ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo III
Il trattamento terapeutico del minore sessualmente abusato

Laila Fantoni, 2003

1. Il ruolo del clinico

Il clinico è una figura molto importante per le istituzioni giudiziarie, le quali si rivolgono ad esso, nei casi di sospetto abuso sessuale sui minori, per vari motivi:

  1. per ottenere le segnalazioni che permettono di attivare il procedimento più adeguato di protezione del minore;
  2. per lo svolgimento della fase della valutazione della situazione di presunta violenza.
    Quest'ultima può essere attuata secondo due modalità diverse: in alcuni casi l'accertamento giudiziario si serve di una valutazione clinica o di una consulenza tecnica sulla sfera cognitiva e comportamentale del minore, in altri il percorso consiste nello svolgimento di entrambe. In quest'ultimo caso al bambino verranno fatte le stesse domande e sarà costretto a ripercorrere il trauma subìto per due volte. Infatti, nella pratica, i due operatori che compiono queste valutazioni non si passano le informazioni raccolte e ciò porta ad una grande confusione sull'accaduto e ad una minore efficacia del procedimento: colui su cui grava tutto il sistema è sicuramente il minore, che risulterà sottoposto ad una nuovo trauma (1).
    Sarebbe, invece, una soluzione più adeguata per il minore quella di essere sottoposto soltanto ad una valutazione clinica, complessa e globale, che cerchi di capire se l'abuso si è verificato ed eventualmente quale tipo di conseguenze l'abuso ed il trauma hanno causato sulla sua personalità (2) (procedimento questo seguito nella realtà milanese). Bisogna ricordare che ogni caso è a sé e va valutato come tale: non ci sono "equazioni matematiche" che possono essere applicate ad ogni caso di abuso sessuale su un minore.
  3. La figura del clinico può essere utilizzata dalle istituzioni giudiziarie anche per ottenere un aiuto specifico nello svolgimento dei percorsi giudiziari (è il caso dell'audizione protetta del minore);
  4. e per far compiere il percorso terapeutico al bambino.
    Ad un minore, vittima di abuso sessuale, devono essere infatti garantite sia la "cura", sia la protezione (che richiede il suo ingresso nel procedimento penale). Questo vuol dire che i due ambiti diversi del clinico e del giudiziario devono cooperare per poter così compiere, sul bambino, l'attività clinica di aiuto e di rielaborazione del trauma (3).

Il clinico deve chiedere, in primo luogo, alle istituzioni giudiziarie di apportare un'adeguata tutela al minore: egli deve essere protetto dagli eventi traumatici che ha subìto e che potrebbe continuare a subire. Quindi, dopo la rivelazione degli eventi, la prima importante forma di intervento è quella che interrompere l'abuso, ponendo fine, spesso attraverso l'allontanamento fisico della vittima dall'abusante, alla situazione traumatica rivelata (4).

Il contesto di protezione può così essere considerato come un intervento preclinico (5) ed è un necessario ed ineludibile passo che permette di creare quelle condizioni per poter impostare correttamente la fase diagnostica, cioè la fase di valutazione e validazione delle rivelazioni della vittima, utili per predisporre successivamente un contesto di cura. Senza protezione, infatti, ogni lavoro clinico è precluso dal "blocco" che nasce nel minore, che sa di poter essere ancora avvicinato e minacciato da colui che ha perpetrato l'abuso e da coloro che con lui si schierano. La letteratura in ambito psicologico ed una consolidata prassi sostengono che solo in una situazione protetta è, quindi, possibile capire, valutare e poi curare il danno prodotto dalla situazione abusiva (6).

Il mantenimento di una situazione protettiva permette quindi di effettuare una valutazione sulle conseguenze psicopatologiche dell'abuso e di mettere a fuoco sia gli esiti immediati dello stesso nella vittima (quali i preminenti sentimenti di disvalore, i sensi di vergogna e di colpa), sia di attivare poi un intervento curativo che mitighi il costituirsi nel bambino di difese psicologiche rigide ed invalidanti il suo futuro sviluppo personale.

Questo intervento di "riparazione" (7) deve essere iniziato il più presto possibile, ma prima è necessario compiere un'esperienza correttiva sulla visione che ha il minore del mondo che lo circonda: cioè è necessario fargli capire che ciò che ha vissuto come esperienza traumatica non coincide con le "normali" esperienze che un soggetto della sua età di solito vive. Questa fase è necessaria perché, se non viene prospettato come reale ed esistente quello che il terapeuta vuole far capire al bambino, la terapia successiva non produce alcun effetto positivo (8).

2. La terapia familiare

Al termine della fase diagnostica di un caso di abuso sessuale si dovrebbe avere un'idea sufficientemente chiara della necessità del bambino abusato, della trattabilità della situazione familiare e di cosa è necessario predisporre a livello sociale per il proseguimento dell'intervento. È necessario che tutti i professionisti impegnati nel caso si confrontino sulle possibili soluzioni, accordandosi anche con gli organi giudiziari. A volte può essere necessario il coinvolgimento di colleghi di altri servizi del territorio per effettuare interventi sul contesto sociale e per eliminare alcuni fattori di rischio che possono essere stati concause della violenza stessa (ad esempio può essere necessario prendere contatto con i servizi sociali per ridurre l'emarginazione sociale, o per la terapia di disintossicazione di una patologia di loro competenza per i genitori tossicomani). La situazione, infatti, dovrebbe essere presa in carico da una equipe di terapeuti, che potrebbero confrontarsi sull'intervento, durante la sua progettazione ed il suo svolgimento, e condividerne la responsabilità (9).

Il trattamento dell'abuso all'infanzia si è modificato nel corso di questi ultimi anni. Ancora pochi anni fa era centrato o sulle vittime, con interventi di area sociale come l'allontanamento del minore, o sui colpevoli, con interventi di area giudiziaria. In ogni caso l'entità familiare risultava profondamente sconvolta e con la conseguenza di un grave danno per il bambino abusato. Col tempo le ricerche psicologiche hanno situato la violenza all'infanzia in un contesto allargato multiproblematico, dove si intrecciavano un complesso di relazioni psicologiche, sociali ed economiche: ciò ha focalizzato l'attenzione sull'intero gruppo familiare, nel tentativo di recuperare tutto il gruppo attraverso una trasformazione dei legami relazionali e comunicativi (10). Questa ideologia diversa, che privilegia il recupero e non la criminalizzazione, costituisce una sfida, rispetto alle inevitabili rotture provocate dall'abuso, nei confronti del solo intervento sociale o della sola attività giudiziaria che non portavano a nessuna trasformazione (11).

Sono stati predisposti diversi modelli di intervento terapeutico, tutti centrati sulla terapia familiare, a cui può essere data maggiore o minore importanza a seconda delle diverse situazioni.

Prima di poter predisporre un trattamento terapeutico è necessario fare una valutazione-terapia della situazione abusante. Principalmente dovrà essere considerata la riorganizzazione delle risorse familiari intorno alla rottura del segreto sull'abuso, che probabilmente farà emergere problemi pregressi di ogni singolo componente della famiglia, che verranno violentemente riattivati a contatto con una crisi tanto grave. È molto alto il grado di sofferenza connessa al raggiungimento di una nuova consapevolezza della situazione. È necessario del tempo perché questo stato d'angoscia sedimenti almeno al punto da diventare comunicabile ed elaborabile, tempo che andrà aspettato prima di giungere a conclusioni sulle risorse familiari (12).

Attraverso la fase di valutazione sarà anche necessario raggiungere, il più precocemente possibile, una previsione di quali siano gli individui su cui è realistico contare per assicurare protezione al minore, che deve trovare un ambito sufficientemente stabile ed affettivamente valido per continuare il proprio percorso evolutivo, in attesa che un successivo lavoro psicologico possa renderlo ancora più adeguato a tutte le sue necessità di riparazione (13).

Gli adulti considerati "protettivi" dovrebbero avere due attitudini complementari:

  • la capacità di provvedere ad una tempestiva e duratura tutela del minore, assicurando così l'interruzione definitiva dell'esperienza traumatica (e ciò implica la loro consapevolezza che l'abuso si è realmente verificato);
  • e la capacità di confrontarsi con il trauma avvenuto e con le conseguenze ad ogni livello.

Purtroppo non sempre esiste questa ricchezza di risorse: anzi sono frequenti i casi in cui si verifica uno "scollamento" tra i due fattori, con la conseguenza di un trascinamento in direzione negativa anche di quella attitudine che l'adulto possiede e che inizialmente sembrava sufficientemente valida (14). Ne discende che predisporre un intervento valutativo di una conveniente durata potrà garantire informazioni utili anche sulle risorse effettive a disposizione della vittima, con la quale non è neppure pensabile un progetto di cura se non dopo aver attivato un assetto di vita contenitivo, stabile ed affettivo.

La proposta terapeutica viene fatta ai genitori in un incontro, durante il quale vengono comunicati loro gli elementi di sofferenza, sia del bambino che della famiglia, emersi negli accertamenti effettuati. È importante raccogliere le loro reazioni a questa comunicazione perché possono offrire indicazioni utili sulla prognosi dell'intervento stesso (15).

L'aspetto problematico fondamentale di una terapia familiare riguarda ciò che è avvenuto "prima" del comportamento disfunsionale: si ritiene, infatti, che nessuna ricostruzione efficace delle relazioni potrà aver luogo senza che siano messi a fuoco gli errori che hanno accompagnato il sorgere e il protrarsi delle situazione traumatica (16). Tale trattamento tenta di realizzare il recupero dell'intero gruppo familiare attraverso il cambiamento dei meccanismi comunicativi e dei giochi interattivi, evitando le rotture che si hanno necessariamente se si procede unicamente in modo punitivo (17).

