ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo 3
Modalità di definizione del processo penale minorile ispirate al principio della minima offensività nell'esperienza applicativa dei Tribunali per i Minorenni di tre città italiane

Valentina Adduci, 2002

Questa parte del lavoro è dedicata allo studio della prassi applicativa relativa al perdono giudiziale, all'irrilevanza del fatto e alla messa alla prova dei Tribunali per i Minorenni di tre diverse città italiane: Trieste, Firenze e Napoli. Le città scelte sono, non a caso, rappresentative del nord del centro e del sud d'Italia, in quanto lo scopo dello studio è individuare differenze sociali, (in ordine alla composizione della popolazione e al diverso tipo di criminalità minorile presente), culturali, (riferite alla formazione dei magistrati chiamati ad interpretare e ad applicare le disposizioni di legge esaminate), ed economiche, (in riferimento alla disponibilità di risorse sul territorio), ed osservare in che misura tali differenze incidano sull'applicazione delle modalità di definizione del processo penale minorile in esame.

L'osservazione si riferisce al periodo temporale che va dal 1999 al primo semestre del 2002, ad eccezione del Tribunale per i Minorenni di Napoli, per il quale l'osservazione parte dal 2000, avendo il Presidente di tale tribunale, Dott. Stefano Trapani, autorizzato l'accesso ai dati oggetto dello studio solo a partire da tale anno.

3.1. L'esperienza del Tribunale per i Minorenni di Trieste

3.1.1. Realtà socio-economica e criminalità minorile a Trieste

Trieste è il capoluogo della regione Friuli-Venezia Giulia. Per la sua posizione geografica di frontiera (confina a nord con l'Austria e a est con la Slovenia) e le sue caratteristiche culturali, fra cui la lingua friulana (parlata da circa 700000 persone e ritenuta dagli studiosi una vera e propria lingua a sé, diversa dall'italiano) e quella slovena, della quale nelle province di Gorizia e di Trieste lo Stato italiano assicura l'uso ufficiale, il Friuli-Venezia Giulia costituisce una regione ad amministrazione autonoma, con statuto speciale. La densità di popolazione è inferiore alla media nazionale e, a partire dagli anni ottanta, si registra un progressivo invecchiamento della popolazione.

Dopo le prime difficoltà economiche dovute alla separazione dall'Austria, avvenuta nel 1918 (1), dagli anni cinquanta la regione ha saputo risorgere rendendo l'agricoltura più competitiva e avviando un processo di industrializzazione, tanto che adesso può essere considerata una regione ricca. Infatti il reddito medio per abitante, che supera i quindicimila euro annui, è maggiore della media nazionale ed è addirittura fra i più alti dell'Italia settentrionale.

Per il fatto di essere una città di frontiera, confinando con la Slovenia, Trieste è interessata in modo massiccio dal fenomeno dell'immigrazione, anche di soggetti di minore età. Tali soggetti provengono principalmente dai paesi dell'ex Iugoslavia, dall'Albania, ma anche da paesi lontani come per esempio il Bangladesh, dal quale recentemente si è registrata un'ondata di immigrazioni, oltre ad una forte presenza di rom e nomadi in generale.

Alcuni di questi minori arrivano per ragioni umanitarie, perché provenendo da paesi distrutti dalla guerra, si trovano in condizione di dover emigrare per vivere, mancando nel loro paese d'origine anche i generi di prima necessità.

Caratteristiche comuni a tutti questi minori indipendentemente dal loro paese d'origine è il fatto di essere spesso 'minori non accompagnati' e di non possedere documenti di riconoscimento.

La città, sia a causa dell'abitudine al fenomeno immigratorio data la vicinanza alla frontiera, sia a causa della tradizionale apertura all'incontro di più culture diverse, ereditata dall'Impero Austro Ungarico, e, soprattutto grazie alle risorse economiche di cui dispone, è molto ben attrezzata per l'accoglienza di questi soggetti, essendo presenti sul territorio numerose comunità convenzionate col Comune. Queste comunità, alle quali vengono affidati i minori non accompagnati al momento del loro arrivo in territorio italiano, si adoperano per elaborare un programma di inserimento sociale di tali minori, attraverso l'organizzazione di corsi di formazione professionale, corsi di alfabetizzazione, corsi di istruzione di livello superiore.

Una volta inseriti in tali comunità, parte di tali minori le lasciano velocemente, in quanto Trieste rappresenta per loro solo una tappa di passaggio verso una diversa meta finale, costituita da un'altra città italiana o da un altro paese europeo. Altri vi rimangono qualche giorno fino all'arrivo di un parente immigrato che ne chiede l'affidamento, che verrà accordato dopo l'accertamento del reale vincolo di parentela. Infine altri ancora rimangono in comunità dove frequentano i corsi organizzati per favorire il loro inserimento sociale, nella speranza di trovare un lavoro e stabilirsi definitivamente nella regione stessa.

I reati commessi dai minori stranieri, che rappresentano la maggior parte della criminalità minorile a Trieste, sono soprattutto di tipo appropriativo, quindi principalmente reati contro il patrimonio, come furti in appartamenti, scippi, furti in esercizi commerciali, oltre a danneggiamenti, risse. Inoltre uno dei reati maggiormente commessi dai minori stranieri è la mancata esibizione, senza giustificato motivo, alla Polizia di Frontiera, di documenti di identità o permesso di soggiorno, reato previsto dall'articolo 6, terzo comma del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (D.L.vo. 286 del 1998). Il Tribunale per i Minorenni di Trieste aderisce all'interpretazione di tale norma operata dalla Corte di Cassazione (2) secondo la quale la norma è applicabile non soltanto nei confronti degli stranieri presenti legalmente sul territorio nazionale, ma nei confronti di tutti i cittadini stranieri, anche irregolarmente presenti sul territorio italiano. Ciò risulta anche da un'interpretazione sistematica del Testo unico in materia. Infatti l'identificazione e la riconoscibilità dello straniero costituiscono il presupposto indispensabile per la successiva applicazione della disciplina che si adatta al relativo status (articolo 6, quarto e nono comma del Testo unico), talché appare coerente che la sanzione si applichi non soltanto agli stranieri regolarmente presenti in Italia, ma a tutti gli stranieri. La vicinanza alla frontiera fa sì che un reato di questo tipo sia commesso molto frequentemente, dato l'elevato numero di soggetti che cercano di entrare in territorio italiano illegalmente.

Per quanto riguarda il fenomeno dello spaccio di sostanze stupefacenti si registra il ritorno massiccio dell'eroina nell'ultimo anno, in corrispondenza con la fine delle operazioni militari in Afghanistan. La sostanza è molto pura, caratteristica che aumenta la sua dannosità, e arriva sotto forma di sassi. Sono molto diffuse, inoltre, droghe da fumo, hashish e marijuana, ecstasi e acidi.

I minorenni coinvolti nello spaccio di sostanze stupefacenti sono principalmente italiani, collegati a soggetti maggiorenni. Trieste, pertanto, si discosta dal dato riferito al centro-nord del paese, secondo il quale la maggior parte dei minori coinvolti in tale traffico sono minori nordafricani. Manca lo spaccio diffuso da parte dei nordafricani, che sono presenti a Trieste in misura limitata rispetto ad altre città italiane.

Il fenomeno del bullismo è abbastanza ricorrente; a detta del Dott. Sceusa, Pubblico Ministero della Procura per i Minorenni di Trieste, "non passano sei mesi senza una denuncia riferibile a tale fenomeno". In particolare si tratta di episodi, perpetrati soprattutto nelle scuole, che trascendono la 'goliardia', il 'matricolato' o che si fondano sulle qualità personali del soggetto offeso. Gli effetti che producono sulla vittima, quali il calo del rendimento scolastico, la somatizzazione, sono acuiti dalla circostanza che spesso i professori minimizzano la gravità della situazione per non riconoscere il loro fallimento, lasciando la vittima da sola senza alleati.

Comunque, secondo il Dott. Sceusa, non è un fenomeno che desta allarme sociale, in quanto non ci sono baby gangs intese come associazioni per delinquere. Tutt'al più può capitare che venga scoperta una "cricca" per il furto di motorini, ma, anche in tali casi, difficilmente sarà contestata l'associazione per delinquere, mentre più verosimilmente sarà contestata la complicità nel riciclaggio di motorini rubati.

3.1.2. Perdono giudiziale, irrilevanza del fatto e estinzione del reato per esito positivo della prova nella prassi applicativa del Tribunale per i Minorenni di Trieste

Passiamo adesso all'analisi dell'esperienza del Tribunale per i Minorenni di Trieste in ordine all'applicazione in concreto delle modalità di definizione del processo penale minorile ispirate al principio della minima offensività, negli anni 1999, 2000, 2001 e primo semestre 2002. Tale analisi viene condotta sulla base delle dichiarazioni di membri del Tribunale per i Minorenni di Trieste, un giudice ed un pubblico ministero, dalle quali emergono le interpretazioni dei suddetti istituti, nonché dalla lettura delle sentenze, dei fascicoli relativi ai singoli procedimenti penali e delle statistiche redatte dal tribunale (3).

Il perdono giudiziale nella visione di un giudice del suddetto tribunale, il Dott. Luca Gaspari, possiede una valenza educativo-responsabilizzante, in quanto la funzione di ammonimento, insita nell'istituto in esame, induce il minore a percepire "la macchia del reato". Il Dott. Gaspari aderisce a quella parte della dottrina (Ricciotti e in particolare Assante, Mazziotti e Giannino) (4) che ritiene che l'utilità del perdono giudiziale sia da individuare nel processo di responsabilizzazione, indotto dall'ammonimento, il quale porta il minore a percepire il disvalore giuridico e soprattutto sociale e morale della sua condotta. Queste considerazioni che valgono per la previsione legislativa astratta dell'istituto esaminato, secondo il Dott. Gaspari, non sempre sono traducibili nella pratica. Infatti la realizzazione della funzione dell'ammonimento in concreto nel singolo processo dipende di volta in volta da diversi fattori, fra cui soprattutto la disposizione del minore a comprendere la portata negativa della sua condotta. In tale comprensione il minore potrebbe essere ostacolato dalla sua condizione di non completa maturità, per cui un reato potrebbe essere stato commesso con una leggerezza tale da non rendere agevole la percezione del disvalore della propria condotta. Oppure il minore potrebbe manifestare una piena adesione ad un modello o subcultura di tipo delinquenziale, che accetta come lecita la condotta tenuta dal minore. Mentre nel primo caso l'intervento del giudice che spiega non solo il disvalore sociale e giuridico della condotta, ma anche che l'ordinamento giuridico può 'perdonare' un errore da parte del minore, mentre non può accettare ripetute violazioni della legge, ha notevoli possibilità di provocare nel minore una responsabilizzazione in senso educativo, invece nel secondo caso difficilmente questa spiegazione accompagnata da un ammonimento sortirà gli effetti desiderati.

Il Dott. Paolo Sceusa, pubblico ministero presso il Tribunale per i Minorenni di Trieste, sostiene che la prassi applicativa del perdono giudiziale risente di quella consuetudine di "largheggiare in modo poco discernente" quando si tratta di concedere un beneficio, propria di chi giudica e dovuta in parte ad un allineamento con la prassi maggioritaria e in parte ad un atteggiamento psicologico per cui chi giudica è portato a non infierire sulla condizione personale di un soggetto. In tal modo il giudice ordinario applica la sospensione condizionale della pena e il giudice minorile il perdono giudiziale.

Infatti il perdono giudiziale viene applicato quasi esclusivamente sulla base dell'unico presupposto dell'assenza di precedenti penali in modo pressoché automatico. In pratica si arriva a questo automatismo in quanto spesso formulare una prognosi favorevole in relazione alla futura astensione dal commettere reati può risultare molto difficoltoso, mentre risulta più agevole fondarla esclusivamente sull'assenza di precedenti penali.

Il Dott. Sceusa sostiene che la formulazione del giudizio prognostico favorevole debba fondarsi non solo sull'assenza di precedenti penali, ma anche sulle informazioni in possesso dei servizi sociali relative alla situazione pregressa del minore, sulla sua reazione al processo e all'emergere di profili di responsabilità che lo hanno toccato, sull'atteggiamento processuale collaborativo o volto a depistare le indagini, sul rapporto con gli altri soggetti del processo, in particolare con la parte offesa dal reato e sulla consapevolezza di aver violato un precetto normativo.

Nelle motivazioni delle sentenze con cui viene concesso il perdono giudiziale non sempre è presente il riferimento a tali presupposti. In particolare nelle sentenze che riguardano minori stranieri spesso si fa riferimento solo all'assenza di precedenti penali, in quanto risulta impossibile avere informazioni relative alla loro vita, trattandosi di soggetti entrati da poco in territorio italiano e che, comunque, spesso non sono inseriti in un tessuto di relazioni sociali tale da permettere di avere delle informazioni di tale tipo. Il giudizio prognostico favorevole, d'altra parte, non può fondarsi nemmeno sull'atteggiamento processuale, in quanto spesso i processi a carico di minori stranieri si svolgono in loro contumacia. Nelle motivazioni delle sentenze relative a minori italiani, invece, troviamo spesso riferimento al fatto che il minore abbia confessato e alle informazioni relative alla sua situazione personale e familiare trasmesse dall'Ufficio di Servizio Sociale per Minorenni o acquisite dal foglio notizie trasmesso dai Carabinieri.

Ad avviso del Dott. Sceusa la valenza educativa, che il legislatore aveva sottinteso al perdono giudiziale, è mantenuta solamente se si fa capire al minore che in sostanza si tratta di un premio che il giudice concede solo a chi è meritevole ed è tale solo chi, nonostante l'errore commesso, offre garanzie di non ripetere in futuro l'errore commesso. Diversamente se, per l'applicazione del perdono giudiziale, si ricorre ad un mero automatismo si svuota l'istituto di ogni significato educativo, in quanto il minore percepisce la gratuità del beneficio concesso, rimanendo nella convinzione che finché è minorenne "potrà farla franca senza pagare". In sostanza il Dott. Sceusa sostenendo che il perdono giudiziale rischia di diventare una mera espressione di clemenza a causa di una prassi giurisdizionale ormai diffusa, condivide la posizione di quella parte della dottrina, fra cui Moro e Dusi (5), che sostiene che per fare sì che l'istituto contribuisca al processo educativo del minore, occorre rivitalizzare la prassi giurisdizionale applicativa.

Il Tribunale per i Minorenni di Trieste applica il perdono giudiziale soprattutto per i reati contro il patrimonio e per la mancata esibizione da parte di minori stranieri agli agenti di pubblica sicurezza, di documenti di identità o permesso di soggiorno, senza giustificato motivo (6).

In particolare per quanto riguarda quest'ultima fattispecie di reato, il Tribunale per i Minorenni di Trieste segue la prassi di distinguere a seconda che il minore che non esibisce documenti alla frontiera rimanga nella comunità dove viene prontamente inserito o se, al contrario se ne va immediatamente. Nel primo caso il processo si risolverà con l'applicazione dell'irrilevanza del fatto, spesso già nella fase delle indagini preliminari, preferendo ricorrere ad un istituto minimamente offensivo anche sotto il profilo dell'iscrizione nel casellario giudiziale per un fatto di lieve entità commesso da un minore che dimostra interesse nei confronti del programma di inserimento sociale elaborato dalla comunità in cui è stato collocato; nel secondo caso verrà applicato il perdono giudiziale (7).

La prassi seguita dal Tribunale per i Minorenni di Trieste per l'applicazione del perdono giudiziale ai minori stranieri presenti da poco tempo nel territorio italiano, dei quali non sia possibile avere informazioni, è quella di concedere l'istituto in esame anche in assenza delle informazioni necessarie ai fini della formulazione di un giudizio prognostico favorevole in relazione all'astensione del minore dal commettere futuri reati (8), in virtù del principio generale dell'ordinamento in dubio pro reo. Al contrario per la concessione del perdono giudiziale a minori italiani il Tribunale non prescinde mai dalla assunzione di informazioni (seppur riguardanti esclusivamente l'assenza di precedenti penali); per cui in ultima analisi risulta che il perdono giudiziale viene concesso ai minori stranieri più facilmente che ai minori italiani.

Passiamo adesso all'analisi dei dati numerici relativi all'applicazione del perdono giudiziale dall'anno 1999 al primo semestre del 2002.

PERDONO GIUDIZIALE art. 169 c.p., art. 19 R.d.l. 1404/1934
Anno GUP Dibattimento Totale
1999 95 6 101
2000 52 2 54
2001 82 4 86
2002 (Iº sem.) 59 2 61
Totale 302

Da tale tabella emerge che la sede privilegiata per la concessione del perdono giudiziale è l'udienza preliminare, nella quale sono state emanate il 95% del totale delle sentenze con le quali viene applicato l'istituto in esame (mentre solo nel 5% dei casi il perdono è concesso in dibattimento). Questo accade perché approdano in dibattimento solamente i casi più gravi, mentre quelli di lieve entità solitamente risultano risolvibili in sede di udienza preliminare.

Il seguente grafico riporta l'andamento del numero dei casi in cui è stato concesso il perdono giudiziale in ogni anno osservato, eccetto per il 2002, di cui si considera solamente il primo semestre.

Grafico 8

Per quanto riguarda l'andamento del numero delle sentenze con cui è stato concesso il perdono giudiziale nel periodo considerato, possiamo osservare che, il massimo numero di processi definiti in tal modo si è avuto nel 1999 (101 casi di perdono giudiziale); dopodiché nel 2000 è sceso al livello minimo (54), per risalire l'anno successivo (86). Nel primo semestre del 2002 si sono già avute 61 sentenze con cui è stato concesso il perdono giudiziale. Se nel secondo semestre dell'anno sarà mantenuto quest'andamento crescente, per la fine dell'anno potremo osservare una tendenza all'aumento progressivo dei processi conclusisi con la concessione del perdono giudiziale, a partire dall'anno 2000. Questo aumento corrisponde all'incremento dei casi che configurano il reato previsto dall'articolo 6, terzo comma, del Testo unico in materia di immigrazione, commesso da minori stranieri (9).

La tabella successiva riporta la percentuale dei procedimenti penali definiti con l'applicazione del perdono giudiziale.

Perdono giudiziale
Anno Percentuali
1999 12,9%
2000 3,4%
2001 5,4%
2002 15,2%

I valori percentuali sono stati ottenuti rapportando il numero totale dei procedimenti penali definiti, ogni anno (10), con l'applicazione dell'istituto in esame al numero totale dei procedimenti esauriti ogni anno davanti al Tribunale per i Minorenni di Trieste (11). Si osserva che nel periodo analizzato tale tribunale ha definito con il perdono giudiziale il 6,9% del totale dei giudizi esauriti.

