ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

1. Il processo penale minorile dal 1948 al 2000

Paola Sánchez-Moreno, 2002

1.1 La Scuola classica e la Scuola positiva

Secondo le parole dell'insigne penalista spagnolo Jiménez de Asua "le scuole penali sono l'insieme organico di concezioni contrapposte sulla legittimità del diritto ad applicare delle pene, sulla natura del reato e sul fine delle sanzioni" (1). Le due principali scuole penali di tutti i tempi sono state la Scuola classica e la Scuola positiva, che si sono poste come obiettivo principale lo studio del crimine, dell'autore del reato e della pena. La Scuola classica è nata alla fine del secolo XVIII, sotto l'influenza dell'Illuminismo e alcuni suoi principi sono tuttora di grande attualità, come il principio di legalità e della proporzionalità della pena. Il precursore della Scuola classica è stato l'italiano Cesare Beccaria che nella sua opera Dei delitti e delle pene, criticava il diritto penale della monarchia assoluta e illustrava le teorie del pensiero penale Illuminista.

Nella seconda metà dell'Ottocento nasce la Scuola positiva come reazione ai principi sostenuti dalla Scuola classica. Essa sorge con l'opera di Lombroso, L'uomo delinquente, e successivamente si sviluppa nelle teorie di Ferri, Garofalo, ecc. La Scuola positiva risponde a una nuova corrente di pensiero di carattere scientifico che usa come strumenti fondamentali nella sua ricerca le nuove scienze, quali la biologia, la psicologia, l'antropologia, ecc.

Sia le teorie della Scuola classica che quelle della Scuola positiva hanno avuto un influenza fondamentale nella dottrina penale spagnola. Diversi sono stati i penalisti che hanno fatto proprie queste teorie e che le hanno diffuse in Spagna attraverso i loro scritti, le loro lezioni universitarie e i loro discorsi politici. Evidentemente queste idee non sempre hanno avuto lo stesso sviluppo in Spagna che in Italia ma al contrario si sono adattate al contesto nazionale e hanno goduto di propria identità e autonomia, anche se si può parlare di una vera corrente di pensiero spagnola solo nel caso del correzionalismo. Quest'ultimo ha avuto origine dalle teorie di Röder ma ha goduto di scarso interesse nel proprio paese d'origine, la Germania. La diffusione delle teorie correzionali in Spagna alla fine del secolo XIX e l'inizio del XX è stata importante grazie sopratutto a Giner de los Ríos e Romero Girón, che si erano occupati della traduzione dell'opera di Röder.

1.1.1 La Scuola classica e il modello processuale giudiziale

La Scuola classica nasce alla fine del secolo XVIII come reazione alle ingiustizie praticate durante l'Ancien Régime. Il diritto penale della Monarchia assoluta si caratterizzava infatti per la sua straordinaria crudeltà. Le pene erano sproporzionate rispetto ai delitti e avevano come fine ultimo l'intimidazione. Spesso veniva applicata la pena di morte anche per piccoli furti e il giudice disponeva di piena libertà nella scelta delle sanzioni da imporre, che mutavano in corrispondenza allo strato sociale di appartenenza della persona. Nei casi di reati gravi la pena si estendeva addirittura ai parenti stretti dell'autore del reato (2).

In questo contesto di gravi ingiustizie, la Scuola classica proponeva un'immagine nuova dell'uomo, come essere libero, razionale e uguale, capace di controllare ogni sua azione. I principi cardinali sui quali si sviluppa la Scuola classica possono essere sintetizzati nei punti seguenti. Si parte dal presupposto che non esistano differenze qualitative tra l'uomo onesto e l'uomo delinquente e che dunque, il comportamento delittuoso sia il frutto dell'uso sbagliato della propria libertà. L'uomo sceglie il male potendo invece scegliere di rispettare la legge. Si parla infatti del "libero arbitrio" e della responsabilità individuale della persona per le azioni commesse. Il massimo esponente della Scuola classica è stato Cessare Beccaria. Egli fonda l'esistenza del diritto penale sul contratto sociale, strumento attraverso cui l'uomo cede una piccola parte della sua libertà al fine di vivere liberamente e serenamente in società. La pena svolge una funzione utilitaristica preventiva generale, si pone cioè l'obiettivo di frenare le tendenze criminali attraverso la minaccia della sua applicazione. Il modello classico si mostra favorevole alle pene predeterminate e proporzionate alla gravità dei reati e si oppone all'eccessivo arbitrio giudiziale, alla crudeltà delle sanzioni e alla disuguaglianza delle persone di fronte alla legge penale. Si cerca dunque l'equilibrio fra l'esigenza della certezza della legge e la garanzia dei diritti degli individui. Nello studio del crimine, la personalità dell'autore del reato viene completamente sottovalutata. Il crimine è infatti considerato come un atto individuale, isolato, non riconducibile a una certa realtà sociale o a un certo modo d'essere. L'importante è il reato e non l'autore del medesimo.

L'Illuminismo si manifesta in Spagna più tardi rispetto al resto dell'Europa, e infatti l'opera di Beccaria viene tradotta in spagnolo solo dopo dieci anni dalla data della sua pubblicazione nel 1774. Montesquieu e Beccaria sono gli illuministi che hanno esercitato un influenza maggiore sui penalisti spagnoli. Il pensiero di Bentham è arrivato dopo, verso l'inizio del XIX secolo e ha giocato un ruolo fondamentale nell'elaborazione del primo Codice penale spagnolo del 1822. Il pensiero illuministico spagnolo presenta delle particolarità rispetto a quello italiano. Il dato più caratteristico dell'Illuminismo spagnolo risiede nel ruolo fondamentale che detiene la tradizione cristiana. Manuel de Lardizábal y Urive, principale esponente dell'Illuminismo, accetta la teoria Beccariana sul contratto sociale ma cerca di conciliarla con le sue credenze religiose. Il diritto di punire non si fonda unicamente sul contratto sociale ma trova la propria origine in Dio, colui che concede tale potere ai governanti. Lardizábal era un convinto sostenitore della monarchia assoluta e tuttavia si schiera a favore del principio di legalità e della proporzionalità della pena e critica l'arbitrio giudiziale. La difesa della pena di morte e l'opposizione al principio dell'uguaglianza degli uomini di fronte alla legge penale rappresentano altri tratti caratteristici dell'Illuminismo spagnolo. Viene assegnato infine un ruolo rilevante alla funzione di prevenzione speciale della pena rispetto a quella generale (3).