Il trattamento accettato

Può accadere che nei genitori si evidenzi una preoccupazione reale per il benessere psicofisico del figlio (una preoccupazione che prescinde dal timore che il minore possa essere allontanato dalla famiglia) e che emergano angosce e problematiche che provocano una richiesta spontanea di aiuto. Sembrerebbe il caso ideale naturalmente, ma sorprendentemente sono proprio i casi di violenza intrafamiliare quelli in cui si verifica più spesso una risposta di questo tipo. Nei casi di violenza extrafamiliare c'è maggior tendenza a negare e rimuovere l'episodio di violenza e le sue conseguenze psichiche, tendendo a far prevalere una logica di vendetta giudiziaria, senza tener conto delle conseguenze che l'iter giudiziario provoca nel bambino vittima dell'abuso.

In questi casi ad esito favorevole è possibile, senza aspettare che sia il giudice a disporre la terapia dopo l'accertamento del caso, proporre direttamente una proposta terapeutica articolata, stabilendo un preciso contatto con la famiglia del minore (18).

Il trattamento non accettato

La proposta terapeutica può essere, però, anche rifiutata dalla famiglia. Questo è un evento frequente nelle violenze sessuali extrafamiliari, in cui i genitori, accecati dal loro bisogno di vendicarsi dell'abusante in sede giudiziaria, minimizzano o trascurano del tutto le esigenze di riparazione del danno psicologico che ha subito la vittima.

Purtroppo non esistono strumenti per far accettare un intervento in questi casi, ma è possibile pensare ad una forma di tutela da parte di una rete di servizi per accorgersi in tempo dei segni di un eventuale scompenso psichico del minore. La segnalazione di rischio ai servizi sociali e al servizio materno-infantile può contribuire ad attuare un'azione di prevenzione e controllo, ma le difficoltà che si incontrano nella collaborazione e nell'integrazione di un intervento di rete, rendono estremamente difficoltoso, attualmente, questo percorso (19).

Quando il rifiuto della proposta terapeutica avviene nei casi di abuso intrafamiliare, se il rischio per la vittima di subìre altri episodi di abuso è troppo elevato o se le condizioni del contesto ambientale sono fortemente degradate, si deve ricorrere agli interventi sociali e a quelli giudiziari in un'ottica di controllo, ma non sempre di riparazione.

Gli interventi possibili possono essere vari: l'allontanamento dell'abusante dalla famiglia, l'allontanamento del minore abusato, l'affidamento intrafamiliare e l'affidamento preadottivo extrafamiliare. Tutti questi provvedimenti hanno ripercussioni drammatiche sul bambino che, oltre alla violenza sessuale, subisce una perdita affettiva.

3. La terapia dell'adulto protettivo

Parallelamente alle attività individuali con il minore vittima dell'abuso sessuale andrà avviato un programma teso a rinforzare la diade genitore protettivo-figlio. L'importanza di questa fase è tale da farla considerare come il "vero perno" intorno al quale ruota l'intervento terapeutico, soprattutto nel caso in cui l'abuso sia stato intrafamiliare.

Innanzitutto tale terapia potrebbe anche essere la sola possibilità residua di salvare i legami primari della vittima con la sua famiglia, qualora l'abusante non fosse disposto ad abbandonare i propri meccanismi di negazione. Ma anche se una ricostruzione fosse possibile con il genitore abusante, sarebbe imprudente esporre il minore ad un confronto diretto con esso prima di aver rinforzato la sua posizione all'interno del nucleo familiare, attraverso una ridefinizione ed un risanamento del suo rapporto con l'adulto protettivo (20).

Va inoltre ricordato che anche quest'ultimo è quasi sempre angosciato dai vissuti del tutto analoghi a quelli del figlio; tale genitore, infatti, si attribuisce in modo indifferenziato ogni responsabilità dell'abuso, sentendosi colpevole per non aver capito ai primi segnali e non aver sufficientemente protetto il figlio (21). È necessario che il terapeuta analizzi con l'adulto le precedenti strategie adottate per controllare la vita del minore, al fine di individuarne eventualmente di migliori sul piano educativo (22).

Talvolta la somma emotiva di questi sentimenti paralleli fa salire troppo il livello di angoscia, finendo per costituire un ostacolo al processo terapeutico. È quindi necessario impiegare molte energie per dare all'adulto protettivo la giusta percezione di responsabilità dell'abuso, in modo che sia tollerabile e suscettibile di evoluzione positiva. È infatti possibile sostituire alla percezione di colpa quella di vulnerabilità, a cui ha ceduto l'adulto protettivo di fronte all'imbroglio, posto dall'abusante come strategia per sostenere la relazione incestuosa (23).

Oltre ai sensi di colpa, il genitore non abusante prova di solito anche forte rabbia e risentimento verso il familiare abusatore; l'assenza di tali emozioni può essere considerata un segno negativo rispetto alla capacità di tale genitore di impegnarsi a proteggere il figlio o di empatizzare con lui. Ma il terapeuta deve impedire che tali sentimenti si trasformino in ira e desiderio di vendetta nei confronti dell'abusante, perché ciò potrebbe aumentare l'ansia del bambino (24). Infatti, il minore può provare affetti ambivalenti verso l'abusatore (soprattutto se è una figura genitoriale). Il genitore protettivo deve quindi imparare ad esprimere la propria rabbia soltanto in assenza del figlio ed inoltre va incoraggiato ad individuare nel proprio ambiente persone con cui poter parlare ed esprimere la propria ira, ad esempio collaborando alle investigazioni.

Una volta che l'espressione della rabbia è stata moderata, possono essere utili alcuni incontri col terapeuta insieme al figlio, il quale può così rendersi conto, senza esserne traumatizzato, che anche il genitore è arrabbiato col responsabile dell'abuso, in tal modo venendo confermato e validato nei suoi sentimenti e nelle sue emozioni (25).

Il genitore protettivo, specialmente nei casi di abuso sessuale extrafamiliare, dovrà essere preparato dal terapeuta su come parlare apertamente al figlio dell'abuso e della sessualità in generale: infatti, un comportamento di silenzio in merito all'evento potrebbe rinforzare nella mente del minore la partecipazione del genitore all'abuso, poiché si dimostrerebbe totalmente disattento a quanto a lui accaduto.

Inoltre, in caso di un atteggiamento di chiusura e di "vergogna familiare" per aver subìto un abuso sessuale extrafamiliare è necessario far comprendere ai genitori del minore-vittima quanto sia invece importante per il bambino l'apertura a ricevere il sostegno di parenti, amici ed insegnanti: infatti, se lo stigma viene vissuto anche dalla famiglia è più difficile che il figlio possa liberarsene (26).

Infine è possibile che il genitore non abusante provi rabbia verso il figlio, per diversi motivi (27):

  • perché non si è saputo difendere o non ha denunciato l'abuso prima. In questo caso è utile spiegare al genitore quali sono i forti motivi psicologici che impediscono ad una vittima di abuso intrafamiliare di denunciare il responsabile della violenza;
  • talvolta, più o meno consapevolmente, il genitore protettivo accusa il figlio di aver provocato con la denuncia il crollo dell'intera famiglia, ponendolo in una situazione particolarmente difficile, anche dal punto di vista finanziario. In questi casi, solo adeguati interventi attivati da una rete di sostegno, in cui vengano coinvolti anche i servizi sociali e sanitari, può agire in modo da sedare, almeno in parte, tali giustificate ansie, che a loro volta generano tale risentimento;
  • infine, il genitore non abusante può provare rabbia verso il figlio come conseguenza del fatto che la sua denuncia ha portato all'intrusione delle varie agenzie di protezione del minore (servizi sociali e tribunali) nella vita più intima della famiglia, sconvolgendone le regole e le sicurezze. Anche in tal caso, diviene fondamentale evidenziare il ruolo potenzialmente positivo di tali servizi, lasciando però, nel contempo, la possibilità di esprimere tali sentimenti rabbiosi, che vanno accolti in modo empatico.

Dunque il terapeuta dovrà aiutare i genitori particolarmente in difficoltà ad imparare a rapportarsi col figlio, in modo da riuscire a comunicargli fiducia, accettazione ed impegno a proteggerlo. È necessario che il terapeuta si ponga come "mediatore" nel rapporto tra l'adulto protettivo e la piccola vittima: può così essere utile anche studiare una serie di artifici (ad esempio scrivere lettere, tenere diari) che possano costituire piccoli passi di avvicinamento ad un confronto che, se troppo precocemente diretto, può indurre timore. Tutto questo deve servire per costruire una nuova e più profonda solidarietà tra l'adulto e il bambino (28).

4. L'intervento sui fratelli del minore sessualmente abusato

Nella consulenza alla famiglia spesso si trascurano i fratelli e le sorelle della vittima. Essi possono soffrire del cosiddetto "senso di colpa del sopravvissuto" (29) (chiedendosi "Perché non è capitato a me?" oppure "Quando potrà capitare a me?"). Così il terapeuta deve preparare i genitori a dare una spiegazione dell'evento agli altri figli, adeguata alla loro età.

