ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo II
L'evoluzione normativa in ambito europeo riguardo alla tratta di esseri umani e allo sfruttamento lavorativo

Diana Genovese, 2015

2.1 L'Azione comune 97/154/GAI e la Decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI

Il 24 febbraio 1997, il Consiglio dell'Unione europea adottava, nell'ambito dell'allora terzo pilastro dell'Unione, l'Azione comune 97/154/GAI per la lotta contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei bambini. Tale azione costituisce uno dei primi atti specificamente dedicati all'argomento in questione, e l'unica disciplina di riferimento prima del 2002. Con tale atto si invitavano sostanzialmente gli Stati a rivedere le proprie normative penali in materia di tratta e collaborazione giudiziaria, al fine di procedere all'armonizzazione delle stesse.

Apprezzabile è apparso lo sforzo di concepire due definizioni di trafficking e di sexual exploitation, dove se quest'ultima è risultata sufficientemente dettagliata, la prima appare decisamente scarna e sovrapponibile al traffico di migranti.

I riscontri positivi tuttavia non sono molti: per quanto concerne la protezione delle vittime quest'ultima riguarda esclusivamente i testimoni dimostrando di promuovere più che altro un sistema premiale e basato su un tutela meramente processuale. All'insistenza dimostrata nell'esigenza di voler agevolare la testimonianza di quelle vittime che sono a conoscenza di elementi utili ai fini dell'esercizio dell'azione penale, che può in determinati casi portare al rilascio di un permesso di soggiorno provvisorio, sottende evidentemente un approccio fortemente repressivo della politica comunitaria del tempo nella lotta a questo fenomeno.

Con il Trattato dell'Unione europea firmato ad Amsterdam il 2 ottobre 1997, entrato in vigore il 1º maggio del 1999, l'azione dell'Unione europea per la lotta contro la tratta rinvenne nuova linfa nella possibilità di utilizzare lo strumento normativo delle decisioni-quadro, atti simili alle direttive ma privi della idoneità a produrre effetti diretti.

Pertanto, nell'ottica di proseguire verso una maggiore armonizzazione delle legislazioni nazionali, in ordine alle sanzioni penali da comminare e alla necessità di stabilire definizioni comuni del fenomeno, in ambito comunitario, all'interno dei diversi Stati membri, nel luglio 2002 venne adottata la decisione-quadro 2002/629/GAI.

Tale decisione richiede l'adozione di disposizioni comuni su scala europea e relative alla definizione di fattispecie criminose, sanzioni, circostanze aggravanti, competenza e condizioni di estradizione.

La definizione di tratta di cui all'art. 1 della decisione-quadro (1) accoglie gli elementi fondamentali di quella contenuta nel Protocollo, riconoscendola come un reato contro la persona per scopo di sfruttamento (2).

La condotta di tratta di esseri umani riguarda qualsiasi forma di reclutamento, trasporto, trasferimento, il dare ricovero alla persona e la successiva accoglienza finalizzata allo sfruttamento di manodopera o sessuale qualora ricorra l'utilizzo di determinati mezzi. In particolare, il consenso della vittima si considera irrilevante quando si sia ricorsi a l'uso di coercizione, violenza o minacce, compreso il rapimento, l'uso di inganno o fronde, l'abuso di autorità o di una posizione di vulnerabilità ovvero l'offerta di pagamenti o benefici. È punita inoltre la partecipazione alla tratta, più o meno indiretta, quando la stessa si identifichi nelle azioni di istigazione, favoreggiamento, complicità e tentativo (3).

In ordine al concetto di posizione di vulnerabilità, rispetto alla quale non si riscontrano definizioni dettagliate se non facendo riferimento alla situazione in cui «la persona non abbia scelta effettiva ed accettabile se non cedere all'abuso di cui è vittima» (4), occorre notare che, ai fini delle circostanze attenuanti previste dalla decisione, l'art. 3, par. 2, lett. b), individua nella vittima vulnerabile la persona che «non ha raggiunto l'età della maturità sessuale ai sensi della legislazione nazionale e quando il reato è stato commesso ai fini di sfruttamento della prostituzione altrui o di altre forme di sfruttamento sessuale, anche nell'ambito della pornografia».

Tale precisazione desta inevitabilmente alcune perplessità, in quanto in primo luogo non si comprende perché si includa, ai fini dell'operare della circostanza aggravante, una vulnerabilità rivolta unicamente allo sfruttamento sessuale e non anche inclusiva di altre tipologie di sfruttamento, in special modo quello lavorativo; in secondo luogo, tale definizione lasciava aperti non pochi dubbi in ordine alla nozione di vulnerabilità che non faceva menzione alcuna della questione di genere; infine, appariva del tutto incongruo, a fronte del tentativo di armonizzazione delle legislazioni nazionali operato con la disposizione del par. 4 dell'art. 1, laddove si specificava che per «minore» si intendeva «qualsiasi persona di età inferiore ai diciotto anni», il sostanziale rinvio ai singoli sistemi nazionali per stabilire il periodo iniziale della maturità sessuale.

Sotto il profilo sanzionatorio, la decisione quadro richiedeva ai legislatori nazionali di reprimere i crimini descritti agli artt. 1 e 2 con pene «efficaci, proporzionate e dissuasive».

Gli Stati dovevano rendere punibili tali reati con la pena della reclusione in carcere non inferiore nel massimo ad anni otto in presenza, tuttavia, di alcune circostanze aggravanti, ossia quando l'autore del reato avesse messo in pericolo la vita della vittima, qualora fosse stato commesso contro una vittima particolarmente vulnerabile oppure ricorrendo a violenza grave o avesse provocato un danno particolarmente grave alla vittima e, infine, qualora il reato rientrasse tra le attività di un'organizzazione criminale (5).

Gli aspetti di maggior innovazione nella decisione-quadro in commento erano probabilmente le norme che estendevano compiutamente la responsabilità civile e penale per i reati di tratta anche alle persone giuridiche, richiedendo al contempo agli Stati la fissazione di sanzioni adeguate (6).

Rispetto a quanto detto sin qui, è evidente che la decisione-quadro si concentrava quasi esclusivamente sulla necessità di ricostruire un nucleo di previsioni penali in grado di criminalizzare una vasta gamma di reati connessi alla tratta, anche qualora commessi da persone giuridiche.

In effetti, l'atto trascurava, se non tralasciava del tutto, di disciplinare la protezione di cui le vittime della tratta dovrebbero beneficiare nello Stato Membro. In effetti soltanto un articolo di questa decisione concerneva la protezione e l'assistenza alle vittime, e le sole due previsioni sostanziali sul punto riguardano entrambe unicamente i minori (7).

Numerose critiche sono state mosse pertanto alla decisione 2002/629/GAI per la mancata introduzione di un sistema adeguato di protezione dei diritti e degli interessi delle vittime, nonché per l'assenza di previsioni in materia di rimpatrio, di prevenzione e contenimento del fenomeno criminale in questione (8).

Se la decisione-quadro da una parte ha comportato una maggiore uniformità tra gli Stati rispetto alle sanzioni penali da applicare nei casi in cui si configuri un fenomeno di tratta ma dall'altra, tuttavia, in termini di diritti delle vittime e di prevenzione, la decisione-quadro offriva molto poco e sembrava meno significativa rispetto all'Azione comune sulla tratta cui si è fatto cenno precedentemente (9).

La battuta d'arresto dell'Unione europea rispetto ai diritti delle vittime avvenuta con la decisione 2002/629/GAI è stata possibile in parte attraverso le vaghe ma frequenti promesse delle Istituzioni europee (10) in base alle quali alcune di queste questioni sarebbero state trattate in un successivo strumento volto a regolare il rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo per le vittime della tratta (11).

Tuttavia, tali previsioni, contenute nella successiva direttiva 2004/81/CE (12) riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani, non hanno soddisfatto in pieno tali promesse.