Il minore delinquente non godeva dell'applicazione di un diritto penale speciale rispetto all'adulto. Nei codici penali del 1822 e del 1848, ambedue basati sui principi dell'Illuminismo, si stabiliva un limite di età di 7 e 9 anni rispettivamente sotto il quale il minore non era considerato responsabile per le proprie azioni. Nella fascia di età, tra i 7 e i 17 anni nel codice del '22 e tra i 9 e i 15 in quello del '48, il minore era considerato responsabile solo se aveva agito con discernimento. In questo caso egli era sottoposto allo stesso processo penale degli adulti, processo che prevedeva l'intervento dell'avvocato difensore del minore e del pubblico ministero, l'udienza pubblica e tutte le garanzie giuridico penali previste nel Codice di procedura penale con alcuni accorgimenti dovuti alla minore età del soggetto deviante. Al minore veniva quindi applicata una pena attenuata ma egli veniva rinchiuso in carcere insieme agli adulti. Quest'ultimo fatto portò nel 1834 alla promulgazione di un ordinanza generale sugli istituti penitenziari, che stabiliva nel suo articolo 123 quanto segue: "Per la correzione dei disgraziati giovani (...), ordino che tutti i carcerati minori di 18 anni (...) vivano insieme in una sezione separata dai maggiorenni".

Laddove il minore avesse agito senza discernimento, il Codice penale del '22 prevedeva la consegna del minore ai suoi genitori con il compito di correggerlo e di curarlo. Ma se essi non fossero stati in grado di occuparsi del minore oppure non fossero stati degni di fiducia, quest'ultimo poteva essere consegnato a una casa di correzione per un periodo indeterminato, con l'unico limite temporale del raggiungimento dell'età di venti anni. Al contrario, il Codice del 1848, non prevedeva misura alcuna per coloro che avessero agito senza discernimento ma veniva soltanto dichiarata la loro irresponsabilità. I codici di 1850 e 1870 hanno mantenuto il criterio del discernimento che è stato soltanto sostituito in modo definitivo dal Codice penale del 1928. Quest'ultimo introdusse il criterio biologico dell'età stabilendo nei sedici anni la frontiera della responsabilità penale. Al di sotto di questa età il minore aveva accesso alla giurisdizione dei tribunale tutelari. Il criterio biologico puro, che stabilisce in una determinata età il limite di responsabilità penale, è quello che vige tutt'oggi (4).

Questa situazione complessiva portò alla fine del secolo XIX alla nascita di un movimento a favore dell'istituzione dei tribunali tutelari per i minori con l'obiettivo di sottrarre il minore dall'ambito del diritto penale. Questa tendenza deve essere tuttavia contestualizzata in un movimento culturale ampio intorno al mondo infantile e giovanile e alle nuove scoperte fatte nell'ambito della biologia, psicologia, psichiatria e della sociologia. In base a queste scoperte, si è sostenuto che il minore non possa essere considerato come un piccolo adulto ma come qualcosa di diverso, con un rango sociale proprio e privilegiato e una personalità definita e diversa. Si sono verificati inoltre dei profondi cambiamenti nei rapporti tra genitori e figli che hanno avuto delle conseguenze importanti nelle nuove impostazioni della pedagogia. Come conseguenza di questo movimento culturale, giuridico, scientifico e sociale sono nati i tribunali tutelari per i minori (5).

1.1.2 La Scuola positiva, il correzionalismo tedesco e il modello protezionista

In contrapposizione al pensiero elaborato dalla Scuola classica nasce la Scuola positiva che fa uso di una metodologia diversa, basata nell'osservazione dei fatti e dei dati. La nascita del positivismo è infatti strettamente legata all'elevato grado di sviluppo che in questo periodo avevano raggiunto le scienze naturali. La ricerca empirica aveva ottenuto dei risultati così soddisfacenti nell'ambito della fisica, l'astronomia, l'astrologia, ecc. che viene applicata a tutti gli ambiti del sapere umano (6). Lo sviluppo di questo movimento è inoltre strettamente legato al contesto economico e sociale. In effetti le condizioni di miseria scatenate dalla rivoluzione industriale contribuirono allo sviluppo delle teorie positiviste sull'uomo criminale quale essere anormale e malato. La criminologia sceglie così di giustificare le disuguaglianze sociali provocate dal capitalismo come necessarie diversità naturali (7).

I postulati della Scuola positiva si possono sintetizzare nei seguenti punti. Innanzitutto, la Scuola positiva sposta l'attenzione dal reato al delinquente e dunque l'uomo criminale diventa oggetto di studio approfondito. Si tratta di un soggetto diverso rispetto all'uomo onesto e l'intervento penale si produce infatti come reazione a questa diversità. Il positivismo criminologico rifiuta dunque il concetto di "libero arbitrio" sostenuto dalla Scuola classica. L'uomo delinquente non riesce a controllare le sue azioni e agisce spinto da fattori biologici, psicologici e sociali. Questa posizione determinista fa sì che il criminale venga considerato irresponsabile per i suoi atti. La responsabilità individuale viene sostituita dal concetto di pericolosità del soggetto deviante, che autorizza la società ad applicare delle misure di sicurezza finalizzate a garantire la sua difesa e conservazione. Non si parla più di pena retributiva, strettamente legata al concetto di "libero arbitrio", ma di misura di sicurezza orientata alla prevenzione speciale. Le misure di sicurezza si devono adeguare al singolo soggetto e durare tutto il tempo necessario per garantire la sua cura diventando così di carattere indeterminato. La reazione sociale adotta di conseguenza carattere terapeutico e funzione curativa non repressiva destinata alla riabilitazione sociale dell'autore del reato. Interessa inoltre al positivismo, lo studio delle cause del reato, aspetto quest'ultimo completamente trascurato dalla Scuola classica. Si pensa infatti che grazie alla conoscenza delle cause del reato si possa contrastare meglio il crimine attraverso l'applicazione di programmi di prevenzione. In definitiva, i principali contributi che la Scuola positiva ha apportato alla ricerca criminologica sono stati l'uso di una metodologia scientifica e l'importanza assegnata alla riabilitazione dei criminali.