È inoltre necessario considerare che i fratelli, al pari della vittima, dovranno ristabilire delle condizioni di fiducia all'interno della famiglia ma, nel contempo, saranno anche costretti a comprendere perché il familiare responsabile dell'abuso potrebbe non costituire più una parte importante nella loro esistenza. Non va trascurato, infatti, che anche questi minori possono avere interrogativi da porre a proposito dell'abuso sessuale, cui bisogna rispondere: d'altra parte, la natura traumatica degli eventi legati ad un abuso sessuale intrafamiliare può avere indotto, anche in loro, sintomi post-traumatici, che vanno trattati.

Infine, è possibile che altri fratelli siano stati vittime di abuso sessuale, per cui può essere indicata in casi simili una validation estesa a tutto il gruppo dei bambini della famiglia in terapia, se non altro per evidenziare se l'impatto dell'abuso del fratello o della sorella abbia prodotto su di loro effetti disturbanti. In tale caso, anch'essi potranno essere sottoposti ad un intervento terapeutico (30).

5. La terapia dell'abusante

Nei confronti dell'abusante a danno di minori l'intervento punitivo sembra essere quello più utilizzato. Ma si è diffusa una teoria che ritiene che, per poter aiutare le famiglie incestuose, è necessario un intervento terapeutico anche nei confronti dell'abusante. Sembra, infatti, che per tutelare l'infanzia dalla reiterazione del crimine non basti utilizzare la pena detentiva come deterrente, ma sia necessario trovare il modo per far riemergere ed elaborare, negli autori della violenza, i traumi infantili subìti (visto che la maggior parte degli abusanti sembra essere stato vittima nell'infanzia di violenze sessuali) o comunque per far recuperare loro una correttezza di comportamento (31).

L'obiezione maggiore a questa proposta è stata quella che non si può "curare" chi si rifiuta di collaborare. Alcune esperienze di psicoterapie di abusanti non volontarie hanno però dimostrato che è possibile ottenere dei risultati anche senza un'iniziale piena motivazione del paziente. Infatti la coazione può svolgere una funzione insostituibile nell'avviamento della terapia; lo sviluppo di quest'ultima, invece, è affidato alla capacità e alla possibilità dei terapeuti di stimolare, nei soggetti coinvolti, una motivazione autonoma al cambiamento, affrontando e superando le relative resistenze.

Anche in Italia dagli anni Novanta si è cominciato ad operare in questa direzione presso il Centro del bambino maltrattato di Milano, dove sono stati ottenuti ottimi risultati anche attraverso l'accettazione di un esplicito collegamento fra contesto giudiziario e terapeutico (32). Secondo questa corrente di pensiero, se venisse privilegiata, nei confronti degli abusanti, la strada della terapia piuttosto che quella della repressione i costi economici sarebbero certamente molto elevati, essendo necessari terapeuti altamente specializzati, ma sarebbero sempre inferiori ai costi che la società deve pagare per le spese detentive di questi soggetti ed inoltre sarebbero inferiori le loro probabili recidive (33).

Non tutti però sono convinti che sia possibile recuperare i legami familiari tra il minore e l'abusante quando l'abuso sessuale si è verificato, perché in questi casi il rapporto tra i due soggetti è stato completamente compromesso. Ad esempio l'Associazione Artemisia di Firenze, per scelta, ha deciso di non occuparsi dell'intervento terapeutico degli abusanti e svolge terapie di minori sessualmente abusati non finalizzate al recupero di tale rapporto familiare (34).

Fondamentale è la capacità dell'abusante di assumersi la responsabilità di quanto accaduto. Ma l'ammissione dei fatti non basta. Infatti non sono affatto infrequenti situazioni in cui, magari parzialmente e con una certa minimizzazione, si arriva a questo risultato. Tuttavia esso non è sufficiente per dare una decisiva svolta alle distorsioni da cui è stata segnata la relazione con la vittima e il complesso dei rapporti familiari.

In fasi successive dovranno essere affrontate, oltre alla negazione dei fatti (35):

  • la negazione di colpevolezza: cioè l'essere stati animati da precise scelte strategiche nel preparare e compiere l'abuso, ben sapendo che proprio di questo si trattava;
  • la negazione di responsabilità: cioè di intenzionalità libera per quanto possibile da condizionamenti esterni, ai quali non può essere attribuita che un'importanza marginale rispetto all'assunzione del comportamento abusante;
  • la negazione dell'impatto: cioè del fatto che quanto avvenuto ha comportato conseguenze altamente traumatiche per il minore che vi è stato coinvolto.

Dunque, non devono più rimanere all'abusante "scappatoie" come l'attribuzione di pensieri incestuosi all'alcool, o alle più varie cause di infelicità e rabbia, o alle presunte inadempienze della consorte; né deve continuare l'illusione che il figlio, essendo piccolo, non abbia capito il significato di quegli "speciali giochi" e che quindi possa facilmente dimenticarli senza conseguenze. Egli deve prendere coscienza che i danni inflitti al minore sono attribuibili soltanto ai propri tratti patologici che invece, spesso, tende a considerare intrinseci al modo di essere della vittima in quanto conseguenza dei comportamenti di questa: in tal modo cerca di trovare un'attenuante al proprio comportamento (36).

Dopo un'approfondita elaborazione di questi temi, nel caso di abuso intrafamilaire, si potranno valutare - ed eventualmente rinforzare - le possibilità residue del genitore di riassumere il suo ruolo affettivo. Per raggiungere questo risultato conteranno non soltanto le buone intenzioni, ma anche le prove date nel passato rispetto a tali funzioni: infatti, soggetti che avevano espresso in precedenza anche buone attitudini di accudimento e di reale vicinanza affettiva con al vittima e gli altri figli potrebbero riprendere un ruolo parentale significativo.

Riguardo all'intervento terapeutico dell'abusante è importante il parere espresso da un endocrinologo, il professore Aldo Isidori (37), direttore della cattedra di andrologia all'Università "La Sapienza" di Roma, sulle terapie ormonali (in realtà "anti-ormonali" come egli afferma) e sui loro margini di applicazione in caso di comportamenti sessuali violenti sui minori:

Il problema della pedofilia è innanzi tutto più un problema di natura psicologico-sociale che strettamente medico. Basti pensare che nell'antichità i rapporti tra adulti e minori erano ammessi, codificati all'interno di una cornice culturale definita, sicuramente differente rispetto a quella attuale.

È in quest'ambito che sorge la definizione di "pedofilia": deviazione rispetto all'istinto sessuale riproduttivo su cui si innesta poi la sessualità adulta nelle sue componenti psicologiche, simboliche e culturali. Il professore Isidori afferma:

È questo il motivo per cui l'unica forma di terapia in senso strettamente medico (ossia di ripristino di condizioni di salute "normale", in questo caso la corretta esplicazione dell'istintualità sessuale) è quella psicologica. Le cosiddette "terapie ormonali", o meglio anti-ormoni in quanto inibiscono ormoni specifici, non sono in tal senso terapie ma soltanto rimedi temporanei e reversibili: una volta tolta la copertura farmacologica il problema si ripresenta praticamente inalterato, poiché si agisce a livello sintomatologico e non sulle cause. Comunque, la possibilità di ricorrere alla terapia chimica (o per meglio dire al trattamento farmacologico) può risultare utile, sempreché sia associata ad una terapia psicologica, nei casi di comportamento violento lesivo della dignità psichica e fisica del bambino.

Bisogna ricordare che, riguardo alla possibilità di utilizzare il trattamento farmacologico nei confronti degli abusatori, si pone un problema etico: la dichiarazione di Helsinki del 1964 afferma chiaramente che non si può somministrare niente a nessuna persona se non si ha il suo consenso. La Convenzione di Oviedo (nelle Asturie) del 1997, inoltre, sostiene che è necessario il consenso informato da parte dei soggetti coinvolti in interventi medici, che possono ritirarlo in qualsiasi momento. L'art. 5, infatti, vincola qualsiasi intervento ad una preliminare libera dichiarazione di consenso da parte delle persone coinvolte, le quali devono essere informate sullo scopo, la natura, le conseguenze ed i rischi dell'intervento stesso.

Se in altri paesi (come ad esempio Germania e Stati Uniti) è prevista per legge la possibilità della castrazione chimica (38) - o comunque della somministrazione di una terapia in modo coercitivo - nei confronti dei criminali sessuali (come gli stupratori abituali) a prescindere dal loro consenso, in Italia tale tipo di castrazione è incostituzionale: l'art. 27 della Costituzione italiana, infatti, affermando al terzo comma che le «pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità», vieta qualunque trattamento che violi l'integrità fisica (inclusi perciò trattamenti cruenti, come la lobotomia e la sterilizzazione, e non cruenti, come l'uso di psicofarmaci e l'ipnotismo) (39), in quanto considerati inammissibili perché ledono la dignità umana e non tendono, invece, come dovrebbe essere allo scopo rieducativo della pena (40).

Il modello coercitivo, nell'ordinamento italiano, non è di per sé previsto se non in specifiche ipotesi tipiche:

  • quando il soggetto ha crisi acute della patologia di cui è affetto ed è provata la sua incapacità di intendere e di volere (anche parziale) può essere sottoposto ad un trattamento sanitario obbligatorio: ma questa non pare essere un'ipotesi concreta in cui si può trovare un abusante (41);
  • al fine di individuare, con le forme della perizia, patologie sessualmente trasmissibili (ad esempio l'HIV) l'abusante è sottoposto ad accertamenti coattivi, qualora le modalità del fatto commesso possano prospettare un rischio di trasmissione di tali patologie nei confronti del minore vittima dell'abuso sessuale (art. 16 L. 66/1996);
  • il giudice può condizionare l'emanazione della sospensione condizionale della pena alla partecipazione, da parte dell'abusante, a trattamenti psicoterapeutici, ai quali però egli dovrà comunque partecipare volontariamente: dunque, se vuole ottenere la sospensione condizionale dovrà accettare il trattamento (42).

