ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo 3
Un osservatorio nazionale

Eleonora Neglia, 2001

Sezione prima: l'istruzione

SOMMARIO: 1.1. Scuola e formazione. - 1.2. Attività culturali e ricreative. - 1.2.1. Tipologia delle attività garantite nelle carceri italiane. - 1.3. La formazione professionale.

Per avere un quadro completo sull'effettivo riconoscimento del diritto del detenuto all'istruzione in senso lato è necessario ampliare l'analisi analizzando, per quanto possibile, le diverse situazioni che si verificano sul territorio nazionale nei numerosi e differenti istituti penitenziari. A tal proposito è utilissimo rifarsi ai risultati del Primo Rapporto Nazionale sulle condizioni di detenzione, redatto dall'Associazione Antigone. (1)

1.1. Scuola e formazione

Da quest'analisi (effettuata sulla base di circa 160 visite in 95 istituti di pena), sono emerse (2) delle grosse difficoltà nel realizzare il coordinamento tra gli operatori interni e le istituzioni esterne; nell'attivare corsi scolastici e formativi all'interno delle Case Circondariali e negli Istituti penitenziari che ospitano detenuti con pene brevi o brevissime. (3) Perfino le direzioni penitenziarie hanno spesso una conoscenza parziale dell'organizzazione e della struttura del sistema scolastico e formativo.

Nel corso dell'anno 1998/99 (4) in 84 istituti non erano presenti corsi di scuola dell'obbligo (addirittura in Sardegna 8 su 12 ne erano privi); tuttavia i corsi di scuola media risultavano attivati in tutti i 17 Provveditorati regionali dell'Amministrazione Penitenziaria ed erano ben 150; molto meno presenti erano (e sono tuttora) i corsi di scuola secondaria superiore ufficialmente attivati (cioè non considerando gli interventi del volontariato). Nell'anno esaminato i corsi attivati erano 43, suddivisi in 19 attinenti all'istruzione professionale, 23 all'istruzione tecnica (prevalentemente commerciale o per geometri) e 1 all'istruzione liceale. A questi se ne affiancavano altri 11 portati avanti da volontari privati. Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, i corsi di scuola secondaria superiore coinvolgevano 34 istituti ma erano dislocati in modo non uniforme: in Basilicata, per esempio, non era attivo nessun corso, mentre in Toscana o nel Veneto, nel Trentino e nel Friuli ce n'erano ma in termini minimi. Completamente diversa risultava la situazione del Lazio con ben 9 corsi di scuola secondaria superiore, anche se essenzialmente concentrati nella zona degli istituti di Rebibbia (7 su 9). Un'iniziativa da segnalare era quella, (unica in quel momento ma non adesso poiché anche a Prato si sta vivendo la stessa esperienza), del Polo Universitario presso l'istituto Le Vallette di Torino da parte della facoltà di Scienze Politiche della locale università, sulla base di un'intesa sottoscritta dall'università stessa, dal Tribunale di Sorveglianza e dal Provveditorato regionale: si tratta di un'area interna all'istituto in cui sono concentrati i detenuti iscritti all'Università di Torino, provenienti da vari istituti penitenziari; in essa sono previsti locali per incontri con i docenti e per l'accesso al materiale didattico (condizioni che in genere, invece, non vengono assicurate a sostegno dell'attività didattica pre-universitaria).

Le visite negli istituti effettuate dall'Associazione hanno spesso evidenziato molta buona volontà del personale, specie degli educatori, interlocutori tradizionalmente deputati alle relazioni con le scuole. Comune a tutti è, però, un senso d'impotenza per la mancanza degli strumenti indispensabili ad un'azione che vada oltre la quotidianità. È necessario che vi siano scelte politiche per la programmazione condivisa con altre amministrazioni, e in questo caso con la Pubblica Istruzione. Inoltre sono importanti i corsi di formazione integrata tra operatori scolastici e penitenziari, necessari per impadronirsi dei reciproci linguaggi di riferimento e per passare a definire insieme un'adeguata programmazione.

Uno dei problemi riscontrati è che non sono sufficientemente noti - e non solo agli operatori penitenziari - i sistemi di accesso ai nuovi processi della formazione e dell'istruzione e i percorsi amministrativi e burocratici per coordinarli all'esterno tra Amministrazioni, enti locali e agenzie di formazione pubbliche e private.

Nel corso del 1999 i corsi scolastici per le scuole medie superiori sono aumentati in quantità e qualità, comprendendo un ampio ventaglio di offerte: ragioneria (attivato nella maggior parte dei casi), istituto periti industriali (a indirizzo elettronico/meccanico), istituto professionale per il commercio, istituto geometri, informatica, istituto professionale per elettricisti e impiantisti, liceo artistico, istituto per operatore turistico, istituto per operatore agroambientale, scuola alberghiera.

1.2. Attività culturali e ricreative (5)

L'osservazione effettuata ha rivelato un generale rispetto dell'art. 12 Ord. penit. relativo a queste attività, anche se non mancano le eccezioni negative: la stampa (6) ha riportato il caso del carcere di Buoncammino (CA), dove non esistono strutture sportive né sale di socializzazione e nemmeno una biblioteca. Più frequenti sono i casi in cui le strutture non mancano, ma risultano di fatto inutilizzabili, come nel carcere di Vicenza, dove la biblioteca è spesso inagibile per colpa di infiltrazioni d'acqua che danneggiano il patrimonio librario, ed è comunque accessibile alle persone detenute solo una volta alla settimana, con la presenza di un detenuto alla volta e per un massimo di venti minuti; per non parlare della palestra, inutilizzabile da oltre due anni! Le carenze strutturali sono uno dei principali limiti all'organizzazione e alla realizzazione di attività di tipo culturale e ricreativo, unite ovviamente alla disponibilità del territorio e all'apertura dimostrata dall'istituzione carceraria a dalle singole direzioni. (7) Così il panorama delle carceri italiane mostra situazioni del tutto disomogenee quanto alla tipologia di attività interne garantite, ma in generale l'offerta può definirsi sufficientemente variegata.

1.2.1. Tipologia delle attività garantite nelle carceri italiane

Teatro

In alcuni casi sono nati gruppi teatrali che hanno prodotto lavori di indubbio valore, recensiti sulla stampa nazionale. In molte di queste produzioni il regista è esterno all'Amministrazione penitenziaria. Vi sono ipotesi in cui le prove di teatro sono il luogo d'incontro, seppur sporadico, fra donne e uomini all'interno del carcere, ossia detenute e detenuti che insieme lavorano allo spettacolo, ma accade raramente. Ancor più raramente il cast è misto, cioè integrato anche da persone esterne. Il teatro è amato e seguito dai detenuti per la sua forza espressiva, perché la capacità di favorire le relazioni, una valenza liberatoria, e infine, perché veicolo verso l'esterno (per molti detenuti il primo permesso-premio viene concesso per fare lo spettacolo fuori dal carcere nel teatro della città).

L'esperienza del teatro viene vissuta nella maggior parte degli istituti perché permette di vivere un vero e proprio laboratorio su se stessi: il teatro consente un percorso di vita forte, un percorso totale; per questo motivo è soprattutto una disciplina, che esula dagli stessi contenuti del carcere, dalla vita reale. (8) È una vera disciplina che ha alla base un grande rispetto per la propria persona, una voglia di autodeterminarsi e, quindi, mette in moto uno spirito positivo di rivalsa, perché lo spazio creativo è l'unico predisposto per questo percorso. Perciò è molto di più, sia di un momento ricreativo - che pure c'è e non va sottovalutato - sia di un momento scolastico, perché qui si imparano tecniche, si sperimentano toni e linguaggi, ci si mette alla prova. Diventa poi un modo di essere e infatti i ragazzi del teatro sono "diversi" dagli altri detenuti, perché hanno un altro modo di affrontare le cose e instaurano dei rapporti in altra maniera".

Fra tutte le esperienze vissute, è da sottolineare quella fatta nel 1999 dai detenuti della speciale sezione semi-infermi di mente di Rebibbia Penale: lo spettacolo, dal titolo "Nella testa ho un campanello", è stato rappresentato all'esterno presso un dipartimento di salute mentale territoriale nell'ambito delle attività del progetto Ulisse, finalizzato al reinserimento dei detenuti sofferenti psichici.

