ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

3. La mediazione penale minorile in Spagna: il caso catalano

Paola Sánchez-Moreno, 2002

3.1 La crisi del diritto penale: verso un diritto penale riparatore

Quando si parla della crisi del diritto penale si fa riferimento alla sua incapacità di raggiungere gli obiettivi prefissati di prevenzione generale e prevenzione speciale. Negli anni si è dimostrato che il principale strumento del diritto penale, la pena, ed in particolare quella privativa della libertà, non è servita al fine di conseguire il reinserimento del soggetto deviante in società. È svanita ormai la convinzione secondo cui il carcere è capace di reinserire e di rieducare l'individuo. Anzi, si è a questo punto dimostrato che l'ingresso in prigione e la sua permanenza hanno un forte effetto stigmatizzante e consolidatore della delinquenza. Dalle ricerche svolte negli ultimi dieci anni si è evidenziato che esiste una stretta correlazione tra l'età dell'ingresso in prigione e la recidiva (1). Si è dimostrato infatti che più giovani si entra in carcere e più alto diventa il numero di recidive posteriori. Giménez Salinas y Colomer elenca gli effetti negativi della sanzione privativa di libertà in quattro punti: l'effetto stigmatizzante, la perdita della “paura del carcere” e dunque il consolidamento del processo di inserimento nel mondo delinquenziale, il processo di socializzazione invertito e l'irresponsabilità per le azioni commesse (2). Ciò nonostante secondo le statistiche del Consiglio d'Europa la misura di privazione di libertà è stata quella più adoperata durante gli anni '90 nei paesi membri (3).

Il sistema penale non riesce neppure a soddisfare la vittima del reato che è stata spesso denominata “l'invitato di pietra” del processo penale. Nel diritto penale moderno la vittima è neutralizzata dal protagonismo dello Stato e dell'autore del reato (4). In effetti la criminologia tradizionale e anche quella più recente si è concentrata quasi esclusivamente sul reato e sul suo autore. La preoccupazione nei confronti dell'autore del reato si è manifestata attraverso la nascita di movimenti di difesa dei diritti umani dei detenuti che tra l'altro avanzavano la richiesta di migliorare il trattamento penitenziario. La vittima è stata completamente trascurata fino quando negli anni settanta non sono nati negli Stati uniti dei servizi e dei programmi d'assistenza alla stessa.

L'incapacità del diritto penale moderno di raggiungere gli obiettivi di prevenzione generale e speciale e di soddisfare la vittima del reato hanno portato alla nascita di alcuni movimenti di critica verso un diritto penale insoddisfacente. La posizione più estrema è stata quella sostenuta dai difensori dell'abolizionismo, che si sono dichiarati a favore della scomparsa delle istituzioni del sistema penale e dell'assegnazione alla società civile del compito di regolare i conflitti individuali. In questo senso le teorie abolizioniste, col loro intento di restituire alla società civile la possibilità di risolvere i propri conflitti, possono essere considerate le precorritrici dell'introduzione dei programmi di conciliazione vittima - delinquente (5). Secondo la maggioranza della dottrina, la mediazione comporta la nascita di una nuova ideologia ispirata alle parole di Nils Christie che, nel 1972, dichiarava che i giudici e gli avvocati erano diventati “i ladri dei conflitti” appartenenti alla società civile. Secondo Christie i proprietari dei conflitti devono essere coloro in grado di risolverli è cioè le parti direttamente coinvolte (6).

La burocratizzazione dei sistemi penali moderni viene vista negativamente dagli abolizionisti che la interpretano come “espropriazione” del potere punitivo, vendicativo o di mediazione del conflitto, originariamente “in possesso” della società civile (7). Massimo Pavarini spiega in questo modo la posizione sostenuta dagli abolizionisti:

quanto storicamente “usurpato” dal sistema della giustizia penale deve essere nuovamente ceduto: vale a dire che deve essere la società civile a riappropriarsi delle sue originarie funzioni di disciplina.

La forma principe di questa riappropriazione non può che realizzarsi attraverso l'uso dello strumento privato-risarcitorio, da intendersi non solo nella forma pecuniaria. Momenti simbolici come il perdono della vittima, il riconoscimento della colpa e il pentimento dell'attore deviante, ovvero intese soddisfacenti tra i diversi soggetti coinvolti dall'azione deviante (come il lavoro gratuito in favore della vittima o della comunità o del quartiere, ovvero in favore di scopi socialmente apprezzabili ed altruistici) possono offrirsi come mediazioni private del conflitto (8).

In definitiva, conclude Pavarini, lo scopo sarebbe quello di evitare che degli estranei al conflitto possano decidere e risolvere per gli altri. In questo senso gli abolizionisti parlano di ri-appropriazione da parte della società civile delle funzioni disciplinari e “punitive” espropriate dalla giustizia penale.

Bisogna comunque sottolineare che anche se le teorie abolizioniste hanno offerto le basi teoriche necessarie per la nascita dei programmi di conciliazione e riparazione del danno, questi programmi si inseriscono in un contesto ideologico completamente diverso poiché partono dal presupposto dell'essenzialità e della centralità delle istituzioni di diritto penale. Le proposte di riduzione del penale e del carcerario, che auspicano i programmi di mediazione, si inseriscono in un movimento di riforma del sistema penale e in nessun modo pretendono la sua abolizione.

La giustizia riparatrice, anche denominata dalla dottrina tedesca “la terza via”, si fonda sul bisogno di elaborare politiche indirizzate alla riduzione dell'uso della pena privativa di libertà e più umane nei confronti dell'autore del reato. La giustizia riparatrice è comunque inserita nella sfera del diritto penale, l'unico capace di determinare che cos'è reato, chi è l'autore e chi è la vittima. Questo nuovo concetto di giustizia riesce a costruire la pace giuridica riportando il mondo, attraverso la conciliazione e la riparazione del danno, alla situazione anteriore alla commissione del reato. Attraverso la riparazione si riesce quindi a raggiungere un triplice obiettivo: la resocializzazione dell'autore del reato, il ristabilimento della pace attraverso la soddisfazione della vittima e il rispetto delle norme.

Sono stati diversi movimenti, convinzioni e idee quelle che hanno favorito e promosso la nascita della mediazione. Tra questi il movimento a favore della promozione di diritti delle vittime, quello abolizionista, quello delle professioni sociali, ecc. In definitiva mi sembra che quello che tutti andavano cercando era una giustizia più partecipativa, più umana, più efficace e meno costosa che portasse a una riduzione della criminalità e al consolidamento della pace sociale.

A modo di sintesi si presenta qui di seguito un quadro sulle origini e gli obiettivi della mediazione penale preparato nel 1997 da Heike Jung e Tony Marshall in qualità di membri del Comitato d'esperti su mediazione in ambito penale del Consiglio d'Europa (9). Questo Comitato fu istituito nel 1995 su proposta del Comitato europeo sui problemi del crimine allo scopo di esaminare i diversi modelli e programmi europei di mediazione e di stabilire il loro ruolo nel contesto del sistema tradizionale di giustizia (10).

La tabella a due colonne che si presenta a continuazione elenca alla sua sinistra le rivendicazioni che hanno portato alla nascita dei programmi di mediazione e alla sua destra gli obiettivi assegnati a tali pretese. Le prime comprendono le richieste avanzate dal movimento delle vittime, dagli abolizionisti, dalla comunità, dagli operatori sociale e legali, ecc. Tra gli obiettivi risalta la ricerca di una giustizia partecipativa, efficace e meno costosa, il riconoscimento dell'esigenze della vittima e la riduzione del crimine.

Origini Obiettivi
1. Accesso alla giustizia Permettere alle persone di partecipare più direttamente al controllo delle infrazioni; Avvicinare le istituzioni giudiziarie alla popolazione.
2. Movimento delle vittime Soddisfare le necessità delle vittime dal punto di vista materiale e psicologico.
3. Abolizionismo Liberare dal dominio dello Stato e della burocrazia ed in particolare sopprimere le prigioni.
4. Decentralizzazione e controllo da parte della comunità locale Creare spazi e istituzioni comunitarie destinati a trattare gli scontri e i reati gravi emersi all'interno della comunità locale.
5. Giustizia partecipativa Fare partecipare alla popolazione nella regolamentazione delle infrazioni penali al fine di fare buon uso delle risorse della comunità
6. Professioni sociali Ridurre il numero dei reati;
  1. accrescendo la responsabilità sociale dei delinquenti;
  2. facendo partecipare alla sua famiglia e ad altri membri del suo ambiente;
  3. riducendo lo stigma della repressione;
7. Membri delle professioni giuridiche e altri gruppi di pressione liberali Trovare mezzi più efficaci al fine di ridurre la criminalità e che allo stesso tempo siano dei mezzi più umani
8. Numero di casi trattati e crisi delle risorse della giustizia penale Trovare metodi meno costosi che abbiamo come obiettivo la calma per affrontare la criminalità
9. Privatizzazione Ridurre la responsabilità dello Stato privilegiando le forze del mercato
10. Movimento di regolamentazione degli scontri Applicare le tecniche costruttive della regolamentazione degli scontri e dei problemi per ottenere soluzioni più durature
11. Giustizia riabilitativa Sintesi della maggioranza dei punti sopraelencati e in modo particolare dei punti 2, 7, e 10

Attualmente il movimento a favore della mediazione riceve supporto da diverse fonti ideologiche e linee di pensiero. È stato stimolato sia dall'interno che dall'esterno del sistema di giustizia penale. La forza di questo movimento sembra derivare per l'appunto dal fatto che il suo supporto è trasversale ad ogni ideologia e filosofia. L'idea della mediazione unisce coloro che vogliono ricostruire antichi modi di risoluzione di conflitto, coloro che vogliono rafforzare la posizione della vittima, coloro che sono alla ricerca di forme alternative alla punizione e infine coloro che vogliono ridurre le spese e la mole di lavoro del sistema di giustizia penale e renderlo un sistema più efficiente e efficace (11).

3.2 Le fonti di diritto internazionale

Ci siamo già occupati nel capitolo precedente della normativa internazionale relativamente ai principi generali che regolano il processo penale minorile moderno, ci interessa ora soffermarci sui precetti che si occupano specificamente della giustizia riparatrice.

In ambito europeo, il Consiglio d'Europa nella risoluzione del Comitato dei Ministri (87) 20 sulle reazioni sociale nei confronti della devianza giovanile si sofferma a diverse riprese sui concetti di degiudizializzazione, diversione e mediazione. Tale risoluzione concentra la sua attenzione su cinque punti chiavi: prevenzione, diversione/mediazione, processi a carico di minori, interventi e ricerche. Il punto secondo sulla diversione/mediazione raccomanda ai governi dei paesi membri di modificare, se del caso, la propria legislazione e la pratica allo scopo di:

2. incoraggiare lo sviluppo di procedimenti di diversione e mediazione a livello del pubblico ministero (archiviazione della causa) o a livello della polizia nei paesi in cui quest'ultima eserciti l'azione penale, al fine di evitare al minore l'accesso nel sistema della giustizia penale e le sue conseguenze; coinvolgere i servizi e le commissioni di protezione dell'infanzia nell'applicazione di questi procedimenti;

3. Adottare le misure necessarie al fine di garantire che durante tali procedimenti:

  • sia assicurato il consenso del minore riguardo alle misure legate al processo di diversione e, se necessario, la cooperazione della famiglia;
  • che sia accordata un attenzione adeguata ai diritti e agli interessi del minore così come a quelli della vittima;

Nel punto quarto a proposito degli interventi si raccomanda ai governi dei paesi membri di modificare, se del caso, la propria legislazione e la pratica:

14. Allo scopo di abbandonare gradualmente il ricorso alla detenzione e di aumentare il numero di misure alternative, di favorire quelle che concedono maggiori opportunità di reinserimento sociale tramite l'istruzione, la formazione professionale nonché tramite l'uso del tempo libero e di altre attività.