6. La terapia individuale della vittima di abuso sessuale

In un modello integrato, accanto alla terapia familiare, comune con altri modelli di intervento, sono state inserite proposte terapeutiche che riguardano direttamente le vittime dell'abuso, proposte in un certo senso privilegiate rispetto alla terapia relazionale del gruppo familiare. Ci sono due ordini di fattori che hanno sollecitato questa scelta: l'alta incidenza di psicopatologia grave nei bambini abusati e la valutazione retrospettiva, evidenziata ormai da molte ricerche, di adulti affetti da patologia psichiatrica che hanno rivelato esperienze infantili di violenza sessuale (43).

Nel lavoro clinico uno stimolo ulteriore a percorrere una strada diversa è stato dato dall'osservazione costante che i bambini abusati non vogliono parlare della loro esperienza. I tentativi volti a far descrivere il loro vissuto si infrangono quasi sempre contro un silenzio ostile.

Alla base di questo comportamento non c'è solo la vergogna, la diffidenza verso un estraneo e la paura di vendette familiari, ma qualcosa di più profondo e radicale. Sembra, infatti, che i minori vittime di violenza sessuale tentino disperatamente di rimuovere ciò che hanno vissuto e le angosce connesse, in modo tanto più rigido quanto più grave è stato il trauma negli affetti. Mettono in azione, cioè, dei meccanismi di difesa contro l'angoscia del ricordare che sono, per la loro rigidità, responsabili della strutturazione patologica tardiva della loro personalità. Non è in realtà l'episodio di violenza subita in se stesso che provoca direttamente danni allo sviluppo psichico, ma l'attivazione di questi meccanismi di difesa e la necessità di mantenerli costantemente efficienti. La negazione, la rimozione, l'identificazione con l'aggressore e la scissione della componente affettiva non devono permettere il riaffiorare di un segreto angoscioso.

I bambini hanno bisogno dell'immagine interna di un genitore sufficientemente "buono". La componente violenta e abusante del genitore viene negata, i sentimenti di rabbia per il tradimento subìto vengono repressi e rivolti verso se stessi o spostati su altre persone. Dunque, nella loro mente preferiscono convincersi che ciò che è accaduto loro è giusto e, senza alcun dubbio, è accaduto per colpa loro. Questa colpa primaria devastante comporta nei loro ragionamenti un'equazione semplice e lineare che si può ridurre a: "i bambini buoni vengono amati; io non sono stato amato, io non sono buono" (44).

Attraverso questi meccanismi il bambino temporaneamente ottiene una serie di vantaggi secondari:

  • controlla l'angoscia vissuta nell'esperienza traumatica;
  • controlla il senso di colpa primario;
  • evita la depressione derivante dalla perdita di amore.

Ma questo pensiero, che può arrivare a far dubitare il bambino del diritto di esistere, si autonomizza dal resto della personalità e, in mancanza di un intervento, lo espone ad una progressiva sensazione di vulnerabiltà, a fallimenti scolastici prima e professionali poi, a gesti autolesivi inconsapevoli e anche consapevoli che possono arrivare al suicidio. Come forme reattive al grave vissuto depressivo, quando prevale il meccanismo di identificazione con l'aggressore, nel minore possono emergere comportamenti maniacali sempre più aggressivi, atti compulsivi di criminalità minorile ed infine, da adulti, essi tenderanno a ripetere il modello violento subìto da bambini, diventando genitori abusanti (45).

La terapia familiare si occupa solo marginalmente del mondo interno del minore sessualmente abusato, lasciando del tutto inalterato un complesso di sentimenti che hanno un alto potenziale patogeno. Il miglioramento della comunicazione nell'ambiente abusante e del suo sistema di relazioni non sono sufficienti per capovolgere le dinamiche di progressivo danneggiamento della personalità interna della vittima, perché non potrà mai manifestare i suoi sentimenti repressi. Uno degli scopi principali di una terapia di un minore sessualmente abusato è quello di sviluppare in quest'ultimo la consapevolezza di essere vittima e non invece responsabile dell'accaduto. La confusione di ruolo che si produce fra l'adulto e il bambino in questi casi è così grande da creare nel minore una grossa difficoltà a superare il senso di colpa che lo lega al sospetto di essere stato egli stesso, con il proprio comportamento, a provocare o a non rifiutare il rapporto sessuale (46).

È necessario, quindi, prendersi cura di questo grave disagio e cercare di aiutare il minore a ricostruire il suo mondo interno, attraverso l'esperienza di relazione con un adulto che può accogliere, contenere, comprendere la sua sofferenza e che permetta l'espressione della rabbia e della disperazione. È necessario favorire "movimenti di lutto" rispetto a ciò che è perduto per sempre (la propria infanzia, la possibilità di poggiare fiduciosamente su una concezione ottimistica del mondo e della vita), anche se il minore troverà la forza d'animo per andare avanti. Ovviamente tale compito sarà particolarmente doloroso quando il bambino dovrà rassegnarsi ad ammettere che tutte le persone di primaria importanza affettiva per lui, da cui per definizione di ruolo si aspettava cura e protezione, l'hanno abbandonato. D'altro canto questa completa presa di coscienza è l'unica premessa che rende possibile il radicamento in altri tessuti familiari, quando per il minore abusato rimane soltanto la via dell'adozione (47).

Il bambino deve imparare, aiutato dal terapeuta, a sviluppare la capacità di non cedere alla lusinga di concepire false idealizzazioni nei confronti di alcuno, sia che faccia parte del suo passato che del suo presente o futuro. Spesso, infatti, i minori vittime di tali situazioni cercano di compensare il loro sentimento di svuotamento personale, causato dal riconoscimento del fallimento relazionale, idealizzando tutti i soggetti con cui hanno successivi rapporti. In questo modo si espongono a successive delusioni, che vanno assolutamente evitate in quanto rischiano di far franare definitivamente un terreno emotivo già molto compromesso. Occorrerà invece aiutare il minore a rendersi conto, in modo realistico, delle risorse accessibili e fruibili, imparando ad apprezzarle e valorizzarle anche se non rispondono all'immagine che essi hanno del rapporto di cura, interiorizzata durante le fasi più primitive del processo di attaccamento alle figure parentali (48).

Le psicoterapie che utilizzano tecniche di gioco sono più adatte di quelle che utilizzano tecniche verbali, perché l'ostilità e la diffidenza iniziali possono rendere impraticabile lo scambio verbale (49). Attraverso il gioco, invece, il bambino non racconta, ma rappresenta la sua angoscia e, aiutato emotivamente dal terapeuta, impara ad accettarla, a confrontarsi ed a gestirla. Man mano che si rafforza l'alleanza terapeutica, il minore recupera lentamente il suo mondo emotivo, la fiducia nell'altro, la possibilità di abbandonare i rigidi meccanismi di difesa, facendo emergere i suoi sentimenti più profondi. Solo in questo momento, dopo molti mesi o a volte anni di terapia, accetterà di parlare di ciò che è accaduto.

È importante evidenziare la necessità che il terapeuta del bambino sia diverso dal quello familiare per mantenere uno spazio protetto del quale il minore ha estremamente bisogno per potersi fidare ed in cui possa esporre le sue problematiche psichiche senza rischi di mantenimento del segreto (50).

Una tipologia ben precisa di intervento riparativo nei confronti del minore sessualmente abusato non può essere ipotizzata a priori, dato il carattere estremamente vario delle motivazioni e degli effetti del comportamento violento: ogni situazione, dunque, va vista nella sua concretezza. Tutto ciò è però possibile soltanto con la predisposizione di una collaborazione multidisciplinare effettiva tra tutti gli operatori sociali, con un concreto potenziamento delle strutture esistenti (per esempio i consultori familiari) e con la costituzione di centri e di equipe specializzate in grado di fornire, fin dal primo momento, una risposta adeguata ai problemi e ai bisogni del bambino (51). Il trattamento terapeutico del minore sessualmente abusato è, infatti, un itinerario complesso che pone anche seri problemi di continuità della terapia che non sempre è garantita dai genitori. In queste situazioni possono essere importanti il sostegno del Tribunale per i minorenni e la funzione di sorveglianza dei servizi sociali affinché il trattamento venga continuato per tutto il tempo necessario (52).

7. Principi generali sulla relazione terapeutica col minore vittima di abuso sessuale

7.1 Il terapeuta come "base sicura"

È necessario che il terapeuta si mostri al minore affidabile, disponibile e capace di comprenderlo, in modo da accrescere così la fiducia che la vittima ha posto su di lui: deve diventare la sua "base sicura" (53), dalla quale possa iniziare ad affrontare i problemi legati all'abuso subìto.

Il processo di costruzione di tale legame è lento e graduale e prosegue per tutta la durata della terapia; va perseguito come scopo principale nelle fasi iniziali di essa e non esiste una singola o specifica tecnica per ottenere tale risultato, che dipende invece da tutto il complesso delle azioni terapeutiche condotte nel tempo.

Il terapeuta deve essere prevedibile, costante ed affidabile in tutto ciò che fa e che dice; deve anche astenersi dal concedere privilegi speciali, regali o favori ai minori in terapia, perché spesso gli autori della violenza sessuale hanno agito inizialmente proprio attraverso tali tecniche indirette (54).

