ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo I
La tratta di esseri umani e lo sfruttamento lavorativo degli stranieri: obblighi internazionali e possibili interpretazioni

Diana Genovese, 2015

1.1 La definizione di traffico internazionale di esseri umani. Cenni sulla distinzione tra smuggling of migrants e trafficking in human beings

I frequenti conflitti nell'area mediorientale, l'instabilità politico-sociale e la mancanza di prospettive economiche in alcune aree post-belliche nei Balcani e nell'Est Europa, le gravissime emergenze umanitarie e le guerre civili nell'Africa Subsahariana e in alcune zone del nord del continente hanno determinato nel tempo ondate cicliche di immigrazione, più o meno massicce, dai Paesi d'origine, in particolare negli ultimi decenni verso l'Europa occidentale.

La complessità di queste dinamiche non permette un'analisi approfondita delle stesse nella presente trattazione, è tuttavia opportuno ricordare come l'intensificarsi di taluni di questi flussi e le risposte sempre più restrittive dei Paesi di frequente destinazione abbiano indubbiamente contribuito all'aggravarsi del problema dell'immigrazione irregolare. L'effetto combinato di questi due fattori ha infatti prodotto un'incessante crescita della pratica illegale nota come traffico di migranti (smuggling of migrants).

Parallelamente a questo fenomeno, l'aumento della domanda nei mercati interni tipicamente connessi al traffico di persone (diffusione della prostituzione, alta richiesta di manodopera a basso costo e poco qualificata) ha progressivamente intensificato anche la tratta di esseri umani (trafficking of human beings). In particolare, il problema della tratta di esseri umani per lavoro forzato è cresciuto in modo esponenziale a partire dall'ingresso di alcuni Paesi dell'Europa dell'Est nell'Unione Europea tra il 2004 e il 2007 (1).

Nell'intento di fornire un'adeguata risposta all' 'evoluzione quantitativa e qualitativa' del fenomeno, sono state adottate in ambito internazionale ed europeo una serie di norme cosiddette di hard law, fra le quali si ricorda in primo luogo la Convenzione delle Nazioni Unite di Palermo e i suoi Protocolli addizionali.

L'impostazione di tali documenti segna un nuovo approccio nell'affrontare il problema del 'traffico internazionale di esseri umani', espressione generale con la quale si fa riferimento ad un'ampia fattispecie alla quale possono essere ricondotte situazioni consistenti nel reclutamento ovvero nell'illegale trasferimento e nella successiva introduzione, anch'essa illegale, di persone da un luogo ad un altro, da uno Stato ad un altro ovvero all'interno di uno stesso Stato, prevalentemente a scopo di lucro. Tale definizione 'generalizzante' comprende allo stesso tempo sia le condotte di tratta che di traffico di esseri umani (2).

Ai fini di una compiuta comprensione del fenomeno, un rilevante contributo in termini di definizione di queste pratiche è stato fornito proprio dalla richiamata Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale ratificata nell'ambito della Conferenza ONU sul crimine organizzato, svoltasi a Palermo dal 12 al 15 dicembre del 2000.

La Convenzione, attualmente ratificata da 175 Stati, è corredata da tre Protocolli addizionali: il Protocollo contro la tratta di persone, in special modo donne e bambini, il Protocollo contro il traffico dei migranti (ed il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina) (3) e il Protocollo sul traffico e la fabbricazione di armi da fuoco.

Con i primi due Protocolli viene per la prima volta affrontato il problema della distinzione tra traffico (smuggling) e tratta di esseri umani (trafficking).

A tal proposito si è ritenuto che ciò che contraddistingue i due fenomeni sia il consenso della vittima allo spostamento: consenso che deve considerarsi estorto o viziato, mediante uno dei mezzi indicati dal relativo Protocollo, nei casi trafficking e sussistente, invece, nel caso di smuggling.

Alla luce delle definizioni fornite dai Protocolli di Palermo, appare tuttavia chiaro che l'elemento consensuale non è sufficientemente adeguato a contrapporre le suindicate condotte.