Biblioteca

Le biblioteche in carcere spesso sono poche isole felici, ma cresce anche tra i detenuti il desiderio di buoni libri e di spazi più vivibili per la lettura. Quest'ultima, infatti, insieme alla scrittura possono essere usate come mezzi per rinascere psicologicamente, (9) per sforzarsi di superare i limiti di costrizione carceraria; il fatto è che il piacere, l'intimità, la scoperta della propria unicità, che dà la lettura non sono concessi a chi sta in carcere, a chi viene da mondi dove spesso non è mai entrato un libro, a chi non conosce la "solitudine buona", e vive invece la tortura della solitudine. I detenuti si servono dei libri per scrivere alle famiglie, per trascrivere dei versi alla moglie, alla fidanzata, ai familiari in genere. Se questa cosa può farci stupire, vista da un altro punto d'osservazione, ci fa anche capire come la biblioteca ha raggiunto pienamente lo scopo per cui è stata istituita poiché ha permesso di fare un grandissimo passo avanti a chi si sente povero di pensiero e di parole e cerca tutto ciò nei libri. All'istituto Pagliarelli una richiesta particolare è venuta dai detenuti extracomunitari, che desiderano libri in francese, arabo, turco. Gli educatori di questo carcere sono anche riusciti ad avere un Corano in arabo tramite il Consolato di Tunisia e l'Imam, che è la moschea di Palermo, ma la mancanza di testi simili è una lacuna da colmare al più presto se si vuole garantire a tutti la stessa possibilità di leggere per istruirsi, semplicemente per svagarsi o addirittura per pregare. (10)

Nel 1999 l'ABC (Associazione Biblioteche Carcerarie) ha organizzato a Rozzano il Convegno "Liberi di leggere" per presentare varie esperienze carcerarie di livello elevato, che andrebbero esportate e seguite come modelli positivi. A Milano la Cattedra di Biblioteconomia dell'Università Statale ha adottato la biblioteca carceraria di Opera e oggi esiste un gruppo di undici detenuti che hanno frequentato un corso di formazione e sono ben preparati. Infatti, hanno già pensato di costituirsi in cooperativa e di iniziare a lavorare subito, offrendosi sul mercato; hanno catalogato i volumi della biblioteca interna con il software messo a disposizione dalla Biblioteca Comunale di Rozzano, con la quale è attiva una Convenzione per il prestito interbibliotecario; infine un detenuto lavora nella Biblioteca Comunale dopo aver ottenuto la qualifica di "operatore di biblioteca".

A Ravenna, Rimini, Forlì alcuni bibliotecari comunali sono anche animatori di un'infinità di iniziative per rivitalizzare la realtà carceraria attraverso le buone letture: progetti di promozione del libro, incontri con l'autore, gruppi di lettura e discussione di testi, laboratori di scrittura, corsi di formazione per detenuti-bibliotecari, video realizzati dai detenuti tra cui uno intitolato "I libri sono lib(e)ri e restano lib(e)ri anche dentro le celle" e una carta dei diritti dell'utente delle biblioteche in carcere.

Il corso per bibliotecari è stato ripetuto anche negli anni 2000 e 2001, perché gli obiettivi sono numerosi e molti sono già stati raggiunti ottimamente come favorire la crescita culturale individuale e collettiva, garantendo a tutti uno strumento di conoscenza; avviare e incrementare il servizio di biblioteca all'interno delle carceri; favorire la formazione dei detenuti per un futuro reinserimento sociale in attività lavorative nel campo documentario e accrescere la preparazione culturale dei residenti in carcere.

A Bologna è stata battuta una strada nuova: un professore tiene un corso di Filosofia Morale (11) per detenuti italiani e immigrati e lo fa con una certa sfida, perché non utilizza letture "facili", ma propone dei passi di Platone e Seneca. Il suo scopo è tentare di far intravedere a questi uomini, cui la vita ha offerto poco, la possibilità di un'esistenza diversa e tutto ciò è più che mai possibile adesso che nel carcere di Bologna è stata costituita una biblioteca nuova e confortevole. Infatti è importante che in ogni istituto ci sia una bella biblioteca, uno spazio positivo, in cui il detenuto abbia la percezione che la dignità si acquista soprattutto con la cultura. (12)

A Roma le biblioteche in carcere fanno ben mille prestiti al mese a circa tremila detenuti, da quando è in funzione una Convenzione tra Biblioteche Civiche e Biblioteche Carcerarie: questa convenzione ha portato negli istituti penitenziari buoni libri e bibliotecari competenti ed ha realmente cominciato ad integrare le biblioteche esistenti sul territorio carcerario nel sistema comunale della città. Nelle carceri di Roma ci sono circa 12-15 biblioteche di reparto e i detenuti potranno consultare "on line" il catalogo unico informatizzato delle Biblioteche Romane: oltre 500.000 titoli, invece dei "fondi di magazzino e donazioni pie, scaffali di letteratura edificante e mortificante, cascate di manuali scolastici e fuori corso che intasano le biblioteche di galera". (13)

A Padova "Ristretti Orizzonti" (il giornale del carcere di Padova) e il Gruppo Rassegna Stampa hanno dato vita a un Centro Documentazione impegnato a rivoluzionare le modalità d'informazione dal e sul carcere, mettendo al centro del lavoro la qualità, la completezza, l'efficacia dell'informazione, insomma, tutto quello che non si riesce quasi mai a trovare quando si parla di carcere. Il passo successivo, oggi che il Centro funziona come fonte inesauribile di informazioni verso l'esterno, è di istituire un settore di consultazione aperto a tutti i detenuti, che possano così avere a disposizione codici e testi giuridici, trovare notizie su cooperative sociali e associazioni, leggere riviste nella loro lingua d'origine, per informarsi e "aiutarsi" da soli ad uscire dall'isolamento e a "rientrare" nella società.

Un altro progetto importante a livello nazionale è "Ali d'autore", (14) che si colloca nel quadro delle molteplici attività promosse negli ultimi anni dal Ministero dei Beni culturali attraverso la Direzione Generale per i Beni Librari, al fine di favorire la diffusione della lettura e di allargare la base dei fruitori nelle diverse fasce sociali (infanzia, giovani, anziani e settori a disagio come il carcere). Nel contesto carcerario l'obiettivo di questo progetto è quello di contribuire alla rieducazione del condannato attraverso l'accostamento alla letteratura e ai suoi valori, nella consapevolezza che la narrativa e la poesia costituiscono gli strumenti per modificare, attraverso la comunicazione di emozioni e di idee, le strutture comportamentali che sono di ostacolo ad una costruttiva partecipazione sociale. Ad oggi, l'iniziativa coinvolge 8 Istituti penitenziari (Alessandria, Cremona, Lecce, Messina, Napoli, Parma, Porto Azzurro e Rebibbia femminile) e 5 Centri di Servizio Sociale per Adulti (Lecce, Reggio Calabria, Reggio Emilia, Roma e Torino), scelti dal DAP del Ministero di Giustizia in base a criteri di grandezza, di dislocazione territoriale e di condizioni particolari. I soggetti che partecipano al progetto leggeranno e approfondiranno un testo di narrativa che verrà poi discusso in un incontro con l'autore del libro. I partecipanti potranno produrre delle riflessioni o delle recensioni fino a ottobre 2001 (data di scadenza del progetto) e le migliori verranno pubblicate dalla Direzione Generale e diffuse negli Istituti e fra i soggetti pubblici e privati. Questo progetto è la testimonianza che i valori e gli strumenti della cultura, arricchendo la personalità e potenziando il senso critico, possono efficacemente contribuire ai programmi di recupero sociale delle persone in esecuzione di pena. (15)

Giornali e telegiornali

Tra le attività inframurarie più diffuse c'è la redazione dei giornali interni come momento importante dello svolgimento della quotidianità. Giornali dal carcere e non del carcere: la maggior parte del giornalismo penitenziario esistente si propone infatti come obiettivo di rompere l'isolamento tra "interno" ed "esterno" per promuovere e favorire il dialogo tra queste diverse realtà. (16)

I giornali più conosciuti sono: Ristretti Orizzonti del carcere Due Palazzi di Padova, Magazine 2 di San Vittore, Effatà dell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia, La Grande Promessa del carcere di Porto Azzurro. Questo strumento cartaceo permette di raccontare con un'immagine più realistica la situazione carceraria ed è capace di divenire punto di riferimento e d'aggregazione per tutte quelle figure in grado di produrre iniziative culturali a favore del carcere. Inoltre la scrittura, come già detto, rappresenta uno dei pochi piaceri che i detenuti si possono permettere.

Il lavoro del giornalista carcerario, però, è più complicato rispetto a quello dei giornalisti "liberi", sia per scarsa possibilità di ricerca di notizie, sia per l'obbligo di essere cauti nel divulgarle.

Ognuno dei giornali carcerari ha una struttura differente. A Padova la redazione è composta da detenuti, il coordinamento redazionale è esterno. Il giornale di San Vittore e quello di Massa e Porto Azzurro, invece, sono curati interamente dai detenuti e dagli operatori del carcere. Alcune riviste hanno una veste grafica pensata per una divulgazione fuori dalle mura carcerarie; altre sono confezionate in modo più artigianale, seppur la circolazione non è limitata all'interno, come per esempio Effatà, alla cui pubblicazione partecipano gli internati dell'OPG di Reggio Emilia con la supervisione del cappellano dell'istituto. Ci si documenta leggendo altri giornali e il materiale informativo prodotto dalle istituzioni, come dalle organizzazioni pubbliche e private che in qualche modo del carcere si occupano, ma sono le notizie di cronaca "dall'interno" ad essere le più spinose da trattare e divulgare. (17)

Un'altra esperienza vissuta in carcere anche se in modo ancora eccezionale è quella dei telegiornali. A Gorgona, (18) a partire dal 1995, l'associazione Arci, nell'ambito del "Corso di formazione nel settore della video-ripresa" e grazie al contributo della Regione Toscana, ha realizzato due documentari che rappresentano il saggio finale del programma d'insegnamento in cui gli attori protagonisti sono proprio i detenuti. Uno di questi documenti è, appunto, il "TG Galeotto", un telegiornale tutto particolare: si tratta di un prodotto giornalistico a chiaro sfondo sociale, in cui i detenuti provano a raccontare le loro esperienze, i loro drammi, le loro speranze e la loro voglia di riscatto; pochi minuti di grandi messaggi, montati con accuratezza, perfino nella musica, per dar voce a chi, per tanto tempo, si è sentito imbavagliato nei luoghi comuni. Questo TG rappresenta, senza dubbio, il miglior esempio per documentare, senza eccessivi filtri, ciò che realmente accade all'interno di questo carcere sui generis (dove i detenuti di giorno lavorano portando le capre al pascolo, coltivando la terra, cuocendo il pane o preparando buoni formaggi), ma costituisce anche un modo per far conoscere all'esterno qual è la vita di una persona che vive rinchiusa in un carcere. Certo va sottolineato che è proprio questa caratteristica di carcere-isola che ha permesso una tale esperienza e così questo telegiornale ha voluto e potuto offrire spunti di riflessione sull'uomo e sul suo percorso di cambiamento, sulla giustizia in generale, sulla convivenza forzata, al fine di trarre elementi nuovi ed utili ad una riflessione concreta sul valore e il senso da attribuire alla condanna. L'obiettivo dell'iniziativa (che è durata sei mesi) è stato quello di aprire ancor di più il carcere di Gorgona nei confronti della realtà esterna. La prima serie di puntate del TG è andata in onda su un'emittente locale; inoltre il videobox autogestito dai detenuti, è stato premiato a Roma con un riconoscimento nell'ambito di una manifestazione nazionale.

