il 7 ottobre 1997 L'Italia ebbe l'autorizzazione all'applicazione della Convenzione da parte del Comitato esecutivo Schengen e il 6 marzo 1998 venne emanata la legge n. 40/1998, con la nuova disciplina sull'immigrazione. Soltanto in seguito all'entrata in vigore della legge "Turco-Napolitano", avvenuta il 27 marzo 1998, il Comitato esecutivo Schengen dette il suo consenso all'ingresso dell'Italia nell'area comune, precisamente il 31 marzo 1998.

1.2.2 La Convenzione di Schengen

L'Accordo, firmato il 14 giugno del 1985, siglato in origine dai cinque paesi fondatori prevedeva misure a breve termine, di carattere sostanzialmente amministrativo - organizzativo, che non avrebbero quindi modificato la legislazione nazionale - e misure a lungo termine, destinate a innovare con una maggiore incidenza la legislazione nazionale. Alle prime è riconducibile l'alleggerimento dei controlli alle frontiere, mentre alle seconde si riconducono le misure atte a creare un'area omogenea di sicurezza. Il 19 giugno 1990 è stata elaborata una Convenzione, entrata in vigore solo nel 1995, che ha permesso la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la creazione di un'unica frontiera esterna, implicando: una libera circolazione di merci e persone all'interno dello spazio Schengen e una identica procedura di controllo lungo la frontiera esterna; una maggiore cooperazione fra le polizie e le autorità giudiziarie dei diversi stati a livello penale e in materia di estradizione (nel senso di una maggiore celerità del procedimento di estradizione e di una migliore trasmissione dell'esecuzione delle sentenze penali); l'approntamento del SIS (sistema cui abbiamo già avuto modo di parlare) che ha come obbiettivo lo scambio di informazioni e protezione dei dati personali. Sempre nella Convenzione venne stabilito di armonizzare il sistema dei visti (VSU- visti Schengen uniformi) per impedire un aumento di immigrazione irregolare e una maggiore ondata di attività illegali. Venne quindi stabilito che un qualunque cittadino di uno degli Stati contraenti o uno straniero proveniente da un luogo all'interno dello spazio comune potesse varcare la frontiera interna senza che ci fossero controlli. Si distingueva inoltre a seconda che il soggetto fosse qualificato come "non-straniero" o come "straniero". Erano "non stranieri" i cittadini appartenenti ai paesi contraenti e quelli dei paesi non firmatari della Convenzione (Irlanda e Regno Unito) e del Liechtenstein. Erano "stranieri" i cittadini degli altri paesi. Se entrava quindi nel territorio nazionale un cittadino "non straniero" era sottoposto, eventualmente, solo al controllo della cittadinanza, se ad entrare era un cittadino "straniero", era soggetto ai controlli di ammissibilità esercitati dall'Autorità di frontiera anche attraverso un controllo dei dati tramite il SIS. Era possibile che il cittadino "straniero" fosse autorizzato all'ingresso nello spazio Schengen per un periodo di breve durata (fino a 90 giorni) o di lunga durata (oltre 90 giorni). Per un soggiorno di breve durata i cittadini stranieri dovevano munirsi di un visto chiamato Visto Schengen Uniforme (VSU), rilasciabile da qualsiasi autorità consolare di uno stato membro e valido in tutta l'area. Ci sono paesi ai cui cittadini non era però richiesto di munirsi di visto (5). Lo "straniero" doveva quindi presentarsi a un valico di frontiera, essere in possesso di passaporto o documento equipollente, documenti che giustificassero lo scopo del viaggio, e dimostrare di disporre di mezzi finanziari sufficienti per la durata del soggiorno e per le spese di ritorno. Era inoltre necessario che non fosse considerato pericoloso né fosse stato condannato per reati previsti ex art. 380 commi 1 e 2 c.p.p. (6), o per reati inerenti a stupefacenti, libertà sessuale, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina né che fosse stato colpito da provvedimento di espulsione. Nel caso in cui fosse richiesto, lo straniero doveva essere in possesso del visto.

Il 2 ottobre 1997 fu firmato dagli Stati membri il Trattato di Amsterdam (7), entrato poi in vigore il 1 maggio 1999. Questo Trattato ha modificato i Trattati istitutivi della Comunità Europea e il Trattato sull'UE, in vista dell'ampliamento verso est; ed ha integrato nel quadro istituzionale dell'Unione Europea l'acquis di Schengen in materia di libera circolazione con eccezione per Irlanda, Regno Unito e Danimarca. La cooperazione fra gli Stati è stata così rafforzata e la libera circolazione delle persone è divenuta una realtà; nello stesso tempo è stato assicurato un controllo parlamentare democratico ed è stata data la possibilità ai cittadini di adire alle istituzioni giudiziarie competenti per far valere i propri diritti all'interno dell'Unione. Per questo sono state necessarie alcune tappe: innanzitutto al Comitato esecutivo istituito dagli accordi di Schengen è subentrato il Consiglio dell'Unione Europea, in conformità al Trattato di Amsterdam. Quindi il Consiglio ha selezionato le disposizioni e le misure prese dagli Stati firmatari dell'accordo che costituivano un vero e proprio acquis: un insieme di atti da conservare assolutamente se si voleva andare avanti nel percorso per la cooperazione. Il 20 maggio 1999 è stato adottato l'elenco degli elementi che compongono l'acquis e per ciascuno di essi sono state definite le basi giuridiche corrispondenti nei trattati europei. È necessario che questi elementi vengano pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale proprio perché rientrano fra le norme giuridiche che i paesi che aspirano ad aderire devono trasporre nella loro legislazione nazionale.

1.3 L'apparato normativo e disciplina del lavoratore extracomunitario

1.3.1 La legge n. 40/1998

Nel febbraio del 1997 si delineò un provvedimento legislativo di riforma della legge n. 39/1990. La legge 6 marzo 1998 n. 40 "Disciplina dell'immigrazione e della condizione dello straniero" venne infatti approvata dal Parlamento dopo un anno di esame del disegno di legge, presentato alla Camera dei Deputati il 19 febbraio 1997, dal Governo Prodi. Il Governo Prodi al momento della presentazione del disegno legge cercò di farlo approvare in ogni modo, avendo come obiettivo non soltanto la migliore governabilità del fenomeno migratorio ma anche il rendere l'Italia più affidabile e sicura agli occhi dell'Europa e a quelli dei membri di Schengen. Successivamente questa legge verrà recepita e integrata nel decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 che conterrà il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. L'attenzione rivolta agli accordi di Schengen nell'emanazione delle leggi del 1998 è resa ancora più evidente dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 311/2000 (8), nella quale si dichiara inammissibile la richiesta del referendum abrogativo del T.U., proprio perché un'eventuale abrogazione dello stesso "renderebbe inadempiente l'Italia agli obblighi derivanti dagli artt. 2, 5, 6, 18, 23 e 27 della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen e quindi del Trattato di Amsterdam".

La struttura del Testo unico è composta da sei titoli: un Titolo I di Principi generali, e un Titolo II di Disposizioni sull'ingresso, il soggiorno e l'allontanamento dal territorio dello Stato. In questo titolo troviamo istituti quali: l'ingresso nel territorio dello Stato (art. 4); il permesso di soggiorno (art. 5), con le facoltà e gli obblighi inerenti a questo (art. 6); la carta di soggiorno (art. 9); il respingimento (art. 10); le disposizioni contro le immigrazioni clandestine (art. 12); l'espulsione amministrativa (art. 13) e la sua esecuzione (art. 14), quella a titolo di misura di sicurezza (art. 15) e quella a titolo di sanzione sostitutiva della detenzione (art. 16); le disposizioni di carattere umanitario (capo III).

Al titolo III troviamo la Disciplina del lavoro, all'interno della quale ci sono importanti istituti: la determinazione dei flussi di ingresso (art. 21), il lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato (art. 22), la prestazione di garanzia per l'accesso al lavoro (art. 23), il lavoro stagionale (art. 24) e la previdenza e assistenza per i lavoratori stagionali (art. 25), l'ingresso e il soggiorno per il lavoro autonomo (art. 26), l'ingresso per lavoro in casi particolari (art. 27). Al titolo IV viene affrontato il tema del diritto all'unità familiare e tutela dei minori, quindi: il ricongiungimento familiare (art. 29) e il permesso di soggiorno per motivi familiari (art. 30). Il titolo V reca le Disposizioni in materia sanitaria, nonché di istruzione, alloggio, partecipazione alla vita pubblica e integrazione sociale. Infine il Titolo VI contiene le Norme finali.

Il 16 ottobre 1998 si è provveduto inoltre ad attuare un'ulteriore regolarizzazione degli stranieri presenti in Italia alla data in vigore della legge. Tale regolarizzazione ha reintrodotto la possibilità di sanatoria per i lavoratori autonomi (14%), ed ha mantenuto la regolarizzazione per ricongiungimento familiare (3%), per i lavoratori dipendenti (78%), e per una piccola quota di soggetti in cerca di occupazione (5%). Le domande accolte sono state 215.000. Il processo di riforma della materia dell'immigrazione contenuto nel T. U. giunse quindi a termine con il D. P. R. 31 agosto 1999 n. 394, con il Regolamento di attuazione del Testo Unico.

Attraverso il Testo Unico si è cercato di disciplinare in maniera organica la materia dell'immigrazione e di dare risposta alle nuove esigenze emerse nel territorio. Tale Testo, entrato in vigore il 2 settembre 1998, ha riordinato in un'unica fonte tutta la legislazione sull'immigrazione extracomunitaria, abrogando le norme precedenti la legge n. 40/1998.

Vediamo come soddisfi anche l'esigenza di un maggior coordinamento fra le forze coinvolte nel problema e mette in evidenza una responsabilità pubblica nel favorire l'integrazione degli immigrati. In particolare gli obiettivi della legge possono essere riassunti nella programmazione dei flussi di ingresso per il lavoro; nel contrasto dell'immigrazione clandestina; nell'aggravamento delle sanzioni penali per il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina; nella disciplina della carta di soggiorno; nelle norme a tutela della famiglia; nell'integrazione scolastica; nella parità di assistenza sociale e sanitaria; nella repressione della discriminazione e nella parità della tutela giurisdizionale.

Come già detto, il Testo Unico è stato modificato dalla legge 189/2002, cosiddetta Bossi- Fini, e dalla legge n. 222/2002 di conversione del d.l. 195/2002. Queste leggi, insieme al Regolamento contenente le norme di attuazione D.P.R. 394/1999, modificato nel D.P.R. n. 334/04, costituiscono la struttura normativa della disciplina sull'immigrazione nel nostro paese. A tale proposito ci sono opinioni che ritengono che la l. n. 189/2002 abbia stravolto la struttura portante del T.U. e c'è invece chi ritiene che almeno l'80% dell'impalcatura della legge del 2002 sia la stessa di quella della legge Turco- Napolitano e solo il 20% sia stata modificato dalla legge Bossi- Fini. Rientra però, in ogni caso, in tale 20%, la disciplina di accesso al lavoro, area che ha subito le maggiori modifiche e che maggiormente ci interessa. Si procederà quindi ad un'analisi delle maggiori modifiche apportate e dell'attuale disciplina del lavoro.

Prima può però essere interessante citare alcune opinioni espresse sulla legge Turco-Napolitano e sul collegamento con la Bossi-Fini.

Angelo Caputo, in un articolo pubblicato sulla rivista "Questione Giustizia", in seguito alla promulgazione della Bossi-Fini compiva un'analisi del legame di continuità che univa le due leggi. Individuava infatti nelle due leggi la medesima logica binaria che caratterizza la cosiddetta politica dei flussi ritenendo quindi si applicassero: "politiche di integrazione nella definizione della posizione giuridica degli stranieri regolari; politiche di estremo rigore nel trattamento degli stranieri irregolari" (9), dando quindi un giudizio estremamente negativo di tale logica in quanto non efficace rispetto agli irregolari e "sostanzialmente bugiarda" (10) rispetto all'integrazione dei regolari. Nell'analisi compiuta da Caputo la legge Turco-Napolitano non ha riequilibrato le distorsioni presenti in questa logica binaria, attraverso gli auspicabili strumenti di politiche di integrazione realmente efficaci o di una maggiore razionalizzazione delle politiche attinenti all'immigrazione irregolare. La differenza che Caputo rileva è che con la legge n.189/2002 si è compiuto un leggero cambiamento di direzione della politica immigratoria da una logica binaria:

verso una formalizzazione del rifiuto dell'immigrazione, insomma verso l'opzione immigrazione zero; la scelta di fondo di "giustificare l'ingresso e la permanenza sul territorio nazionale dello straniero per soggiorni duraturi solo in relazione all'effettivo svolgimento di un'attività lavorativa sicura e lecita "si traduce nella costruzione della condizione giuridica del migrante in termini di univoca subordinazione alle logiche del mercato e alle esigenze del mondo delle imprese, così abbandonando qualsiasi seria, affidabile prospettiva di integrazione. (11)

Similmente si esprime il magistrato di Cassazione Livio Pepino che in un articolo di analisi alla legge n.189/2002 sostiene che il punto centrale della Turco-Napolitano è "l'individuazione di due canali di immigrazione, quello regolare e quello irregolare, tra loro radicalmente e irrimediabilmente divaricati." (12)

Sempre a proposito della "politica dei flussi" può essere interessante riportare l'analisi che compie Lorenzo Miazzi nella sua relazione al Consiglio Superiore della Magistratura intitolata "La condizione giuridica dello straniero" (13). Miazzi pone l'accento sulla continuità che lega la legge n.189/2002 e la legge n.40/1998 proprio a riguardo della politica dei flussi, che è stata creata non per disciplinare il fenomeno migratorio ma solo come strumento di contenimento dello stesso, limitando attraverso una scelta politica il numero di ingressi regolari, scelta questa, come avrebbe messo in luce l'ultima regolarizzazione, sarà fallimentare. In particolare nota Miazzi: "si è rivelato errato, del tutto irrealistico, in particolare, il principio riproposto dalla l. 40/98, e cioè quello dell'incontro fra domanda e offerta di lavoro, che si immaginava possa venire 'a livello planetario' prima dell'ingresso e non invece dopo l'ingresso, come avviene nella realtà." (14)

1.3.2 La legge Bossi-Fini: reazioni e aspettative

La promulgazione della legge n. 189/2002, meglio conosciuta come Bossi-Fini, ha provocato fra 'gli addetti ai lavori' reazioni molto forti.

I principi generali più importanti che sostenevano la legge possono essere riassunti così: un maggior controllo delle frontiere attraverso un rafforzamento dei poteri di polizia; aiuti agli Stati che collaborano nel contrasto dell'immigrazione clandestina e al traffico degli esseri umani, mentre agli Stati che non collaborano nel contrasto dell'immigrazione clandestina o nella riammissione dei propri cittadini espulsi vengono ridotte le quote; espulsione immediata dei clandestini; viene prevista una proroga di 60 giorni del periodo di trattenimento nei centri di permanenza; viene previsto un aumento di pena per i trafficanti di clandestini; si rilevano le impronte digitali agli stranieri; a proposito della disciplina del lavoro, di cui ci occuperemo estesamente in seguito, viene previsto l'ingresso a seguito di chiamata nominativa o numerica collegato strettamente al contratto di soggiorno, idonea sistemazione alloggiativa e impegno al pagamento delle spese per il rientro da parte del datore di lavoro, istituzione di un ufficio unico per le Prefetture responsabile per tutti i passaggi necessari per le assunzioni; viene ridotto a sei mesi da un anno il permesso di 'attesa occupazione' e la carta di soggiorno viene rilasciata dopo sei anni di regolare permanenza, e non più cinque, come invece previsto dalla Turco- Napolitano. Analizzeremo in seguito le altre novità previste in particolare per la disciplina del lavoro dello lavoratore straniero.

Già il 31 maggio 2002, quando il testo di legge assunse una forma definitiva, venne diffuso un documento da Magistratura Democratica, Gruppo Abele, Coordinamento nazionale giuristi democratici che nell'appello per una proposta politica realmente efficace nei confronti del fenomeno migratorio al punto A, dopo aver esternato l'esigenza di assicurare alla disciplina sull'ingresso e soggiorno degli stranieri la necessaria flessibilità, diceva che:

legare strettamente il soggiorno dello straniero al mantenimento del posto di lavoro significa spingere la condizione dei migranti verso una dimensione sostanzialmente servile, precludendo, oltre tutto, l'ulteriore sviluppo di percorsi d'integrazione già avviati, anche nel mondo del lavoro. (15)

Angelo Caputo, nell'articolo citato in precedenza, vede nella legge n. 189/2002 da una parte, una continuità con la precedente Turco-Napolitano, ma, dall'altra, un passo in avanti nel segno di un'ulteriore stretta nei confronti degli immigrati, in quanto viene accolta quella che Caputo definisce "l'opzione immigrazione zero", mentre vengono diminuiti gli spazi per l'integrazione e si definisce uno status giuridico che si caratterizza per una debolezza del lavoratore e la maggiore forza del datore di lavoro. Livio Pepino, magistrato della Corte di cassazione, ritiene che, seppure la precedente Turco-Napolitano non fosse una buona legge, in quanto afflitta da quella logica binaria a cui ho già accennato prima; essa mantenesse come finalità la creazione di "una società aperta e multietnica" (16). Sempre Pepino afferma che la Bossi-Fini segna invece un momento di rottura rispetto alle legge precedente in quanto vi è un passaggio di "degradazione dello status dello straniero a vera e propria condizione servile" (17).

Di opinione diversa è invece Giorgio Spangher, professore ordinario di procedura penale all'Università "La Sapienza" di Roma, che ritiene che l'inevitabile trasformazione della nostra società in una società multietnica comporta che "le situazioni eccezionali e patologiche non possono essere governate con gli strumenti ordinari e fisiologici, le fasi di transizione richiedono di essere pilotate con provvedimenti temporanei e provvisori, più o meno lunghi, anche in deroga agli schemi tradizionali" (18). Rispetto al trattamento differenziato delle situazioni fra regolari e irregolari, Spangher ritiene che "nulla induce a credere che l'introduzione di rimedi repressivi nei confronti di alcune situazioni irregolari si configuri come un graduale tentativo di affievolimento della tutela delle situazioni regolari." (19).

Il Governo si esprime chiaramente nella relazione governativa al disegno legge: "la linea guida seguita dal provvedimento è quella di giustificare l'ingresso e la permanenza sul territorio nazionale dello straniero per soggiorni duraturi solo in relazione all'effettivo svolgimento di un'attività lavorativa sicura e lecita, di carattere temporaneo o anche di elevata durata.".

Lorenzo Miazzi nella sua relazione al CSM sulla condizione giuridica dello straniero (20) ritiene che l'iter legislativo di questa legge non è stato certo dei più tranquilli, in particolare nota come la maggioranza di governo si era trovata stretta fra due esigenze contrapposte ma ugualmente importanti: da una parte una "necessità di coerenza con le premesse della riforma", il dover mantenere le promesse fatte durante la campagne elettorale di impedire ogni ulteriore ingresso di stranieri nel territorio italiano, dall'altra parte l'esigenza molto concreta degli imprenditori che si trovavano nelle condizioni di dover richiedere ulteriore manodopera straniera. La soluzione trovata per soddisfare le due esigenze è stata quella di considerare lo straniero solo in quanto forza-lavoro.

1.3.3 La disciplina dell'accesso al lavoro

La disciplina di accesso al lavoro del cittadino straniero è senza dubbio uno dei capitoli più importanti della normativa sugli stranieri, in quanto l'effettivo svolgimento di un'attività lavorativa costituisce uno fra i presupposti più importanti per l'ingresso e la permanenza di un cittadino straniero sul territorio nazionale. Notevoli sono state le modifiche apportate dalla legge n. 189/2002 al precedente T.U., e con il nuovo Regolamento di attuazione di modifica del n. 394/99, il D.P.R: n. 334/04. Di seguito analizzeremo i principali istituti attinenti alla disciplina al lavoro.

a) I flussi d'ingresso

La normativa vigente si pone l'obiettivo di realizzare una programmazione puntuale degli ingressi regolari di cittadini stranieri in Italia e collega in maniera imprescindibile l'esistenza e la durata del contratto di lavoro subordinato alla concessione del permesso di soggiorno per lavoro subordinato. L'art. 3 del T.U., intitolato "Politiche migratorie", prevede come prima novità che il Presidente del consiglio debba sentire per un parere il Comitato per il coordinamento e il monitoraggio ex art. 2 bis, cui partecipa anche un Presidente di Regione. Tale Comitato, istituito presso la Presidenza del Consiglio, ha la funzione di monitorare le disposizioni del Testo Unico e di dare un parere sul decreto-flussi. Il Comitato deve inoltre dare parere sul completamento del programma di realizzazione di un sistema di centri di permanenza temporanea e assistenza (21). Devono essere sentiti inoltre la Conferenza unificata ex art. 8 del D. Lgs n. 281/1998 e le competenti Commissioni parlamentari. La Conferenza unificata è la sede in cui le Regioni possono avanzare delle proposte, che peraltro non hanno un valore vincolante in quanto la materia dell'immigrazione è di competenza esclusivamente statale ex art 117 Cost., così come modificato dalla legge cost. n. 3/2000.