Il 'traffico di migranti' indica il procurare, al fine di ricavare direttamente o indirettamente un vantaggio finanziario o materiale, l'ingresso illegale di una persona in uno Stato parte della Convenzione di cui la persona non è cittadina o residente permanente (4).

La 'tratta di persone' implica, invece, il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l'ospitare o il raccogliere persone tramite l'impiego o la minaccia dell'impiego della forza o di altre forme di coercizione, rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di posizioni di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme di danaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha l'autorità su un'altra a scopo di sfruttamento, ove quest'ultimo comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe e il prelievo di organi (5). Si specifica inoltre che nel caso di vittima di tratta, il consenso deve ritenersi irrilevanti laddove siano stati utilizzati i mezzi di cui sopra.

In particolare, per ciò che interessa ai fini della nostra analisi, la tratta di essere umani, alla luce delle indicazioni fornite dalla Convenzione ONU, può essere definita come la fattispecie che risulta dalla combinazione di tre elementi (6): gli atti posti in essere dai responsabili (il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, ecc.), i mezzi con cui è ottenuta la partecipazione della vittima e/o estorto il suo consenso (l'uso o la minaccia di uso della forza, la frode, il rapimento ecc.), il fine (individuato nelle diverse forme di sfruttamento).

L'art. 4 del Protocollo sulla tratta ne circoscrive espressamente l'ambito di applicazione ai fenomeni nei quali sia implicata un'organizzazione criminale e che rivestano carattere transnazionale, prescindendo dall'irregolarità o meno dell'attraversamento dei confini.

Pertanto è evidente che, a differenza del Protocollo sul traffico dei migranti via terra, via mare e via area, il Protocollo sulla tratta non mira a proteggere la sovranità dello Stato e i suoi confini, garantendo il rispetto delle sue norme sull'immigrazione, bensì a salvaguardare i diritti delle vittime, scongiurandone lo sfruttamento (7).

Al contrario della tratta, secondo il documento delle Nazioni Unite, lo smuggling of migrants non rappresenta di per sé un crimine transnazionale. La sua considerazione in questo senso o come domestic offence dipende in gran parte da quella che è l'ampiezza delle incriminazioni del favoreggiamento dell'immigrazione irregolare nelle legislazioni penali nazionali. Se tali fattispecie sono sufficientemente estese (includendo i reati connessi a false documentazioni e quelli che implicano l'attraversamento illegale dei confini di uno Stato membro) i suddetti comportamenti criminosi sono classificabili come violazione delle leggi penali e sull'immigrazione dello Stato membro, cioè come domestic offence. Ciò vale a prescindere dagli elementi della trans-nazionalità (così come definita dalla Convenzione) e del coinvolgimento di un associazione criminale, che possono rilevare al limite in ordine alle problematiche della doppia incriminazione fra gli Stati coinvolti.

La distinzione tra smuggling e trafficking è ancora più netta d'altronde a fronte delle norme internazionali che successivamente sono state elaborate in ambito europeo, ove sia la Convenzione del Consiglio d'Europa sull'azione contro la tratta di esseri umani, adottata a Varsavia il 16 maggio 2005, che la direttiva 2011/36/UE concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 5 aprile 2011 (8), riprendono - come si vedrà - la definizione di tratta contenuta nel Protocollo di Palermo, ma trovano applicazione anche nei casi tratta puramente interna o che non implichi il coinvolgimento di organizzazioni criminali.

A fronte delle incertezze sorte dalla definizione del Protocollo, anche prima dell'emanazione dei suddetti strumenti a livello europeo, in molti si erano posti il problema di capire se gli elementi della natura transnazionale e del crimine organizzato dovessero essere considerati come elementi della definizione di tratta (9).

A tal proposito, l'Ufficio delle Nazioni Unite 'on Drugs and Crime' nel dare le sue indicazioni sull'interpretazione della Convenzione al fine dell'implementazione della stessa negli ordinamenti nazionali, nonostante abbia confermato che tali elementi siano da considerarsi necessari per l'applicazione della Convenzione, ha comunque chiarito che gli elementi della natura transnazionale e del crimine organizzato non devono essere posti all'interno della definizione di tratta nelle legislazioni nazionali (10).