Ai sensi della direttiva richiamata, il titolo di soggiorno viene infatti rilasciato solo al termine di un cosiddetto 'periodo di riflessione', a seguito del quale lo straniero abbia accettato di collaborare attivamente alle indagini e sempre che lo Stato abbia valutato l'opportunità presentata dalla proroga del soggiorno della vittima sul territorio nazionale ai fini delle indagini o del procedimento giudiziario, nonché la rottura di ogni legame con i presunti autori dei reati.

La direttiva prevede inoltre che durante il periodo di riflessione siano assicurate alle vittime risorse sufficienti a garantire un livello di vita in grado di permettere la sussistenza e l'accesso alle cure mediche urgenti, per aiutarle a ritrovare l'autonomia materiale e psicologica. Successivamente al rilascio del permesso di soggiorno, tra le altre previsioni, è altresì garantito l'accesso a programmi volti a favorire «la ripresa di una vita sociale normale, compresi, eventualmente, corsi intesi a migliorare la loro capacità professionale, oppure la preparazione al ritorno assistito nel paese di origine» (13).

Sebbene le misure di assistenza e protezione costituiscano un importante passo avanti nella tutela dei diritti delle vittime di tratta, la portata innovatrice della direttiva sembra essere stata del tutto vanificata dalla subordinazione del rilascio del permesso di soggiorno ad un'effettiva e proficua collaborazione giudiziaria, lasciando privi di qualsivoglia tutela coloro che non possano o non vogliano collaborare con le autorità degli Stati membri.

In altre parole, l'approccio adottato riflette una scelta opportunistica degli Stati Membri, fondata sostanzialmente su un meccanismo premiale, che subordina la permanenza della vittima sul territorio dell'Unione europea alla cooperazione con le autorità dello Stato nei procedimenti a carico degli autori dei reati di tratta o di favoreggiamento dell'immigrazione illegale (14).

Anche nella regolazione dello strumento attraverso il quale l'Unione europea avrebbe potuto assicurare una qualche protezione alle vittime della tratta, l'approccio adottato dalla Commissione, già nella proposta di direttiva, si è rivelato estremamente restrittivo, in primo luogo per aver limitato la concessione di questo tipo di permesso unicamente nei casi di collaborazione delle vittime nelle indagini o più in generale nel procedimento penale.

Già nella proposta della Commissione era evidente infatti che lo scopo della direttiva non fosse quello di proteggere le vittime, ma di concedere loro permessi di soggiorno di breve durata in cambio della loro collaborazione nella fase investigativa e nei procedimenti penali contro i loro presunti trafficanti e sfruttatori (15).

L'intento della Commissione risiedeva evidentemente nella volontà di scoraggiare un abuso opportunistico o al contrario ad aggravare il problema dell'immigrazione illegale nell'Unione europea (16).

Tuttavia, qualche anno dopo, nel giugno del 2009, con riferimento alla direttiva 2004/81/CE, il Gruppo di esperti sulla tratta di esseri umani, istituito dalla Commissione nel 2007 (17), rese nota una dettagliata opinione sulla possibilità di procedere alla revisione della direttiva in questione, a causa del fatto che il sistema così come configurato rischiava di essere inefficace rispetto agli obiettivi preposti (18). In tale occasione, si affermò che rimettere al centro delle misure nella lotta contro la tratta i diritti umani implicava necessariamente creare un sistema adeguato di protezione per la vittima. Il Gruppo propose inoltre che l'ambito della direttiva fosse ampliato fino a ricomprendervi tutte le vittime e non solo quelle provenienti dai Paesi terzi: trattandosi infatti di una direttiva fondante la propria base giuridica sull'art. 63, n. 3, TCE, riguardante l'immigrazione dei cittadini di Paesi terzi, la stessa escludeva automaticamente dalla tutela i cittadini degli Stati membri dell'Unione europea.

Occorre ricordare a questo proposito che, dopo il 1º maggio 2004, molti Paesi dai cui attualmente originano fenomeni di tratta divennero parte dell'Unione europea, di conseguenza le vittime che erano cittadini di questi Stati rimasero privi di protezione, in quanto non più appartenenti ai Paesi terzi; inoltre la direttiva stessa sembrava escludere dal suo raggio applicativo altresì i cittadini di Paesi terzi soggiornanti in uno Stato membro con un valido permesso di soggiorno (19).

Le sollecitate modifiche, ad oggi, non sembrano essere state prese in considerazione dal legislatore europeo, che sebbene con la direttiva 2011/36/UE, come si vedrà, abbia deciso di estendere l'assistenza e il sostegno anche alle vittime che non desiderino collaborare con le autorità, per quanto concerne il rilascio del titolo di soggiorno continua a fare riferimento al meccanismo premiale previsto dalla direttiva 2004/81/CE.

2.2 La Direttiva 2009/52/CE e le sanzioni nei confronti dei datori di lavoro che assumono alle loro dipendenze cittadini stranieri irregolari

Sul fronte dello sfruttamento lavorativo, l'Unione europea ha adottato la direttiva 2009/52/CE, la quale ha introdotto sanzioni nei confronti dei datori di lavoro che assumono alle loro dipendenze cittadini di Paesi terzi che non siano in regola con le norme relative al soggiorno sul territorio di uno Stato membro.

Nel contesto europeo, la connessione con la prevenzione della tratta si rinviene nella considerazione che le sanzioni introdotte con tale direttiva contro i datori di lavoro dovrebbero scoraggiare la tratta a scopo di sfruttamento lavorativo e il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina (20). Si aggiunga a tal proposito che la lotta al traffico di esseri umani a livello di Unione europea si è infatti andata sviluppando congiuntamente ad una politica europea di controllo sugli ingressi derivanti dai flussi migratori, configurando entrambe un'interfaccia necessaria nelle politiche repressive del crimine organizzato transnazionale (21).

La direttiva in questione si propone, in particolare, di predisporre una serie di misure per un efficace contrasto dello sfruttamento di lavoratori di Paesi terzi privi di titolo di soggiorno, imponendo agli Stati di configurare come reato i casi in cui l'assunzione dello straniero irregolare sia accompagnata da condizioni lavorative di particolare sfruttamento, definite come quelle condizioni, incluse quelle risultanti da discriminazione di genere e di altro tipo, in cui vi sia una palese sproporzione rispetto alle condizioni di impiego dei lavoratori assunti legalmente, che incide ad esempio sulla salute o sicurezza della persona (22).

Si tratta dell'unico strumento normativo europeo adottato nella lotta allo sfruttamento lavorativo, che tuttavia oltre a prendere in considerazione il fenomeno solo quando lo stesso riguardi un cittadino di un Paese terzo non in regola con le norme relative al soggiorno dello Stato membro, risulta costruito meramente in chiave sanzionatoria e repressiva, attraverso la previsione di numerose sanzioni nei confronti dei datori di lavoro, finalizzate per lo più - se non esclusivamente - a scoraggiare l'immigrazione irregolare nell'Unione europea, escludendo dal raggio di azione i cittadini comunitari e gli stranieri in posizione regolare vittime di fenomeni di sfruttamento.

Tale finalità è peraltro manifestata dallo stesso preambolo della direttiva 2009/52/CE che al considerando n. 2 precisa che «un fattore fondamentale di richiamo dell'immigrazione illegale nell'Unione europea è la possibilità di trovare lavoro pur non avendo lo status giuridico richiesto» con la conseguenza che è ritenuto opportuno «che l'azione contro l'immigrazione e il soggiorno illegali comporti misure per contrastare tale fattore di richiamo».

In particolare, la direttiva impone agli Stati un obbligo di criminalizzazione laddove l'assunzione di cittadini di Paesi terzi avvenga in particolari circostanze: «a) la violazione prosegue oppure è reiterata in modo persistente; b) la violazione riguarda l'impiego simultaneo di un numero significativo di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare; c) la violazione è accompagnata da condizioni lavorative di particolare sfruttamento; d) la violazione è commessa da un datore di lavoro che, pur non essendo accusato o condannato per un reato di cui alla decisione quadro 2002/629/GAI, ricorre al lavoro o ai servizi del un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare nella consapevolezza che lo stesso è vittima della tratta di esseri umani; e) la violazione riguarda l'assunzione illegale di un minore» (23).