Dopo avere tenuto conto anche dei rapporti predisposti dalla Regioni sul fabbisogno locale di manodopera, il Presidente del Consiglio emana un decreto nel quale si definiscono le quote massime di stranieri che possono entrare nel territorio nazionale. Nella programmazione annuale dei flussi si prevede che si tenga conto anche degli stranieri che ottengono il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare, asilo o protezione temporanea in quanto si considerano titoli che permettono di svolgere un'attività lavorativa.

b) Il ruolo delle Regioni

Come si è già potuto osservare le modifiche della legge n. 189/2002 hanno previsto un ruolo più incisivo delle Regioni nella determinazione delle quote di ingresso per motivi di lavoro.

Elencando le novità in maniera sistematica:

  1. art. 21 c. 4 - ter T.U.: nuova forma di coordinamento tra Stato e Regione in materia di immigrazione così come prevista dall'art 118 c. 3 Cost.. Le Regioni possono trasmettere, entro la data di emanazione del decreto flussi (il 30 novembre di ogni anno) alla Presidenza del Consiglio un rapporto sulla presenza e sulla condizione degli immigrati extracomunitari nella regione, contenente anche le indicazioni revisionali relative ai flussi sostenibili nel triennio successivo in rapporto alla capacità di assorbimento del tessuto sociale e produttivo.
  2. art. 3 c. 4 T.U. Lo schema di D.P.C.M. di determinazione delle quote di ingresso è primariamente determinato dal Comitato per il coordinamento e monitoraggio istituito dall'art. 2- bis T.U., dove troviamo rappresentanti della Regione. Lo schema verrà poi inviato alla Conferenza Unificata Stato- Regione che, come già detto prima, darà un parere.

È evidente che un coinvolgimento delle Regione nella determinazione delle quote non potrebbe comportare una limitazione territoriale del diritto dei lavoratori stranieri di lavorare sull'intero territorio nazionale. Questo risulta chiaro dalla lettera dell'art. 120 comma 1 Cost. che recita: "la Regione non può limitare l'esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale". D'altra parte le convenzioni multilaterali e bilaterali in vigore in Italia non prevedono né consentono limiti geografici interni al paese di emigrazione circa la possibilità per gli stranieri di lavorare. L'art. 10 Convenzione O.I.L., ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge n. 158 /81, prevede che lo Stato garantisca ai lavoratori stranieri regolarmente presenti sul territorio e ai loro familiari parità di trattamento e di opportunità con i cittadini dello Stato stesso.

Ulteriori novità sono rappresentate dall'anticipo del termine di presentazione delle quote di ingresso al 30 novembre dell'anno precedente a quello di riferimento del decreto. Se se ne ravvisa la necessità, sarà possibile emanare ulteriori decreti durante l'anno e, soprattutto, differentemente dalla legge precedente in cui in mancanza di un documento di programmazione annuale sembrava possibile prevedere un certo automatismo e quindi una conferma delle quote dell'anno precedente, evitando eventuali blocchi nel caso di inerzia del Governo, adesso il comma 4, così come modificato, prevede che "il Presidente del Consiglio dei Ministri può provvedere in via transitoria, con proprio decreto, nel limite delle quote stabilite per l'anno precedente".

L'art. 21 del T. U., così come modificato, intitolato "Determinazione dei flussi di ingresso" prevede, inoltre, che ci possano essere restrizioni numeriche nei confronti di quegli Stati che non abbiano collaborato in maniera adeguata nel contrasto dell'immigrazione clandestina o nella riammissione di propri cittadini che siano stati oggetto di un provvedimento di rimpatrio.

Vengono invece introdotte delle quote riservate esclusivamente a: a) lavoratori di origine italiana per parte di almeno uno dei genitori fino al terzo grado in linea di ascendenza, che risiedano in paesi non comunitari e che abbiano richiesto di essere iscritti in un elenco specifico presso le rappresentanze diplomatiche (22) contenente le qualifiche professionali dei lavoratori e b) cittadini di paesi esterni all'Unione Europea con i quali l'Italia abbia concluso degli accordi bilaterali per la regolamentazione dei flussi d'ingresso e delle procedure di riammissione. (23) All'interno di queste intese ci possono essere, ex art. 21 c. 1 T. U., degli accordi specifici che riguardano i lavoratori stagionali con le autorità nazionali responsabili del mercato del lavoro del paese di provenienza.

1.3.4 Un istituto soppresso: la "sponsorizzazione"

La legge n. 189/2002 ha soppresso uno degli istituti più importanti della precedente normativa (art. 23 T. U. 286/1998 e art. 34 e 35 D. P. R. 394/1999), la cosiddetta "sponsorizzazione". La "sponsorizzazione" era una prestazione di garanzia che poteva essere presentata entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto annuale sui flussi e veniva accolta, sempre che non vi fossero motivi ostativi all'ingresso e al soggiorno, nei limiti delle quote fissate. La garanzia, che veniva prestata alla Questura al momento della presentazione della domanda di autorizzazione, era sotto forma di polizza assicurativa o di fideiussione bancaria per la somma necessaria a coprire economicamente lo straniero per l'anno in cui doveva cercare lavoro (24). Veniva restituita al garante in caso di rifiuto del visto di ingresso o di rilascio del permesso di soggiorno. Potevano assumere la posizioni di garanti sia singoli, cittadini italiani e stranieri regolarmente presenti nel territorio, sia enti collettivi come regioni, enti locali, associazioni professionali o sindacali, nonché associazioni di volontariato che operavano nel settore dell'immigrazione da almeno tre anni e fornite di tutti i requisiti richiesti. Attraverso la prestazione di garanzia si assicurava l'alloggio idoneo, il sostentamento, l'assistenza sanitaria, per tutta la durata del permesso di soggiorno. In base all'anzianità di iscrizione si formavano presso le rappresentanze diplomatiche e consolari italiani delle liste sulla cui base venivano rilasciati i visti di ingresso, previa esibizione dell'autorizzazione concessa. Lo straniero riceveva quindi il visto di ingresso, veniva iscritto alle liste di collocamento, e riceveva il permesso di soggiorno per un anno per inserimento nel mercato di lavoro. Se in questo periodo di tempo riusciva a trovare il posto di lavoro il permesso si convertiva in un permesso per lavoro subordinato, altrimenti, allo scadere dell'anno, l'interessato doveva tornare nel paese di origine e comunicare il suo rientro all'Ambasciata che informava la Questura così da sbloccare la fideiussione del garante. La fideiussione veniva restituita al garante, oltre che nel caso in cui fosse stato rilasciato il permesso di soggiorno per lavoro subordinato, anche nel caso in cui non fosse stata concessa l'autorizzazione, o in caso di diniego del visto di ingresso da parte della rappresentanza diplomatica o consolare.

L'attuale maggioranza ha deciso di sopprimere questo istituto in quanto ritenuto causa di disoccupazione degli stranieri, o, addirittura, dell'ingresso in Italia di soggetti pericolosi, o di futuri irregolari.

L'istituto della sponsorizzazione veniva giudicato invece da autori come Angelo Caputo "un fondamentale strumento di flessibilità che consentiva di svincolare l'ingresso legittimo dalla regola dell'incontro a livello mondiale tra domanda e offerta di lavoro" (25)

Anche l'avv. Marco Paggi, membro del direttivo dell'Associazione degli studi giuridici per l'Immigrazione (ASGI), in un'intervista dichiara che "Con la normativa vigente, ci si è invece limitati ad abrogare l'unico istituto, quello della sponsorizzazione, che aveva dimostrato di funzionare in quanto assecondava con criteri controllati e garantiti l'espressione della naturale catena migratoria. La sponsorizzazione è stata infatti ampiamente utilizzata nel passato dalle imprese".

L'istituto della garanzia è stato sostituito dai corsi di istruzione e formazione professionale nei paesi di origine che, ex art. 23 delle legge n. 189/ 2002, costituiscono titoli di prelazione per l'ingresso in Italia per coloro che ne hanno usufruito. Gli obiettivi di tale corsi, chiariti nel comma 2 dell'art. 23 sono: l'inserimento lavorativo mirato nei settori produttivi italiani che operano o all'interno dello Stato o all'interno dei paesi di provenienza del lavoratore straniero; lo sviluppo di attività produttive o imprenditoriali autonome nei paesi d'origine. Tutto questo nell'ambito di programmi approvati dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero dell'Università della Ricerca e dell'Istruzione, anche su proposta delle Regioni e delle province autonome, realizzati in collaborazione con vari attori sociali, fra cui anche le organizzazioni dei datori di lavoro, degli imprenditori e dei lavoratori (26).

Riassumendo, è quindi chiaro che dal decreto flussi determinato annualmente verranno riservati dei "posti" a queste categorie di lavoratori:

  • I lavoratori di origine italiana per parte di uno dei genitori fino al terzo grado in linea di ascendenza
  • I cittadini di paesi fuori dall'Unione Europea con i quali è però in corso una collaborazione per il rientro degli immigrati in posizione irregolare
  • I lavoratori che hanno partecipato ai corsi di formazione ex art. 23 T.U.
  • I minori non accompagnati che, ex art. 32 T.U., hanno ottenuto un permesso di soggiorno per lavoro.

1.3.5 Il decreto flussi del 2004

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 18 del 23 gennaio 2004 sono stati pubblicati i decreti del Presidente del Consiglio sulle quote di ingresso sul lavoro stagionale e sul lavoro subordinato non stagionale e autonomo, e il 21 gennaio 2004 è stata divulgata la circolare n. 5/2004 del Ministero del Welfare con le istruzioni applicative.

Nel decreto flussi è stata fissata una quota massima di 50 mila lavoratori stagionali provenienti da Estonia, Slovenia, Polonia e Ungheria, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Serbia-Montenegro, Croazia, Bulgaria e Romania: tutti paesi candidati a entrare nell'Unione Europea, o entrati nell'Unione Europea nel 2004 ma per i quali sono stati previste moratorie per l'accesso al diritto di libera circolazione e soggiorno di loro cittadini. Nella medesima quota sono previsti anche i cittadini dei paesi che hanno sottoscritto o stanno per sottoscrivere accordi di cooperazione in materia migratoria e cioè Tunisia, Marocco, Egitto, Albania e Moldavia. Inoltre possono fare domanda i cittadini non comunitari titolari di permesso di lavoro stagionale 2002 o 2003. Infatti, in base a quanto previsto dall'art. 24, comma 4, del T.U.: "il lavoratore stagionale, ove abbia rispettato le condizioni indicate nel permesso di soggiorno e sia rientrato nello Stato di appartenenza alla scadenza del medesimo, ha diritto di precedenza per il rientro in Italia nell'anno successivo per ragioni di lavoro stagionale "avendo quindi diritto di priorità anche se non appartenente ai paesi elencati.

È stata poi fissata una quota complessiva di 29.500 lavoratori extracomunitari, divisa fra lavoratori subordinati e autonomi. In seguito analizzeremo più estesamente come si ripartiscono tali quote fra le differenti tipologie di permesso di soggiorno.

1.3.6 Il decreto flussi del 2005

A gennaio 2005 sono state emanate due circolari: la n.1/2005 e la n.2/2005 del Ministero del Lavoro che hanno fissato le quote previste di lavoratori extracomunitari e neo comunitari per l'anno 2005. La circolare n. 1/2005 ha fissato una quota massima di 79.500 ingressi di stranieri extracomunitari, da ripartire nelle quote di lavoro subordinato, autonomo e stagionale. In particolare, brevemente, ricordiamo che sono state previsti 25.000 lavoratori stagionali. Per fissare tale quota, inferiore all'anno precedente, il Ministero ha tenuto conto del fatto che "una parte importante della domanda di lavoratori stagionali viene soddisfatta da cittadini di paesi diventati membri dell'Unione Europea il primo maggio 2004 e i cui ingressi per l'anno 2005 sono stati programmati con separato provvedimento." Sono stati previsti 30.000 ingressi per lavoratori subordinati di cittadini extra U.E. di nazionalità non predeterminata, di cui 15.000 per i collaboratori domestici. Ai lavoratori autonomi è stata riservata una quota pari a 2500 ingressi, per determinate categorie, di cui tratteremo più estesamente in seguito. Una quota di 21500 ingressi è stata determinata per lavoratori subordinati non stagionali, di cui 20.800 per i "cittadini di Paesi che hanno sottoscritto o stanno per sottoscrivere specifici accordi di cooperazione in materia migratoria che, secondo la specificazione contenuta nel citato DPCM". Diversamente dall'anno precedente è stata emanata anche una seconda circolare, la n. 2/2005, che prevede 79.500 ingressi per i cittadini neo comunitari; tale circolare conferma le modalità semplificate stabilite nel 2004 con la circolare n. 14 del 28. 4. 2004, di cui parlerò in seguito. Ma prima è importante ricordare l'art. 2 della circolare che prevede che il Ministero del lavoro "attua tutte le misure necessarie affinché per i cittadini dei paesi di nuova adesione non si determinino condizioni di accesso al mercato del lavoro più restrittive di quelle esistenti alla data della firma del Trattato di adesione."

1.4 La disciplina dell'accesso al lavoro per il lavoratore subordinato a tempo determinato e indeterminato

La legge 189/2002, e il nuovo regolamento di attuazione, n.334/04, come già più volte detto, hanno profondamente modificato l'accesso al lavoro per il lavoratore subordinato a tempo determinato e indeterminato, accesso che viene disciplinato dall'art. 22 T.U. Anzitutto è da rilevare che il datore di lavoro italiano o straniero, regolarmente soggiornante e residente in Italia, per assumere un cittadino straniero residente all'estero si deve rivolgere allo Sportello Unico per l'Immigrazione, presso ogni Ufficio Territoriale del Governo, che sarà competente per le procedure che riguardano il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro e di famiglia. Le funzioni dello Sportello Unico per l'Immigrazione (UTG) fino a quando entra in vigore del regolamento di attuazione sono svolte dalle Direzioni Provinciali del Lavoro. Lo Sportello Unico sull'Immigrazione è stato disciplinato anche dall'art. 30 del nuovo regolamento di attuazione, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 10 febbraio 2005; viene specificato come verrà diretto da un dirigente della carriera prefettizia o da un dirigente della Direzione provinciale del Lavoro. L'Ufficio è composto da un rappresentante della Prefettura, uno della DPL, un appartenente alla Polizia di Stato.

Il Ministero del Lavoro con la circolare n. 4 del 21 gennaio 2002 ha chiarito come le richieste di autorizzazione al lavoro non devono essere presentate prima della data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto flussi, che in nessun modo le richieste presentate prima del termine costituiscono una posizione di precedenza.

Il datore di lavoro, italiano o straniero regolarmente soggiornante, presenterà allo Sportello Unico per l'Immigrazione del comune di residenza o di quello dove ha sede legale l'impresa o dove verrà prestata l'attività lavorativa la documentazione necessaria per la concessione del nullaosta al lavoro subordinato, si può presentare allo Sportello Unico della provincia di residenza o quello della provincia dove ha sede legale l'impresa o quello dove avrà luogo la prestazione di lavoro, dovrà contenere, così come specificato dal nuovo D.P.R.: una richiesta nominativa con tutte le generalità del lavoratore o se richiesta numerica il numero di lavoratori che si intende assumere, le generalità del datore di lavoro, del titolare o del rappresentante legale, la ragione sociale la sede e l'indicazione del luogo di lavoro, il trattamento retributivo e assicurativo che rispetti, ovviamente le leggi in materia e i contratti collettivi nazionali di categoria, una copia della documentazione dell'alloggio per il lavoratore che rientri nei parametri minimi richiesti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziali, una copia del contratto di soggiorno, una impegnativa a pagare le spese del viaggio di ritorno nel paese di origine, una dichiarazione nella quale si impegna a comunicare ogni variazione concernente il rapporto di lavoro. L'inosservanza di quest'ultimo impegno darà luogo agli estremi per una sanzione amministrativa da 500 a 2.500 euro. Per l'accertamento e l'irrogazione della sanzione è competente il prefetto.

1.4.1 Alloggio idoneo

ll requisito dell'alloggio idoneo ha destato forti dubbi interpretativi: è stato inteso sia da alcuni autori, sia nella prassi di alcune Direzioni Provinciali del Lavoro come indicazione e dichiarazione che il datore presta sotto propria responsabilità che il lavoratore dispone di un alloggio e non come impegno a pagare le spese, in aggiunta al normale costo del lavoro ovvero retribuzione contrattuale, contributi assicurativi e previdenziali, ritenuta fiscale. Solo nel caso di lavoro domestico l'alloggio e il vitto sono ritenuti compresi nello stipendio, ma ciò in quanto stabilito nel contratto nazionale di categoria. L'art. 30-bis del D.P.R., come modificato, stabilisce che nel caso in cui il datore abbia messo a disposizione l'alloggio, e abbia intenzione di rivalersi per le spese, potrà trattenere dalla retribuzione mensile una somma che dovrà essere pari al massimo ad un terzo dell'importo e che, in ogni caso, dovrà essere espressamente prevista nella proposta di contratto di soggiorno. Il lavoratore potrà quindi cercarsi autonomamente un alloggio nonché cambiarlo liberamente, comunicandolo alla Questura. La disponibilità potrà essere dimostrata con un contratto di affitto, atto di proprietà o denuncia di ospitalità. Chiunque infatti a qualsiasi titolo dia alloggio o ospiti uno straniero o apolide, anche se parente o affine, è tenuto a darne comunicazione scritta entro 48 ore all'Autorità locale di Pubblica Sicurezza. La dichiarazione di ospitalità è una dichiarazione (autocertificazione) in cui si afferma di ospitare a casa propria un cittadino non comunitario. Deve essere fatta dalla persona titolare del contratto di affitto o di proprietà, accompagnando la dichiarazione con una fotocopia della denuncia di ospitalità; la fotocopia del documento di identità del dichiarante; la fotocopia del contratto d'affitto registrato, intestato alla persona che produce la dichiarazione di ospitalità. Tutti questi adempimenti dovranno essere ripetuti nel caso in cui l'alloggio cambi.

Nel decreto flussi 2003 come documentazione da allegare si riteneva valida e sufficiente l'autocertificazione del datore di lavoro nella quale si dichiarava sotto propria responsabilità la disponibilità e l'idoneità di un alloggio, indicandone l'ubicazione e il numero di persone destinate a occuparlo. Nel decreto flussi del 2004 non era indicato niente al riguardo e il Testo Unico indica all'art. 22 comma 2 lett. b) che è sufficiente "idonea documentazione relativa alle modalità di sistemazione alloggiativa dello straniero", mentre, nel citato "Contratto di soggiorno per lavoro subordinato" art. 5-bis, comma 1, lett. a) indica" la garanzia da parte del datore di lavoro della disponibilità di un alloggio per il lavoratore che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale", posticipando, sembra, la documentazione al momento della firma del contratto, di soggiorno quando ormai lo straniero è già entrato in Italia. Risulta però che le Direzioni Provinciali del Lavoro si siano organizzate in maniera differente: alcune DPL continuano a ritenere sufficiente l'autocertificazione del datore di lavoro, altre, come la Direzione Provinciale del Lavoro di Vicenza, richiedono subito il certificato di idoneità dell'alloggio. È importante ricordare che la normativa che definisce i parametri minimi per l'edilizia residenziale pubblica e le modalita' del rilascio della documentazione necessaria sono, pero', diverse anche nella stessa Regione o Provincia. Generalmente viene rilasciato dagli uffici tecnici comunali che su richiesta scritta provvedono a verificare per quante persone sia idonea un'abitazione. Non c'è uniformità nel fare le verifiche, come nel chiedere la documentazione o rilasciare il certificato. Ogni comune, oltre al T. U. sull'immigrazione e alla legge regionale, fa riferimento a normative diverse per gli altri aspetti. Come afferma Maria Rosa Baldin su Migranews tutto questo comporta che "possiamo pertanto dedurre che il certificato di idoneità dell'alloggio, pur essendo disciplinato da una precisa normativa, è rilasciato con la massima discrezionalità dai funzionari preposti. Forse sarebbe utile un coordinamento che, almeno a livello provinciale, armonizzasse la prassi degli uffici competenti".

1.4.2 Il contratto di soggiorno e altri requisiti

Il contratto di soggiorno è la fondamentale novità introdotta dalla legge "Bossi-Fini" all'art. 5-bis: è il presupposto necessario per la concessione del permesso per motivi di lavoro subordinato, la cui durata è strettamente collegata al contratto di soggiorno stesso. Il contratto di soggiorno infatti, oltre a contenere le regole del rapporto fra datore di lavoro e lavoratore, è anche la causa per la quale il permesso di soggiorno viene concesso. È una nuova fattispecie civile sottoscritta dal datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante e un lavoratore straniero. La sottoscrizione avviene presso lo Sportello Unico per l'Immigrazione. Il contratto deve contenere ex art. 5- bis del T. U. sull'Immigrazione: A) la garanzia della disponibilità dell'alloggio che- come già detto prima- rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, B) l'impegno al pagamento delle spese di ritorno nel paese di origine.

L'art. 30 -bis del D. P. R. n. 394/99, così come modificato, D.P.R. n.334 /04, stabilisce al punto c) che la proposta di stipula di un contratto di soggiorno contenga l'indicazione che sia un contratto a tempo indeterminato, determinato o stagionale, con orario a tempo pieno o parziale e che non sia inferiore alle 20 ore settimanali. Infine nel caso di lavoro domestico assicuri una retribuzione mensile non "inferiore al minimo previsto per l'assegno sociale, ai sensi dell'articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335."