15. Fra queste misure, concede particolare attenzione a quelle che:

  • prevedono la messa alla prova;
  • sono indirizzate a far fronte al persistente comportamento delinquenziale del minore attraverso il miglioramento delle sue capacità di reinserimento sociale mediante un azione educativa intensiva (incluso il trattamento intermediario intensivo);
  • comportino la riparazione del danno causato dall'attività criminale del minore;
  • comportino un lavoro in beneficio della comunità adatto all'età del minore e alle sue necessità educative;

Infine nel punto quinto relativo alle ricerche, si fa riferimento all'importanza della promozione di ricerche comparative nell'ambito della giustizia minorile che mettano l'accento sullo studio: delle alternative alla privazione di libertà, della partecipazione della comunità nell'assistenza del minore delinquente, delle misure e dei procedimenti di riconciliazione tra i giovani delinquenti e le loro vittime.

Sempre nell'ambito del Consiglio d'Europa è stata adottata dal Comitato dei ministri la risoluzione (99)19 sulla mediazione in ambito penale. Nella premessa alla risoluzione si fa riferimento al ricorso sempre più frequente nei paesi membri all'uso della mediazione in ambito penale come alternativa alla risoluzione dei conflitti. Si sottolinea l'importanza del riconoscimento del diritto della vittima a partecipare attivamente alla risoluzione del conflitto attraverso il dialogo con l'autore del reato e l'ottenimento della riparazione del danno. Sottolinea inoltre l'importanza di incoraggiare il senso di responsabilità dell'autore del reato e di lasciare una porta aperta alla possibilità di conciliazione. La raccomandazione si sofferma su sette punti fondamentali: la definizione, i principi generali, le basi legali, il funzionamento della giustizia penale in relazione alla mediazione, il funzionamento dei servizi di mediazione, e lo sviluppo continuo della mediazione. Ci soffermeremo su alcuni di questi punti via via che si avanza in questo capitolo. Per il momento discuteremo esclusivamente il punto secondo relativo ai principi generali, che stabilisce quanto segue:

1. La mediazione in ambito penale dovrebbe avvenire solo se le parti acconsentono liberamente. Le parti dovrebbero essere in grado di ritirare il loro consenso in qualsiasi momento durante il processo di mediazione.

2. I discorsi affrontati durante la mediazione sono di carattere confidenziale e non potranno essere usati successivamente, salvo se ne acconsentono le parti.

3. La mediazione in ambito penale dovrebbe essere un servizio generalmente disponibile.

4. La mediazione in ambito penale dovrebbe essere disponibile in tutte le fasi del processo penale.

5. Ai servizi di mediazione dovrebbe essere assegnata sufficiente autonomia all'interno del sistema di giustizia penale.

Questi principi, come avremo occasione di verificare più avanti quando ci soffermeremo sui requisiti e le garanzie del processo di mediazione, vengono in linea di massima rispettati dal Programma di mediazione catalano.

Nell'ambito delle Nazioni unite, le Regole di Beijing dedicano parte del proprio articolato allo strumento della mediazione. Il documento si divide in sette sezioni che riguardano rispettivamente: principi generali, l'indagine e il processo, la sentenza e la risoluzione, il trattamento al di fuori del carcere, il trattamento nel carcere e ricerca, pianificazione, formulazione e valutazione delle politiche. Nella sezione relativa all'indagine e al processo, il punto undici si sofferma sulla remissione dei casi e dispone quanto segue:

11.1 Sarà esaminata la possibilità, se opportuno, di occuparsi dei minore delinquenti senza ricorrere alle autorità competenti, citate nella regola 14.1 infra, perché siano giudicati ufficialmente.

11.2 La polizia, la procura e altri servizi che hanno in carico i casi di delinquenza giovanile, avranno il potere di decidere tali casi a loro discrezione, senza ricorrere ai procedimenti formali, in conformità ai criteri fissati a questo scopo nei rispettivi sistemi giuridici, e anche in armonia coi principi contenuti da queste regole.

11.3 Ogni remissione che comporti mettere al minore a disposizione delle istituzioni pertinenti della comunità o di altro tipo, sarà sottoposta al consenso del minore o a quello dei suoi genitori o tutori; ciò nonostante, la decisione relativa alla remissione del caso sarà sottoposta all'esame di una autorità competente, quando così sia richiesto.

11.4 Al fine di facilitare la procedura discrezionale dei casi dei minori, si cercherà di facilitare alla comunità programmi di supervisione e di orientamento temporali, riparazione e risarcimento delle vittime.

La regola undici introduce nel processo penale minorile basicamente la facoltà di attuare il principio d'opportunità al fine di sottrarre il minore dalla via giudiziale e di inserirlo in un programma alternativo di giustizia riparatrice.

Nella Convenzione delle Nazioni unite sui diritti del fanciullo l'articolo 40.1 introduce l'idea del modello di responsabilità quando dichiara che:

1. Gli Stati parti riconoscono ad ogni fanciullo sospettato, accusato o riconosciuto colpevole di reato penale il diritto ad un trattamento tale da favorire il suo senso della dignità e del valore personale, che rafforzi il suo rispetto per i diritti dell'uomo e le libertà fondamentali e che tenga conto della sua età nonché della necessità di facilitare il suo reinserimento nella società e di fargli svolgere un ruolo costruttivo in seno a quest'ultima.

La Convenzione stabilisce inoltre l'opportunità di trattare i minori senza ricorrere a procedure giudiziarie nell'articolo 40.3.b:

gli Stati parti si sforzano (...) in particolar modo:

b) di adottare provvedimenti ogni qualvolta ciò sia possibile ed auspicabile per trattare questi fanciullo senza ricorrere a procedure giudiziarie rimanendo tuttavia inteso che i diritti dell'uomo e le garanzie legali debbono essere integralmente rispettate.

La normativa internazionale prevede dunque in modo esplicito la possibilità di introdurre forme alternative al processo penale, anzi le promuove apertamente. L'Assemblea generale delle Nazioni unite è stato l'organo che per primo, nel 1985, si era espresso a favore di forme alternative al processo penale minorile e all'introduzione del principio d'opportunità mediante l'adozione delle Regole di Beijing. Due anni più tardi, il Consiglio d'Europa ha confermato questa tendenza a favore del principio di minimo intervento e d'opportunità con l'adozione della raccomandazione (87) 20 e recentemente nel 1999 ha addirittura adottato una raccomandazione sulla mediazione in ambito penale. Sono stati questi strumenti internazionali, così decisi a favore di forme minime di intervento sui minori, coloro che hanno fornito le basi legali necessarie alla Catalogna per introdurre il programma di conciliazione e riparazione del danno in mancanza di una legislazione nazionale adeguata a questo scopo.

3.3 Il concetto di mediazione

Forse la definizione più nota di mediazione è quella proposta dallo studioso francese Jean Pierre Bonafe-Schmitt che parla di:

un processo, il più delle volte formale, attraverso il quale un terzo neutrale tenta, attraverso l'organizzazione di scambi fra le parti, di permettere a queste stesse di confrontare i loro punti di vista e di cercare, con il suo aiuto, una soluzione al conflitto che le oppone (12).

Si tratta di una definizione di mediazione amplia e abbastanza generica che comprende sia quella penale che civile, sociale, ecc. La mediazione in ambito penale è stata definita dalla Raccomandazione (99) 19 del Consiglio d'Europa come “ogni procedura dove la vittima e l'autore del reato sono autorizzati, se liberamente ne acconsentono, a partecipare attivamente nella risoluzione delle questioni derivate dal reato attraverso l'aiuto di un terzo imparziale, il mediatore”. Si richiedono come requisiti fondamentali della mediazione il consenso delle parti, la commissione di un reato e la presenza di un mediatore neutrale.

La riparazione è intesa come il ristabilimento, nel limite del possibile, dell'ordine giuridico perturbato dalla commissione di un'infrazione penale. Dieter Rössner sostiene che la riparazione contribuisce al ristabilimento della pace giuridica e al miglioramento del clima sociale oltre a esercitare un'importante funzione pacificatrice (13). L'equipe di mediazione catalana ha definito la riparazione come un intervento educativo effettuato su istanza dell'autorità giudiziaria che porta l'autore del reato a confrontarsi con la propria condotta e con le sue conseguenze, alla presa di coscienza e di responsabilità per le proprie azioni e al successivo risarcimento della vittima mediante la realizzazione di un'attività in suo beneficio (14). La riparazione può essere anche di carattere esclusivamente simbolica dipende dalle circostanze del caso e dalle valutazione effettuate dall'equipe di mediazione.

Dove si incontrano allora i concetti di mediazione, conciliazione e riparazione? Mentre il concetto di mediazione fa riferimento al processo nel suo insieme, la riparazione fa riferimento esclusivamente alle prestazioni volte a compensare la vittima. A mio avviso la mediazione essendo uno strumento diretto a risolvere i conflitti deve sempre comprendere la conciliazione e solo nei casi necessari l'eventualità di una riparazione.

Nell'articolo 19 della legge 5/200, al fine di sottrarre il minore dal processo penale, si richiede che si tratti di reati “meno gravi” privi di violenza o intimidazione alle persone e che si sia verificata la conciliazione del minore con la vittima o che il minore abbia assunto l'impegno di riparare il danno causato alla vittima. La legge richiede che si produca la conciliazione o l'impegno riparativo cercando probabilmente di lasciare uno spazio operativo molto ampio all'equipe di mediazione in funzione delle circostanze particolari del caso e dell'interesse superiore del fanciullo. Successivamente la legge definisce sia il concetto di conciliazione che quello di riparazione. La conciliazione si verifica quando il minore riconosce il danno causato e chiede scusa alla vittima e quest'ultima accetta le scuse. D'altro canto si intende per riparazione l'impegno assunto dal minore con la vittima di realizzare determinate azioni in beneficio di quest'ultima o della comunità, seguito dal suo effettivo adempimento.

Nell'esperienza catalana l'elemento riparativo acquisisce un importanza fondamentale poiché riempie di contenuto il modello di giustizia che si andava cercando nel momento della nascita del programma di mediazione: il modello di responsabilità.

3.4 I modelli di mediazione

Il Comitato d'esperti sulla mediazione in ambito penale del Consiglio d'Europa distingue i seguenti principali modelli di mediazione (15):

  1. La cosiddetta mediazione informale (informal mediation) viene svolta da personale della giustizia criminale. Può trattarsi del pubblico ministero che invita le parti a partecipare ad un accordo informale allo scopo di interrompere l'iter giudiziario. Può trattarsi invece di un assistente sociale che considera che l'incontro con la vittima possa avere un impatto positivo sull'autore del reato. Può trattarsi ancora di un agente di polizia che chiamato ad una disputa familiare riesce a neutralizzare la situazione evitando l'esercizio dell'azione penale. Può trattarsi infine della decisione di un giudice di tentare un accordo al di fuori del tribunale e successivamente di archiviare il caso. Benché questo tipo di intervento risulti essere frequente non è sistematico e controllato e può dunque essere oggetto di abusi e pregiudizi. La mediazione informale non deve essere confusa con i modelli di mediazione regolati dalla Raccomandazione (99) 19 sulla mediazione in ambito penale.
  2. Le assemblee popolari di carattere tribale (traditional village or tribal moots) sono antiche forme di risoluzione di conflitto nate dalla consuetudine locale dove l'intera comunità si incontra per risolvere i conflitti e i crimini avvenuti tra i loro membri. Questo tipo di intervento è ancora comune in zone rurali e nei paesi in via di sviluppo e cercano di beneficiare la comunità. Gli attuali programmi di mediazione hanno tratto ispirazione da questi tipi di interventi e, di fatto, sono un tentativo di introdurre i vantaggi delle antiche assemblee tribali nelle moderne strutture sociali in modo compatibile con i diritti individuali legalmente riconosciuti.
  3. Il modello più noto è la mediazione vittima - autore del reato (victim-offender mediation), che coinvolge le parti direttamente implicate in un incontro in presenza di un mediatore. La mediazione si può svolgere in presenza di tutte due le parti coinvolte (mediazione diretta) o nel caso in cui la vittima non intenda incontrare l'aggressore, in incontri separati tra il mediatore e ciascuna delle parti (mediazione indiretta). Esistono comunque diverse varianti a questo modello.