1.2 Il quadro normativo internazionale ed europeo in materia di tratta di esseri umani e il rapporto con il divieto di schiavitù/servitù

Concentrandoci sulla fattispecie di tratta di esseri umani, occorre innanzitutto ricordare che, fino a tempi abbastanza recenti, tale fenomeno è stato sempre pensato come unicamente riferito allo sfruttamento sessuale. Ciò come si è visto è cambiato con l'adozione di una definizione internazionale di tratta, che fra le tipologie di sfruttamento ha incluso anche quello lavorativo.

Facendo un passo indietro, già a partire dagli anni '90, in ambito europeo, il problema della tratta di esseri umani destò l'interesse delle organizzazioni intergovernative, all'interno delle quali la questione maggiormente dibattuta riguardava proprio la definizione di 'tratta di esseri umani' (11).

In particolare, il Consiglio d'Europa si dedicò inizialmente al concetto di tratta, intesa come fenomeno essenzialmente finalizzato allo sfruttamento sessuale.

Nello stesso senso si orientò d'altronde anche la Commissione europea che nella sua Comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo del 20 novembre 1996 sul traffico di donne a scopo di sfruttamento sessuale definiva il traffico come "il trasporto di donne da paesi terzi verso l'Unione europea (con eventuali ulteriori spostamenti tra gli Stati membri) a scopo di sfruttamento sessuale. (...) Il traffico a scopo di sfruttamento sessuale si applica alle donne che hanno subito intimidazioni o violenze legate a tale traffico. Il fatto che possa esservi stato un consenso iniziale non è rilevante dal momento che vi sono donne che entrano nella catena del traffico per fare le prostitute e si trovano poi ad essere private dei diritti umani fondamentali e ridotte in condizioni di semi-schiavitù" (12).

Interessante appare, invece, la posizione del Parlamento europeo che, prendendo le distanze dal Consiglio d'Europa e dalla Commissione europea, cominciò a concepire la tratta come qualcosa di più del solo sfruttamento sessuale delle donne definendo tale pratica come "l'atto illegale di chi, direttamente o indirettamente, favorisce l'entrata o il soggiorno di un cittadino proveniente da un paese terzo ai fini del suo sfruttamento utilizzando l'inganno o qualunque altra forma di costrizione o abusando di una situazione di vulnerabilità o incertezza amministrativa" (13).

Tuttavia, al momento di adottare il primo atto in materia di tratta, il Consiglio dell'Unione europea con l'Azione comune contro la tratta di esseri umani (14) preferì utilizzare una definizione di gran lunga più ristretta di quella del Parlamento europeo, enfatizzando lo sfruttamento sessuale come unico possibile risultato della tratta.

All'interno di questo vivace dibattito, si fece talmente pressante l'esigenza di una definizione comune di trafficking che le Nazioni Unite nel dicembre del 2000, come si è visto, si fecero carico della questione ed emanarono un apposito Protocollo 'sulla prevenzione, soppressione e persecuzione del traffico di esseri umani, in particolar modo donne e bambini', chiamato anche protocollo sulla tratta degli esseri umani, congiuntamente alla Convenzione sulla criminalità organizzata transfrontaliera.

La definizione di 'tratta di persone', vista nel precedente paragrafo, costituisce indubbiamente una novità sostanziale se si considera che fino a tempi piuttosto recenti, come ricordato, la tratta è stata confinata a fenomeno concernente lo sfruttamento sessuale.

Con la Convenzione del 2000 si amplia infatti in modo significativo la tipologia di sfruttamento in presenza del quale è possibile fare applicazione del Protocollo di Palermo fino a ricomprendervi anche lo sfruttamento lavorativo.

Un ulteriore profilo rilevante nel documento adottato dalle Nazioni Unite consiste nella presa di coscienza che la tratta costituisce un fenomeno complesso e variegato, che di conseguenza non può essere affrontato e combattuto unicamente con meccanismi repressivi, bensì richiede la messa in campo di un'efficace azione su più fronti. Il Protocollo sulla tratta esprime infatti una triplice finalità: prevenire e combattere la tratta, proteggere ed assistere le vittime e promuovere la cooperazione tra gli Stati contraenti (15).