Sebbene la direttiva si preoccupi di prevedere alcune tutele nei confronti del lavoratore irregolare, quali il pagamento delle retribuzioni arretrate e dei contributi previdenziali (24), le stesse appaiono nel complesso dell'intervento legislativo del tutto insufficienti: in effetti, queste rivelano, ad un'attenta lettura, il reale intento di dissuadere il datore di lavoro dall'assumere cittadini in condizione irregolare sotto la minaccia di pesanti sanzioni economiche, anziché di tenere indenne il lavoratore sfruttato. Sotto questo profilo, è opportuno sottolineare che la direttiva impone agli Stati membri di addebitare al datore di lavoro anche il pagamento dei costi di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi assunti illegalmente (25), legando di fatto la sanzione del datore di lavoro all'allontanamento dello straniero dal territorio europeo.

Tali incongruenze, evidente sintomo della preminente esigenza dell'Unione europea di scoraggiare e reprimere l'immigrazione irregolare nel territorio degli Stati membri, potrebbero, ad oggi, essere superate ricorrendo alla direttiva sulla tratta degli esseri umani (2011/36/UE), la quale, affrancandosi dalla precipua finalità della riduzione in schiavitù, sembra incentrare il proprio disvalore sul mero sfruttamento, anche lavorativo. Ricondurre tale fenomeno nell'ambito della tratta di tratta di essere umani, consentirebbe peraltro di estendere il sistema previsto da tale nuova direttiva a tutti i lavoratori sfruttati, siano essi cittadini di Paesi terzi in regola con le norme relative al soggiorno che cittadini dell'Unione.

2.3 L'adozione della Direttiva 2011/36/UE: innovazioni e raffronto con la disciplina previgente

Nel corso degli anni, la limitatezza delle scelte effettuate a livello europeo vennero presto riconosciute dalle stesse Istituzioni europee, le quali si adoperarono per uno sviluppo virtuoso della disciplina in materia di tratta di esseri umani.

In questo contesto, come accennato sopra, la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla tratta di esseri umani fu sicuramente fonte di ispirazione per un'inversione di tendenza nella normativa anti-tratta dell'Unione europea.

La valutazione e il monitoraggio degli atti adottati a livello dell'Unione in materia di tratta, compiuti nel periodo 2006-2008 misero in luce la presenza di numerosi difetti, che vennero esplicitati dalla stessa Commissione sul finire dell'anno 2008: "(...) On the other hand, figures show that in countries where there are a significant number of assisted victims, statistics on criminal proceedings are higher. This implies that a human rights-centred approach is needed not only to protect victims' rights but also in the interest of justice. The Commission is considering revising the Framework Decision on trafficking, also with a view to ensuring more effective victims' support mechanisms" (26).

In particolare, ciò che era lampante era la differenza tra il numero di procedimenti penali e le vittime assistite rispetto alle stime del fenomeno: in effetti, nonostante i dati numerici indicassero un trend in crescita più o meno costante, si confermava una perdurante difficoltà di emersione dei fatti di tratta a livello investigativo, specie se le cifre dei procedimenti venivano rapportate alle cifre globali sull'alto numero delle vittime reso nota da molti documenti internazionali.

Successivamente l'Unione europea, adottando il protocollo di Stoccolma valevole per il periodo 2010-2014, dava atto che la tratta di esseri umani e il traffico di clandestini costituiscono reati molto gravi che comportano violazioni dei diritti umani e della dignità umana, non tollerabili dall'Unione. Il Consiglio europeo invitava pertanto le Istituzioni europee a prendere in considerazione l'istituzione di un Coordinatore Anti-Tratta dell'Unione (UE CAT) e l'adozione di una nuova normativa sulla lotta alla tratta di esseri umani e sulla protezione delle vittime.

Alla luce delle considerazioni e dei nuovi obiettivi da raggiungere, nel Marzo del 2009, la Commissione adottò e sottopose al Consiglio dell'Unione europea una proposta per una nuova decisione-quadro sulla tratta (27); tuttavia la decisione non venne adottata prima dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, avvenuta il 1º dicembre 2009.

In effetti, nonostante prima di tale data il Consiglio avesse espresso sulla proposta della Commissione un largo consenso (28), sotto il nuovo procedimento di adozione degli atti in materia di tratta di esseri umani che, ai sensi dell'art. 83 TFUE par. 1, devono essere deliberati sia dal Consiglio che dal Parlamento europeo, la discussione dovette ripartire.

Per effetto dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona che, abolendo la 'struttura a pilastri' (29), ha ricondotto il settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale nell'ambito del modello comunitario, è venuta meno la previsione di un regime speciale per gli atti adottabili dall'Unione in tale settore (30).

Ciò ha comportato la possibilità di utilizzare anche per tali materie, tra le quali è compresa la tratta, i meccanismi decisionali ordinari. A tal fine, la tratta è stata infatti annoverata tra quei reati a dimensione transnazionale rispetto ai quali il Parlamento europeo ed il Consiglio possono adottare direttive di armonizzazione penale (art. 83, par. 1, TFUE).

La Commissione presentò pertanto una nuova proposta di direttiva sull'argomento nel Marzo 2010 (31), senza apportare alcuna modifica al testo della precedente proposta di decisione quadro presentata appena un anno prima.

Il processo che portò all'elaborazione della nuova proposta della Commissione in materia di tratta si dimostrò significativamente più aperto rispetto a quello della precedente decisione del 2002, grazie anche alla previsione di incontri con gli Stati membri, tecnici esperti e ONG comprensive di rappresentati dei gruppi di supporto delle vittime.

Queste consultazioni, insieme alla ricerca della Commissione, confermarono che i criminali generalmente non venivano assicurati alla giustizia, che le vittime non ricevevano adeguata assistenza, protezione o compensazione, che vi erano delle misure insufficienti per la prevenzione e che la situazione di per sé era poco monitorata (32).

La proposta della Commissione stabiliva in primo luogo all'art. 1 gli obiettivi della direttiva, la quale «mira a stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni nel settore della tratta degli esseri umani. Essa mira altresì a introdurre disposizioni comuni per rafforzare la prevenzione dei reati e la protezione delle vittime» (33).

Con tale atto, veniva ampliata la definizione di tratta, non solo avvicinandola a quella contenuta nel Protocollo delle Nazioni Unite, ma anche estendendola per mezzo di una lista aperta di pratiche che possono essere incluse nello sfruttamento come «l'accattonaggio» e più in generale «le attività illecite» (34). L'estensione in questione avrebbe dovuto, infatti, secondo la Commissione facilitare il lavoro degli interpreti e dei legislatori nazionali (35).

Ancora, occorre ricordare che nella decisione quadro per la commissione dei reati era previsto un generale obbligo per gli Stati membri di stabilire sanzioni penali «effettive, proporzionate e dissuasive» (36). Nella proposta della Commissione tale obbligo è rimasto solo per i reati previsti dall'art. 3 (Istigazione, favoreggiamento, concorso e tentativo), mentre per i reati principali la pena dovrebbe essere non inferiore nel massimo a cinque anni e, in presenza di circostanza aggravate, non inferiore a dieci anni nel massimo.

Le circostanze aggravanti previste inizialmente dalla Commissione furono ampliate includendo tra esse anche il caso in cui il reato fosse stato commesso da pubblico ufficiale, nonché attraverso l'estensione del concetto di 'vittima particolarmente vulnerabile'. Secondo la Commissione, infatti, ai fini della repressione del reato in questione vittime vulnerabili dovevano essere considerate, oltre ai minori come unicamente previsto nella precedente decisione quadro, anche gli adulti che si potevano definire tali per motivi di salute, per una disabilità o una gravidanza (37).

Con la proposta è stata inoltre introdotta una forma di tutela per le vittime della tratta affinché nel caso in cui siano state costrette a compiere delle attività criminale non vengano perseguite o comunque non vengano loro applicate sanzioni (38).

Furono inserite dalla Commissione alcune previsioni per garantire l'effettività delle indagini e del perseguimento dei crimini, anche estendendo in alcuni casi il periodo di tempo per l'esercizio dell'azione penale (39).

