ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Conclusioni

Claudia Kolb, 2002

L'esistenza di numerosi casi di violenza psichica e fisica perpetrati quotidianamente ai danni dei membri deboli della famiglia, unita alla consapevolezza che l'intervento del diritto penale nell'ambito della famiglia è alquanto sporadico, ha indotto il legislatore ad apportare alcuni rimedi specifici di natura cautelare.

La risposta normativa rispecchia il principio secondo cui la nostra società è fondata sul primato della persona umana e sulla valorizzazione della sua intrinseca dignità. Muovendo dall'assunto che a ciascun membro della famiglia debba essere riconosciuta la dignità ed il rispetto della persona, ne consegue che l'uso della violenza all'interno della famiglia non è consentito. Si tratta di principi e valori che permeano la cultura ed il costume del nostro paese, e costituiscono il fondamento dell'ordinamento costituzionale della Repubblica, che ripudia la violenza come strumento di soluzione delle controversie, non soltanto a livello politico e sociale, ma anche interpersonale.

Al fine di frenare il fenomeno della violenza in famiglia, il legislatore italiano ha di recente emanato due leggi, la n. 149 del 2001 e la n. 154 del 2001, che prevedono la possibilità, rispettivamente per il Tribunale per i Minorenni e per il Tribunale ordinario, di disporre, nei confronti di chi abbia compiuto atti di violenza intrafamiliare, la misura dell'allontanamento dall'abitazione della famiglia.

La misura introdotta dalla l. n. 149 del 2001, rivolta esclusivamente a favore dei minori che subiscono un pregiudizio da parte dei genitori, si affianca ai provvedimenti di cui agli artt. 330 e 333 c.c., allargando le forme di tutela già previste.

La misura prevista dalla l. 154 del 2001 introduce invece una sostanziale novità. Intanto, la legge può essere applicata nei confronti di qualunque membro della famiglia, ed è volta a tutelare qualunque soggetto passivo della violenza, quindi non soltanto i minori. Inoltre, in questo caso, il legislatore ha scelto di operare su un doppio binario, introducendo una nuova misura cautelare all'interno del codice di procedura penale ed una misura denominata "ordini di protezione" all'interno del codice civile. La caratteristica di quest'ultima misura è quella di essere emanata in tempi brevi, alla fine di un processo a cognizione sommaria. Ha dunque carattere di urgenza e di temporaneità, essendo emanata dal giudice nei casi in cui l'integrità fisica e morale o la libertà di autodeterminazione di un membro della famiglia sia soggetta a grave pregiudizio.

Simili misure cautelari erano già state introdotte in altri paesi, seppur con differenze più o meno marcate. In alcuni paesi, come ad esempio in Austria, si è preferito non introdurre la misura nell'ambito penalistico, prevedendo comunque un potere speciale per la polizia di applicare la misura per un tempo minimo di 10 giorni, nei casi in cui la situazione familiare richieda l'allontanamento del familiare violento. In altri paesi, invece, oltre alle misure cautelari, è anche prevista una specifica fattispecie di reato per la violenza in famiglia.

La misura recentemente introdotta nel nostro paese, dai contenuti molto innovativi, si presenta potenzialmente assai efficace, e non può che essere vista con favore, sia dai cittadini che dai professionisti che sono chiamati ad applicarla, in quanto è in grado di arrestare la violenza e di prevenire ulteriori danni alla vittima. Per la prima volta il legislatore, adottando allo scopo una misura tipica, ha dato un chiaro segnale di voler combattere il problema della violenza in famiglia.

Pur non essendo esente da critiche, soprattutto per la mancanza di un'efficace sistema di protezione e sostegno alla vittime ad avvenuta emissione della misura, non vi sono dubbi circa l'utilità di quest'ultima. Eppure, a quasi un anno dalla sua emanazione, non sembra che ne sia stato fatto un ampio uso. Ciò potrebbe essere dovuto soprattutto alla mancata conoscenza della legge e delle sue potenzialità. In altri paesi, in particolare in Inghilterra e in Austria (che la applicano, rispettivamente, dal 1996 e dal 1997), la medesima misura ha avuto un'incredibile successo. Infatti, a fronte di numerose richieste, quasi sempre il giudice ha ravvisato l'esistenza dei presupposti per la concessione della misura. L'efficacia è rapportabile al calo degli episodi di violenza in famiglia, registratosi a seguito dell'allontanamento del familiare violento, a dimostrazione che, pur tramite una misura provvisoria, è possibile interrompere il ciclo della violenza.