Qualora il contratto di soggiorno non contenga le clausole relative all'alloggio e alle spese di ritorno sarà nullo e quindi non potrà costituire titolo valido per il rilascio del permesso di soggiorno. L'avv. Mughini (27) del Foro di Firenze, specializzato in immigrazione, ritiene questo limite delle 20 ore una novità assoluta, in quanto è rintracciabile sia nel capitolo dedicato alla proposta di contratto di soggiorno, e quindi al momento del rilascio del permesso, sia viene previsto per tutti i contratti, quindi al momento di tutti gli eventuali rinnovi, con varie conseguenze da un punto di vista dei contratti di lavoro.

Il carattere innovativo del contratto di soggiorno era stato messo in evidenza anche nel Libro Bianco sul mercato del lavoro, pubblicato dal Ministero del lavoro nell'ottobre 2001. Secondo Giuseppe Ludovico (28) il contratto di soggiorno è un semplice contratto di lavoro a cui si aggiungono le garanzie a cui ho fatto riferimento prima, e cioè la garanzia di un alloggio e l'impegno a sostenere le spese di rimpatrio del lavoratore straniero. Altri autori, fra cui U. De Augustinis (29), lo ritengono un negozio trilaterale di cui una delle tre parti è costituita dallo Stato ai fini della concessione dei permessi di soggiorno. Infatti nel suo libro così veniva definito: "il prestatore di lavoro deve essere di cittadinanza extracomunitaria o apolide, in modo che possa determinarsi da parte dello Stato, che partecipa alla conclusione del contratto, il rilascio del permesso. In questo contesto il contratto assume, in modo del tutto nuovo, caratteristiche trilaterali.". La dottrina prettamente giuslavorastica (possiamo citare l'opinione di G.Dondi (30)) individua invece una netta distinzione fra il contratto di soggiorno e il suo contenuto, comprese le garanzie in capo al datore di lavoro, e il contratto di lavoro genericamente inteso, che rimarrebbe autonomo e sostanzialmente differente, anche se possono essere rinvenute indubbie analogie.

Ludovico inoltre pone l'accento sul fatto che non sono state previste sanzioni nei confronti del datore di lavoro nel caso in cui inadempisse agli obblighi derivati dalla garanzia, visto che l'art. 5 c. 2 del T.U. prevede soltanto che in assenza delle prestazioni non verrà rilasciato il permesso di soggiorno. Questo induce perplessità in quanto si verrebbe a configurare una debolezza e una mancanza di tutela per il lavoratore straniero determinando quindi una diversità di tutela rispetto a quella normalmente apprestata al lavoratore in tutto il diritto del lavoro.

A questa debolezza fa riferimento anche A.Caputo quando paventa che la legge n. 189/2002 spinga verso "la ulteriore precarizzazione del soggiorno, sempre più rigidamente subordinato all'instaurazione ed alla conservazione di un rapporto di lavoro" (31). Caputo afferma ciò sia per l'indissolubile legame esistente fra permesso di soggiorno e rapporto di lavoro, visto che la durata del permesso è collegata inscindibilmente alla durata del rapporto di lavoro, sia per la diminuzione a 6 mesi della durata del permesso di attesa occupazione. In queste caratteristiche Caputo vede un potere del datore di lavoro nei confronti del lavoratore fino a definire "codificata ex lege una condizione di inferiorizzazione del migrante, cui corrisponde un vero e proprio dominio del datore di lavoro sulla sua persona". (32)

La durata del permesso di soggiorno è quella prevista dal contratto di soggiorno ma non potrà, in ogni caso, superare: 1 anno in caso di contratto di lavoro subordinato a tempo determinato; 2 anni in caso di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Il permesso di soggiorno non potrà comunque superare i 2 anni in caso di lavoro autonomo e i 9 mesi in caso di lavoro stagionale (con 1 o più contratti).

Non può essere fatta la richiesta nominativa da parte di uno straniero che sia stato precedentemente espulso. Le uniche possibilità, in questo caso, sono: aspettare che sia scaduto il termine del divieto di rientro (dieci anni dall'esecuzione dell'espulsione, riducibile al massimo dall'Amministrazione a cinque anni) aver ottenuto da parte del Ministero dell'Interno una speciale autorizzazione ex art. 13 comma 13 del T.U. È necessario anche che il datore di lavoro o il titolare dell'impresa individuale o il legale rappresentante e i componenti dell'organo di amministrazione della società, non risultino denunciati per uno dei reati previsti dagli artt. 380 e 381 del codice di procedura penale, soprattutto in riferimento ai reati concernenti l'immigrazione clandestina e l'occupazione irregolare.

1.4.3 Le chiamate del datore di lavoro

Se il datore di lavoro non conosce personalmente il lavoratore può fare una richiesta numerica, richiedendo il nulla osta al lavoro di un lavoratore extracomunitario iscritto nella banca dati dell'AILE (anagrafe informatizzata dei lavoratori extracomunitari).

L'anagrafe informatizzata dei lavoratori extracomunitari è strutturata sulla base di un progetto elaborato dal Ministero del lavoro entrato poi in vigore alla fine del 2000. Lo scopo era quello di costituire una banca dati anagrafica dei lavoratori extracomunitari per cercare di prevenire gli ingressi irregolari e facilitare invece gli ingressi programmati così da rispondere alle esigenze emerse dal mercato del lavoro italiano.

Il Ministero del Lavoro, con decreto 4 settembre 2000, ha approvato il modello della domanda di iscrizione, che gli stranieri residenti all'estero devono compilare per essere inseriti nella banca dati dell'AILE. Nel modello unico ex art. 32 comma 2 del Regolamento di Attuazione, come modificato, con decreto del Ministero del Lavoro, si registrano le competenze professionali e linguistiche dei lavoratori per avviare lo scambio e la diffusione fra i datori di lavoro e gli organi pubblici.

Queste liste, costituite presso le rappresentanze consolari nei paesi che hanno stipulato intese con l'Italia secondo i criteri fissati dal Regolamento di attuazione, vengono aggiornate ogni anno in base all'art. 32 del Regolamento stesso. Sono tenute distintamente per lavoratori a tempo indeterminato, determinato e stagionale e sulla base della data di presentazione delle domande; registrano per ogni nome il paese di origine, il numero progressivo di presentazione delle domande, il tipo di rapporto di lavoro preferito, le capacità professionali, la conoscenza della lingua italiana o di una lingua straniera, le precedenti esperienze lavorative, l'eventuale diritto di precedenza per lavoro stagionale. Il Ministero degli Affari Esteri riceve dalle Ambasciate le schede nell'ordine di iscrizione, e poi le invia al Ministero del Lavoro che le inserirà nell'anagrafe annuale informatizzata. Lo straniero iscritto nelle liste ha diritto di avere dal Ministero del Lavoro le informazioni relative alla propria posizione nella lista. L'art. 33 del Regolamento prevede che tali dati vengano messi a disposizione dei datori di lavoro e dei sindacati per permettere le chiamate al lavoro che verranno effettuate tramite lo Sportello Unico dopo che è stato rilasciata l'autorizzazione al lavoro dalla Direzioni Provinciali del Lavoro e il nulla osta provvisorio all'ingresso dalla Questura ai lavoratori iscritti nella lista, secondo la modalità fissate negli art. 30-bis, 30- quinquies e 31, per la chiamata nominativa e per la chiamata numerica si osserverà il procedimento dell'art. 30-bis.

Dopo 60 giorni dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto flussi lo straniero iscritto in queste liste potrà richiedere il rilascio del visto di ingresso per inserimento nel mercato del lavoro, sempre che ci siano i posti disponibili all'interno delle quote fissate nel decreto-flussi. Il cittadino extracomunitario dovrà però dimostrare di essere in possesso: di mezzi di sostentamento pari almeno alla metà dell'importo annuo dell'assegno sociale; della polizza assicurativa per cure mediche e ricovero ospedaliero per il periodo di soggiorno in Italia; la disponibilità di un alloggio e dei mezzi economici per le spese per il ritorno. (33) Nella richiesta numerica fatta tramite il meccanismo delle liste sarà necessario che il datore di lavoro proponga un contratto di soggiorno e specifichi i motivi della richiesta.

Nella chiamata nominativa la richiesta, da parte del datore di lavoro, deve essere presentata allo sportello unico per l'immigrazione istituito presso l'ufficio territoriale del governo (Prefettura).

La sede competente a ricevere la domanda è quella del luogo in cui

  • il datore di lavoro ha la residenza o la sede legale
  • il lavoratore deve eseguire la prestazione

La domanda deve necessariamente contenere: le generalità complete del datore di lavoro o del legale rappresentante dell'impresa con indicazione della sede; le generalità complete del lavoratore straniero; la sede in cui il lavoratore svolgerà la sua prestazione; e i presupposti già più volte ricordati del contratto di soggiorno, in particolare: l'impegno al pagamento da parte del datore di lavoro delle spese di ritorno dello straniero nel paese di provenienza; la dichiarazione di impegno a comunicare ogni variazione del rapporto di lavoro; l'indicazione delle modalità di alloggio.

1.4.4 La procedura

Lo Sportello Unico per l'Immigrazione-UTG trasmette la richiesta dei datori di lavoro ai Centri per l'Impiego competenti per provincia di residenza, domicilio o sede legale. Sarà compito del Centro per l'impiego di diffondere le offerte per via telematica agli altri Centri di renderle disponibile sul sito Internet o con ogni altro mezzo a disposizione. Il Centro deve inoltre attivare le misure di promozione all'inserimento nel mercato del lavoro, in particolare, misure attinenti allo stato di disoccupazione ex art. 22 comma 4 T.U. Trascorsi 20 giorni, senza che sia stata presentata domanda da parte di lavoratore italiano o comunitario, o se il datore di lavoro dà espressa conferma della richiesta di nullaosta per il lavoratore straniero, il Centro trasmette allo Sportello Unico competente una certificazione negativa, altrimenti, se sono pervenute domande di lavoratori italiani o comunitari, o di extracomunitari iscritti nelle liste di collocamento o, censiti come disoccupati in cerca di occupazione le trasmetterà allo Sportello Unico e le comunicherà al datore di lavoro. All'art. 30-quinquies, al comma 3, del nuovo regolamento di attuazione stabilisce anche che se il centro per l'impiego comunica allo Sportello Unico e al datore di lavoro la disponibilità di lavoratori, italiani o stranieri, residenti sul territorio italiano la richiesta di nullaosta relativa al lavoratore straniero rimane sospesa fino al momento in cui il datore di lavoro non comunichi, avendo valutato le offerte, allo Sportello Unico e al Centro per l'Impiego, l'intenzione di confermare comunque la richiesta di nulla osta per il lavoratore straniero.

In ogni caso, anche se nel termine dei 20 giorni il Centro per l'Impiego non ha dato notizia, entro 40 giorni dalla presentazione della richiesta lo Sportello Unico, verificata la sussistenza dei requisiti richiesti (34), e, ovviamente, a condizione che siano state rispettate le prescrizioni del contratto collettivo di lavoro, rilascia il nulla osta, sentito il questore per la verifica della sussistenza o meno di motivi ostativi all'ingresso dello straniero nel territorio italiano, e nei limiti fissati dal decreto flussi. Spetta sempre allo Sportello Unico, su richiesta del datore di lavoro, trasmettere la documentazione comprensiva del codice fiscale agli uffici consolari del paese di residenza o di origine dello straniero. In ogni caso spetta comunque allo Sportello Unico, accertati i dati identificativi del lavoratore straniero e acquisito il parere del Questore. Tale nulla osta ha una validità di sei mesi dalla data del rilascio. Entro questo periodo di tempo il cittadino extracomunitario deve fare ingresso in Italia. Egli richiederà quindi il visto di ingresso agli uffici consolari che provvedono a concederlo, con gli accertamenti di rito e con indicazione del codice fiscale. A questo punto la normativa prevede che la rappresentanza diplomatica o consolare che abbia ricevuto la documentazione comunichi allo straniero la proposta di contratto di soggiorno e rilasci il visto d'ingresso, entro 30 giorni dalla data di richiesta del visto dello straniero, dandone comunicazione al Ministero dell'Interno, Ministero del Lavoro, Inps, e Inail. Lo straniero, una volta giunto in Italia, entro otto giorni dall'ingresso, si dovrà recare presso lo Sportello Unico che ha rilasciato il nulla osta e sottoscrivere quindi il contratto di soggiorno. Tale contratto sarà conservato presso lo stesso Sportello Unico e ne verrà trasmessa una copia all'autorità consolare e al Centro per l'Impiego competente. Dopo la stipula del contratto di soggiorno verrà rilasciato il permesso di soggiorno per lavoro subordinato. Secondo la circolare n. 59 del 2002 del Ministero del Lavoro l'effettiva instaurazione del rapporto di lavoro decorre dal giorno della sottoscrizione del contratto di soggiorno da parte del lavoratore e una copia dello stesso verrà inviata anche al datore di lavoro. È possibile presentare, riferite a un unico lavoratore, più domande per l'instaurazione di rapporti di lavoro a tempo parziale, con la sola condizione che l'orario di lavoro abbia una consistenza tale da permettere al lavoratore di avere un reddito sufficiente per il suo mantenimento.

A proposito del richiamo al contratto collettivo del lavoro è interessante citare l'analisi che ne viene fatta nella relazione del Consiglio Superiore della Magistratura "Le attività economiche degli stranieri. Il lavoro subordinato. Il lavoro autonomo" (35). Qui viene rinvenuta la causa del richiamo al contratto collettivo alla volontà di evitare il "dumping" sociale, cioè la tendenza dell'imprenditore a praticare un trattamento peggiore al lavoratore extracomunitario rispetto al lavoratore italiano, mettendoli così in concorrenza salariale. Si mette in evidenza come il datore di lavoro che intenda assumere lavoratori extracomunitari deve uniformare il contratto individuale che intercorre col lavoratore al contratto collettivo: se effettuerà questa scelta, a cui non è assolutamente obbligato, applicherà lo stesso trattamento al lavoratore italiano o comunitario e extracomunitario. In teoria la contrattazione collettiva si traduce nello strumento che rende effettivo il principio di parità del trattamento per il lavoratore italiano e, in qualche modo, per il lavoratore straniero, riducendone la possibilità di sfruttamento. Nella pratica si traduce nella rinuncia da parte degli imprenditori al ricorso al lavoro immigrato, in quanto perde di attrattiva, soprattutto ora che è stata introdotta la riserva a favore del lavoratore italiano.

1.4.5 Il rinnovo del permesso di soggiorno

Il permesso di soggiorno per lavoro subordinato consente un numero indeterminato di rinnovi. Il rinnovo deve essere richiesto alla Questura della provincia in cui dimora lo straniero nel termine di: 90 giorni prima della scadenza, per lavoro subordinato a tempo indeterminato; 60 giorni prima della scadenza, per lavoro subordinato a tempo determinato. L'art. 13 del D.P.R. n. 334/04 stabilisce che per il rinnovo è necessario produrre la documentazione attestante la disponibilità di un reddito che sia sufficiente a sostenere il lavoratore e la propria famiglia. Al comma 2-bis viene anche stabilito che per ottenere il rinnovo per motivi di lavoro subordinato sarà necessaria la sussistenza di un contratto di soggiorno per lavoro e l'autocertificazione del datore di lavoro della disponibilità di un alloggio fornito dei parametri richiamato dall'art. 5-bis comma 1 lett. a) del T. U. sull'Immigrazione. Non bisogna però tralasciare di dire che la normativa che definisce i parametri minimi per l'edilizia residenziale pubblica e le modalita' del rilascio della documentazione necessaria sono, pero', diverse anche nella stessa Regione o Provincia. Una problematica che affronteremo in maniera più approfondita nel secondo capitolo riguarda proprio il rinnovo del permesso di soggiorno e il legame fra questo e il contratto di soggiorno, in particolare per la condizione delle 20 ore settimanali minime di lavoro, condizione che pone dei problemi per tutta una serie di nuovi contratti previsti dalla legge n. 30 /2003 e che saranno oggetto del nostro studio (36).

1.4.6 Variazioni del rapporto di lavoro e la circolare n. 9/2005

Nel marzo 2005 è stata emanata una circolare da parte del Ministero del Lavoro con oggetto "D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334 concernente "Regolamento recante modifiche ed integrazioni al D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, in materia di immigrazione", previsto dall'art. 34, comma 1, della legge Bossi-Fini - Sportello Unico per l'Immigrazione - Ulteriori immediate indicazioni." In tale circolare si prevede che il nuovo D. P. R. n. 334/2004 opera per il momento soltanto riguardo ai casi particolari di ingresso ex art. 27 del T. U. sull'immigrazione e riguardo alla "sottoscrizione del contratto di soggiorno per lavoro necessaria per l'instaurazione del rapporto lavorativo nei confronti di cittadino extracomunitario già munito di permesso di soggiorno per lavoro (art. 36-bis, comma 1, nuovo regolamento) e per far luogo, da parte della Questura, al rinnovo del permesso di soggiorno (art. 13, comma 2-bis, nuovo regolamento)". Questo comporta, come si può leggere in un commento dell'Avv. Marco Paggi, membro dell'ASGI, che il contratto di soggiorno non sarebbe da stipulare solo al momento del primo ingresso del lavoratore, ma in occasione di ogni rinnovo del permesso di soggiorno; infatti all'art. 36-bis del nuovo regolamento di attuazione titolato "Variazioni del rapporto di lavoro" prevede che "Per l'instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro, fermo restando quanto previsto dall'articolo 37, deve essere sottoscritto un nuovo contratto di soggiorno per lavoro, anche ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno, di cui all'articolo 13". Come mette in evidenza Paggi, in questo modo il contratto di soggiorno dovrà essere stipulato ogni volta che il lavoratore, per qualsiasi causa, cambi lavoro, anche se non è ancora scaduto il suo permesso di soggiorno. Inoltre al secondo comma dell'art. 36-bis viene ulteriormente precisato che "Il datore di lavoro deve comunicare allo Sportello unico, entro 5 giorni dall'evento, la data d'inizio e la data di cessazione del rapporto di lavoro con il cittadino straniero, ai sensi dell'articolo 37, nonché il trasferimento di sede del lavoratore, con la relativa decorrenza."

Con la circolare n. 9/2005 si specifica quindi il comportamento che si deve tenere nei confronti degli Sportelli Unici per l'immigrazione, nel caso di un nuovo contratto di soggiorno da stipulare da parte di un lavoratore che ha un permesso di soggiorno ancora perfettamente valido. Vengono però date anche indicazioni diverse nel caso della stipula del contratto di soggiorno da parte di un lavoratore già regolarmente soggiornante; nel suo caso si precisa che ai fini del rinnovo il permesso di soggiorno dovrà essere integrato con la stipula del contratto di soggiorno. Tale contratto di soggiorno dovrà essere provvisto dei requisiti necessari, fra i quali ricordiamo la garanzia della disponibilità di un alloggio, e la garanzia di pagamento delle spese di rimpatrio. Tale previsione potrebbe porre un problema anche dal punto di vista delle 20 ore settimanali normalmente richieste nel contratto di soggiorno, creando difficoltà nell'accesso alle nuove forme di lavoro anche per lavoratori già regolarmente soggiornanti. L'Altro Diritto fornisce, attraverso un parere richiesto dall'associazione industriali, una diversa interpretazione di tale circolare; da tale parere si evince che mentre la legge 189/ 2002 prevede che il contratto di soggiorno debba essere stipulato anche nel caso di rinnovo del permesso di soggiorno, ex art. 5 del T. U. sull'immigrazione, non sembra sussistere norma di legge per il quale la stipula del contratto di soggiorno è precondizione all'assunzione del migrante già regolare in Italia; infatti l'art. 22 del D. lgs 286/1998, modificato dalla legge n. 189/2002 prescrive che il contratto di soggiorno debba essere presentato allo Sportello Unico da "Il datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia che intende instaurare in Italia un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato con uno straniero residente all'estero". Questo comporta, secondo il parere dell'associazione che: "l'obbligo di stipulare il contratto di soggiorno sembra sussistere solo in caso di assunzione di "uno straniero residente all'estero" e in caso di rinnovo del permesso di soggiorno, mentre non è previsto, dalla legge in caso di assunzione di uno straniero già residente in Italia. È alla luce di questo dato normativo che deve essere interpretato l'art. 36 bis primo comma del D.P.R. n. 334/2004 secondo cui "Per l'instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro, fermo restando quanto previsto dall'articolo 37, deve essere sottoscritto un nuovo contratto di soggiorno per lavoro, anche ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno, di cui all'articolo 13". Data la riserva di legge, non sembra che in questa materia una precondizione all'assunzione di uno straniero già residente in Italia, possa essere stabilita da un regolamento. Ecco perché riteniamo illegittima la richiesta del modello 23 allegato alla circolare n. 9/2005".