A partire dalla Convenzione delle Nazioni Unite, si registra inoltre una significativa tendenza, che giungerà fino all'adozione di recenti strumenti normativi all'interno dell'Unione europea, a slegare il divieto di tratta di esseri umani da quello di schiavitù/servitù. In particolare, con la nuova definizione di tratta fornita dal Protocollo di Palermo si riscontra nella finalità di sfruttamento un iniziale affrancamento dalla schiavitù, dovendo tale finalità comprendere «come minimo» «lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l'asservimento o il prelievo di organi», dove il minimo non esclude che lo sfruttamento del lavoro avvenga configurando situazioni più lievi di quelle della schiavitù/servitù. Ciò è peraltro confermato dal fatto che la tratta può essere posta in essere anche semplicemente con l'abuso di una posizione di vulnerabilità, e non necessariamente con l'uso della forza.

Appare opportuno a questo punto soffermarsi sui rapporti sussistenti tra la tratta di esseri umani e il divieto di schiavitù o servitù nei principali documenti internazionali antecedenti l'adozione del Protocollo di Palermo. In particolare, la questione attiene alla possibilità di scindere il fenomeno della tratta di esseri umani da quello della schiavitù, cercando di capire se attualmente è possibile riscontrare nel panorama internazionale ed europeo una definizione di tratta che non presupponga la condizione di schiavitù/servitù della vittima 'reclutata'.

Ai fini della presente indagine sarà sufficiente prendere le mosse dalle iniziative che, nel primo dopo guerra, seguirono all'istituzione della Società delle Nazioni.

Un primo documento di rilevante interesse internazionale è rappresentato indubbiamente dalla Convenzione di Ginevra del 25 settembre 1926 con cui si promuove la abolizione di qualsiasi forma di schiavitù in ogni luogo.

Il documento definisce nel suo primo articolo la schiavitù come «the status or condition of a person over whom any or all of the powers attaching to the right of ownership are exercised». Con tale definizione, si intende esprimere l'esigenza, emersa anche nei lavori preparatori, di accompagnare lo status di schiavo (connesso all'omonimo istituto, ben noto all'epoca agli ordinamenti interni di molti Stati), con l'ulteriore nozione di 'condizione o stato servile'. Con quest'ultima espressione si indicano e puniscono quei processi di reificazione, estranei ad ogni tipo di legittimazione giuridica ma anche all'istituto schiavistico in senso stretto, che portano un soggetto ad esercitare su un altro un pieno o parziale diritto di proprietà (16). Nonostante questo significativo ampliamento ed il perdurare nel tempo della distinzione fra schiavitù e condizione servile, anche questa seconda nozione non appare idonea a ricomprendere in modo sicuro la tratta, la quale è definita e punita separatamente. La Convenzione vieta infatti ogni forma di tratta, intendendola come «l'atto di cattura, di acquisto, di cessione di una persona in vista della riduzione in schiavitù, nonché ogni atto di acquisto di uno schiavo in vista di venderlo o scambiarlo, ed ogni atto di cessione per vendita o per scambio ed, in genere, ogni atto di commercio o trasporto di schiavi».

Con la Convenzione supplementare per l'abolizione della schiavitù, il commercio di schiavi e gli istituti e le pratiche similari del 7 settembre 1956, il concetto di 'condizione servile' viene ulteriormente arricchito di alcune pratiche, non occupandosi tuttavia di definire i rapporti col traffico di persone.

In ogni caso, in entrambi i documenti citati, è evidente la sussistenza di un intrinseco legame tra schiavitù e tratta (17).

Successivamente anche la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, la Dichiarazione sui diritti del fanciullo del 1959 e il Patto sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1966 rimarcheranno con forza il divieto della schiavitù e della tratta, a prescindere dai modi e dai luoghi in cui questi sono posti in atto, portando tale divieto inizia ad assumere le caratteristiche di una norma consuetudinaria e principio di ius cogens.

Nella prassi degli organi si controllo del Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici e della CEDU sembra andarsi affermare un orientamento interpretativo estensivo, teso ad equiparare la tratta alla schiavitù e alla servitù.