I due grandi esponenti della Scuola positiva italiana sono stati Lombroso e Ferri, il primo ha sostenuto un approccio antropologico alla criminologia mentre il secondo ha proposto invece un approccio sociologico. Lombroso è considerato il fondatore della moderna criminologia. La teoria lombrosiana si basa fondamentalmente nell'esistenza del delinquente nato, un essere inferiore, atavico, non evoluto. Ferri, invece, mantiene un approccio sociologico alla criminologia. Il crimine secondo lui, non è il prodotto di una patologia individuale ma piuttosto il risultato dell'insieme di fattori antropologici, fisici e sociali. La sua ricerca si concentra nella prevenzione del reato. Non basta, secondo Ferri, l'uso della pena ma bisogna che sia preceduta e accompagnata da riforme adeguate in campo sociale, economico, ecc (8).

In Spagna il positivismo criminologico non arriva da solo ma accompagnato dal correzionalismo tedesco. In realtà furono le idee del correzionalismo ad approdare per prime in Spagna seguite poi da quelle del positivismo. Il correzionalismo ha avuto, infatti, un primo periodo classico e un secondo momento positivista e ha significato la traduzione all'ambito penale della filosofia krausista. L'importanza del correzionalismo risiede nel fatto che è stata considerata l'unica corrente o scuola propriamente spagnola. Röder, principale discepolo del filosofo Krause, considerava il delinquente un essere necessitante di aiuto e protezione, incapace di fare uso della propria libertà nel rispetto del diritto. La pena, secondo Röder, rappresenta un bene per il delinquente e un bene per la società. Secondo Quintero Olivares, Röder difende un "diritto penale dell'animo". La pena infatti è giustificata dall'esistenza di un'intenzione contraria al diritto e non in quanto reazione a una condotta contraria all'ordine materiale o all'interesse individuale o collettivo. Il fine ultimo della pena consiste nella correzione del delinquente e a tale scopo essa adotta durata indeterminata nel tempo (9).

La diffusione delle teorie di Röder in Spagna è stata considerevole. Durante il primo periodo del correzionalismo, quello chiamato classico, i suoi massimi rappresentanti sono stati Concepción Arenal, Luis Silvela e Félix de Aramburu y Zuloaga. Ma forse il correzionalismo spagnolo ha raggiunto i suoi vertici nel periodo positivista.

Il massimo esponente del correzionalismo positivista è stato il penalista Dorado Montero (1861 - 1919). In lui convergono la filosofia del diritto krausista e quella positivista. Sul versante positivista Dorado Montero accetta la tesi determinista della condotta deviante. Non condivide invece il concetto positivista della pena - sanzione e propone la lotta al crimine attraverso l'uso di misure esclusivamente di carattere preventivo. Sul versante correzionalista Dorado Montero vede nel delinquente un soggetto debole e inferiore investito di una volontà difettosa che si manifesta nella commissione del reato. Il trattamento del criminale, indirizzato alla sua correzione e alla sua tutela, deve essere il più possibile personalizzato. Al fine di ottenere la personalizzazione del trattamento, egli difendeva l'arbitrio giudiziale e addirittura negava il principio di legalità dei reati e delle pene. Dorado sognava un "Diritto protettore dei criminali", un diritto penale "senza reati e senza pene" (10). Le sue parole mettono chiaramente in luce l'essenza del suo pensiero:

il diritto tutelare dei minori non è propriamente penale ma opera benefica e umanitaria della pedagogia, psichiatria e arte del buon governo. (...) il delinquente per il solo fatto di esserlo, denuncia uno stato morale debole e miserabile. Da prova certa della sua incapacità di governarsi in modo normale e onesto; nello stesso modo dei pazzi, dei minori di età ... Per questo motivo, tutti hanno bisogno nel proprio beneficio e nell'interesse sociale, di un tipo di protezione tutelare (11).

Dall'inizio del XX secolo fino alla legge del '92, il diritto penale minorile si è ispirato al pensiero positivo correzionale e il processo di creazione delle giurisdizioni speciali per i minorenni si è fondato sulla stessa ideologia.

Il modello processuale cui da vita l'ideologia correzionale positiva è il modello di giustizia minorile civile, anche detto modello assistenziale, che propone una risposta alla devianza minorile nell'ambito dell'amministrazione dello Stato (tramite i servizi sociali) o al di fuori del settore pubblico (nella scuola o nella famiglia). In contrapposizione al modello giudiziale, proprio della Scuola classica, quello assistenziale prevede per i minori un procedimento completamente diverso da quello per gli adulti. L'oggetto del processo non è più il reato commesso ma il soggetto deviante. Quest'ultimo è considerato un malato bisognoso di cure e non più un delinquente che deve essere punito. In tale modello l'intervento del tribunale tutelare non ha più lo scopo della dichiarazione della commissione di un reato. Il tribunale tutelare deve invece determinare se il minore rappresenta un soggetto moralmente "traviato" e, se necessario, individuare la misura più adatta alla sua cura. Nel processo non intervengo né giudici, né accusatori, né difensori ma buoni padri di famiglia che cercano di tutelare e di proteggere il minore e che agiscono come padre, medico e psicologo. Al termine del processo non c'è più una sanzione ma un accordo. Nel disegno di questo modello, gli incaricati di tutelare il minore godono di un ampio potere discrezionale: il giudice accumula nella sua persona le funzioni di accusa, difesa e giudizio; non interviene né il pubblico ministero né l'avvocato difensore; e non esiste contraddittorio tra le parti. Si segue in definitiva il sistema inquisitorio che da via libera alla commissione di abusi di potere e alla violazione dei più basilari diritti del minore (12).

L'insicurezza giuridica che ha accompagnato questo modello ha portato all'elaborazione di modelli misti che hanno permesso di mettere insieme elementi sia del modello giudiziale che di quello assistenziale.

1.1.3 Il modello misto

La lotta tra la Scuola classica e la Scuola positiva si è risolta storicamente in un equilibrio che vige ancora oggi. Questo equilibrio si basa nella divisione dei soggetti in normali e anormali. Ai primi viene applicato il concetto del libero arbitrio è quindi sono considerati imputabili, la pena è determinata e svolge una funzione preferibilmente retributiva. A coloro che invece si trovano in condizioni di anormalità biologica o psichica viene negato il libero arbitrio e dunque la loro imputabilità viene quanto meno accertata. La pena in questo caso diventa indeterminata, di carattere terapeutico e di difesa sociale perdendo quindi il fine retributivo. In definitiva, nei casi di normalità vigono i principi della Scuola classica e al contrario nei casi di anormalità valgono i criteri deterministi e di difesa sociale propri della Scuola positiva (13).