1.4.7 La perdita del lavoro

Secondo l'art 22 comma 11 T.U., in conformità all'art. 8 della Convenzione O.I.L. n. 143 del 1975 (secondo la quale allo straniero divenuto disoccupato deve essere concesso un periodo di tempo minimo per la ricerca di un nuovo lavoro) la perdita del posto di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno né per il lavoratore, né per i suoi familiari regolarmente soggiornanti. Infatti il lavoratore, anche dimissionario, può iscriversi alle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso e in ogni caso, a meno che non si tratti di un permesso di lavoro stagionale, avrà un permesso di attesa occupazione della durata di sei mesi. Precedentemente alla legge Bossi-Fini la durata di tale permesso era di un anno. A tale riguardo è sicuramente interessante richiamare una sentenza emessa dal TAR del Trentino, sezione di Trento, n. 643/01, che accoglie il ricorso di un lavoratore straniero contro un decreto di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno emesso dalla Questura della provincia di Trento. Il rinnovo era stato negato in quanto il lavoratore aveva perso il lavoro al momento della richiesta. Nella sentenza si può leggere che "la casuale e momentanea perdita del posto di lavoro non costituisce ostacolo al rinnovo del permesso di soggiorno a favore del lavoratore extracomunitario che svolga in atto un'attività lavorativa (cfr., tra le tante, T.R.G.A. del Trentino - Alto Adige, Trento, n. 288 del 12 aprile 2001)." Il Tribunale ravvisa come principio a fondamento di tali norme la tutela del lavoratore e esprimendosi in questi termini: "le norme citate tutelano in modo pieno ed indiscutibile il lavoratore extracomunitario che, come il ricorrente nella fattispecie in esame, sia casualmente privo di lavoro al momento della scadenza del permesso di soggiorno, ma abbia lavorato per periodi più o meno lunghi ed abbia in corso un contratto di lavoro che, per il suo perfezionamento, richieda il rinnovo del permesso in questione". È quindi evidente che, sebbene la durata del permesso concesso al lavoratore di attesa occupazione sia stata ridotta in seguita alla modifica della legge Bossi- Fini, la ratio della legge è rimasta la medesima.

Giuseppe Ludovico rileva come la diminuzione del termine a sei mesi del permesso di attesa occupazione assume un preciso significato nel momento in cui si pone in correlazione con l'aumento, previsto dal nuovo art. 5. comma 4, T.U. a novanta giorni, dai precedenti trenta, del termine entro cui deve essere presentata la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno. La conclusione che se ne trae è che il lavoratore che abbia perduto il posto di lavoro in prossimità dello scadere del suo permesso di soggiorno avrà a disposizione soltanto tre mesi per trovare un nuovo lavoro e presentare la richiesta di rinnovo entro novanta giorni. Sarà necessario comunicare la perdita del posto di lavoro al Centro per l'impiego, anche per l'iscrizione del lavoratore straniero nelle liste di collocamento di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 496/97, gestite dalla Regione.

È possibile vedere come la normativa sul collocamento, sia per i lavoratori italiani che stranieri, ha subito profonde evoluzioni dal 2000 ad oggi e il panorama che ne risulta adesso è piuttosto complesso. La modifica del collocamento pubblico ha come finalità principale quella di agevolare l'incontro fra domanda ed offerta di lavoro.

Per far questo il Legislatore ha abolito le liste di collocamento sostituendole con le schede professionali e anagrafiche dei lavoratori con eccezione delle liste per i disabili, lavoratori in mobilità, lavoratori dello spettacolo e marittimi. È stato conferito ai Centri per l'Impiego un ruolo sempre più attivo nell'inserimento e formazione dei lavoratori. Anche l'art 33 del Regolamento di Attuazione del T.U. sull'immigrazione, come modificato, prevedeva che nel caso di licenziamenti collettivi l'impresa che ha assunto il lavoratore ha il dovere di darne notizia alla Direzione Provinciale del Lavoro competente entro 5 giorni dal licenziamento per consentire l'iscrizione nelle liste e l'assistenza economica in suo favore. A riguardo è importante ricordare come l'assistenza economica comprenda sia l'indennità da mobilità, prevista dall'art. 7 della legge n. 223/1991, sia l'indennità da disoccupazione. Sarà quindi compito della Direzione Provinciale provvedere all'iscrizione nelle liste per il periodo già citato. Nel caso di licenziamento individuale, salvo il caso del lavoratore stagionale o di dimissioni, il datore di lavoro ne dà notizia entro 5 giorni alla Direzione Provinciale del lavoro che provvederà all'iscrizione. Nel caso del lavoratore straniero dichiarato invalido civile, con un regolare permesso di soggiorno per lavoro o per un motivo che comunque consenta il lavoro subordinato, l'iscrizione negli elenchi separati per le particolari categorie di invalidità equivale alla iscrizione nelle liste di collocamento, con la completa parificazione ai fini del rinnovo del titolo di soggiorno.

A tale proposito si è espressa la Corte Costituzionale nella sentenza n. 454 del 1998. La questione era stata sollevata in quanto il giudice a quo riteneva che mancasse una previsione legislativa del diritto dei lavoratori extracomunitari invalidi di iscriversi negli elenchi di cui all'art. 19 della legge n. 462 del 1968 per l'assunzione obbligatoria, omissione in contrasto con l'art. 10, 1º e 2º comma della Costituzione e con l'art. 2 Cost. La Corte invece ritiene che il ragionamento vada rovesciato: "occorrerebbe, per giungere all'accennata conclusione, rinvenire una norma che, esplicitamente o implicitamente, neghi ai lavoratori extracomunitari, in deroga alla 'piena uguaglianza', il diritto in questione." In particolare nella sentenza possiamo leggere che "La l. 2 aprile 1968 n. 482, nell'individuare le categorie che beneficiano della disciplina delle assunzioni obbligatorie si riferisce fra l'altro agli ' invalidi civili' (art. 1, 1º comma) senza alcuna limitazione discendente dalla cittadinanza". E a proposito specificatamente della situazione dei lavoratori stranieri la Corte si esprime nel proseguo in modo ancora più chiaro, e così, una volta precisata la particolarità dell'ingresso nel paese e dell'accesso al lavoro del lavoratore extracomunitario, dice chiaramente che i lavoratori stranieri godono degli stessi diritti dei lavoratori italiani. A proposito degli invalidi nella sentenza si legge: "Tra i diritti di cui gode il lavoratore extracomunitario non può non riconoscersi dunque quello di iscriversi, avendone i requisiti, negli elenchi per il collocamento obbligatorio degli invalidi. La conclusione non cambia, se si considera il collocamento obbligatorio, come si esprime il rimettente, 'una forma di protezione speciale di categorie svantaggiate di cittadini'. Questa corte invero ha ricondotto la speciale disciplina sul collocamento obbligatorio degli invalidi alle forme di attuazione del diritto che ' gli inabili e i minorati' hanno, a norma dell'art. 38, 3º comma, Cost., all'avviamento professionale (cfr. sentenze n. 38 del 1960, id., 1960, I, 1077; n. 55 del 1961, id., 1961, I, 1276): diritto del quale gode anche lo straniero avente titolo ad accedere al lavoro subordinato nel territorio dello Stato in condizioni di uguaglianza con i cittadini, non essendovi, sotto questo profilo, ragione di differenziarne il trattamento rispetto al cittadino italiano."

La Corte conclude quindi come avevo premesso, affermando che la lacuna non sussiste in quanto la normativa esistente implica che i lavoratori extracomunitari regolarmente soggiornanti hanno diritto all'iscrizione negli elenchi ex art. 19 l. n. 482 del 1968 ai fini dell'assunzione obbligatoria, se così non fosse stato il Legislatore avrebbe dovuto espressamente prevederlo.

Non si può non dire però che il Regolamento di attuazione contiene infine il principio secondo cui deve lasciare il territorio nazionale al momento della scadenza del permesso di soggiorno, anche il lavoratore divenuto invalido per malattia o infortunio. Tale principio è in contraddizione con il principio contenuto nell'art. 8 par.1 della Convenzione O.I.L. n. 97 del 1949, resa esecutiva in Italia dalla legge 2 agosto 1952, n. 1305, che vieta il rimpatrio o l'allontanamento del lavoratore straniero che sia divenuto invalido successivamente al suo ingresso.

1.4.8 L'assunzione diretta del lavoratore extracomunitario

Sempre a proposito della materia del collocamento, un altro problema interessante è quello che attiene all'assunzione diretta del lavoratore extracomunitario, è un meccanismo che vale per tutti i lavoratori e permette al datore di lavoro di non dover aspettare il preventivo nulla osta degli organi di collocamento, ma si limita a comunicare l'avvenuta assunzione entro un termine di 5 giorni. Rispetto al lavoratore extracomunitario era sorto un contrasto giurisprudenziale, risolto definitivamente da una sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 30 marzo 2002, n. 62. In tale sentenza si è chiaramente affermato che il principio di parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti fra lavoratori italiani e comunitari e extracomunitari comporta che si debbano applicare tutti i meccanismi di avviamento al lavoro e in particolare quello dell'assunzione diretta previsto dall'art. 9 L. 608/96 anche ai lavoratori extracomunitari. Tale sentenza è stata fortemente criticata da parte della dottrina sulla base del fatto che proprio il principio di parità di trattamento dovrebbe comportare il divieto di assunzione diretta per tutelare un mercato -quello dei lavoratori extracomunitari- che ha maggiori esigenze di trasparenza perché più facilmente sfruttabile.

La materia della chiamata diretta è stata di recente novellata con decreto legislativo recante le "Disposizioni modificative e correttive del decreto legislativo 21.4.2000, n.181, concernente disposizioni per agevolare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, in attuazione dell'art. 45, comma 1, lettera a), della legge 17.5.1999, n.144", approvato dal Consiglio dei Ministri il 24.10.2002. In tale decreto vengono apportate alcune importanti novità alla disciplina previgente fra queste possiamo citare: la soppressione delle liste di collocamento ordinarie e speciali - ad eccezione di quelle del collocamento obbligatorio - demandando ad un decreto del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali la definizione delle modalità di classificazione e di trasmissione dei dati relativi ai lavoratori, destinati al sistema informativo lavoro; l'abrogazione di una serie di disposizioni in materia di collocamento (tra cui lo stesso comma 1 dell'art. 9-bis cit.); l'aver stabilito - e questa è sicuramente una novità importante- per tutti i datori di lavoro privati e gli enti pubblici economici il principio dell'assunzione diretta, lasciando invariate le disposizioni speciali previste per l'assunzione di lavoratori non comunitari di cui al T.U immigrazione; la disposizione che l'obbligo di comunicazione dell'assunzione al servizio competente avvenga contestualmente all'assunzione stessa (non più entro cinque giorni) ovvero, nel caso in cui l'instaurazione del rapporto si verifichi in un giorno festivo ovvero in orario serale o notturno, entro il primo giorno utile successivo. Sembra quindi che un lavoratore extracomunitario al primo ingresso nel territorio italiano debba osservare l'intera procedura prevista dalla legge che già abbiamo avuto modo di analizzare, mentre le eventuali assunzioni successive possono avvenire anche attraverso il meccanismo dell'assunzione diretta.

1.4.9 La conversione del permesso di soggiorno

Nel nuovo Regolamento di attuazione n. 334/04 all'art. 14 viene ribadito che il permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo o per motivi familiari, può essere utilizzato per altre attività consentite senza che ci sia la necessità di una conversione o rettifica del documento per tutto il residuo periodo di validità dello stesso.

In particolare il permesso di soggiorno per lavoro subordinato non stagionale può essere convertito in lavoro autonomo, sempre rispettando i requisiti richiesti per questo tipo di lavoro; la stessa cosa vale, evidentemente, anche in senso contrario. Al momento del rinnovo, poi, verrà rilasciato un permesso di soggiorno per l'attività che effettivamente viene svolta.

È possibile per lo straniero convertire in alcuni casi il permesso di soggiorno, concesso per motivi diversi da quello per lavoro, in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro, sempre e solo nei limiti delle quote fissate annualmente. L'art. 14 comma 6 del Regolamento di attuazione prevede che il permesso di soggiorno per motivi di studio o formazione- salvo che sia stato diversamente stabilito da accordi internazionali o dalle condizioni per quali lo straniero è stato ammesso a frequentare corsi di studio o formazione in Italia - può essere convertito in un permesso per lavoro subordinato anche prima della scadenza se si sia stipulato un contratto di soggiorno, o in un permesso per lavoro autonomo, dopo che sia stata rilasciata la certificazione che attesti l'esistenza dei requisiti per il lavoro autonomo richiesti dalla legge. Al comma 5 viene stabilito che le quote di ingresso fissate nei decreti flussi per l'anno successivo alla data di rilascio vengono "decurtate" in misura pari al numero di permessi di soggiorno per motivi di formazione lavoro e di studio che sono stati poi convertiti in permessi di soggiorno per motivi di lavoro per gli stranieri che hanno raggiunto la maggiore età. La stessa disposizione si applica anche agli stranieri che si sono laureati in Italia.

L'art. 36 comma 9 del D.P.R. n.334/04 prevede che il permesso di soggiorno per affari, turismo, salute e comunque tutti i permessi di soggiorno che non consentono l'esercizio di un'attività lavorativa sono convertibili in un permesso per lavoro autonomo, previa verifica della disponibilità delle quote per lavoro autonomo. Successivamente alla emanazione e alla pubblicazione del decreto flussi: "lo straniero già presente in Italia, in possesso di regolare permesso di soggiorno diverso da quello che consente l'esercizio dell'attività lavorativa, può chiedere alla questura competente la conversione del permesso di soggiorno. A questo scopo dovrà essere rilasciato preventivamente il nulla osta ovvero l'attestazione della Direzione Provinciale del Lavoro per cui la richiesta rientra nell'ambito delle quote d'ingresso per lavoro autonomo determinate secondo la legge".

Il lavoratore straniero stagionale al secondo soggiorno in Italia, sempre per lavoro stagionale, con un'offerta di lavoro a tempo determinato o indeterminato può richiedere alla Direzione Provinciale del Lavoro la medesima attestazione con la quale presentarsi in Questura per il rilascio del permesso per lavoro a tempo determinato o indeterminato. È da notare però che nel decreto flussi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 18 del 23 gennaio 2004, seguito dalla circolare n. 5/2004 con le istruzioni applicative all'art. 3, specifichi che all'interno della quota determinata per lavoro autonomo e per le categorie indicate "sono ammesse, sino ad un massimo di 1250 unità, le conversioni soltanto ed esclusivamente dei permessi di soggiorno per motivi di studio e formazione professionale". La stessa problematica si è posta anche con il nuovo decreto flussi, emanato nel febbraio del 2005, che, nella circolare n. 1/2005 fissa, come l'anno precedente, all'interno della quota per lavoro autonomo, un massimo di 1250 unità per le conversioni dei permessi di studio e formazione professionale in lavoro autonomo. Si configurava quindi una contraddizione con l'art. 39, prima della modifica, del D.P.R. n. 394/1999, e si configura tutt'ora con l'art. 36, comma 9, del nuovo regolamento di attuazione come modificato che in questo caso non modifica minimamente il precedente regolamento, tanto che l'avvocato Marco Paggi riferendosi al decreto flussi del 2004, ma il suo commento è valido anche con riferimento all'ultimo decreto flussi, ipotizzava che "si potrebbe anche immaginare che, chi fosse interessato alla conversione per lavoro autonomo nell'ambito delle quote del decreto flussi in quanto munito di un permesso di soggiorno per turismo, potrebbe anche proporre un ricorso al TAR contro il provvedimento che esclude il rilascio del nulla osta a fronte della asserita inammissibilità della domanda di conversione".

1.5 Procedura e requisiti per il lavoratore autonomo

Ex art. 26 T.U. sull'Immigrazione e Reg. Att. art. 39, ai lavoratori stranieri viene riconosciuta la possibilità di esercitare nel territorio italiano un'attività non occasionale di lavoro autonomo, con un'attività professionale, commerciale e industriale, artigianale o di costituire una società di persone o di capitali o di accedere a cariche societarie, a condizione però che l'esercizio di tale attività non sia riservata solo ai cittadini italiani o a cittadini degli Stati membri dell'Unione Europea e comunque all'interno delle quote previste dal decreto flussi. Il cittadino straniero deve rispondere a determinati requisiti, in particolare dovrà dimostrare che:

  1. dispone delle risorse economiche adeguate per l'attività che intende intraprendere;
  2. ha i requisiti necessari previsti dalla legge italiana per l'esercizio dell'attività;
  3. è in possesso dell'attestazione dell'autorità competente in una data non anteriore a tre mesi nella quale si dichiari che non ci sono motivi ostativi per il rilascio dell'autorizzazione o licenza eventualmente necessaria.

Lo straniero, nei limiti delle quote di ingresso, per ottenere il visto deve inoltre produrre al consolato italiano i seguenti documenti:

  1. la dichiarazione che non sussistono motivi ostativi al rilascio del titolo abilitativo o autorizzativo necessario per lo svolgimento in Italia dell'attività autonoma;
  2. un'attestazione sui parametri finanziari di riferimento che riguardano la disponibilità delle risorse necessarie per l'attività autonoma in questione o almeno una documentazione sostitutiva;
  3. il nulla osta di autorizzazione al lavoro rilasciato dalla Questura;
  4. la dimostrazione di disporre di una sistemazione alloggiativa idonea;
  5. documentazione dell'entità del reddito disponibile in Italia.

All'art. 39 comma 3 D.P.R n. 394/99, come modificato, si prevede che 1) per quelle attività per le quali non sono richieste autorizzazione o licenze è comunque necessario acquisire presso la Camera di Commercio, industria, artigianato e agricoltura competente per il luogo in cui si svolgerà l'attività autonoma o altrimenti presso il competente Ordine professionale l'attestazione dei parametri di riferimento circa la disponibilità delle risorse economiche occorrenti per l'esercizio dell'attività. Questi parametri si fondano sulla disponibilità in Italia, da parte del richiedente, di una somma non inferiore alla capitalizzazione, su base annua, di un importo mensile pari all'assegno sociale, 2) per le attività che devono essere iscritte nel registro delle imprese tenuto presso le Camere di Commercio l'attestazione relativa all'individuazione delle risorse necessarie per intraprendere l'attività in questione viene fatta dalla Camera di Commercio competente per il territorio; per le attività per le quali è necessario essere iscritti ad un ordine professionale l'attestazione invece viene fatta dagli ordini professionali competenti, 3) Per le attività che non devono essere iscritte nel registro delle imprese né hanno necessità di licenze, autorizzazioni, denunce di inizio attività, iscrizione ad albi, registri o elenchi abilitanti i cittadini stranieri devono: avere un idoneo contratto con certificato di iscrizione nel registro delle imprese, se sottoscritto da una impresa italiana, o con attestazione analoga vidimata dalla rappresentanza italiana consolare competente, se invece il committente è estero; copia di formale dichiarazione di responsabilità, con la quale ci si impegna a non instaurare un rapporto di lavoro subordinato; una dichiarazione del committente, nel quale si assicura al lavoratore un compenso superiore al livello minimo previsto dalla legge per l'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria; se si tratta di una società di capitali sarà necessaria una copia dell'ultimo bilancio depositato presso il registro delle imprese, se si tratta di una società di persone o di impresa individuale o di committente non imprenditoriale, sarà necessario l'ultima dichiarazione dei redditi da cui risulti che l'ammontare dei redditi o dei profitti sia sufficiente a garantire il compenso precedentemente concordato, 4) Per le attività da svolgere in qualità di socio e/o amministratore in società e cooperative già iniziate non sono necessarie attestazioni sui parametri finanziari di riferimento. Sarà invece necessario: certificato di iscrizione della società nel registro delle imprese; copia di formale dichiarazione di responsabilità, con la quale ci si impegna a non instaurare un rapporto di lavoro subordinato; una dichiarazione del rappresentante legale della società che assicuri per il socio prestatore d'opera o per il soggetto che riveste cariche sociali un compenso superiore al livello minimo previsto dalla legge per l'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria; se si tratta di una società di capitali sarà necessaria una copia dell'ultimo bilancio depositato presso il registro delle imprese, se si tratta di una società di persone o di impresa individuale o di committente non imprenditoriale, sarà necessario l'ultima dichiarazione dei redditi da cui risulti che l'ammontare dei redditi o dei profitti sia sufficiente a garantire il compenso precedentemente concordato.

1.5.1 Procedura ex art. 5 comma 3-quater e 26 T.U. sull'Immigrazione - ingresso e soggiorno per lavoro autonomo

La rappresentanza diplomatica e consolare italiana rilascia il visto di ingresso entro 30 giorni dal giorno della richiesta, per lavoro autonomo, dopo aver accertato che il soggetto sia in possesso dei requisiti richiesti e dopo avere acquisito i nulla osta del Ministero Affari Esteri, Ministero dell'Interno e del Ministero eventualmente competente in relazione all'attività da svolgere e ovviamente dopo che sono state presentate le eventuali dichiarazioni o attestazioni o nullaosta di data non anteriore a tre mesi. Il riconoscimento del titolo, necessario se non è stato conseguito in un paese dell'Unione Europea, per le professioni di avvocato, commercialista, biologo, chimico, agronomo, forestale, geologo, agente di commercio, consulente del lavoro, agrotecnico, geometra, perito agrario, perito industriale giornalista verrà fatto su richiesta dalla Direzione generale degli Affari Civili- Ufficio VII- Reparto Internazionale presso il Ministero di Giustizia. Per quanto riguarda la professione sanitaria, anche a carattere occasionale, è necessario il riconoscimento del titolo da parte del Ministero della Salute. I tempi per il rilascio e l'utilizzazione del visto sono i seguenti:

  1. il visto deve essere rilasciato, o negato, entro 30 giorni dalla data di presentazione della domanda e della relativa documentazione che attesta la presenza dei requisiti richiesti dalla legge; verrà inoltre rilasciata la certificazione della sussistenza dei requisiti stessi. La rappresentanza diplomatica o consolare, nel rilasciare il visto ne dà comunicazione al Ministero dell'Interno, all'Inps e all'Inail.
  2. il visto deve essere utilizzato entro 180 giorni dalla data del rilascio

Il visto indicherà espressamente l'attività a cui si riferisce, nei limiti numerici del decreto flussi annuale.