Un significativo tentativo in ordine alla chiarificazione del legame sussistente tra la tratta e la schiavitù è stato compiuto, in particolare, dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, chiamata sostanzialmente a pronunciarsi sull'eventualità di far rientrare la tratta nelle ipotesi contenute dall'art. 4 della CEDU, intitolato 'Proibizione della schiavitù e del lavoro forzato' (18).

La Corte di Strasburgo è intervenuta in ben due occasioni: una prima volta nel caso Siliadin (19), dove ha fatto rientrare la tratta all'interno dell'art. 4 della CEDU, aprendo alla possibilità di far valere una protezione assoluta per le vittime. Più recentemente, nella sentenza Rantsev (20), la Corte ha specificato che pur non contenendo, la CEDU, uno specifico divieto di tratta di esseri umani, questo deve evincersi, secondo un'interpretazione evolutiva dell'art. 4, dai divieti espressi di schiavitù e lavoro forzato.

La Corte sostiene, in quest'ultima pronuncia che la tratta è lesiva, al pari della schiavitù e della servitù, del bene della vita protetto dall'articolo 4, inquadrandosi come "modern form of the old worldwide slave trade" (21). Questa equiparazione, secondo la Corte, non sottende tuttavia necessariamente un'identità ontologica: pronunce più recenti sembrano infatti pare optare per una considerazione del 'trafficking' quale condotta prodromica, finalizzata all'instaurazione o alla conservazione di quello stato di 'assoggettamento assoluto' in cui si sostanzia la schiavitù.

In conclusione, per la Corte le due fattispecie si equivalgono sotto il profilo della lesività rispetto ai diritti fondamentali della persona, pur mantenendo una propria autonomia sul piano ontologico, e quindi, sanzionatorio.

Rimanendo nel contesto europeo, sulla spinta della generale esigenza di regolazione avvertita a livello internazionale e considerata la priorità che aveva assunto anche per l'Unione europea la lotta al traffico di esseri umani, occorre guardare agli sforzi compiuti in ambito comunitario per reprimere tale fenomeno. Anche la Commissione colse infatti l'occasione per presentare al Consiglio dell'Unione europea una proposta di decisione concernente la tratta di esseri umani.

L'iniziale proposta della Commissione si pose in primo luogo l'obiettivo di andare oltre il Protocollo delle Nazioni Unite, estendendo i suoi standard minimi e prevedendo definizioni di più vasta portata e sanzioni più rigorose (22). La decisione avrebbe dovuto dunque rappresentare un miglioramento di quello strumento internazionale, che pure l'Unione europea aveva già ratificato. Tuttavia le differenze apportate dalla Commissione vennero col tempo levigate, portando il testo della decisione quadro 2002/629/GAI (23), come si vedrà più nel dettaglio, a riflettere sostanzialmente quello messo a punto dalle Nazioni Unite (24).

Nonostante il Protocollo in questione rivesti ancora centralità nel panorama normativo internazionale, esso appare oggi in gran parte superato in ragione dell'evoluzione del fenomeno e della successiva valutazione del fenomeno che a livello europeo è stata condotta. Le maggiori critiche sono state rivolte all'approccio prettamente repressivo e di controllo dello strumento normativo in questione, il quale ha finito per lasciare in secondo piano la protezione e il supporto delle vittime.

In effetti, le disposizioni vincolanti dei Protocolli di Palermo concernono essenzialmente i meccanismi di prevenzione e cooperazione tra i paesi firmatari al fine di reprimere le attività criminali, mentre le misure a tutela delle vittime di tratta, pur coprendo una vasta area di diritti, sono per lo più incoraggiate, ma di fatto lasciate all'attuazione discrezionale dei singoli Stati (25)

Un decisivo passo verso un approccio integrato della comunità internazionale nella lotta alla tratta di esseri umani fu rappresentato dall'adozione della Convenzione del Consiglio d'Europa firmata a Varsavia nel 2005, ed entrata in vigore il 1º febbraio 2008 (26).