    I mediatori possono appartenere al personale della giustizia penale specificamente formati per svolgere questo ruolo, spesso si tratta di assistenti sociali ma possono anche essere degli agenti di polizia, membri del tribunale e della procura. Le varianti sono tante. Questo tipo di mediazione può inserirsi in qualsiasi fase del processo penale. Il punto chiave consiste nel determinare se la mediazione ha qualche ripercussione sulla sentenza attraverso per esempio l'archiviazione del caso o formando parte integrante del contenuto della medesima. In questi casi il bisogno di controllo e di supervisione giudiziale cresce. Alcuni programmi funzionano su qualsiasi autore di reato, altri solo con minori o con adulti. Alcuni si occupano di reati “meno gravi” altri invece di reati gravi.

  4. I programmi di riparazione e negoziazione (reparation negotiation programmes) esistono soltanto al fine di stabilire la compensazione o il risarcimento del danno da pagare alla vittima, di solito per ordine del tribunale. Questi tipi di programmi non prevedono la conciliazione tra le parti.
  5. Le commissioni o tribunali comunitari (community pannels and courts) sono programmi che comportano la diversione dei casi dal tribunale alle procedure comunitarie che risultano essere più flessibili e informali.
  6. Le family and community group conferences, sviluppate in Australia e Nuova Zelanda, rappresentano un altro esempio della partecipazione della comunità nel sistema di giustizia penale. Questi programmi coinvolgono non solo l'autore del reato e la vittima ma anche i loro familiari, altri membri della comunità, agenzie della giustizia e persone di supporto alla vittima. L'autore del reato e la sua famiglia devono arrivare ad un accordo che risulti soddisfacente per la vittima e costruttivo per l'autore.

Con questo elenco il comitato d'esperti del Consiglio d'Europa ha cercato di individuare le diverse forme che ha rivestito la mediazione. La mediazione può adottare molteplici forme a seconda del contesto locale, della storia, dei costumi, del sistema legale, del personale coinvolto, del vissuto della comunità in cui sorge. Nel caso spagnolo l'istituto della mediazione è nato in modo abbastanza spontaneo senza dei riferimenti giuridici nazionali di sostegno prendendo spunti importanti dalla normativa internazionale ma anche da contatti con altre esperienze collegate in qualche modo con il programma di mediazione catalano. Gli ideatori del programma hanno mantenuto dei contatti particolarmente stretti con l'Austria e anche con la Germania dai quali hanno tratto degli insegnamenti importanti. Ciò nonostante i membri del gruppo di mediazione sono reticenti ad essere identificati con un presunto modello tedesco e tengono a sottolineare che quello realizzato è un modello condizionato dalla propria evoluzione storica. Comunque seguendo le tipologie stabilite dal Consiglio d'Europa avremo occasione di verificare che il programma catalano risponde alle mediazioni vittima - autore del reato.

3.5 Nascita e consolidamento della mediazione in Catalogna

All'indomani del ritorno della democrazia in Spagna con le prime elezioni democratiche nel 1977, tutte le regioni spagnole si sono trovate improvvisamente ad affrontare un vuoto operativo causato dall'immobilismo degli anni del franchismo che aveva riguardato tutti gli ambiti della giustizia incluso quello della giustizia minorile. La situazione ereditata dal regime franchista era veramente sconfortante: una legge, quella dei tribunali tutelari dei minori, ispirata all'ideologia correzionale positivista d'inizio secolo; dei carceri disumani ispirati ad un modello eminentemente repressivo, e via discorrendo. In questo stato di desolazione nasce in Catalogna la speranza e la volontà di trasformare lo stato delle cose attraverso la ricerca di nuovi modelli di intervento (16). Nel resto della Spagna i programmi di mediazione sono nati solo di recente e hanno avuto come punto di riferimento l'esperienza catalana.

Nel 1979 la Catalogna elabora il proprio Statuto d'autonomia dove si riserva nell'articolo 9.28 la competenza esclusiva in materia di “Istituzioni pubbliche di protezione e di tutela dei minori” così come previsto nella Costituzione. La competenza penale rimane invece di pertinenza dello Stato centrale. Negli anni '80 gli operatori della giustizia minorile iniziano un percorso di ricerca di nuove forme di intervento alternativi all'internamento in centri penitenziari. Nascono così gli interventi eseguiti nell'ambiente naturale del minore che riempiono finalmente di contenuto la misura della libertà vigilata, prevista nella legge del '48, e il ruolo del delegato d'assistenza del minore.

La giustizia minorile in Catalogna si sviluppa inizialmente intorno a tre criteri fondamentali: l'intervento personalizzato, l'uso prioritario di forme di intervento non detentive e il reinserimento dei giovani. Nel rispetto di questi principi sono stati promossi degli interventi indirizzati alla chiusura e alla trasformazione delle vecchie istituzioni di privazione di libertà, che assumono un volto più umano attraverso la riduzione del numero di ragazzi e l'incremento del personale specializzato, e alla promozione dell'applicazione di misure non detentive. Nel 1985, il Parlamento catalano adotta una legge e un regolamento in materia di protezione giudiziaria del minore che verte sulla prevenzione della delinquenza e sull'esecuzione delle misure giudiziarie nel rispetto delle garanzie e dei diritti del minore (17).

In definitiva, l'intento era quello di costruire un nuovo modello di giustizia minorile che rispondesse a queste caratteristiche:

un modello di educazione in libertà, non repressiva, umana e efficace, che facesse crescere le risorse interiori, rispettando i loro legami sociali e affettivi. Un modello che al tempo stesso rispettasse i loro diritti costituzionali e gettasse le basi perché i giovani percepissero un'immagine della giustizia istituzionale chiara e non ingannevole. Una giustizia che non studiasse le loro reazioni in funzione delle loro origine o della loro situazione personale, e che li trattasse come cittadini di pieno diritto (18).

Le prime notizie sull'applicazione di programmi di mediazione negli Stati uniti, la Gran Bretagna, il Canada e la Germania arrivano in Catalogna nel 1986. Sono i lavori di autori come Frieder Dünkel, Gallaway, Marshall e altri che offrono agli operatori della giustizia catalana le basi teoriche per elaborare nuovi sistemi di intervento sul minore.

Nella ricerca di un modello di responsabilità si scommette a favore dell'introduzione di un programma di conciliazione e riparazione del danno alla vittima. Nel 1989 si istituisce una commissione all'interno del Dipartimento di giustizia della Generalitat di Catalogna, organo di governo regionale, incaricata di elaborare un progetto di mediazione penale giovanile e nel maggio del 1990 il programma di mediazione inizia a funzionare in Catalogna per i reati commessi da minori. Si tratta di un esperienza pionieristica sia in Catalogna che nel resto della Spagna. Questo spirito pionieristico, di sfida, si respira in modo molto inteso nelle parole del gruppo di mediazione (19):

Sapevamo che questo tipo di esperienza esisteva in altri paesi e che godevano di un discreto successo, ma non sapevamo al cento per cento a cosa si stava andando incontro, come avrebbero reagito i minori e le sue vittime.

Durante i primi anni ci sentivamo come pionieri, scoprendo un territorio sconosciuto. Ogni intervista era un'opportunità di imparare, scoprire e condividere l'imparato con il resto dell'equipe. Nessuno prima aveva lavorato con le vittime e abbiamo dovuto partire da zero.

Come iniziare l'intervista, quali argomenti affrontare, come connettere, [...] tutto poneva degli interrogativi. Avrebbero accettato di partecipare?, li sarebbe stato utile?, sarebbe il minore riuscito a risarcire la vittima?, sarebbero state le loro richieste di carattere eminentemente economico?

Ma l'incontro con la vittima non era l'unica nostra preoccupazione. Era anche necessario cambiare l'impostazione verso i minori, dirigerli uno sguardo diverso.

Non si trattava più di esplorare nei loro bisogni e nelle loro difficoltà, né di intervenire nel loro mondo sociale e familiare, ma piuttosto di esplorare la loro volontà e capacità di riparare.

Como si sarebbe svolta l'intervista? Avrebbero i minori accettato la riparazione?, Come avrebbero riparato?, e i genitori, sarebbero stati d'accordo?

Sotto molti aspetti, iniziare un programma indirizzato verso la degiudizializzazione e che aspirava alla risoluzione del conflitto tra la vittima e il delinquente, comportava una grande sfida. Ciò che noi vivevamo con fiducia ed entusiasmo, altri lo guadavano con scetticismo e incredulità. Si poteva interpretare come un intervento “light”, che consisteva sostanzialmente nell'accompagnare il minore a chiedere perdono alla vittima e in cui tutto risultasse superficiale, di scarsa utilità per gli implicati e addirittura monotona per i professionisti.

Quante sorprese ci riservava questo progetto! [...]

Quando abbiamo cominciato ad ascoltare le vittime, a conoscere i loro sentimenti e il loro desiderio di essere risarcite, ci siamo subito resi conto che ciò che li si offriva era percepito dalla vittima come una scelta molto interessante. Per la prima volta erano assistite e considerate le protagoniste di ciò che li era successo.

Qualcuno si interessava al loro dolore per i danni che avevano subito e li offriva una possibile soluzione.

Non siamo andati incontro a sentimenti di vendetta o a richieste irraggiungibili, le vittime ponevano delle domande che solo il minore poteva chiarire. Volevano sapere il perché della sua condotta, esprimere i loro vissuti, stabilire una comunicazione.

Tutti gli elementi di riparazione emozionale passarono a coprire i primi piani. Quando si proponeva ai minori la possibilità di risarcire la vittima, accoglievano questa scelta con naturalità considerandola come un passaggio logico per risolvere il conflitto. Proponevano delle idee creative e generalmente molto chiare su come risarcire il danno causato.

Abbiamo accertato la scarsa distanza che separava le richieste delle vittime da ciò che i minori potevano offrire. In realtà, il problema lo definivano in ogni situazione i protagonisti: i minori e le vittime e abbiamo accertato che la soluzione più soddisfacente al conflitto era quella proposta da loro stessi. Di fatto, qualunque idea preconcetta che potessimo avere su quale sarebbe stato il contenuto della riparazione si avvicinava in poche occasioni agli accordi dei protagonisti.

L'analisi di queste osservazioni sono state molto importante per tutti, e ci hanno permesso di scoprire che la soluzione non dovevamo proporla i professionisti ma che l'autore e il danneggiato erano quelli che definivano il conflitto. Il che ha permesso una riflessione sul ruolo che giocavamo e che dovevamo occupare.

Il nostro ruolo non era né accanto all'uno né accanto all'altro bensì nel mezzo, facilitando il dialogo e la comunicazione tra di loro.

3.5.1 Quadro legale

Nel 1990 si introduce il programma di conciliazione e riparazione del danno nonostante che la legge allora in vigore, la legge del 11 giugno 1948 dei tribunali tutelari dei minori, non prevedesse questa possibilità. Tuttavia grazie alla buona volontà degli operatori sociali, degli enti locali, dei giudici dei minori, e al potere discrezionale assoluto che la legge concedeva ai giudici, è stato possibile dare vita a questa nuova realtà. Il supporto normativo di questa scelta fu allora individuato nelle raccomandazioni del Consiglio d'Europa, nelle leggi di altri paesi europei, nelle Regole minime delle Nazioni unite sull'amministrazione delle giustizia (Regole di Beijing), e nella Convenzione delle Nazione unite sui diritti del fanciullo.

La legge 4/1992 che modifica la legge dei tribunali tutelari dei minori, prevedeva la possibilità della conciliazione e della riparazione extragiudiziaria del danno causato dal minore in due fasi diverse del processo: in fase d'istruzione (articolo 15.6) e in fase d'esecuzione della sentenza (articolo 16.3). L'articolo 15.6 disponeva quanto segue:

considerando la poca gravità dei fatti, le condizioni e le circostanze del minore, il fatto che non vi sia stata violenza o intimidazione, o che il minore abbia riparato o si impegni a riparare il danno causato alla vittima, il giudice, su proposta del pubblico ministero, darà per conclusa ogni azione.

La conciliazione e la riparazione in fase d'istruzione evitava il proseguimento del processo qualora il minore adempisse i suoi obblighi.