Dal punto di vista processuale, la messa insieme degli elementi della Scuola classica e di quella positiva ha portato alla nascita di un modello misto che vige tuttora. I modelli misti combinano gli elementi garantisti del modello giudiziale, e cioè l'intervento del pubblico ministero e dell'avvocato difensore del minore e, allo stesso tempo propongono un trattamento personalizzato a carattere educativo, volto al reinserimento del minore, che è proprio del modello assistenziale.

Oggi, in Spagna, come avremmo occasione di vedere, la maggioranza della dottrina è favorevole ad affrontare la devianza minorile nell'ambito del processo penale sempre che esso preveda il rispetto di tutte le garanzie di uno Stato democratico di diritto. In parole di Dolz Lago:

il fatto che non siano applicate delle pene ai minori, ma delle 'misure', e che non si pretenda di 'castigare' ma di educare il minore [...] non influisce sulla natura penale del processo, sempre che si sia d'accordo nel sostenere che il diritto penale moderno non persegue la 'punizione' pura e semplice, ma la rieducazione e la riabilitazione sociale del criminale (14).

1.2 La legge dell'11 giugno 1948 dei tribunali tutelari dei minori

Le prime leggi che hanno regolato il processo penale minorile in Spagna risalgono all'inizio del secolo scorso. Infatti la legge che istituì il primo tribunale tutelare dei minori è del 1918, ispirata alla legge belga del 1912 (15). Il regolamento d'applicazione della legge fu dettato nel 1919 e nel 1920 cominciò a lavorare il primo tribunale tutelare dei minori a Bilbao e a Tarragona seguito dal tribunale tutelare di Barcellona nel 1921 e di Valencia nel 1923.

Questa tesi, però, non intende essere di carattere storico ma intende soffermarsi più approfonditamente sulla situazione attuale in Spagna, ed è per questo motivo che inizia il suo percorso storico da una legge relativamente recente come quella del 1948, che fra l'altro riprende senza modifiche rilevanti quella del 1918.

1.2.1 Contesto politico sociale

All'inizio del '900 come conseguenza della miseria provocata dal rapido processo di industrializzazione sorgono in Spagna dei movimenti filantropici di protezione del minore abbandonato. La società industriale aveva portato con sé molta ricchezza ma anche molta povertà. Nelle famiglie proletarie sia l'uomo che la donna dovevano lavorare per riuscire a coprire le spesse familiari e i minori venivano lasciati senza alcun tipo di controllo. In quegli anni era diventato normale vedere gruppi di bambini vagabondare per le strade delle città e commettere dei piccoli furti. Questa situazione portò molti di questi ragazzi davanti ai tribunali. Sono state dunque le trasformazioni economiche e sociali provocate dal processo d'industrializzazione a far scoppiare il problema della delinquenza giovanile. È in questo contesto che Andrés Ibañez afferma che il minore delinquente è un prodotto della società industriale (16).

I primi movimenti filantropici sorgono in Catalogna e nei Paesi Baschi, le due regioni spagnole dove per prima si sperimenta l'industrializzazione. Queste organizzazioni si mostravano preoccupate per la sorte dei minori in carcere e per lo stato di abbandono e d'indigenza in cui molti di essi si trovavano. Grazie alla denuncia portata avanti sulla gravità della situazione dei minori delinquenti e grazie soprattutto all'ideologia positivo correzionale, che fornì le basi ideologiche necessarie, nacque una nuova legislazione speciale per i minorenni (17). Il grande merito di questa nuova legislazione, in parole di Andrés Ibañez, è stato quello di strappare il minore al Codice penale degli adulti e di introdurlo in un ordine diverso attraverso la creazione di un diritto sostantivo e processuale e degli organi giurisdizionali speciali (18).

1.2.2 L'influenza del positivismo correzionale nella legge del ' 48

Come abbiamo già sottolineato, la legge del 1948 si richiamava al modello positivo correzionale. La redazione della legge era dominata da un criterio paternalista e moralizzante proprio dell'epoca e l'intervento dei tribunali tutelari aveva come finalità l'imposizione di misure trattamentali di impostazione correzionale. Negli anni '80, il tribunale tutelare dei minori è stato oggetto di numerose critiche, che riguardavano sia la sua peculiare natura che il suo ambito di competenza e il suo modo di procedere. In precedenza la giustizia minorile era stata raramente oggetto di studio. Questa disattenzione era giustificata dalla breve vita delle istituzioni penali minorili, dall'incapacità professionale del personale addetto a questi organi e dalla scarsa considerazione sociale attribuita al minore disadattato nonché dalla limitata rilevanza penale del suo comportamento deviante (19).

Il tribunale tutelare per i minori non faceva parte integrante del Potere giudiziario. La legge del '48 lo aveva concepito come un organismo ibrido amministrativo giurisdizionale composto da persone non appartenenti alla carriera giudiziaria nominati direttamente dal Ministro della giustizia (20). Si trattava dunque di un organo completamente svincolato dall'organizzazione generale dei tribunali e inserito nell'ambito amministrativo. Questa situazione viene modificata, in un primo momento, dalla legge organica 42/1976 della giustizia, che prevede la figura del magistrato specializzato in materia minorile e che trasforma i tribunali, fino ad allora a composizione collegiale, in organi unipersonali. Successivamente con l'adozione della legge organica 6/1985 del Potere giudiziario i tribunali tutelari, in applicazione dell'articolo 117.5 della Costituzione sull'unità giurisdizionale (21), sono inseriti nella giurisdizione ordinaria (22). Da allora i tribunali per i minori diventano finalmente tribunali ordinari specializzati.

Il tribunale tutelare dei minori era competente in ambito penale, civile ed amministrativo (23). La competenza penale, anche denominata "riforma del minore", comprendeva i reati e le contravvenzioni. In ambito amministrativo, il tribunale tutelare era competente per le cosiddette condotte irregolari, delle quali ci occuperemo più avanti. In fine, in ambito civile, il tribunale era competente nei casi in cui il minore aveva bisogno di essere assistito e protetto. L'unificazione di competenze così diverse in un unico organo giurisdizionale aveva provocato grande confusione. Da una parte, aveva teso a criminalizzare situazioni in cui il minore era vittima, dall'altra, come avremo occasione di vedere, aveva reso molto flessibili le procedure volte a conoscere i fatti delittuosi. Questa situazione aveva creato confusione sopratutto nel minore, il quale spesso non riusciva a cogliere la portata e il significato delle misure adottate nei suoi confronti impedendo così la sua responsabilizzazione. A confermare questa situazione ci sono i risultati di una inchiesta condotta tra i minori di un centro di detenzione in cui si evidenziò che essi non erano in grado di spiegare i motivi della detenzione (24).