Esperienze del genere sono più lente a diffondersi, perché richiedono fondi e disponibilità su tutti i fronti, ma anche i telegiornali stanno piano piano diffondendosi (ad esempio, il "TG Palazzi" nel carcere di Padova).

Internet

In maniera ancora del tutto eccezionale, si va tentando la fuga (virtualmente, certo!) attraverso la Rete. (19) Nella Casa Circondariale di Padova i detenuti hanno iniziato a consultare Internet, grazie alla realizzazione di un sito che ruota attorno alle esperienze delle Giornate mondiali della Gioventù e che è stato creato con l'apporto dei volontari del carcere, cioè insegnanti, chierici, suore, ma anche comuni cittadini, come un ingegnere e un professore universitario in pensione. Sul sito si parla della situazione carceraria, c'è uno spazio posta e poi si descrivono le varie attività dei reclusi.

C'è poi chi, addirittura, viene "adottato on line" da un giornale. È questo il caso di una detenuta del carcere della Giudecca (Ve) che ha potuto avere accesso al sito internet del settimanale della diocesi di Venezia "Gente Veneta" e può, così, dialogare con l'esterno e crearsi amicizie via internet.

Radio

Questo mezzo di comunicazione è ancora pochissimo diffuso nei rapporti diretti con le carceri, perché in genere le trasmissioni si limitano soltanto ad ospitare, all'esterno degli istituti, gli operatori del settore per trattare argomenti attinenti alle problematiche carcerarie. Nel 2000, però, è iniziata anche una collaborazione giornalistica diretta tra un'emittente-radio e un giornale (si tratta, rispettivamente, di "Nova radio" e della redazione di Magazine 2); quest'incontro ha dato luogo ad un appuntamento quindicinale per i detenuti della redazione nella trasmissione "Filo diretto". (20)

Per evidenti motivi, gli interventi della redazione del giornale non vanno in onda in diretta, ma sono precedentemente registrati a San Vittore e poi trasmessi.

Musica

È un'attività trattamentale da non sottovalutare perché riesce a far provare forti emozioni e a scuotere ogni individuo. La musica intesa come comunicazione e come trasferimento di sensazioni può essere importante nella vita carceraria. Chi prova emozioni ha un cuore e su questa base si può fare un percorso che consente di arrivare alle cause che hanno determinato certe condotte delittuose. La musica come motivo esaltante per cambiare se stessi, può mettere in atto, infatti, dei meccanismi che possono portare all'affermazione di un io diverso da quello criminale. (21) Proprio a Rebibbia si è tenuta una giornata importante il 19 giugno 2001, tutta dedicata alla musica. La Casa di Reclusione si è aperta per un giorno alla musica internazionale e per tutti, detenuti, organizzatori e cantanti, è stata una festa delle emozioni. Sul grande palco allestito per l'occasione nel carcere romano si sono alternati grandi nomi della musica internazionale, ma anche personalità politiche, professori e rappresentanti del DAP, che hanno organizzato una tavola rotonda. (22) Nonostante la lunga tradizione di attività di tipo teatrale e musicale, neppure al Rebibbia si era mai avuto teatro o musica a quel livello, perché vi hanno lavorato tanti detenuti per curare anche la parte tecnica dello spettacolo, generando un coinvolgimento generale. Storicamente, in quest'Istituto in particolare, che è un po' il simbolo per il trattamento, (23) tutti, personale, direzione ed educatori in genere partecipano con convinzione al progetto di reinserimento sociale attraverso le attività trattamentali e, se manifestazioni come questa costituiscono un aggravio di lavoro, è pur vero che rappresentano un modo che consente a tutti gli operatori di agire in un contesto di maggior tranquillità. Altri esempi di come la musica possa diventare elemento riabilitativo è dato dal progetto "Eco" (24) (Extra Comunitarian Orchestra) attuato presso l'istituto Due Palazzi di Padova. Si tratta di un'attività nata nel 1998 e finalizzata alla formazione di un complesso musicale multietnico, con un repertorio che spazia da melodie e ritmi arabi, africani e rom a quelli spagnoli, balcanici e italiani; attualmente impegna 23 detenuti affiancati da un docente di musica, un tutor e da volontari. In questo caso la valenza del progetto supera quella trattamentale, perché il suo obiettivo è quello di permettere un'integrazione massima da parte dei detenuti stranieri nel rispetto delle proprie tradizioni e nell'arricchimento culturale reciproco.

Attinenti al settore musicale sono anche i semplici corsi di chitarra organizzati all'interno degli Istituti. Questi "laboratori" permettono di creare un luogo di aggregazione che privilegi la musica come mezzo di scambio relazionale. Parlare a partire dalla musica e intorno ad essa può rappresentare, soprattutto in una situazione di reclusione che dà vita spesso ad esperienze monotone, uno spazio mentale favorevole a ripensarsi sulla base di vissuti sperimentali probabilmente per la prima volta in quell'occasione. Questo rappresenta forse il momento più educativo del corso, proprio perché induce ad una maggiore attenzione a se stessi nel far fronte alle difficoltà, confortati dalla condivisione con gli altri delle medesime sensazioni e dall'aiuto prestato reciprocamente. (25) Se l'esperienza musicale è vissuta da ogni individuo con positività, certo lo è ancor più dalla fascia giovanile. Per questo motivo un Istituto penale minorile come il Beccaria, a Milano, ha dato vita ad un progetto del tutto particolare improntato sulla musica. Il progetto in questione si chiama R.A.P (Ragazzo Autonomo Progettuale) e si pone l'obiettivo principale di richiamare, attraverso Internet, per cominciare, l'attenzione sul disagio giovanile di cui l'Istituto è l'espressione più significativa nella città di Milano, combattendolo con l'arma della solidarietà. Il progetto vuole arrivare, attraverso una serie di proposte in sintonia con i bisogni ed i linguaggi dei ragazzi, a creare opportunità di riflessione e di confronto su un tema significativo come il disagio giovanile e insieme raccogliere fondi necessari per la scolarizzazione, la formazione e il reinserimento dei ragazzi disagiati. Alcuni dei nomi più prestigiosi dello spettacolo e dello sport italiano si sono mobilitati affinché i minorenni reclusi in carcere non siano dimenticati e così si è dato vita a questo progetto, nato dalla collaborazione del Beccaria e di Glamm Interactive (agenzia esperta in progetti di comunicazione multimediale e membro dell'Osservatorio della Bocconi) con il cappellano. Casa virtuale del progetto è il sito Internet, depositario dei contenuti che verranno raccolti sia dai ragazzi ospiti sia da coloro che saranno presenti attraverso i forum, o con articoli od altri contributi. Per mantenere vivo l'interesse rivolto ai giovani vengono create delle manifestazioni all'interno e all'esterno del carcere. Gli spettacoli, i concerti, le interviste ed altro vengono documentati e riportati "on line" nelle loro parti salienti, altri possono essere seguiti in diretta sul sito.