È fondamentale, inoltre, che il terapeuta non si identifichi troppo con la vittima, perché ciò potrebbe portarlo ad evitare eccessivamente l'argomento dell'abuso o ad attribuire alla vittima sentimenti ed emozioni che non sono sue.

7.2 L'inizio della terapia

Il primo passo del processo terapeutico consiste nel chiarire gli scopi dell'intervento stesso, per stabilire e definire le aspettative reciproche, in modo anche da correggere eventuali fantasie inadeguate da parte del minore in proposito.

Il terapeuta deve, dunque, affermare chiaramente di essere al corrente del fatto che il bambino è stato abusato e che proprio questo evento traumatico costituisce la ragione principale della sua partecipazione alla terapia. In tal modo, oltre a definire il rapporto, è possibile cominciare a desensibilizzare il minore circa il tema dell'abuso, comunicandogli nel contempo la fiducia nel fatto che egli gradualmente diventerà capace di gestire adeguatamente l'argomento (55).

La spiegazione degli scopi dell'intervento può essere introdotta con una frase (56) del tipo: "Io aiuto i bambini a capire quello che provano e pensano quando sono stati trattati come ha fatto con te il papà (o qualunque altra persona a seconda del caso). I bambini in questi casi possono essere davvero sconvolti o confusi per quanto è accaduto; così io cerco di aiutarli a trovare un modo per diventare più tranquilli e stare meglio".

È importante chiarire al minore che parlare di questi argomenti non è facile per nessuno, neppure per gli adulti; conseguentemente, il terapeuta cercherà di procedere gradualmente e di lasciare al bambino il controllo circa cosa e quando condividere col terapeuta, per cui gli argomenti più "dolorosi" saranno affrontati soltanto quando egli sarà pronto.

Infine il terapeuta deve spiegare al minore che egli può usare le parole che preferisce per riferirsi all'abuso ed inoltre gli dà la possibilità di dire in ogni momento che non se la sente di parlare di un dato argomento: il bambino avrà a disposizione tutto il tempo di cui ha bisogno per riuscire ad affrontare il problema.

7.3 Conduzione della seduta e gestione dei comportamenti problematici

Per poter affrontare la tematica dell'abuso sessuale con il minore il terapeuta deve creare un'atmosfera di sicurezza e prevedibilità. Questo obiettivo può essere perseguito in vari modi (57), che possono essere tutti compresenti: le sedute dovrebbero avvenire allo stesso giorno e alla stessa ora della settimana, sempre nello stesso locale, in presenza dei medesimi giochi; le produzioni (grafiche o altro) del bambino dovrebbero essere poste tutte in una cartellina contrassegnata col suo nome alla fine della seduta (ciò può essere fatto dal minore stesso) e riposta in un luogo ben preciso, dove potrà ritrovarla alla seduta successiva; l'inizio e la fine di ogni incontro potranno essere costituiti da rituali precisi e ripetuti (ad esempio fare un disegno sia all'inizio che alla fine di ogni seduta); gli appuntamenti delle sedute dovranno essere rispettati il più possibile; nel caso di eventuali spostamenti della data dell'incontro, questi dovranno essere spiegati chiaramente al minore, esponendone le ragioni (eventualmente dandogli un oggetto da conservare per ricordo durante il periodo, che verrà poi riconsegnato al terapeuta nella seduta successiva).

Un altro aspetto a cui il terapeuta deve prestare particolare attenzione è il contatto fisico con i minori abusati, in quanto ogni gesto di maggiore vicinanza fisica può essere da loro interpretato come una proposta sessuale o comunque come un atto troppo invasivo. Talvolta anche una semplice carezza può essere fraintesa. Occorre, quindi, soprattutto nelle fasi iniziali della terapia, evitare contatti fisici, che non siano quelli socialmente condivisi ed "ufficiali", come una stretta di mano, lasciando gradualmente al minore l'iniziativa di iniziare avvicinamenti fisici maggiori. Per quanto riguarda la porta chiusa dello studio, se tale cosa disturba fortemente il minore, la si può lasciare socchiusa, cercando però di far capire al bambino che si chiude la porta per motivi (come il non esser disturbati o rispettare le esigenze di riservatezza) che sono tutti in suo favore e non per altri scopi nascosti o negativi (58).

Infine, è importante che il terapeuta si dimostri sempre empatico rispetto alle emozioni che il minore può via via provare: quando quest'ultimo esprime chiaramente la sua ansia e rabbia, il terapeuta deve essere pronto a contenere questi suoi sentimenti e a rassicurarlo, affermando che in circostanze del genere tutto ciò è normale.

7.4 Strategie terapeutiche rivolte ai minori con attaccamento insicuro

Gran parte dei minori abusati, in particolare quelli con vittimizzazione intrafamiliare, esprimono dei comportamenti di "attaccamento insicuro" (59), i cui tipi più frequenti sono: quello ansioso-evitante e quello ansioso-resistente.

I bambini con attaccamento ansioso-evitante temono soprattutto il rifiuto delle figure parentali che in precedenza si sono dimostrate distaccate e scostanti nei loro confronti; quindi, bloccano ogni propria emozione a scopo protettivo e manifestano comportamenti diffidenti ed evitanti anche nei confronti del terapeuta, in quanto si aspettano che anche quest'ultimo, al pari degli altri adulti per loro significativi, si comporterà con loro in modo rifiutante o addirittura abusivo. Per questo motivo si mantengono lontani dal terapeuta durante gli incontri, sia psicologicamente che fisicamente, giocando da soli e cercando di non avere un ruolo attivo nelle sedute ma di attento osservatore.

Inizialmente la tendenza all'evitamento va rispettata: il tentare troppo precocemente di superarlo potrebbe generare nel bambino emozioni sopraffacenti. Per cui, negli incontri iniziali, il terapeuta potrà lasciare ampio controllo al minore nello scegliere i materiali, i giochi e le attività. Inoltre è fondamentale che ogni promessa fatta dal terapeuta venga mantenuta; solo in tal modo il bambino potrà iniziare ad avere fiducia in lui. Non bisogna, però, permettere che questo ruolo assunto dal minore continui troppo a lungo: a poco a poco deve essere il terapeuta ad assumere il controllo della situazione, proponendosi prima come aiutante del minore ed interveniente nel gioco, poi come agente di protezione e di cura (60).

L'attaccamento ansioso resistente, invece, è caratterizzato dal fatto che la scarsa disponibilità genitoriale induce il minore ad incrementare la propria attivazione emozionale per attrarre l'attenzione altrui, oppure egli diviene estremamente dipendente per ottenere una risposta materna.

In ambito terapeutico il bambino diviene inizialmente molto dipendente dal terapeuta, chiedendo di tornare subito per un'altra seduta, volendo il suo indirizzo e numero telefonico, e in ogni caso, avendo grandi difficoltà a staccarsi da lui. Può anche assumere comportamenti altamente regressivi, come chiedere al terapeuta di essere alimentato col biberon. Ad un certo punto, però, il minore si rende conto che le sue esigenze di dipendenza non possono essere soddisfatte del tutto dal terapeuta e, quindi, gli rivolge la stessa rabbia e il medesimo risentimento che aveva riversato in precedenza alla figura parentale non adeguatamente disponibile: gli altri diventano nuovamente non affidabili ed il minore appare a se stesso non amabile e privo di valore (61).

Per affrontare questa situazione il terapeuta può ricorrere ad alcune strategie. Ad esempio fra un incontro e l'altro può dare al bambino un "pegno" o "ricordino" da portare a casa, in modo da avere sempre dinanzi a sé la prova che il terapeuta si ricordi di lui; inoltre può dimostrare la sua attenzione al bambino non spostando né rimandando gli appuntamenti e attenendosi alle scadenze prefissate.

Il terapeuta, inoltre, non deve impedire che il bambino faccia giochi regressivi rispetto alla sua età, al fine di permettergli almeno una compensazione simbolica alle privazioni affettive subìte. Un eccesso di regressione, però, è negativo; occorre, dunque, che prima della fine della seduta, il minore ritorni al livello di capacità adeguato alla sua età, al fine di poter rientrare nella vita normale con modalità comportamentali diverse da quelle che sono permesse solo in ambito terapeutico. Così negli ultimi dieci minuti della seduta è bene impegnare il bambino in conversazioni o in attività adeguate alla sua età cronologica, come per esempio rimettere in ordine tutti i materiali di gioco o parlare delle sue attività scolastiche o sportive (62).

7.5 Strategie terapeutiche rivolte a facilitare l'espressione di emozioni e pensieri del minore in terapia

Il minore che ha subìto una abuso sessuale intrafamiliare tende, di solito, a ristrutturare cognitivamente la situazione in modo che il genitore venga salvato e considerato "buono", attribuendo magari la cattiveria a se stesso. Analogamente, il terapeuta appare agli occhi del minore prima "buono" e la vittima tende a compiacerlo, poi, quando comincia a non essere più totalmente disponibile, diviene "cattivo" e quindi oggetto di aggressione.

Questo comportamento del minore deve essere capito e giustificato dal terapeuta, il quale deve cercare di incoraggiare il bambino a far emergere ed esprimere le emozioni di rabbia e risentimento (63). Quest'ultimo può essere terrorizzato per il fatto che prova tali sentimenti negativi verso il responsabile dell'abuso e verso il genitore non abusante. Il terapeuta deve essere capace di etichettare tali sentimenti di rabbia che prova il minore e deve cercare di indirizzarli verso il responsabile dell'abuso, evitando così che il minore arrivi ad autocolpevolizzarsi. Ciò, infatti, può comportare il rischio di depressione e/o suicidio.