Invece l'articolo 16.3 della legge prevedeva la possibilità di eseguire la riparazione del danno come alternativa all'esecuzione della misura stabilita dal giudice nella sentenza. Tale articolo disponeva che:

attesa la natura dei fatti, il giudice minorile, d'ufficio o su istanza del pubblico ministero o dell'avvocato, potrà decidere la sospensione della decisione per un tempo determinato e massimo di due anni, sempre che, di comune accordo, il minore, debitamente assistito, e le vittime, accettino una proposta di riparazione extragiudiziaria.

Tale opportunità poteva essere concessa qualora:

le vittime, opportunamente citate, non esprimano la propria opposizione o questa sia manifestamente infondata. A questo scopo, sentito il gruppo tecnico, il pubblico ministero e l'avvocato, il giudice dovrà valutare motivatamente, dal punto di vista esclusivo dell'interesse del minore, il senso pedagogico e educativo della riparazione proposta [...] Qualora il minore non esegua la riparazione si revocherà la sospensione della sentenza e si darà compimento alla misura stabilita dal giudice. In questo caso, il procedimento proseguiva fino all'esecuzione della misura che viene poi sostituita dalla conciliazione e/o riparazione del danno. Qualora la riparazione non venga realizzata il giudice doveva dare esecuzione alla sentenza.

Dal 1 gennaio 2001 è entrata in vigore la tanto attesa legge 5/2000 sulla responsabilità penale del minore che per la prima volta affronta la giustizia minorile in modo complessivo contenendo norme di diritto sostanziale, processuale e penitenziario. Nella legge si fa riferimento esplicito alla mediazione e si parla anche di conciliazione e di riparazione del danno. La nuova legge prevede anche essa la possibilità di accedere alla mediazione in due momenti diversi del processo, e cioè in fase d'istruzione e durante l'esecuzione della misura prevista dalla sentenza. In fase d'istruzione l'articolo 19 prevede quanto segue:

1. Il pubblico ministero potrà altresì rinunciare alla prosecuzione del procedimento, considerando la poca gravità e le circostanze dei fatti e del minore, in particolar modo la mancanza di violenza o intimidazione gravi nella commissione dei fatti, e alla circostanza che il minore inoltre si sia conciliato con la vittima o si sia impegnato a riparare il danno causato alla vittima o al danneggiato dal reato, o si sia impegnato a compiere l'attività educativa proposta dal gruppo tecnico nella sua relazione.

La rinuncia nella prosecuzione del procedimento sarà soltanto possibile qualora il fatto imputato al minore costituisca un reato meno grave o una contravvenzione.

2. Agli effetti di quanto stabilito dal comma precedente, si considera raggiunta la conciliazione qualora il minore riconosca il danno causato e si scusi davanti alla vittima, ed essa accetti la scusa, e si considera riparazione l'impegno assunto dal minore nei confronti della vittima o danneggiato di compiere determinate azioni nel loro beneficio o in beneficio della comunità, seguito dal suo compimento effettivo. (...).

3. Il rispettivo gruppo tecnico ricoprirà le funzioni di mediazione fra il minore e la vittima o danneggiato, agli effetti di quanto indicato nei comma precedenti, e informerà il pubblico ministero degli impegni acquisiti e del suo grado di compimento.

4. Una volta raggiunta la conciliazione o realizzati gli impegni di riparazione assunti nei confronti della vittima o danneggiato dal reato o contravvenzione commesso, o qualora l'uno o l'altro non fossero eseguibili per cause estranee alla volontà del minore, il pubblico ministero chiuderà la fase d'istruzione e chiederà dal giudice l'archiviazione degli atti, (...).

5. Nel caso in cui il minore non eseguisse la riparazione o l'attività educativa concordate, il pubblico ministero eserciterà l'azione penale.

6. Nei casi in cui la vittima del reato o della contravvenzione fosse minore d'età o incapace, l'impegno al quale si riferisce il presente articolo dovrà essere assunto dal rappresentante legale della vittima, con l'approvazione del giudice di minori.

Si richiede dunque che si tratti di reati “meno gravi” o contravvenzioni prive di violenza o intimidazioni gravi. A differenza di quanto richiesto dalla legge del '92 se la violenza o intimidazione non fossero gravi si potrebbe tuttavia procedere nella soluzione extragiudiziaria. Il pubblico ministero potrà allora rinunciare alla prosecuzione del procedimento se il giudice dei minori vi acconsente. Siccome in questo caso l'azione penale è stata già esercitata il pubblico ministero non potrà rinunciare alla prosecuzione del procedimento per propria iniziativa ma avrà bisogno dell'autorizzazione del giudice.

Per i casi di conciliazione e riparazione del danno durante l'esecuzione della misura prevista dalla sentenza, l'articolo 51.2 recita quanto segue:

la conciliazione del minore con la vittima, in qualunque momento in cui avvenga l'accordo tra le parti a cui fa riferimento l'articolo 19 di questa legge, potrà lasciare senza effetto la misura imposta qualora il giudice, su proposta del pubblico ministero o dell'avvocato del minore e sentito il gruppo tecnico e i rappresentanti dell'entità pubblica di protezione o riforma dei minori, giudichi che detto atto e il tempo trascorso della misura in fase di esecuzione esprimano sufficientemente il rimprovero che meritano gli atti compiuti dal minore.

La conciliazione e la riparazione del danno sono concepite in ambedue le leggi come uno strumento di risoluzione dei conflitti di carattere extragiudiziale sebbene inserite nel processo penale (20). È il diritto penale che stabilisce quali sono i reati, chi è l'autore e chi è la vittima. Nella mediazione prevista nella fase d'istruzione il pubblico ministero rappresenta la legalità in base alla quale agisce il mediatore mentre nei casi previsti nella fase d'esecuzione è il giudice che agisce da garante.

Per ciò che riguarda i casi di mediazione in fase d'istruzione, la legge 5/2000 non ha apportato nessun cambiamento significativo rispetto alla legge del '92. I requisiti richiesti per accedere alla mediazione sono fondamentalmente gli stessi in ambedue le leggi e cioè: che si tratti di reati “meno gravi” in cui non vi sia stata violenza o intimidazione sulle persone, che il minore si sia conciliato con la vittima o che abbia assunto l'impegno di riparare il danno causato alla vittima o infine che si sia impegnato a svolgere l'attività educativa prevista dal gruppo tecnico nel suo rapporto. L'articolo 19 della legge 5/2000 risulta più esaustivo dell'articolo 15.6 della legge del '92 poiché provvede a definire i concetti di conciliazione e riparazione. Tuttavia secondo José Dapena sono le parti coinvolte nell'incontro di mediazione coloro che spontaneamente definiscono il contenuto dello stesso senza dover rispondere in maniera rigida ai concetti proposti dalla legge. Il contenuto del processo di mediazione può essere così ampio quanto le parti e il mediatore considerino opportuno (21).

In fase di esecuzione la legge 5/2000 introduce la mediazione in un momento diverso rispetto alla legge del '92. La legge prevede che se in qualunque momento del processo interviene l'accordo di conciliazione tra le parti il giudice potrà lasciare senza effetto la misura imposta qualora giudichi che l'atto di conciliazione e l'esecuzione parziale della misura esprimano sufficiente rimprovero. In questo caso la mediazione non è concepita come alternativa all'esecuzione della misura ma piuttosto come alternativa alla prosecuzione dell'esecuzione della stessa. Gli operatori della giustizia si mostrano alquanto sorpresi di fronte ad una previsione di questo tipo. Essi infatti considerano la fase d'istruzione del processo penale lo spazio naturale della mediazione poiché esente dai pregiudizi e dalla sfiducia che si verifica nella fase successiva del processo quando avviene il confronto tra le parti. Essi difendono inoltre la mediazione come strumento utile ad evitare l'esecuzione della pena. Nel caso invece previsto dall'articolo 51.2 della legge, la mediazione non riesce a evitare al minore né il processo penale né l'esecuzione, seppure parziale, della pena. Si tratta dunque di una disposizione alquanto inusuale e, per ciò che riguarda gli obiettivi perseguiti dalla mediazione, in primo luogo quello di favorire una giustizia penale minima, alquanto inutile.

In questi anni l'esperienza di mediazione si è sviluppata preminentemente sulla base dei precetti della legge del 92. La legge 5/2000 è entrata in vigore da poco più di un anno e risulta pertanto prematuro fare ad oggi delle valutazione approfondite sulla sua applicazione pratica.

3.5.2 Obiettivo della mediazione

In contrasto con i primi progetti di conciliazione e riparazione del danno nati negli Stati uniti negli anni settanta allo scopo di assistere la vittima del reato, il progetto catalano sorge in funzione dell'autore del reato. Si parte infatti dall'obiettivo di responsabilizzare l'autore del reato attraverso uno spazio partecipativo e interattivo tra quest'ultimo e la vittima. Col tempo però si è cercato di riequilibrare la bilancia cercando di collocare tutte e due le figure, l'autore del reato e la vittima, sullo stesso piano di protagonismo.

La mediazione si propone diversi obiettivi nei confronti della giustizia, dell'autore del reato, della vittima e della comunità. Nei confronti della giustizia la mediazione si propone di applicare il principio di minimo intervento e d'opportunità nei casi in cui il minore abbia manifestato la volontà di riparare il danno causato alla vittima, di rafforzare attraverso la giustizia il ristabilimento della pace sociale e di inserire nella giustizia minorile elementi compensatori in rapporto con la vittima. Nei confronti dell'autore del reato la mediazione si pone l'obiettivo di responsabilizzare il minore attraverso la conciliazione e la riparazione del danno causato alla vittima. Inoltre la mediazione offre alla vittima lo spazio per partecipare alla risoluzione di un conflitto che la coinvolge direttamente, dandole la possibilità di essere ascoltata, di essere tranquillizzata e che le sia riparato il danno. Infine la mediazione si pone l'obiettivo di avvicinare la giustizia ai cittadini e di promuovere forme diverse di reazione rispetto alla privazione di libertà. Non è obiettivo della mediazione invece quello di riabilitare l'autore del reato. Si cerca in definitiva di risolvere il conflitto e di ristabilire la convivenza pacifica nella comunità e tra le parti (22).

In sommi capi l'obbiettivo dei programmi di mediazione è quello di: favorire la degiurisdizionalizzazione evitando nel possibile i procedimenti formali, potenziare la riparazione del danno causato alla vittima, ridurre la reazione penale, promuovere la partecipazione dei soggetti coinvolti, risolvere il conflitto scaturito dal reato, favorire la comunicazione e l'accordo libero tra le parti e in definitiva ricostruire la pace sociale (23).

3.5.3 I requisiti e le garanzie

Nel processo di mediazione i requisiti e le garanzie, come avremo occasione di appurare, spesso coincidono. Innanzitutto la legge prevede la conciliazione e la riparazione del danno solo nei casi di reati “meno gravi” in cui non vi sia stata violenza o intimidazione grave sulle persone. Vengono pertanto esclusi sia i cosiddetti reati bagattellari, che nel caso dei minori dovrebbero considerarsi penalmente irrilevanti, sia i reati gravi in cui vi sia stata violenza o intimidazione. Questo requisito evita, da una parte, l'estensione del controllo sociale verso reati penalmente irrilevanti in età minorile e, dall'altra, che i reati che sollevano grande stupore all'interno della comunità possano sfociare in un semplice processo di mediazione. Il fatto che i programmi di mediazione siano destinati a operare nel caso di reati “meno gravi” privi di violenza o intimidazione grave sulle persone comporta certamente un importante garanzia. Si supera in questo modo una delle critiche più comuni rivolte alla mediazione secondo cui essa rischia di provocare l'estensione del controllo sociale verso fatti di scarsa rilevanza penale che altrimenti non avrebbero avuto accesso all'ambito giudiziale.