In ambito penale o della "riforma del minore", il tribunale tutelare era competente per i reati commessi dai minori di sedici anni e, nel caso di reati "meno gravi" (25) o contravvenzioni, la competenza si estendeva fino ai ventuno anni d'età. Al di sopra dell'età di sedici anni la competenza passava al tribunale ordinario mentre al di sotto, senza stabilire un età minima, la competenza era del tribunale tutelare. I minori di sedici anni erano considerati dalla legge, seguendo l'ideologia positiva correzionale, non imputabili nello stesso modo dei pazzi e di chi aveva gravemente alterata la percezione della realtà.

Il tribunale tutelare di minori ignorava sistematicamente tutte le garanzie di diritto penale e processuale. Innanzitutto non veniva rispettato il principio di legalità, per cui il minore poteva essere giudicato per condotte che non costituivano reato ed, in particolare per modi di essere e per tratti della personalità. Si trattava delle cosiddette "condotte irregolari", non qualificate come reato nel Codice penale, ma delle quali il minore doveva rispondere davanti al tribunale tutelare. Si parla infatti di "concezione amplia" della delinquenza minorile, che viene espressa nell'articolo 9 della legge nel modo seguente:

sarà competenza dei tribunali tutelari dei minori nella loro facoltà riformatrice, conoscere di quei fatti qualificati come reati o contravvenzioni nella legge penale, [...] così come delle condotte qualificate come di prostituiti, licenziosi, pigri e vagabondi.

Queste condotte hanno rappresentato secondo l'Istituto nazionale di statistica, il 30% di tutte le infrazioni commesse dai minori di cui il tribunale tutelare era venuto a conoscenza, ed in particolare le condotte licenziose hanno rappresentano il 20% dei casi, la prostituzione il 2% e le altre condotte irregolari il 58% (26). La concezione amplia della delinquenza ha inevitabilmente aperto la porta alla criminalizzazione di ogni tipo di condotta considerata contraria alla morale pubblica e al buon costume. L'origine delle condotte irregolari si trova nel movimento 'pro-salvezza dei bambini' nato alla fine dell'ottocento negli Stati uniti. Tale movimento sosteneva, per l'appunto, che la giustizia di minori non doveva limitarsi a giudicare solamente i fatti costitutivi di reato ma doveva estendersi ai casi di condotte "moralmente inaccettabili" (27). Platt nella sua opera I salvatori dei bambini o l'invenzione della delinquenza, si esprimeva a proposito di questo movimento nel modo seguente:

è una ironia che la sollecitudine ossessiva della famiglia, della chiesa, dei moralisti e degli amministratori del benessere infantile servisse per privare i bambini delle libertà che precedentemente avevano condiviso con gli adulti, e per negargli la capacità, l'iniziativa, la responsabilità e l'autonomia. L'invenzione della delinquenza ha consolidato lo status sociale inferiore e la dipendenza dei giovani della classe sociale più bassa (28).

Già nel 1917, i primi commentatori spagnoli della legislazione minorile straniera si erano dichiarati a favore della concezione amplia della delinquenza minorile. A questo proposito Cuello Calón aveva scritto nella sua opera Los tribunales para niños quanto segue:

questo è [...] il vero senso del tribunale minorile: proteggere e tutelare tutti i minori viziosi, privi di appoggio morale, siano o meno delinquenti. Il fatto che il minore abbia commesso un reato, nella maggior parte dei casi, comporta solo un incidente; molti minori che legalmente non hanno infranto le leggi sono più pericolosi e hanno più bisogno di assistenza riformatrice che coloro che abbiano già commesso un reato. Dunque, l'azione paternale del giudice di minori non deve limitarsi soltanto ai delinquenti; se così fosse, rimarrebbero al di fuori del suo ambito d'azione precisamente quelli più necessitati del suo benefico intervento (29).

Sulla stessa linea di pensiero Tomás de A. García García all'inizio del novecento sosteneva che "dato che la facoltà correttrice non è di carattere repressivo dovrebbe estendersi non solo a minori delinquenti, vagabondi o traviati ma a tutti coloro che [...] fossero in pericolo morale". Gabriel M. de Ybarra confermava questa posizione quando in riferimento alla competenza dei tribunali tutelari dei minori prevista nella legge del '29 (30), sosteneva che:

è stata molto progressista la legge del '29 nell'estensione che fa della competenza dei tribunali ai minori prostituiti e vagabondi o dedicati alla vita licenziosa, che nonostante non avessero commesso atti tassativamente catalogati come reati nelle leggi penali, fossero intensamente bisognosi di trattamento riformatore; spesso tra di essi si trovano casi più bisognosi di riforma che tra i trasgressori occasionali delle leggi che non si trovano in stato di abbandono o corruzione morale (31).

Gli argomenti che sono stati avanzati in difesa del concetto ampio della delinquenza, si basavano fondamentalmente nel carattere non repressivo del diritto tutelare minorile e nel bisogno di assistenza che dimostravano i minori 'moralmente corrotti' o in parole di Tomás de A. García García in "pericolo morale".

Negli anni '80, Esther Giménez-Salinas e Claudio Movilla si sono schierati invece a favore della concezione ristretta della delinquenza minorile, ossia quella secondo cui i tribunali di minori si devono occupare solo ed esclusivamente di coloro che abbiano commesso un reato. In particolare Claudio Movilla avanza tre argomenti in contrapposizione alla concezione amplia della delinquenza: la violazione dei principi di sicurezza giuridica e di tipicità penale; l'introduzione di una finalità moralizzante nel diritto penale; l'equiparazione del comportamento inadatto o deviato a quello di reato, nonostante che il primo non sempre abbia connotazioni negative. Ambedue gli autori sostengono che l'argomento usato a favore del concetto ampio di delinquenza sul carattere non repressivo del diritto tutelare minorile è in netta contrapposizione con l'espressione usata dal preambolo della legge sul ruolo di "giudicare e sanzionare" del Tribunale tutelare. Concetti che, al loro avviso, sono strettamente legati al diritto penale quale diritto repressivo (32).