La Convenzione di Varsavia persegue l'obiettivo della prevenzione e della lotta contro la tratta di esseri umani in tutte le sue forme a livello nazionale ed internazionale, sia essa legata o meno alla criminalità organizzata. La Convenzione riguarda infatti, oltre alla tratta ai fini di sfruttamento, anche quella concernente il lavoro forzato delle persone, non distanziandosi sotto il profilo definitorio, da quella predisposta dal Protocollo di Palermo (27).

Senz'altro, essa si annovera come lo strumento anti-tratta più completo mai adottato a livello internazionale, contenendo - ed è questo il tratto distintivo rispetto agli altri atti - previsioni dettagliate sull'assistenza, protezione e supporto delle vittime.

La Convenzione di Varsavia può infatti essere considerata il primo trattato internazionale designato in modo specifico alla protezione dei diritti delle persone oggetto del traffico. Tale vocazione è peraltro evidente dal preambolo della Convenzione, ove si afferma espressamente la necessità di rafforzare e sviluppare la protezione offerta dalla Convenzione di Palermo e dal Protocollo aggiuntivo finalizzato a prevenire, reprimere e punire la tratta di esseri umani, in vista dell'esigenza di elaborare un nuovo strumento giuridico internazionale incentrato sui diritti umani e sulla tutela delle vittime.

Come accennato, la definizione di tratta della Convenzione riprende quella dell'art. 3 del Protocollo delle Nazioni Unite, ma per la prima volta svincola la definizione dal tradizionale ancoraggio al crimine transnazionale organizzato: ai sensi dell'art. 2, infatti, la Convenzione si applica, a tutte le forme di tratta di esseri umani sia nazionali che transnazionali e connesse o non connesse con un crimine organizzato (28). Come enunciato dalla stessa Relazione esplicativa della Convenzione, l'intento è quello di estendere l'ambito di applicazione del Protocollo di Palermo in materia di tratta di esseri umani (29).

L'approccio olistico della Convenzione si evince dalle numerose disposizioni dedicate alla protezione e assistenza delle vittime riguardanti, tra le altre, il diritto alla protezione della vita privata, il diritto ad un periodo di recupero e di riflessione di almeno 30 giorni, al fine di scegliere se collaborare o meno con le autorità e il diritto a ricevere un indennizzo e il risarcimento per quanto subito.

Per quanto riguardo le misure di assistenza, si afferma che dovrebbero essere garantiti quanto meno un alloggio adeguato, l'assistenza psicologica e materiale, l'accesso alle cure mediche d'urgenza, l'aiuto in materia di traduzione e interpretariato e l'accesso all'istruzione per i minori.

Si tratta di misure che non sono condizionate alla volontà della vittima di cooperare nel procedimento penale e peraltro più ampie di quelle previste della previgente decisione quadro 2002/629/GAI adottata in ambito comunitario.

L'approccio del Consiglio d'Europa, sebbene più ampio di quello dell'Unione europea, è stato ritenuto ancora troppo ristretto. Nonostante, inizialmente, la Convenzione fosse destinata ad essere più centrata sui diritti umani rispetto alla direttiva europea, le sue misure obbligatorie si rivelarono simili a quelle previste da quest'ultima, mentre un più alto standard di protezione fu solo incoraggiato (30).

La storia di approvazione della Convenzione può aiutare a comprendere la mancanza di previsioni obbligatorie sulla protezione di tutte le persone vittime di tratta: nonostante il mandato del comitato di redazione (CAHTEH) fosse quello di concentrarsi sui diritti umani, molte delle più rilevanti previsioni non furono adottate a causa della riluttanza dei rappresentanti della Commissione europea ad approvarli. Questi rappresentanti al momento delle negoziazioni con il CAHTEH rigettarono molte delle misure protettive proposte dall'Assemblea parlamentare (31).

Sulla scorta di questa 'nuova' consapevolezza in ordine alla necessaria implementazione di una pluralità di azioni idonee a contrastare il fenomeno della tratta, recentemente l'Unione europea è giunta alla definizione di un nuovo strumento normativo, la direttiva 2011/36/UE, con il quale è stato adottato per la prima volta una prospettiva olistica nel contrasto di questo fenomeno criminale.