Gli incoraggianti risultati ottenuti in Austria ed in Inghilterra mettono in risalto l'importante funzione, propria della misura, di monito ad interrompere il comportamento illecito. Infatti il giudice, pur in presenza di reati lievi procedibili a querela, non emette alcuna sanzione diretta a punire questi comportamenti delittuosi, ma semplicemente "avverte" l'autore della violenza che il suo comportamento non è corretto, e che la sua sanzione "privata" è quella dell'allontanamento dalla casa familiare. Si tratta del primo avviso che sono stati oltrepassati i limiti del lecito, e che ulteriori violazioni potrebbero comportare sanzioni specifiche, sia sul piano civilistico che penalistico. Il rilievo non è da poco, in quanto è probabile che il familiare violento non abbia, fino al momento dell'irrogazione della misura, mai avuto problemi con la giustizia, e che quindi si senta, a suo modo, una persona "perbene". Infatti, per molte persone, riversare la propria aggressività sui familiari è un comportamento del tutto lecito. Dettare legge a casa propria sembra essere un principio scontato, con la conseguenza che alcuni si sentono autorizzati a trasformare le mura domestiche in una "zona franca" dove i diritti possono essere arbitrariamente compressi e limitati, dove vigono le regole del signor X ma non quelle del diritto. D'altra parte, secondo altri, certi patimenti (sul piano fisico, morale, economico o sessuale) possono essere considerati un normale risvolto derivante dall'accettazione del vincolo matrimoniale.

L'analisi fatta in questo lavoro ha spaziato in diverse branche del diritto, ed in particolare del diritto di famiglia. Si è avuto modo di osservare che, sul piano giuridico, gli strumenti di tutela esistono e sono ben disegnati, sia sotto il profilo penale che civile.

Sorge spontaneo chiedersi cosa si potrebbe fare, da un punto di vista sociologico, per allargare la conoscenza dei cittadini circa i propri diritti e doveri nell'ambito della famiglia, per aumentare il grado di responsabilità e di coscienza delle proprie azioni.

Come forma di prevenzione generale, potrebbe essere di grande aiuto per la società insegnare i fondamenti e i principi del diritto penale fin dalle scuole superiori, per far conoscere ai giovani l'importanza di mantenere le proprie azioni entro i binari del lecito, e per informarli dell'esistenza di tante regole che vengono invece spessissimo violate. Come noto, infatti, la soglia di tolleranza di numerosi reati è altissima: ciò può indurre i cittadini, e soprattutto quelli più giovani, a credere che tali comportamenti, in quanto impunemente tollerati nell'ambito familiare, siano leciti. Per questo è necessario far conoscere e capire che cos'è un reato, onde sapersi muovere nella società con una coscienza civile che eviti di perpetrarli, cominciando col rispettare i diritti di coloro che ci sono più vicini.

In tema di violenza familiare, credo che dovrebbe essere obbligatorio, per ogni Comune, organizzare corsi informativi prematrimoniali, che includano nozioni di diritto, volti a dare coscienza a chi voglia contrarre matrimonio dei propri diritti all'interno della famiglia, nonché per chiarire le responsabilità ed i doveri ivi esistenti, specificando che, anche in tale contesto, esistono dei limiti invalicabili per i propri comportamenti. Ciò si rende ancor più necessario se si considera che lo Stato ha il dovere di insegnare e di trasmettere i valori minimi per una convivenza basata sul rispetto dei valori fondamentali della Costituzione.

Il corso dovrebbe anche servire per far conoscere la rete delle fonti di aiuto e di sostegno psicologico e giuridico esistenti sul territorio. Tale conoscenza permetterebbe ai membri della famiglia di agire, molto più tempestivamente di quanto accade, nell'interesse proprio e dei minori. Spesso, infatti, le vittime della violenza in famiglia si rivolgono ai centri antiviolenza, alla polizia o al giudice, solo quando la spirale della violenza è in atto ed ha già gravemente compromesso la salute psico-fisica delle persone coinvolte.

Ciò vale, ovviamente, anche per quanto riguarda le responsabilità dei genitori: è senz'altro vero che bravi genitori non si nasce, ma lo si può diventare tramite un'adeguata conoscenza dei propri compiti e responsabilità. Il genitore deve essere sempre aiutato nel suo percorso, sia quando è autore della violenza (tramite un sostegno terapeutico volto a capire la violenza agita ed a rimuovere gli istinti e le pulsioni violente), sia quando ne è vittima (tramite un'adeguata informazione su come reagire per proteggere se stesso ed i propri figli).

Come visto con riferimento all'esperienza austriaca, la misura dell'allontanamento dalla casa familiare è efficace per prevenire la reiterazione degli atti di violenza. Essa agisce anche come fattore "squalificante" da parte della società nei confronti dell'aggressore. È una forma di esplicita condanna sociale, una sorta di "cartellino rosso" a chi usa violenza nella famiglia. In Austria, l'insieme degli strumenti legali (ovvero la misura cautelare emanabile da parte del giudice ed il potere di allontanamento esercitabile da parte della polizia) e delle forme di intervento istituzionali si è dimostrato efficace per combattere ed interrompere il ciclo della violenza e per aiutare le vittime nel percorso di recupero.

Si deve sperare che, con il tempo, anche in Italia si possano ottenere simili risultati positivi.

La legge è ormai entrata all'interno delle mura domestiche e non lo si può ignorare.