A differenza della decisione-quadro, la quale obbligava gli Stati membri affinché adottassero le misure necessarie a stabilire la propria giurisdizione unicamente per i reati commessi sul proprio territorio, la proposta della Commissione ambiva alla possibilità che gli Stati perseguissero anche tutti gli atti compiuti dai propri cittadini o residenti in ogni parte del mondo (40).

Come segno del rinnovato approccio della Commissione alla materia della tratta di esseri umani, il testo della proposta è costituito da corposa parte (41) precipuamente rivolta all'assistenza e al sostegno della vittima della tratta, a differenza della precedente decisione quadro, nella quale solo un articolo era dedicato alla protezione delle vittime e ove le cui due previsioni sostanziali riguardavano unicamente ai minori. È proprio in queste cinque disposizioni che la Commissione si pone in netta discontinuità con il precedente atto. Si dà nota anche dell'inserimento di una previsione dedicata alla prevenzione del fenomeno e una relativa l'istituzione di relatori nazionali.

Nel Giugno del 2010 il Consiglio, in formazione Giustizia e Affari Interni (GAI), (42) approvò un 'Orientamento generale' ('general approach') sul testo presentato dalla Commissione europea (43).

In primo luogo il Consiglio intervenne sull'estensione delle circostanze aggravanti come si configuravano nella proposta della Commissione. Venne meno subito l'idea che gli adulti potessero essere considerati vittime particolarmente vulnerabili per le loro condizioni di salute gravidanza o disabilità. Inoltre il Consiglio, nonostante ritenesse appropriato configurare come aggravante la commissione del reato da parte di un pubblico ufficiale, non ritenne essenziale prevedere un minimo alla sua condanna nei reati di questo genere.

In particolare, il Consiglio rifiutò l'idea che gli Stati potessero stabilire una giurisdizione tale da perseguire anche i semplici residenti sul proprio territorio in caso di commissione del reato in qualsiasi parte del mondo.

Per quanto concerne le disposizioni in materia di assistenza alle vittime, il Consiglio limitò l'obbligo di provvedere al sostegno della vittima ai casi in cui vi fosse un "ragionevole motivo" di ritenere che nei suoi confronti fosse stato compiuto un reato (44).

Veniva infine modificata la previsione che stabiliva l'istituzione di relatori nazionali, eliminando l'obbligo di riferire all'autorità nazionali competenti.

Il termine per l'attuazione della direttiva in questione venne inoltre esteso a due anni e mezzo, invece di due, e quello per la revisione da quattro a cinque anni.

A seguito della posizione espressa dal Consiglio, le Commissioni LIBE/FEMM (45) del Parlamento europeo adottarono un progetto di modifica durante una votazione tenutasi il 2 settembre 2010. Successivamente il Presidente, in nome del Consiglio, avviò i negoziati con i rappresentati del Parlamento e della Commissione con l'intento di raggiungere un accordo in prima lettura.

Occorre a questo punto rammentare che nel settore della lotta alla tratta di esseri umani (art. 79, par. 2, lett. d), TFUE) il Parlamento europeo e il Consiglio deliberano secondo la procedura legislativa ordinaria, attualmente disciplinata dall'art. 294 TFUE.

Le principali tappe di questo procedimento possono riassumersi nel modo seguente: la Commissione invia al Consiglio e al Parlamento europeo la proposta legislativa, se il Parlamento adotta una posizione sull'atto e il Consiglio l'approva senza modificarla, l'atto è adottato in prima lettura; se il Consiglio non approva la posizione del Parlamento, può adottare una sua posizione e trasmetterla al Parlamento. Nel caso in cui non vi sia accordo nemmeno in seconda lettura può essere convocato un comitato di conciliazione che approva un progetto comune, che dovrà essere in seguito votato a maggioranza dal Consiglio e dal Parlamento europeo.

In realtà questa procedura è raramente seguita: infatti, nella recente prassi, si fa più volentieri ricorso ai cosiddetti 'triloghi' informali (informal 'trilogues'), ossia delle riunioni tra i rappresentati del Consiglio, della Commissione e del Parlamento europeo al fine di trovare un accordo sulle differenti posizioni e giungere ad un testo di compromesso da adottare direttamente in 'prima lettura'. Si tratta di negoziazioni informali che, sebbene molto più efficienti dell'iter ordinario, finiscono per incidere sulla trasparenza dell'intero procedimento.

Tale è stata la procedura seguita anche per la direttiva in materia di tratta, i cui 'triloghi' vennero inaugurati il 14 Settembre 2010. Pertanto, con il documento sottoscritto il 15 novembre 2010 a seguito dei suddetti incontri informali, il Consiglio presentava una versione consolidata del testo come ultimo compromesso raggiunto con il Parlamento europeo (46).

Da tale documento è possibile, in particolare, cogliere la strategia di negoziazione del Consiglio, determinato a resistere almeno su quattro punti rispetto all'orientamento del Parlamento europeo (47): sul livello delle sanzioni, il Consiglio insistette affinché queste non fossero superiori nel massimo a cinque e dieci anni (48), inoltre, per quanto riguarda la giurisdizione non ritenne di potere dare il proprio consenso all'obbligo di perseguire i fatti compiuti fuori dal proprio territorio dai residenti abituali, la criminalizzazione del ricorso ai servizi delle vittime di sfruttamento (49), nonché lo specifico riferimento al coordinatore anti-tratta.

Nell'ottica di raggiungere un compromesso in tempi relativamente brevi, il Consiglio si dichiarava tuttavia disposto a cedere sulla disposizione concernente il Coordinatore Anti-Tratta (Anti-Trafficking Coordinator o ATC). Tale figura era stata prevista per la prima volta dal Programma di Stoccolma del 2009 (50) ma il Parlamento europeo, nell'intento di garantirne l'istituzione, insisteva affinché venisse introdotta nella direttiva al fine di creare una base legale.

Il Consiglio proponeva dunque di inserire un articolo che facesse preciso riferimento al Coordinatore anti-tratta (51), al quale gli stati Membri avrebbero dovuto trasmettere le informazioni raccolte attraverso i relatori nazioni o meccanismi equivalente.

Il documento su menzionato, espressione del compromesso finale, sottolinea i cambiamenti che il Consiglio ha apportato al proprio 'orientamento generale' sotto la spinta delle richieste del Parlamento europeo (52). In particolare, si nota l'introduzione tra gli obiettivi della direttiva della 'prospettiva di genere', nuove previsioni in tema di sequestro e confisca dei proventi delle attività illecite, la possibilità per le vittime di fare domanda di protezione internazionale, accesso diretto alla consulenza e all'assistenza legale senza ritardo, un riferimento più ampio ed efficace a diritti dei minori, nonché una nuova e dettagliata previsione sui minori non accompagnati vittime della tratta di esseri umani. Si è provveduto, inoltre, ad inserire una nuova disposizione in materia di risarcimento dei danni, a chiarificare il contenuto delle previsioni sulla prevenzione della tratta, ad attribuire ai relatori nazionali il compito di raccogliere le statistiche sul fenomeno della tratta e, infine, come ricordato, a istituire il coordinatore europeo anti-tratta.

Nell'intento di raggiungere un accordo con il Parlamento europeo, il Consiglio acconsentì, inoltre, a ridurre a due anni il termine per l'attuazione della direttiva e a quattro anni per la sua revisione, diversamente da quanto inizialmente proposto nel suo 'orientamento generale'.

Pertanto, nonostante il Parlamento europeo non fosse riuscito ad avere la meglio sulla tre previsioni in materia di giurisdizione, criminalizzazione del ricorso ai servizi delle vittime nonché per ciò che concerne il massimo della pena edittale per tali reati, esso riuscì comunque ad apportare alla direttiva una serie di importanti modifiche, a partire dalla protezione delle vittime, soprattutto minori, e ad assicurare una nuova strategia di coordinamento tra gli Stati membri attraverso la previsione del coordinatore europeo anti-tratta.