Gli altri requisiti/garanzie per accedere al programma di mediazione si possono elencare in:

  • la piena volontarietà delle parti senza la quale la mediazione non potrebbe riuscire. Questo requisito rappresenta uno dei tratti distintivi della mediazione rispetto al processo penale tradizionale.
  • l'ammissione da parte dell'autore di aver causato un danno. Si tratta di un riconoscimento di colpa di carattere informale ed extragiudiziale che non può essere usato contro il minore nel caso in cui la mediazione fallisca. Il carattere confidenziale del processo di mediazione rappresenta il presupposto per uno scambio proficuo e un risultato costruttivo.
  • la volontà del minore di riparare il danno causato alla vittima. Questo requisito implica la capacità del minore di comprendere l'alternativa che li viene proposta e l'assunzione di un ruolo partecipativo nel processo di mediazione (24).

In definitiva le parti non possono essere costrette ad accedere al processo di mediazione ma devono decidere liberamente. Questo requisito riveste un'importante garanzia per il minore che può scegliere di affrontare il processo giudiziario per dimostrare la sua innocenza.

Strettamente legato al requisito della volontarietà è quello dell'ammissione da parte dell'autore di aver causato un danno. Il minore infatti non può essere obbligato a dichiararsi “colpevole”. Anche se la dichiarazione di “colpevolezza” produce perplessità in parte della dottrina occorre riconoscere che risponde all'esigenza di non sottoporre un soggetto alla riparazione di un danno non causato. Inoltre tale dichiarazione comporta un'ulteriore garanzia dal momento che senza dichiarazione del danno non c'è mediazione. La dichiarazione di “colpevolezza” deve essere comunque avvolta da una serie di garanzie. Innanzitutto al fine di proteggere il minore non può essere usata nel caso in cui la mediazione fallisca. Ci sono invece delle opinioni divergenti all'interno della dottrina e della pratica per ciò che riguarda il momento preciso della dichiarazione. Ornosa Fernández (25) sostiene che il minore deve effettuare la dichiarazione al pubblico ministero in presenza di un avvocato. Il gruppo di mediazione invece sostiene che essendo una dichiarazione di colpa di carattere informale ed extragiudiziale deve essere effettuata al mediatore assegnato al caso senza alcun tipo di formalità. A mio avviso trattandosi di una dichiarazione esclusivamente utile all'avviamento della mediazione e senza ripercussioni sul processo basterebbe una semplice dichiarazione informale.

Oltre a questi requisiti, si valuta altresì la natura e le circostanze dei danni provocati e se sono riparabili nonché l'esigenza che non sia trascorso troppo tempo tra la commissione del reato e la riparazione.

I requisiti previsti nella legge 5/2000 e applicati dal programma di mediazione catalano sono rispettosi delle linee seguite dalla Raccomandazione del Consiglio d'Europa (99) 19 sulla mediazione in ambito penale in quanto questa richiede come requisiti fondamentali per accedere al programma di mediazione il libero consenso delle parti, la capacità di comprendere il significato della procedura di mediazione e il riconoscimento dell'accaduto da ambedue le parti e il carattere confidenziale della procedura. Tale raccomandazione richiede inoltre come requisito auspicabile l'autonomia del servizio di mediazione rispetto al sistema di giustizia penale al fine di garantire che il processo di mediazione operi sulla base di fondamenti diversi rispetto al sistema di giustizia penale tradizionale.

3.5.4 Il processo di mediazione

Nei primi anni di vita della mediazione, quando era ancora in vigore la legge del '48, era il giudice di minori che offriva al minore la possibilità di accedere al processo di mediazione e lo metteva in contatto con l'equipe di mediazione. Questa eventualità si produceva nel caso in cui non ritenesse necessaria l'applicazione di una misura di libertà vigilata o d'internamento. Non si trattava dunque di una vera alternativa al processo penale o all'internamento ma altresì di un nuovo modo di affrontare i reati che altrimenti sarebbero stati oggetto di ammonimento.

Dall'entrata in vigore della legge 4/92 la richiesta di valutare la possibilità di intraprendere una mediazione parte dalla Procura dei minori dal momento in cui un minore risulta essere imputabile della commissione di un reato. Gli incaricati di valutare questa eventualità sono i membri del gruppo di mediazione, che una volta ricevuta la richiesta dal pubblico ministero, iniziano una fase di interviste col minore e con la vittima del reato. Se l'equipe di mediazione ritiene che non ci siano i presupposti per praticare la mediazione invia il caso al gruppo tecnico allo scopo che venga elaborato il rapporto sulla situazione psicologica, educativa e familiari del minore, del suo contesto sociale e in generale di qualsiasi altra circostanza che possa avere influito sul fatto che gli viene attribuito. Fino al 1996, la procedura era leggermente diversa, e cioè il pubblico ministero faceva in prima battuta la richiesta del rapporto psicosociale del minore al gruppo tecnico il quale valutava successivamente la possibilità di intraprendere una mediazione. In seguito al parere positivo del gruppo tecnico la richiesta di effettuare la mediazione veniva allora inoltrata all'equipe di mediazione. Dall'anno 1996 in poi si è sostenuta la possibilità che ogni minore indipendentemente dalle sue condizioni psicosociali abbia il diritto ad accedere al programma di mediazione e da allora il pubblico ministero si rivolge direttamente all'equipe di mediazione. Nelle parole di Daniela Gaddi tale cambiamento rispondeva alla

duplice esigenza di evitare un doppio intervento nei casi in cui vi fosse la volontà di riparare il danno alla vittima, nonché di rendere il servizio più razionale ed agile. L'effetto per quanto riguardava il minore era quello di tenere in maggiore considerazione la sua volontà di partecipare alla mediazione e di riparare, piuttosto che gli eventuali problemi psico-socio-familiari, nella convinzione che, a meno di ipotesi particolarissime, questi non dovessero precludergli la possibilità di riparare volontariamente il danno causato. Si può per ciò affermare che, a questo punto, il processo di passaggio da un'ottica rieducativi, e in certo modo ancora positivistica, alla concezione del minore come soggetto responsabile trova il suo compimento (26).

Il primo ad essere contattato è il minore e i suoi familiari. Non si vuole infatti creare delle false aspettative sulla vittima prima di accertare la volontà del minore. La funzione di questi incontri è in primo luogo quella di spiegare nei dettagli al minore e a suoi familiari cos'è la mediazione, come s'inquadra nel processo penale, la funzione del mediatore, l'oggetto del procedimento a suo carico, ecc. In secondo luogo quella di capire come si pone il minore nei confronti dei fatti, e cioè se riconosce qualche responsabilità nell'accaduto, se ha la volontà di conciliarsi e di riparare il danno, se riesce a mettersi nella posizione della vittima e a capire le sue paure, la capacità per assumersi degli impegni ecc. Le parti prima di accedere al programma di mediazione, così come stabilito nella Raccomandazione (99) 19 del Consiglio d'Europa, devono essere informate dettagliatamente sui propri diritti, sulla natura del processo di mediazione e sulle conseguenze della loro decisione di accedere al programma. Il colloquio si svolge in maniera aperta e dinamica, nel tentativo di stimolare la partecipazione diretta del minore. Esso consta di tre fasi: un primo incontro con il minore e i suoi genitori, un incontro con il minore da solo per dargli l'opportunità di esprimersi liberamente e un ultimo incontro nuovamente con i suoi genitori per approfondire i temi della mediazione e giungere ad una decisione comune. Lo scopo di questi incontri non è assolutamente quello di fare una valutazione della personalità del minore né di comprendere quale sia la sua situazione socio familiare. L'attività del mediatore in questa fase consiste solo nell'esplorare gli aspetti che possano essere importanti per lo sviluppo successivo della mediazione. Se il gruppo di mediazione valuta positivamente la possibilità di portare avanti una mediazione, informa la Procura e aspetta l'approvazione del Programma (27). Una volta approvato il programma dalla Procura il gruppo contatta la vittima. Se si tratta di un reato commesso ad opera di un gruppo di ragazzi, viene in genere offerto a tutti la possibilità di riparare congiuntamente. Lo spazio di lavoro in questo caso riguarda tutti e si opera in gruppo.

Per vittima si intende qualunque persona fisica, ente o impresa che abbia ricevuto un pregiudizio dall'azione del minore. Gli incontri con la vittima, si svolgono in modo molto simile a quelli con il minore. Si spiega alla vittima il ruolo della mediazione, la volontà del minore di conciliarsi e di riparare il danno, si cerca di capire qual è lo stato della vittima, la sua versione dei fatti, la sua volontà di essere risarcita, ecc. Inoltre per valutare la sua capacità di intraprendere la mediazione, vengono raccolti elementi relativi all'obiettivo della denuncia e alle sue aspettative nei confronti della giustizia, alla qualità dei danni subiti e delle sue conseguenze fisiche, psicologiche e materiali. Già in questo primo incontro la vittima ottiene numerosi benefici. Ha avuto l'occasione di esprimere le sue paure e di essere ascoltata. Questi incontri aiutano inoltre il mediatore a definire e a inquadrare il tipo di conflitto che deve essere risolto durante la mediazione.

A questo punto, il mediatore valuta la possibilità di effettuare la mediazione e decide come intervenire. Ci sono infatti diverse possibilità di intervento, la mediazione con partecipazione della vittima (mediazione diretta) o senza la sua presenza (mediazione indiretta). Si cerca di favorire nella maggior parte dei casi la mediazione diretta ma bisogna che si verifichino i seguenti requisiti: che la mediazione non risulti controproducente per le parti, che le parti siano aperte al dialogo, che dimostrino la loro volontà a raggiungere un accordo, che le aspettative delle parti siano compatibili tra di loro. Nei casi in cui non vi sia la possibilità della partecipazione della vittima si cerca di offrire al minore delle vie alternative che esamineremo più avanti.

Nella mediazione classica, l'incontro tra le parti rappresenta l'elemento fondamentale. Il mediatore presenta un panorama generale della situazione e le parti cercano di esporre il loro vissuto. Sono le parti che definiscono il conflitto e come risolverlo. L'incontro permette alle parti di valutare sia il conflitto che il significato che quest'ultimo ha per ciascuno di loro. Questo spazio permette alle parti di mettersi nella posizione dell'altro, di cercare di capire l'altro. L'incontro infine concede alle parti la possibilità di raggiungere degli accordi al fine di risolvere il conflitto.

L'incontro si svolge in modo dinamico producendosi spesso dei mutamenti imprevisti in breve tempo. Da posizioni estremamente contrastanti si può arrivare improvvisamente a momenti di intesa. Risulta fondamentale promuovere la partecipazione attiva delle parti al fine di coinvolgerle nella soluzione del conflitto. Il successo della mediazione dipende sostanzialmente dalla qualità della comunicazione che si riesce a instaurare tra le parti (28). Gli accordi presi possono essere di diverso genere: da una semplice riparazione simbolica allo svolgimento di una prestazione in beneficio della vittima o dal risarcimento economico alla prestazione di un servizio in beneficio della comunità. Spesso il contenuto e l'importanza dell'incontro tra le parti bastano per risolvere il conflitto. Il dialogo, le scuse, la comprensione del problema, l'impegno di non commettere un altro reato, ecc. hanno l'effetto pacificatore perseguito. La raccomandazione (99) 19 del Consiglio d'Europa richiede come requisiti dell'accordo: l'essere volontario, ragionevole e proporzionato. La volontarietà dell'accordo riguarda ambedue le parti. La ragionevolezza comporta l'esigenza di un legame tra l'offesa e il tipo di impegno da adempiere. Il requisito della proporzionalità esige certa corrispondenza tra l'obbligo che il minore si assume e la gravità dell'offesa.

La mediazione con partecipazione della vittima comprende il caso particolare della partecipazione indiretta. Questa eventualità si verifica nel caso in cui la vittima si mostri favorevole a partecipare senza però incontrare l'autore.

Nell'eventualità che il minore sia disponibile a riparare il danno ma che invece la vittima non sia disposta a partecipare si cerca di percorrere delle strade alternative. Succede in alcune occasioni che non si sia riusciti a contattare la vittima perché non la si conosce o non risponde alle lettere o alle chiamate telefoniche oppure che essa non voglia partecipare perché si disinteressa del problema, ecc. In questi casi la legge attribuisce valore anche all'impegno riparatore del minore. Può bastare la semplice volontà del minore a riparare la vittima per evitare l'ingresso del minore nel processo penale e si può anche prevedere la realizzazione di un attività di significato riparatorio anche se non necessariamente dirette alla vittima.