In relazione all'aspetto processuale, l'articolo 15 della legge stabiliva che "le udienze celebrate di fronte al tribunale tutelare dei minori ... non sono sottoposte alle regole processuali vigenti nelle altre giurisdizioni ..." e proseguiva dichiarando la possibilità di usare tutti i mezzi necessari al fine di svolgere la funzione tutelare - correzionale senza fare uso delle formalità processuali in vigore. Nella pratica, queste disposizioni comportarono, da una parte, la violazione dei diritti del minore, che per l'appunto veniva privato delle più elementari garanzie proprie di uno Stato di diritto, dall'altra, la piena libertà d'azione del giudice, il quale assumeva il ruolo di 'parens patriae'. Il processo abbracciava, in definitiva, le caratteristiche del sistema inquisitorio, in cui il giudice ricopre le funzioni di accusa, difesa e giudizio e decide sulla base di criteri puramente paternalistici senza l'intervento del pubblico ministero e dell'avvocato difensore. Questa mancanza assoluta di garanzie giuridiche si giustificava in base alla concezione secondo cui, il giudice agiva unicamente ed esclusivamente nel bene del minore, guidato dallo scopo della sua rieducazione e alla luce dei principi assistenziali, curativi e tutelari.

Il giudice era legato soltanto dall'obbligo di applicare le misure tassativamente prestabilite dalla legge. Queste misure rispondono, secondo Giménez-Salinas, alle seguenti caratteristiche.

  • Al principio di educabilità secondo cui la scelta della misura è condizionata dalla sua capacità di rieducare, così come stabilito dall'articolo 9 della legge, che prevede che: "la giurisdizione del tribunale tutelare di minori non avrà carattere repressivo ma educativo e tutelare".
  • Al concetto di "diritto d'autore" (33), e cioè all'importanza assegnata alla personalità del minore nella determinazione della misura d'applicare. A questo proposito l'articolo 16 della legge stabilisce quanto segue: "Gli atti qualificati di reato o contravvenzione nel Codice penale [...] commessi da minori di sedici anni, saranno presi in considerazione dal tribunale tutelare con piena libertà di criterio, prendendo in considerazione la natura di questi atti in diretta relazione con le condizioni morali e sociali del minore nel momento della commissione dell'atto e prescindendo completamente dal concetto e dalla portata giuridica con cui, agli effetti della rispettiva responsabilità, siano stati qualificati tali atti". Esso implica uno studio minuzioso e approfondito della personalità del minore e delle condizioni sociali, economiche, familiari ed ambientali da parte di personale specializzato. La legge non prevede una determinata misura per un determinato reato ma condiziona la scelta della stessa alla sua capacità di rieducare un determinato minore. Nella pratica molti tribunali tutelari di minori erano purtroppo completamente sprovvisti di queste figure professionali necessarie per valutare la personalità del minore e le condizioni sociali, economiche, familiari, a cui faceva riferimento la legge.
  • Le misure non sono legate a un preciso limite temporale. Esse possono estendersi fino al raggiungimento della maggiore età civile del minore. Questa esigenza risponde al criterio protettore - educativo secondo cui non è possibile prevedere a priori il tempo necessario per rieducare il minore. Secondo Gimenez-Salinas, il carattere indeterminato delle misure ha contribuito a favorire il fenomeno dell'istituzionalizzazione e la nascita di una cultura carceraria fondata su dei principi, delle regole e dei valori completamente diversi da quelli che regolano la vita al di fuori di questi istituti.
  • Le misure possono infine essere modificate e revocate in qualsiasi fase del procedimento (34).

1.2.3 Le misure applicabili

Come abbiamo appena visto, le misure previste nella legge del '48 sono applicate indipendentemente dalla gravità e dalla portata del reato commesso e rispondono esclusivamente alle condizioni morali e sociali in cui si trova il minore nel momento della commissione del reato. González Zorrila divide le misure previste dalla legge in due tipologie: quelle di "carattere isolato" e quelle a "lunga scadenza". Tra le prime include l'ammonizione e il breve internamento, tra le seconde, la libertà vigilata, l'affidamento familiare, l'internamento in un centro educativo e di riforma e l'internamento in centro terapeutico per minori anormali (35).

L'ammonizione consiste in un richiamo da parte del giudice ad osservare un comportamento adeguato alle norme morali e legali. Questa misura dovrebbe essere applicata solo nei casi di minori non recidivi e, data la sua scarsa capacità rieducativa, nei casi di reati non gravi. L'ammonizione è stata invece applicata in modo massiccio senza rispondere ad alcun criterio prestabilito. Negli anni 1975 e 1976, l'ammonizione è stata applicata rispettivamente nel 59% e nel 54% dei casi. Con gli anni questa percentuale è aumentata raggiungendo nel 1978 il 64% dei casi. I dati dell'anno 1975 in relazione al tipo di reato commesso sono i seguenti: l'ammonizione è stata applicata al 37% dei casi riguardanti le condotte immorali, al 14% di quelli per mancanza di rispetto ai genitori, al 69% di quelli per lesioni, al 52% di quelli per furto e al 62% di quelli per furto accompagnato da danni. Sempre in contrasto con il suo fine intrinseco l'ammonizione è stata applicata nel 1975 nel 54% dei casi di recidiva. Secondo González Zorrilla, "i tribunali, vista la mancanza di mezzi efficaci di rieducazione, hanno trasformato l'ammonizione in una specie di panacea da applicare a tutti quei minori per i quali non si trovava un altra soluzione adeguata". Contrariamente a ciò che prevedeva la legge, se vengono sommati i casi di ammonizione a quelli in cui non è stata applicata alcuna misura risulta che nel 80% dei casi i minori non hanno ricevuto un trattamento rieducativo.

La misura del breve internamento è stata applicata con relativa frequenza tenuto conto l'effetto nocivo che essa esercita sul minore. Essa infatti comporta l'esclusione del minore dall'ambito sociale e familiare, l'impossibilità di svolgere attività educative e l'etichettamento. Negli anni 1975, 1976 e 1978 la misura di breve internamento è stata applicata nel 5%, 6% e nell'8,13% dei casi rispettivamente. In opinione di González Zorrilla l'aumento verificatosi nell'applicazione della misura di breve internamento conferma ancora una volta che la frequenza con cui vengono applicate certe misure è proporzionalmente inversa alle loro capacità educative (36).