Successivamente, il 14 dicembre 2010, il Parlamento adottò in prima lettura la sua posizione sulla proposta di direttiva in conformità rispetto al compromesso raggiunto con il Consiglio.

Il reato di tratta scaturito dal descritto procedimento legislativo appare strutturato nei seguenti termini. Innanzitutto, la stessa può essere suddivisa in tre elementi: gli atti dolosi («il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l'alloggio o l'accoglienza di persone, compreso il passaggio o il trasferimento dell'autorità su queste persone»), le modalità coercitive («con la minaccia dell'uso o con l'uso stesso della forza o di altre forme di coercizione, con il rapimento, la frode, l'inganno, l'abuso di potere o della posizione di vulnerabilità o con l'offerta o l'accettazione di somme di denaro o di vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un'altra, a fini di sfruttamento») e gli scopi illeciti perseguiti («lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro o i servizi forzati, compreso l'accattonaggio, la schiavitù o pratiche simili alla schiavitù, la servitù, lo sfruttamento di attività illecite o il prelievo di organi») (53).

Da notare, al pari di quanto già avvenuto nel Protocollo di Palermo, il riferimento precipuo al «lavoro e servizi forzati», i quali non possono che evocare, ancora una volta, un rimando alla finalità della riduzione in schiavitù della tratta di esseri umani. Vi è da dire, comunque, che l'accento posto sul possibile abuso della posizione di vulnerabilità, come meglio si vedrà, e il riferimento all'irrilevanza del consenso in presenza di uno dei mezzi indicati dalla norma appaiono tuttavia smorzare lo stretto legame intercorrente tra i due fenomeni, ricomprendendo all'interno della tratta anche forme più blande di sfruttamento lavorativo, non richiedenti un totale assoggettamento della vittima per mezzo dell'uso della forza.

Volendo tracciare alcune linee di confronto con la previgente decisione-quadro 2002/629/GAI, occorre considerare innanzitutto che la nuova direttiva si caratterizza per essere un atto molto più sostanziale rispetto al suo predecessore, adottando espressamente un «approccio globale, integrato e incentrato sui diritti umani nella lotta contro la tratta di esseri umani» (54). Si tratta infatti del primo caso in cui l'Unione europea ha adottato una prospettiva olistica al contrasto del fenomeno criminale, volta non solo alla repressione penale degli autori degli illeciti ma anche alla prevenzione e alla tutela delle vittime (55).

Inoltre, sebbene la tratta si presenti tradizionalmente come fenomeno a connotazione transnazionale, la direttiva in questione non richiede necessariamente il trasferimento della vittima da uno Stato all'altro, nell'ottica di rendere applicabile tale fattispecie anche alle ipotesi di tratta interna, ove le vittime sono gli stessi cittadini dell'Unione europea, obbligati a trasferirsi all'interno del proprio paese o in un altro Stato membro. La necessità di punire anche queste ipotesi è stata infatti indubbiamente sollecitata dall'aumento dei numeri dei cittadini europei (nella maggior parte provenienti da Romania, Bulgaria, Polonia e Ungheria) coinvolti da questo fenomeno (56).

Venuta meno l'essenzialità dell'elemento transnazionale, il disvalore della fattispecie finisce per concentrarsi principalmente sulla finalità di sfruttamento, le cui forme, a differenza della decisione quadro, sono ora oggetto di più dettagliata specificazione. È infatti proprio lo scopo di sfruttamento - sessuale, lavorativo, l'asservimento, l'accattonaggio o il prelievo di organi - ad identificare il quid che permette di individuare il reato di tratta degli esseri umani (57).

Inoltre se la definizione di tratta e dei reati connessi presa in considerazione dalla direttiva appare sicuramente modellata sulla definizione accolta dalla decisione quadro 2002/629/GAI, tuttavia essa non ripropone la bipartizione dei reati accolta nella disciplina previgente secondo le due più frequenti forme di sfruttamento, preferendo attenersi ad una definizione di più ampio respiro internazionale, come quella del Protocollo di Palermo sulla tratta.

Nella direttiva 2011/36/UE assume peraltro rilievo centrale la condizione soggettiva della vittima: tra le modalità coercitive si fa riferimento all'abuso della condizione di particolare vulnerabilità della vittima intesa come quella «situazione in cui la persona in questione non ha altra scelta effettiva ed accettabile se non cedere all'abuso di cui è vittima».

La definizione della posizione di vulnerabilità, definitivamente slegata dal concetto di maturità sessuale o dalla circostanza che il reato sia stato commesso per finalità di sfruttamento sessuale, rappresenta indubbiamente una novità significativa della direttiva volta a raggiungere e reprimere forme particolari e oggi sempre più diffuse di tratta, in cui risulta assente l'elemento della coercizione o dell'inganno.

Nel considerando n. 12, la direttiva precisa che «fra le persone vulnerabili dovrebbero essere compresi almeno i minori», mentre tra i fattori che potrebbero essere utilizzati ai fini della vulnerabilità della vittima rientrano ad esempio «il sesso, la gravidanza, lo stato di salute e la disabilità ».

L'esemplificazione potrebbe tuttavia essere ampliata mediante il riferimento ad altri strumenti internazionali del medesimo tenore.

La Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani prevede infatti, allo stesso modo, tra i mezzi mediante i quali può essere realizzata la tratta, l'abuso della condizione di vulnerabilità della vittima. A tal proposito, illuminante appare la definizione contenuta nella Relazione esplicativa della predetta Convenzione, ove per «abuso di una condizione di vulnerabilità » è inteso «l'abuso di qualsiasi situazione in cui la persona coinvolta non ha altra scelta reale ed accettabile che quella di soggiacere all'abuso. Può quindi trattarsi di qualsiasi tipo di vulnerabilità, che può essere fisica, psicologica, affettivo, familiare, sociale od economica. Questa situazione potrebbe, ad esempio, essere una situazione amministrativa precaria o illegale, una situazione di dipendenza economica o uno stato di salute fragile. In breve, si tratta dell'insieme delle situazioni di estrema difficoltà che possono indurre un essere umano ad accettare di essere sfruttato. Gli individui che abusano di tale situazione commettono una flagrante violazione dei diritti della persona umana ed un oltraggio alla sua dignità ed alla sua integrità, alle quali non è possibile rinunciare in nessun caso» (58).

La vulnerabilità della vittima potrebbe dunque essere dovuta ad una molteplicità di motivi, compresa la mancanza di opportunità economiche o difficoltà finanziarie che potrebbero dunque fungere da fattore persuasivo alla partenza, fino a poter acconsentire al trasporto e in qualche modo al conseguente sfruttamento.

Nello stesso atto, in materia di consenso, si esplicita inoltre che: «L'articolo 4 (b) precisa che il consenso di una vittima della "tratta di esseri umani", allo sfruttamento previsto, nel senso di cui alla lettera (a) dell'art. 4, è indifferente laddove sia stato usato uno qualsiasi dei mezzi indicati nella lettera (a). La questione del consenso non è semplice e non è facile determinare dove finisce la libera scelta e dove inizia la coercizione. Nella tratta, alcune persone non sanno affatto quello che le aspetta, altre sanno perfettamente che si tratta, ad esempio, di prostituirsi. Comunque, anche se una persona desidera trovare un lavoro, ed eventualmente prostituirsi, ciò non significa che essa voglia acconsentire a subire abusi di ogni tipo. Per questa ragione, l'articolo 4 (b) prevede che esiste tratta di esseri umani sia quando la vittima acconsente sia quando non acconsente ad essere sfruttata» (59).

Particolare rilievo assume dunque la corretta definizione dei confini entro i quali possa ravvisarsi l'abuso di una posizione di vulnerabilità, considerato che attualmente è il mezzo più diffuso nella tratta di persone. Si tratta, in particolare, di condizioni di 'debt bondage' e/o di dipendenza multipla in presenza del quale la vittima è indotta a credere di non avere altra scelta effettiva se non quella di accettare lo sfruttamento para-schiavistico. Si affermato, a tal proposito, che i fattori di vulnerabilità possono riguardare "l'isolamento sociale, la mancata o scarsa conoscenza della lingua e della legislazione locale, l'analfabetismo, la giovane età, talvolta la disabilità, il background familiare che può essere caratterizzato da violenza domestica, il background culturale che è spesso caratterizzato da sfiducia nelle istituzioni e in particolare nelle forze dell'ordine, la precarietà legata allo statua di migrante irregolare" (60).