Qui di seguito viene riportata graficamente l'applicazione percentuale del perdono giudiziale.

Grafico 9

Possiamo notare che il valore percentuale minimo di applicazioni del perdono giudiziale corrisponde al 2000, mentre quello massimo si è avuto nel primo semestre del 2002.

Passiamo all'analisi dell'irrilevanza del fatto, iniziando dall'interpretazione dei requisiti richiesti dalla legge per la sua applicazione. Il requisito della tenuità del fatto viene riferito dal Tribunale per i Minorenni di Trieste al 'fatto reato' (12), cioè alla fattispecie concreta, di cui vengono presi in considerazione diversi aspetti, fra cui le specifiche modalità della condotta, l'entità delle sue conseguenze e l'intensità del dolo, indipendentemente dai limiti edittali della pena. Anche se la legge riferisce esplicitamente il requisito della tenuità al fatto e non al danno, nelle motivazioni delle sentenze di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto si legge spesso, soprattutto per i reati tentati, che uno degli aspetti della fattispecie concreta, che hanno determinano la tenuità del fatto, è la modesta entità del danno.

Il requisito dell'occasionalità del comportamento viene interpretato in senso cronologico, tenendo conto, cioè, dell'assenza di precedenti penali. Tale interpretazione non è rigida, ma può subire degli adattamenti in senso psicologico, nei casi in cui, pur esistendo precedenti penali, il soggetto abbia commesso un reato completamente diverso, per natura e finalità, da quelli commessi precedentemente. In tali casi il comportamento viene considerato occasionale, in quanto non rientra, dal punto di vista psicologico in una esplicita e consapevole scelta deviante. In presenza di precedenti penali tendenzialmente non viene chiesta dalla Procura la definizione del procedimento per irrilevanza del fatto in sede di indagini preliminari, mentre in sede di udienza preliminare il pubblico ministero tutt'al più può non opporsi.

Nelle motivazioni delle sentenze di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, talvolta, i due criteri di interpretazione del requisito dell'occasionalità del comportamento, cronologico e psicologico, vengono integrati fra loro. Infatti dopo aver fatto riferimento al criterio cronologico ("l'occasionalità del comportamento è dimostrata dalla assenza di segnalazioni precedenti e successive a quella in esame") si fa riferimento al fatto che il minore ha agito sulla base di pulsioni momentanee, tali da far considerare la condotta deviante come occasionale, e non frutto di una precisa scelta deviante (13) (si legge per esempio: "si trattò di un'iniziativa dettata da uno stato contingente e non espressione di un orientamento deviante, mai manifestatosi altrimenti").

Il requisito del pregiudizio alle esigenze educative del minore dato dall'ulteriore corso del processo, secondo il Dott. Gaspari, comporta una valutazione di assoluta inutilità del processo, il quale, a suo avviso e condividendo l'opinione di Giannino (14), non è educativo in sé, ma al contrario può risultare di turbamento alle esigenze educative del minore. Pertanto l'istituto dell'irrilevanza del fatto risulta essere apprezzabile, in quanto "elimina un danno emergente, limitando il contatto del minore con il sistema penale".

Il pubblico ministero, Dott. Sceusa, dimostra di apprezzare l'istituto soprattutto per la sua efficacia deflattiva. Allo stesso tempo sostiene che possa costituire un'occasione rieducativa per il minore (15), se il giudice riserva un momento del processo alla spiegazione al minore del disvalore sociale e giuridico della sua condotta.

L'irrilevanza del fatto viene concessa dal Tribunale per i Minorenni di Trieste in modo massiccio per il reato di mancata esibizione di documenti da parte di minori stranieri, dei quali risulti l'inserimento in un programma di integrazione sociale, predisposto dalla comunità in cui sono accolti. Per tali minori si preferisce applicare l'istituto dell'irrilevanza del fatto, in quanto le iscrizioni relative all'applicazione di tale istituto vengono eliminate dal casellario giudiziale al compimento del diciottesimo anno di età del reo, mentre le iscrizioni relative all'applicazione del perdono giudiziale vengono eliminate al compimento del ventunesimo anno di età. L'irrilevanza del fatto viene concessa a tali minori stranieri a prescindere dalle informazioni (16) necessarie per stabilire l'occasionalità del comportamento (intesa sia in senso cronologico, sia in senso psicologico), la quale viene presunta in virtù del, già ricordato, principio in dubio pro reo. Anche nel caso dell'irrilevanza del fatto, come già rilevato per il perdono giudiziale, la prassi applicativa risulta essere più favorevole riguardo ai minori stranieri, rispetto a quanto non lo sia riguardo ai minori italiani, per i quali il requisito dell'occasionalità del comportamento non viene presunto, ma deve fondarsi sulle informazioni relative alla presenza di precedenti penali, alla situazione familiare e scolastica.

Altri reati per i quali viene emanata frequentemente una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto sono furti di lieve entità o tentativi di furti e spaccio di quantità modeste di così dette droghe leggere (hashish e marijuana).

Dalla tabella che segue emerge che la sede privilegiata per la concessione dell'irrilevanza del fatto è la fase delle indagini preliminari, in cui, nel periodo osservato, sono state emanate più dell'83% delle sentenze di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, mentre in udienza preliminare ne sono state emanate il 16%, e nel dibattimento nessuna. La tendenza a concludere il procedimento penale già dalle prime sue fasi corrisponde alla finalità deflattiva, propria dell'irrilevanza del fatto, che invece risulterebbe pressoché vanificata dal protrarsi del processo fino alla fase dibattimentale.

IRRILEVANZA DEL FATTO art. 27 DPR 448/1988
Anno GIP GUP Dibattimento Totale
1999 30 41 0 71
2000 65 17 0 82
2001 274 20 0 294
2002 (Iº sem.) 66 8 0 74
Totale 521

Osservando il grafico seguente, notiamo come l'andamento del numero dei procedimenti penali risoltisi con sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto negli anni considerati (17), sia altalenante, cioè non sia mantenuto né un numero costante, né un numero crescente o decrescente.

Grafico 10

Questo dato è strettamente connesso con il fenomeno dell'immigrazione clandestina, per cui i casi di mancata esibizione di documenti, che costituiscono la maggioranza dei casi per i quali si procede con sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, aumentano in modo proporzionale rispetto all'intensificarsi del fenomeno immigratorio.

Analizziamo, adesso, la percentuale dei procedimenti penali definiti con sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (18).

Irrilevanza del fatto
Anno Percentuali
1999 9,1
2000 5,2
2001 18,5
2002 18,5

Si nota che fra il gennaio del 1999 e il giugno del 2002 il Tribunale per i Minorenni di Trieste ha definito con sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto l'11,9% del totale dei giudizi esauriti.

Il grafico che segue descrive l'andamento della percentuale dei procedimenti penali esauriti con l'applicazione dell'istituto in esame.

Grafico 11

Dall'osservazione di tale grafico, notiamo che nel 2001 e nel primo semestre del 2002 si è avuta la stessa percentuale di procedimenti penali definiti con l'istituto dell'irrilevanza del fatto, che risulta raddoppiata rispetto al 1999 e più che raddoppiata rispetto al 2000.

Infine analizziamo i casi in cui viene dichiarato estinto il reato per esito positivo della prova, partendo dall'analisi della prassi seguita dal Tribunale per i Minorenni di Trieste in ordine all'istituto della sospensione del processo con messa alla prova del minore.

Fino a circa dieci anni fa la prassi seguita da tale tribunale consisteva nel concedere la messa alla prova nella prima udienza del processo, che veniva sospeso prescindendo da un progetto di intervento elaborato dai servizi sociali e, addirittura, dal consenso del minore imputato. Entrambi tali elementi, che devono costituire i presupposti necessari per poter procedere alla sospensione del processo in vista della messa alla prova del minore, venivano deferiti ad un momento successivo alla stessa sospensione del processo. Tale prassi è stata ostacolata ripetutamente dalla Procura (19), la quale sistematicamente proponeva ricorso avverso la Corte di Cassazione, fino a quando il Tribunale per i Minorenni di Trieste ha abbandonato questa prassi.

Adesso la sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato avviene esclusivamente sulla base di un progetto di intervento, elaborato dai servizi sociali minorili, che risulti fattibile, e sulla base del consenso del minore, elemento imprescindibile per la valutazione di probabilità circa il buon esito della prova.

Per quanto riguarda la condizione familiare dei minori sottoposti alla messa alla prova, si osserva che vengono ammessi alla prova sia i minori con una situazione familiare per così dire regolare, che hanno la famiglia e convivono con essa, sia i minori la cui famiglia non sia presente in territorio italiano, i quali trascorrono il periodo della prova all'interno di una comunità, sia i minori la cui condizione familiare incide negativamente sull'evoluzione della personalità, i quali vengono collocati anch'essi in comunità. Un esempio tipico di quest'ultima categoria di minori è quello rappresentato da un minore, convivente con la madre tossicodipendente, collocato in una comunità per lo svolgimento della prova.

Dalla eterogeneità delle situazioni descritte emerge che la presenza della famiglia non è un requisito indispensabile per la fruizione dell'istituto in esame, anche se viene considerato un elemento molto importante di sostegno per il minore. Questo emerge dalle relazioni redatte dai servizi sociali, i quali fanno costante riferimento alla famiglia del minore, mettendo in evidenza soprattutto il rapporto fra i suoi componenti e il minore e la disponibilità offerta da essa in ordine alla realizzazione del progetto di intervento.

La messa alla prova viene applicata anche ai minori stranieri, in particolare nomadi e albanesi, ma in misura minore rispetto ai minori italiani. Gli elementi che ostano all'applicazione dell'istituto in esame a tali minori, escludendo che la assenza della famiglia costituisca un impedimento, in quanto i minori non accompagnati vengono collocati nelle comunità, sufficientemente disponibili sul territorio, sono i problemi di reperibilità, nei casi in cui il processo si sia svolto in contumacia (20), e la difficoltà di assumere informazioni al loro riguardo, sulle quali fondare la valutazione di praticabilità del progetto di intervento e la valutazione probabilistica in ordine all'esito positivo della prova. Per l'elaborazione di un progetto di intervento più consono possibile alle caratteristiche personali e culturali del minore straniero i servizi sociali ricorrono all'ausilio della figura del mediatore culturale. Compito del mediatore culturale è anche la facilitazione della comprensione delle modalità e dei fini a cui è volta la prova.

L'applicazione della messa alla prova è influenzata positivamente dalle risorse presenti sul territorio. Infatti ci sono sicuramente risorse sufficienti alla realizzazione di elaborati progetti di intervento. Tali progetti sono tutti realizzati dai servizi sociali territoriali, che si dimostrano efficienti e capaci di avere informazioni sulla vita del minore. Il settore del privato sociale, costituito da cooperative sociali e da associazioni, è fortemente sviluppato e viene coinvolto in ogni progetto di intervento. Anche il volontariato è molto presente sul territorio ed offre un supporto educativo al minore. Infine sono coinvolti nei progetti di intervento anche servizi specialistici quali il Sert (Servizio Tossicodipendenze) e l'Unità bambini adolescenti di psicologia.

I progetti di intervento si articolano in attività di tipo scolastico, attività lavorative, attività di volontariato, che sono previste in tutti i progetti di intervento, attività sportive, incontri con l'Ufficio di Servizio Sociale Minorile ed eventualmente con servizi specialistici. Non sempre tali prescrizioni coesistono in uno stesso progetto di intervento, ma ogni progetto contiene le prescrizioni che risultano più consone alle esigenze e alle capacità del minore. L'adeguatezza del progetto alle caratteristiche proprie del minore corrisponde all'esigenza che la prova si concluda positivamente.

Tale esigenza di adeguatezza è sentita talmente tanto che in alcuni casi, in cui il minore ha presentato particolari difficoltà rispetto all'adattamento e all'accettazione della prova, come documentato nelle relazioni redatte dai servizi sociali minorili, il progetto di intervento concordato inizialmente con il minore presentava un contenuto minimo (era costituito dalla sola attività scolastica e dagli incontri con gli operatori del servizio sociale) è stato progressivamente integrato nel corso della prova (è stata aggiunta l'attività di volontariato). Questo corrisponde all'esigenza di rispettare le diverse capacità di adattamento proprie di ogni minore.

A proposito delle prescrizioni lavorative è interessante notare che le attività lavorative in cui vengono impiegati i minori sottoposti a messa alla prova sono reperite dai servizi sociali nell'ambito di borse di lavoro messe a disposizione dagli enti locali.

Le attività scolastiche prescritte vengono calibrate in relazione al livello di istruzione del minore, mentre se un minore segue già un corso scolastico viene prescritto di proseguire nella frequenza di esso.

Mentre gli incontri con i servizi sociali minorili vengono sempre prescritti, gli incontri con servizi specialistici vengono prescritti solamente in presenza di particolari problematiche del minore. In particolare vengono contemplati nel progetto di intervento incontri con psicologi, nei quali può essere coinvolta anche la famiglia, in caso di problemi riguardanti la sfera comportamentale e incontri con operatori del Sert (Servizio Tossicodipendenze) nel caso di tossicodipendenza del minore.

Una peculiarità della prassi, seguita dal Tribunale per i Minorenni di Trieste relativa alla messa alla prova è costituita dal fatto che l'attività di volontariato prevista in ogni progetto di intervento viene interpretata come occasione per realizzare una riparazione indiretta del reato. Le attività svolte nell'ambito di associazioni private di volontariato, che operano soprattutto per la prestazione di servizi alla persona (come l'assistenza a persone handicappate) e per la tutela dell'ambiente, rappresentano simbolicamente la riparazione del danno provocato dal reato, in quanto tendenti a porre fine alla rottura con la collettività causata dal reato. Viene applicata una sorta di 'legge del contrappasso': coloro che hanno provocato un danno alla società devono adoperarsi per apportare dei benefici alla società stessa. Pertanto le "prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato", la possibilità di impartire le quali da parte del giudice è prevista dall'articolo 27 delle disposizioni attuative del nuovo processo penale minorile, vengono sempre inserite nei progetti di intervento nella forma di attività di volontariato (21).

I reati per i quali si è applicata la messa alla prova sono reati patrimoniali, in particolare furto aggravato e rapina, spaccio di sostanze stupefacenti e reati contro la persona, anche molto gravi, in particolare lesioni personali aggravate e omicidio volontario aggravato.

Da quando sono state introdotte le disposizioni sul nuovo processo penale minorile il Tribunale per i Minorenni di Trieste ha applicato la messa alla prova per il reato di omicidio doloso (22) solamente in due casi. Nel primo caso il minore imputato di patricidio era stato sottoposto alla messa alla prova sulla base di un progetto di intervento incentrato essenzialmente sul trattamento farmacologico dei disturbi relazionali del minore e che prevedeva anche un'attività lavorativa. Nonostante che fosse trascorso il periodo di prova senza trasgressioni da parte del minore del progetto di intervento, all'udienza per valutare l'esito della prova, è stata revocata l'ordinanza di sospensione del processo per messa alla prova, in quanto è stata riconosciuta l'incapacità di intendere e di volere e la pericolosità sociale del minore, il quale è stato sottoposto a misura di sicurezza.

Nel secondo caso, invece, nonostante l'efferatezza delle modalità della condotta omicida perpetrata nei confronti di due persone a scopo di estorsione e con l'uso di arma da fuoco e di arma bianca, era stato possibile formulare una valutazione probabilistica in ordine al buon esito della prova sulla base dell'atteggiamento del minore che si era mostrato da subito collaborativo, avendo consentito di arrestare il cugino maggiorenne complice nonché ideatore del duplice omicidio. La prova si è conclusa con esito positivo e il minore è stato prosciolto per estinzione del reato.

È emerso, pertanto, che il Tribunale per i Minorenni di Trieste ha applicato la messa alla prova anche per reati molto gravi (23).

La durata media della prova è di circa dieci mesi e varia, in relazione alla gravità del reato, da un massimo di due anni a un minimo di cinque mesi. Nei casi in cui il minore abbia problemi legati alla dipendenza da sostanze stupefacenti, la durata della prova è subordinata alla durata del programma di recupero elaborato dal Sert (Servizio Tossicodipendenze).

La tabella che segue riporta il numero totale di ordinanze di sospensione del processo con messa alla prova, suddiviso per anno e per autorità giudiziaria dell'emanazione.

SOSP. PROC. E MESSA ALLA PROVA
Anno GUP Dibattimento Totale
1999 5 0 5
2000 4 0 4
2001 7 0 7
2002 (Iº sem.) 3 0 3
Totale 19

Da tale tabella emerge che la messa alla prova è stata disposta unicamente in sede di udienza preliminare. È un dato lampante anche la scarsa applicazione di tale istituto (è stato applicato solo diciannove volte in tre anni e mezzo). Questo principalmente è dovuto al fatto che il Tribunale per i Minorenni di Trieste, seguendo la prassi stabilitasi anche nel resto del paese (24), riserva l'applicazione della messa alla prova ai reati di maggiore gravità, che costituiscono una piccola parte dei reati commessi da minorenni nel Friuli Venezia-Giulia. Pertanto la messa alla prova rappresenta una risposta giudiziaria scarsamente adeguata alla criminalità minorile che il Tribunale per i Minorenni di Trieste si trova a dover fronteggiare.

Un altro motivo della scarsa applicazione della messa alla prova è la notevole distanza temporale che intercorre fra la commissione del reato e la prima udienza preliminare, che arriva anche a raggiungere i due anni. L'attenuarsi, a causa del trascorrere del tempo, dell'attribuibilità psicologica dell'azione al suo autore costituisce nella prassi del Tribunale per i Minorenni di Trieste un elemento sulla cui base escludere l'applicazione di un istituto come la messa alla prova, fondato sulla disponibilità del minore ad intraprendere un percorso evolutivo sulla base del riconoscimento delle proprie responsabilità penali in ordine al fatto commesso (25).

Nel grafico riportato di seguito viene rappresentato graficamente il numero dei casi in cui è stata applicata la messa alla prova.

Grafico 12

A questo punto è interessante osservare l'applicazione che il Tribunale per i Minorenni di Trieste, in funzione di Tribunale di sorveglianza, fa delle misure alternative dell'affidamento in prova al servizio sociale (prevista dall'articolo 47 della Legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario), dell'affidamento in prova in casi particolari (previsto dall'articolo 94 del D.P.R. 309 del 1990, Testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope e prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) e della detenzione domiciliare (prevista dall'articolo 47ter dell'ordinamento penitenziario). Si tratta di misure che, a differenza dell'istituto della messa alla prova, incidono sulla fase esecutiva della pena detentiva, presupponendo quindi che il processo non solo si sia concluso, ma anche che abbia comportato la condanna a pena detentiva dell'imputato.