In particolare, significative appaiono le novità in ordine alla prevenzione della tratta nonché all'assistenza e al sostegno delle vittime, pressoché assenti nella previgente decisione quadro, ma insufficienti anche laddove l'Unione europea, come si vedrà, si è preoccupata di predisporre misure repressive nei confronti dei datori di lavoro che assumono alle loro dipendenze cittadini di Paesi terzi irregolari, sottoponendoli a condizioni di grave sfruttamento lavorativo (32).

Note

1. CHAUDARY S., Trafficking in Europe: An Analysis of the Effectiveness of European Law, in Michigan Journal of International Law, 2011, 33, p. 78.

2. SPEZIA F., FREZZA F. PACE N.M., Il traffico e lo sfruttamento di esseri umani, Giuffrè, Milano, 2002, p. 14.

3. 'Protocol to Prevent, Suppress and Punish Trafficking in Persons, Especially Women and Children, supplementing the United Nations Convention against Transnational Organized Crime' e 'Protocol against the Smuggling of Migrants by Land, Sea and Air, supplementing the United Nations Convention against Transnational Organized Crime'. L'Italia, pur essendo uno dei primi firmatari della Convenzione, ha provveduto alla ratifica dei Protocolli in questione, autorizzata con legge 16 marzo 2006 n. 146, solo il 2 agosto 2006.

4. Art. 3, lett. a), Protocol against the Smuggling of Migrants by Land, Sea and Air, supplementing the United Nations Convention against Transnational Organized Crime: "Smuggling of migrants shall mean the procurement, in order to obtain, directly or indirectly, a financial or other material benefit, of the illegal entry of a person into a State Party of which the person is not a national or a permanent resident".

5. Art. 3, lett. a), Protocol to Prevent, Suppress and Punish Trafficking in Persons, Especially Women and Children, supplementing the United Nations Convention against Transnational Organized Crime: "Trafficking in persons shall mean the recruitment, transportation, transfer, harbouring or receipt of persons, by means of the threat or use of force or other forms of coercion, of abduction, of fraud, of deception, of the abuse of power or of a position of vulnerability or of the giving or receiving of payments or benefits to achieve the consent of a person having control over another person, for the purpose of exploitation. Exploitation shall include, at a minimum, the exploitation of the prostitution of others or other forms of sexual exploitation, forced labour or services, slavery or practices similar to slavery, servitude or the removal of organs".

6. M. VENTRELLA, The control of people smuggling and trafficking in the EU: experiences from the UK and Italy, Farnham, Burlington Ashgate, 2010, pp. 10 e ss. (Introduction)

7. ANNONI A., Gli obblighi internazionali in materia di tratta degli esseri umani, in FORLATI S. (a cura di), La lotta alla tratta di esseri umani. Tra dimensione internazionale e ordinamento interno, Jovene Editore, Napoli, 2013, pp. 2-3.

8. Direttiva 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, e che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI, in GUUE L 101 del 15 aprile 2011.

9. RIJKEN C., Trafficking in Human Beings for Labour Exploitation: Cooperation in an Integrated Approach, in European Journal of Crime, Criminal Law and Criminal Justice, 2013, 21, p. 11.

10. UN Office in Drugs and Crime, Legislative Guides for the Implementation of the United Nations Convention Against Transnational Organised Crime and the Protocols thereto, 2004, p. 10-11.

11. GALLAGHER A.T., The international law of human trafficking, Cambridge University Press, 2010, p. 19-20.

12. COM (1996) 567 def. del 20 novembre 1996.

13. Parlamento Europeo, Risoluzione sulla tratta di esseri umani, Risoluzione A4-03226/95 del 18 gennaio 1996, in GUCE C 32 del 5 febbraio 1996.

14. Azione comune 97/152/GAI del 24 febbraio 1997 adottata dal Consiglio sulla base dell'art. K.3 del Trattato sull'Unione europea riguardante la lotta alla tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei bambini, in GUCE L 63 del 4 marzo 1997.