Il permesso di soggiorno per lavoro autonomo deve essere richiesto entro otto giorni dall'ingresso sul territorio nazionale e verrà rilasciato per un periodo non superiore ai due anni. È un permesso di soggiorno rinnovabile la cui richiesta ex art. 5 comma 4 T.U. deve essere effettuata trenta giorni prima della scadenza e può essere rinnovato per un periodo non superiore a quello iniziale. Infine è necessario ricordare come all'art. 26 comma 7- bis si preveda che la condanna con provvedimento irrevocabile per uno dei reati previsti per la violazione delle disposizioni di tutela del diritto d'autore, o per i reati di contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell'ingegno o di prodotti industriali o di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (Titolo III, Capo III, Sezione II, legge 22 aprile 1941 n. 633 e successive modificazioni e art. 473 e 474 codice penale) comporti la revoca del permesso di soggiorno e l'espulsione dello straniero con accompagnamento alla frontiera.

In riferimento al tema, che tratterò più estesamente in seguito, delle nuove forme di lavoro e del modo in cui sono considerate, se come lavoro subordinato o come lavoro autonomo, va ricordato già da adesso che la circolare 8 gennaio 2004 n. 1 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali pubblicata su G.U. del 14 gennaio 2004 n. 10 definisce lavoro autonomo il contratto di collaborazione coordinata e continuativa nella modalità cosiddetto a progetto, contenuta negli articoli da 61 a 69 del d. lgs. 10 settembre 2003 n. 276. Individua i requisiti qualificanti della fattispecie nel: requisito del progetto, programma di lavoro o fase di esso (che costituisce, a detta della circolare, mera modalità organizzativa della prestazione); nell'autonomia del collaboratore (individuandolo come requisito essenziale, nello svolgimento dell'attività lavorativa contenuta nel contratto e tesa alla realizzazione del progetto, programma di lavoro o fase di esso); nella necessaria coordinazione col committente; nell'irrilevanza del tempo impiegato per l'esecuzione. Sempre l'art. 61 esclude che siano riconducibili al modello del contratto cosiddetto a progetto le altre forme di lavoro regolate dal d. lgs n. 276/2003 (job on call, job sharing, distacco, somministrazione, appalto) che vengono invece ricondotte all'area del lavoro subordinato.

Riguardo a tale tema la Questura di Firenze aveva formulato alla Direzione Provinciale del Lavoro un quesito ufficiale. La Direzione ha risposto che: "Devono considerarsi di lavoro subordinato le seguenti tipologie contrattuali disciplinate dal d.lgs n. 276/2003: apprendistato (fino al 24 ottobre 2004 è in vigore la disciplina previgente); lavoro intermittente (artt. 33 e ss); lavoro ripartito (artt 41 e ss); contratto di inserimento (artt. 54 e ss); lavoro somministrato (artt. 20 e ss). Per quanto riguarda il lavoro a progetto (artt. 61 e ss), si evidenzia che elemento qualificatorio del rapporto è l'autonomia; elemento di prova è il progetto specifico o il programma di lavoro che devono essere allegati al contratto. La presenza delle predette condizioni rende difficilmente adattabile tale tipologia contrattuale a qualsiasi attività lavorativa. Il collaboratore a progetto, inoltre, deve essere comunque assicurato al fondo gestione separata presso l'Inps.

Dalle statistiche rese note dal Dossier Statistico della Caritas sull'Immigrazione 2003 in particolare dal capitolo curato da Enrico Grande sul lavoro autonomo (37) e dalla ricerca basata sui dati dell'archivio informativo delle Camere di Commercio, risulta che alla fine del 2002 erano presenti in Italia 198.215 lavoratori stranieri autonomi, fra titolari e soci d'impresa nati all'estero. I titolari di impresa individuale erano 147.661 (il 74,5% del totale dei soggetti). Interessante è notare che il lavoro autonomo degli stranieri è un fenomeno piuttosto recente, risalente agli anni 90. Nelle zone in cui è radicato da più tempo, come il Nord-Ovest e il Nord-Est del paese, rispettivamente il 37,8% e il 29,8% degli stranieri sono iscritti alle Camere di Commercio solo da prima del 1980, probabilmente, come ci dice Grande, perché sono zone in cui la vocazione imprenditoriale è più forte che altrove. Nel Centro e nel Meridione il fenomeno si è mostrato nelle sue dimensioni attuali nel corso degli anni ottanta e novanta. Può anche essere interessante citare l'"identikit" del "tipico" imprenditore immigrato. Così si scopre, attraverso un'indagine della Confederazione Generale dell'Artigianato compiuta su un campione di 530 immigrati, che lo straniero lavoratore autonomo è prevalentemente maschio, non giovanissimo, con un titolo di studio medio-alto, che, e questo mi pare il dato rilevante, vive da oltre 10 anni in Italia e che nel 33% dei casi ha acquisito la cittadinanza. Sembra quindi che un progetto imprenditoriale si affacci dal momento in cui il lavoratore straniero ha conseguito una certa stabilità e sicurezza, cosa che non stupisce visto che è un atteggiamento riscontrabile anche fra gli italiani, per le difficoltà oggettive che il mercato del lavoro presenta nell'aprire un'impresa. Mi sembra interessante anche il fatto che l'imprenditoria femminile tra gli immigrati nel 2002 fosse pari al 30% del totale. Sicuramente, come ci fa notare anche Grande, è maggiore la presenza maschile, ma certo anche il numero di imprenditrici immigrate non è un dato irrilevante, e in particolare è maggiore nel Centro e nel Sud del Paese.

Nella relazione del Consiglio Superiore della Magistratura sulle attività economiche degli stranieri (38) viene fatto notare come in realtà le rigide prescrizioni della legge e le innumerevoli difficoltà burocratiche impediscono che il lavoro autonomo degli stranieri diventi un fenomeno importante. Fra le difficoltà possiamo facilmente citare la necessità di sostenere l'esame presso le Camere di Commercio in lingua italiana, la difficoltà di accedere ad aiuti o finanziamenti, la mancanza di incentivi e l'eccessiva cavillosità dell'intera procedura. Nonostante ciò, anche nella relazione del CSM non si può non notare che le imprese cosiddette "etniche" stiano crescendo, imprese che producono beni o servizi che richiamano in qualche modo il paese d'origine (per esempio i negozi di artigianato) o che si rivolgono a una clientela appartenente a una determinata comunità (per esempio le macellerie specializzate per i musulmani).

Il decreto flussi del 2004 presentava degli aspetti interessanti dal punto di vista del lavoro autonomo. Il decreto fissava in 29.500 ingressi la quota massima da ripartire fra lavoratori subordinati e autonomi. All'art. 3 si prevedeva una quota di 2500 ingressi per lavoratori autonomi appartenenti a determinate categorie: "ricercatori, imprenditori che svolgono attività di interesse per l'economia nazionale, liberi professionisti, soci e amministratori di società non cooperative, artisti di chiara fama internazionale e di alta qualificazione professionale ingaggiati da enti pubblici e privati". Nell'ultimo decreto del 2005, è stato previsto l'ingresso di 79.500 lavoratori extracomunitari da ripartire tra lavoratori subordinati, autonomi e stagionali. Ai lavoratori autonomi è stata assegnata una quota di 2.500, da ripartire fra le categorie già stabilite nel decreto flussi del 2004. La formula usata nel decreto flussi del 2005, infatti, ricalca perfettamente la formula che ho citato del 2004. È una formula che a opinione dell'avv. Paggi crea problemi per tutta una serie di categorie che ne sembrerebbero escluse. In particolare Marco Paggi, ha messo in luce che categorie di lavoratori autonomi come i piccoli imprenditori, gli artigiani o i commercianti, venissero esclusi da tali quote in quanto si prevedeva che potevano essere utilizzate solo da imprenditori che "svolgono attività di interesse per l'economia nazionale". Riteneva che fosse esclusa inoltre la categoria dei lavoratori a progetto prevista dal d. lgs n. 276/03 di attuazione della legge n. 30/03. In realtà, la lettera del decreto flussi potrebbe essere interpretato nel senso che i lavoratori previsti in tale categorie potrebbero comunque stipulare contratti di collaborazione a progetto, e che anzi, era il decreto flussi del 2002 a non usare una formulazione corretta, garantendo in questo modo, invece, una maggiore liberalità. Tale interpretazione non è unanime, opinioni diverse le hanno l'avv. Paggi e il dott. Pomponio della Questura di Firenze, e è comunque probabile che le amministrazioni creerebbero delle difficoltà. Un altro tema che è stato affrontato da Paggi è quello del differente trattamento riservato ai soci o amministratori di società non cooperative, a cui non è richiesto nemmeno un superiore '"interesse nazionale", e ai soci delle cooperative. Infine, a proposito dei liberi professionisti, i decreti flussi sollevano due ordini di problemi: il primo riguarda il fatto che la quota prevista sembra limitato a quelle professioni che sono iscrivibili a albi, ruoli, elenchi o collegi, e quindi si solleva il problema conseguente al riconoscimento del titolo di studio all'estero, sempre molto difficoltoso, come vedremo anche nelle interviste ai lavoratori stranieri contenute nel terzo capitolo. Il secondo problema è ricollegabile al trattamento riservato a quelle attività autonome che non si iscrivono a albi, ruoli, elenchi o collegi, esclusi quindi dalle quote.

1.6 Procedura e requisiti per il lavoratore stagionale (T. U. art. 24 e Reg. Att. art. 38 e art. 38-bis)

Ci sono attività lavorative che possono essere svolte solo in alcuni periodi dell'anno - come alcune attività agricole, turistiche e alcune attività di trasformazione dei prodotti agricoli. A tal fine è stato pensato il permesso di soggiorno per lavoro stagionale, attraverso il quale i datori di lavoro costituiscono rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato e periodici. Possono essere stipulate delle Convenzioni fra le Commissioni Regionali tripartite- previste dall'art. 4, comma 1, del d. lgs. 23 dicembre 1997, n. 469- e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei lavoratori e dei datori di lavori a livello regionale così come previsto dall'art. 24, comma 5 del T.U. sull'Immigrazione. Tali convenzioni individuano i trattamenti economici e normativi idonei ad assicurare ai lavoratori stranieri un livello di tutela non inferiore a quello riconosciuto ai lavoratori italiani. Questo anche in funzione degli accertamenti sull'idoneità dei livelli retributivi e assicurativi che vengono compiuti dallo Sportello Unico dell'Immigrazione. L'8 febbraio del 2000 è stato siglato presso il Ministero del Lavoro il "Protocollo d'intesa sul lavoro stagionale" nel quale la associazioni di rappresentanza dei lavoratori e datori di lavoro maggiormente rappresentative a livello nazionale si sono impegnate a stipulare le Convenzioni ex art. 24, comma 5, del T.U. sull'Immigrazione.

1.6.1 La procedura

La procedura per la richiesta di autorizzazione al lavoro è molto simile a quella per lavoro subordinato. Le differenze fondamentali riguardano l'individuazione dei soggetti che possono fare richiesta di assunzione e la maggiore celerità della procedura di rilascio e dalla maggiore brevità dei termini di validità dell'autorizzazione. Fra i soggetti che possono fare richiesta di assunzione compaiono anche le associazioni di categoria per conto dei loro associati. È possibile - come già abbiamo avuto modo di analizzare trattando del rapporto di lavoro subordinato - da parte del datore di lavoro presentare una richiesta nominativa allo Sportello Unico per l'immigrazione della provincia di residenza, accompagnata da documentazione circa un'idonea sistemazione alloggiativa e la proposta del contratto di soggiorno specificando le condizioni dello stesso, l'impegno da parte del datore di lavoro di pagare le spese del ritorno nel paese di origine, e l'impegno a comunicare ogni variazione del rapporto di lavoro. Altrimenti il datore di lavoro che non abbia una conoscenza diretta del lavoro potrà fare una richiesta numerica, redatta come nel caso del rapporto di lavoro subordinato, che verrà comunicata al Centro per l'Impiego che nel termine di 5 giorni verificherà l'eventuale disponibilità di lavoratori italiani o comunitari a ricoprire l'impiego. Le domande di assunzione dei lavoratori stranieri sono accettate solo dopo la verifica di indisponibilità. Lo Sportello Unico dell'Immigrazione dovrebbe rilasciare l'autorizzazione, rispettando il diritto di precedenza, passati 10 giorni dalla comunicazione al Centro per L'Impiego e non oltre 20 giorni dalla data di ricezione della richiesta del datore di lavoro. L'autorizzazione al lavoro ha una validità minima di 20 giorni e massima di nove mesi.

Similarmente al rapporto di lavoro subordinato, una volta giunto in Italia, lo straniero, entro otto giorni dall'ingresso, andrà allo Sportello Unico per sottoscrivere il contratto di soggiorno; in seguito verrà rilasciato il permesso di soggiorno. A differenza del contratto di soggiorno per un rapporto di lavoro subordinato, nel caso di contratto di soggiorno per lavoro stagionale non è previsto un obbligo, sanzionato in via amministrativa, a carico del datore di lavoro di comunicare le eventuali variazioni del rapporto di lavoro. Come già detto precedentemente, ritroviamo una sorta di diritto di precedenza nei confronti del lavoratore stagionale che rispetti le condizioni di lavoro contenute nel permesso di soggiorno e che, al termine di questo, rientri spontaneamente nel paese di origine, in un'ottica premiale. Perciò il lavoratore avrà un diritto di precedenza per il rientro in Italia nell'anno successivo rispetto ad altri lavoratori che non siano mai entrati e potrà convertire il suo permesso di soggiorno stagionale, laddove se ne verifichino le condizioni, in un permesso di soggiorno subordinato a tempo determinato o indeterminato. Il Ministero del Lavoro con la circolare n. 12 del 27 febbraio 2002 ha semplificato le procedure per l'arrivo dei lavoratori stagionali e ha attuato dei meccanismi che certifichino la loro uscita dal territorio. In tale circolare sono stati previsti meccanismi per accelerare le procedure relative all'ingresso dei 33.000 ingressi per lavoratori stagionali non comunitari previsti dal decreto ministeriale 4/2/2002, meccanismi nati dal confronto tra i rappresentanti dei Ministeri del Lavoro, dell'Interno e degli Esteri e delle associazioni di categoria. Nell'Allegato 1 vengono individuate 4 fasi di cui si compone l'iter per la richiesta e il rilascio dell'autorizzazione all'ingresso per lavoro stagionale, in particolare viene disposto che gli uffici consolari indichino sui visti rilasciati ai lavoratori stagionali "la durata del contratto sia il varco di frontiera di uscita e comunicano agli interessati gli obblighi a cui sono sottoposti in entrata ed in uscita dal territorio nazionale italiano".

Nell'Allegato 2 vengono individuate "delle semplificazioni amministrative nella gestione dei flussi di lavoratori stagionali extracomunitari e dei meccanismi che assicurassero all'amministrazione la certezza del rientro del lavoratore alla scadenza del Permesso di soggiorno." In particolare per quanto riguarda il controllo all'uscita del lavoratore è stata individuata come soluzione quella di predisporre apposite liste di lavoratori stagionali, grazie anche alla collaborazione delle associazioni e delle amministrazioni presenti, con l'indicazione del varco di uscita. Al momento dell'uscita dal territorio la Polizia di frontiera dovrà registrare il nome del lavoratore in partenza sull'apposita lista e timbrare il passaporto. Si specifica quindi che i dati raccolti permetteranno un controllo dei lavoratori effettivamente usciti e permetteranno agli stessi lavoratori l'esercizio del "diritto di precedenza".

Una novità introdotta dalla legge "Bossi-Fini" è contenuta dall'art. 5 c. 3-ter T.U. sull'Immigrazione: si prevede che lo straniero che dimostri di essere venuto in Italia per almeno 2 anni di seguito con un permesso di lavoro stagionale possa richiedere un permesso di soggiorno pluriennale fino a 3 anni, qualora si tratti di impieghi ripetitivi, di durata pari all'ultimo ricevuto. Quest'ultima novità è regolata anche dall'art. 38-bis del Regolamento di Attuazione, come modificato, che stabilisce che sulla base del nullaosta triennale del lavoro stagionale, i visti per le annualità successive alla prima vengono concessi, come sempre, dall'autorità consolare, previe esibizione della proposta di contratto di soggiorno per lavoro stagionale, che è stata trasmessa dal datore di lavoro al lavoratore e che deve inviarla anche allo Sportello Unico. In ogni caso anche il rilascio dei nullaosta pluriennali avverranno nei limiti delle quote di ingresso per lavoro stagionale, e verranno tenuti in considerazioni per determinare i flussi relativi agli anni successivi a quello di rilascio. All'art. 24 c. 5 T.U. sull'Immigrazione è previsto che le Commissioni regionali tripartite possano stipulare delle convenzioni per favorire l'accesso al lavoro stagionale al lavoratore straniero con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, con le regioni e gli enti locali.

De Augustinis rileva come in realtà nella normativa relativa al lavoratore stagionale siano state mantenute le discrasie già presenti nella precedente legge, in particolare quella che permetteva agli extracomunitari che avevano lavorato come lavoratori stagionali negli anni precedenti di maturare un diritto di precedenza solo nei confronti dei connazionali e non nei confronti di ogni altro extracomunitario (39). L'altra discrasia è quella che permette alle Commissioni regionali tripartite di stipulare le convenzioni che implicano incentivi per favorire i flussi e i deflussi, mentre sarebbe un'attività di esclusiva competenza statale o quantomeno dovrebbe vedere un coinvolgimento attivo dello Stato in quanto la materia dell'immigrazione pubblica sicurezza rientrano nella sua competenza.

1.6.2 Contributi per i lavoratori stagionali

Ex art. 25 T.U. sull'Immigrazione sulla "Previdenza e assistenza per lavoratori stagionali", ai lavoratori stagionali vengono riconosciute: l'assicurazione per l'invalidità, vecchiaia e superstiti (contributo IVS); assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (assicurazione INAIL); assicurazione contro le malattie e l'assicurazione di maternità. Il datore di lavoro inoltre dovrà versare all'INPS un contributo equivalente a quello che avrebbe dovuto versare per i contributi per l'assegno per il nucleo familiare e per l'assicurazione contro la disoccupazione involontaria; contributi che andranno al Fondo Nazionale per le politiche migratorie al fine di realizzare interventi socio-assistenziali per i lavoratori stranieri.

In ogni caso l'art. 24 T.U. sull'Immigrazione è stato aggiornato facendo riferimento al nuovo art. 22, comma 13, con l'esclusione anche per i lavoratori stagionali di richiedere la liquidazione anticipata dei contributi versati all'assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti.