In particolare l'affidamento in prova al servizio sociale costituisce una vera e propria forma di probation penitenziaria. Infatti presenta alcuni elementi comuni con il modello generale del probation: l'affidamento in prova assistita con supervision del magistrato, al quale il servizio sociale riferisce periodicamente sul comportamento del soggetto, l'imposizione di prescrizioni positive (riguardanti il rapporto fra il soggetto e il servizio sociale, la dimora del soggetto, la sua libertà di locomozione e il lavoro) e negative (il divieto di frequentare determinati locali e di soggiornare in uno o più comuni) e l'effetto estintivo sulla pena e su ogni altro effetto penale in caso di esito positivo della prova. Tale misura si differenzia dall'altra forma di probation prevista dal nostro ordinamento, la messa alla prova, in quanto interviene solo successivamente all'emanazione della condanna e conseguentemente sospende l'esecuzione della pena, non il processo, estingue la pena ed ogni altro effetto penale e non il reato e si applica indistintamente sia ai minori che agli adulti (26). L'affidamento in prova al servizio sociale, fuori dall'istituto penitenziario, per un periodo uguale a quello della pena da scontare, si applica quando la pena detentiva inflitta non supera i tre anni e se, sulla base di una osservazione collegiale della personalità del soggetto condotta all'interno dell'istituto penitenziario o sulla base del comportamento tenuto dopo la commissione del reato, si possa ritenere che la misura contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati.

L'affidamento in prova in casi particolari è una particolare forma di affidamento in prova prevista per i soggetti tossicodipendenti e alcooldipendenti. Tali soggetti possono chiedere di essere affidati in prova ai servizi sociali per intraprendere o proseguire l'attività terapeutica sulla base di un programma concordato con l'ASL che deve essere idoneo ai fini del loro recupero.

La detenzione domiciliare, consistente nell'espiazione della pena della reclusione non superiore a quattro anni o dell'arresto nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura o di assistenza, può essere applicata al minore di ventuno anni per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia, oltre che a donna incinta o madre di figli di età inferiore a tre anni, a padre di figli di età inferiore a dieci anni se la madre è deceduta o impossibilitata a prendersi cura dei figli, a persona ultrasessantenne inabile e a persona in gravi condizioni di salute, richiedenti contatti continui con i presidi sanitari territoriali. Per scontare una pena detentiva non superiore ai due anni la misura può essere applicata indipendentemente dall'appartenenza del soggetto alle categorie di persone citate, quando non ci sono i presupposti per l'affidamento in prova al servizio sociale.

Le misure alternative prese in esame hanno in comune con l'istituto della messa alla prova lo scopo del recupero del soggetto, che viene sottratto agli effetti negativi che il carcere produce sulla personalità. Inoltre i due tipi di affidamento in prova al servizio sociale si estrinsecano nelle forme del probation alla stregua della messa alla prova.

Gennaio 1999 - Giugno 2002
Affidamento in prova al servizio sociale 4
Affidamento in casi particolari 1
Detenzione domiciliare 3

Dalla lettura della tabella emerge che, nel periodo di tempo analizzato, le misure alternative prese in esame sono state applicate in misura minore rispetto alla sospensione del processo con messa alla prova. In effetti si osserva che tali misure sono state applicate complessivamente in 8 casi, mentre la sospensione del processo con messa alla prova è stata applicata in 19 casi. In particolare la scarsa applicazione ha riguardato soprattutto l'affidamento in prova a scopo terapeutico, che è stato concesso una sola volta in tre anni e mezzo. Da tale dato si ricava che il Tribunale per i Minorenni di Trieste applica più frequentemente, ai soggetti con problematiche legate all'uso di sostanze stupefacenti, la messa alla prova di quanto non applichi l'affidamento in prova a scopo terapeutico.

Tornando all'analisi della messa alla prova, l'85% delle prove disposte hanno avuto esito positivo che ha portato al proscioglimento del minore per estinzione del reato.

Le relazioni redatte dai servizi sociali ministeriali a conclusione del periodo di prova, sulle quali si basa la dichiarazione di estinzione del reato da parte del giudice, fondano la valutazione positiva in ordine all'esito della prova sul comportamento tenuto dal minore e sui risultati raggiunti riguardo all'evoluzione della personalità dello stesso.

In particolare tali relazioni mettono in evidenza l'impegno e il senso di responsabilità dimostrati dal minore nello svolgimento delle attività prescrittegli nell'ambito del progetto di intervento. In riferimento ai minori collocati in comunità i servizi sociali evidenziano la correttezza del comportamento tenuto all'interno di esse.

Notevole importanza viene attribuita al regolare svolgimento delle attività di volontariato, in quanto è con tale attività che il minore simbolicamente 'regola i conti' con l'intera società. A questo proposito viene descritto l'impegno del minore nello svolgimento delle mansioni di sua competenza e viene indicata la circostanza che il minore prosegua tale attività anche dopo la conclusione del periodo di prova.

Per quanto riguarda l'avvenuta evoluzione della personalità del minore le relazioni mettono in luce il graduale e sostanziale cambiamento in positivo nelle relazioni interpersonali, sia nei riguardi della famiglia, sia nei riguardi degli estranei. Viene attribuita molta importanza all'avvenuto ravvedimento del minore, dimostrato dalla rielaborazione personale del comportamento pregresso, rispetto al quale vengono prese le distanze.

Infine, le relazioni descrivono attentamente la collaborazione fattiva prestata dalla famiglia in termini di sostegno offerto al minore e di disponibilità nei confronti dei servizi sociali, dimostrata anche con la partecipazione agli incontri stabiliti, e nei confronti di eventuali specialisti coinvolti nel progetto di intervento (per esempio la disponibilità ad incontrare psicologi).

Dalla tabella riportata di seguito si osserva che le sentenze di non luogo a procedere per estinzione del reato dovuta all'esito positivo della prova sono state tutte emesse dal giudice dell'udienza preliminare.

ESTINZIONE REATO PER ESITO POSITIVO PROVA
Anno GUP Dibattimento Totale
1999 0 0 0
2000 4 0 4
2001 3 0 3
2002 (Iº sem.) 2 0 2
Totale 9

Emerge inoltre che nel 1999 non sono state emesse sentenze di non luogo a procedere per esito positivo della prova.

Nel grafico seguente ogni colonna rappresenta il numero totale delle sentenze con cui si è dichiarata l'estinzione del reato per esito positivo della prova nel corso di un anno (27).

Grafico 13

Nella tabella che segue si osserva la percentuale dei procedimenti penali definiti ogni anno con sentenza di non luogo a procedere per estinzione del reato a seguito dell'esito positivo della prova (28).

Esito positivo prova
Anno Percentuali
1999 0%
2000 0,3%
2001 0,2%
2002 0,5%

Nel periodo analizzato solamente lo 0,2% dei giudizi sono stati definiti con sentenza di non luogo a procedere per estinzione del reato a seguito dell'esito positivo della prova.

Nel grafico che segue si osserva l'andamento della percentuale dei giudizi esauriti per estinzione del reato dovuta all'esito positivo della prova.

Grafico 14

Si nota l'andamento altalenante di tali percentuali, il cui valore minimo è raggiunto nel 1999, anno in cui il valore è pari a zero, e il cui valore massimo è raggiunto nel primo semestre del 2002, periodo in cui sono stati definiti con estinzione del reato per esito positivo della prova lo 0,5% dei giudizi. Si sottolinea che l'oscillazione che intercorre fra il valore minimo e quello massimo risulta essere di minima entità, variando dallo 0 allo 0,5%.

Il Tribunale per i Minorenni di Trieste già in relazione al progetto preliminare di riforma del processo penale minorile aveva manifestato la propria preoccupazione per l'illimitatezza dell'ambito applicativo dell'istituto, causa di un eccessivo potere discrezionale in capo ai giudici (29).

Anche il Dott. Sceusa critica l'ampio margine di discrezionalità che l'istituto in esame offre al giudice. In particolare riferisce la sua critica alla insufficienza dei parametri relativi all'an dell'applicazione. Il fatto che l'unico discrimen sul quale si fonda l'applicazione della messa alla prova sia il fatto che il giudice ritenga di dover valutare la personalità del minore (30) è ritenuto frutto di possibili disparità di trattamento. La difficoltà, se non l'impossibilità, di spiegare al minore il motivo per cui si dispone la messa alla prova a favore di un soggetto e non a favore di un altro, dovuta all'assenza di parametri chiari per il minore, rischia di vanificare la finalità educativa propria di tale istituto. Infatti il minore può percepire il processo come "un meccanismo degli adulti" e come tale incomprensibile, e ricavarne solamente la sicurezza dell'impunità (31).

3.2. L'esperienza del Tribunale per i Minorenni di Firenze

3.2.1. Realtà socio-economica e criminalità minorile a Firenze

La provincia di Firenze, con le province di Prato (la quale coincide quasi con il comune) e di Pistoia e il comune di Empoli, forma una conurbazione intorno al milione di abitanti. È questa la zona più densamente popolata della Toscana, la quale, pur essendo una delle regioni più vaste del paese, non è una delle regioni più popolate, essendo la sua densità di popolazione, pari a 153 abitanti per chilometro quadrato, alquanto inferiore rispetto alla media nazionale (191 abitanti per chilometro quadrato). Il numero complessivo della popolazione è in lenta e costante diminuzione, e dalla metà degli anni settanta si registra una bassissima natalità e un forte invecchiamento della popolazione.

La Toscana ha un notevole risalto sotto il profilo economico; di tutte le dodici regioni dell'Italia centrale e meridionale, solo il Lazio la precede quanto a reddito per abitante.

Il Tribunale per i Minorenni di Firenze ha competenza su tutta la Toscana, con la sola esclusione di Massa, che fa parte del distretto di Genova. La città della regione dove si registra un maggior tasso di delinquenza minorile è Firenze, che è anche la città più popolata, seguita da Livorno, dove c'è il porto e da Prato, una delle città più ricche d'Italia. A Viareggio in estate, quando la popolazione sale in modo esponenziale, il tasso di criminalità minorile è superato solo da quello di Firenze. Le città più tranquille sono Siena e Lucca.

La criminalità minorile è composta, in prevalenza, da minori stranieri, confermando il dato relativo al nord e al centro del paese. Nel 2001 su 2657 minorenni indagati, 1503 sono stranieri e 1154 italiani (32).

È possibile individuare un legame fra il tipo di reati commessi e la nazionalità del minore. In particolare i minori nordafricani commettono reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti, gli albanesi commettono soprattutto reati contro il patrimonio (molto spesso furti in appartamenti), e, in misura minore reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti e i minori nomadi sono dediti a reati contro il patrimonio (33), soprattutto furti, anche in appartamenti, e scippi (34). Si registra un notevole calo dei furti commessi dai minori nomadi a partire dal 2001, anno in cui molti adulti nomadi sono finiti in custodia cautelare dopoché le forze di polizia hanno trovato le prove concrete di una attività sistematica assai lucrosa di sfruttamento di minori costretti a furti in abitazioni e a danno di turisti, con ingenti guadagni investiti o depositati presso banche italiane ed estere (35).

Nonostante che le province di Firenze e Prato siano interessate da una massiccia immigrazione dalla Cina, la criminalità minorile di ragazzi provenienti da tale paese è un fenomeno del tutto marginale, caratterizzato da episodi assolutamente occasionali, e come tale riconducibile a quella tipologia di delinquenza fisiologica in età adolescenziale (36). I minorenni cinesi subiscono i reati commessi da altri in misura maggiore rispetto a quanti ne commettano; in particolare sono vittime dello sfruttamento da parte di loro connazionali adulti, dai quali sono costretti a lavorare per molte ore al giorno e in condizioni di vita insopportabili e spesso sono vittime di rapine perpetrate in loro danno da parte di italiani o stranieri.

La delinquenza composta dai minori italiani si caratterizza per la sua connotazione di occasionalità, non avendo radici in culture devianti, né, tantomeno, essendo dettata dalla necessità. La caratteristica dell'occasionalità trova conferma nella scarsa recidiva da parte dei minori italiani (37). Nella maggior parte dei casi sono commessi reati non aventi grave entità e non destanti allarme sociale, quali per esempio furti di lieve entità, danneggiamenti, lesioni di lieve entità, risse (38). Tale tipo di delinquenza, che si sviluppa nell'ambito di un disagio giovanile crescente che investe la famiglia e la scuola, è secondo il procuratore generale presso il Tribunale per i Minorenni di Firenze, Dott. Nesticò, semplicemente sintomo di "vivacità giovanile male incanalata" (39).

I reati più gravi, come per esempio le rapine, sono commesse spesso da ragazzi provenienti da regioni del sud d'Italia, come la Campania, dove sono presenti, a differenza di quanto accade in Toscana, delle vere e proprie subculture di tipo deviante.

Il fenomeno delle baby-gangs, nella sua qualificazione giuridica di associazione per delinquere che prevede un assetto organizzativo continuativo con una diversità di ruoli fra capo e gregari e che svolge un'attività delinquenziale definita, è assente nella realtà di Firenze e della Toscana in genere. Si verificano tutt'al più reati commessi da gruppi di minorenni, come per esempio un gruppo di scippatori quattordicenni che agivano a Bagno a Ripoli, scoperto il 22 aprile di quest'anno (40), che però non posseggono i requisiti propri della gang.

Anche Firenze è interessata dal fenomeno della diminuzione delle notizie di reato, che ha riguardato negli ultimi anni tutto il paese, soprattutto il centro e il nord (41); nel 2001 i procedimenti penali sono stati 1945, mentre l'anno precedente erano stati 2527 (42), facendo registrare un'inflessione di quasi seicento procedimenti. Si registra, tuttavia, a conferma della tendenza nazionale (43), una diminuzione di reati meno gravi e un aumento degli omicidi. Il numero dei furti è passato da 866 a 616, quello delle rapine e delle estorsioni consumate è passato da 58 a 31, quello delle ricettazioni da 148 a 85 e quello dei reati relativi allo spaccio di sostanze stupefacenti da 215 a 130; nel contempo ci sono stati reati molto gravi, assenti nell'anno precedente: tre tentati omicidi e un omicidio preterintenzionale, originati da risse scoppiate fra extracomunitari. Inoltre novantadue minori sono stati denunciati per la violazione delle norme sulla circolazione stradale, che hanno causato incidenti con morti e feriti.

Passando all'analisi del fenomeno del bullismo, sono pochi i casi che trascendono nella commissione di reati e sono solo i casi più gravi, che configurano il reato di sequestro di persona o di lesioni personali; ne approdano alla Procura uno o due l'anno. La maggior parte degli episodi riconducibili a tale fenomeno non rilevano a livello penale, e il Tribunale ne tratta nel settore civile, apprestando sostegno alle famiglie. Pertanto il fenomeno del bullismo in Toscana non desta allarme sociale.

3.2.2. Perdono giudiziale, irrilevanza del fatto ed estinzione del reato per esito positivo della prova nella prassi applicativa del Tribunale per i Minorenni di Firenze

Per condurre l'analisi della prassi applicativa del Tribunale per i Minorenni di Firenze in ordine alle modalità di definizione del processo penale minorile ispirate al principio della minima offensività (44), partiamo dall'analisi del perdono giudiziale.

Per quanto riguarda il giudizio prognostico favorevole relativo alla astensione del minore dal commettere ulteriori reati, che costituisce la condizione necessaria per poter concedere il perdono giudiziale, si osserva una distinzione nella prassi fra minori italiani e minori stranieri. Mentre rispetto ai minori stranieri la formulazione di tale giudizio prognostico si fonda quasi sempre esclusivamente sull'assenza di precedenti penali, data la difficoltà di raccogliere informazioni di altro tipo riguardo ad essi, per la formulazione di tale prognosi rispetto ai minori italiani, invece, si prendono in considerazione anche le relazioni redatte dai servizi sociali o dalle forze di polizia riguardanti le condizioni di vita individuale e familiare del minore (45). Indipendentemente dalla possibilità di assumere informazioni sul minore, secondo una prassi ormai consolidata con l'assenza di precedenti penali viene sempre concesso il perdono giudiziale. In particolare la Procura segue un preciso iter che inizia dalla verifica che il reato commesso non configuri un caso per cui si può concedere l'irrilevanza del fatto; dopo aver escluso tale possibilità, viene chiesto il rinvio a giudizio e, in udienza preliminare, se il minore non ha precedenti penali viene chiesto il perdono giudiziale (solamente dopo avere escluso la presenza di una caratterizzazione deviante, in presenza della quale viene chiesta la sospensione del processo con messa alla prova).

Nella motivazioni delle sentenze con cui viene concesso il perdono giudiziale, fra gli elementi su cui si fonda il giudizio prognostico, talvolta è presente anche il riferimento all'atteggiamento processuale (46) tenuto dal minore, e, in particolare, all'avvenuta confessione da parte dello stesso, che dimostra ravvedimento in ordine al reato commesso (47).

Talvolta, allo stesso scopo, si fa riferimento anche all'effetto deterrente cagionato sul minore dall'esperienza processuale a cui è stato sottoposto. Tale effetto è atteso in quanto i giudici del Tribunale per i Minorenni di Firenze sono soliti fare un vero e proprio "sermone", in funzione di ammonimento, in cui viene spiegato al minore che per una volta è stato perdonato sulla base degli elementi favorevoli raccolti nei suoi confronti, ma al prossimo reato seguiranno inevitabilmente le conseguenze sanzionatorie previste dalla legge. Sottolineando l'aspetto retributivo insito nell'istituto del perdono giudiziale, ci si attende una responsabilizzazione del minore in direzione del suo recupero. Viene condivisa, pertanto, la posizione di parte della dottrina, fra cui Ricciotti, che attribuisce la funzione di responsabilizzare il minore alla riprovazione (48) della condotta, propria dello spirito retributivo del perdono giudiziale (49).

Il perdono giudiziale viene concesso soprattutto per reati patrimoniali, in particolare furti anche aggravati, lesioni personali, danneggiamenti e spaccio di sostanze stupefacenti rientranti nella categoria delle così dette droghe leggere (hashish e marijuana).

Dalla tabella che segue emerge che la sede privilegiata per la concessione del perdono giudiziale è l'udienza preliminare dove sono stati definiti circa il 73% del totale dei processi conclusisi con la concessione dell'istituto in esame (mentre in dibattimento ne sono stati definiti solamente il 27%). Come già rilevato a proposito del Tribunale per i Minorenni di Trieste, questo accade perché i casi meno gravi risultano solitamente risolvibili in sede di udienza preliminare, mentre solo quelli più gravi approdano in dibattimento.