La fine della mediazione si produce quando così viene deciso dal mediatore. Quest'ultimo farà una valutazione scritta della medesima prendendo in considerazione:

  • il grado di responsabilizzazione del minore
  • gli impegni presi e se sono stati soddisfatti
  • se la vittima è stata effettivamente risarcita
  • la valutazione da parte dell'autore e della vittima della mediazione.

L'insieme di queste informazione servirà all'elaborazione di un rapporto indirizzato al pubblico ministero insieme al documento degli accordi presi firmato dalle parti. Nel caso in cui la mediazione non abbia avuto successo si riprende il percorso giudiziario. In nessun caso l'accaduto durante la mediazione può pregiudicare il minore durante il processo. Nel caso in cui la mediazione abbia avuto successo, il caso viene archiviato dal giudice di minori. Questa decisione secondo quanto stabilito nel punto 17 della Raccomandazione del Consiglio d'Europa (99) 19 preclude dalla possibilità d'esercitare un azione penale per gli stessi fatti affrontati nel processo di mediazione.

3.5.5 Le parti nella mediazione

Per iniziare mi soffermerò brevemente sull'ufficio di mediazione. La Raccomandazione (99) 19 del Consiglio d'Europa esige che l'ufficio di mediazione goda di sufficiente autonomia rispetto agli organi del sistema penale nello svolgimento del proprio lavoro. Ciò senza pregiudicare il rapporto di collaborazione che deve sussistere tra ambedue gli organi. L'ufficio di mediazione deve infatti operare in stretto collegamento agli organi della giustizia dal momento che sono coloro che devono individuare i casi da destinare al programma di mediazione e coloro che detengono la responsabilità sulla legalità dell'intero processo di mediazione compreso il rispetto dei diritti delle parti. L'autonomia concessa dalla raccomandazione europea all'ufficio di mediazione comprende l'opportunità di elaborare degli appositi codici etici e di condotta. La normativa del Consiglio d'Europa richiede inoltre come requisito fondamentale la neutralità della sede dell'ufficio di mediazione che deve possibilmente trovarsi in luogo diverso dal tribunale dei minori. Altri requisiti previsti dalla normativa europea fanno riferimento all'opportunità dell'elaborazione di standards sull'organizzazione e sul funzionamento del servizio di mediazione. Tali standards dovrebbero essere riconosciuti dalle istituzione pubbliche a livello locale e nazionale anche se non necessariamente tramite legge. Infine la raccomandazione considera auspicabile che l'Ufficio di mediazione venga monitorato da un organo indipendente.

3.5.5.1 La vittima

Abbiamo visto che la nascita della giustizia riparatrice è strettamente legata alla volontà di offrire alla vittima la possibilità di partecipare attivamente al processo penale. Il ruolo del diritto penale moderno è stato quello di neutralizzare la vittima al fine di evitare reazioni vendicative da parte della medesima. La possibilità di riparare la vittima, di prendere in considerazione i suoi bisogni è stata spesso considerata come una minaccia al ius puniendi dello Stato. Oggi tuttavia esiste una posizione prevalente favorevole ad accordare maggiore protagonismo alla vittima anche da parte della normativa europea. (29). Il sistema di giustizia si scopre oggi particolarmente sensibile agli effetti negativi della vittimizzazione. La vittima, infatti, non soltanto subisce il reato e i suoi effetti materiali, ma spesso deve affrontare anche delle conseguenze di ordine morale, psicologico, sociale, e via discorrendo che possono essere risolte con la partecipazione all'incontro di mediazione.

La vittima accede alla mediazione volontariamente una volta che gli viene spiegato in cosa consiste la procedura. La mediazione diventa un momento molto importante per la vittima poiché riesce ad esprimere i suoi sentimenti all'autore del reato e a stabilire insieme a lui le caratteristiche della riparazione.

3.5.5.2 L'autore del reato

L'ambito soggettivo d'applicazione della legge 5/2000 cambia rispetto a quello previsto dalla legge del 1992. Mentre quest'ultima si occupava dei minori dai dodici ai sedici anni d'età, la nuova legge è destinata ad essere applicata ai minori dai quattordici ai diciotto anni. L'ambito d'applicazione soggettivo viene dunque modificato in modo da favorire la partecipazione di ragazzi che abbiano raggiunto la maturità sufficiente per affrontare in modo consapevole il percorso mediativo.

Spesso i minori che accedono alla giustizia non sono ben consapevoli dei danni che hanno provocato alle loro vittime. Essi, in altre parole, sanno bene di aver “fatto qualcosa di male”, ma non mettono in relazione questo “fatto” con la vittima. In questo senso la mediazione permette al minore di mettersi nei panni della vittima e conseguentemente di rendersi responsabile dei suoi atti.

3.5.5.3 Il mediatore

La funzione del mediatore non è quella di risolvere il conflitto ma piuttosto quella di promuovere e favorire il dialogo tra le parti. Il mediatore deve in prima battuta preparare le parti all'incontro e in un secondo momento condurre il processo di mediazione. Durante l'incontro il mediatore introduce elementi di riflessione che favoriscono, se serve, il cambio nell'atteggiamento delle parti. Indubbiamente è anche compito del mediatore istaurare una atmosfera sincera e rispettosa in un contesto dove non si devono verificare degli squilibri di potere.

Alla nascita del programma di mediazione, la sua equipe era composta dalla figura ormai scomparsa del delegato d'assistenza del minore che aveva il compito di accompagnare il ragazzo sottoposto alla misura della libertà vigilata in un percorso rieducativo all'interno del proprio ambiente di vita. Attualmente ne fanno parte preminentemente operatori sociali. Essi non ricevono una formazione specifica ma hanno la possibilità di usufruire di quaranta ore di formazione continua all'anno che solitamente dedicano alle tematiche della mediazione. Comunque spesso i membri del gruppo di mediazione per propria iniziativa decidono di realizzare dei corsi di perfezionamento e dei master relativi a questo argomento benché non siano richiesti dal programma.

3.5.6 I dati della mediazione

Il funzionamento dei programmi di mediazione viene sottoposto a valutazione sistematica, sia della stessa equipe di mediazione che da parte di ricercatori universitari degli atenei barcellonesi, sia infine da parte del Centro di studi giuridici e formazione specializzata della Generalitat di Catalogna. Tale valutazione riguarda innanzitutto una revisione periodica degli obbiettivi generali del programma concedendo speciale attenzione all'analisi delle mediazioni realizzate, alla necessità di integrare le risorse umane o infine a garantire la formazione adeguata e permanente del personale coinvolto nel programma. Vengono inoltre eseguite ricerche quantitative e qualitative sulle esperienze realizzate al fine di controllare in itinere l'efficacia nell'applicazione degli interventi, il raggiungimento delle finalità previste, la necessità di trasformazione e di adeguamento del programma stesso. Dal mese di maggio del '90 a maggio del '99 sono state realizzate tre ricerche di valutazione del programma. La prima dopo un anno dall'avviamento del programma fu realizzata dal gruppo di mediazione in collaborazione con il Centro di studi giuridici e formazione specializzata del Dipartimento di giustizia della Generalitat di Catalogna. La seconda ricerca elaborata dal Dipartimento di psicologia dell'Università autonoma di Barcellona in collaborazione con il gruppo di mediazione aveva come obiettivo la conoscenza dei giudizi e delle valutazioni sul funzionamento del programma di mediazione da parte degli autori e delle vittime dei reati. Infine il terzo lavoro di analisi fu realizzato dal gruppo di mediazione insieme ai tecnici del Dipartimento di giustizia della Generalitat di Catalogna allo scopo di stabilire le basi di un sistema di autovalutazione permanente.

Dalla prima ricerca di valutazione relativa al primo anno di operato del programma si evidenzia come dato significativo la presenza troppo numerosa di minori molto giovani nel programma (30). Si rileva che l'11,8% dei minori che avevano avuto accesso al programma avevano meno di 12 anni. Già allora questo dato aprì la discussione su due punti importanti: il primo relativo alla convinzione che i minori troppo giovani dovessero rimanere al di fuori del sistema della giustizia penale e il secondo sulla difficoltà di svolgere mediazioni con minori troppo giovani non sufficientemente maturi per comprendere il suo significato. Il fatto che in quello stesso anno i minori di dodici anni oggetto della misura di internamento rappresentassero soltanto il 4,9% e quelli oggetto della misura di libertà vigilata fossero il 4,6% dimostrava che i giudici attraverso lo strumento della mediazione cercavano di offrire ai minori la soluzione più innocua. Un altro dato curioso sull'applicazione del programma durante il primo anno del suo funzionamento riguarda la tipologia dei reati commessi dai minori. Si è messo in evidenza che il programma è stato applicato soprattutto nei casi di reati lievi che altrimenti sarebbero stati oggetto di ammonimento. In relazione a questo dato, il gruppo di mediazione ha sostenuto che la mediazione non deve essere considerata come il primo gradino nella scala delle misure da applicare ma come un modo diverso di gestire i conflitti anche se sono di carattere grave. La ricerca conclude facendo le seguenti considerazioni conclusive: innanzitutto afferma che tutte le parti escono vincenti dal processo di mediazione. Il minore si responsabilizza per gli atti commessi, la vittima viene soddisfatta moralmente e in alcune occasioni anche materialmente, la giustizia migliora la sua immagine sociale e infine si consegue la pace sociale (31).

Sono anche interessanti i risultati della seconda ricerca realizzata dal Laboratorio di psicologia sociale dell'Università di Barcellona sulle percezioni della vittima e dell'autore del reato sul funzionamento del programma di mediazione. Come dato negativo si evidenzia che una maggioranza delle parti coinvolte, sia tra le vittime che tra gli autori di reato, non era riuscita a cogliere lo spirito e il significato della mediazione. A questo proposito si distingue tra le vittime costituite da istituzioni, che spesso grazie all'impegno che svolgono nell'ambito delle problematiche giovanili riescono ad afferrare meglio il senso della mediazione e quelle costituite da individui, che invece mostrano maggiore difficoltà nel comprendere lo scopo della medesima. Questa mancanza qualitativa d'informazione è attribuita allo scarso interesse concesso da parte della comunità alle problematiche minorili e alla inconsapevolezza generale dell'esistenza di alternative alla giustizia giovanile. Altro punto interessante riguarda l'impressione negativa che la giustizia convenzionale esercita sulla vittima e sull'autore del reato, impressione che la mediazione non riesce a disinnescare. Sembrerebbe che nonostante l'opinione positiva che la mediazione esercita sulle parti coinvolte essa non riesca ad annullare la visione negativa della giustizia. In questo senso la mediazione non consegue l'obiettivo preposto di avvicinare la giustizia al cittadino. Infine si conferma il dato relativo al maggior livello di responsabilizzazione che si riesce ad ottenere nei confronti dei minori più maturi (32).

3.5.6.1 Dati statistici riguardante il periodo 1990/2000

Nel maggio 1990 è stato avviato il programma di mediazione. Da allora la Direzione generale di misure alternative e di giustizia giovanile della Generalitat di Catalogna si è impegnata nella raccolta di dati statistici di diverso genere. In questa sezione si presentano i dati relativi al numero dei partecipanti coinvolti nel programma, il sesso e l'età dei minori, il tipo di reato commesso, le caratteristiche della vittima, il contenuto della mediazione, la percentuale di recidiva e la percentuale degli interventi conclusi con successo. Questi dati sono serviti e servono tuttora a comprendere meglio il funzionamento del programma, a individuare le disfunzioni e a perfezionare l'andamento dello stesso. Passiamo allora all'analisi dei dati.

Nel primo grafico possiamo consultare il numero di persone che hanno partecipato con successo al programma di mediazione nel periodo 1990/2000. Il numero totale dei partecipanti in questi anni è stato di 7.746 autori di reato e di 5.106 vittime. La differenza numerica tra il numero di ragazzi e di vittime che hanno partecipato al programma di mediazione è dovuta al fatto che i primi di solito agiscono in gruppo. Si verifica infatti una media di 1,6 ragazzi per singola vittima.