1.7 Ingresso per lavoro in casi particolari

La disciplina delle quote di programmazione di ingressi per motivi di lavoro prevede alcune eccezioni. Si tratta di una serie di casi particolari o perché riguardano attività particolarmente qualificate, o perché presentano caratteristiche particolari di mobilità o temporaneità. Questi casi sono regolati dall'art. 27 T.U. sull'Immigrazione e 40 del D. P. R n. 334/04 e sono casi per i quali il rilascio delle autorizzazioni al lavoro, i visti di ingresso e i permessi di soggiorno vengono concessi al di fuori delle quote programmate. Eccezion fatta per le attività che prevedono la cittadinanza italiana, queste sono:

  1. dirigenti o personale altamente specializzato di società aventi sede o filiali in Italia, l'autorizzazione al lavoro è riferita ai soggetti assunti almeno 6 mesi prima della data di trasferimento temporaneo. Il trasferimento temporaneo, di durata legata all'effettiva esigenza dell'azienda, definita e predeterminata nel tempo, non può superare la durata di cinque anni. Al termine del trasferimento temporaneo è possibile l'assunzione a tempo determinato indeterminato presso l'impresa distaccataria.
  2. professori universitari, lettori universitari e ricercatori: (l'autorizzazione è però subordinata alla richiesta dell'Università o dell'istituto di istruzione universitaria che attesti il possesso dei requisiti necessari per l'attività prevista);
  3. traduttori e interpreti (la richiesta potrà essere presentata o dall'interessato, con allegato il contratto di lavoro relativo alla prestazione professionale da svolgere in Italia, o dal datore di lavoro in caso di assunzione come lavoratore subordinato; va inoltre allegato il titolo di studio o l'attestato professionale rilasciati da un istituto riconosciuto);
  4. collaboratori familiari di cittadini italiani o comunitari che si trasferiscono in Italia per la prosecuzione del rapporto di lavoro domestico. Nel nuovo regolamento di attuazione è evidenziato che il nullaosta al lavoro non può essere rilasciato a favore dei collaboratori familiari di cittadini stranieri. (il rapporto di lavoro deve durare da almeno un anno, deve essere a tempo pieno, deve essere acquisito il contratto di lavoro autenticato dalla rappresentanza diplomatica o consolare);
  5. persone che svolgano periodi temporanei di addestramento e formazione professionale presso datori di lavoro italiani, effettuando anche prestazioni che rientrino nell'ambito del lavoro subordinato; nel Regolamento di Attuazione viene specificato che si può trattare di un tirocinio funzionale al completamento di un percorso professionale o di attività di addestramento sulla base di un provvedimento di trasferimento temporaneo o di distacco dalla loro organizzazione.
  6. lavoratori alle dipendenze di organizzazioni o imprese operanti in Italia, ammessi per adempiere funzioni specifiche per un periodo determinato (l'autorizzazione viene rilasciata per il periodo di addestramento, che non potrà essere comunque superiore ai 2 anni. Il lavoratore potrà svolgere prestazioni di lavoro subordinato attraverso un rapporto di tirocinio). Per "prestazione qualificata" si intende quelle riferite all'esecuzione di opere o servizi particolari, che necessitano di un'esperienza specifica nel contesto complessivo dell'opera stessa. Nel Regolamento inoltre viene specificato che l'impresa estera dovrà garantire lo stesso trattamento retributivo minimo previsto dal contratto collettivo nazionale e il versamento dei contributi previdenziali previsti dalle leggi italiane.
  7. lavoratori dipendenti da datori di lavoro, persone fisiche o giuridiche, residenti o aventi sede all'estero, da questi retribuiti, temporaneamente trasferiti presso imprese residenti in Italia, al fine di effettuare prestazioni oggetto di contratto di appalto che sono stati stipulati tra l'impresa estera e persone fisiche o giuridiche, italiane o stranieri, residenti in Italia e che operano sul territorio, (l'autorizzazione potrà essere richiesta dall'organizzazione o impresa operante nel territorio italiano, l'appaltante, e sarà solo per prestazioni qualificate di lavoro subordinato e per un numero determinato di lavoratori, nonché solo per il tempo strettamente necessario alla realizzazione dell'opera o servizio). Il regolamento specifica che l'impresa estera deve garantire ai propri dipendenti che si trovano in Italia lo stesso trattamento retributivo minimo del contratto collettivo di categoria e il versamento dei contributi previdenziali previsti dalla legge italiana. Vedremo poi quali caratteristiche ha il nuovo contratto d'appalto previsto dalla legge n. 30/2003 e cosa comporta per i lavoratori che lo hanno stipulato. Sappiamo fin d'ora però che spesso questa forma contrattuale viene sfruttata in modo illecito;
  8. stranieri che fanno parte dell'equipaggio di navi battenti bandiera italiana (non è necessaria l'autorizzazione al lavoro e i visti vengono rilasciati dalle rappresentanze diplomatiche o consolari, entro termini più brevi e procedure semplificate. In caso di sbarco però si osservano le disposizioni relative al rilascio del permesso di soggiorno per tutti i lavoratori);
  9. infermieri professionali assunti presso strutture sanitarie pubbliche e private (è questa una novità introdotta dalla legge n.189/2002 ex art. 24, comma 1 r-bis T.U., vista la drammatica carenza riscontrata di queste figure professionali).

Ci sono poi categorie di lavoratori la cui richiesta di autorizzazione al lavoro deve essere presentata al Ministero del lavoro e delle politiche sociali (Direzione generale per l'Impiego, segreteria del collocamento dello spettacolo). L'autorizzazione è rilasciata, salvo che si tratti di personale artistico o di personale da utilizzare per periodi non superiori ai tre mesi, dal Dipartimento dello spettacolo (D. I. P.), ed è necessario il nulla osta provvisorio dell'autorità provinciale di pubblica sicurezza. Lo straniero sarà ammesso nel territorio nazionale solo se avrà il visto di ingresso della rappresentanza diplomatica o consolare italiana, rilasciato sulla base dell'autorizzazione al lavoro, che viene rilasciata per un periodo non superiore ai 6 mesi, prorogabili per altri 6 mesi, fino alla conclusione dello spettacolo per il quale il lavoratore è entrato nel territorio. Queste professioni sono:

  1. lavoratori occupati presso circhi o spettacoli viaggianti all'estero; personale artistico e tecnico per spettacoli lirici, teatrali, concertistici o di balletto; ballerini, artisti e musicisti da impiegare presso locali di intrattenimento; artisti da impiegare da enti musicali teatrali o cinematografici o da imprese radiofoniche o televisive, pubbliche o private, o da enti pubblici, nell'ambito di manifestazioni culturali o folcloristiche.
  2. stranieri che siano destinati a svolgere attività sportive professionistica presso società sportive italiane. Sarà il Ministero ber i beni e le attività culturali, su proposta del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), sentiti i Ministri dell'Interno e del Lavoro e delle Politiche Sociali, stabilisce con decreto il limite massimo per ogni anno di ingresso di sportivi stranieri;
  3. giornalisti corrispondenti ufficialmente accreditati in Italia; lavoratori presso rappresentanze diplomatiche e consolari;
  4. persone che svolgono in Italia attività di ricerca o un lavoro occasionale nell'ambito di programmi di mobilità giovanile;

Queste autorizzazioni al lavoro, visti di ingresso e permessi di soggiorno non possono essere rinnovati né utilizzati per un rapporto di lavoro di natura differente, aggirando così il vincolo delle quote. Unica eccezione riguarda gli stranieri autorizzati al soggiorno per motivi di studio o formazione professionale, che durante il periodo di formazione svolgano anche prestazioni di lavoro subordinato come tirocinanti. Sarà allora possibile avere un permesso di lavoro, nei limiti delle quote fissate dal decreto-flussi, se - in caso di rapporto di lavoro subordinato - si stipuli il contratto di soggiorno prima della scadenza del permesso e - nel caso di lavoro autonomo - sia stata rilasciata la certificazione che attesti la sussistenza del titolo abilitativo e autorizzativo e tutti i requisiti richiesti per lo svolgimento di un'attività di lavoro autonomo, già enumerati nel paragrafo apposito.

Nella già citata relazione sulle condizioni economiche dei lavoratori stranieri resa al CSM viene posto l'accento sul fatto che il comma 3 dell'art. 27 del T.U. prevede che i lavoratori "fuori quota" devono essere in possesso del requisito della cittadinanza per svolgere alcune attività, come per esempio il pubblico impiego. Che questa previsione collida con la ratio ispiratrice dell'intera legge sull'immigrazione e in particolare con i principi di parità di trattamento e di uguaglianza era già stato messo in evidenza quando era in vigore la legge "Turco-Napolitano", ma anche con la nuova legge non sono state apportate modifiche. Quindi - si legge nella relazione- mentre si deroga al requisito della cittadinanza nel caso di iscrizione agli ordini o albi professionali, questo non succede in "determinate attività". La relazione conclude quindi con un richiamo all'art. 21, par. 2, del Trattato di Nizza che pone il divieto di qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, eccezion fatta per alcune disposizioni particolari contenute nel Trattato UE, oggi nella Costituzione della UE.

1.8 Gli stati neocomunitari: Adesione di nuovi Stati e procedure di accesso al lavoro

Prima di procedere con l'analisi è necessario affrontare il tema del trattamento riservato ai cittadini neocomunitari. Il 16 aprile 2003, infatti, si è concluso ad Atene il negoziato con la delibera di adesione per dieci stati dell'Europa Centrale nell'Unione Europea. In Italia è stata autorizzata la ratifica e conferita piena esecuzione al Trattato con la legge 23 dicembre 2003 n. 380. Tali stati sono: Cipro, Grecia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia e Slovenia. In relazione all'allargamento dell'UE a 10 nuovi stati membri è stato emanato il D. P. C. M. 20 aprile 2004 che ha programmato i flussi d'ingresso per i lavoratori cittadini dei nuovi Stati membri dell'Unione europea nel territorio dello Stato per l'anno 2004. In una dichiarazione del Ministro Maroni datata 28 aprile 2004 si sottolinea come il Trattato di adesione per i nuovi Stati preveda, salvo per Cipro e Malta, un regime transitorio, trascorso il quale si applicherà interamente ai nuovi cittadini il diritto comunitario. Nel medesimo decreto si spiega come il Governo italiano abbia previsto per questi soggetti, almeno per i primi due anni, che il loro ingresso nel mercato del lavoro italiano non fosse completamente libero, ma sottoposto comunque ad alcune condizioni. Con il D. P. C. M. 20 aprile 2004 sono ammessi per motivi di lavoro subordinato 20.000 cittadini neocomunitari provenienti da alcuni degli stati di nuova adesione in aggiunta a coloro già ammessi con i provvedimenti del 19 dicembre 2003, che per il 2004 aveva già autorizzato l'ingresso di 79.500 lavoratori non comunitari. Sempre nella stessa dichiarazione viene precisato che "si tratta di una scelta coerente con i principi fondamentali che informano il regime transitorio, che garantisce ai cittadini degli otto paesi di nuova adesione condizioni di accesso al mercato del lavoro italiano, da un lato, non più restrittive di quelle esistenti alla data della firma del trattato di adesione, e dall'altro, più favorevoli rispetto a quelle applicate ai cittadini di paesi terzi".

Le procedure semplificate sono le seguenti:

  1. Per il lavoro autonomo: i cittadini neocomunitari che vogliono svolgere un'attività lavorativa di carattere autonomo possono liberamente circolare ai fini dell'accesso al mercato del lavoro.
  2. Per il lavoro dipendente: sono state fissate 20.000 nuove quote per questi soggetti, che sono esentati dall'obbligo di visto e per i quali sono semplificate le procedure amministrative per la concessione dell'autorizzazione al lavoro. Inoltre le limitazioni previste non si applicano a:
    1. cittadini neocomunitari che lavoravano legalmente al momento della data di adesione e che erano stati ammessi al mercato del lavoro italiano per un periodo ininterrotto pari o superiore ai 12 mesi;
    2. cittadini neocomunitari che hanno svolto un'attività lavorativa in Italia per un periodo ininterrotto pari o superiore ai 12 mesi;
    3. il coniuge o i figli minori di anni 21 o a carico, legalmente soggiornanti sul territorio italiano, conviventi con il lavoratore neocomunitario che svolgeva un'attività lavorativa per un periodo ininterrotto pari o superiore ai 12 mesi al momento della data di adesione. Verrà applicata la procedura ex art. 22 l. 189/2002, seppur semplificata. I datori di lavoro che intendano intraprendere un rapporto di lavoro subordinato con un cittadino neocomunitario a tempo determinato o indeterminato deve presentare alla Direzione Provinciale del Lavoro una richiesta di autorizzazione al lavoro. In particolare la richiesta dovrà contenere:
      • le generalità del richiedente (accompagnate dalla fotocopia di valido documento di identità ovvero di passaporto se non si tratta di cittadino italiano e, nel caso di cittadino extracomunitario regolarmente residente in Italia, anche la fotocopia del permesso di soggiorno in corso di validità);
      • le generalità del lavoratore richiesto (accompagnate dalla fotocopia di passaporto in corso di validità);
      • e condizioni lavorative offerte (contratto collettivo applicato, qualifica e livello di inquadramento contrattuale, retribuzione lorda mensile, orario di lavoro, località d'impiego, tipologia contrattuale: a tempo indeterminato, a tempo determinato, stagionale). Alla domanda si allegherà il contratto di lavoro sottoposto alle sole condizioni dell'effettivo rilascio dell'autorizzazione al lavoro e della richiesta della carta di soggiorno. Sarà compito della Direzione Provinciale del Lavoro, dopo aver accertato l'esistenza dei requisiti richiesti e aver verificato la disponibilità delle quote, rilasciare l'autorizzazione al lavoro e trasmetterla sia al datore di lavoro sia alla Questura competente, presso la quale si recherà il cittadino neocomunitario per ritirare la carta di soggiorno per lavoro. Ci sono poi delle categorie di lavoratori che possono accedere al mercato del lavoro al di fuori delle quote fissate dal decreto flussi, presentando la richiesta di autorizzazione al lavoro alla Direzione Provinciale del Lavoro. Tale categorie sono individuate dall'art. 27 T.U. sull'Immigrazione che analizzeremo più estesamente in seguito quando tratteremo dell'ingresso per lavoro in casi particolari.

1.9 L'accesso alla Pubblica Amministrazione

I cittadini extracomunitari hanno la possibilità di partecipare alle selezioni per un posto di lavoro presso la Pubblica Amministrazione. L'art. 2 del D.P.R. n. 487/1994 prevedeva il requisito della cittadinanza italiana per l'accesso agli impieghi civili presso la P.A., ma il successivo art. 2 del d.g.ls. n. 286/1998 ha ribadito il principio della parità di trattamento e uguaglianza di diritti del lavoratore straniero nei confronti di quello italiano. Evidentemente tale uguaglianza è valida anche nella possibilità o meno di instaurazione di un rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione. In questo senso si era già espressa una sentenza delle Sezioni Unite civili, la n. 62/ 2000 che aveva riconosciuto la parità di trattamento fra lavoratori italiani e extracomunitari. Si affermava che non andava fatta alcuna distinzione e che essi avevano le stesse opportunità di impiego anche nei casi di assunzione diretta prevista in alcuni casi dalla legge. Si richiamava in questo modo il principio statuito dalla Convenzione OIL n. 143/1975 (resa esecutiva in Italia con la legge n.158 del 1981), nel quale si afferma che ciascun membro a garantire ai lavoratori migranti che si trovano nel territorio italiano la parità di trattamento e di opportunità in materia di occupazione e di professione; il principio della parità di trattamento varrebbe quindi non solo nel corso del rapporto di lavoro ma anche nella fase anteriore all'eventuale formazione del contratto di lavoro.

In particolare, l'avviamento a selezione presso le Pubbliche Amministrazioni riguarda tutti i lavoratori secondo le graduatorie che risultano dalle liste di collocamento. In questo senso si è espresso il Tar Liguria con la sentenza n. 399 del 13 aprile 2001, che ammette la possibilità per un lavoratore straniero di partecipare a un concorso pubblico come infermiere professionale.

Alla luce di questi e di altri interventi giurisprudenziali non può che darsi un'interpretazione estensiva dell'art. 16 della legge 28 febbraio 1987, n.56 inerente all'assunzione, nel Pubblico Impiego, dei lavoratori che non abbiano un titolo di studio superiore a quello conseguito dalla scuola dell'obbligo. Le assunzioni nella Pubblica Amministrazione dei lavoratori da inquadrare in particolari livelli retributivo-funzionali avvengono sostanzialmente in base a delle selezioni effettuate tra gli iscritti nelle liste di collocamento e in quelle di mobilità.

L'avviamento a selezione presso le Pubbliche Amministrazioni deve necessariamente valere anche per il lavoratore extracomunitario in possesso di regolare permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Quindi tale meccanismo riguarda tutti i lavoratori, a prescindere dalla loro cittadinanza, in base a graduatorie formate sui nominativi iscritti nelle liste di collocamento. Risulta quindi corretto il principio che, in difetto di esplicita esclusione, i lavoratori extracomunitari aventi titolo per accedere al lavoro subordinato in Italia godono degli stessi diritti dei lavoratori italiani. Essi devono, cioè, essere messi nelle stesse condizioni nella ricerca dell'occupazione e non solo in presenza di un rapporto di lavoro già instaurato.

Proprio su questo tema si è espressa la sentenza del Tar Liguria n. 399/2001, cui ho accennato prima: infatti sul ricorso presentato dal lavoratore straniero per l'annullamento della decisione della Commissione esaminatrice del concorso pubblico per un posto di infermiere professionale, da cui era stato escluso sulla base dell'art. 2 del DPR n. 487/1994 che prevedeva la non ammissibilità se il soggetto non fosse stato in possesso della cittadinanza italiana o della cittadinanza di un altro paese dell'Unione Europea, a tale riguardo il Tribunale rilevava che tale norma era regolamentare e poteva essere implicitamente abrogata da norme successive intervenute a disciplinare la situazione giuridica dello straniero. Così prosegue la motivazione "È da rilevare poi che l'art. 2 del D.lgs 286 del 1998 prevede espressamente che:

  1. lo straniero regolarmente soggiornante sul territorio nazionale gode in materia civile degli stessi diritti riconosciuti al cittadino italiano (c.2);
  2. ai lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale è riconosciuta parità di trattamento e piena eguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani (C.3).

In tale contesto è evidente la finalità del legislatore di assicurare ai lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti sul Territorio nazionale lo stesso trattamento riservato ai lavoratori italiani, non solo allorché il rapporto di lavoro si sia instaurato ma anche per quanto concerne l'astratta possibilità di instaurarlo. D'altronde il limitare, come prospettato dall'intimata amministrazione, tale astratta possibilità solamente nei confronti dei datori di lavoro privati risulta essere palesemente illogico per violazione del fondamentale principio di eguaglianza, nonché in aperto contrasto con l'evoluzione normativa in materia di privatizzazione del rapporto di pubblico impiego."

1.10 Il trattamento previdenziale del lavoratore: le novità

Dall'art. 38 Cost. si può evincere il principio della parità di trattamento che garantisce i mezzi di sostentamento al lavoratore - quindi anche a quello extracomunitario - nel caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria. Questo principio è stato riconosciuto a livello internazionale da molteplici convenzioni dell'O.I.L. (40) nonché nel trattato che adotta una costituzione in Europa.

La normativa previdenziale prevede che tutti i lavoratori abbiano alcuni diritti garantiti e conseguenti indennità, da malattia e da disoccupazione, conseguenze necessarie di tali diritti. Illustreremo le principali indennità corrisposte a tutti i lavoratori e, quindi, inevitabilmente anche ai lavoratori stranieri. Si tratta in particolare della:

a) indennità di disoccupazione

il lavoratore che resta senza lavoro per cause non attribuibili alla propria volontà ha diritto di usufruire dell'indennità di disoccupazione per un periodo di massimo 180 giorni. L'indennità viene valutata in una somma pari al 30% della retribuzione percepita dal lavoratore nei tre mesi precedenti e viene mensilmente pagata dall'INPS. Fra i requisiti richiesti fondamentale è quello di avere almeno 2 anni di assicurazione per la disoccupazione involontaria ed avere almeno 52 contributi settimanali nei 2 anni precedenti alla fine del rapporto di lavoro.

Il termine massimo per presentare all'INPS la domanda di indennità di disoccupazione involontaria è di 68 giorni dal licenziamento. L'indennità non viene più corrisposta quando: si inizia un nuovo lavoro, è stato raggiunto il limite dei 180 giorni di indennità; si viene cancellati dalle liste dei disoccupati o si gode di un trattamento pensionistico diretto.

È possibile avere anche una diversa forma di indennità di disoccupazione: l'indennità di disoccupazione con requisiti ridotti. Questa viene corrisposta quando, anche se il lavoratore non ha versato 52 contributi settimanali negli ultimi due anni, ha comunque lavorato per un periodo non inferiore ai 78 giorni nell'anno precedente alla perdita del lavoro. Entro il 31 marzo dell'anno successivo a quello in cui lavoratore ha perso il lavoro dovrà presentare la domanda all'INPS. L'indennità pari al 30% della retribuzione viene pagata con unico assegno e per un numero di giornate pari a quelle lavorate.

Un'ulteriore forma di indennità di disoccupazione è quella per il lavoratore del settore edilizio. Il lavoratore che ne può usufruire è quello licenziato per riduzione del personale, ultimazione dei lavori e chiusura dell'azienda. I requisiti sono piuttosto rigidi: il lavoratore avrà dovuto versare almeno 10 contributi mensili o 43 contributi settimanali ed essere iscritti nelle liste di disoccupazione. Questa indennità speciale decorre o dal primo giorno di iscrizione nelle liste o dal primo giorno di disoccupazione.

L'indennità di mobilità si caratterizza per il fatto di venire corrisposta al lavoratore quando: avviene la cessazione dell'attività; viene esaurita la cassa di integrazione straordinaria; quando il lavoratore viene licenziato per riduzione del personale, trasferimento dell'attività o del lavoro. L'indennità viene corrisposta mensilmente dall'INPS ed è pari al 100% del trattamento di Cassa Integrazione Straordinaria dei primi 12 mesi di disoccupazione e nell'ulteriore periodo dell'80% dello stesso importo. Il lavoratore deve necessariamente essere iscritto alle liste di mobilità dell'ufficio regionale del lavoro; avere un'anzianità aziendale di almeno 12 mesi; avere maturato almeno 6 mesi di lavoro effettivo. La domanda per l'indennità dovrà essere presentata all'INPS entro 68 giorni dal licenziamento.

b) indennità di malattia

Il lavoratore che si ammala ha alcuni diritti, in particolare a partire dal 4º giorno di malattia, ha diritto al 50% della retribuzione media globale giornaliera per i primi 20 giorni di malattia; 66,66% della stessa retribuzione per i giorni successivi della ricaduta. L'indennità per malattia ha un termine massimo di 180 giorni per anno solare, e viene generalmente pagata dal datore di lavoro, mentre verrà pagata dall'INPS nel caso di lavoratore disoccupato o sospeso dal lavoro che non gode del trattamento di integrazione salariale, al lavoratore agricolo e al lavoratore stagionale assunto con contratto a tempo determinato.