In relazione all'applicazione delle misure a lunga scadenza, che dovrebbero essere quelle più adatte a rispondere all'ideologia rieducativa del trattamento del minore, González Zorrilla manifesta una certa perplessità. La libertà vigilata si avvicina a una sorta di misura alternativa alla detenzione, essa consiste in un intervento sociopedagogico individualizzato di controllo del minore posto in libertà dopo la condanna. Tale misura assume nella legge del '48 carattere repressivo, nel senso che il "delegato" (37) invece di assistere il minore svolge un ruolo ispettivo e di polizia. La sua applicazione è stata scarsa, nell'anno 1978 la misura è stata applicata solo nel 3,4% dei casi. Anche l'affidamento familiare ha avuto un'applicazione episodica. Nel 1977 non raggiunse l'1% dei casi e nell'anno successivo diminuì allo 0,02% dei casi. L'ultima misura a lunga durata è quella dell'internamento in centri di educazione e di riforma, il cosiddetto riformatorio o casa di correzione. Questa misura è stata applicata nell'anno 1977 nel 6,3% dei casi, esso rappresenta sul totale delle misure a lunga durata applicate nel 1978, il 65% dei casi. L'internamento in centri di educazione e di riforma è stato applicato nell'anno 1975, nel 10% dei casi di furto, nel 28% dei casi di condotta immorale, nel 38% dei casi di mancanza di rispetto ai genitori. Da questi dati si deduce che la misura dell'internamento è stata applicata in modo discriminatorio poiché vengono messe sullo stesso piano di gravità condotte cosi diverse come il furto, la mancanza di rispetto ai genitori e i comportamenti immorali. Un altro dato interessante riguarda la maggiore applicazione che è stata fatta di questa misura alle ragazze rispetto ai ragazzi. L'internamento è stato infatti applicato al 10% dei ragazzi sottoposti a misura penale e al 33% delle ragazze (38).

Secondo i dati relativi all'anno 1971, il tribunale tutelare dei minori ha giudicato 1.946 minori così suddivisi per età: 610 ragazzi di 15 anni, 431 di quattordici, 290 di tredici, 210 di dodici, 152 di undici, 97 di dieci, 61 di nove, 47 di otto, 26 di sette, 13 di sei e 16 bambini minori di sei anni (39).

Questi dati dimostrano secondo González Zorrilla, da una parte, la mancanza di risorse riservate alla giustizia minorile, evidenziata tra l'altro dall'assenza di delegati e di famiglie affidatarie e, dall'altra, il fallimento di un sistema che nonostante sostenga di rieducare il minore consegue l'obiettivo esattamente contrario, privilegiando l'esclusione, il castigo e la segregazione attraverso l'applicazione di misure di controllo e d'istituzionalizzazione (40).

1.2.4 Bilancio conclusivo

Le critiche al sistema tutelare correzionale sono state numerose, soprattutto dalla restaurazione della democrazia nel 1975 e dall'approvazione della Costituzione nel 1978. Molto eloquenti sono state a questo proposito le parole di P.A. Ibañez quando affermava che, la risposta data dal tribunale tutelare ai casi di devianza minorile è stata una risposta penale rafforzata poiché che ha potenziato l'uso degli strumenti repressivi del diritto penale degli adulti facendo a meno delle garanzie penali processuali e privilegiando l'uso di forme di violenza morale sui minori per modificare la loro coscienza (41). In definitiva, la legge del '48 rispondeva a criteri obsoleti che racchiudevano orientamenti di carattere paternalistico repressivo che non favorivano l'assunzione di responsabilità da parte del minore e che rendevano difficile il processo di maturazione e di socializzazione dello stesso. I tribunali dei minori hanno adottato "una risposta penale che oscilla tra l'assenteismo e la repressione, tra il semplice non agire e il privilegiare le forme di intervento più segreganti" (42). Si tratta in sostanza di una normativa che riposa sulla concezione del minore come oggetto e non come soggetto di diritti (43). Questo insieme di cose ha fatto sì che l'obiettivo che si era prefissato il modello di giustizia assistenziale protettivo, di favorire il reinserimento sociale del minore e di diminuire significativamente l'indice di devianza minorile e giovanile, non sia stato raggiunto (44). A confermare ulteriormente la crisi di cui è stata vittima la giustizia penale minorile in questo periodo sono le parole del Procuratore generale dello Stato che nella sua memoria dell'anno 1979 scriveva:

dalla lettura delle memorie delle procure e dalla nostra propria osservazione si arriva a concludere che la legislazione spagnola sulla protezione dei minori è fondata su principi paternalistici, imbevuti da un carattere benefico assistenziale totalmente sfasato; [...] non c'è abbastanza personale specializzato per giudicare e per educare i minori [...]. Si ignora la personalità del minore, si influisce su di lui poco scientificamente e vengono applicati trattamenti veramente assurdi (45).

Questa situazione ha portato la dottrina ad auspicare una riforma urgente della legislazione penale minorile (46).

Note

1. L. Jiménez de Asua, Tratado de derecho penal, Losada, Buenos Aires, 1950, p. 93.

2. J. Cerezo Mir, Derecho penal: parte general, Universidad nacional de educación a distancia, 2da edición, Madrid, 2000, p. 115.

3. J. Cerezo Mir, Curso de derecho penal español. Parte general I: Introducción. Teoría jurídica del delito/1, Tecnos, cuarta edición, Madrid, 1994, p. 90 e ss.

4. C. González Zorilla, La justicia de menores en España (epílogo), en G. De Leo, La justicia de menores, la delincuencia juvenil y sus instituciones, Editorial Teide, Barcelona, 1985.

5. J. Cerezo Mir, Derecho penal: parte general, Universidad nacional de educación a distancia, 2da edición, Madrid, 2000, p. 90 e ss.

6. G. Quintero Olivares, Derecho penal: parte general, Marcial Pons, Ediciones jurídicas S.A, Madrid, 1992, p. 195 e ss.

7. C. González Zorilla, La justicia de menores en España (epílogo), en G. De Leo, La justicia de menores, la delincuencia juvenil y sus instituciones, Editorial Teide, Barcelona, 1985.