Figura 1. Partecipazione al programma di mediazione. Anni 1990-2000
Figura 1

Dalla tabella che si presenta qui di seguito si scopre che si è prodotto un notevole aumento dei minori che hanno partecipato al programma di mediazione negli ultimi tre anni.

Tabella 1. Anni 1990-2000
1990-1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 Totale
Autori reato 671 586 691 605 601 639 757 1019 1055 1122 7746
Vittime 483 389 386 354 316 369 507 772 703 827 5106

La figura 2 ci mostra la percentuale di maschi e di femmine che hanno partecipato al programma di mediazione nel periodo di tempo considerato. Tale percentuale corrisponde in modo quasi esatto alla percentuale di ragazzi/e sottoposti a processo penale. La percentuale corrispondente a questi dieci anni è di 85,5 ragazzi e di 14,5 ragazze. Negli ultimi quattro anni si è verificato un aumento importante della partecipazione delle ragazze al programma di mediazione. Laddove nell'anno 1990/1991 la percentuale delle ragazze era soltanto del 10,1% nell'anno 2000 essa raggiungeva il 20,77% (tabella 2). Il programma di mediazione ha svolto altresì un ruolo di osservatorio sociale della popolazione giovanile posta a disposizione giudiziale. Sebbene negli anni passati la condotta deviante era patrimonio delle classi sociali più disagiate negli ultimi anni il fenomeno sembra riguardare in maniera omogenea i diversi ceti sociali. Sembrerebbe che i ceti medi e alti della società si siano incorporati allo scenario della devianza giovanile attraverso la commissione di atti di tempismo, furti nei centri commerciali, risse e altri tipi di condotte di inciviltà.

Figura 2. Sesso. Anni 1990-2000
Figura 2
Tabella 2. Sesso. Evoluzione annuale: anni 1990-2000
1990-1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
Ragazzi 89,9 87,9 90,6 90,2 85,9 87,5 84,5 80,96 78,77 79,23
Ragazze 10,1 12,1 9,4 9,8 14,1 12,5 15,5 19,04 21,23 20,77

Dalla figura 3 risulta che la percentuale dei ragazzi minori di quattordici anni che hanno partecipato al programma di mediazione nel periodo di tempo considerato è del 20% mentre quella dei ragazzi tra i quattordici e i sedici anni è del 80%. La tabella 3 ci mostra invece che nel primo anno, il 33,5% dei minori che avevano partecipato al programma di mediazione avevano meno di quattordici anni. Dal 1990 al 1997 più del 80% dei minori che avevano partecipato al programma di mediazione avevano più di quattordici anni. Si tratta di un dato positivo tenuto conto che oggi è considerato un requisito fondamentale per poter partecipare al programma aver raggiunto la maturità sufficiente per comprendere lo spirito e le conseguenze dell'attività di mediazione. Per questo motivo risulta sorprendente che negli ultimi anni, dal 1998 al 2000, si sia verificato un aumento nella partecipazione al programma dei ragazzi minori di quattordici anni che passa dal 12,2% nel 1997 al 21,3% nell'anno 2000.

Figura 3. Età. Anni 1990-2000
Figura 3
Tabella 3. Età. Evoluzione annuale: anni 1990-2000
1990-1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
< 14 anni 33,5 21,9 16,0 16,5 19,2 15,8 12,2 21,89 19,81 21,3
14-16 anni 66,5 78,1 84,0 83,5 80,8 84,2 87,8 77,62 79,15 78,25

Le vittime si possono suddividere in due gruppi: istituzioni e persone. Il primo gruppo comprende le ditte (centri commerciali, fabbriche, trasporti pubblici, ecc.) che hanno subito danni materiali. In questo caso non c'é la componente di vitimizzazione personale sebbene ciò non impedisce che nell'incontro tra le parti si affronti il conflitto provocato come conseguenza del reato. Nei casi in cui la vittima del reato sia una persona, l'elemento di vittimizzazione riveste dimensione personale ed emotiva che porta conseguentemente ad attribuire alla riparazione morale e simbolica significato particolare. La mediazione diviene più complessa quando la vittima del reato risulta essere un altro minore. In questi casi si riscontra un importante coinvolgimento da parte degli adulti rappresentati legali del minore. Essi manifestano spesso un atteggiamento eccessivamente protezionista nei confronti del minore vittima ostacolando il dialogo tra le parti. La figura 4 presenta le diverse tipologie di vittima nel periodo dal 1990 al 1997: la percentuale più alta è costituita dalle istituzioni, seguita dalle persone adulte e molto da vicino dai minori. Le istituzione costituiscono il 49,3% delle vittime mentre le persone rappresentano il 50,7% (33).

In questi anni si è accolto con piacere il fatto che la vittima di solito non si rifiuti a partecipare al programma di mediazione. Anzi nel periodo tra il 1990 e il 1999, solamente il 13% delle vittime si sono rifiutate di partecipare al programma di mediazione mentre l'87% hanno aderito al programma mostrando diversi livelli d'interesse. Di solito la vittima si rifiuta di partecipare nei casi di conflitti di poco rilievo. Per quanto riguarda i minori si rileva invece che il 50% accetta di partecipare al programma mentre l'altro 50% preferisce percorrere la via giudiziaria (34).

Figura 4. Tipologia di vittime. Anni 1990-1997
Figura 4
Tabella 4. Tipologie delle vittime. Evoluzione annuale: Anni 1990-1997
1990-1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997
Minori 23,0 16,3 26,0 23,2 21,1 23,9 28,3
Adulti 31,0 29,8 23,7 25,0 17,0 37,9 28,8
Scuole 6,0 8,3 4,9 5,8 4,4 2,2 3,6
Istituzioni 40,0 45,6 45,4 46,0 57,5 36,0 39,3

La figura 5 mostra le tipologie di reato più comuni commesse dai minori tra il 1990 e il 1997. I reati più comuni sono i danni contro la proprietà, che costituiscono oltre il 50% dei reati, seguiti dalle lesioni, che costituiscono il 17,3%. Tra i danni contro la proprietà, i più comuni sono il furto di motorini e i piccoli furti nei centri commerciali, e i danni generici all'arredo urbano. Secondo il parere del gruppo di mediazione, gli anni '90 si sono caratterizzati per l'emergenza di atti che si collocano ad entrambi i lati della frontiera tra le proibizioni morali e quelle legali. Questi tipi di reati sono l'ingiuria, la rissa, il vandalismo contro l'arredo urbano, i trasporti, gli stabilimenti pubblici e la conflittualità in ambiente scolare. Nei primi anni, il programma si era occupato principalmente di piccoli reati (35). A questo primo periodo è seguito una seconda fase, dall'entrata in vigore della legge 4/1992, in cui il programma ha incominciato ad occuparsi anche di reati gravi. Sono rimasti comunque esclusi dall'ambito di intervento del programma i reati molto gravi, quali l'omicidio o lo stupro e quelli gravi accompagnati da violenza o intimidazione. Il gruppo di mediazione ha accertato che nei casi di furto con violenza o intimidazione e in quelli di lesioni, la mediazione ha avuto un impatto molto positivo sulla vittima. Concretamente la mediazione ha aiutato le vittime a superare i sentimenti di paura e angoscia che spesso possono comportare la perdita dell'autostima e la fiducia in se stessi. Si è anche verificato un notevole incremento degli interventi nei casi di furto con forza che sono passati da un 10,6% nell'anno 1990/1991 al 18,4% nel 1997 (36).

Figura 5. Tipologia di reati. Anni 1990-1997
Figura 5
Tabella 5. Tipologia di reati. Evoluzione annuale: anni 1990-1997
1990-1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997
Danni generici 33,0 28,9 32,4 30,5 25,7 22,5 15,5
Danni contro la proprietà 20,7 27,1 23,0 20,4 25,5 30,0 26,0
Lesioni 15,8 12,1 18,0 16,5 20,8 16,9 21,0
Furto con forza 10,6 12,7 12,6 17,4 16,7 18,5 18,4
Furto con violenza/intimidazione 1,3 5,7 0,0 2,5 6,0 4,5 8,1
Altri 18,6 13,5 14,0 12,7 5,3 7,6 11,0

Gli interventi di mediazione che nei primi dieci anni si sono conclusi con successo sono stati l'82,4%. Soltanto il 17,6% delle mediazioni sono fallite. I motivi del fallimento riguardano prioritariamente l'inadempimento degli impegni presi da parte del minore, il disaccordo manifesto tra le parti, la valutazione negativa da parte del mediatore sull'opportunità di intraprendere la mediazione, ecc.

Figura 6. Interventi conclusi con successo. Anni 1990-2000
Figura 6
Tabella 6. Interventi conclusi con successo. Evoluzione annuale: anni 1990-2000
1990-1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
Con successo 82,0 83,3 80,2 83,9 85,9 87,8 80,3 80,1 78,3 82,4
Senza successo 18,0 16,7 19,8 16,1 14,1 12,2 19,7 19,9 21,7 17,6

Per ciò che riguarda il contenuto della mediazione si dispongono dei dati relativi agli anni 1990 - 1997. Dai dati risulta che l'incontro tra le parti, minore, vittima e mediatore, sia avvenuto nel 67% dei casi, nei quali non sempre si è verificata una riparazione di tipo economico ma spesso la vittima si è accontentata di una riparazione simbolica o morale caratterizzata dal dialogo, con le scuse del minore e l'impegno di non essere recidivo. Nel 21% di questi casi si è verificata una riparazione di tipo economico o in beneficio della vittima. Nel 6,4% dei casi si è compiuta una riparazione indiretta attraverso lo svolgimento da parte del minore di un'attività in beneficio della comunità. In questi casi l'accordo può essere stato il frutto di un incontro con o senza la vittima. Nel 26,6% dei casi la mediazione ha consistito nel chiedere scusa alla vittima attraverso l'intermediazione del mediatore o anche mediante una lettera. Si tratta dei casi in cui il reato è considerato irrilevante per la vittima e quindi non si è verificato l'incontro tra le parti (37).

Figura 7. Contenuto della mediazione. Anni 1990-1997
Figura 7
Tabella 7. Contenuto della mediazione. Evoluzione annuale: anni 1990-1997
1990-1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997
Conciliazione/Riparazione 65,9 61,6 72,7 74,4 74,7 72,2 47,3
Scuse 22,0 24,6 23,5 20,0 22,8 23,9 49,4
Riparazione in beneficio comunità 12,1 13,8 3,8 5,6 2,5 3,9 3,3

Infine per quanto riguarda la recidiva si dispone dei dati relativi agli anni 1990 - 1997. La Direzione generale di misure penali alternative e di giustizia giovanile della Catalogna ha rilevato che i casi di recidiva nell'arco di tempo superiore ai cinque anni colpisce il 18,5% di tutti i minori posti a disposizione giudiziale mentre a corto raggio (un anno) la percentuale è stata del 13,2% dei minori. Nei casi invece di minori che avevano partecipato al programma di mediazione, la percentuale di recidiva oscillava tra il 7 e il 9% nei periodi brevi ed è stata del 17% nel periodo di otto anni che va dal 1990 al 1997. Il fatto che la recidiva sia inferiore nei casi dei minori che accedono al programma di mediazione rispetto ai minori che affrontano il processo minorile conferma la posizione secondo cui la pena non sempre rappresenta la soluzione più adeguata al conflitto (38).

Figura 8. Recidiva. Anni 1990-1997
Figura 8

L'ultimo dato d'interesse riguarda la percentuale dei minori scolarizzati che rappresenta l'82% dei minori nel periodo dal 1990 al 1999 rispetto al 18% dei minori era iscritto a scuola (39).

3.5.7 Bilancio conclusivo

Secondo quanto stabilito nel punto terzo della Raccomandazione (99) 19 del Consiglio d'Europa, la mediazione in ambito penale dovrebbe essere un servizio generalmente disponibile. In Spagna sono ancora pochi gli uffici di mediazione operativi nel territorio ed è proprio per questo motivo che l'esperienza catalana acquisisce un valore e un significato fondamentale. Il suo principale merito è stato quello di imporsi anche quando la legge non offriva alcuno spazio per la messa a punto di progetti analoghi e di aver colto un momento favorevole al cambiamento per introdursi nel panorama nazionale.