Per avere l'indennità di malattia è però necessario adempiere a determinati obblighi e sottostare ad alcune prescrizioni. Il lavoratore dovrà farsi rilasciare il certificato medico dal medico di famiglia in duplice copia; una di queste dovrà essere inviata, entro due giorni, all'INPS e una al proprio datore di lavoro. Il lavoratore ha l'obbligo di stare in casa dalle 10,00 alle 12, e dalle 17,00 alle 19,00 nel caso in cui debba sottoporsi alla visita di un medico dell'INPS a meno che non debba assentarsi per motivi familiari o personali o debba effettuare una visita specialistica o esami che non possono essere effettuati in altri orari. È assolutamente necessario documentare i motivi dell'assenza. È possibile chiedere l'autorizzazione all'INPS di potersi trasferire in un paese straniero nel quale si ritiene di poter ricevere un'assistenza migliore. All'interno dell'indennità di malattia troviamo quella specifica in caso di tubercolosi; inoltre è importante dire che ci sono vari tipi di indennità: giornaliera che spetta durante il periodo delle cure ospedaliere o ambulatoriali; post-sanatoriale che spetta per 2 anni dopo la fine del ricovero o delle cure ambulatoriali che non siano durati meno di 60 giorni e se non si è lavorato per almeno 60 giorni; assegno di cura e sostentamento spetta per 2 anni se la propria capacità di guadagno in occupazioni conformi alla propria capacità si è ridotta a meno della metà, quando non si percepisce una normale retribuzione continuativa a tempo pieno. È rinnovabile senza limiti di tempo quando ne permangono i requisiti.

Infine all'interno dell'indennità per malattia sono previste anche le cure termali: il lavoratore, dipendente o autonomo, iscritto all'INPS con almeno 5 anni di assicurazione e 3 anni di contributi può usufruire di cure termali per prevenire o rimuovere o ritardare forme bronco-catarriali. La richiesta dovrà essere presentata all'INPS entro il 31 dicembre con allegato il certificato medico con l'indicazione della malattia e del centro prescelto. Il costo delle cure è a carico della sanità pubblica, a carico dell'INPS sono le spese del soggiorno mentre il lavoratore dovrà pagarsi le spese del viaggio e il ticket.

1.11 Il trattamento previdenziale del lavoratore extracomunitario: le novità

La tutela previdenziale del lavoratore extracomunitario ha subìto dei rilevanti cambiamenti a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 189/2002. L'art. 22, comma 11, del T.U. sull'Immigrazione originario, richiamava l'art. 8, comma 5, della legge n. 943/1986 garantendo ai lavoratori extracomunitari non stagionali che ritornavano nel Paese i diritti previdenziali e di sicurezza sociali che avevano maturato durante il rapporto di lavoro, indipendentemente da eventuali accordi di reciprocità. Inoltre si riconosceva la possibilità ai lavoratori ritornati in patria di richiedere il rimborso dei contributi versati maggiorati del 5% annuo, salvo che apposite convenzioni internazionali lo escludessero. La norma- come fa notare Gaetano Campo (41)- era stata oggetto di una interpretazione restrittiva dalla Pubblica Amministrazione, in particolare attraverso la circolare Inps 112 del 19.5.1999 e la comunicazione del Ministero del Lavoro del 19.4.1999, relegandola a una norma di carattere eccezionale e di difficile applicazione analogica.

Attualmente la tutela previdenziale è prevista dall'art. 22, comma 13, T.U. e non viene più prevista la possibilità di richiedere la liquidazione anticipata dei contributi versati e anche il godimento dei diritti previdenziali viene comunque condizionato secondo quanto recita l'articolo "indipendentemente dalla vigenza di un accordo di reciprocità al verificarsi della maturazione dei requisiti previsti dalla normativa vigente, al compimento del sessantacinquesimo anno d'età, anche in deroga al requisito minimo previsto dall'articolo1, comma 20 della legge 8 agosto 1995, n. 335". Viene soppressa quella parte di norma citata prima in relazione alla maggiorazione del 5% annuo dei contributi versati.

Da questa nuova disciplina risulta evidente che la parità di trattamento del lavoratore italiano e extracomunitario, prevista anche costituzionalmente ex art. 3 Cost., non è esistente. È chiaro infatti che il lavoratore italiano usufruirà senza problemi delle prestazioni previdenziali che ha finanziato, mentre per un lavoratore straniero porre il limite dei sessantacinque anni di età prima che possa usufruire del trattamento, quando magari è già tornato in patria e non c'è un accordo bilaterale di sicurezza sociale fra il suo paese e l'Italia tale da consentire il trasferimento dei contributi presso l'ente previdenziale del paese di residenza comporta una evidente disparità di trattamento sostanziale. Inoltre non si tiene conto del fatto che il limite di accesso al pensionamento di vecchiaia per le donne è diverso, essendo di sessant'anni. Sempre Gaetano Campo fa notare come queste norme si scontrano con un mercato del lavoro sempre più flessibile, o addirittura precario, e con la normale tendenza dei lavoratori stranieri a fare ritorno nel loro paese di origine, con la conseguente perdita dei contributi. La norma presupponendo, per essere efficace, la tendenziale stabilità del lavoratore non tiene assolutamente conto delle oggettive difficoltà che il lavoratore straniero incontra a entrare e soggiornare nel nostro paese in maniera stabile, anche attraverso l'introduzione del contratto di soggiorno, la riduzione del permesso di attesa occupazione e delle limitazioni introdotte in tema di ricongiungimento familiare.

Non bisogna dimenticare la circolare INPS n. 45 del 28 febbraio 2003, nella quale è previsto che "In caso di decesso anteriore al compimento dei 65 anni non spetta la pensione ai superstiti considerato che la posizione contributiva deve ritenersi efficace solo al raggiungimento della predetta età.

In caso di decesso verificatosi successivamente al compimento del 65º anno la pensione ai superstiti spetta ricorrendo le condizioni previste dalle disposizioni vigenti per la generalità dei lavoratori." È evidente quindi la disparità di trattamento con il lavoratore italiano.

Ricordiamo anche che le modifiche introdotte con la legge n. 189/2002 sono contrarie alla direttiva comunitaria COM(2001) 386; che prevede, in particolare all'art. 11, par. 3, per i lavoratori stranieri che siano rientrati nel loro Paese di origine il diritto di richiedere e avere la restituzione dei contributi versati- da loro stessi e dal datore di lavoro- a meno che non abbiano diritto al trattamento pensionistico secondo la normativa del Paese dove hanno lavorato o non richiedano che i contributi vengano versati direttamente in un ente previdenziale del loro paese. Nella relazione di accompagnamento alla direttiva vengono spiegati i motivi di questa scelta, fondamentale quello di non scoraggiare il rientro dei lavoratori nel loro paese, come avverrebbe se non potessero riavere i contributi versati.

Ancora Campo ritiene che bisogna porsi il problema di compatibilità fra tali norme e il dettato costituzionale, in particolare con l'art. 38, comma 2, che riconosce a tutti i lavoratori il diritto a trattamenti previdenziali in caso di infortunio, malattia invalidità e vecchiaia e disoccupazione involontaria, nonché all'art. 10 comma 2 Cost., in riferimento all'art. 10 Convenzione OIL n. 143/1975 che afferma il principio di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale. A tale proposito è interessante leggere la sentenza del Tribunale di Verona del 20.6.2002 n. 372 che si pronuncia su un ricorso depositato il 19 settembre 2001, si legge infatti che "Poiché sul concetto giuridico di confine territoriale deve prevalere quello umano dei diritti soggettivi e poiché si è convenuto che le migrazioni non devono tradursi in una penalizzazione dei lavoratori, numerose sono le convenzioni approvate a livello internazionale per regolare anche i problemi previdenziali dei lavoratori." E ricorda che "I quattro principi generalmente riconosciuti nel diritto internazionali della sicurezza sociale sono: uguaglianza di trattamento; unicità di legislazione applicabile; conservazione dei diritti acquisiti o in corso di acquisizione; pagamento delle prestazioni all'estero."

1.12 La regolarizzazione del 2002

All'art. 33 della legge n. 189/2002 era prevista una disciplina di regolarizzazione per la categoria dei lavoratori extracomunitari che nei tre mesi precedenti all'entrata in vigore della legge, erano stati impiegati irregolarmente in "attività di assistenza a componenti della famiglia affetti da patologie o handicap che ne limitano l'autosufficienza" o erano stati impiegati per "lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare". In un secondo momento con il decreto legge 9 settembre 2002 n.195 convertito poi con modifiche nella legge n. 222/2002, sono state comprese nella "sanatoria" anche le categorie dei lavoratori stranieri occupati irregolarmente presso le imprese, sia societaria che individuale.

Per quanto riguarda la procedura e i requisiti richiesti, non c'erano rilevanti differenze fra le due categorie, in ogni caso va evidenziato come in relazione al lavoratore domestico di sostegno al bisogno familiare "la denuncia è limitata ad una unità per nucleo familiare". Al contrario né per l'assistenza a persone affette da patologie o handicap, né per la regolarizzazione dei lavoratori per le imprese erano fissati dei limiti numerici. Nel caso di assistenza a persone con patologie o handicap il numero 3 del 3º comma dell'art. 33 così come modificato dalla legge n. 222/2002 prevedeva che fosse allegata alla dichiarazione di emersione la certificazione medica della patologia o handicap. I termini erano gli stessi, potevano fare denuncia coloro che nei tre mesi precedenti all'entrata in vigore della legge avevano occupato - in modo continuativo, secondo l'interpretazione restrittiva fornita dalla circolare del Ministero dell'Interno n. 14/2000- lavoratori irregolarmente. Fu previsto al comma 7 dell'art. 33, nella modifica prevista dalla legge n. 222/2002, che non fosse possibile regolarizzare alcuni lavoratori, in particolare coloro nei cui confronti fosse stato emesso un provvedimento di espulsione per motivi diversi dal mancato rinnovo del permesso di soggiorno, a meno che non fosse possibile revocare il provvedimento per circostanze obiettive rispetto all'inserimento sociale, senza peraltro fissare dei criteri per determinare quando fosse avvenuto il suddetto inserimento sociale, lasciando così un ampio margine alla discrezionalità dell'autorità prefettizia. (42) Ma la revoca non poteva essere disposta se il lavoratore straniero fosse stato sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo e non avesse avuto una sentenza di assoluzione per cui risultava che il fatto non sussisteva o non costituiva reato o che l'interessato non l'aveva commesso ex art. 530 c. p. p. Inoltre non era revocabile il provvedimento nel caso in cui lo straniero fosse risultato destinatario di un provvedimento di espulsione, ovvero avesse fatto rientro nel territorio nazionale, dopo averlo lasciato con provvedimento di espulsione, senza attendere il termine richiesto né essendo in possesso di una speciale autorizzazione del Ministro dell'Interno.

Non potevano essere soggetti del procedimento di regolarizzazione nemmeno gli stranieri che risultassero segnalati ai fini di non ammissione nel territorio nazionale.

Non potevano essere regolarizzati i soggetti che fossero stati anche solo denunciati per uno dei delitti previsti dall'art. 380 e 381 c. p. p. che prevedono la facoltà o l'obbligo di arresto in flagranza, a meno che il procedimento non si fosse concluso con un provvedimento per cui il fatto non sussisteva o non costituiva reato o che il soggetto non aveva commesso il fatto o, ex art. 411, per altri casi di archiviazione, ovvero nel caso in cui fosse intervenuta la riabilitazione ex art. 178 c. p., infatti "La riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna salvo che la legge disponga altrimenti".

Non furono compresi nemmeno gli stranieri destinatari di una misura di prevenzione, o che fossero considerati pericolosi per la sicurezza dello Stato o per l'ordine pubblico. Era inoltre previsto che il numero di permessi di soggiorno che sarebbero stati rilasciati in seguito alla revoca sarebbero stati sottratti alle quote annuali di ingressi fissate nel nuovo decreto flussi, previsione che si allontana dalla realtà del fenomeno migratorio in Italia e dalla richiesta che ne viene fatta dai datori di lavoro.

Nell'originaria formula del d. l. n. 195/2002 non erano previste le cause di non punibilità per il datore di lavoro per le violazioni connesse all'occupazione di lavoratori stranieri irregolari fino al momento della presentazione della domanda di regolarizzazione, e in anche in caso di non accoglimento della stessa. La legge di conversione n. 222/2002 ha rimediato a questo prevedendo che i datori di lavoro che regolarizzano i lavoratori extracomunitari alle loro dipendenze non sono punibili per le violazioni delle norme sugli stranieri in relazione al soggiorno, al lavoro di carattere finanziario, fiscale, previdenziale e assistenziale e per le altre violazioni amministrative e reati, né si applica l'art. 22, comma 12, del T.U. sull'Immigrazione che prevede l'arresto da tre mesi a un anno e l'ammenda di 5000 euro per ogni lavoratore irregolare impiegato nei confronti del datore, fino al momento del rilascio del permesso di soggiorno o fino alla comunicazione dei motivi ostativi al rilascio.

La procedura di regolarizzazione prevedeva che i datori di lavoro entro due mesi dall'entrata in vigore della legge potevano presentare agli uffici postali la dichiarazione di emersione, indicando le proprie generalità e quelle del lavoratore, la tipologia e la modalità del lavoro e la retribuzione prevista che non poteva essere comunque inferiore a quella prevista dai contratti collettivi nazionali. Bisognava inoltre unire alla dichiarazione la ricevuta di pagamento di un contributo forfettario, pari all'importo trimestrale corrispondente al rapporto di lavoro dichiarato, senza ulteriori somme a titolo di interessi o penali (43). È da notare come la cedolina di ricevuta testimoniava che la regolarizzazione era in corso e costituiva il titolo che consentiva allo straniero di permanere legalmente in Italia almeno fino al momento della conclusione del procedimento, dove sarebbe stato sostituito o dal permesso vero e proprio o dal diniego dello stesso. Per essere ricevibile la dichiarazione di emersione doveva inoltre avere allegata la copia dell'impegno a stipulare con il lavoratore un contratto di soggiorno per lavoro subordinato ex art. 5-bis T.U. sull'Immigrazione, così come previsto dall'art. 6 della nuova legge. Le richieste di regolarizzazione sono state esaminate dallo Sportello Polifunzionale presso la Prefettura-UTG, che doveva essere composta da un rappresentante di ogni amministrazione coinvolta, per accertare se sussistevano requisiti di ammissibilità e ricevibilità. Era compito della Questura accertarsi se fossero presenti eventuali motivi ostativi alla concessione del permesso di soggiorno; in mancanza di questi la prefettura-UTG convocava le parti presso lo sportello polifunzionale dove si svolgevano tutte le pratiche attinenti alla regolarizzazione come l'attribuzione del codice fiscale, la sistemazione della posizione contributiva, la firma del contratto di lavoro e il rilascio del permesso di soggiorno della durata di un anno. La procedura si concludeva con la firma del contratto di soggiorno. I termini previsti originariamente erano piuttosto brevi: il datore di lavoro aveva a disposizione 2 mesi dall'entrata in vigore della legge per fare la dichiarazione di emersione, dal momento di ricezione della dichiarazione la prefettura entro 20 giorni verificava l'ammissibilità e la questura accertava l'assenza di motivi ostativi, in seguito alla comunicazione dell'accertamento la prefettura aveva altri 10 giorni per invitare le parti alla stipulazione del contratto di soggiorno con gli altri adempimenti. Vedremo poi come tali termini si siano poi dilatati portando determinate conseguenze.

Se le parti non si presentavano la prefettura archiviava la pratica, ma non bisogna dimenticare che essa era comunque in possesso dei dati del lavoratore extracomunitario irregolare, ora "emerso".

In riferimento alla legalizzazione dei lavoratori extracomunitari che lavoravano presso imprese si prevedeva dalla legge n. 222/2002 che alla domanda di regolarizzazione si allegasse la ricevuta del pagamento forfettario e -come già per i lavoratori domestici- la dichiarazione di impegno a stipulare un contratto di soggiorno per lavoro a tempo indeterminato o un contratto di lavoro della durata di almeno un anno. Per il resto è in tutto simile alla regolarizzazione per i lavoratori domestici eccezion fatta per alcune previsioni: la prima riguarda i termini: innanzitutto il limite temporale per la presentazione della domanda è differente, mentre per i lavoratori domestici era di due mesi dall'entrata in vigore della legge, per gli altri lavoratori subordinati era prevista dalla legge n. 222/2002 entro una data precisa, l'11 novembre 2002. Inoltre per i lavoratori subordinati erano previsti che nei 60 giorni successivi alla ricezione della dichiarazione la prefettura-UTG verificasse l'ammissibilità e ricevibilità della domanda e la comunicasse al centro per l'impiego competente per territorio, e in seguito all'accertamento- come già nel lavoro domestico- dell'assenza di motivi ostativi e alla conseguente comunicazione alla prefettura, quest'ultima aveva 10 giorni per invitare le parti a firmare il contratto di soggiorno e, contestualmente, al rilascio del permesso. Nel caso in cui le parti non si fossero presentate in seguito all'invito della Prefettura sarebbe stata dichiarata l'improcedibilità e disposta l'archiviazione della procedimento.

Un'altra differenza di rilievo è la previsione in relazione al rinnovo del permesso di soggiorno; il rinnovo del permesso ottenuto in seguito alla regolarizzazione sarà un tema che ci interesserà particolarmente in seguito ma che per il momento ci limiteremo ad analizzare così come era stato previsto nel 2002. Mentre l'art. 33 della legge n. 189/2002 prevedeva che "il permesso di soggiorno era rinnovabile previo accertamento da parte dell'organo competente della prova della continuazione del rapporto". Per i lavoratori d'impresa invece il d. l. n. 195/2002, poi convertito nella legge n. 222/2002 individua la condizione per il rinnovo del permesso di soggiorno nel "previo accertamento dell'esistenza di un rapporto di lavoro a tempo determinato ovvero a tempo determinato della durata non inferiore a un anno". Bisogna rilevare come la procedura di regolarizzazione non sia stata prevista per i lavoratori stagionali né sembra esserci possibilità di rinnovo tramite tale rapporto di lavoro. Vedremo poi nel secondo capitolo come questo problema è stato ovviato dal legislatore.

1.13 Nuove problematiche

Finora abbiamo preso in considerazione la procedura di regolarizzazione così come era stata prevista a livello legislativo. È importante però analizzare quali sono le problematiche di maggiore interesse sorte durante il periodo seguente alla presentazione della domanda e quelle sorte nei giorni odierni, quando i permessi sono ormai scaduti e si è posto il problema del rinnovo degli stessi, e come è stato risolto dal legislatore.

Fra le problematiche sorte nel corso della regolarizzazione ricordiamo innanzitutto quella dello straniero richiedente asilo, che, mentre sta attendendo di essere ascoltato dalla Commissione competente per il riconoscimento dello status di rifugiato, si poneva il quesito se potesse accedere alla regolarizzazione; tale quesito si è risolto positivamente. Veniva previsto che il richiedente asilo poteva iniziare la procedura di regolarizzazione senza sospendere o annullare il parallelo procedimento in corso per il riconoscimento dello status. (44)

Similmente è stato previsto per coloro che stavano ancora attendendo la definizione della domanda di sanatoria presentata nel 1998. Anche per loro è stato possibile accedere alla regolarizzazione prevista dalla legge n. 189/2002. (45)

Sicuramente di rilievo è la considerazione che viene fatta del contributo forfetario. Questo viene definito come versamento che viene fatto una tantum per la dichiarazione di aver assunto un lavoratore irregolarmente, non ne viene prevista in nessun modo la restituzione anche in caso di rigetto della richiesta, visto che il contributo ha solo la funzione di sanare la posizione del datore di lavoro.

Prima di trattare i temi del licenziamento, prima e durante la regolarizzazione, ricordiamo infine l'orientamento emerso in giurisprudenza in caso di decesso del datore di lavoro domestico avvenuto nel periodo intercorrente fra la presentazione della domanda di regolarizzazione e la conclusione del procedimento quindi con la stipula del contratto di soggiorno. In questo caso si è stabilito che la morte del datore di lavoro non impedisce che la famiglia del defunto subentri al datore di lavoro e il lavoratore venga quindi assunto come collaboratore domestico.

1.14 Licenziamenti

Affrontiamo ora un tema, a mio parere, di grande rilievo: quello del licenziamento dei lavoratori extracomunitari avvenuto a ridosso del termine ultimo per la regolarizzazione o durante il procedimento della stessa.