PERDONO GIUDIZIALE art. 169 c.p., art. 19 R.d.l. 1404/1934
Anno GUP Dibattimento Totale
1999 421 122 543
2000 294 144 438
2001 244 90 334
2002 (Iº sem.) 109 40 149
Totale 1464

Dal grafico successivo, che rappresenta il numero totale per ogni anno (50) dei processi definiti con l'applicazione del perdono giudiziale, si può osservare che il numero dei giudizi definiti con l'applicazione del perdono giudiziale decresce progressivamente dal 1999 al primo semestre del 2002.

Grafico 15

L'andamento decrescente del numero dei processi definiti con il perdono giudiziale è dovuto alla diminuzione del numero delle notizie di reato pervenute alla Procura presso il Tribunale per i Minorenni, e alla conseguente diminuzione dei procedimenti sopravvenuti in tali anni (51). Inoltre la diminuzione delle notizie di reato è stata accompagnata dalla diminuzione dei reati meno gravi e dall'aumento di quelli più gravi, circostanza che ha ristretto ulteriormente i casi aventi i requisiti necessari per la concessione del perdono giudiziale.

Analizziamo, adesso, la percentuale dei procedimenti penali definiti ogni anno con il perdono giudiziale.

Perdono giudiziale
Anno Percentuali
1999 13,1%
2000 13,1%
2001 13,5%
2002 13,5%

I valori percentuali riportati nella tabella sono stati ottenuti rapportando il numero totale dei procedimenti penali definiti ogni anno (52) con l'applicazione del perdono giudiziale al numero totale dei procedimenti esauriti ogni anno davanti al Tribunale per i Minorenni di Firenze (53). Tale tribunale, nel periodo osservato, ha definito con l'istituto esaminato il 13,2% del totale dei procedimenti penali esauriti.

Il grafico che segue descrive l'andamento della percentuale dei procedimenti penali definiti con il perdono giudiziale.

Grafico 16

È evidente l'omogeneità del livello di tali percentuali nel corso del periodo osservato; si oscilla, infatti, fra il 13,1% e il 13,5% dei giudizi definiti con l'istituto esaminato sul totale dei giudizi esauriti.

Per quanto riguarda la considerazione del valore educativo-responsabilizzante in funzione deterrente dell'istituto in esame, bisogna distinguere fra un livello teorico e un livello pratico. Infatti mentre il Tribunale per i Minorenni di Firenze mostra di avere fiducia verso il valore educativo e responsabilizzante dell'ammonimento, insito nella riprovazione della condotta, secondo la Dott.ssa Fiorillo molti minori non recepiscono assolutamente il valore dell'ammonimento fatto dal giudice e percepiscono il perdono giudiziale solamente come un modo per evitare l'esecuzione di una pena, che sarebbe stata sicura se avessero avuto la maggiore età (54). Inoltre spesso i processi vengono celebrati nella contumacia degli imputati per cui il minore non si sottopone all'ammonimento del giudice. Pertanto mentre l'istituto funziona come strumento volto ad evitare l'afflizione di una condanna sotto il profilo psicologico, coerentemente con la scelta operata dallo Stato di privilegiare la rieducazione piuttosto che l'afflizione riguardo ai minori, come strumento di prevenzione speciale nella maggior parte dei casi sembra non funzionare.

Analizziamo adesso la prassi applicativa del Tribunale per i Minorenni di Firenze relativa all'istituto dell'irrilevanza del fatto. Innanzitutto il requisito della tenuità del fatto viene riferito al 'fatto reato': si ha riguardo alle modalità della condotta, al contesto nel quale il fatto è stato posto in essere, all'intensità del dolo e al grado della colpa, oltre che alla oggettiva modesta gravità del fatto in relazione alle conseguenze provocate. Inoltre nel concorso di persone si considera il contributo apportato dal singolo soggetto.

Il requisito dell'occasionalità del comportamento è prevalentemente interpretato in senso cronologico, essendo determinato dall'assenza di precedenti penali. Ma, laddove risulti possibile, tale circostanza viene integrata da altre informazioni (55), quali lo stile di vita, l'ambiente familiare del minore, le attività in cui è impegnato, volte a fare ritenere il reato commesso un episodio isolato in un percorso che è e sarà 'regolare' (56).

In alcuni casi l'occasionalità del comportamento viene interpretata alla luce di un criterio psicologico. Questo accade quando si dichiara il non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, nonostante la presenza di precedenti penali, se il reato commesso è diverso, per la sua natura, da quelli commessi precedentemente, in quanto si ritiene che non rientri in una precisa scelta deviante, ma sia il frutto di circostanze particolari e contingenti (57). Uno degli esempi più ricorrenti di tale prassi è il caso in cui il minore, precedentemente condannato per furti, viene prosciolto con sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto per il reato di danneggiamento, avvenuto in un contesto e per motivi completamente diversi (58).

Per quanto riguarda il pregiudizio alle esigenze educative del minore dato dall'ulteriore corso del procedimento si fa riferimento alla prevalenza data alla salvaguardia dello sviluppo armonico del minore, rispetto alla pretesa punitiva dello Stato, soprattutto trattandosi di un reato di lieve entità, condividendo l'interpretazione adottata dalla dottrina maggioritaria (59). Si prendono in considerazione le esigenze educative del minore in senso lato, cioè il percorso educativo ancora in fieri nei soggetti di minore età, la personalità dei quali, ancora in formazione, potrebbe essere destabilizzata da una interruzione di esso. Nella maggior parte delle motivazioni delle sentenze di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto non si fa riferimento al pregiudizio alle esigenze educative del minore (60), mentre talvolta sono indicate delle attività educativo-formative, scolastica o lavorativa, nelle quali è impegnato il minore, che verrebbero interrotte dalla prosecuzione del procedimento penale.

Il Tribunale per i Minorenni di Firenze dichiara il non luogo a procedere per irrilevanza del fatto soprattutto per i reati colposi, procedibili a querela, come per esempio lesioni colpose, per il reato di danneggiamento, per furti particolarmente tenui e per lo spaccio di modeste quantità di sostanze stupefacenti del tipo comunemente definito 'droghe leggere' (hashish e marijuana).

Le sentenze di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto sono emesse raramente a favore di minori stranieri, essendo difficile dimostrare l'occasionalità del comportamento, in quanto spesso hanno precedenti penali e, non essendo spesso reperibili, non risulta possibile assumere informazioni di altro tipo che dimostrino l'episodicità della condotta deviante. Le sentenze di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto relative a minori stranieri sono emesse prevalentemente in sede di udienza preliminare e soprattutto per il reato di false dichiarazioni a pubblico ufficiale sulla propria identità e per la vendita di merce contraffatta.

Dalla tabella che segue, che riporta il numero di sentenze di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto emesse nel 1999, nel 2000, nel 2001 e nel primo semestre del 2002, suddivise secondo l'autorità giudiziaria dell'emanazione, emerge che la maggior parte di tali sentenze sono emanate nelle prime fasi del procedimento (il 66% sono emanate durante la fase delle indagini preliminari, il 28% in sede di udienza preliminare e solamente il 6% in dibattimento). Questa circostanza si pone perfettamente in linea con la finalità deflattiva propria dell'istituto dell'irrilevanza del fatto.

IRRILEVANZA DEL FATTO art. 27 DPR 448/1988
Anno GIP GUP Dibattimento Totale
1999 278 135 20 433
2000 248 75 20 343
2001 200 79 15 294
2002 (Iº sem.) 61 38 14 113
Totale 1183

La tendenza a definire i giudizi nelle prime fasi del procedimento penale, già osservata a proposito del perdono giudiziale, era già stata registrata dal Presidente del Tribunale per i Minorenni di Firenze, Dott. P. Tony, che, a pochi anni dall'introduzione delle disposizioni sul nuovo processo penale minorile, osservava che in tale tribunale "si arriva al dibattimento solo per reati di marcata gravità o di marcata opinabilità" (61). Nel dibattimento, pertanto, "si concentra lo stesso potenziale penale che ha nel processo per adulti".

Nel grafico seguente ogni colonna rappresenta il numero totale delle sentenze di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto emesse in un anno, eccetto la colonna relativa al 2002, che si riferisce solamente al primo semestre di tale anno.

Grafico 17

Il fatto che il numero di tali sentenze decresca progressivamente, come emerge dal grafico, è da attribuire, come già rilevato per il perdono giudiziale, alla diminuzione delle notizie di reato pervenute alla Procura presso il Tribunale per i Minorenni.

La tabella successiva riporta la percentuale dei procedimenti penali definiti ogni anno con sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (62).

Irrilevanza del fatto
Anno Percentuali
1999 10,4%
2000 10,3%
2001 11,8%
2002 10,2%

Nel periodo osservato il Tribunale per i Minorenni di Firenze ha definito con sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto il 10,7% del totale dei procedimenti penali esauriti.

Qui di seguito viene riportata graficamente l'applicazione percentuale dell'irrilevanza del fatto.

Grafico 18

Come già osservato per il perdono giudiziale, anche per l'irrilevanza del fatto si nota una sostanziale omogeneità fra le percentuali relative all'applicazione di tale istituto nel periodo analizzato; solamente nel 2001 si registra una percentuale superiore (11,8%), anche se di poco, rispetto agli altri anni, in cui la percentuale dei procedimenti definiti con irrilevanza del fatto si mantiene intorno al 10%.

Entrambi i magistrati intervistati concordano nel ritenere l'utilità dell'istituto dell'irrilevanza del fatto sotto il profilo deflattivo, in quanto consente di decongestionare il sistema penale in relazione a reati di scarso allarme sociale.

La Dott.ssa Fiorillo sostiene che l'irrilevanza del fatto sia un istituto assolutamente deresponsabilizzante per il minore (63), il quale percepisce l'assoluta gratuità del suo proscioglimento. In tal modo manifesta di attribuire prevalenza ad una concezione retributiva del diritto penale minorile, piuttosto che all'esigenza di non interferire con il processo evolutivo-educativo del minore.

Secondo il Dott. Sodi, invece, l'irrilevanza del fatto non solo si pone in linea con la scelta operata dallo Stato, in materia di diritto penale minorile, di rinunciare alla potestà punitiva per privilegiare le esigenze educative proprie dei soggetti di minore età, ma può avere anche un valore responsabilizzante. Infatti il giudice durante il processo spiega al minore il significato e le ragioni del proscioglimento e lo 'ammonisce' che se la condotta in questione sarà reiterata, dovrà subirne le conseguenze penali previste dalla legge (64). Appare evidente che tale valore responsabilizzante sarà annientato nel caso in cui l'imputato sia contumace, e, inoltre, nel caso in cui l'imputato sia presente, la sua realizzazione dipenderà dalla disposizione dello stesso ad ascoltare ed a recepire quanto gli viene detto.

Passiamo adesso ad analizzare i casi in cui viene dichiarato estinto il reato a seguito dell'esito positivo della prova e per fare ciò iniziamo dall'analisi della prassi seguita dal Tribunale per i Minorenni di Firenze in ordine all'istituto della sospensione del processo con messa alla prova del minore.

L'istituto della messa alla prova, essendo fondato sulla collaborazione del minore, del quale viene richiesto il consenso ad essere sottoposto al programma di intervento elaborato dai servizi sociali, viene applicato da tale tribunale solamente laddove il minore ammetta le proprie responsabilità. Non viene richiesta una confessione in senso tecnico (65), ma una valutazione consapevole, da parte del minore, della rilevanza penale del reato commesso, la quale può anche non essere spontanea, ma indotta dalla spiegazione dei magistrati nel corso del processo. Tale ammissione viene ritenuta indice di un atteggiamento collaborativo, che costituisce uno degli elementi sul quale il giudice fonda il giudizio prognostico favorevole riguardante l'opportunità di emanare l'ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova (66). Nelle motivazioni delle sentenze con cui viene dichiarato il non luogo a procedere per estinzione del reato a seguito dell'esito positivo della prova spesso è presente il richiamo all'ammissione, da parte del minore, delle proprie responsabilità, avvenuta in un momento antecedente rispetto alla sospensione del processo per messa alla prova.

La presenza di una famiglia non è un requisito indispensabile per la concessione della messa alla prova, alla quale vengono sottoposti anche i minori che non hanno famiglia o la cui famiglia non sia presente in territorio italiano (67). Per tali minori, soprattutto stranieri, il periodo di messa alla prova viene trascorso presso una comunità. Nei casi in cui sia presente la famiglia le relazioni redatte dai servizi sociali minorili dedicano ampio spazio alla descrizione delle condizioni di vita e dell'atteggiamento di essa nei confronti del minore e della prova disposta dall'autorità giudiziaria. Già nelle relazioni precedenti alla emanazione dell'ordinanza di sospensione del processo si fa riferimento alla composizione del nucleo familiare, all'attività lavorativa svolta dai genitori, all'armonia fra essi o ad un'eventuale crisi nel loro rapporto di coppia, nonché ad una eventuale separazione o divorzio, alle condizioni della casa in cui vive la famiglia, al rapporto fra i genitori e il minore. Nelle relazioni redatte durante il periodo di svolgimento della prova viene messo in evidenza il coinvolgimento dei genitori e la loro disponibilità a collaborare con l'autorità giudiziaria e con i servizi sociali. Infine nelle relazioni redatte a conclusione del periodo di prova viene fatto un bilancio dell'apporto in concreto prestato dalla famiglia verso il raggiungimento del buon esito della prova stessa, o del mancato aiuto offerto al minore. Alla luce di tali osservazioni emerge che viene attribuito un ruolo molto importante, anche se non indispensabile, alla famiglia che viene vista come elemento di controllo sociale spontaneo.

Per la maggior parte dei minori stranieri la prognosi favorevole in ordine all'esito positivo della prova non può fondarsi sulla collaborazione della famiglia, in quanto spesso non è presente, pertanto il giudice dovrà fondare tale giudizio su altri elementi che forniscano un indizio di inserimento nella società e di predisposizione del minore stesso a portare a buon fine la prova. Così il minore straniero che ha una famiglia ha pressoché le stesse possibilità di un minore italiano di essere sottoposto alla messa alla prova (68), mentre il minore straniero che si trova da solo in territorio italiano avrà minori possibilità di poter godere di tale misura. In effetti i minori stranieri ai quali viene applicato l'articolo 28 del D.P.R. 448 del 1988 rappresentano solamente il 20% (69) circa dei minori sottoposti a tale misura. Si deve considerare che un altro elemento ostativo all'applicazione della messa alla prova a tali minori è che spesso i processi relativi ad essi vengono celebrati nella loro contumacia.

Tendenzialmente in Toscana sono presenti le risorse necessarie per la messa alla prova di un minore: il servizio sociale minorile territoriale è ben organizzato e collabora sempre con il servizio ministeriale per la realizzazione dei programmi di intervento, in quanto conosce bene il territorio e le risorse presenti su di esso e inoltre, nei casi in cui non conosca direttamente il minore, ha maggiori possibilità di avere informazioni dettagliate sulla sua vita. Inoltre il settore del privato sociale è molto forte (ci sono molte comunità convenzionate con il Comune), il volontariato è molto sviluppato in diversi settori, da quello sanitario a quello ambientale, da quello socio-assistenziale a quello culturale, così come nel resto dell'Italia del nord e del centro, ed inoltre c'è una discreta possibilità di trovare lavori, anche se temporanei e in settori limitati, come la manodopera nel settore edilizio, in officine automobilistiche e nel settore della ristorazione. Possiamo, pertanto, affermare che la possibilità di concedere la messa alla prova non è mai preclusa a causa dell'insufficienza di risorse che rendano impossibile predisporre un progetto di intervento.

I progetti di intervento contengono prescrizioni relative allo svolgimento di attività lavorative, di attività scolastiche-formative, di attività di volontariato, di attività sportive, oltre che incontri con i servizi sociali ed eventuali incontri con specialisti (psicologi, neuropsichiatri). Non sempre in un progetto di intervento sono presenti tutte queste prescrizioni, ma ogni progetto contiene le prescrizioni che più si adattano alle capacità ed alle esigenze del minore (70). Le attività lavorative più frequentemente oggetto di prescrizione sono attività di apprendistato o di tirocinio presso imprese edili, officine meccaniche e pizzerie. Se il minore svolge già un'attività lavorativa gli viene prescritto di continuare nello svolgimento di essa. Lo stesso accade se il minore frequenta già un corso scolastico. Negli altri casi viene prescritta la frequenza di corsi di alfabetizzazione, corsi per il conseguimento della licenza media, corsi di computer a seconda delle diverse esigenze e preferenze del minore. Tale esigenza di adeguatezza emerge soprattutto nei casi in cui vengono predisposti dei corsi di studio nei centri didattici territoriali con programmi che tengono conto degli interessi del minore (per esempio un corso sulle nuove tendenze musicali). Le attività di volontariato prescritte variano soprattutto a seconda delle possibilità che offre il territorio in cui è collocato il minore e si svolgono soprattutto presso le Misericordie, presso la Croce Rossa, presso la mensa della Caritas, presso l'Arci, presso organizzazioni a tutela dell'ambiente in cui vengono svolti compiti quali la pulitura dei parchi. Inoltre, mentre gli incontri con il servizio sociale vengono prescritti in ogni progetto di intervento, gli incontri con specialisti vengono prescritti in presenza di particolari situazioni di disagio quali la tossicodipendenza, per fronteggiare la quale viene elaborato un programma dal Sert (Servizio Tossicodipendenze), quali disturbi della socialità, in presenza dei quali vengono prescritti incontri con psicologi o con neuropsichiatri, o altri tipi di difficoltà psicologiche più o meno evidenti, dalla dislessia a disturbi del comportamento, per i quali vengono organizzati incontri con psicologi.

Il progetto si caratterizza per la sua flessibilità, in quanto laddove taluna delle prescrizioni non sia più attuabile, viene modificato. Questo dipende dalle mutate esigenze del minore (capita per esempio che il soggetto cambi più volte lavoro in corso di prova), o da circostanze esterne non dipendenti dal minore (per esempio una ditta che non può più offrire un impiego al minore).

La Dott.ssa Fiorillo critica tali tipologie di progetti di intervento sostenendo che sono in pratica poco ragionati, ma sono essenzialmente rispondenti ad un modello di progetto divenuto "standard". La discrezionalità esercitata dal giudice nel momento della valutazione dell'evoluzione compiuta dal minore in seguito al periodo di prova e della conseguente dichiarazione di estinzione del reato, risulta amplificata dal fatto che si fonda su un progetto pressoché privo di contenuti e di incisività. Tale margine di discrezionalità risulterebbe limitato se venisse "agganciato" ad un programma "serio" che fornisse dei parametri di giudizio precisi, relativi all'avvenuta evoluzione.