L'importanza di dare espressione ai sentimenti, soprattutto a quelli di risentimento della vittima, non deve far dimenticare però che la rabbia può essere usata dal minore come protezione contro altre emozioni che lo fanno soffrire: la tristezza ed il lutto per la perdita di un'immagine idealizzata di madre o di padre, ed il senso di colpa per essere stato la causa di tale perdita.

Dunque, la consulenza psicoterapeutica (64) al minore vittima dell'abuso, dovrebbe tendere nella fase iniziale ad incoraggiarlo a parlare:

  • del proprio senso di colpa e di vergogna;
  • dei sentimenti negativi e positivi che prova nei confronti sia dell'autore dell'abuso, sia del genitore protettivo;
  • dei propri sentimenti riguardo alle reazioni dei fratelli o sorelle, degli altri familiari e dei conoscenti di fronte alla sua rivelazione.

Il fatto di imparare a conoscere le proprie emozioni e a dare loro un'etichetta adeguata costituisce un altro aspetto importante dell'intervento: infatti, i bambini al di sotto degli otto anni possiedono un numero molto limitato di espressioni per descrivere le emozioni che provano e, comunque, anche quelli un po' più grandi non conoscono un vocabolario emozionale paragonabile a quello degli adulti.

È inoltre fondamentale che il minore trovi qualcuno che creda nella sua storia e ne evidenzi continuamente la sua totale innocenza rispetto ad essa, comunque possano essere state le circostanze. È infatti necessario che la vittima prenda coscienza della realtà di essere stata vittimizzata e sfruttata, affrontando col tempo difficili argomenti quali:

  • l'affermazione dell'abusante che gli atti sessuali compiuti sarebbero normali ed "innocenti";
  • il fatto che il genitore non abusante non creda al minore;
  • i tentativi di negare o razionalizzare il fatto commesso da parte dell'abusante;
  • il fatto che la realtà dell'abuso venga ulteriormente minata dall'insistenza sul "mantenimento del segreto".

Come affrontare le tematiche dell'abuso

Prima di avvicinarsi all'argomento centrale del fatto commesso, è utile che il terapeuta esponga chiaramente quali sono i benefici che il minore può trarre dal parlare dell'abuso. Scopo della terapia, infatti, non è dimenticare il trauma, ma imparare a dominare i sentimenti associati ad esso e pensare in modo diverso a quanto è accaduto. Sebbene ciò, all'inizio, sia difficile e provochi emozioni dolorose, queste col tempo di solito si attenuano. In ogni caso, il terapeuta deve assicurare al minore di essere consapevole delle emozioni negative che lui potrà provare, per cui procederà in modo da non sottoporlo a stimolazioni non sopportabili, fornendogli così la possibilità di controllare il ritmo con cui saranno affrontati gli argomenti più penosi.

Malgrado tutte le precauzioni e strategie possibili, è però sempre possibile che il minore divenga riluttante a partecipare alle sedute terapeutiche, affermando che gli incontri sono noiosi o rifiutando di prendervi parte, o anche dichiarando che tutte le difficoltà che provava precedentemente sono scomparse e che tutto va bene (65).

Per prevenire tali esiti, è utile strutturare le sedute terapeutiche fin dall'inizio in un modo accettabile e sopportabile per il bambino. Il terapeuta può, quindi, accordarsi con lui nel dedicare in ogni seduta inizialmente al massimo 10-15 minuti per affrontare le tematiche relative all'abuso, lasciando il resto del tempo al gioco. Tale ampio periodo ludico può, così, aiutare il minore ad alleviare l'ansia e nel contempo è in grado talora di offrire spunti utili circa i pensieri e le emozioni collegati alla vittimizzazione sessuale. Poi, gradualmente, i periodi di gioco possono essere ridotti, lasciando più spazio alla discussione sull'abuso.

Mentre il minore riferisce le sue esperienze, il terapeuta dovrebbe stare tranquillamente ad ascoltare, senza intervenire, almeno all'inizio, ma semplicemente incoraggiando il bambino a proseguire.

In un secondo momento, il terapeuta può aiutarlo a ricordare maggiori particolari attraverso domande più specifiche e chiuse, riguardanti i luoghi, il momento della giornata, il comportamento preciso dell'abusante, le sue sensazioni corporee ed emozionali (66). Riguardo a queste ultime il terapeuta deve ricordare di affermare che la maggior parte dei bambini abusati prova contenuti emotivi analoghi al minore in terapia, in modo tale da tranquillizzarlo.

Tra le varie strategie utili per facilitare l'emersione delle sensazioni che prova il minore, tre sembrano essere le più vantaggiose (67):

  1. la tecnica "Indovina ciò di cui si preoccupano gli altri bambini sessualmente abusati" consiste nel far ascoltare al minore un piccolo intervento educativo, in cui il terapeuta espone le preoccupazioni più consuete manifestate dai bambini abusati;
  2. la procedura detta del "Sacco della spazzatura" consiste nello spiegare, inizialmente, al minore che il mantenere segreti i pensieri e le emozioni relative all'abuso sessuale è come portarsi dietro un sacco della spazzatura: il bambino deve invece liberarsi di ogni pezzo di "spazzatura" piano piano. Per riuscire a fare questo gli viene chiesto di identificare ogni episodio o aspetto per lui doloroso relativo all'abuso, definendolo con poche parole al terapeuta, che lo scriverà su un pezzo di carta. In questa fase al bambino non viene richiesto di elaborare tali materiali, ma solo di individuarli. Così tutti gli episodi dell'abuso (o comunque i momenti più traumatici) potranno essere suddivisi nelle sue parti costituenti e ciascuno di essi, scritto in un foglietto, verrà messo insieme agli altri in un sacco di carta (che costituisce l'equivalente simbolico di tutti i ricordi associati alla vittimizzazione sessuale).
    Ad ogni seduta settimanale al bambino verrà chiesto di pescare a caso dal sacchetto un foglietto e di discutere poi col terapeuta su quanto vi è scritto. Se il biglietto contiene qualcosa che, in quel momento, è troppo doloroso per il minore, egli potrà prenderne un altro, rimettendo il primo nel sacchetto. La discussione circa l'aspetto scritto sul foglio può iniziare anche tramite un semplice disegno.
    Tale tecnica costituisce una forma, sebbene mascherata, di esposizione graduata, in quanto il minore affronta in modo progressivo aspetti limitati dell'abuso, estinguendo a poco a poco le reazioni d'ansia ad essi connesse. Inoltre, permette di facilitare l'approccio ai temi più difficili da trattare e riesce a tradurre aspetti psicologici astratti, come le emozioni, in una forma più concreta e comprensibile per il bambino.
  3. La tecnica definita "Sentimenti: dentro e fuori" consiste nel fatto che il terapeuta consegna al minore un foglio di carta piegato in due, come una specie di biglietto di auguri, chiedendogli di disegnare sulla parte esterna del foglio un proprio ritratto, ritraendosi come gli altri lo vedono, e nella parte interna di raffigurarsi come egli si sente realmente "dentro di sè". Anche tale metodo è utile per identificare affetti e contenuti interni al minore.

Tutte e tre queste procedure sono utilizzabili, però, con minori di età non troppo infantile, che abbiano la capacità di articolare le loro sensazioni ed il disagio che provano nel racconto. Con i bambini più piccoli è possibile procedere mostrando disegni di visi che contengano i tratti caratteristici delle emozioni di base (allegria, paura, tristezza, rabbia), per poi passare a fotografie ritagliate da riviste illustrate e a sensazioni più complesse ed articolate. Una volta che il minore si sente a suo agio con tale procedura, è possibile passare a chiedergli quali situazioni provochino in lui tali sentimenti, in modo da poter così avvicinarsi maggiormente ai suoi stati interni connessi all'abuso (68).

La gestione dell'ansia in seduta terapeutica

Il terapeuta dovrebbe sempre monitorare attentamente i segnali verbali del minore a proposito di quanto sta accadendo durante la seduta. Se è evidente che questi, anche se non lo dice apertamente, si trova in difficoltà, deve essere il terapeuta a rendere verbalmente esplicita questa sensazione, chiedendogli se vuole fare un'interruzione. Egli deve rassicurare il minore, dicendogli che comprende quanto sta provando e che non c'è alcuna ragione per cui debba temere il suo giudizio negativo per questo.

Una tecnica che può essere utile in questa situazione sembra essere quella del cosiddetto "Muro delle preoccupazioni" (69), che consiste nel chiedere al bambino di identificare la cosa che lo preoccupa di più (la sua "massima preoccupazione") riguardante il fatto di parlare del proprio abuso; tale preoccupazione verrà scritta su un cartoncino che il minore dovrà attaccare al muro, in alto se la cosa lo preoccupa molto, più in basso se l'ansia è minore. Ad ogni seduta sarà così possibile valutare il livello della preoccupazione del minore, guardando lo spostamento del cartoncino, ed in tal modo il minore sarà in grado di monitorare i progressi terapeutici.

Infine, alcuni bambini possono considerare le intense emozioni che provano parlando del proprio abuso come una nuova vittimizzazione vera e propria. In questi casi il terapeuta deve aiutare il bambino a considerare le differenze fra le due situazioni: in terapia l'abusante non è presente, nessuno sta toccando il minore o sta abusando di lui, ed egli sta reagendo alle sue emozioni e non a dei fatti veri e propri; inoltre, nella maggior parte dei casi, quando il bambino è in terapia è passato del tempo da quando fu commesso il fatto e quindi egli è ormai cresciuto rispetto all'epoca dell'abuso: sarà così maggiormente in grado di richiedere e ricevere aiuto e protezione. Con questi chiarimenti si facilita nel minore il passaggio dal considerarsi solamente una vittima impotente al vedersi più capace di controllo e di autogestione (70).