Al pari del testo della previgente decisione, nella nuova direttiva si ribadisce pertanto che in tutti casi in cui sia stata posta in essere la condotta di tratta, secondo le modalità coercitive previste dall'art. 2, par. 1, compreso l'abuso della posizione di vulnerabilità, il consenso della vittima debba considerarsi irrilevante.

La presenza di uno di questi mezzi coercitivi non è inoltre necessaria nei casi in cui nella tratta siano stati coinvolti dei minori.

Al fini della punibilità del reato in questione, è sufficiente che la condotta abbia ad oggetto una sola vittima, anche se questa spesso coinvolge una pluralità di soggetti passivi. Tale precisazione non è priva di rilievo se si pensa al fenomeno dello sfruttamento delle badanti 'accolte' nelle case italiane.

Per quanto concerne l'elemento soggettivo, la fattispecie richiede la sussistenza del dolo specifico, in quanto il soggetto attivo deve agire al fine dello sfruttamento della vittima. Con riferimento al principio di offensività, alcuni ritengono di poter parlare di dolo specifico di ulteriore offesa in quanto "nella finalità di sfruttamento si concentra un'offesa aggiuntiva rispetto a quella già insita nell'evento perfezionativo" (61).

Novità rilevanti si registrano inoltre sotto il profilo sanzionatorio: da una parte, si è passati infatti dalla semplice richiesta di prevedere sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive ad un'indicazione specifica dei livelli edittali da prevedere all'interno di ciascun Stato membro (62). Dall'altra sono state ampliate le circostanze aggravanti, includendo tra le altre tutte le vittime minori e non solo quelle che non hanno raggiunto la maturità sessuale secondo la legislazione nazionale (63).

Le disposizioni più innovative attengono però all'assistenza e alla protezione delle vittime: la direttiva stabilisce l'importante principio per il quale le vittime devono ricevere assistenza non solo durante il procedimento penale, ma anche prima, e per un congruo periodo di tempo anche dopo la sua conclusione (64). Si riconosce infatti che l'assistenza deve essere assicurata immediatamente, laddove le autorità competenti abbiano un ragionevole motivo di ritenere che nei confronti della persona interessata sia stato commesso il reato di tratta.

Tale norma ha una rilevante portata sistematica rispetto ai vigenti strumenti internazionali se si pensa che anticipa la tutela della vittima anche rispetto alla Convenzione del Consiglio d'Europa (65).

Inoltre, la previsione di cui all'art. 11, par. 3, la quale specifica che l'assistenza e il sostegno prescindano dalla volontà della vittima di collaborare nelle indagini penali, nel procedimento giudiziario e nel processo costituisce un decisivo passo avanti nella lotta contro la tratta di esseri umani, facendo venire meno la subordinazione della protezione della vittima alla volontà di collaborare attivamente con le autorità statale. Ciò evidentemente pone non pochi problemi di coordinamento con la direttiva 2004/81/CE che, come si è visto, subordinava l'assistenza e le misure di protezione alla volontà di cooperare con le autorità competenti, e che tuttora deve ritenersi operante ai fini del rilascio di un titolo di soggiorno (66).

La particolare attenzione nei confronti delle vittime emerge con evidenza anche dall'introduzione di una specifica clausola in ordine necessità di non perseguire le vittime della tratta per i reati che sono state costrette a commettere (67).

In netta discontinuità rispetto alla previgente decisione, l'introduzione di un apposito articolo in tema di prevenzione del fenomeno che invita gli Stati ad adottare misure volte a ridurre la domanda, fonte di tutte le forme di sfruttamento correlate alla tratta, in particolare attraverso l'istruzione e la formazione. Si dispone inoltre che gli Stati membri svolgano campagne di informazione e sensibilizzazione volte a minimizzare il rischio di vittimizzazione e che assicurino la formazione dei funzionari che possono entrare in contatto con vittime attuali o potenziali (68).

In conclusione, si può affermare che alla direttiva 2011/36/UE sottenda una nuova consapevolezza della complessità del traffico e della necessità di adottare politiche più efficaci e lungimiranti, non esclusivamente incentrate sulla repressione penale ma che tengano anche conto dei risvolti sociali dell'azione di contrasto.

Note

1. Art. 1, par. 1, Decisione 2002/629/GAI, cit.: "Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché i seguenti atti siano puniti come reato: il reclutamento, il trasporto, il trasferimento di una persona, il darle ricovero e la successiva accoglienza, compreso il passaggio o il trasferimento del potere di disporre di questa persona, qualora: a) sia fatto uso di coercizione, violenza o minacce, compreso il rapimento; oppure b) sia fatto uso di inganno o frode; oppure c) vi sia abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità tale che la persona non abbia altra scelta effettiva ed accettabile se non cedere all'abuso di cui è vittima; oppure d) siano offerti o ricevuti pagamenti o benefici per ottenere il consenso di una persona che abbia il potere di disporre di un'altra persona a fini di sfruttamento del lavoro o dei servizi prestati da tale persona, compresi quanto meno il lavoro o i servizi forzati o obbligatori, la schiavitù o pratiche analoghe alla schiavitù o alla servitù oppure a fini di sfruttamento della prostituzione altrui o di altre forme di sfruttamento sessuale, anche nell'ambito della pornografia".

2. Considerando n. 3, Decisione 2002/629/GAI, cit.: "La tratta degli esseri umani costituisce una grave violazione dei diritti e della dignità dell'uomo e comporta pratiche crudeli quali l'abuso e l'inganno di persone vulnerabili, oltre che l'uso di violenza, minacce, sottomissione tramite debiti e coercizione".

3. Art. 2, Decisione 2002/629/GAI, cit.

4. Art. 1, par. 1, lett. c), Decisione 2002/629/GAI, cit.

5. Art. 3, Decisione 2002/629/GAI, cit.

6. Artt. 4 e 5, Decisione 2002/629/GAI, cit.

7. Art. 7, Decisione 2002/629/GAI, cit.: "Gli Stati membri dispongono che le indagini o l'azione penale relative a reati contemplati dalla presente decisione quadro non dipendano da una denuncia o accusa formulate da una persona oggetto del reato in questione, almeno nei casi in cui si applica l'articolo 6, paragrafo 1, lettera a). I bambini che siano vittime di un reato di cui all'articolo 1 dovrebbero essere considerati vittime particolarmente vulnerabili ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, dell'articolo 8, paragrafo 4 e dell'articolo 14, paragrafo 1, della decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio, del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale. Se la vittima è un minore, ciascuno Stato membro adotta tutte le misure in suo potere per garantire un'appropriata assistenza alla sua famiglia. In particolare, ciascuno Stato membro, se possibile ed opportuno, applica alla famiglia in questione l'articolo 4 della decisione quadro 2001/220/GAI".

8. RIJKEN C., The External Dimension of EU Policy on Trafficking in Human Beings, in CREMONA M., MONAR J. e POLI S. (eds.), The External Dimension of the European Union's Area of Freedom, Security and Justice, P.I.E. Peter Lang, 2011, p. 212.