Non sono da dimenticare istituti penitenziari particolari come gli Ospedali psichiatrici giudiziari, dove, oltre alle necessarie cure, sono gradite dai ricoverati le molteplici attività ricreative come il teatro, la scuola, l'area verde, il calcio, gli spettacoli, le manifestazioni culturali, le gite, la pittura e la musica. (26) Proprio per questo all'O.P.G. Saporito di Aversa gli operatori hanno pensato di sperimentare la possibilità di far entrare dentro le mura quello che solitamente dalle mura fuoriesce: la fantasia dilagante ma controllata nell'ottica del perseguimento dello scopo di rispondere con strumenti diversi e in maniera umana alle necessità anch'esse umane dei ricoverati. Si è lavorato, così, per restituire spazi che favorissero i contatti relazionali, privilegiando e sostenendo la funzione comunicazionale nelle componenti spazio-temporali per agevolare qualsiasi tipo di espressione. Tutto ciò ha trasformato in pochi anni un luogo di chiusura e di negazione in un progetto di cura e riabilitazione, in cui è possibile sperimentare nuove ipotesi di rieducazione sociale, come stanno a dimostrare i successi ottenuti. La musica è sembrata uno strumento ideale per quell'aspetto un po' "folle" tipico dei musicisti; l'intento perseguito è quello di rendere più fluida una comunicazione tra parti folli che si intendono e che attraverso un processo creativo possono intanto contenere la propria follia, dandole una forma visibile e riconoscibile, ma anche la possibilità di rendere più accettabili i confini e gli aspetti deturpanti dell'emarginazione emarginata. (27) A questo scopo nell'O.P.G. di Aversa è iniziata la collaborazione con l'ISFOM (Istituto Formazione Musicoterapia) ed è stato attuato il progetto in questione scegliendo come cura la musicoterapia: disciplina che si serve di tecniche differenziate per la gestione di problematiche del sociale affrontate con l'uso del sonoro come linguaggio. Inserita in un O.P.G., essa funge da elemento paradossale in quanto, se l'istituzione di per sé gestisce il mandato della cura, in qualche modo detenendo e trattenendo, la musicoterapia corrisponde al mandato di rilasciare e liberare. (28)

Pittura

Altro modo per esprimere la propria creatività e liberare emozioni è quello di dipingere e non a caso molti insegnanti di questa materia tengono a specificare che il termine "corso" è poco appropriato per l'attività da loro proposta in carcere per il fatto che, durante quelle ore settimanali, loro unico scopo è di lavorare insieme e permettere ad ognuno di trovare un proprio modo di esprimersi. (29) Così può accadere che un detenuto, già pittore di professione fuori dal carcere, continui a coltivare questa passione e a renderne partecipe pure i compagni di sorte all'interno dell'istituto di pena considerandola una vera e propria terapia: è quanto è successo a Giuseppe Fortebracci che ha trovato la forza di ricominciare grazie alla pittura, tenendo dei corsi agli altri detenuti o, addirittura, esponendo una mostra di suoi lavori all'esterno. (30)

Infine, la pittura è stata sperimentata come terapia ricreativa anche nell'O.P.G di Aversa dove, grazie alla collaborazione di una dottoressa esterna esperta di linguaggi per l'espressione e la comunicazione, è stato allestito un Laboratorio di espressione con il colore, per cercare nuove possibilità comunicative. (31)

Sport

Lo sport è un'attività necessaria in un luogo d'inerzia qual è il carcere, perché il corpo ha comunque delle proprie esigenze, fuori o dentro una struttura che sia e anzi, per l'individuo tenuto ristretto in modo continuo, l'attività fisica ha addirittura una valenza superiore rispetto alla persona libera. La UISP è l'Associazione che ha siglato nel 1993 un Protocollo d'intesa col Ministero di Grazia e Giustizia per lo svolgimento di un intervento motorio-sportivo articolato rivolto ai cittadini detenuti e finalizzato agli obiettivi educativi, ricreativi e di reinserimento. (32) Quest'associazione, infatti, è presente su tutto il territorio nazionale e svolge attività psico-motoria, permettendo ai detenuti di dar sfogo alle proprie tensioni. Normalmente organizza corsi di ginnastica, esercizi per la mobilità ed il tono muscolare, avvalendosi anche dell'aerobica (specie nelle sezioni femminili), dello stretching e di attività di espressione corporea. Addirittura talvolta le attività assumono importanza su tutto il territorio circostante l'istituto penitenziario, come accade al Pagliarelli di Palermo, dove sono state organizzate notevoli manifestazioni: gare di atletica leggera; partite di calcio (anche con la partecipazione di una squadra di calcio di medici e di campioni cittadini); la manifestazione sportiva "Vivi città 97", che ha previsto due gare di fondo; un torneo di calcio con l'associazione "Medici italiani" ed "Attori della città"; la cronoscalata di Monte Pellegrino con la partecipazione di detenuti in permesso premio.

Infine non è da sottovalutare la funzione rilassante e ricreativa dello sport all'interno di un carcere, perché il campo da calcio o il cortile diventano i luoghi dove anche i detenuti possono sentirsi come gli altri: liberi ... almeno di correre e scherzare, come racconta un operatore sportivo che, partecipando ad una partita contro i detenuti, solo al termine dell'incontro capì il valore di quei 90 minuti di gioco, quando il portiere della sua squadra si lamentava di aver preso cinque goal e un detenuto rispondeva che era fortunato perché lui aveva preso cinque anni!

Di recente i giornali (33) hanno riportato il caso di un detenuto del carcere di massima sicurezza Due Palazzi di Padova, che ha ottenuto un permesso speciale per partecipare alla maratona di S. Antonio nella città veneta. È la prima volta che un permesso del genere viene accordato da un magistrato per un evento sportivo fuori dalle mura del penitenziario. Protagonista di questa storia è un detenuto patito della corsa, che ha pagato regolarmente la tassa d'iscrizione per correre; per di più è devoto a S.Antonio, altro motivo che lo ha portato a chiedere insistentemente di poter gareggiare. Insomma, con questo permesso si è garantito a un detenuto il rispetto di ben due diritti importanti: il diritto all'esercizio del culto religioso e quello a praticare attività sportive.

Altra iniziativa da primato si è svolta a Torino, nel carcere delle Vallette. Nel campo interno del penitenziario a maggio 2001 è stato giocato un torneo di calcio con otto squadre: quattro provenienti dall'esterno (licei scientifici e istituti tecnici) e le altre fornite dalla scuola interna (il Centro Territoriale Permanente, gli istituti Plana e Formazione Professionale, il Polo Universitario). Due gironi in cui ogni squadra di detenuti si incontrava con quelle degli studenti e alla fine con la squadra della Polizia Penitenziaria (ecco un ottimo modo per coinvolgere veramente tutti) per disputarsi un trofeo intitolato "Un pallone di speranza". (34)

Per ultimo riportiamo un'esperienza, unica al momento, che ha fatto dello sport un elemento educativo-comportamentale. È ancora la Casa di reclusione di Padova la protagonista: qui il 13 gennaio 2001 si sono tenuti due incontri sportivi normalissimi, una partita di pallavolo e una di calcio, ma con una particolarità nell'arbitraggio, perché gli arbitri erano veri e propri detenuti. (35) Gli incontri hanno sancito la conclusione di due corsi di formazione della durata di venti ore ciascuno (uno per arbitri di pallavolo e l'altro per arbitri di calcio) organizzati in collaborazione con l'Associazione culturale Tangram, l'Assessorato allo Sport della Provincia di Padova e la UISP. A Padova, prima di ideare il progetto, sono state fatte delle importanti e giuste considerazioni: sebbene gli istituti di pena siano finalizzati alla separazione sociale come conseguenza di un reato o un delitto commessi nei confronti della società, essi rimangono pur sempre luoghi di una città, e fingere di separare i detenuti dalla stessa non li aiuta certo quando escono. Questo è un problema che la società semplicemente non si pone, come invece è stato fatto a Padova, dove al trattamento inframurario è stata attibuita una valenza educativa anche attraverso delle attività piacevoli capaci di formare il detenuto ad un giusto modo di vivere. Divenire arbitro, infatti, per molti è significato imparare ad accettare le critiche, ad assumersi responsabilità nei confronti di grandi gruppi di persone, imparare a prendere decisioni, ad accettare regole precostituite, a risolvere i conflitti pacificamente tramite autocontrollo e gestione dell'aggressività propria ed altrui. Ulteriore obiettivo dei percorsi formativi e certo non ultimo, è stato quello di aiutare i detenuti a prendere contatti con il mondo esterno: al termine degli incontri, nella cerimonia di premiazione, ai neo-arbitri sono stati consegnati i diplomi, le divise e i tesserini personali. Inoltre le Associazioni partecipanti si occuperanno di favorire l'uscita dal carcere dei detenuti e la loro partecipazione ad incontri sportivi nel territorio padovano, inizialmente come osservatori e successivamente come arbitri e, una volta scontata la pena, essi potranno contare su un sicuro punto di riferimento per reinserirsi (e soprattutto lavorare) nella società. Non resta che ricordare che una simile esperienza, oltre che per i detenuti, è stata utile a modificare la rappresentazione sociale del fenomeno carcere per la collettività: quella parte di mondo esterno che era presente ha tifato alle partite e magari ha approvato le decisioni degli arbitri-detenuti.

Artigianato

Con questo termine si fa riferimento a tutte le attività manuali che permettono di sperimentare in laboratori la propria espressività senza trascurare la possibilità di imparare "un'arte". La tipologia delle attività riscontrata nelle carceri è varia ed assicura ai detenuti la possibilità di scegliere quella più idonea ed appropriata ad ognuno, secondo le personali attitudini. Sono proposti laboratori di falegnameria, di tipografia-rilegatoria, di cartotecnica (per restaurare libri, creare album fotografici e rivestire libri in modo artigianale), (36) di sartoria, di realizzazione di murales e decorazione di pareti, di illuminotecnica, audiotecnica e scenotecnica, (37) corsi di ceramica, di vetrate artistiche, di bricolage (bigiotteria, decoupage, stencil), (38) di restauro del mobile, (39) di lavorazione di manufatti in stoffa o di cartone, di arte pittorica e decorativa, di serigrafia (per la tessitura), corsi per fabbri, per antennista satellitare, per addetti ad impianti elettrici di bassa tensione, per idraulici ed altro ancora.

Le testimonianze su queste attività evidenziano l'entusiasmo delle persone che le praticano e la soddisfazione di chi propone i corsi, anche perché molto spesso, al termine degli stessi, vengono realizzate opere che permettano ai carcerati di essere conosciuti all'esterno per un loro nuovo modo di essere.