7.6 Strategie terapeutiche rivolte alla riparazione di specifici elementi cognitivi

Al termine del percorso terapeutico, il minore vittima di abuso sessuale intrafamiliare deve riconoscere ed esprimere i suoi sentimenti di perdita, giungendo quindi ad elaborarne il "lutto". Questo deve servire per la ricostruzione di un suo mondo interiore che gli permetta di vivere. Ciò che deve essere compreso dal minore è che niente della sua situazione futura sarà più come prima e questo (71), se anche potrà sembrare paradossale, non è un aspetto così semplice per lui da accettare: sia il genitore che ha abusato di lui, sia quello che non lo ha protetto - nonostante i fatti commessi - rimangono pur sempre i suoi genitori.

Il minore sessualmente abusato in famiglia subisce numerose perdite: quella di un'immagine positiva di un genitore (o di entrambi), quella della persona fisica di uno o entrambi i genitori nel caso di un allontanamento, quella della propria precedente immagine di sé e quella, infine, di un mondo che non è stato ciò che sperava. Riuscire per lui ad elaborare tutto questo non è facile.

Una tecnica utile in questa fase può essere quella della "Linea del tempo e delle perdite" (72), che consiste nel fatto che il minore su di una freccia del tempo (una linea graduata che rappresenta graficamente il trascorrere degli anni della sua esistenza) situa i vari episodi di perdita (di vario tipo) che ha patito nella sua esistenza, precisando per ognuno l'età in cui ciò si è verificato. Egli, attraverso tale procedura, viene gradualmente portato ad esaminare i propri sentimenti di perdita e a riconoscere l'ambivalenza verso le figure genitoriali. Il terapeuta, nello stesso tempo, potrà però anche mettere in evidenza talune caratteristiche positive dei genitori, soprattutto nel caso in cui il minore possa continuare ad avere contatti, o addirittura a vivere, con almeno uno di loro.

L'elaborazione del lutto sarà avvenuta quando il minore avrà accettato la compresenza nei genitori di elementi positivi e negativi e avrà deciso di contare soprattutto sui primi per eventualmente reimpostare un rapporto nuovo con quel genitore che si dimostra disponibile a farlo. Il compito della terapia, dunque, diventa quello di costruire quello "spazio psicologico" attraverso il quale il minore, di fronte al crollo di tutto il suo passato, conservi comunque il desiderio di un futuro sostitutivo (73).

Un altro aspetto piuttosto frequente nei minori abusati è la tendenza a ritenere che l'abuso sia qualcosa di inevitabile e pervasivo, in quanto non ci si può fidare di nessuno. Tale convinzione va contrastata, cercando di attrarre l'attenzione del minore su tutte le persone con le quali, in passato e nel presente, ha instaurato rapporti amichevoli e dalle quali ha ricevuto prove di affetto e di interesse positivo. Un elenco di dimostrazioni d'affetto ed amicizia può essere messo per iscritto e continuamente aggiornato ad ogni seduta, via via che succedono nella vita del minore nuovi episodi positivi. Si tratta, comunque, di un lento processo di "sconferma" di vecchi schemi cognitivi interpersonali e di sostituzione con altri, più adeguati e meno rigidi (74).

8. Il trattamento terapeutico dei casi a rischio

I casi non di abuso conclamato ma di rischio di abuso non sono solo difficilmente individuabili, ma costituiscono soprattutto un problema giuridico e terapeutico, poiché è difficile proporre un aiuto psicologico là dove non c'è una domanda né una problematica evidente. L'unica modalità che è stata trovata è quella della proposta di controlli medici e psicologici presso l'ospedale e di una segnalazione ai servizi di zona perché seguano socialmente e a scuola i bambini per verificare se i genitori sono già conosciuti. Ma, nella realtà dei fatti, raramente questa segnalazione ha avuto effetto, perché i servizi territoriali non hanno tempo e personale disponibile, o perché alcuni colleghi si pongono il problema di non poter intervenire su un caso di rischio che non è ancora un abuso conclamato (75). Tutto ciò dimostra come sia difficile fare prevenzione su questo problema, perché a volte una semplice posizione di osservazione e di maggior attenzione viene immediatamente percepita dagli operatori come un intervento di intrusione.

I casi sui quali, invece, è stato possibile compiere questo controllo hanno dimostrato come le famiglie osservate hanno ottenuto un aiuto e si sono sentite accolte e supportate dalla struttura sanitaria e psicologica a cui si sono potute rivolgere per problemi medici e psicologici dei propri membri. La sensazione di accoglimento fa sì che l'impulso distruttivo o autodistruttivo possa essere controllato, evitando non solo alla famiglia ma a tutto il suo nucleo l'esperienza devastante della violenza, che danneggia non solo il minore ma anche l'adulto abusante.

Note

1. G. Scardaccione, La tematica dell'abuso sessuale e i principi dell'intervento, Corso di formazione per ausiliari nella testimonianza dei minori, Roma, 2002.

2. M. Malacrea, Incrocio tra esigenze cliniche e giudiziarie, Relazione presentata al corso di formazione per operatori organizzato dal "Tavolo permanente contro gli abusi a danno di minori", Firenze, 29 marzo 2001.

3. M. Malacrea, op. cit.

4. L. Pisani, Confronto tra esigenze giudiziarie e protezione del minore: interazione tra magistrato ed esperto all'interno dell'audizione, Corso di formazione per ausiliari nella testimonianza dei minori, Roma, 2002.

5. B. Bessi, Il maltrattamento e l'abuso sessuale in danno dei minori e gli effetti a lungo termine, Corso di formazione per volontarie, Associazione Artemisia, Firenze, 2001.

6. G. Scardaccione, Effetti della ricerca psicosociale e criminologica sulla legislazione italiana in tema di pedofilia, in Rassegna di psicoterapie, ipnosi, medicina psicosomatica e patologia forense, vol. 5, n. 2, Roma, 2000, pp. 51-66.

7. M. Malacrea, Trauma e riparazione: la cura nell'abuso sessuale all'infanzia, Raffaello Cortina, Azzate (Varese), 1998.

8. M. Malacrea, Incrocio tra esigenze cliniche e giudiziarie, Relazione presentata al corso di formazione per operatori organizzato dal "Tavolo permanente contro gli abusi a danno di minori", Firenze, 29 marzo 2001.

9. M. Malacrea, Trauma e riparazione: la cura nell'abuso sessuale all'infanzia, Raffaello Cortina, Azzate (Varese), 1998, pag. 158.

10. S. Marinucci, I percorsi di uscita dal trauma psichico dei bambini abusati, in Centro Nazionale di Documentazione e Analisi sull'Infanzia e l'Adolescenza, Pianeta Infanzia 1: questioni e documenti. (Dossier monografico: violenze sessuali sulle bambine e sui bambini), Istituto degli Innocenti, Firenze, 1998, pp. 60-74.

11. F. Montecchi, Gli abusi all'infanzia: dalla ricerca all'intervento clinico, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1994, pag. 259.

12. M. Malacrea, L'intervento psicologico nell'abuso sessuale all'infanzia, in Bianchi D., Luberti R., ...e poi disse che avevo sognato, Cultura della Pace, San Domenica di Fiesole (Firenze), 1997, pp.105-136.

13. B. Bessi, Il maltrattamento e l'abuso sessuale in danno dei minori e gli effetti a lungo termine, Corso di formazione per volontarie, Associazione Artemisia, Firenze, 2001.

14. M. Malacrea, L'intervento psicologico nell'abuso sessuale all'infanzia, in D. Bianchi, R. Luberti, ...e poi disse che avevo sognato, Cultura della Pace, San Domenica di Fiesole (Firenze), 1997, pp.105-136.

15. S. Marinucci, I percorsi di uscita dal trauma psichico dei bambini abusati, in Centro Nazionale di Documentazione e Analisi sull'Infanzia e l'Adolescenza, Pianeta Infanzia 1: questioni e documenti. (Dossier monografico: violenze sessuali sulle bambine e sui bambini), Istituto degli Innocenti, Firenze, 1998, pp. 60-74.

16. M. Malacrea, Trauma e riparazione: la cura nell'abuso sessuale all'infanzia, Raffaello Cortina, Azzate (Varese), 1998, pag. 159.

17. F. Montecchi, Gli abusi all'infanzia: dalla ricerca all'intervento clinico, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1994, pag. 271.

18. R. Luberti, Il maltrattamento e l'abuso sessuale in danno dei minori e gli effetti a lungo termine, Corso di formazione per volontarie, Associazione Artemisia, Firenze, 2001.

19. G. Scardaccione, La tematica dell'abuso sessuale e i principi dell'intervento, Corso di formazione per ausiliari nella testimonianza dei minori, Roma, 2002.

20. M. Malacrea, Incrocio tra esigenze cliniche e giudiziarie, Relazione presentata al corso di formazione per operatori organizzato dal "Tavolo permanente contro gli abusi a danno di minori", Firenze, 29 marzo 2001.

21. Artemisia, La violenza sessuale sui minori all'interno della famiglia, Quaderno di Artemisia N. 1, Comune di Firenze, 1993, pp. 14-16.