8. A. García-Pablos de Molina, Criminología: Una introducción a los fundamentos teóricos para juristas, Tirant lo blanch libros, Valencia, 1994, p. 107 e ss.

9. G. Quintero Olivares, Derecho penal. Parte general, Marcial Pons, Ediciones jurídicas, Madrid, 1992, p. 97, 98 e 218.

10. G. Quintero Olivares, Derecho penal. Parte general, Marcial Pons, Ediciones jurídicas, Madrid, 1992, p. 98, 220 e ss.

11. J.C. Ríos Martín, El menor infractor ante la ley penal, Comares, Granada, 1993, p. 96-98.

12. A. Beristain, Interrogantes cardinales para reformar la legislación de los infractores juveniles, en Consejo superior de protección de menores, Jornadas de estudio de la legislación del menor, Consejo superior de protección de menores, Ministerio de justicia, Madrid, 1985, pp. 191-193.

13. C. González Zorilla, Minoría de edad penal, imputabilidad y responsabilidad, Revista de documentación jurídica, num. 37, 1983, p. 165.

14. Ivi, pp. 1510.

15. Il Belgio è stato il primo paese europeo che si è dotato di una legislazione speciale per la protezione dei minori.

16. P. Andrés Ibañez, El sistema tutelar de menores como reacción penal reforzada, en F. Jiménez Burrillo, M. Clemente, Psicología social y sistema penal, Alianza Universidad Textos, Alianza Editorial, Madrid, 1986, p. 209.

17. C. González Zorilla, La justicia de menores en España (epílogo), en G. De Leo, La justicia de menores, la delincuencia juvenil y sus instituciones, Editorial Teide, Barcelona, 1985.

18. P. Andrés Ibañez, El sistema tutelar de menores como reacción penal reforzada, en F. Jiménez Burrillo, M. Clemente, Psicología social y sistema penal, Alianza Universidad Textos, Alianza Editorial, Madrid, 1986, p. 216.

19. J. Martín Ostos, Jurisdicción de menores, 1994, pag. 59.

20. Fino alla riforma del 1976, il personale del Tribunale tutelare dei minori era costituito, secondo quanto stabilito dalla legge del '48, da "persone maggiori di venticinque anni di età di moralità e di vita familiare inattaccabile".

21. L'articolo 117.5 stabilisce quanto segue: "Il principio dell'unità della giurisdizione è la base dell'organizzazione e del funzionamento dei tribunali".

22. I tribunali tutelari per i minorenni dall'entrata in vigore della legge 6/1985 sul potere giurisdizionale vengono denominati tribunali dei minorenni.

23. Nel 1985 la competenza civile esercitata dai tribunali tutelari viene trasferita agli organi amministrativi delle Regioni e nel 1987, il Codice penale limita all'ambito strettamente penale la competenza dei tribunali tutelari.

24. C. Movilla Alvarez, Notas sobre una reforma de justicia de menores en Poder Judicial núm. 16, 1985, pag. 42.

25. Secondo quanto stabilito dall'articolo 13.2 del Codice penale, i reati meno gravi sono quelli sanzionati dal codice penale dalle pene meno gravi previste nell'articolo 33.3 dello stesso codice.

26. Istituto Nazionale di Statistica, Statistiche dei tribunali tutelari dei minori, 1983-1987.

27. E. Giménez-Salinas Colomer, Principios básicos para un nuevo derecho penal juvenil en Jornadas de estudio de la legislación del menor, Consejo superior de protección de menores, Ministerio de Justicia, Madrid, 1985, pp. 249 e ss.

28. C. González Zorrilla, Jóvenes, desviación, ... p. 44.

29. C. González Zorilla, La justicia de menores en España (epílogo), en G. De Leo, La justicia de menores, la delincuencia juvenil y sus instituciones, Editorial Teide, Barcelona, 1985.

30. Le condotte irregolari non furono previste nella legge del 1918 ma vennero introdotte nella riforma avvenuta nel 1929 durante la dittatura di Primo di Rivera.

31. E. Giménez-Salinas Colomer, Principios básicos para un nuevo derecho penal juvenil en Jornadas de estudio de la legislación del menor, Consejo superior de protección de menores, Ministerio de Justicia, Madrid, 1985, p. 249 e ss.

32. Ivi, p. 249 e ss.

33. Questo concetto è stato introdotto da Giménez-Salinas nel suo articolo Principios básicos para un nuevo derecho penal juvenil per definire la caratteristica secondo cui le misure previste dalla legge del '48 rispondono alla necessità di adattarsi alla personalità del minore.

34. Ibid.

35. C. González Zorrilla, Jóvenes, desviación y reacción social: hacia un nuevo derecho penal de menores, en Revista del Poder Judicial, num. 11, 1984, p. 42 e 43.

36. C. González Zorrilla, Jóvenes, desviación y reacción social, p. 43.

37. Il delegato ha il compito di accompagnare il ragazzo sottoposto alla misura della libertà vigilata in un percorso rieducativo all'interno del proprio ambiente di vita.

38. C. González Zorrilla, Jóvenes, desviación y reacción social, p. 43 e 44.

39. A. Beristain, Medidas penales en Derecho contemporáneo: Teoría, legislación positiva y realización práctica, Editorial Reus, Madrid, 1974, p. 142.

40. C. González Zorrilla, Jóvenes, desviación y reacción social, p. 43 e 44.

41. J.A. Choclán Montalvo, Hacia un derecho penal juvenil en España. A propósito del anteproyecto de ley orgánica penal juvenil y del menor, en Bolentín de Información del Ministerio de Justicia, n. 1771, 1996, Madrid, p. 1590.

42. C. González Zorrilla, Jóvenes, desviación y reacción social: hacia un nuevo derecho penal de menores, en Revista del Poder Judicial, num. 11, 1984.

43. L. Prieto Sanchís, Orientaciones básicas de la reforma del derecho de menores en Jornadas de estudio de la legislación del menor, Consejo superior de protección de menores, Ministerio de justicia, Madrid, 1985, p. 114.

44. J. Urra Portillo, Menores, la transformación de la realidad: Ley organica 4/1992, Siglo Veintiuno de España Editores, Madrid, 1995, p.6.

45. C. González Zorilla, La justicia de menores en España (epílogo), en G. De Leo, La justicia de menores, la delincuencia juvenil y sus instituciones, Editorial Teide, Barcelona, 1985.

46. J. Martín Ostos, Jurisdicción de menores, 1994, p. 66.