A ridosso dello scadere del termine riscontriamo svariate sentenze che testimoniano che durante il periodo precedente alla scadenza del termine per la regolarizzazione si verificarono su tutto il territorio italiano episodi di datori di lavoro che effettuarono licenziamenti di lavoratori regolarizzabili, per evitare di dover adempiere alla procedura, precludendo ai lavoratori ogni possibilità di emergere dal mercato del lavoro "nero" e dal sommerso mondo degli stranieri privi del permesso di soggiorno, con tutto il carico di debolezze che lo accompagnano. La giurisprudenza ha dato un segnale nella direzione di accettare i ricorsi fatti dai lavoratori in via d'urgenza al Giudice ordinario per ottenere una sentenza che obbligasse il datore di lavoro a presentare la domanda di regolarizzazione. Infatti la sezione del lavoro del Tribunale di Milano con una sentenza del 22 ottobre 2002 ordinò di reintegrare al suo posto il lavoratore licenziato ma, soprattutto, ordinò al datore di lavoro di procedere alla regolarizzazione ex art. 1 del d.l. 195/2002. In seguito è stata emanata la circolare del Ministero dell'Interno- Dipartimento della Pubblica Sicurezza - n. 300 C/2002/2472/P/12.222.8/1ªDiv., nella quale si afferma che la posizione dei cittadini extracomunitari che lavoravano irregolarmente e i cui datori di lavoro non hanno inteso procedere alla regolarizzazione o hanno interrotto il rapporto di lavoro, se hanno adito formalmente alle vie legali per mantenere il rapporto o abbiano aperto una vertenza sindacale o di patronato, la loro posizione "si ritiene essere assimilata, in via temporanea, a quella dei perdenti posti di lavoro e rientrare, quindi, nell'ipotesi di cui all'art. 22, comma11, del testo unico, relativamente al rilascio del permesso di soggiorno per una durata di sei mesi". Si applica quindi analogicamente a questi soggetti il trattamento riservato agli stranieri con regolare permesso di soggiorno che vengono licenziati ex art. 22 comma 11 Testo Unico. In una nota del Ministero dell'interno - Divisione Centrale per la Polizia Stradale, Ferroviaria Postale, di Frontiera e dell'Immigrazione n. 79579, n. 300.C/2002/P/12.222.8/1ªDiv si comunica che le istanze di richiesta di permesso di soggiorno per motivi di ricerca lavoro saranno accettate entro un periodo di tempo ben preciso - dal 12.11.2002 al 19.11.2002- e, soprattutto fra i vari documenti da allegare (Mod. 209, marca da bollo da euro 10,33, foto tessera, passaporto in corso di validità o dichiarazione di identità dal parte del consolato del paese di appartenenza) ci dovrà essere "copia del ricorso presentato al Giudice del lavoro, o copia della vertenza di lavoro aperta tramite associazioni sindacali o di patronato, presentate entro l'11.11.02, e riportante la data di inizio del rapporto di lavoro, ininterrotto e non regolarizzato, ex art. 33 l. n. 189/2002 e art. 1 d.l. n. 195/2002". Viene inoltre precisato che il rapporto doveva essere comunque di lavoro subordinato o un impiego come colf o badante.

Se il datore di lavoro avesse avuto un obbligo di regolarizzare i soggetti che lavoravano alle sue dipendenze o rientrava invece in una sua mera facoltà è stato un tema ampiamente dibattuto dalla giurisprudenza. A tale proposito possiamo ricordare alcune decisioni della magistratura a riguardo.

L'ordinanza emessa dal Tribunale di Milano il 31.10/5.11.02. (46) è sicuramente interessante: nella causa in questione era stato proposto un ricorso di fronte al giudice del lavoro, il ricorrente affermava di aver lavorato continuativamente presso un ditta e di essere stato licenziato in prossimità della regolarizzazione, chiedeva quindi di essere reintegrato nel suo posto di lavoro e che si procedesse alla sanatoria. La società convenuta negava la continuazione del rapporto e in seconda istanza riteneva che l'eventuale accertamento del rapporto di lavoro non comportasse comunque per il datore di lavoro l'obbligo di effettuare la "sanatoria", in quanto la riteneva una facoltà e non un adempimento coercibile. Il tribunale dopo aver risolto in senso positivo per il ricorrente la questione dell'esistenza del rapporto di lavoro subordinato e aver decretato che si era configurata un'ipotesi di licenziamento inefficace, ha ritenuto che questo comportasse l'obbligo per la convenuta di procedere con la sanatoria. Il giudice motiva così "Ritiene infatti il giudice che la facoltà in questione concessa al datore di lavoro riguardi solo la possibilità di avvalersi delle modalità, degli esoneri, delle facilitazioni, e della impunità introdotte dalla legge in questione, ma non possa essere intesa nel senso di una scelta discrezionale circa la regolarizzazione del rapporto di lavoro." Facendo notare che costituirebbe reato occupare alle proprie dipendenze un lavoratore senza permesso di soggiorno e che attraverso questa legge è stata posta una condizione di non punibilità per il datore di lavoro che presenti denuncia di sanatoria ma, aggiunge, "Diversamente ragionando, e cioè ritenendo che il datore di lavoro possa a sua discrezione decidere se regolarizzare o meno il lavoratore fatto irregolarmente lavorare alle sue dipendenze, si finirebbe col rimettere all'autore di un reato la prosecuzione e la permanenza dello stesso pur dopo il suo accertamento in sede giudiziale: il che appare difficilmente ipotizzabile, anche nell'ottica di generale sanatoria cui si spira la legge". Nello stesso modo si orientano la decisione del Tribunale di Bologna- il decreto 8.11.02 nel quale si può leggere che "la regolarizzazione ai sensi del d.l. 195/2002, secondo l'interpretazione preferibile dalla normativa, costituisce un vero e proprio diritto del lavoratore ed un obbligo per il datore di lavoro, anche nel caso in cui [...] il diniego del permesso di soggiorno non sia dovuto a fatto addebitabile al datore di lavoro.

Il decreto emesso il 10.12.2002 dal Tribunale di Pisa è interessante per le posizioni decise che il giudice assume in merito al significato da attribuire al termine "può denunciare", ritiene infatti da escludere senza dubbio il significato di carattere facoltativo, in quanto non può essere lasciato alla discrezionalità del datore di lavoro "dovendo la realtà economica sottostante emergere aliunde, cioè sulla base non solo di un elemento volontaristico, quanto di elementi economicamente rilevanti". Ritiene quindi che il "può denunciare" indichi in realtà "sussistono le condizioni perché denunci".

Il decreto del Tribunale di Pisa inoltre rileva la lacuna della legge nel caso in cui i rapporti si fossero interrotti nell'imminenza o in vista degli obblighi derivanti dalla regolarizzazione. Ritiene quindi necessario un'interpretazione giurisprudenziale che sia rispettosa "innanzitutto del canone di eguaglianza sostanziale davanti alla legge".

Il Tribunale riflette sul fatto che "La regolarizzazione degli immigrati- che nel nostro paese sono stranamente un problema anziché una risorsa- ha ricevuto solo recentemente una qualche sistemazione peraltro confusa, non foss'altro perché vengono spesso frammisti i piani della tutela dell'ordine pubblico e della disciplina del lavoro, spesso (anzi, quasi sempre) finendo col sacrificare i diritti del lavoratore, o comunque, rendendone oltremodo difficile l'esercizio, fino allo scoramento. Come se il legislatore volesse tenere questa forza lavoro sul crinale della marginalità sociale, in una situazione di costante ricattabilità. Con il che si finisce col rischiare che, in via di fatto, venga a crearsi nel diritto del lavoro un corpus sostanzialmente separato, che riguarda il rapporto con i lavoratori extracomunitari." Aggiunge quindi che sarà la prassi a dover supplire a questa lacuna del legislatore. E rileva come "a differenza di altre tutele dispiegate nella Costituzione a favore dei cittadini, quelle attinenti il mondo del lavoro, sono previste a favore del lavoratore, senza alcuna distinzione fra cittadini italiani e stranieri." Indica anche come il contratto sottoscritto di fronte al prefetto è un contratto di tipo confermativo del precedente rapporto non costitutivo di un nuovo rapporto di lavoro.

L'ultima problematica che viene affrontata dal Tribunale di Pisa concerne il lavoratore che abbia svolto un lavoro dipendente trimestrale ma al momento dell'entrata in vigore della legge fosse disoccupato o avesse un lite giudiziale di accertamento in corso. Secondo questo tribunale la legge parla dei tre mesi antecedenti per evincere "la volontà dell'immigrato di inserimento tramite il lavoro e non per espedienti vari".

1.15 Conclusioni

Possiamo trarre brevemente alcune conclusioni: innanzitutto dobbiamo rilevare le novità introdotte dal T. U. sull'Immigrazione e dal Regolamento di attuazione n. 394/99, come modificato nel 2004. L'istituto del contratto di soggiorno, che collega strettamente il permesso di soggiorno al contratto di lavoro, e la previsione che il contratto di soggiorno, in seguito all'entrata in vigore del nuovo Regolamento, deve essere applicato a tutti i permessi di soggiorno, sia in fase di rilascio sia in fase di rinnovo.

Quella che desta maggiori preoccupazioni (e che sarà oggetto del nostro studio nel prossimo capitolo) è la previsione nella proposta di contratto di soggiorno, ex art. 30-bis, di determinate caratteristiche, testualmente: "la proposta di stipula di un contratto di soggiorno a tempo indeterminato, determinato o stagionale, con orario a tempo pieno o a tempo parziale e non inferiore a 20 ore settimanali e, nel caso di lavoro domestico, una retribuzione mensile non inferiore al minimo previsto per l'assegno sociale, ai sensi dell'articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335.". Da questo si può evincere che per avere un contratto di soggiorno secondo il Regolamento di Attuazione sarebbe necessario avere un contratto di lavoro che assicuri 20 ore settimanali. Anticipando il tema che affronteremo fra poco questo creerebbe numerosi problemi per molte delle nuove forme di lavoro introdotte dalla legge n. 30/2002, la cosiddetta legge Biagi e pone un interrogativo su quanto e come sia compatibile l'attuale politica del lavoro italiana, con questa spinta verso una sempre maggiore flessibilizzazione, con l'attuale politica migratoria.

Accanto alle forme di lavoro subordinato non possiamo non ricordare il lavoro autonomo: anche in questo caso notiamo che la direzione scelta dal governo è quella di incentivare un'immigrazione che investa in Italia. Nelle quote previste nei decreti flussi vengono favorite le categorie dei ricercatori, imprenditori con attività di interesse per l'economia nazionali, liberi professionisti. Bisogna ricordare che un altro requisito previsto per il rinnovo del permesso di soggiorno, quale la disponibilità di un alloggio conforme ai parametri minimi indicati dalla normativa sull'edilizia residenziale pubblica, crea difficoltà dovute al fatto che le certificazioni di idoneità dell'alloggio obbediscono a criteri e modalità diverse non soltanto da Regione a Regione ma anche all'interno della stessa Provincia.

Desta interesse, inoltre, l'ultima regolarizzazione; per le modalità con la quale è stata prevista, per i problemi che, nel corso del periodo di esame delle istanze di regolarizzazione, ha sollevato. A tali problemi è stata trovata una soluzione sia attraverso l'intervento del legislatore ma anche attraverso l'interpretazione dei giudici al momento del contenzioso, che hanno avuto, in questo frangente, un ruolo molto rilevante e di garanzia per i diritti dei lavoratori extracomunitari.

Note

1. G. Bonaccio, Cittadini extracomunitari. Ingresso, soggiorno e regolarizzazioni, Maggioli, Repubblica di San Marino, 2003, pp. 17 e ss.

2. G.Bonaccio, op. cit., p. 19.

3. Caritas, Dossier Statistico sull'Immigrazione 2003, Nuova Antarem, Roma 2003, pp.129 e ss.

4. Caritas, Dossier Statistico sull'Immigrazione Caritas 2002, Nuova Antarem, Roma, 2003, pp. 126 e ss.

5. Paesi esenti dall'obbligo di visto per soggiorni la cui durata globale non sia superiore ai tre mesi: Andorra; Argentina; Australia; Bolivia; Brasile; Brunei; Bulgaria; Canada; Cile; Corea del Sud; Costa Rica; Croazia; El Salvador; Giappone; Guatemala; Honduras; Israele; Malesia; Malta; Messico; Monaco; Nicaragua; Nuova Zelanda; Panama; Paraguay; Polonia; Romania; San Marino; Santa Sede; Singapore; Stati Uniti; Uruguay; Venezuela.

6. Art. 380 Codice di Procedura Penale (Arresto obbligatorio in flagranza).

1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria procedono all'arresto di chiunque è colto in flagranza di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni.

2. Anche fuori dei casi previsti dal comma 1, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria procedono all'arresto di chiunque è colto in flagranza di uno dei seguenti delitti non colposi, consumati o tentati:
a) delitti contro la personalità dello Stato previsti nel titolo I del libro II del codice penale per i quali è stabilita la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni;
b) delitto di devastazione o saccheggio previsto dall'art. 419 del codice penale;
c) delitti contro l'incolumità pubblica prevista nel titolo VI del libro II del codice penale per i quali è stabilita la pena della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni o nel massimo a dieci anni;
d) delitto di riduzione in schiavitù previsto dall'art. 600, delitto di prostituzione minorile previsto dall'articolo 600bis, primo comma, delitto di pornografia minorile previsto dall'articolo 600ter, commi primo e secondo, e delitto di iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile previsto dall'art. 600quinquies del codice penale.
e) delitto di furto, quando ricorre la circostanza aggravante prevista dall'art. 4 della L. 8 agosto 1977 n. 533 o quella prevista dall'articolo 625, primo comma, numero 2), prima ipotesi, del codice penale, salvo che, in quest'ultimo caso, ricorra la circostanza attenuante di cui all'articolo 62, primo comma, numero 4), del codice penale;
e bis) delitti di furto previsti dall'articolo 624 bis del codice penale, salvo che ricorra la circostanza attenuante di cui all'articolo 62, primo comma, numero 4), del codice penale;
f) delitto di rapina previsto dall'art. 628 del codice penale e di estorsione previsto dall'art. 629 del codice penale;
g) delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di essa, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più comuni armi da sparo escluse quelle previste dall'art. 2, terzo comma della L. 18 aprile 1975 n.110;
h) delitti concernenti sostanza stupefacenti o psicotrope puniti a norma dell'art. 73 del testo unico del D. P. R. 9 ottobre 1990 n.309, salvo che ricorra la circostanza prevista dal comma 5 del medesimo articolo;
i) delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordina costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a dieci;
l) delitti di promozione, costituzione, direzione e organizzazione delle associazioni segrete previste dall'art. 1 della legge 25 gennaio 1982 n. 17, delle associazioni di carattere militare prevsite dall'art. 1 della legge 17 aprile 1956 n.561, delle associazioni, dei movimenti o dei gruppi previsti dagli artt. 1 e 2 della L. 20 giugno 1952 n. 645, delle organizzazioni, delle associazioni, movimenti o gruppi di cui all'art. 3, comma 3, della L. 13 ottobre 1975, n. 654;
l bis) delitti di partecipazione, promozione, direzione e organizzazione della associazione di tipo mafioso prevista dall'art. 416 bis del codice penale;
m) delitti di promozione, direzione, costituzione e organizzazione della associazione per delinquere prevista dagli art. 416 commi 1 e 3 del codice penale, se l'associazione è diretta alla commissione di più delitti fra quelli previsti dal comma 1 o dalle lett. a), b), d), f), g), i), del presente comma.

7. Il Trattato di Amsterdam politicamente concluso il 7 giugno e firmato il 2 ottobre 1997 dagli Stati membri è entrato in vigore con la ratifica dei 15 stati il 1 maggio 1999. Le aree di intervento sono diverse: rafforza la cooperazione di polizia e giudiziaria dei 15 paesi in particolare nei reati contro l'infanzia, corruzione e terrorismo. Il Trattato sviluppa la politica estera e di sicurezza comune attribuendo all'Unione mezzi più rilevanti per intervenire sul tema dei rifugiati e dell'immigrazione. Infine nel Trattato viene prevista la partecipazione attiva del Parlamento Europeo alla designazione del presidente della Commissione.

8. Corte Cost.7 febbraio 2000, n. 31.

9. A. Caputo, La condizione giuridica dei migranti dopo la legge Bossi-Fini, "Questione giustizia", n. 5 (2002), pp. 964-981.

10. A. Caputo, art. cit.

11. A. Caputo, art.cit.

12. L. Pepino, La legge Bossi-Fini. Appunti su immigrazione e democrazia, "Diritto, Immigrazione, Cittadinanza", n. 3 (2002), pp. 9-21.

13. L. Miazzi, La condizione giuridica dello straniero, Consiglio Superiore della Magistratura, Roma 3-5 febbraio 2003.

14. L. Miazzi, art. cit.

15. Magistratura democratica, Gruppo Abele, Coordinamento nazionale giuristi democratici, Per una legislazione sull'immigrazione giusta e efficace, "Questione giustizia", n. 5 (2002), pp. 1171-1172.

16. L.M. Bollone, G. Spangher, Santini, L. Pepino, U. De Augustinis, Il nuovo diritto dell'immigrazione, IPSOA, pp. 11 e ss.

17. Ibidem, pp..11 e ss.

18. Ibidem, pp. 6 e ss.

19. Ibidem, pp. 6 e ss.

20. Lorenzo Miazzi, La condizione giuridica dello straniero, Consiglio Superiore della Magistratura, Roma 2003.

21. Alcuni autori, come De Augustinis, ritengono però che l'istituzione di tale Comitato "lungi dal porsi nella direzione di una struttura amministrativa unica, continua a perseguire la linea della frammentazione e dispersione dell'apparato, sommandosi ai numerosi organismi già esistenti". U. De Augustinis, S.Ferrajolo, F. A. Genovese, E.Rosi, M.R.San Giorgio, La nuova legge sull'immigrazione, "Quaderni Diritto e Giustizia", Giuffré, Milano, 2003, pp. 9 e ss.

22. È stata introdotta una previsione apposita nel D.P.C.M.15 ottobre 2002, pubblicato nella G.U.del 15 novembre 2002, di determinazione dei flussi di ingresso di lavoratori extracomunitari per il 2002: "per l'anno 2002 sono ammessi in Italia, per motivi di lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale, e di lavoro autonomo, lavoratori di origine italiana per parte di almeno uno dei genitori fino al terzo grado in linea retta di ascendenza, residenti in Argentina, che chiedano di essere inseriti in un apposito elenco, costituito presso le rappresentanze diplomatiche e consolari in Argentina, contenente le qualifiche professionali dei lavoratori stessi, entro una quota massima di quattromila persone" L'art. 4 del decreto-flussi del 2004 prevede una quota massima di 400 ingressi, per lavoro subordinato non stagionale e autonomo, riservata ai lavoratori di origine italiana residenti in Argentina, Uruguay e Venezuela, estendendo così ad altri due paesi la riserva.

23. I paesi con i quali sono stati conclusi gli accordi sono, oltre a Romania, Bulgaria e Croazia, che sono candidati a entrare nell'unione Europea nel 2007: Albania, Marocco, Tunisia, Nigeria, Sri-Lanka, Egitto, Moldavia, Libia.

24. L'importo veniva quantificato in lire diecimilionicinquecentomila.

25. A. Caputo, art. cit.

26. Fra i progetti sperimentali c'è il Progetto Immigrazione Ministero del Lavoro/ANCE con il quale il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, in attuazione dell'art. 3 del D.P.C.M.9.4.2001, ha stipulato con l'ANCE un accordo di cooperazione con la previsione dell'ingresso di 300 lavoratori da inserire nel mercato edile. A seguito di tale accordo 300 lavoratori prevalentemente tunisini e polacchi hanno seguito il corso di formazione organizzato dall'ANCE nel loro Paese d'origine.

27. Intervista dell'avv. Mughini nel terzo capitolo.

28. B. Nascimbene (a cura di), Diritto degli stranieri, Cedam, Padova 2004.

29. U. De Augustinis, S.Ferrajolo, F. A. Genovese, E.Rosi, M.R. San Giorgio, op. cit.

30. G. Dondi, Immigrazione e lavoro, Cedam, Padova, 2001.

31. A. Caputo, art. cit., pp. 964-981.

32. Ibidem.

33. Nel caso di autorizzazione al lavoro per più cittadini stranieri iscritti verrà rispettato la priorità d'iscrizione nella lista a parità di requisiti professionali. L'ordine di iscrizione è quello di presentazione delle domande.

34. La verifica della inesistenza di motivi ostativi all'ingresso e al soggiorno del lavoratore straniero e di motivi ostativi al datore di lavoro.

35. Consiglio Superiore della Magistratura, Le attività economiche degli stranieri. Il lavoro subordinato. Il lavoro autonomo, Roma, 2003.

36. Vedi secondo capitolo.

37. Caritas, Dossier Statistico Caritas su Immigrazione 2003", Antarem, Roma, 2002, pp. 301 e ss.

38. Consiglio Superiore della Magistratura, Le attività economiche degli stranieri. Il lavoro subordinato. Il lavoro autonomo, Roma, 2003.

39. L.M. Bollone, G. Spangher, Santini, L.Pepino, U. De Augustinis, op. cit., pp. 103 e ss.

40. Vedi la Convenzione n. 102 del 1952 ratificata con l. n. 741/1956 per le parti relative all'indennità di malattia, al trattamento di maternità e agli assegni familiari: la n.118 del 1962, ratificata con l. n. 657/1966, che limita il principio ora detto solo agli stranieri degli stati contraenti.

41. G. Campo, I contributi previdenziali del lavoratore immigrato alla luce della nuova disciplina, "Diritto Immigrazione e Cittadinanza", n. 3 (2003) pp. 86.

42. G. Bonaccio, op. cit., pp. 43.

43. Gli importi erano di 290 euro per i domestici di sostegno al bisogno familiare o per l'assistenza ai non autosufficienti e di 700 euro per i lavoratori dipendenti.

44. G. Bonaccio, op. cit., pp. 50.

45. Ibidem.

46. Diritto, Immigrazione, Cittadinanza, n. 4 (2002), pp. 161.