22. F. Montecchi, Gli abusi all'infanzia: dalla ricerca all'intervento clinico, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1994, pag. 157.

23. Intervista alla Dott.ssa Bigozzi, neuro-psichiatra infantile presso il consultorio dello Spedale degli Innocenti, 1998.

24. D. Dettore, C. Fuligni, L'abuso sessuale sui minori: valutazione e terapia delle vittime e dei responsabili, McGraw-Hill Libri Italia, Milano, 1999, pag. 212.

25. B. Bessi, Il maltrattamento e l'abuso sessuale in danno dei minori e gli effetti a lungo termine, Corso di formazione per volontarie, Associazione Artemisia, Firenze, 2001.

26. F. Montecchi, Gli abusi all'infanzia: dalla ricerca all'intervento clinico, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1994, pag. 158.

27. D. Dettore, C. Fuligni, L'abuso sessuale sui minori: valutazione e terapia delle vittime e dei responsabili, McGraw-Hill Libri Italia, Milano, 1999, pag. 213.

28. M. Malacrea, Trauma e riparazione: la cura nell'abuso sessuale all'infanzia, Raffaello Cortina, Azzate (Varese), 1998, pag. 121.

29. G. Scardaccione, La tematica dell'abuso sessuale e i principi dell'intervento, Corso di formazione per ausiliari nella testimonianza dei minori, Roma, 2002.

30. D. Dettore, C. Fuligni, L'abuso sessuale sui minori: valutazione e terapia delle vittime e dei responsabili, McGraw-Hill Libri Italia, Milano, 1999, pag. 216.

31. C. Roccia, C. Foti, L'abuso sessuale sui minori, Unicopli, Milano, 1994, pag. 199.

32. M. Malacrea, A. Vassalli, Segreti di famiglia, Raffaello Cortina, Milano, 1990.

33. C. Roccia, C. Foti, L'abuso sessuale sui minori, Unicopli, Milano, 1994, pag. 200.

34. R. Luberti, Il maltrattamento e l'abuso sessuale in danno dei minori e gli effetti a lungo termine, Corso di formazione per volontarie, Associazione Artemisia, Firenze, 2001.

35. M. Malacrea, Incrocio tra esigenze cliniche e giudiziarie, Relazione presentata al corso di formazione per operatori organizzato dal "Tavolo permanente contro gli abusi a danno di minori", Firenze, 29 marzo 2001.

36. M. Malacrea, Trauma e riparazione: la cura nell'abuso sessuale all'infanzia, Raffaello Cortina, Azzate (Varese), 1998, pag. 116.

37. F. Panaro, Il trattamento farmacologico dei pedofili, in Journal on line Psichiatria, 6-9, Firenze, 2001, pag. 2.

38. D. Dettore, C. Fuligni, L'abuso sessuale sui minori: valutazione e terapia delle vittime e dei responsabili, McGraw-Hill Libri Italia, Milano, 1999, pp. 335-336.

39. M. Acconci, A. Berti, Grandi reati, piccole vittime, Erga, Genova, 1999, pag. 235.

40. G. Fiancada et al., Rapporti civili. Commentario della Costituzione. Artt. 27-28, Zanichelli, Bologna, 1991, pag. 328.

41. D. Dettore, C. Fuligni, op. cit., pp. 394-395.

42. Intervista all'avvocato Gianni Lopez, Firenze, 3/04/2003.

43. S. Marinucci, I percorsi di uscita dal trauma psichico dei bambini abusati, in Centro Nazionale di Documentazione e Analisi sull'Infanzia e l'Adolescenza, Pianeta Infanzia 1: questioni e documenti. (Dossier monografico: violenze sessuali sulle bambine e sui bambini), Istituto degli Innocenti, Firenze, 1998, pp. 60-74.

44. B. Bessi, Il maltrattamento e l'abuso sessuale in danno dei minori e gli effetti a lungo termine, Corso di formazione per volontarie, Associazione Artemisia, Firenze, 2001.

45. S. Cirillo, P. Di Blasio, La famiglia maltrattante, Raffaello Cortina, Milano, 1989, pp. 60.

46. C. Roccia, C. Foti, L'abuso sessuale sui minori, Unicopli, Milano, 1994, pag. 188.

47. M. Malacrea, L'intervento psicologico nell'abuso sessuale all'infanzia, in D. Bianchi, R. Luberti, ...e poi disse che avevo sognato, Cultura della Pace, San Domenica di Fiesole (Firenze), 1997, pp.105-136.

48. M. Malacrea, Incrocio tra esigenze cliniche e giudiziarie, Relazione presentata al corso di formazione per operatori organizzato dal "Tavolo permanente contro gli abusi a danno di minori", Firenze, 29 marzo 2001.

49. Intervista alla Dott.ssa Bigozzi, neuro-psichiatra infantile presso il consultorio dello Spedale degli Innocenti, 1998.

50. S. Marinucci, I percorsi di uscita dal trauma psichico dei bambini abusati, in Centro Nazionale di Documentazione e Analisi sull'Infanzia e l'Adolescenza, Pianeta Infanzia 1: questioni e documenti. (Dossier monografico: violenze sessuali sulle bambine e sui bambini), Istituto degli Innocenti, Firenze, 1998, pp. 60-74.

51. G. Gulotta, M. Vagaggini, Dalla parte della vittima, Giuffrè, Milano, 1981, pag. 160.

52. G. Scardaccione, La tematica dell'abuso sessuale e i principi dell'intervento, Corso di formazione per ausiliari nella testimonianza dei minori, Roma, 2002.

53. D. Dettore, C. Fuligni, L'abuso sessuale sui minori: valutazione e terapia delle vittime e dei responsabili, McGraw-Hill Libri Italia, Milano, 1999, pag. 222.

54. G. Mostardi, La tematica dell'abuso sessuale e i principi dell'intervento, Corso di formazione per ausiliari nella testimonianza dei minori, Roma, 2002.

55. D. Dettore, C. Fuligni, L'abuso sessuale sui minori: valutazione e terapia delle vittime e dei responsabili, McGraw-Hill Libri Italia, Milano, 1999, pag. 223.

56. G. Scardaccione, La tematica dell'abuso sessuale e i principi dell'intervento, Corso di formazione per ausiliari nella testimonianza dei minori, Roma, 2002.

57. D. Dettore, C. Fuligni, L'abuso sessuale sui minori: valutazione e terapia delle vittime e dei responsabili, McGraw-Hill Libri Italia, Milano, 1999, pp. 223-224.

58. B. Bessi, Il maltrattamento e l'abuso sessuale in danno dei minori e gli effetti a lungo termine, Corso di formazione per volontarie, Associazione Artemisia, Firenze, 2001.

59. D. Dettore, C. Fuligni, L'abuso sessuale sui minori: valutazione e terapia delle vittime e dei responsabili, McGraw-Hill Libri Italia, Milano, 1999, pag. 226.

60. G. Scardaccione, La tematica dell'abuso sessuale e i principi dell'intervento, Corso di formazione per ausiliari nella testimonianza dei minori, Roma, 2002.

61. Intervista alla Dott.ssa Bigozzi, neuro-psichiatra infantile presso il consultorio dello Spedale degli Innocenti, 1998.

62. D. Dettore, C. Fuligni, L'abuso sessuale sui minori: valutazione e terapia delle vittime e dei responsabili, McGraw-Hill Libri Italia, Milano, 1999, pag. 229.

63. B. Bessi, Il maltrattamento e l'abuso sessuale in danno dei minori e gli effetti a lungo termine, Corso di formazione per volontarie, Associazione Artemisia, Firenze, 2001.

64. D. Dettore, C. Fuligni, L'abuso sessuale sui minori: valutazione e terapia delle vittime e dei responsabili, McGraw-Hill Libri Italia, Milano, 1999, pag. 232.

65. Intervista alla Dott.ssa Bigozzi, neuro-psichiatra infantile presso il consultorio dello Spedale degli Innocenti, 1998.

66. D. Dettore, C. Fuligni, L'abuso sessuale sui minori: valutazione e terapia delle vittime e dei responsabili, McGraw-Hill Libri Italia, Milano, 1999, pag. 233.

67. D. Dettore, C. Fuligni, op. cit., pp. 234-235.

68. Intervista alla Dott.ssa Bigozzi, neuro-psichiatra infantile presso il consultorio dello Spedale degli Innocenti, 1998.

69. D. Dettore, C. Fuligni, L'abuso sessuale sui minori: valutazione e terapia delle vittime e dei responsabili, McGraw-Hill Libri Italia, Milano, 1999, pag. 237.

70. D. Dettore, C. Fuligni, op. cit., pag. 238.

71. M. Malacrea, Trauma e riparazione: la cura nell'abuso sessuale all'infanzia, Raffaello Cortina, Azzate (Varese), 1998, pag. 143.

72. D. Dettore, C. Fuligni, L'abuso sessuale sui minori: valutazione e terapia delle vittime e dei responsabili, McGraw-Hill Libri Italia, Milano, 1999, pag. 251.

73. M. Malacrea, Trauma e riparazione: la cura nell'abuso sessuale all'infanzia, Raffaello Cortina, Azzate (Varese), 1998, pag. 149.

74. D. Dettore, C. Fuligni, L'abuso sessuale sui minori: valutazione e terapia delle vittime e dei responsabili, McGraw-Hill Libri Italia, Milano, 1999, pag. 256.

75. F. Montecchi, Gli abusi all'infanzia: dalla ricerca all'intervento clinico, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1994, pag. 281.