Il Tribunale per i Minorenni di Firenze, nell'ambito della messa alla prova, non dispone mai prescrizioni conciliative o riparative, né volte alla riparazione del danno in modo diretto, né in modo indiretto, simbolico. Questo è dovuto in parte alla mancanza di fiducia dei magistrati di tale tribunale verso un modello di giustizia ispirato alla mediazione penale, ed in parte alla assenza di strutture adeguate per la realizzazione di tali soluzioni.

I reati per i quali, nel Tribunale per i Minorenni di Firenze, più spesso viene disposta la sospensione del processo con messa alla prova sono lo spaccio di sostanze stupefacenti, il furto aggravato e le lesioni personali aggravate, seguiti dalla rapina, ricettazione, violenza sessuale, danneggiamenti, resistenza a pubblico ufficiale, estorsione. La messa alla prova è stata disposta anche per due casi di omicidio colposo, per un omicidio premeditato e per un omicidio doloso.

Il procuratore generale, Dott. Nesticò, a due anni dall'entrata in vigore delle disposizioni sul nuovo processo penale minorile, sosteneva che le novità introdotte dal D.P.R. 448 del 1988, fra cui la messa alla prova, risultavano inadeguate a fronteggiare quei casi che configurano comportamenti seriamente devianti di tipico carattere delinquenziale (71). In realtà nel periodo osservato il Tribunale per i Minorenni di Firenze ha applicato la messa alla prova proprio per i reati più gravi (72).

La Dott.ssa Fiorillo sostiene che è proprio in relazione ai reati più gravi che la messa alla prova può dispiegare i suoi effetti responsabilizzanti, in quanto ha più senso cercare di indurre un minore ad una evoluzione della sua personalità nel caso in cui abbia commesso un reato grave, rispetto a quanto ne abbia nel caso in cui abbia commesso un reato di lieve entità e che provoca un esiguo allarme sociale.

Il Dott. Sodi, invece, condivide le critiche mosse da più parti (73) in relazione all'illimitatezza dell'ambito applicativo dell'istituto in esame. In particolare sostiene che dovrebbe essere preclusa la possibilità di applicare la messa alla prova rispetto all'omicidio volontario, alle lesioni volontarie con postumi permanenti e alla violenza sessuale di gruppo, in quanto sono reati che causano un allarme sociale così forte da meritare una risposta giudiziaria di tipo prevalentemente retributivo-repressivo. Anche l'omicidio colposo dovrebbe essere escluso dall'ambito applicativo della messa alla prova in quanto l'elemento soggettivo della colpa non implica che il minore abbia qualità penalmente rilevanti, che devono essere neutralizzate attraverso l'adesione ad un progetto di intervento, volto ad un processo di socializzazione del minore stesso.

La durata media del periodo di prova è di otto mesi. Tale durata varia in relazione alla gravità del reato e delle conseguenze di esso, da un massimo di un anno e mezzo per violenza sessuale aggravata a un minimo di tre mesi per spaccio di una modesta quantità di sostanza stupefacente.

La durata del periodo di prova dipende anche dalle problematiche specifiche del minore. Questo accade soprattutto quando il minore presenta problematiche legate alla tossicodipendenza o alla tossicofilia, in quanto la durata del periodo di prova è subordinata alla durata del programma di recupero stabilito dal Sert (Servizio Tossicodipendenze).

La tabella seguente riporta il numero delle ordinanze di sospensione del processo con messa alla prova, suddiviso per anni (74) e per autorità giudiziaria di emanazione.

SOSP. PROC. E MESSA ALLA PROVA
Anno GUP Dibattimento Totale
1999 39 5 44
2000 50 14 64
2001 28 13 41
2002 (Iº sem.) 26 12 38
Totale 187

Da tale tabella emerge che il 76% delle ordinanze di sospensione del processo per messa alla prova sono disposte dal giudice dell'udienza preliminare, mentre solo il 24% sono disposte in dibattimento.

Grafico 19

Il grafico seguente, invece, è composto da tante colonne quante sono gli anni osservati ed ogni colonna rappresenta il numero totale delle ordinanze con cui viene emanato l'istituto in esame per ogni anno (75).

A questo punto dell'analisi è opportuno osservare l'applicazione da parte del Tribunale per i Minorenni di Firenze, in funzione di Tribunale di sorveglianza, delle misure alternative dell'affidamento in prova al servizio sociale, che costituisce una forma di probation penitenziaria, dell'affidamento in prova in casi particolari, misura prevista per i soggetti tossicodipendenti e alcooldipendenti, e della detenzione domiciliare, che, per pene detentive non superiori ai due anni, può essere applicata quando non ricorrono i presupposti per l'affidamento in prova (76). Sebbene tali misure condividano con la messa alla prova lo scopo del recupero del soggetto che ha commesso un reato, presupponendo l'inutilità, se non la dannosità, in questo senso, del carcere, si differenziano da essa in quanto intervengono solo dopo la fine del processo conclusosi con condanna a pena detentiva. Inoltre i due tipi di affidamento in prova al servizio sociale costituiscono una forma di probation che interviene nella fase dell'esecuzione della pena.

Anno Affid. In prova al serv. soc. Affidam. in casi particolari Detenzione domiciliare
Liberi Detenuti Tot Liberi Detenuti Tot Liberi Detenuti Tot
1999 15 1 16 0 0 0 8 1 9
2000 8 2 10 1 0 1 9 4 13
2001 5 1 6 3 0 3 3 0 3
2002 2 0 2 1 0 1 1 1 2

Dalla lettura della tabella si osserva che, nel periodo analizzato, le misure alternative prese in esame sono state applicate in misura minore rispetto alla sospensione del processo con messa alla prova. In particolare l'affidamento in prova al servizio sociale è stato applicato 34 volte, l'affidamento in casi particolari 5 volte e la detenzione domiciliare 27 volte, mentre, nello stesso periodo, la messa alla prova è stata applicata in 187 casi. Si nota la scarsa applicazione specialmente dell'affidamento in prova a scopo terapeutico, del quale si sono avuti solamente cinque casi in tre anni e mezzo (tutti nei confronti di soggetti liberi). Dall'analisi di quest'ultimo dato emerge che il Tribunale per i Minorenni di Firenze applica più frequentemente ai soggetti con problematiche legate all'uso di sostanze stupefacenti la messa alla prova, nell'ambito della quale il minore viene seguito dal Sert, di quanto non applichi la misura alternativa dell'affidamento in prova a scopo terapeutico. Dalla lettura della tabella emerge anche che le misure alternative in esame sono state applicate per lo più a soggetti liberi, secondo la previsione della 'legge Simeone', la quale attribuisce al soggetto, condannato ad una pena detentiva non superiore ai tre anni, la facoltà di chiedere l'applicazione delle misure alternative nel periodo in cui l'esecuzione della condanna è sospesa.

Riprendendo la trattazione dell'istituto della messa alla prova, si osserva che nel periodo analizzato il 95% delle prove si è concluso con esito positivo, provocando la dichiarazione di non luogo a procedere per estinzione del reato.

L'estinzione del reato viene dichiarata dal giudice sulla base della relazione redatta a conclusione del periodo di prova dai servizi sociali ministeriali. Tale relazione riferisce innanzitutto sul comportamento tenuto dal minore durante la prova, mettendo in evidenza l'impegno e la costanza dimostrati nello svolgimento delle attività prescritte.

In alcuni casi la prova ha avuto esito positivo nonostante che il minore non avesse osservato costantemente l'insieme delle prescrizioni impostegli. In effetti in alcune relazioni i servizi sociali riferiscono delle resistenze manifestate inizialmente dal minore in ordine allo svolgimento di alcune attività soprattutto legate al volontariato, o dei cambiamenti dell'attività lavorativa o del fatto che durante la prova il minore non abbia acconsentito ad intraprendere un'attività inserita nel progetto di intervento, ma nonostante ciò valutano che la prova abbia avuto esito positivo e il giudice concorda con tale valutazione, dichiarando l'estinzione del reato. Questo è dovuto al fatto che evidentemente viene richiesta al minore non una prestazione di risultato, bensì di impegno e di adesione e comprensione del progetto. In alcune relazioni l'esito positivo è fatto seguire addirittura al fatto che il minore "perlomeno formalmente, ha ottemperato alle prescrizioni impostegli", nonostante le ripetute violazioni delle prescrizioni.

Un dato a cui le relazioni fanno costantemente riferimento è l'avvenuta collaborazione del minore con i servizi sociali ministeriali e territoriali, attraverso la quale dimostra di mantenere costante il consenso prestato al momento dell'accettazione del progetto.

Viene fatto costante riferimento anche al ruolo svolto dalla famiglia, mettendo soprattutto in evidenza l'avvenuta collaborazione di essa con i servizi sociali. Infatti i servi sociali, soprattutto quelli territoriali cercano di coinvolgere sempre la famiglia, in particolare i genitori, per i quali vengono disposti incontri periodici. Per il coinvolgimento di genitori stranieri i servizi sociali si avvalgono dell'ausilio di mediatori culturali e, nel caso in cui non sia conosciuta la lingua italiana, di interpreti.

In alcuni casi vengono riferite le motivazioni per le quali i genitori o uno dei due non possono partecipare agli incontri (per esempio per motivi di lavoro).

Questa attenzione dedicata dai servizi sociali al ruolo della famiglia manifesta, come rilevato precedentemente, la notevole importanza attribuita alla partecipazione attiva alla prova da parte di essa.

I principali elementi sui quali i servizi sociali fondano una valutazione positiva in ordine all'avvenuta maturazione psicologica del minore, oltre all'impegno nello svolgimento delle attività prescritte e alla collaborazione con i servizi sociali, sono: l'aver instaurato rapporti di amicizia nell'ambito degli ambienti frequentati per lo svolgimento della prova (con colleghi di lavoro, con insegnanti, con volontari che operano nella stessa associazione frequentata dal minore), l'aver manifestato il proprio ravvedimento in ordine al fatto commesso e, in riferimento ai minori stranieri, l'avvenuto inserimento sociale.

L'instaurare nuovi rapporti di amicizia in ambienti diversi da quelli frequentati precedentemente dal minore è molto importante in quanto è indice di un allontanamento da ambienti spesso devianti e di apertura del minore a rapportarsi con soggetti che conducono vite, per così dire, regolari. Il ravvedimento del minore viene dimostrato facendo riferimento all'intenzione manifestata esplicitamente da esso alla volontà di proseguire nello svolgimento delle attività prescritte anche dopo la conclusione del periodo di prova, nonché alla maturazione di riflessioni personali in ordine al reato commesso e alla sua gravità. Infine l'attenzione dimostrata, nelle relazioni, per l'integrazione del minore straniero nell'ambiente in cui vive è tanto più rilevante in quanto si consideri la condizione di emarginazione in cui spesso tali soggetti vivono. In effetti l'inserimento del minore nella società, che si realizza attraverso il coinvolgimento della comunità locale, è funzionale alla realizzazione di una piena adesione del minore alle comuni regole del vivere sociale.

Dalla tabella (77) riportata di seguito emerge che il maggior numero di dichiarazioni di estinzione del reato per esito positivo della prova (il 78%) è stato emesso in sede di udienza preliminare, confermando, come abbiamo già rilevato, la residualità del ricorso all'udienza dibattimentale tipica del processo penale minorile.

ESTINZIONE REATO PER ESITO POSITIVO PROVA
Anno GUP Dibattimento Totale
1999 29 4 33
2000 27 7 34
2001 35 13 48
2002 (Iº sem.) 14 6 20
Totale 135

Nel grafico (78) che segue, invece, si osserva il progressivo aumento dei casi di estinzione del reato per esito positivo della prova dal 1999 fino al 2001.

Grafico 20

Passiamo ad analizzare la percentuale dei procedimenti penali definiti ogni anno con sentenza di non luogo a procedere per estinzione del reato a seguito dell'esito positivo della prova (79).

Esito positivo prova
Anno Percentuali
1999 0,8%
2000 1%
2001 1,9%
2002 1,8%

Il Tribunale per i Minorenni di Firenze, nel periodo osservato, ha definito con sentenza di non luogo a procedere per estinzione del reato dovuta all'esito positivo della prova l'1,2% del totale dei procedimenti penali esauriti.

Nel grafico che segue si osserva l'andamento della percentuale dei giudizi definiti con l'istituto in esame.

Grafico 21

Si nota che, pur attestandosi su valori minimi che vanno dallo 0,8% del 1999 all'1,9% del 2001, le percentuali dei giudizi definiti con la formula di chiusura esaminata relative al 2001 e al primo semestre del 2002 sono quasi raddoppiate rispetto agli anni precedenti.

I magistrati intervistati concordano nel ritenere la validità dell'istituto in esame in quanto dotato di una forte carica responsabilizzante. La messa alla prova realizza il fine perseguito dall'intero processo penale minorile, il recupero del minore deviante attraverso la sua rieducazione e il suo reinserimento sociale. L'unica critica mossa dalla Dott.ssa Fiorillo all'istituto in esame è che la sua realizzazione sia influenzata dalle risorse presenti sul territorio, sia in termini di competenze che in termini di strutture. Questo comporta il verificarsi di notevoli differenze da territorio a territorio.

3.3. L'esperienza del Tribunale per i Minorenni di Napoli

3.3.1. Realtà socio-economica e criminalità minorile a Napoli

La provincia di Napoli, con i suoi tre milioni di abitanti è la più densamente popolata delle province italiane (2600 abitanti per chilometro quadrato), superando di ben quattordici volte la densità media italiana. La densità media della popolazione dell'intera regione Campania è addirittura più che doppia rispetto alla media nazionale. In questo contesto opera il Tribunale per i Minorenni di Napoli, la cui competenza si estende su ben quattro, delle cinque, popolose province campane: Napoli, Caserta, Benevento e Avellino.

In particolare a Napoli e nei grandi comuni limitrofi (Torre del Greco, Torre Annunziata, Castellammare di Stabia, S. Giorgio a Cremano) il tasso di criminalità è molto alto, ed è strettamente legato all'alto tasso di disoccupazione, nel senso che una delle cause storiche dell'entrata di molti soggetti nell'area dell'illegalità è proprio l'assenza di fonti legali di sostentamento, in altre parole di un impiego.

La criminalità minorile nella città di Napoli, in particolare, prospera nel centro storico degradato (80) e nei 'quartieri-ghetto' periferici. Tali quartieri satellite, nati nell'ambito di intensi processi di urbanizzazione che hanno prodotto uno sconvolgimento dell'equilibrio urbano della città, dalla quale si differenziano per fisionomia architettonica e composizione della popolazione, costituiscono un nucleo produttore di criminalità minorile. Infatti tali quartieri non sono attrezzati con adeguate strutture di servizi: mancano gli spazi fisici per il tempo libero, come aree di gioco per i bambini, biblioteche, cinema, teatri. Emblematico è Scampia, quartiere dormitorio del nord di Napoli, con oltre centomila abitanti, e solamente otto assistenti sociali. Qui il tasso di criminalità minorile è molto alto e, addirittura, alcune strade "contribuiscono da sole in maniera percentualmente significativa, per quantità e qualità, alla delinquenza minorile dell'intera città" (81).

Nei due poli della città generatori di devianza, il centro storico e le periferie satellite, si concentra la parte più indifesa e più debole della popolazione, più povera culturalmente ed economicamente, in quanto senza istruzione e soprattutto senza lavoro, che, pertanto non riesce ad uscire dal circuito della povertà e ad abbandonare l'area dell'illegalità, mentre chi ha maggiori possibilità 'fugge' da tali zone.

I reati commessi più frequentemente dai minorenni in tali zone della città, sono rappresentati da scippi, furti, rapine, spaccio di sostanze stupefacenti e contrabbando di sigarette e tabacchi (nel quale sono spesso coinvolte anche le ragazze).

La criminalità minorile a Napoli, quindi, è composta soprattutto da minori italiani, mentre i pochi minorenni stranieri che delinquono sono soprattutto nomadi, che commettono reati contro il patrimonio, come furti e scippi. Tale dato, relativo alla provenienza dei minorenni che commettono reati, è confermato dal dato sulla composizione della popolazione carceraria nell'Ipm di Napoli (Nisida), costituita in prevalenza da minorenni provenienti dalla Campania (82).

Ad allargare le fila dei minorenni italiani che vivono nell'illegalità ha un ruolo determinante la criminalità organizzata, fenomeno tipico di alcune regioni del sud d'Italia, fra cui la Campania. La camorra, presente in modo allarmante sul territorio di Napoli, si serve dei giovani, per lo più di basso livello socio-culturale (83), che vengono attratti dalla possibilità di un guadagno facile e sicuro, che, seguendo vie legali è molto difficile da ottenere. Emblematico a questo proposito è il caso di un ragazzo napoletano arrestato nei primi giorni di ottobre del corrente anno, coinvolto in un'organizzazione per lo spaccio di sostanze stupefacenti, nella quale svolgeva il ruolo di 'palo', dietro pagamento di ben trenta euro al giorno. Spesso il Tribunale per i Minorenni conosce già questi ragazzi, per essersi occupato di loro nell'area della tutela, per esempio avendoli collocati in istituto o in una comunità.

Anche a Napoli è aumentato il coinvolgimento dei minorenni nella criminalità organizzata, così come nelle altre regioni del sud interessate dal fenomeno. Infatti da un'osservazione effettuata sui reperti sequestrati dalle forze dell'ordine nel corso degli anni novanta (84), emergono la maggiore quantità e la maggiore gravità dei delitti, commessi dai minorenni, legati alla camorra. Mentre il numero delle armi giocattolo è diminuito, aumenta notevolmente quello delle armi da sparo e da guerra, fra cui una mitraglietta, un fucile a pompa e altre armi di questo tipo, che in precedenza non erano mai state sequestrate. Anche il numero dei reperti di sostanze stupefacenti mostra un preoccupante aumento, considerato anche che l'eroina tende sempre più a sostituire la cocaina e l'hashish. Invece, il numero degli oggetti preziosi (ottenuti con furti e rapine) sequestrati, tende a diminuire nel 1998 e nel 1999; ma, poiché le denunce relative a questi reati non sono proporzionalmente diminuite, se ne deduce che le modalità con cui vengono perpetrati scippi e rapine si sono di gran lunga affinate, per cui ci sono sempre meno arresti in flagranza e recuperi della refurtiva. Infine si registra un costante aumento dei compact disc, delle videocassette e dei videogiochi contraffatti.

Dalla tabella che segue emergono le tipologie dei delitti commessi nell'ambito della criminalità organizzata, per i quali è stato avviato un procedimento giudiziario a Napoli dal 2000 al primo semestre del 2002.