Tra le testimonianze esaminate, abbiamo prestato particolare attenzione a quella proveniente dal carcere di Ranza (Siena), in riferimento ad un laboratorio di ceramica. In questo istituto si tenta di far coincidere le esigenze di chi in carcere ci sta per scontare una pena e di chi invece deve svolgervi un lavoro (rispettivamente detenuti e polizia penitenziaria). Guardando i detenuti, i familiari in visita e i poliziotti, ci si accorge che qui non si vive ogni secondo con tensione, che si è creato un "modus vivendi" quasi normale. L'ultima iniziativa realizzata nel carcere è quella di un modernissimo laboratorio di ceramica, con tre voluminose apparecchiature costose ed indispensabili per assicurare una seria attività. Il laboratorio ospita un corso che attribuisce la qualifica di "Ceramista". Non è stato facile superare tutti gli ostacoli ed ottenere le autorizzazioni necessarie per realizzare un laboratorio produttivo perfettamente a norma, ma adesso arrivano i risultati: gli allievi sono entusiasti e rispondono con capacità, persino insospettate, agli insegnamenti. Adesso poi c'è uno stimolo in più a fare bene che lascia intravedere quali siano le potenzialità del corso nel favorire il recupero ed il reinserimento nella società dei detenuti. Di recente, infatti, è giunta al Centro di formazione di Poggibonsi la disponibilità da parte di un'azienda aretina che produce ceramiche artistiche, ad assumere alcuni allievi del corso da inserire nel settore delle riproduzioni etrusche. Tra gli obiettivi degli enti che hanno dato vita a questo corso, c'è quello di guidare gli allievi alla costituzione di un'entità lavorativa che possa confrontarsi nel libero mercato.

In questa categoria potremmo inserire anche attività più particolari e inusuali, come il corso di ricamo artistico con intrattenimento socioculturale, esperienza vissuta nel carcere Don Bosco di Pisa. (40) Il ricamo diventa, in pratica, solo l'aspetto materiale che nasconde l'intento socializzante e la voglia di scambiarsi pensieri ed emozioni. Nei colloqui seguiti dall'insegnante c'è sempre discussione aperta: solo se c'è un pizzico di provocazione il detenuto si libera, sfoga la sua restrizione fisica e così, durante qualche dialogo, si scopre che ciascuno di loro sa pensare grandi cose (anche loro sono uomini!). Ogni persona è un mondo a sé, scrive poesie e racconti, parla della propria vita: se l'istruzione precedentemente ricevuta può conferire la capacità di scrivere e di esporre certi pensieri in modo corretto, una detenzione prolungata non dà più il senso della realtà. Ed è qui che l'invito ai detenuti a raccontare di sé fissando le parole su un foglio e lo stimolo a pensare ad un miglior futuro, ridanno la sensazione di essere vivi. La maggior parte dei detenuti scrive non per sé, ma per passare il tempo; se però qualcuno scopre il loro "talento" (non importano i numerosi errori ortografici: qui conta la persona), allora emerge la voglia di partecipare ai bandi di concorso per poesie e racconti, con il desiderio di essere magari vincitori, di poter provare agli altri di valere qualcosa.

Cineforum e laboratori televisivi

Quest'attività permette di creare un momento di gruppo costruttivo, dove si affrontano tematiche scelte dai detenuti o consigliate dagli operatori: si alimentano dibattiti dopo la visione dei film, dando così la possibilità a tutti di esprimere le proprie opinioni e di confidare, magari, i propri problemi, cercando una soluzione insieme.

Al Pagliarelli non è mancata neppure quest'esperienza. L'équipe direttiva dell'istituto ha voluto che a guidare il cineforum fosse una persona competente nei mass-media per portare avanti un progetto di tipo culturale, formativo all'interno dei linguaggi mediali, in particolar modo dei cineforum, dove il film è usato come uno strumento di cultura, di formazione e crescita dei valori. (41) Il corso è stato tenuto da Suor Beatrice, docente di Comunicazione di massa che ha cercato di offrire il film come momento culturale, fornendo delle chiavi interpretative, sollecitando ad una griglia metodologica di lettura critica, in modo che ognuno alla fine potesse acquisire una coscienza critica di fronte ai linguaggi mediali. I film scelti non erano di tipo religioso ma laici e non si trattava né di filmati storici né di documentazione, ma di fictions che veicolavano valori di solidarietà, di amore, di amicizia, della famiglia. Dopo la visione del filmato si instaurava sempre un bel dialogo ed emergevano aspetti legati alla vita di tutti i giorni. Così quest'esperienza ha assunto un valore culturale e ha potuto prospettare ai partecipanti dei principi fondanti della vita.

1.3. La formazione professionale

Si tratta di corsi molto utili perché, oltre ad insegnare un mestiere, rilasciano anche degli attestati di frequenza e quindi una qualifica. Negli istituti penitenziari sono organizzati in alto numero, sia all'interno, sia fuori per chi può usufruire di determinati permessi. La tipologia è varia: corsi di muratore polivalente, cineoperatore, falegname e restauratore, operatore di serra, cuoco di grandi comunità, esperto in marketing, informatico, fotografo, rilegatore, artista pittorico e decorativo, meccanico, carrozziere, elettricista, (42) operatore editoriale ed altro.

Ci sono dei corsi professionali molto particolari, che trovano attuazione, purtroppo, in pochi istituti. Per esempio, al Pagliarelli, all'interno del Progetto ISD (Integra al Servizio dei Detenuti), è stato istituito il corso per "Animatori socio-culturali", finanziato dal Dipartimento Affari Sociali della Presidenza del Consiglio. A discapito del nome, che sembra far riferimento ad un semplice corso ricreativo, quest'attività prevede vari moduli di formazione in settori socio-giuridici estremamente complicati, che alla fine assicurano un'ottima preparazione: il programma tocca punti come la comunicazione, la psicologia della relazione, il lavoro di squadra, l'immigrazione extracomunitaria, il sistema giuridico penale e le alternative alla pena.

Sempre al Pagliarelli è stato avviato e concluso nel 1997 un corso di "Orientamento e formazione per la coltura biologica", afferente al progetto Horizon "Lavoro e cultura per il reinserimento". Il corso ha puntato a valorizzare le risorse della terra siciliana ponendo ai detenuti dei validi obiettivi da raggiungere: lo sviluppo critico dell'esperienza penitenziaria, la scoperta e il potenziamento delle risorse personali alla mobilitazione, l'acquisizione del valore lavoro come pratica di comunicazione e, infine ma non meno importante, l'investimento su percorsi legali della ricerca del lavoro. (43)

Sezione seconda: la religione

2.1. Il sistema attuale di assistenza religiosa in carcere: la vita dei cappellani nelle carceri toscane

Anche la religione, così come gli altri elementi trattamentali, risente in parte dell'ingiustificata diversità dei concreti regimi carcerari, dovuta alle varie condizioni di vita interne, al tipo di carcere e talvolta alla discrezionalità delle autorità carcerarie. (44) In ogni stabilimento penitenziario opera generalmente almeno un cappellano cattolico, il quale, retribuito dallo Stato e dotato di un ufficio e di una cappella all'interno dell'istituto, ha un obbligo minimo di presenza di tre ore giornaliere. Infatti il ruolo del cappellano carcerario è indubbiamente complesso e richiede, oltre ad una particolare preparazione umana e religiosa, una buona dose di tempo da trascorrere dietro le sbarre, per incontrare, parlare e conoscere i detenuti; in realtà mancano entrambe le cose. Il termine "cappellano" denota una connotazione prettamente religiosa del suo ministero, ma questa espressione risulta estremamente riduttiva. (45) Di fatti la presenza del cappellano non può essere soltanto legata all'annuncio di Cristo, ma deve essere essenzialmente condivisione della pena, dell'errore commesso e della sofferenza del carcere. Essendo in un certo senso "nella" struttura ma al tempo stesso standone "fuori", egli può diventare un punto di riferimento molto importante a livello umano. (46) Dunque il rapporto personale con il detenuto, anche se difficile da costruire, è ritenuto importantissimo, perché diventa, per il recluso, una relazione con la libertà.

Attualmente il cappellano si occupa in modo specifico della cura del culto religioso, che comprende la celebrazione della messa (normalmente il sabato e la domenica a sezioni separate) e del sacramento della confessione. I detenuti possono, inoltre, incontrare privatamente il cappellano in sezione o nel suo ufficio, mediante compilazione della cosiddetta "domandina".