9. GALLAGHER A.T., The international law of human trafficking, cit., p. 99.

10. Risoluzione del Parlamento europeo A2-52/89 del 14 aprile 1989, GU C 120 del 16.05.1989, p. 352 e sg., specialmente il punto 8.2; risoluzione del Parlamento europeo B3-1264, 1283 e 1309/93 del 16 settembre 1993, GU C 268 del 4.10.1993, p. 141 e sg, specialmente i punti 2 e 10; risoluzione del Parlamento europeo A4-0326/95 del 18 gennaio 1996, GU C 32 del 5.02.1996, p. 88 e sg, specialmente il punto 25. Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sul traffico di donne a scopo di sfruttamento sessuale, 20 novembre 1996, COM(96) 567 def. Risoluzione del parlamento europeo sulla comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sul traffico di donne a scopo di sfruttamento sessuale, A4-0372/1997 del 16 dicembre 1997; Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo per ulteriori azioni nella lotta contro la tratta di donne, COM(1998) 726 del 9 dicembre 1998. Dichiarazione ministeriale dell'Aia del 26 aprile 1997. Infine, la proposta legislativa di adozione di una direttiva concernente il rilascio di un titolo di soggiorno alle vittime di tratta venne annunciata nella comunicazione della Commissione su una politica comune in materia d'immigrazione illegale, COM(2001) 672 def., specialmente il punto 4.7.2.

11. Ivi, p. 100.

12. Direttiva 2004/81/CE del Consiglio del 29 aprile 2004 riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un'azione di favoreggiamento dell'immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti, in GUUE L 261 del 6 agosto 2004.

13. Art. 12, Direttiva 2004/81/CE, cit.

14. SCARPA S., La tutela dei diritti delle vittime di tratta di esseri umani e il sistema premiale previsto dalla direttiva comunitaria 2004/81/CE, in Diritto Immigrazione e cittadinanza, 2005, p. 45.

15. Ivi, p. 60. La Commissione europea nel suo memorandum esplicativo dichiarava infatti che: "La presente proposta di direttiva riguarda un titolo di soggiorno, e ne definisce il regime. A questo titolo, e nei limiti entro i quali alcune disposizioni relative alle condizioni di soggiorno costituiscono misure protettive (a cominciare dal titolo di soggiorno stesso, che de facto "protegge" dall'allontanamento), può sembrare che la presente proposta di direttiva miri a proteggere le vittime. Ma non è così: la presente proposta di direttiva prevedere il rilascio di un titolo di soggiorno e non riguarda la protezione, né dei testimoni né delle vittime. Non è questo il suo obiettivo, né è questo il suo fondamento giuridico" (COM (2002) 71 def. - CNS 2002/0043, in GUCE C 126E del 28 maggio 2002).

16. Il fondamento e la ratio di simile meccanismo trova peraltro conferma in una precedente dichiarazione dei governi degli Stati Membri, di alcuni Stati terzi e delle Istituzioni europee, preoccupati nella gestione del possibile effetto 'attrattore' prodotto dall'eventuale previsione di un permesso di soggiorno per le vittime di tratta: European Conference in Preventing and Combating Trafficking in Human Being, "Recommendations, Standards and Best Practices Brussels", in "Declaration on Preventing and Combating Trafficking in Human Beings" - Global Challenge for the 21st Century, Brussels, Sept. 18-20, 2002: "The implementation of such a residence permit must be carefully monitored and evaluated to prevent the incidence of 'procedure shopping' whereby the capacity to accommodate and support genuine trafficked victims is eroded by the claims of fraudulent victims".

17. Decisione della Commissione europea del 17 ottobre 2007 che istituisce il gruppo di esperti sulla tratta di esseri umani (2007/675/CE) in GUUE L 277 del 20 ottobre 2007.

18. Opinion No. 4/2009 of the Group of Experts on Trafficking in Human Beings set up by the European Commission On a possible revision of Council Directive 2004/81/EC of 29 April 2004 on the residence permit issued to third-country nationals who are victims of trafficking in human beings or who have been the subject of an action to facilitate illegal immigration, who cooperate with the competent authorities 16 June 2009: "The current Directive insufficiently addresses the legitimate needs and rights of victims to support and assistance. In particular, the granting of the residence permit and the related assistance is made necessarily conditional on cooperation of the victim in relevant national proceedings. Furthermore, there are insufficient guarantees concerning a possible right to remain on the territory after relevant national proceedings have been completed, as well as with regard to assistance to victims. Consequently, victims may be reluctant to give evidence, given that such an act may expose them or third parties to further risk".

19. MIDDLBURG A. e RIJKEN C., The EU Legal Framework on Combating Trafficking in Human Beings for Labour Exploitation, in RIJKE C. (ed), Combating Trafficking in Human Beings for Exploitation, Nijmegen, The Netherlands, Wolf Legal Publishers WLP, 2011, p. 379.

20. FERRERO M. e BARBAIOL G., Prime note sulla normativa italiana per la protezione delle vittime di tratta e di grave sfruttamento dopo l'attuazione della direttiva 2009/52/CE, in FORLATI S. (a cura di), La lotta alla tratta di esseri umani. Tra dimensione internazionale e ordinamento interno, cit., p. 94. Si ricorda, a tal proposito, che il considerando n. 7 della direttiva 2011/36/UE sottolinea che, nel manifestare l'intento di predisporre una più rigorosa prevenzione, repressione e protezione dei diritti delle vittime, nell'ottica di un approccio globale al fenomeno della tratta, nell'applicare la suddetta direttiva bisognerà tener conto anche della direttiva 2009/52/CE.

21. SPIEZIA F. e SIMONATO M., La prima direttiva UE in diritto penale sulla tratta di esseri umani, in Cassazione Penale, 2011, 9, p. 3198.

22. Art. 2, lett. i), Direttiva 2009/52/CE, cit.

23. Art. 9, Direttiva 2009/52/CE, cit.

24. Art. 6, par. 1, Direttiva 2009/52/CE, cit.: "Per ogni violazione del divieto di cui all'articolo 3, gli Stati membri garantiscono che il datore di lavoro sia responsabile del pagamento di: a) ogni retribuzione arretrata ai cittadini di paesi terzi assunti illegalmente. Il livello di remunerazione concordato è considerato pari almeno alla retribuzione prevista dalle leggi applicabili sui salari minimi, dai contratti collettivi o conformemente a una prassi consolidata nei relativi settori occupazionali, salvo prova contraria fornita dal datore di lavoro o dal lavoratore, nel rispetto, ove opportuno, delle disposizioni nazionali vincolanti in materia salariale; b) un importo pari a tutte le imposte e i contributi previdenziali che il datore di lavoro avrebbe pagato in caso di assunzione legale del cittadino di un paese terzo, incluse le penalità di mora e le relative sanzioni amministrative".

25. Art. 5, par. 3, lett. b), Direttiva 2009/52/CE, cit.

26. European Commission, Staff document, Evaluation and monitoring of the implementation of the EU Plan on best practices, standards and procedures for combating and preventing trafficking in human beings, COM (2008) 657 final, Oct. 17, 2008.

27. Proposta di decisione quadro del Consiglio concernente la prevenzione e la repressione della tratta degli esseri umani e la protezione delle vittime, che abroga la decisione quadro 2002/629/GAI, COM (2009) 136 def. del 25 marzo 2009.

28. Documento del Consiglio n. 15011/09 del 23 ottobre 2009.

29. La cosiddetta 'struttura a pilastri' trae origine dal Trattato sull'Unione europea firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, il quale sancisce la nascita dell'Unione europea, quale entità articolata in una nuova struttura fondata su tre pilastri: 1) il primo composto dalle tre Comunità, la CEE che muta la sua denominazione in Comunità europea o CE; la CECA e l'Euratom; 2) il secondo pilastro, riferito ai settori della politica estera e della sicurezza (PESC) e 3) il terzo pilastro, riguardante i settori della giustizia e degli affari interni (GAI). I pilastri si differenziavano in particolare per il metodo di funzionamento: mentre il primo pilastro era governato dal metodo comunitario, il secondo e il terzo erano regolati da una logica di cooperazione tra gli Stato, secondo il modello intergovernativo, fondato sull'adozione di azioni comuni, che postula la permanenza delle materie nella competenza esclusiva degli Stati membri.

30. La versione precedente al Trattato di Lisbona di cui all'art. 34, par. 2, TUE individuava tra le tipologie di atti adottabili in tale settore: le posizioni comuni, le decisioni quadro, le decisioni e le convenzioni.

31. Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la prevenzione e la repressione della tratta degli esseri umani e la protezione delle vittime, che abroga la decisione quadro 2002/629/GAI, COM (2010) 95 def. del 29 marzo 2010.