15. NASCIMBENE B. e DI PASCALE A., Riflessioni sul contrasto al traffico di persone nel diritto internazionale, comunitario e nazionale, contributo in PALMISANO G. (a cura di), Il contrasto al traffico di migranti: nel diritto internazionale, comunitario e interno, Milano, Giuffrè, 2008, p. 33.

16. ANNONI A., Gli obblighi internazionali in materia di tratta degli esseri umani, in FORLATI S. (a cura di), La lotta alla tratta di esseri umani. Tra dimensione internazionale e ordinamento interno, cit., p. 7.

17. CALLAIOLI A., Art. 2 - Modifica dell'articolo 601 del codice penale. L. 11.8.2003 - Misure contro la tratta di persone (Commenti articolo per articolo), in Legislazione penale, 2004, 4, p. 649.

18. Art. 4, CEDU: "Nessuno può essere tenuto in condizioni di schiavitù o di servitù. Nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato od obbligatorio".

19. Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza del 26 ottobre 2005, Siliadin c. Francia.

20. Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza del 7 gennaio 2010, Rantsev c. Cyprus and Russia.

21. Ivi, par. 281.

22. Europa Press Release, L'Ue lancia un appello perché sia accordata maggior priorità alla lotta contro la tratta delle donne e dei bambini, Ip/01/35 del 7 Marzo 2001.

23. Decisione quadro 2002/629/GAI del Consiglio del 19 luglio 2002 sulla lotta alla tratta degli esseri umani, in GUCE L 203 del 1 agosto 2002.

24. GALLAGHER A.T., The international law of human trafficking, cit., p. 97-98.

25. NASCIMBENE B. e DI PASCALE A., Riflessioni sul contrasto al traffico di persone nel diritto internazionale, comunitario e nazionale, contributo in PALMISANO G. (a cura di), Il contrasto al traffico di migranti: nel diritto internazionale, comunitario e interno, cit., p. 35.

26. La ratifica da parte dell'Italia è avvenuta con legge 2 luglio 2010, n. 108.

27. Art. 4, lett. a), Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani: "L'espressione "tratta di esseri umani" indica il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l'alloggio o l'accoglienza di persone, con la minaccia dell'uso o con l'uso stesso della forza o di altre forme di coercizione, con il rapimento, con la frode, con l'inganno, con l'abuso di autorità o della condizione di vulnerabilità o con l'offerta o l'accettazione di pagamenti o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un'altra, a fini di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro o i servizi forzati, la schiavitù o pratiche simili alla schiavitù, la servitù o l'espianto di organi".

28. Art. 2, Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani: "La presente convenzione si applica a tutte le forme di tratta di esseri umani, sia a livello nazionale che transnazionale, legate o meno alla criminalità organizzata".

29. Relazione esplicativa della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, par. 61: "(...) In secondo luogo, i redattori hanno voluto che la Convenzione chiarisse che si applica alla tratta nazionale o transnazionale, legata o meno alla criminalità organizzata. Tutto ciò perché fosse chiaro che la Convenzione ha un campo d'applicazione più ampio e mira anche a rafforzare - come è indicato nell'art. 39 - il Protocollo di Palermo. L'articolo 1 comma 2, del Protocollo di Palermo dispone in effetti che le disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata si applicano mutatis mutandis al Protocollo salvo che il Protocollo stesso stabilisca altrimenti e l'articolo 3 comma 1 della Convenzione delle Nazioni Unite precisa che essa si applica a certi reati quando hanno carattere transnazionale e che vi è implicato un gruppo criminale organizzato".

30. RAFFAELLI R., The European Approach to the Protection of Trafficking Victims: the Council of Europe Convention. The EU Directive and the Italian Experience, in German Law Journal, 2009, 10, p. 212.

31. RAFFAELLI R., The European and Criminal law in the European union: The Legal Measures and Social Consequences of Criminal Law in Member States on Trafficking and Smuggling in Human Beings, in International Journal of Refugee Law, 2008, vol. 19, p. 771. Si veda in proposito: Parliamentary Assembly, Recommendation 1695 (2005) on the draft council of Europe convention on action against trafficking in human beings, 18 March 2005.

32. Si fa riferimento alla Direttiva 2009/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009, che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in GUUE L 168 del 30 giugno 2009.