DELITTI DI CRIMINALITÀ ORGANIZZATA DI STAMPO MAFIOSO
(gennaio 2000 - giugno 2002)
Reati Percentuale
associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.) 19%
violazione legge stupefacenti 17%
associazione per delinquere (art. 416 c.p.) 15%
estorsione (art. 629 c.p.) 12%
violazione legge armi 10%
omicidio e omicidio aggravato (art. 575-576 c.p.) 7%
rapina (art. 628 c.p.) 7%
furto e furto aggravato (art. 624-625 c.p.) 3,5%
incendio (art. 423 c.p.) 2,5%
riciclaggio (art. 648 bis c.p.) 2,5%
strage (art. 422 c.p.) 1%
danneggiamento seguito da incendio (art. 424 c.p.) 1%
danneggiamento (art. 635 c.p.) 1%
contrabbando 1%

Si osserva che solo nel 19% dei casi è stato possibile contestare il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, risultando spesso difficoltoso provare tale connotazione dell'associazione. Nel 15% dei casi è stato possibile contestare la partecipazione ad un'associazione per delinquere, non avente carattere mafioso. Fra i reati maggiormente commessi si annoverano lo spaccio di sostanze stupefacenti, l'estorsione, il porto illegale di armi (spesso di grosso calibro e con matricola abrasa), la rapina e l'omicidio doloso, anche aggravato (85). Va comunque tenuto presente, come emerge dalla relazione del Procuratore capo per l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2001, che la diffusione del fenomeno camorristico è talmente capillare, che praticamente non esiste un settore o un tipo di illecito che non sia direttamente o indirettamente controllato da organizzazioni camorristiche, che traggono ingenti guadagni in qualsiasi area illecita, dal traffico di sostanze stupefacenti e di armi al gioco d'azzardo, dalla prostituzione alle estorsioni nel campo dell'edilizia e del commercio, dalle truffe alle rapine, dal traffico di banconote e titoli falsi all'usura, dalle frodi nel campo dei finanziamenti dell'Unione Europea al commercio di prodotti industriali contraffatti, fino al contrabbando di tabacco.

Passando all'analisi del diverso fenomeno del bullismo, gli episodi riconducibili ad esso non sono quantitativamente significativi, specie se confrontati con la notevole estensione e la gravità della criminalità minorile riferibile ad altri fenomeni, quali quello della criminalità organizzata e quello del degrado socio-economico del centro storico e delle periferie della città.

Mentre la criminalità minorile legata a tali fenomeni coinvolge soprattutto giovani in condizioni socio-economiche marginali, negli episodi di bullismo sono coinvolti anche giovani appartenenti al ceto medio. Emblematico è il caso, emerso quest'anno, di un prestigioso liceo classico della città dove studenti, provenienti da famiglie benestanti, rubavano ed estorcevano ad altri studenti oggetti costosi, come telefoni cellulari e occhiali da sole di marche famose.

Fra le risposte che vengono date a questo fenomeno, le istituzioni tentano di percorrere anche quella della prevenzione, attuata sia ricorrendo a politiche securitarie, come la sorveglianza delle scuole ritenute più a rischio da parte delle forze di polizia, sia attraverso l'organizzazione nelle scuole di corsi in tema di educazione alla legalità, con il coinvolgimento di operatori di polizia e di magistrati (86).

3.3.2. Perdono giudiziale, irrilevanza del fatto ed estinzione del reato per esito positivo della prova nella prassi applicativa del Tribunale per i Minorenni di Napoli

Iniziamo l'analisi della prassi applicativa del Tribunale per i Minorenni di Napoli, relativa alle modalità di definizione del processo penale minorile ispirate al principio della minima offensività (87), partendo dall'istituto del perdono giudiziale.

Nella prassi del suddetto tribunale la formulazione del giudizio prognostico favorevole in ordine alla astensione del minore dal commettere ulteriori reati, presupposto indispensabile per poter concedere il perdono giudiziale, si fonda essenzialmente sull'assenza di precedenti penali. Anche se nelle motivazioni delle sentenze con cui viene concesso l'istituto in esame, spesso viene fatto riferimento anche alle altre circostanze (88) previste dall'articolo 133 del codice penale, al quale l'articolo 169, che prevede l'istituto del perdono giudiziale espressamente rinvia, l'unico vero discrimen per l'applicabilità di tale istituto è rappresentato dalla assenza di precedenti penali, condizione in mancanza della quale la concessione di esso è preclusa.

I reati per i quali più frequentemente viene concesso il perdono giudiziale sono furti, casi particolarmente tenui di ricettazione (molto frequente è il caso in cui il minore ha comprato o ricevuto un ciclomotore, sapendo della provenienza illecita di esso), detenzione e porto di armi, risse, minacce e lesioni non gravi.

Il perdono giudiziale viene concesso anche ai minori stranieri, anche se in misura proporzionalmente inferiore rispetto a quanto viene concesso ai minori italiani, a causa della difficoltà di reperire informazioni su cui fondare un giudizio prognostico in ordine all'astensione dal commettere altri reati.

Dalla tabella che segue, in cui è riportato il numero totale dei giudizi definiti con l'applicazione dell'istituto in esame, suddiviso per anno (89) e per autorità giudiziaria dell'emanazione, emerge che anche al Tribunale per i Minorenni di Napoli, così come accade negli altri due tribunali osservati, la sede privilegiata per l'applicazione del perdono giudiziale è l'udienza preliminare, nella quale sono definiti circa il 95% dei giudizi conclusisi con l'applicazione dell'istituto esaminato. Anche in questo caso la spiegazione di tale fenomeno è da riscontrare nella circostanza che solo i reati più gravi pervengono alla fase dibattimentale.

PERDONO GIUDIZIALE art. 169 c.p., art. 19 R.d.l. 1404/1934
Anno GUP Dibattimento Totale
2000 386 37 423
2001 311 5 316
2002 (Iº sem.) 64 1 65
Totale 804

Dal grafico seguente, poi, in cui ogni colonna rappresenta il numero totale dei casi in cui è stato applicato l'istituto in esame per ogni anno, eccetto per il 2002 di cui si considera solo il primo semestre, emerge che il numero dei processi definiti con l'applicazione del perdono giudiziale è in progressiva diminuzione.

Grafico 22

Analizziamo, adesso, la percentuale dei procedimenti penali definiti con l'applicazione del perdono giudiziale.

Perdono giudiziale
Anno Percentuali
2000 7,7%
2001 7,5%
2002 3,5%

I valori percentuali sono stati ottenuti rapportando il numero dei procedimenti penali definiti ogni anno con l'applicazione dell'istituto in esame al numero totale dei procedimenti penali esauriti ogni anno davanti al Tribunale per i Minorenni di Napoli (90). Si osserva che nel periodo analizzato tale tribunale ha definito con il perdono giudiziale il 6,9% del totale dei giudizi esauriti.

Il grafico che segue descrive l'andamento della percentuale dei procedimenti penali esauriti con l'applicazione dell'istituto in esame.

Grafico 23

Si nota che, mentre nei primi due anni analizzati le percentuali riguardanti i giudizi definiti con il perdono giudiziale si mantengono quasi costanti (7,7% nel 2000 e 7,5% nel 2001) nel primo semestre del 2002 tale percentuale risulta dimezzata.

Sia il giudice, Dott.ssa Ferrara, sia il pubblico ministero, Dott. Palumbo, intervistati hanno manifestato la loro sfiducia nella valenza responsabilizzante del perdono giudiziale, concordando con quella parte della dottrina, fra cui Magno (91), che considera il perdono giudiziale come un istituto con caratterizzazione esclusivamente indulgenziale, privo di valenza responsabilizzante o deterrente.

Infatti la Dott.ssa Ferrara riferisce che il perdono giudiziale viene applicato "per dare una chance al minore", nonostante la consapevolezza della inefficacia della funzione ammonitrice insita nell'istituto. Nella maggioranza dei casi l'ammonimento non provoca un processo di responsabilizzazione nel minore, non venendo assolutamente recepito, ma, al contrario, avvalora la certezza dell'impunità. Del resto il fallimento del perdono giudiziale come istituto volto al contenimento della criminalità è dimostrato dai molti casi di recidiva, susseguenti alla sua applicazione (92).

Comunque secondo lei il contenimento della criminalità minorile e soprattutto il recupero del minore non dipendono dalle diverse misure predisposte dal legislatore, ma esclusivamente dalla predisposizione del minore a recepire gli stimoli positivi, in direzione di un suo cambiamento, presenti in un processo penale. Questa visione della procedura penale minorile, a parere di chi scrive, può sembrare semplicistica e riduttiva in quanto svuota di significato un'evoluzione durata anni, ed ancora in corso, delle scienze giuridiche, criminologiche e psicologiche verso l'elaborazione di forme più adeguate possibile a soggetti caratterizzati da problematiche peculiari proprie dell'età evolutiva. Appare doveroso considerare il fatto che probabilmente alla determinazione della convinzione della Dott.ssa Ferrara avrà contribuito l'esperienza di anni nella difficile realtà napoletana, caratterizzata da un alto tasso di criminalità minorile fra i minori italiani, spesso collegati con la criminalità organizzata, radicati pertanto in una subcultura di tipo deviante e per i quali è difficile sperare un recupero.

Passando all'analisi della prassi applicativa del Tribunale per i Minorenni di Napoli relativa all'irrilevanza del fatto, notiamo che il requisito della tenuità del fatto viene riferito al 'fatto reato'. In particolare la valutazione della tenuità della fattispecie concreta si fonda sul tipo di allarme sociale che il fatto ha suscitato. Nella motivazione delle sentenze di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto si fa esplicito riferimento all'esiguità dell'allarme sociale provocato, e si attribuisce ad essa la determinazione dell'irrilevanza giuridica del fatto (93).

Il requisito dell'occasionalità del comportamento viene interpretato secondo un criterio cronologico in senso stretto. L'irrilevanza del fatto, pertanto, viene applicata esclusivamente in assenza di precedenti penali. Inoltre sulla base di informazioni riguardanti lo stile di vita pregressa rispetto alla commissione del fatto, tali da far apparire la condotta in questione sostanzialmente episodica, si perviene alla formulazione di un giudizio prognostico favorevole in ordine alla futura astensione dal commettere reati. Pertanto nelle motivazioni delle sentenze di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto oltre al riferimento all'incensuratezza del minore, troviamo anche una prognosi favorevole identica a quella prevista dalla legge per poter concedere il perdono giudiziale (94).

Il pregiudizio alle esigenze educative del minore dato dall'ulteriore corso del processo, terzo requisito richiesto dalla legge per l'applicazione dell'irrilevanza del fatto, viene interpretato come l'interruzione di processi educativo-formativi in atto a causa dello svolgimento del processo. Non sono sufficienti, a configurare il requisito in esame, le esigenze educative in senso lato, proprie di ogni minore in quanto soggetto in età evolutiva, ma appare necessario che il minore, al momento del processo, stia seguendo un percorso formativo, in campo scolastico o lavorativo, che subirebbe un'interruzione a causa dell'eventuale protrarsi dello svolgimento del processo stesso. Infatti nelle motivazioni delle sentenze di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto la dichiarazione che "l'eventuale ulteriore corso del giudizio determinerebbe una disarticolazione del processo educativo ora in atto" è accompagnata dall'indicazione dell'attività lavorativa o scolastica nella quale è impegnato il minore. Spesso emerge che il minore ha iniziato tale attività solo dopo la commissione del reato, circostanza che induce a pensare che l'attività probabilmente sia stata intrapresa dietro consiglio del difensore nell'intenzione di fondare la richiesta di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto su presupposti concreti.

Il Tribunale per i Minorenni di Napoli applica l'irrilevanza del fatto soprattutto per furti di lieve entità, risse, lesioni non gravi e, prima della sua depenalizzazione, guida senza patente. Non mancano comunque i casi di sentenze di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto emesse in relazione a reati più gravi, quali la resistenza a pubblico ufficiale e il furto aggravato. Questo dimostra la grande importanza attribuita agli aspetti oggettivi e soggettivi della fattispecie concreta, per cui in tali casi, nonostante la gravità del titolo di reato, si è dato prevalenza al fatto che le modalità della condotta abbiano provocato un esiguo allarme sociale, all'episodicità (95) del comportamento deviante nella vita del minore e all'esigenza di evitare una brusca interruzione di un percorso formativo seguito dal minore.

Il giudizio di irrilevanza del fatto raramente viene pronunciato a favore di un minorenne straniero, non solo a causa della difficoltà di valutare l'elemento dell'occasionalità (data la difficoltà di reperire informazioni su tali minori), ma anche a causa dell'interpretazione, che il Tribunale per i Minorenni di Napoli adotta, del requisito del pregiudizio alle esigenze educative del minore dato dall'ulteriore corso del processo. Infatti raramente il minorenne straniero risulta impegnato in un'attività lavorativa o scolastica.

Dalla tabella seguente (96) emerge che la maggior parte delle sentenze di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto sono state emesse nelle prime fasi del procedimento penale (il 65% nella fase delle indagini preliminari e circa il 32% in sede di udienza preliminare, mentre solo l'1,5% in dibattimento), coerentemente con la finalità deflattiva propria dell'istituto in esame.

IRRILEVANZA DEL FATTO art. 27 DPR 448/1988
Anno GIP GUP Dibattimento Totale
2000 218 74 7 299
2001 140 91 2 233
2002 (Iº sem.) 85 46 1 132
Totale 664

Dal grafico riportato qui di seguito, in cui ogni colonna rappresenta il totale delle sentenze di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto emesse in un anno, salvo che per la colonna del 2002 che rappresenta il totale di tali sentenze emesse nel primo semestre, si osserva l'andamento delle applicazioni dell'istituto in esame nel periodo studiato.

Grafico 24

La tabella successiva riporta la percentuale dei procedimenti penali definiti con sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (97).

Irrilevanza del fatto
Anno Percentuali
2000 5,5%
2001 5,6%
2002 7,2%

Si osserva che fra il gennaio del 2000 e il giugno del 2002 il Tribunale per i Minorenni di Napoli ha definito con sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto il 5,7% del totale dei procedimenti penali esauriti.

Nel grafico seguente si osserva l'andamento della percentuale dei procedimenti penali conclusi con l'applicazione dell'irrilevanza del fatto.

Grafico 25

Si nota che nel primo semestre del 2002 si è verificato un aumento nella percentuale dei procedimenti definiti con l'istituto in esame; si è passati, infatti, da una percentuale che si attestava intorno al 5,5% degli anni precedenti al 7,2%.

Sia il Dott. Palumbo che la Dott.ssa Ferrara hanno dichiarato di apprezzare l'istituto in esame per la sua efficacia deflattiva, che rappresenta la finalità esclusiva per la quale il Tribunale per i Minorenni lo utilizza.

Il Dott. Palumbo aggiunge che il recupero del minore, a cui tende l'intero processo penale minorile, viene perseguito con l'istituto dell'irrilevanza del fatto non in quanto esso limiti il contatto del minore stesso con il sistema penale, come postula il principio della minima offensività, ma, al contrario, perché, nonostante il fatto che il minore non subirà conseguenze sanzionatorie, viene comunque posto a contatto con il sistema penale, circostanza che induce nel minore un processo di responsabilizzazione.

Infine analizziamo i casi in cui viene dichiarato estinto il reato in seguito all'esito positivo della prova, iniziando dalla prassi applicativa del Tribunale per i Minorenni di Napoli in ordine all'istituto della sospensione del processo con messa alla prova.

Tale tribunale sottopone il minore alla messa alla prova solamente se questo riconosce la propria responsabilità in merito al fatto reato (98). Tale ammissione viene considerata un presupposto necessario per l'applicazione di tale istituto in quanto è indice di un atteggiamento collaborativo necessario per il buon esito della prova. Inoltre l'ammissione della responsabilità viene richiesta anche in funzione della conciliazione con la parte offesa dal reato, che costituisce oggetto di prescrizione, come vedremo in seguito, in ogni progetto di intervento.

Requisito imprescindibile per l'applicazione della messa alla prova nella prassi del suddetto tribunale è la presenza della famiglia del minore, che conviva con esso e che si dimostri collaborativa con i servizi sociali per la realizzazione del progetto di intervento da essi elaborato.

Nelle relazioni redatte dai servizi sociali viene fatto costante riferimento al ruolo svolto dalla famiglia del minore. In particolare le relazioni redatte prima dell'elaborazione del progetto di intervento fanno riferimento alla presenza della famiglia del minore, alla disponibilità e all'atteggiamento di essa nei riguardi del reato commesso dal minore. Se da tale osservazione emerge che la cultura deviante è radicata nel contesto familiare del minore, da far ritenere improbabile un suo ravvedimento, la possibilità di applicare la messa alla prova viene esclusa. Al contrario il minore viene sottoposto alla messa alla prova, se emerge che la famiglia comprende il disvalore giuridico e sociale della condotta del minore e dimostra di aderire pienamente all'intervento dell'autorità giudiziaria. In alcune relazioni si legge addirittura che il progetto di intervento è stato reso possibile grazie alla fattiva collaborazione della famiglia.

Nella relazioni redatte dai servizi sociali durante il periodo di svolgimento della prova viene prestata particolare attenzione al progressivo coinvolgimento di gruppi familiari che inizialmente si erano dimostrati scarsamente collaborativi. Infine nella relazioni redatte a conclusione del periodo di prova spesso viene fatto un bilancio del sostegno apportato dalla famiglia al minore durante lo svolgimento della prova stessa.

Considerare presupposti imprescindibili per l'applicazione della messa alla prova la presenza della famiglia e di un ambiente di vita idoneo, significa precludere l'applicabilità di tale misura ai minori stranieri, la maggior parte dei quali non hanno né una famiglia né una casa. Infatti il Tribunale per i Minorenni di Napoli dal 1988 ha applicato la messa alla prova a minori stranieri solamente due volte (99). Hanno potuto usufruire di tale opportunità una ragazza nomade imputata per furto aggravato e un ragazzo sudamericano imputato per lesioni aggravate ai danni di un agente di polizia. In entrambi i casi la famiglia del minore era presente in territorio italiano e si era dimostrata disposta a collaborare con l'autorità giudiziaria, come in effetti ha fatto. In entrambi i casi l'esito della prova è stato positivo, portando all'estinzione del reato (100).