Oltre alle funzioni propriamente religiose, al cappellano competono ancora oggi dei compiti di assistenza sociale e materiale, che egli svolge grazie anche al supporto del volontariato (raccolta e distribuzione del vestiario e delle sigarette, assistenza per pratiche amministrative). In alcuni casi, come a Prato e a San Gimignano, i cappellani hanno fondato delle cooperative, che offrono occasioni di lavoro; in altri casi, come a Pistoia, si è preferito sensibilizzare la comunità esterna, specie i piccoli imprenditori e gli artigiani, per evitare che si creasse un ulteriore ghetto di emarginazione. La percentuale dei detenuti che partecipano alla messa è ovunque molto alta e si aggira intorno al 30% della popolazione carceraria e questa elevata affluenza è diversamente interpretata dai religiosi: alcuni parlano orgogliosamente di un ritorno ai valori spirituali e alle esperienze religiose giovanili da parte dei reclusi; altri, forse più realisticamente, ritengono che la messa rappresenti, al di là di tutto, un momento di libertà e d'incontro per i detenuti. (47)

Sicuramente, l'ambiente chiuso ed opprimente del carcere, lo scorrere lento del tempo, quando non generano depressione e appiattimento morale ed emotivo della persona (e sono casi frequenti), favoriscono la riflessione e il pentimento; la fede religiosa, sollecitata ed incoraggiata costantemente, può quindi apparire come l'unica ed estrema ancora di salvezza, soprattutto per coloro che hanno sulle spalle lunghe pene detentive da scontare. "Quando ci si trova chiusi in una cella, la prima cosa che emerge, al di là della repulsione fisica a quella situazione, è l'impotenza a contrastare l'arroganza e la forza repressiva di chi ci chiude. Il senso di inevitabilità si fa sentire in tutta la sua potenza, il fatalismo ti assale, ti senti spogliato della tua personalità, offeso nella dignità; è in questi momenti che la persona deve reagire, è in certe situazioni che bisogna credere nelle proprie capacità e nel rapporto con gli altri. Gli altri esistono e sono presenti, le persone di buona volontà agiscono per cambiare in meglio la realtà. In questi frangenti emerge la religiosità, il credere in qualcosa che sta al di sopra della quotidianità; credere in questo significa creare tutti insieme quello spirito che permette e che ha sempre permesso all'umanità di migliorare la sua condizione". (48) In carcere, dunque, rinasce il bisogno del sacro, anche se spesso in modo superficiale: Un senso di colpa, di indegnità, unito a una grande sofferenza per la mancanza di libertà e di affetti, fa sentire i carcerati lontani da Dio. La religione è vista quindi come una serie di realtà portafortuna. (49) Ci sono, infatti, molte richieste di oggetti religiosi come santini, crocifissi e corone di rosario, che i cappellani soddisfano, generalmente con un po' di scetticismo. Inoltre il fenomeno religioso è vissuto, all'interno delle carceri, in maniera diversa da uomini e donne. Rispetto all'esterno, dove la partecipazione femminile alla messa è decisamente più alta di quella maschile, in carcere gli uomini sono sicuramente i più assidui e la maggior parte dei cappellani toscani intervistati è d'accordo nel ritenere la partecipazione della donna più interessata e meno spontanea e nel considerare più difficile l'instaurazione con esse di un rapporto personale ed umano.

Non si deve comunque dimenticare che i cappellani sono una categoria che ha per lo più superato i limiti di età previsti per legge (65 anni) ed è spesso abbandonata a sé stessa ed isolata dalla comunità ecclesiale. Inoltre, la progressiva riduzione del clero determina una sempre maggiore difficoltà nel trovare dei sacerdoti o dei religiosi disponibili per tale tipo di attività. Questo particolare ministero richiederebbe invece persone giovani e motivate, oltre ad un'adeguata preparazione e ad un forte sostegno dall'esterno. Oltre all'isolamento, le difficoltà che i cappellani incontrano nello svolgere il loro ministero non riguardano quasi mai i rapporti con i detenuti: i principali ostacoli provengono dalla burocrazia che impedisce iniziative e vincola numerose attività, dalla mancanza di spazi, dall'alto numero e dalla fluttuazione imperterrita dei reclusi.

In alcuni istituti, come a Pisa e a Firenze, anche la celebrazione delle funzioni religiose risulta problematica. Per motivi di sicurezza si consente, infatti, la presenza di una sola sezione per volta: ciò determina un numero impressionante di messe da celebrare e in qualsiasi caso la rotazione dei detenuti. Alcuni cappellani lamentano l'esistenza di svariate anomalie nel regime carcerario, che consente la riunione delle sezioni per il passeggio, il cinema e la partita di calcio, ma non durante lo svolgimento delle funzioni religiose. Oggi, anche se il cappellano non fa più parte del Consiglio di disciplina, (50) appartiene alla Commissione che predispone il regolamento interno e le modalità di trattamento penitenziario. L'immagine del cappellano resta sempre legata in qualche modo al potere, come strumento per ottenere consensi. Egli, anche se con modalità diverse da istituto ad istituto, è ancora oggi interpellato, spesso non ufficialmente, per tutte le questioni riguardanti il trattamento, la fruizione delle misure alternative, le decisioni relative alla personalità e alla condotta dei reclusi. Insomma, anche la frequenza alle celebrazioni religiose aiuta alla positività del trattamento, in termini di rendita. (51)

Tutto ciò conferma la natura strumentale e la funzione ancora trattamentale della religione nel carcere, e spiega, in parte, la massiccia partecipazione dei reclusi, cattolici e non, alle funzioni religiose cattoliche. Il diritto di libertà religiosa trova nel carcere un terreno difficile per la sua concreta attuazione. D'altro canto, quando avviene che si intersechino due fenomeni così diversi e così refrattari tra loro, come il diritto e la religione, assai spesso uno dei due esce offeso dall'incontro, e questo è di regola la religione. (52) Così nella vita del carcere tutto è falsato, lo sono i desideri e le emozioni ed è molto difficile parlare di vere e proprie "conversioni" verificatesi in tali luoghi. Malgrado ciò al cappellano carcerario resta affidato il compito importantissimo di confidente che, ponendosi sullo stesso piano del detenuto, sia capace di ascoltarlo e di capirlo, indipendentemente dal credo e dalla fede professata. È questo che i detenuti chiedono, prima di tutto. (53)

Ancor più problematica era la situazione (secondo l'analisi in questione), e lo è tuttora (sulla base della nostra attuale ricerca), per una particolare categoria di detenuti: gli stranieri. In questi anni la popolazione carceraria ha subìto una repentina trasformazione. Gli stranieri rappresentano più di un terzo delle persone recluse nelle carceri italiane; in alcuni istituti, come a Firenze, gli extracomunitari (principalmente magrebini) costituiscono il 60% dei detenuti. Di conseguenza la religione cattolica non può essere più considerata l'unica da tutelare. Tuttora sussiste, malgrado la legge, un forte grado di disuguaglianza tra i vari credi religiosi e ciò è pienamente confermato dall'appartenenza del solo cappellano cattolico alla Commissione trattamentale e dalla sua presenza continua all'interno degli istituti, ma, nel momento in cui scriviamo (54) le cose sono cambiate e c'è la possibilità, per i detenuti ed i ministri di culto acattolici, di ottenere spazi idonei per la celebrazione dei riti religiosi. (55) Gli stessi cappellani fino ad ora erano schierati su due fronti: la maggior parte di essi già nel 1997 giudicava tale situazione del tutto legittima e conforme alla Costituzione e si appellava, per lo più, al principio di maggioranza, definendo la religione cattolica molto più aperta di altre; (56) altri cappellani, più coraggiosi, denunciavano invece l'esistenza di un'ingiustificata diversità di trattamento tra le varie confessioni, attribuita spesso (almeno fino a questi ultimi tempi, dato che con la riscrittura del nuovo reg. esec. le cose dovrebbero mutare), ad una mancanza di interesse da parte dello Stato verso i detenuti e i loro diritti religiosi. (57)

Le carceri Toscane, già qualche anno fa, erano all'avanguardia rispetto ad altre nel riconoscere a tutti i detenuti indistintamente il diritto a praticare il proprio culto religioso. La Comunità israelitica di Firenze, infatti, assisteva spiritualmente i pochi ebrei detenuti nelle carceri di Firenze, Arezzo e Siena, dato che la legislazione italiana attribuisce ad essi il diritto di ricevere l'assistenza di un rabbino e il diritto di osservare le prescrizioni religiose ebraiche, soprattutto in materia di alimentazione. Essendo, però, queste prescrizioni molto complesse, dato che riguardano non solo la qualità dei cibi da poter consumare ma anche il procedimento di macellazione degli animali e le modalità di cottura, è difficile che le stesse vengano concretamente rispettate in carcere (anche perché diventerebbe ancor più impossibile la convivenza). Per tale motivo in queste circostanze la Comunità ebrea si accolla le spese necessarie per il cibo, nel caso in cui il detenuto ne faccia richiesta, tramite la direzione carceraria. Altro caso è quello della religione islamica, i cui aderenti sono molto numerosi. Sempre a Pisa, già anni fa, la direzione metteva a disposizione i tappeti per le preghiere (che i musulmani fanno 5 volte al giorno).

La maggior parte delle carceri (toscane e non), però, non è ancora al passo coi tempi e molti musulmani, in mancanza di altra assistenza, richiedono colloqui anche con il cappellano cattolico. In Toscana, l'unico esempio di cappellanìa stabile non cattolica, alla data del 1998, è nel carcere di Pisa, che è considerata "isola felice" anche per l'aspetto trattamentale-rieducativo. Il direttore ha autorizzato un pastore valdese a svolgere un'opera di testimonianza evangelica a favore dei detenuti interessati: è una novità nel panorama carcerario italiano, perché si tratta di uno dei pochi casi in cui è concesso l'uso della cappella ad un ministro di culto acattolico.

Bisogna tenere conto, però, che il progetto di realizzare tante cappellanie stabili quante sono le religioni professate, oltre che difficilmente realizzabile, può essere un'idea pericolosa all'interno del carcere: il rischio è quello di favorire la nascita di comunità e di gruppi separati e quindi di creare ulteriori ghettizzazioni.