32. Commission Staff Working Document accompanying document to the Proposal for a Council Framework Decision on preventing and combating trafficking in human beings, and protecting victims, repealing Framework Decision 2002/629/JHA, Impact Assessment, SEC (2009) 358 del 25 march 2009, pp. 11-14.

33. Art. 1, COM (2010) 95 def., cit.

34. Art. 2, par. 3, COM (2010) 95, def., cit.: "Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro o i servizi forzati, compreso l'accattonaggio, la schiavitù o pratiche simili alla schiavitù, la servitù, lo sfruttamento di attività illecite, o il prelievo di organi".

35. Impact Assessment, SEC (2009) 358, cit., p. 24.

36. Art. 3, Decisione quadro 2002/629/GAI, cit.: "Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché i reati di cui agli articoli 1 e 2 siano punibili con sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive che possono comportare l'estradizione".

37. Art. 4, lett. b), COM (2010) 95 def., cit. Si ricorda che nella decisione quadro 2002/629/GAI (art. 3, lett. b) per "vittima particolarmente vulnerabile" si doveva intendere quella che non avesse raggiunto l'età della maturità sessuale ai sensi della legislazione nazionale, ovvero qualora il reato fosse stato commesso a fini di sfruttamento della prostituzione altrui o di altre forme di sfruttamento sessuale, anche nell'ambito della pornografia.

38. Art. 7, COM (2010) 95 def. cit.

39. Art. 8, COM (2010) 95 def., cit.: "Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le indagini o l'azione penale relative ai reati di cui agli articoli 2 e 3 non siano subordinate alle dichiarazioni o all'accusa formulate dalla vittima e il procedimento penale possa continuare anche se la vittima ritratta le proprie dichiarazioni. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché i reati di cui agli articoli 2 e 3 possano essere perseguiti per un congruo periodo di tempo dopo che la vittima abbia raggiunto la maggiore età ".

40. Art. 9, COM (2010) 95 def., cit.

41. COM (2010) 95 def. cit., artt. 10-14.

42. Il Consiglio dell'Unione europea è un'entità giuridica autonoma ma si riunisce in diverse "formazioni" a seconda della materia da trattare. Il Consiglio "Giustizia e Affari Interni" elabora politiche comuni e di cooperazione su vari aspetti transfrontalieri, al fine di realizzare uno spazio di giustizia a livello di UE.

43. Documento del Consiglio n. 10845/10 del 10 giugno 2010.

44. Ivi, art. 10, par. 2. Cfr. COM (2010) 95 def., cit., art. 10, par. 2: "Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché una persona riceva assistenza e sostegno non appena le autorità competenti hanno motivo di ritenere che nei suoi confronti sia stato compiuto uno dei reati di cui agli articoli 2 e 3".

45. Si tratta di due commissioni permanenti del Parlamento europeo. LIBE è l'acronimo di "Civil Liberties, Justice and Home Affairs" (Libertà civili, Giustizia e Affari Interni) e FEMM di "Women's Rights and Gender Equality" (diritti della donna e Eguaglianza di Genere).

46. Documento del Consiglio n. 16156/10 del 15 novembre 2010.

47. Ivi, p. 2.

48. Al contrario il Parlamento europeo insisteva affinché fossero elevate rispettivamente, per reati principali e fattispecie aggravate, a 6 e a 12.

49. Art. 15, par. 4, doc. 10845/10: "Gli Stati membri valutano la possibilità di adottare misure affinché costituisca reato ricorrere consapevolmente ai servizi, oggetto dello sfruttamento di cui all'articolo 2, prestati da una persona che è vittima di uno dei reati di cui allo stesso articolo".

50. Programma di Stoccolma - Un'Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini, punto 4.4.2.: "Il Consiglio europeo invita pertanto il Consiglio a prendere in considerazione l'istituzione di un coordinatore antitratta dell'Unione (UE CAT) e, ove decida in tal senso, a stabilire le relative modalità affinché tutte le competenze dell'Unione possano essere sfruttate al meglio per realizzare una politica dell'Unione coordinata e consolidata contro la tratta di esseri umani".

51. Oggi, art. 20 Direttiva 2011/36/UE, cit.

52. PEERS S., Legislative Update EU Immigration and Asylum Law 2010: Extension of Long Term Residence Rights and Amending the Law on Trafficking in Human Beings, in European Journal of migration and law, 2011, 2, p. 216 ss.

53. Art. 2, parr. 1 e 3, Direttiva 2011/36/UE, cit.

54. Considerando n. 7, Direttiva 2011/36/UE, cit.

55. GIAMMARINARO M.G., La direttiva 2011/36/UE sulla prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, in Diritto immigrazione e cittadinanza, 2012, 1, p. 15.

56. Nella Comunicazione della Commissione "La strategia dell'UE per l'eradicazione della tratta degli esseri umani (2012-2016) del 19 giugno 2012" si afferma che secondo i dati provenienti da molti Stati membri, nella maggior parte dei casi le vittime di tratta provengono dall'Unione europea (essenzialmente Romania, Bulgaria, Polonia e Ungheria).

57. FERRERO M. e BARBAIOL G., Prime note sulla normativa italiana per la protezione delle vittime di tratta e di grave sfruttamento dopo l'attuazione della direttiva 2009/52/CE, in FORLATI S. (a cura di), La lotta alla tratta di esseri umani. Tra dimensione internazionale e ordinamento interno, cit., p. 92.

58. Relazione esplicativa della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, par. 83.

59. Ivi, par. 97.

60. GIAMMARINARO, M.G., La direttiva 2011/36/UE sulla prevenzione e repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, cit., p. 17.

61. VENTUROLI M., La direttiva 2011/36/UE: uno strumento "completo" per contrastare la tratta degli esseri umani, in Indice Penale, 2013, 1, pp. 206-207.

62. Il minimo del massimo edittale è stato fissato a cinque anni nell'ipotesi semplice e a dieci anni nell'ipotesi circostanziata.

63. Art. 4, Direttiva 2011/36/UE, cit.: "Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché i reati di cui all'articolo 2 siano punibili con la reclusione della durata massima di almeno dieci anni, laddove tale reato: a) sia astato commesso nei confronti di una vittima particolarmente vulnerabile, compresi, nel contesto della presente direttiva, almeno i minori; b) sia stato commesso nel contesto di un'organizzazione criminale ai sensi della decisione quadro 2008/841/GAI del Consiglio, del 24 ottobre 2008, relativa alla lotta contro la criminalità organizzata; c) abbai messo in pericolo la vita della vittima intenzionalmente o per colpa grave; oppure d) sia stato commesso ricorrendo a violenze gravi o abbia causato alla vittima un pregiudizio particolarmente grave".

64. Art. 11, par. 1, Direttiva 2011/36/UE, cit.

65. Art. 10, Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani: "(...) Ciascuna delle Parti si assicura che, se le autorità competenti hanno ragionevoli motivi per credere che una persona sia stata vittima della tratta di esseri umani, quella persona non venga allontanata dal proprio territorio finché la procedura di identificazione, che la vede vittima di un reato previsto dall'art. 18 della presente Convenzione, sia stata completata dalle autorità competenti e si assicura che la persona riceva l'assistenza di cui all'art. 12, co. 1 e 2".

66. Art. 11, par. 3, Direttiva 2011/36/UE, cit.: "Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché l'assistenza e il sostegno alla vittima non siano subordinati alla volontà di quest'ultima di collaborare nelle indagini penali, procedimento giudiziario o nel processo, fatte salve la direttiva 2004/81/CE o norme nazionali analoghe".

67. Art. 8, Direttiva 2011/36/UE, cit.: "Gli Stati membri adottano le misure necessarie, conformemente ai principi fondamentali dei loro ordinamenti giuridici, per conferire alle autorità nazionali competenti il potere di non perseguire né imporre sanzioni penali alle vittime della tratta di esseri umani coinvolte in attività criminali che sono state costrette a compiere come conseguenza diretta di uno degli atti di cui all'articolo 2".

68. Art. 18, Direttiva 2011/36/UE, cit.