La possibilità di ricorrere alla messa alla prova in generale è limitata anche dall'inadeguatezza delle risorse presenti sul territorio. Innanzitutto si registra la carenza di servizi sociali territoriali, i quali non sono diffusi nel territorio e spesso c'è una sproporzione numerica notevole fra il personale di cui sono dotati e la popolazione della zona in cui sono collocati (tipico a tale proposito è il caso di Scampia, ricordato nel precedente paragrafo). Il settore del privato sociale è pressoché assente e il volontariato è quasi esclusivamente legato alla attività delle parrocchie, anche se sono presenti però delle organizzazioni di livello nazionale ed internazionale, quali il WWF. In questo contesto è evidente che siano carenti anche le strutture di supporto per il collocamento dei minori fuori della famiglia e per i minori stranieri non accompagnati in territorio italiano dalla famiglia. Infine la possibilità di reperire un'attività lavorativa da fare svolgere al minore nel corso della prova è molto scarsa, data l'insufficienza di posti di lavoro e l'elevato tasso di disoccupazione, che caratterizza tutto il sud d'Italia.

Le prescrizioni più frequentemente contenute nel progetto di intervento, elaborato dai servizi sociali, sono relative allo svolgimento di attività lavorative ed allo svolgimento di attività di volontariato. Inoltre costituiscono oggetto di prescrizione anche attività scolastiche, sportive e incontri con specialisti, soprattutto psicologi.

La realizzazione dell'esigenza di adeguatezza del progetto di intervento alle capacità e alle preferenze del soggetto è fortemente condizionata dalla limitatezza delle risorse offerte dal territorio; per cui spesso le attività oggetto di prescrizione vengono scelte non sulla base delle caratteristiche del minore, ma sulla base di quanto è stato possibile reperire.

Le attività lavorative che formano più frequentemente oggetto di prescrizione sono attività di manodopera o di apprendistato presso imprese edili e, molto spesso, attività presso ristoranti e pizzerie come cameriere o nelle cucine. Il settore della ristorazione offre opportunità soprattutto nelle zone turistiche, specialmente marine, e nel periodo estivo. Se la famiglia del minore possiede una ditta o un esercizio commerciale l'attività lavorativa deve svolgersi presso la ditta familiare. Le prescrizioni riguardanti il settore del volontariato vengono svolte soprattutto presso le parrocchie, ma anche presso organizzazioni a tutela dell'ambiente e degli animali, come il WWF e la Lega Nazionale Difesa del Cane. Gli incontri periodici con specialisti prescritti più frequentemente sono rappresentati da incontri con il Sert (Servizio Tossicodipendenze), nel caso in cui il minore presenti problematiche attinenti al mondo delle tossicodipendenze e incontri con psicologi, nel caso in cui il minore presenti disturbi comportamentali o dell'emotività. Rispetto a questo tipo di intervento psicologico si registra il frequente coinvolgimento dell'intero nucleo familiare, che viene invitato a partecipare ad alcuni incontri, finalizzati a promuovere una maggiore consapevolezza in ordine alle responsabilità individuali del minore e familiari, oltre che a sostenere il minore durante lo svolgimento della prova.

Il progetto di intervento prevede sempre la conciliazione del minore con la persona offesa dal reato. L'attività conciliativa viene ritenuta di fondamentale importanza al fine di responsabilizzare il minore autore del reato, avvicinandolo alla sofferenza della vittima. Attraverso la conciliazione, che viene condotta nelle forme della mediazione in centri appositi (101), si arriva alla chiarificazione delle cause dell'azione e, attraverso l'emersione delle scuse da parte del minore, viene ripristinata serenità e accettazione reciproca fra i cittadini (102).

Ai fini della valutazione positiva dell'esito della prova non rileva se la conciliazione non si è potuta avere per motivi indipendenti dalla volontà del minore, ma dovuti alla volontà della parte offesa dal reato o alla assenza di questa. Tali cause estranee alla volontà del minore vengono indicate sia nelle relazioni redatte dai servizi sociali, sia nella motivazione della sentenza con cui il giudice dichiara estinto il reato per esito positivo della prova.

La messa alla prova viene disposta soprattutto in relazione ai reati di lesioni personali aggravate, furto aggravato, rapina, violenza sessuale, spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione, ricettazione e anche all'omicidio, colposo, preterintenzionale e volontario (103).

La seguente tabella mostra il numero delle ordinanze di sospensione del processo per messa alla prova emesse nel periodo studiato, suddivise per autorità giudiziaria e per anno dell'emanazione.

SOSP. PROC. E MESSA ALLA PROVA
Anno GUP Dibattimento Totale
2000 47 12 59
2001 86 16 102
2002 (Iº sem.) 62 13 75
Totale 236

Dalla lettura di tale tabella emerge che l'ordinanza con cui si dispone la messa alla prova viene emanata prevalentemente in udienza preliminare (l'83% di tale ordinanze è stata emanata in tale sede processuale).

Il grafico riportato qui di seguito è formato da tante colonne quanti sono gli anni analizzati (104) ed ognuna di esse rappresenta il numero totale delle messe alla prova disposte.

Grafico 26

Dall'osservazione di tale grafico, tenendo conto del fatto che la colonna relativa al primo semestre del 2002 supera la metà di quella riferita all'anno precedente, emerge che il numero delle messe alla prova disposte aumenta progressivamente nel periodo osservato.

Dopo aver analizzato l'applicazione della sospensione del processo con messa alla prova è interessante osservare l'applicazione da parte del Tribunale per i Minorenni di Napoli, in funzione di Tribunale di sorveglianza, delle misure alternative dell'affidamento in prova al servizio sociale, dell'affidamento in prova in casi particolari, previsto per soggetti tossicodipendenti e alcooldipendenti, e della detenzione domiciliare, che, per pene detentive non superiori ai due anni, può essere applicata quando non ricorrono i presupposti per l'affidamento in prova (105). Tali misure, pur differenziandosi dalla messa alla prova, in quanto intervengono nella fase dell'esecuzione della pena, presupponendo quindi che il processo sia concluso con condanna, hanno in comune con essa lo scopo del recupero del soggetto che ha commesso un reato, perseguito facendo evitare ad esso il carcere, percepito come inutile o dannoso ai fini del recupero del soggetto. Inoltre l'affidamento in prova al servizio sociale e l'affidamento in prova a scopo terapeutico si avvicinano alla messa alla prova, in quanto costituiscono una forma di probation penitenziaria.

Anno Affid. in prova al serv. soc. Affidam. in casi particolari Detenzione domiciliare
Liberi Detenuti Tot Liberi Detenuti Tot Liberi Detenuti Tot
2000 14 1 15 3 0 3 13 20 33
2001 18 8 26 0 5 5 17 34 51
2002 9 5 14 0 1 1 7 9 16

Dalla lettura della tabella emerge che, nel periodo di tempo analizzato, le misure alternative in esame sono state applicate in misura minore rispetto alla sospensione del processo con messa alla prova. In particolare l'affidamento in prova al servizio sociale è stato concesso 55 volte, l'affidamento in prova in casi particolari 9 volte e la detenzione domiciliare 100 volte, mentre la messa alla prova è stata concessa 236 volte. La scarsa applicazione ha riguardato soprattutto l'affidamento in prova a scopo terapeutico, di cui si registrano solamente 9 casi in due anni e mezzo (soprattutto nei confronti di soggetti in stato di detenzione). Da tale dato si ricava che il Tribunale per i Minorenni di Napoli applica ai minori con problemi di tossicodipendenza la messa alla prova, nell'ambito della quale viene elaborato un programma di recupero, in misura maggiore di quanto applichi l'affidamento in prova terapeutico. Dalla lettura dei dati riportati nella tabella emerge anche che la maggioranza dei soggetti sottoposti all'affidamento in prova al servizio sociale sono in stato di libertà, mentre la maggioranza dei soggetti sottoposti all'affidamento in prova a scopo terapeutico e alla detenzione domiciliare sono in stato di detenzione (106).

Tornando all'analisi della messa alla prova, nel periodo osservato l'80% delle prove hanno avuto un esito positivo che ha portato alla dichiarazione di non luogo a procedere per estinzione del reato.

Le relazioni redatte dai servizi sociali ministeriali a conclusione del periodo di prova, sulle quali si basa la dichiarazione di estinzione del reato da parte del giudice, fondano la valutazione positiva in ordine all'esito della prova sia sul comportamento tenuto dal minore nel corso della prova, sia sui risultati raggiunti in relazione all'evoluzione della sua personalità.

Innanzitutto viene fatto riferimento all'impegno e alla costanza con cui il minore ha svolto le attività prescrittegli. A questo proposito si nota che in alcuni casi vengono tollerate iniziali trasgressioni del progetto di intervento, alla luce del fatto che in seguito il minore ha dimostrato un progressivo adattamento alle prescrizioni, rispettando con sempre maggiore costanza gli impegni assunti.

La valutazione riguardante l'evoluzione della personalità del minore si fonda soprattutto sul miglioramento della vita di relazione del minore, avvenuto attraverso l'acquisizione di nuove modalità di rapportarsi con il prossimo o attraverso la ripresa della normale vita di relazione interrotta dalla commissione del reato. E' interessante osservare che spesso la valutazione dell'avvenuta evoluzione della personalità viene fatta tenendo conto delle difficoltà incontrate dal minore nello svolgimento della prova e del limitato livello socio-culturale di esso. Il risultato ritenuto positivo, pertanto, non corrisponde al massimo risultato raggiungibile in astratto, ma al risultato che è ragionevole attendersi in relazione alle caratteristiche personali ed ambientali del singolo soggetto.

Ai fini della valutazione dell'esito positivo della prova viene preso in considerazione anche il ravvedimento del minore in ordine al fatto reato commesso. Tale ravvedimento nella maggior parte dei casi è ritenuto frutto o viene confermato, se presente fin dall'inizio, della avvenuta conciliazione con la vittima del reato.

Come già osservato precedentemente, le relazioni che considerano positivo il risultato raggiunto con la messa alla prova, riferiscono del contributo apportato concretamente dalla famiglia del minore.

Dalla lettura della seguente tabella, che riporta il numero totale delle sentenze di non luogo a procedere per estinzione del reato a seguito dell'esito positivo della prova, suddiviso per anni e per autorità giudiziaria da cui sono state emanate, emerge che la maggior parte di tali sentenze (l'85%) è stata emanata in sede di udienza preliminare.

ESTINZIONE REATO PER ESITO POSITIVO PROVA
Anno GUP Dibattimento Totale
2000 49 20 69
2001 71 6 77
2002 (Iº sem.) 29 1 30
Totale 176

Il grafico seguente, invece, riporta graficamente il totale delle sentenze con cui viene dichiarata l'estinzione del reato per esito positivo della prova, in ogni anno, eccetto per il 2002 del quale viene considerato solamente il primo semestre.

Grafico 27

Passiamo ad analizzare la percentuale dei giudizi definiti ogni anno con sentenza di non luogo a procedere per estinzione del reato dovuta all'esito positivo della prova (107).

Esito positivo prova
Anno percentuali
2000 1,3%
2001 1,8%
2002 1,6%

Il Tribunale per i Minorenni di Napoli, nel periodo osservato, ha definito con tale sentenza l'1,5% del totale dei giudizi esauriti.

Il seguente grafico descrive l'andamento della percentuale dei giudizi esauriti per estinzione del reato a seguito dell'esito positivo della prova.

Grafico 28

Si nota che nel 2001 si è avuta la percentuale massima di giudizi conclusisi con l'estinzione del reato per l'esito positivo della prova. Si deve tenere presente, comunque, che l'oscillazione fra la percentuale massima e quella minima è di minima entità, variando dall'1,3% all'1,8%.

Entrambi i magistrati intervistati ritengono che l'istituto della messa alla prova sia più utile ai fini del recupero del minore, rispetto agli altri due istituti esaminati, in quanto dotato di una carica responsabilizzante, totalmente assente in questi ultimi. Tale valenza responsabilizzante deriva dalla natura premiale dell'istituto, che comporta l'estinzione del reato solo subordinatamente all'impegno del minore, il quale pertanto deve "guadagnarsi" il beneficio che l'istituto comporta.

Per concludere l'analisi della prassi applicativa del Tribunale per i Minorenni di Napoli in relazione al perdono giudiziale, all'irrilevanza del fatto e all'estinzione del reato per esito positivo della prova, osserviamo che tali istituti non vengono mai utilizzati nei confronti di minori collegati con la camorra.

In particolare l'applicazione del perdono giudiziale è impedita dall'impossibilità di formulare un giudizio prognostico favorevole in relazione all'astensione di tali soggetti dal commettere ulteriori reati. Tali soggetti, infatti, aderiscono pienamente ad un modello di vita di tipo deviante tale da non fare sperare in un loro ravvedimento.

Per lo stesso motivo appare impossibile considerare occasionale la loro condotta, in quanto, indipendentemente dalla presenza di precedenti penali, il loro comportamento risulta irrimediabilmente orientato in senso delinquenziale. Per tale motivo si esclude l'applicabilità dell'irrilevanza del fatto.

Sempre sulla convinzione dell'impossibilità di un loro ravvedimento, si fonda l'inapplicabilità della messa alla prova

La risposta giudiziaria del Tribunale per i Minorenni di Napoli a tali minori, volta alla retribuzione e alla repressione, è rappresentata dalla condanna e dalla pena detentiva.

3.4. Perdono giudiziale, irrilevanza del fatto ed estinzione del reato per esito positivo della prova. Analisi comparativa

Per concludere, procediamo ad una comparazione fra le esperienze applicative dei tre Tribunali per i Minorenni osservati, in relazione alla percentuale dei procedimenti penali definiti con il perdono giudiziale, l'irrilevanza del fatto e l'estinzione del reato per esito positivo della prova.

TRIESTE - VALORI PERCENTUALI
Anno 1999 2000 2001 2002
Irril 9,1% 5,2% 18,5% 18,5%
Perdono 12,9% 3,4% 5,4% 15,2%
Esit pos 0,0% 0,3% 0,2% 0,5%
FIRENZE - VALORI PERCENTUALI
Anno 1999 2000 2001 2002
Irril 10,4% 10,3% 11,8% 10,2%
Perdono 13,1% 13,1% 13,5% 13,5%
Esit pos 0,8% 1,0% 1,9% 1,8%
NAPOLI - VALORI PERCENTUALI
Anno 2000 2001 2002
Irril 5,5% 5,6% 7,2%
Perdono 7,7% 7,5% 3,5%
Esit pos 1,3% 1,8% 1,6%

I valori percentuali riportati in tali tabelle sono stati ottenuti rapportando il numero totale dei procedimenti penali definiti, ogni anno (108), con l'applicazione degli istituti in esame al numero totale dei procedimenti esauriti ogni anno dinanzi a ciascuno dei tribunali presi in esame (109).

Dalla lettura dei dati contenuti in tali tabelle emerge che l'istituto dell'irrilevanza del fatto viene applicato dal Tribunale per i Minorenni di Trieste in misura percentualmente superiore rispetto a quanto accade negli altri due tribunali esaminati (nel periodo osservato l'11,9% dei giudizi esauriti si sono conclusi con sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, contro il 10,7% a Firenze e il 5,7% a Napoli). L'ampia applicazione dell'irrilevanza del fatto è strettamente legata al fenomeno dell'immigrazione clandestina e in particolare alla frequenza con cui a Trieste, zona di confine, viene commesso il reato di mancata esibizione di documenti di identità, per il quale viene applicato l'istituto in esame, secondo la prassi illustrata precedentemente (110). Si deve considerare anche la prassi di concedere l'istituto in esame anche ai minori stranieri dei quali non sia possibile avere nessun tipo di informazione in virtù del principio in dubio pro reo (111). Si nota inoltre che solamente il Tribunale per i Minorenni di Trieste esaurisce più giudizi con l'applicazione dell'irrilevanza del fatto che con l'applicazione del perdono giudiziale (112).

Il Tribunale che ha definito il minor numero di procedimenti penali con l'applicazione dell'irrilevanza del fatto è il Tribunale per i Minorenni di Napoli. Questo è dovuto in parte alla qualità della criminalità minorile campana, che si caratterizza per la gravità dei reati commessi (113), ed in parte alla interpretazione restrittiva adottata da tale tribunale in ordine ai requisiti richiesti dalla legge per l'applicazione dell'irrilevanza del fatto. In particolare l'occasionalità del comportamento viene interpretata solamente secondo un criterio strettamente cronologico, quale assenza di precedenti penali, mentre negli altri due tribunali può essere considerato occasionale anche un reato commesso da un minore con precedenti penali, se avente natura diversa dai precedenti, secondo un'interpretazione in senso psicologico. Inoltre il riferimento al pregiudizio alle esigenze educative del minore causato dall'ulteriore corso del processo viene interpretato come la presenza di percorsi educativo-formativi, quali la frequenza di attività scolastiche o lavorative, in atto, mentre negli altri due tribunali viene riferito al percorso evolutivo proprio di ciascun minore, in quanto soggetto in età evolutiva.

Il maggior numero di giudizi esauritisi con la concessione del perdono giudiziale si è avuto presso il Tribunale per i Minorenni di Firenze, che ha definito in tal modo in media il 13,3% dei giudizi. Questo è dovuto essenzialmente alla prassi stabilitasi presso questo tribunale di concedere il perdono giudiziale in modo pressoché automatico in assenza di precedenti penali.

Dai dati contenuti nelle tabelle è possibile notare la scarsità dei giudizi definiti con sentenza di non luogo a procedere per estinzione del reato a seguito dell'esito positivo della prova. La scarsa pronuncia di tali sentenze è dovuta alla scarsa applicazione dell'istituto della sospensione del processo con messa alla prova del minore, già rilevata sul piano nazionale (114). La percentuale degli esiti positivi sul totale delle messe alla prova disposte è, invece, molto alta in tutti i tribunali esaminati.

È interessante osservare l'apparente paradosso costituito dal fatto che il maggior numero di giudizi definiti con l'estinzione del reato per esito positivo della prova si è avuto a Napoli, nonostante la indiscutibile carenza di risorse presenti sul territorio, mentre il minor numero a Trieste, caratterizzata, invece, da disponibilità di risorse sia economiche sia strutturali. Questo fenomeno è dovuto in parte al fatto che a Trieste vengono commessi pochi delitti gravi e a Napoli molti (data la tendenza rilevata su scala nazionale ad applicare la messa alla prova ai reati più gravi) e in parte al fatto che, in molte regioni del sud, la carenza degli interventi sociali a favore dei minori ha determinato l'incremento di quelli giudiziari, come rilevato da Occhiogrosso (115).

Si riscontra una sostanziale omogeneità dei parametri di giudizio sui quali si fonda la valutazione positiva in ordine all'esito della prova.

Sono omogenei anche la tipologia di reati per i quali vengono applicati gli istituti esaminati e la sede processuale prescelta per la definizione dei giudizi sulla base di essi, rappresentata dall'udienza preliminare e dalle indagini preliminari per l'irrilevanza del fatto.