2.2. Il cappellano, prete per tutti i detenuti

L'assistenza religiosa si realizza nell'incontro del cappellano con tutti i detenuti: il carcerato ne ha il diritto, il cappellano il grave dovere riconosciuto dalla legge, quindi a tale rapporto va riconosciuta la massima libertà. (58) Per questo motivo il cappellano può (o meglio, dovrebbe poter) accedere a tutte le sezioni: Alta Sicurezza, regime del 41 bis e dell'isolamento giudiziario e punitivo, isolamento dei collaboratori. Inoltre egli può far chiamare i detenuti a prescindere dalla circostanza che gli stessi abbiano presentato o meno la domanda di rito: la cd. domandina non può e non deve essere autorizzata dal direttore, perché l'incontro col cappellano è un diritto del detenuto riconosciuto dalla legge e qualsiasi controllo limiterebbe e lederebbe la libertà religiosa. (59) È un forte dovere morale per il cappellano l'accostare tutti i detenuti, specialmente quelli più soli e isolati. Egli deve poter girare in ogni sezione in modo da permettere ai detenuti di qualsiasi religione di sapere che c'è e quindi, di poter essere aiutati in tutti i loro bisogni materiali, morali e spirituali. (60) Il cappellano, inoltre, deve avere libero accesso nelle sezioni - senza accompagnamento - ad ogni ora del giorno e della notte, soprattutto la sera, quando i momenti si fanno più penosi. Oltre all'aiuto morale, il sacerdote in carcere deve poter amministrare i sacramenti anche di notte, se necessario. I colloqui devono essere consentiti con la necessaria riservatezza, in modo adeguato, e quindi non solo al cancello. Gli incontri con i carcerati devono aver luogo non solo nell'ufficio, ma anche nelle celle e se al cappellano deve essere consentita la massima riservatezza per rispettare il diritto al segreto sacramentale e professionale, a sua volta egli deve serbare al massimo questi segreti. Inoltre, quando si tratta di vedere detenuti isolati per motivi di giustizia, deve evitare rapporti di qualsiasi tipo con i familiari o altre persone: questo per poter accedere ugualmente al carcere e incontrare i detenuti che si trovano in questa situazione.

È necessario e molto importante sottolineare che il cappellano in carcere è il prete di tutti: agenti, direttori e operatori in genere. (61) Egli si trova in una posizione particolare perché spesso fa da cerniera tra la persona detenuta e il resto degli operatori e il suo campo d'azione e d'intervento può essere molto ampio. (62) Il cappellano carcerario esercita una certa funzione di tutela, di paternità quasi, non solo spirituale, quando è richiesta e gradita, ma anche morale, di supplenza dei familiari, o dello Stato. Spesso i detenuti si affidano a lui come persona fidata, per richieste o confidenze che vanno oltre la sicurezza, ma che riguardano anche la sfera del privato. In quei momenti si permette ai detenuti di esercitare il diritto ad esistere e ad avere dei sentimenti. Ci sono, infatti, dei diritti dei detenuti che possiamo definire "minimi" che non devono venir meno: bisogno di essere ascoltato (e non solo sentito, magari attraverso la domandina); di esistere come persona, anche se detenuta; di comunicazione con le famiglie, anche fuori dei tempi canonici dei colloqui; di comunicazione con la società; bisogno di cose elementari, ma essenziali (la sigaretta, il francobollo ed altro); del sacro, del trascendente; di dare un senso alla giornata e alla carcerazione.

2.3. Il resoconto dei cappellani sulla situazione attuale nelle carceri (63)

In occasione del Consiglio Pastorale Nazionale riunitosi a Roma nel 1998, i cappellani carcerari hanno espresso il loro rammarico per il fatto che alcune direzioni carcerarie e non pochi agenti di Polizia penitenziaria siano portati a vedere in loro degli estranei, quasi degli elementi disturbatori e non degli operatori a tutti gli effetti a cui devono essere concessi tempi e luoghi adatti a compiere il proprio dovere. Intanto per poter concretamente esercitare il diritto alla religione sono necessari dei luoghi di culto dove poter pregare e professare la fede. Attualmente in tutte le carceri (64) su 220 di esse ci sono: 142 vere e proprie cappelle, 80 stanze adibite a cappelle e 20 stanze polivalenti (ove, quindi, non è assicurata la possibilità di esercitare il culto); in molte carceri ci sono cappelle non ancora arredate, che mettono in difficoltà il cappellano nell'amministrare i riti religiosi; ci sono dei direttori che non permettono ai detenuti comuni - e quindi non isolati per specifici motivi - l'accesso alla chiesa (65) e i motivi addotti risultano: "la sicurezza" (ma se la chiesa è stata collocata in quel dato posto vuol dire che era quello giusto); "la mancanza di personale", perché non è sufficiente e la domenica molti agenti hanno il riposo (ma così ragionando non si permette di soddisfare il diritto del detenuto a santificare la festa violando la legge, mentre potrebbe esser proposto il riposo a turno degli agenti); il fatto che "non interessa la religione" (ma il personale carcerario non deve guardare alla propria fede come unità di misura: deve dare la possibilità di praticare il culto). (66)

Per quanto riguarda i sacramenti, la messa deve essere celebrata la domenica o il sabato sera: non può essere distribuita in settimana e non si deve svolgere contemporaneamente ad altre attività (colloqui, avvocati, ora d'aria, etc.). Si deve celebrare anche negli isolamenti compresi quelli di massima sicurezza: a nessun detenuto può essere impedito di parteciparvi, anche se per motivi di legge deve rimanere solo. La confessione deve essere celebrata in un luogo adatto, cioè rispettoso del sacramento e del segreto sacramentale (mentre è capitato che siano state posizionate delle microspie) e il cappellano deve poter soddisfare la richiesta a questo riguardo ogni volta che il detenuto ne abbia bisogno. Infine, poiché si muore di giorno e di notte, il cappellano deve poter avere sempre libero accesso all'istituto e naturalmente deve essere sempre chiamato in situazioni così gravi, per somministrare l'estrema unzione. La catechesi, infine è un diritto-dovere del cappellano, quindi va attuata sotto la guida e la responsabilità unicamente sua.

A conclusione di quest'osservatorio svolto dai cappellani stessi sull'intero territorio nazionale, non resta che ricordare le parole che Papa Giovanni Paolo II ha rivolto ai detenuti durante visita al Regina Coeli per il Giubileo: (67) "Chi si trova nelle carceri non deve vivere come se il tempo del carcere gli fosse irrimediabilmente sottratto: anche quello è tempo di Dio e come tale va vissuto, è tempo che va offerto a Dio come occasione di verità, di umiltà, di espiazione e di fede. Non è importante solo il momento in cui uscirete, ma il cammino che avrete fatto qui dentro".

Note

1. Per le considerazioni seguenti cfr. in generale Associazione Antigone (a cura di), Il carcere trasparente - Primo Rapporto Nazionale sulle condizioni di detenzione, Roma, 2000.

2. Ibidem, pagg.176-180.

3. Anche se alla fine la Divisione Trattamento e Lavoro del DAP ha espresso parere favorevole all'attivazione dei suddetti corsi perché una frequenza anche parziale e non continuativa costituisce comunque un valido supporto per combattere il cosiddetto "analfabetismo di ritorno" che coinvolge molti detenuti.

4. L'analisi effettuata dall'associazione si riferisce al suddetto anno scolastico.

5. Ibidem, pagg.180-181.

6. Cfr. L'Unità, 6 novembre 1999.

7. Il carcere di Voghera, per esempio, è un tipico caso di mancata integrazione tra l'istituzione e le attività: in seguito ad una lettera inviata al direttore del IV Dipartimento Amministrazione Penitenziaria di Roma dai detenuti della sezione speciale di Elevato Indice Sorveglianza, è stato pubblicato un articolo dal quale emerge che "la direttrice ha un atteggiamento ostile che la porta spesso a non relazionarsi con nessuno. Non sono solo i detenuti a soffrire, ma anche le guardie (esasperate) e le associazioni di volontariato. La direttrice ha sempre cercato di smantellare le attività che si svolgono all'interno del carcere, laboratori e ogni ambito in cui è facilitata la socializzazione. Siamo di fronte a una totale mancanza di relazione tra carcere e territorio". L. Fazio, in Il Manifesto, 2 febbraio 2001.

8. Queste sono considerazioni di A. Punzo, il regista che segue l'Associazione "Carte Blanche" nel carcere di Volterra: per lui il teatro è un'attività che dà un senso concreto al trattamento rieducativo, inscindibile dalla pena come prevede la Costituzione. Cfr. Ufficio Stampa Carte Blanche, Carcere e teatro in Da un teatro all'altro, periodico mensile a cura dell'Amministrazione Provinciale di Pisa, anno I, n.1, 15 gennaio-15 febbraio 1998.

9. Cfr. D. Demetrio (pedagogista dell'età adulta), intervento al Convegno "Liberi di leggere" (tenutosi a Rozzano nel 1999).

10. Cfr. Giuseppina Rubino (insegnante volontaria presso il carcere Pagliarelli di Palermo) in AA.VV., Atti del Convegno "Il carcere e la Palermo che cresce".

11. Il corso è stato tenuto da P.C. Bori, professore di Filosofia morale e Storia della Teologia presso la Facoltà di Scienze Politiche di Bologna.