In questi dieci anni il Dipartimento di giustizia è riuscito ad adattare il programma alle esigenze emergenti e alle finalità e agli obiettivi che via via sono stati prefissati. Si è partiti con l'obiettivo di predisporre uno strumento utile ai minori devianti e in corso d'opera si è compreso il vantaggio che comportava anche per la vittima. Ad oggi ci troviamo davanti ad un programma che privilegia nello stesso modo l'autore del reato e la vittima.

Dalle valutazioni che si sono realizzate nei primi dieci anni di lavoro del programma si riscontra un andamento positivo del suo funzionamento. Queste valutazioni sono anche servite a individuare i punti deboli e a migliorarli. Sulla base dell'analisi dei risultati di questi primi dieci anni di funzionamento del programma, Jaume Martín Barberan esprime le seguenti impressioni: innanzitutto le parti escono vincenti dall'attività di mediazione, la giustizia viene percepita più vicina al cittadino e migliora la sua immagine inizialmente negativa. Inoltre le parti percepiscono che non solo si reagisce nei confronti del reato ma che in più viene offerta loro la possibilità di partecipare alla soluzione. La capacità della giustizia di affrontare i danni morali e materiali subiti dalla vittima cresce. Il programma permette inoltre di prendere in considerazione allo stesso tempo la gravità del reato, come definita dal diritto penale, e le caratteristiche particolari del conflitto come vissute dalle parti. Infine Jaume Martín conclude che le vittime si sentono meno vittimizzate e gli autori più responsabili e meno “delinquenti” (40).

Note

1. Si tratta delle ricerche svolte da: Jaume Funes e Santiago Redondo, Estudio sobre la reincidencia, Barcelona, Centre d'Estudis Jurídics i Formació Especialitzada, 1993, Philippe Robert, Informe del C.E.S.D.I.P., 1992-1993, Annie Kensey e Ptourniev, Le retour en prison, Paris, 1991.

2. E. Giménez Salinas y Colomer, La conciliación víctima delinquente: Hacia un derecho penal reparador en Victimología, Cuadernos de derecho judicial, Consejo general del poder judicial, Madrid, 1993, p. 351-352.

3. E. Giménez Salinas y Colomer, La mediación en el sistema de justicia juvenil: una visión desde el derecho comparado, en Menores privados de libertad, Cuadernos de derecho judicial, Consejo General del Poder Judicial, Madrid, 1996, p. 58.

4. E. Giménez Salinas y Colomer, La mediación en el sitema de la justicia juvenil: una visión desde el derecho comparado en Menores privados de libertad, Cuadernos de derecho judicial, Consejo general del poder judicial, Madrid, 1996, p. 63.

5. E. Giménez Salinas y Colomer, La conciliación víctima delinquente: Hacia un derecho penal reparador en Victimología, Cuadernos de derecho judicial, Consejo general del poder judicial, Madrid, 1993, p. 356.

6. E. Giménez Salinas y Colomer, La mediación en el sistema de la justicia juvenil: una visión desde el derecho comparado en Menores privados de libertad, Cuadernos de derecho judicial, Consejo general del poder judicial, Madrid, 1996, p. 63. N. Christie, Abolire le pene? Il paradosso del sistema penale, Edizione Gruppo Abele, Torino, 1985.

7. M. Pavarini, Abolizionismo e abolizionismi: un primo chiarimento (Introduzione), in N. Christie, Abolire le pene? Il paradosso del sistema penale, Edizione Gruppo Abele, Torino, 1985, p. 19.

8. M. Pavarini, Abolizionismo e abolizionismi: un primo chiarimento (Introduzione), in N. Christie, Abolire le pene? Il paradosso del sistema penale, Edizione Gruppo Abele, Torino, 1985, p.24.

9. Heike Jung, Tony Marshall, La médiation. Remarques liminaires, Strasbourg, 1997. E. Giménez-Salinas i Colomer, La mediación y la reparación. Aproximación a un modelo, en AA.VV., La mediación penal, en Justícia i Societat, num. 19, Centre d'Estudis Jurídics i Formació Especialitzada, Barcelona, 1999, p. 19.

10. Il Comitato era composto da esperti dei seguenti paesi: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Norvegia, Slovenia, Spagna e Turchia.

11. Council of Europe, Mediation in penal matters: Recommendation No. R (99) 19 and explanatory memorandum, Council of Europe Publishing, Strasbourg, 2000, p. 11-12.

12. Francesco Di Ciò, Un modello “mite” di giustizia: la mediazione penale minorile, in Prospettive sociali e sanitarie, numero 4/1998, Anno XXVIII, Istituto per la ricerca sociale, Milano, marzo 1998, p.6.

13. Dieter Rössner, Wiedergutmachen statt übergurgelten, Täter-Opfer-Auschleich, Bonn, 1989. E. Giménez - Salinas i Colomer, La mediación y la reparación. Aproximación a un modelo, en AA.VV., La mediación penal, en Justícia i societat, Centre d'Estudis Jurídics i Formació Especialitzada, Barcelona, 1999, p. 28.

14. Equipo de mediación de Barcelona, La puesta en marcha de un programa de mediación: conciliación, reparación a la víctima y trabajo en beneficio de la comunidad, en la justicia de menores de Catalunya, in J. Funes Artiaga (a cura di), Mediación y justicia juvenil, Fundació Jaume Callís, Barcelona, 1995, p. 42.

15. Council of Europe, Mediation in penal matters: Recommendation No. R (99) 19 and explanatory memorandum, Council of Europe Publishing, Strasbourg, 2000, p. 12-14.

16. D. Gaddi, Catalunya, la scoperta della mediazione, in Rassegna Italiana di Criminologia, fascicolo n. 2 del 2000, p. 212.

17. J. Martín Barberán, La justice réparatrice en Catalogne et le débat sur les alternatives, in Mediares, C.R.I.S.I., Centro ricerche interventi stress interpersonale, Numero unico, Bari, 2000, p. 49-50.

18. Equipo de mediación del Departamento de justicia, La mediación penal juvenil en Cataluña, en AA.VV., La Mediación penal, en Justícia i Societat, num. 19, Centre d'estudis jurídics i formació especialitzada, Barcelona, 1999, p. 41.

19. Equipo de mediación del Departamento de justicia, La mediación penal juvenil en Cataluña, en AA.VV., La Mediación penal, en Justícia i Societat, num. 19, Centre d'estudis jurídics i formació especialitzada, Barcelona, 1999, p. 41- 43.

20. Si può dunque affermare che la legislazione come previsto dal punto 6 della Raccomandazione (99)19 favorisce le procedure di mediazione.

21. J. Dapena, La mediació i reparació, Justiforum num. 11, Centre d'Estudis Jurídics i Formació Especialitzada, Barcelona, 2000, p. 21.

22. Equipo de mediación del Departamento de justicia, La mediación penal juvenil en Cataluña, en AA.VV., La Mediación penal, en Justícia i Societat, num. 19, Centre d'estudis jurídics i formació especialitzada, Barcelona, 1999, p. 45.

23. J. Dapena, La mediación y la reparación, en Justiforum, num. 11, Centre d'estudis jurídics i formació especialitzada, Barcelona, 2000, p. 8.

24. Equipo de mediación del Departamento de justicia, La mediación penal juvenil en Cataluña, en AA.VV., La Mediación penal, en Justícia i Societat, num. 19, Centre d'estudis jurídics i formació especialitzada, Barcelona, 1999, p. 45-46.

25. M.R. Ornosa Fernández, Derecho penal de menores: Comentarios a la Ley orgánica 5/2000, de 12 de enero, reguladora de la responsabilidad penal de los menores, Editorial Bosch, Barcelona, 2001, p. 251-252.

26. Daniela Gaddi, Catalunya. La scoperta della mediazione, in Rassegna italiana di criminologia, fascicolo numero 2, 2000, p. 219.

27. Nel rispetto del punto nono della Raccomandazione del Consiglio d'Europa (99)19 sulla mediazione in ambito penale che dispone che la decisione di deviare un caso verso il processo di mediazione così come la valutazione del risultato della procedura di mediazione deve essere riservata alle autorità della giustizia penale.

28. J. Dapena, La mediació i repaarció, en Justiforum, num. 11, Centre d'Estudis Jurídics i Formació Especialitzada, Barcelona, 2000, p. 12.

29. Raccomandazioni del Comitato dei ministri (83) 7 sulla partecipazione dei cittadini nella politica criminale, (85) 11 sulla posizione della vittima nell'ambito del diritto e del processo penale, (87)18 relativa alla semplificazione della giustizia penale, (87) 20 sulle reazione sociale nei confronti della giustizia giovanile, 87 (21) sull'assistenza alla vittima e la prevenzione della vittimizzazione, (99) 19 sulla mediazione in ambito penale. E. Giménez-Salinas i Colomer, La mediación y la reparación. Aproximación a un modelo, en AA.VV., La mediación penal, en Justícia i Societat, num. 19, Centre d'Estudis Jurídics i Formació Especialitzada, Barcelona, 1999, p.23.

30. A questo proposito bisogna tenere presente che durante il primo anno di operato del programma di mediazione era ancora in vigore la legge dei tribunali tutelari dei minori del '48 che non stabiliva un età minima di responsabilità penale.

31. J. Funes i Artiaga, J. Martín Barberan, Cifras e ideas: El balance de las primeras prácticas, en J. Funes Artiaga (director), Mediación y justicia juvenil, Fundació Jaume Callís, Barcelona, 1995, p.70-134.

32. E. Albà, F. Elejabarrieta, S. Portillo, C. Trinidad, M. Vilaso, Los programas de mediación: Qué piensan y cómo los viven las partes implicadas, en J. Funes Artiaga (director) Mediación y justicia juvenil, Fundació Jaume Callís, Barcelona, 1995, p. 111-119.

33. J. Martín Barberan, J. Dapena Méndez, La mediación penal juvenil en Cataluña, en AA.VV., La mediación penal, en Justícia i Societat, num. 19, Centre d'estudis jurídics i formació especialitzada, Barcelona, 1999, p. 58.

34. J. Martín Barberan, La médiation pénal dans le système de justice juvénile en Espagne: L'exemple catalan, Corso di legislazione minorile, Seminario presso l'Ordine degli Avvocati di Bari, Bari, 2001, p. 10.

35. In questi primi anni di applicazione del programma si è verificato il fenomeno dell'“estensione del controllo sociale”. Sono stati infatti deviati al programma di mediazione dei casi che nonostante costituissero reato non sarebbero stati secondo la dottrina perseguiti dalla giustizia. Questa situazione ha portato diversi autori a sostenere l'uso della mediazione esclusivamente nei casi che comportano l'apertura di un processo penale e nei casi di fatti di una certa gravità.

36. J. Martín Barberan, J. Dapena Méndez, La mediación penal juvenil en Cataluña, en AA.VV., La mediación penal, en Justícia i Societat, num. 19, Centre d'estudis jurídics i formació especialitzada, Barcelona, 1999, pp.59-60.

37. J. Martín Barberan, J. Dapena Méndez, La mediación penal juvenil en Cataluña, en AA.VV., La mediación penal, en Justícia i Societat, num. 19, Centre d'estudis jurídics i formació especialitzada, Barcelona, 1999, pp. 62-64.

38. J. Martín Barberan, J. Dapena Méndez, La mediación penal juvenil en Cataluña, en AA.VV., La mediación penal, en Justícia i Societat, num. 19, Centre d'estudis jurídics i formació especialitzada, Barcelona, 1999, pp. 64-65.

39. J. Martín Barberan, La médiation pénal dans le système de justice juvénile en Espagne: L'exemple catalan, Corso di legislazione minorile, Seminario presso l'Ordine degli Avvocati di Bari, Bari, 2001, p. 9.

40. J. Martín Barberan, La Médiation pénal dans le système de justice juvénile en Espagne: L'exemple catalan, Corso di legislazione minorile, Seminario presso l'Ordine degli Avvocati di Bari, Bari, 2001, pp. 11-12.