Infine lo strumento processuale prescelto, fra quelli esaminati, per affrontare i reati ricollegabili al fenomeno del bullismo è la messa alla prova. Si ricorre a tale istituto innanzitutto perché gli episodi riconducibili al fenomeno del bullismo che trascendono nella commissione di reati sono particolarmente gravi (come per esempio il sequestro di persona seguito da lesioni personali), per cui viene esclusa l'applicabilità dell'irrilevanza del fatto e del perdono giudiziale. E inoltre perché il percorso evolutivo instaurato con la messa alla prova risulta essere particolarmente importante per soggetti caratterizzati da un disagio frutto di mancanza di progettualità e di valori che indirizzino il loro comportamento.

Si rileva che a Napoli episodi di bullismo configuranti reati di lieve gravità, verificatisi all'interno delle istituzioni scolastiche, sono stati affrontati con l'istituto del perdono giudiziale. In alcuni di tali casi la concessione del perdono giudiziale ha seguito l'applicazione di una sanzione disciplinare (sospensione dalla scuola) ad opera degli organo scolastici, per cui si è ritenuto opportuno non fare seguire altre conseguenze penali.

Note

1. Ma solamente nel 1954 fu definitivamente annessa all'Italia.

2. Cass. Sez. I, sent. 13562 del 1999; Cass. Sez. I, sent. 8858 del 2000.

3. Per quanto riguarda la messa alla prova è stata intervistata anche la Dott.ssa D. Gregori, dell'Ufficio di Servizio Sociale Minorile di Trieste.

4. V. cap. 2.1.

5. V. cap. 2.1.

6. Questo reato è previsto dall'articolo 6, terzo comma del D.L.vo. 286 del 1998.

7. Sempreché nel frattempo il minore non abbia commesso altri reati.

8. Nella motivazione delle sentenze leggiamo: "in difetto di elementi sfavorevoli all'imputato si può ritenere che si asterrà dal commettere ulteriori illeciti e può essergli concesso il perdono giudiziale".

9. Anche la diminuzione dei giudizi definiti con l'istituto in esame registrata fra il 1999 e il 2000 è strettamente legata al fenomeno dell'immigrazione clandestina, essendo da attribuire essenzialmente ad una diminuzione del reato di mancata esibizione dei documenti di identità da parte dei minori stranieri non accompagnati che non rimangono nelle comunità di accoglienza.

10. Ricordiamo che dell'anno 2002 si considera solo il primo semestre.

11. Il Tribunale per i Minorenni di Trieste nel 1999 ha definito 780 procedimenti, nel 2000 1581, nel 2001 1591 e nel primo semestre del 2002 401.

12. Questa interpretazione è in linea con quella del Tribunale per i Minorenni di Milano, v. cap.2.2.

13. Questa è l'interpretazione del requisito dell'occasionalità del comportamento data da Giannino e Palomba, v. cap.2.2.

14. V. cap.2.2.

15. Però sostiene che come strumento educativo sia comunque preferibile il perdono giudiziale.

16. Come già emerso è molto difficile avere informazioni di alcun tipo in relazione ai minori entrati da poco in territorio italiano.

17. Ricordiamo che i dati dell'anno 2002, si riferiscono solo al primo semestre.

18. Tali valori percentuali sono stati ottenuti rapportando il numero totale dei procedimenti penali definiti ogni anno con l'applicazione dell'irrilevanza del fatto al numero totale dei procedimenti penali esauriti davanti al Tribunale per i Minorenni di Trieste.

19. In particolare nella persona del Dott. Sceusa.

20. In moltissimi casi il processo a carico di minori stranieri si svolge in loro contumacia.

21. Il Tribunale per i Minorenni di Trieste, invece, non prescrive mai la conciliazione con la vittima.

22. Negli ultimi sette anni ci sono stati solamente tre casi di omicidio volontario commessi da minorenni: uno si è concluso con la condanna, uno con la dichiarazione di inimputabilità per incapacità di intendere e di volere del minore, che è stato sottoposto a misura di sicurezza in quanto ritenuto pericoloso, e uno con sentenza di non luogo a procedere per estinzione del reato per esito positivo della prova.

23. Ricordiamo che in dottrina e in giurisprudenza ci sono state molte critiche all'opportunità di applicare la messa alla prova per i reati di maggiore gravità.

24. V. cap.2.3.

25. Secondo Roli uno degli aspetti negativi della messa alla prova è proprio il venire meno del principio psicologico dell'attribuzione dell'azione. V. cap.2.3.

26. Si ricorda che non esiste una legge sull'ordinamento penitenziario specifica per i minori, ma ad essi si applica la legge 354 del 1975.

27. Eccetto la colonna relativa al 2002 che si riferisce solo al primo semestre dell'anno.

28. I valori percentuali sono stati ottenuti rapportando il numero totale dei giudizi definiti con sentenza di non luogo a procedere per estinzione del reato a seguito dell'esito positivo della prova al numero totale dei procedimenti penali esauriti davanti al Tribunale per i Minorenni di Trieste.

29. V. cap.2.3.

30. L'articolo 28 del D.P.R. 448/1988 prevede che: "Il giudice, sentite le parti, può disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne all'esito della prova disposta a norma del comma 2".

31. Ricordiamo che Colamussi non considera i presupposti applicati della messa alla prova troppo generici, in quanto il processo penale minorile è improntato alla flessibilità, all'ampia discrezionalità e alla adeguatezza alle esigenze educative del minore. V. cap.2.3.

32. E si prevede che anche alla fine del 2002 sarà mantenuto questo andamento della composizione della criminalità minorile, con la maggioranza di minori stranieri fra i minori indagati.

33. Fra i minori nomadi che commettono questo tipo di reati ci sono anche molte femmine.

34. Questa distinzione fra reati commessi a seconda della nazionalità rispecchia quella operata a livello nazionale. V. cap.2.4.1.

35. Relazione del Procuratore generale presso della Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Firenze per l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2001.

36. Si osserva che nel 2000 un minorenne cinese è stato imputato di rapina e lesioni aggravate (reati successivamente estinti per esito positivo della prova).

37. Il fenomeno della recidiva interessa soprattutto i minori stranieri.

38. Si tenga presente, però, che spesso i reati più gravi, quali lo spaccio di sostanze stupefacenti o lo scippo, sono commessi da minori italiani.

39. G. Paoli, "Quei ragazzi dimenticati", La Nazione, 23 aprile 2002.

40. Il 23 aprile La Nazione, quotidiano fiorentino, riporta le parole pronunciate, all'indomani dalla scoperta del gruppo di scippatori dal Procuratore generale presso il Tribunale per i Minorenni di Firenze, Dott. Nesticò, il quale, rifiutando la definizione baby-gang, frena l'insorgere di ogni allarmismo sociale, affermando che il fenomeno delle baby-gang non è presente nella realtà fiorentina e rifiutando l'etichetta di 'delinquenti' di tali minori, essendo piuttosto da considerare "dei ragazzi che fanno una cazzata".

41. V. nota 2.

42. Questi numeri fanno riferimento ai procedimenti sopravvenuti, ai quali poi si aggiungeranno i procedimenti iniziati precedentemente, ma ancora pendenti.

43. V. nota 2.

44. Tale analisi si fonda sulle interviste ad un giudice, la Dott.ssa Fiorillo, e ad un pubblico ministero, il Dott. Sodi, e sulla lettura delle sentenze, dei fascicoli relativi ai singoli procedimenti penali e delle statistiche redatte dal tribunale e riguarda il periodo temporale compreso fra il gennaio 1999 e il giugno 2002.

45. Dalla lettura delle motivazioni delle sentenze emerge che non sempre il giudizio prognostico riguardante i minori italiani si basa anche sull'assunzione di tali informazioni. Non mancano infatti i casi in cui per tali minori la prognosi favorevole si sia fondata esclusivamente sull'assenza di precedenti penali.

46. L'articolo 133 del codice penale, su cui deve fondarsi il giudizio prognostico favorevole (come previsto dall'articolo 169, istitutivo del perdono giudiziale) fa riferimento alla condotta contemporanea o susseguente al reato.

47. Una delle formule usate nelle motivazioni è: "La prognosi è positiva sulla base della resipiscenza senz'altro dimostrata con l'atteggiamento confessorio, ecc.".

48. La riprovazione della condotta è dovuta al fatto che il perdono giudiziale implica l'affermazione della responsabilità penale del minore.

49. V. cap.2.1.

50. Ricordiamo che la colonna relativa al 2002 si riferisce solamente al primo semestre dell'anno.

51. Infatti si osserva che, a causa degli stessi motivi indicati nel testo, il numero dei giudizi definiti in tali anni è progressivamente diminuito: nel 1999 sono stati 4147, nel 2000 3334, nel 2001 2482 e nel primo semestre del 2002 sono stati 1104.

52. V. nota n. 50

53. il Tribunale per i Minorenni di Firenze nel 1999 ha esaurito 4147 procedimenti penali, nel 2000 3334, nel 2001 2482 e nel primo semestre del 2002 1104.

54. Questa convinzione è confermata dai molti casi di recidiva successivi alla concessione del perdono giudiziale, riguardanti soprattutto i minori stranieri.

55. Ciò accade soprattutto per i minori italiani.

56. Una delle formule tipiche usate nelle motivazioni delle sentenze di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto è: "l'episodio appare assolutamente isolato ed occasionale, considerata l'incensuratezza del minore ed il suo impegno nello studio".

57. Questa è l'interpretazione dell'occasionalità del comportamento elaborata da Giannino e da Palomba. V. cap.2.2.

58. Tipico è l'esempio di una minore nomade già condannata per furti in appartamento e prosciolta con sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento, non legati in alcun modo ai reati precedenti, ma commessi in occasione di una convocazione in Questura per motivi legati ai documenti di identità.

59. In particolare: Palomba, Colamussi, Giannino, Losana, Pepino. Questa posizione dottrinaria considera il riferimento al pregiudizio alle esigenze educative del minore non come un elemento costitutivo che si aggiunge alla tenuità del fatto e all'occasionalità del comportamento, ma come la spiegazione logica su cui si basa la rapida espulsione del minore dal processo. V. cap.2.2.

60. L'assenza di tale esplicito riferimento si spiega con l'adesione del Tribunale per i Minorenni di Firenze alla posizione dottrinaria, indicata nella nota precedente, secondo la quale il riferimento operato dall'articolo 27 al pregiudizio alle esigenze educative del minore costituisca solo la spiegazione logica della rapida espulsione del minore dal procedimento penale.

61. P. Tony, Il dibattimento, in F. Occhiogrosso (a cura di), Il processo penale minorile: prime esperienze. Atti del convegno di Bari, Unicopli, 1991.

62. I valori percentuali sono stati ottenuti rapportando il numero totale dei procedimenti penali definiti con l'applicazione dell'irrilevanza del fatto al numero totale dei procedimenti penali esauriti davanti al Tribunale per i Minorenni di Trieste.

63. Anche Nunziata sostiene che attraverso l'irrilevanza del fatto "si perviene a deresponsabilizzare in toto il reo". V. cap.2.2.

64. Ricordiamo che il secondo comma dell'articolo 1 del D.P.R. 448/1988 prevede che il giudice illustri all'imputato "il significato delle attività processuali che si svolgono in sua presenza nonché il contenuto e le ragioni anche etico-sociali delle decisioni".

65. Come, invece, accade nei Tribunali per i Minorenni di Bologna e di Bari; v. cap.2.3.

66. Con tale giudizio si compie una valutazione probabilistica sul raggiungimento dell'esito positivo della prova. V. cap.2.3.

67. A Bari la maggioranza delle prove è applicata a ragazzi conviventi con entrambi i genitori. V. cap.2.3.

68. A meno che la famiglia non sia la causa stessa della devianza, come accade spesso per i nomadi.

69. Sono soprattutto albanesi e nomadi.

70. Così, per esempio, se il minore frequenta la scuola media superiore nel progetto di intervento non saranno presenti prescrizioni in materia di attività lavorativa, ma dovrà invece partecipare ad attività di volontariato o ad attività sportive.

71. A. Nesticò, Due rilievi critici a proposito dell'applicazione del processo minorile, in F. Occhiogrosso (a cura di), op. cit.

72. Dall'analisi statistica condotta dall'Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile emerge che anche a livello nazionale la messa alla prova è disposta per i rati più gravi.

73. V. cap.2.3.

74. Ricordiamo che per l'anno 2002 viene considerato solamente il primo semestre.

75. V. nota precedente.

76. Per una trattazione più particolareggiata di tali misure alternative rimandiamo alla lettura del cap.3.1.2.

77. Tale tabella indica il numero di sentenze di non luogo a procedere suddivise per anno di emissione e per autorità giudiziaria emittente. Si ricorda che per il 2002 viene considerato solamente il primo semestre.

78. Ogni colonna di cui è composto il grafico rappresenta il numero complessivo di estinzioni del reato per esito positivo della prova dichiarate in un anno, ad eccezione della colonna relativa al 2002, la quale si riferisce solo al primo semestre.

79. I valori percentuali sono stati ottenuti rapportando il numero dei giudizi definiti ogni anno con estinzione del reato per esito positivo della prova al numero totale dei procedimenti esauriti davanti al Tribunale per i Minorenni di Firenze.

80. Negli ultimi anni si è assistito ad uno sforzo dell'amministrazione comunale volto a valorizzare il centro storico della città.

81. M. Cavallo, Ragazzi senza, Bruno Mondadori, 2002.

82. Infatti laddove i minori stranieri commettono più reati dei minori italiani il carcere minorile è popolato soprattutto dai minori stranieri, come accade a Firenze e a Trieste.

83. I figli minorenni dei camorristi, invece, raramente commettono reati.

84. M. Cavallo, op. cit.

85. L'articolo 576, che prevede le circostanze aggravanti dell'omicidio doloso, al numero 4) prevede una circostanza aggravante specifica per l'associato per delinquere che commetta tale reato per sottrarsi all'arresto, alla cattura o alla carcerazione.

86. Lo stesso Dott. Palumbo, pubblico ministero presso la Procura per i minorenni di Napoli, da me intervistato ha affermato di aver più volte preso parte a tali corsi in tema di educazione alla legalità.

87. Tale analisi, come quella riguardante la prassi dei Tribunali per i Minorenni di Trieste e di Firenze, si fonda sulle interviste ad un giudice, la Dott.ssa M. Ferrara, e ad un pubblico ministero, il Dott. A. Palumbo, e sulla lettura delle sentenze, dei fascicoli relativi ai singoli procedimenti penali e delle statistiche. Ricordiamo, inoltre, che il periodo considerato riguarda solamente gli anni 2000, 2001 e primo semestre 2002.

88. Fra le circostanze indicate dall'articolo 133 per desumere la gravità del reato, ricordiamo le modalità dell'azione, la gravità del danno o del pericolo cagionato, l'intensità del dolo o il grado della colpa, i motivi a delinquere, le condizioni di vita familiare ed individuale del reo.

89. Ricordiamo che del 2002 viene considerato solo il primo semestre.

90. Il Tribunale per i Minorenni di Napoli nel 2000 ha definito 5470 procedimenti penali, nel 2001 4188 e nel primo semestre del 2002 1846.

91. V. cap.2.1.

92. Secondo la Dott.ssa Ferrara la sospensione condizionale della pena è un istituto dotato di maggiore efficacia deterrente.

93. Si legge: "Dato l'esiguo allarme sociale suscitato dalla violazione della legge, il fatto è giuridicamente irrilevante sotto il profilo sociale".

94. Una delle 'formule' utilizzate nelle motivazioni delle sentenze è: "si può fondare una valutazione con esito positivo della prognosi circa la futura astensione da ulteriori attività 'irregolari'".

95. Fondata prevalentemente sull'assenza di precedenti penali.

96. In tale tabella vengono riportate il totale delle sentenze di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, suddivise per autorità giudiziaria dell'emanazione e per anno, ricordando che per il 2002 si considera solo il primo semestre.

97. Tali valori percentuali sono stati ottenuti rapportando il numero dei procedimenti penali definiti ogni anno con sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto al numero totale dei procedimenti penali esauriti davanti al Tribunale per i Minorenni di Napoli.

98. Notiamo che non viene richiesta una confessione in senso tecnico, come, invece, accade nei Tribunali per i Minorenni di Bologna e di Bari; v. cap.2.3.

99. Si ricorda comunque che molti processi relativi a minori stranieri vengono celebrati nella loro contumacia, per cui in questi casi è preclusa a priori la possibilità di concedere la messa alla prova.

100. Ai fini dell'analisi statistica condotta nel presente studio l'estinzione del reato per esito positivo della prova relativo al ragazzo sudamericano non verrà preso in considerazione, in quanto non rientra nel periodo osservato, che arriva fino al mese di giugno del 2002, essendosi la prova conclusa nel mese di ottobre.

101. In particolare si fa riferimento ad un Servizio di Conciliazione, facente capo ad un Centro Polifunzionale, situato a Napoli.

102. Si osserva che alle relazioni redatte dai servizi sociali viene allegato un documento che testimonia l'avvenuta conciliazione fra le parti del reato.

103. Si osservi che alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Napoli approdano in media quindici omicidi (colposi, preterintenzionali e dolosi) l'anno.

104. Ricordiamo che il 2002 viene analizzato solo fino al mese di giugno.

105. Per una trattazione più dettagliata di tali misure si rimanda alla lettura del cap.3.1.2.

106. Si ricorda che la 'legge Simeone' consente al soggetto condannato a pena detentiva non superiore ai tre anni di chiedere l'applicazione della misure alternative nel periodo in cui l'esecuzione della pena è sospesa.

107. I valori percentuali sono stati ottenuti rapportando il numero delle sentenze di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto al numero totale dei giudizi esauriti davanti al Tribunale per i Minorenni di Napoli.

108. Ricordiamo che i dati relativi al 2002 si riferiscono solo al primo semestre dell'anno.

109. A Trieste nel 1999 sono stati definiti 780 procedimenti, nel 2000 ne sono stati definiti 1581, nel 2001 1591 e nel primo semestre del 2002 401. A Firenze nel 1999 sono stati definiti 4147 procedimenti penali, nel 2000 3334, nel 2001 2482 e nel primo semestre del 2002 1104. A Napoli nel 2000 sono stati definiti 5470 procedimenti, nel 2001 4188 e nel primo semestre del 2002 1846.

110. V. cap.3.1.2.

111. Si ricorda il Tribunale per i Minorenni di Trieste si avvale di tale principio anche per l'applicazione del perdono giudiziale.

112. Anche questa osservazione è da attribuire al motivo appena illustrato.

113. Questa è la causa anche dello scarso utilizzo del perdono giudiziale, con il quale sono stati definiti in media il 6,2% dei giudizi all'anno.

114. V. cap.2.3.

115. V. cap.2.3.