12. Cfr. Rheo, I tanti volti della cultura in Le due città. Rivista del DAP, anno II, n.5, maggio 2001, pag. 19.

13. Cfr. A. Sofri, Op. cit.

14. Cfr. F. Sicilia (Direttore generale per i Beni librari e gli Istituti culturali del Ministero dei Beni culturali), Ali d'Autore in Le due città. Rivista del DAP, anno II, n. 5, maggio 2001, pagg. 21-22.

15. Ibidem.

16. Per le considerazioni seguenti cfr. Associazione Antigone, Op. cit., pagg. 182-183.

17. Ibidem, pag. 184.

18. Cfr. V. Panzani, L'assistenza religiosa in carcere, tesi di laurea, Facoltà di giurisprudenza, Università degli Studi di Firenze, 1997.

19. Cfr. G. Cantù, La libertà oltre la rete in Le due città. Rivista del DAP, anno II. n.5, maggio 2001, pag.11.

20. Cfr. Ludovico, In radio in Magazine 2, giornale del carcere San Vittore, ottobre 2000.

21. Cfr. R. Arzone, Una giornata particolare, intervento dell'On. Simeone in occasione del dibattito "Musica, Società, Carcere" tenutosi al Rebibbia il 19 giugno 2001, in Le due città. Rivista del DAP, anno II, n. 6, giugno 2001, pag. 55.

22. Ibidem, pagg. 52-55.

23. Il Rebibbia è anche l'unico Istituto penitenziario in Italia nel quale operano delle sezioni di strutture quali l'Arci, le Acli, la Caritas, che hanno dei loro Circoli all'interno; questa festa è stata organizzata dal Circolo Albatros-Arci, che ha per presidente un detenuto ergastolano.

24. Cfr. M. Corbidge, La forza dei fatti in Le due città. Rivista del DAP, anno II, n.5, maggio 2001, pag. 7.

25. Per queste considerazioni abbiamo attinto ad un'intervista da noi effettuata agli insegnanti presso il carcere Don Bosco di Pisa (in questo caso protagonista è il docente del laboratorio di chitarra).

26. Cfr. R. Frulli, Attività terapeutiche nell'OPG di Aversa in Gli ospedali psichiatrici giudiziari, intervento al convegno nazionale di studi "L'espressione negata", a cura dell'O.P.G. di Aversa, novembre 1999.

27. Ibidem.

28. Cfr. Frulli, Musicoterapia e Psichiatria in Atti del Convegno Nazionale di studi "L'Espressione negata", OPG di Aversa.

29. Per queste considerazioni abbiamo fatto riferimento all'intervista da noi rivolta agli insegnanti presso il carcere Don Bosco di Pisa nel 1997.

30. Cfr. C. Guelfi, Grande successo per il pittore detenuto in Il tirreno, 16 aprile 2001.

31. Cfr. Frulli, Attività terapeutiche in Op. cit..

32. Cfr. R. Frisanco (a cura di), Non solo carcere, Indagine nazionale sulle organizzazioni di volontariato nell'ambito della giustizia, Roma, 2000, pagg. 363-364.

33. Cfr. Crespo, Esce di prigione per correre la maratona in Avvenire, 19 aprile 2001.

34. Cfr. Ormezzano, Vallette, tra studenti e detenuti un calcio di speranza in La stampa, 18 marzo 2001.

35. Cfr. Ortolan, Arbitri nello sport e del loro futuro in Mondo Sociale, 2001, n. 2.

36. Cfr. G. Mazzella, La realtà di Poggioreale, in Le due città. Rivista del DAP, n. 6, anno II, giugno 2001, pagg. 4-9.

37. Cfr. Associazione Aidapuntozero, Il carcere minorile Beccaria e l'associazione "Aidapuntozero".

38. Cfr. D. Ricciarelli, Il corso di vetrate artistiche; C. Piccinato e V. Saponara, A scuola di bricolage in Ragazze fuori (rivista della Casa a Custodia attenuata di Empoli), suppl. n. 1 dell'Aprile 2001 al n. 3 dell'aprile 2001 di Empoli, periodico dell'Amministrazione Comunale, pagg. 4-5.

39. Per questo corso e per i seguenti, cfr. Corbidge in Op. cit., pag. 8.

40. Per le seguenti considerazioni abbiamo fatto riferimento all'intervista da noi fatta agli insegnanti del Don Bosco, in particolare ad Athe Bracci, scrittrice e volontaria nel carcere.

41. Cfr. Suor Beatrice, intervento in Atti del Convegno: il carcere e la Palermo che cresce.

42. Cfr. M. Corbidge, La forza dei fatti in Op. cit., pag. 11.

43. Cfr. Dott.ssa Nuccia Tasca, rappresentante del CRESM (Centro Ricerche Economiche e Sociali per il Meridione), intervento in AA.VV., Atti del convegno: Il carcere e la Palermo che cresce. Il CRESM è un'associazione che si occupa soprattutto di sviluppo locale in aree rurali e non. La metodologia, che è risultata vincente in molte situazioni, punta sulla risorsa principale di un territorio che è quella umana, affiancandola, dandole competenza stimoli e formazione e facendo in modo che essa sia protagonista di tutte le azioni. Al Pagliarelli il CRESM ha proposto un progetto puntato soprattutto sull'agricoltura, perché la realtà siciliana è agricola e anche perché un ritorno alle origini per i detenuti era metaforicamente anche un ritorno alla terra: un'agricoltura osservata dal punto biologico perché più puro, senza "inquinamenti" di sorta.

44. Per le seguenti considerazioni, cfr. V. Panzani, L'assistenza religiosa in carcere, tesi di laurea, Facoltà di giurisprudenza, Università degli Studi di Firenze, 1997.

45. In Francia, invece, il cappellano del carcere è chiamato "aumônier" (da "aumône", elemosina, carità, solidarietà), termine che meglio si adatta al suo duplice ruolo.

46. Cfr. S. Fornari, Intervista a Monsignor Cesare Curioni, in Notiziario dell'Ispettorato dei cappellani dell'Amministrazione penitenziaria e della giustizia minorile, 1994, n. 6, pag. 363.

47. Quest'osservazione risulta confermata dal fatto che i detenuti in isolamento sono generalmente i più assidui.

48. Cfr. E. Mortati, Fede dietro le sbarre. Dalla parte della speranza, Roma, 1989, pag. 29.

49. Cfr. D. Turconi, Religiosità in carcere, in Notiziario dell'Ispettorato dei cappellani dell'Amministrazione penitenziaria e della giustizia minorile, 1991, n. 5, pag. 275.

50. L'appartenenza a tale istituto non è oggetto di rimpianti da parte dei cappellani; tuttavia, alcuni confessano che questa partecipazione presentava anche degli aspetti positivi, perché il cappellano aveva una conoscenza più intima del detenuto e perciò poteva, meglio di altri, intervenire e decidere della situazione. Cfr. Panzani in Op. cit..

51. Cfr. Panzani, La vita dei cappellani nelle carceri toscane, intervista a Don Leonardo Bassilissi (cappellano a Prato) in Op. cit.

52. Cfr. E. Fassone, Op. cit., pag. 120.

53. Cfr. E. Mortati, Fede dietro le sbarre. Dalla parte della speranza, Roma, 1989, pag. 30.

54. Settembre 2001.

55. Ad esempio, il 7 ottobre 2000 è stata inaugurata, nel carcere di Como, una moschea dedicata alla preghiera per i detenuti di religione musulmana. Si tratta di un locale messo a disposizione dalla direzione della casa circondariale e che gli stessi detenuti hanno dipinto di bianco e azzurro. Magazine 2, rivista del carcere San Vittore, novembre 2000.

56. Cfr. Panzani in Op. cit.

57. Cfr. V. Parlato, G.B. Varnier, Principio pattizio e realtà religiose minoritarie, Torino, 1995.

58. Cfr. G. Caniato, La religione in carcere in La pastorale del penitenziario, anno III, novembre-dicembre 1999, pagg. 40 ss.

59. Cfr. Consorti, L'assistenza religiosa ai carcerati in Archivio Giurispr., 1988, pag. 39.

60. Cfr. S. Fornari, Intervista a Mons. Curioni in La pastorale carceraria negli scritti e discorsi di Mons. Cesare Curioni, 1996, n. 6, pag. 141.

61. Cfr. AA.VV., La realtà carceraria e la Chiesa italiana, intervista a Mons. Antonelli, in Notiziario dell'Ispettorato dei cappellani, 1997, pag. 113.

62. Per le seguenti considerazioni, cfr. Don Roberto Zamboni (cappellano della C.C. di Lamezia Terme), Atti del Consiglio Pastorale Nazionale tenutosi a Roma nel novembre 1999, in La Pastorale del penitenziario, anno III, n.6, novembre-dicembre, pagg. 15-16.

63. Cfr. Ispettorato Nazionale dei cappellani carcerari, Documento dei cappellani al presidente Dr. Margara, direttore generale del DAP in La Pastorale del penitenziario, anno III, gennaio-febbraio 1999, pagg. 90 ss.

64. Se si comprendono anche quelli dei minori, gli istituti in Italia sono 231 aperti e 5 chiusi.

65. Ad esempio: Civitavecchia e Velletri.

66. Tesi portata avanti dal Consiglio Pastorale Nazionale.

67. Cfr. Arzone, L'abbraccio del Papa, in Le due città. Rivista del DAP, anno I, n.1, pag. 20.