ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

II. La tutela dei diritti fondamentali nella Piccola Europa

Gioia Bonaventura, 2015

1. Un'introduzione alla storia (giurisprudenziale) dei diritti fondamentali nel quadro della Comunità e dell'Unione europea

La storia, dal carattere quasi fiabesco, della progressiva affermazione dei diritti fondamentali nel golfo della Piccola Europa si snoda per oltre cinquant'anni e, pur essendo stata indubbiamente raccontata molte volte, presenta tutt'ora spunti significativi e interessanti: risulta impossibile dunque prescinderne, al fine di comprendere le sfide che attualmente l'Unione europea si trova a dover affrontare o, in prospettiva critica, al fine di sfidare l'Unione stessa sul campo della tutela dei diritti umani (1).

Se si volge lo sguardo indietro all'epoca della nascita delle prime Comunità europee e dei loro limitati compiti, meccanicistici ed economici, il confronto con il quadro attuale, prodotto dal progredire dell'integrazione europea, è di immediato apprezzamento. Nonostante il fallimento di una svolta dell'Unione in direzione apertamente e formalmente federale, concretizzata in quel progetto di Trattato-Costituzione arenatosi sotto gli strali dell'opinione pubblica e dei procedimenti di ratifica da parte dei singoli Stati Membri (dunque anche se l'Unione è tutt'ora una organizzazione internazionale, per quanto sui generis e di difficile inquadramento), l'attuale Unione si è comunque indubbiamente dilatata, assommando in sé compiti e funzioni che attengono al cuore della sovranità statale (2). Inevitabile che, una volta conquistato il mercato, l'UE si apprestasse al salto qualitativo e di livello, entrando anche nel campo dei diritti fondamentali. Tuttavia, i dubbi e le perplessità sulla credibilità del ruolo dell'Unione nell'ambito dei diritti umani non sono stati sciolti neanche dalle recenti svolte del Trattato di Lisbona, che ha ricondotto a sistema la struttura in pilastri su cui il sistema era precedentemente articolato (3).

In ogni caso, ciò che è certo è che la grande protagonista dei profili più disparati dell'integrazione europea, ma soprattutto -tornando alla storia che qui interessa- della tutela dei diritti fondamentali è la Corte di Giustizia, "appartata nel paese delle fiabe del Ducato del Lussemburgo" e circondata "da una benevola noncuranza da parte dei poteri costituiti e dai mass media" (4).

Una volta introdotta la protagonista, è utile precisare i capitoli che compongono la storia del percorso della Piccola Europa lungo la direttrice dei diritti fondamentali, il che può utilmente essere effettuato prendendo come riferimento il vigente articolo 6 TUE, il quale contiene al suo interno l'elenco delle fonti europee sui diritti.

Le diverse fonti sui diritti, che sono andate stratificandosi nel contesto dell'attuale Unione europea, sono infatti angolo visuale privilegiato per delineare il quadro generale della tutela dei diritti fondamentali. Tali distinti formanti sono appunto positivizzati all'articolo 6 TEU che isola tre distinti blocchi i quali, pur essendosi susseguiti cronologicamente, si intersecano e parzialmente si sovrappongono a causa della tangibile comunanza delle loro matrici (5). Allo stato attuale e massimamente in seguito alla formalizzazione della sua efficacia giuridica vincolante avvenuta con la revisione dei trattati del 2009, la fonte prima inter pares per la tutela dei diritti fondamentali nell'Unione europea è costituita dalla Carta dei diritti fondamentali, ovvero il Bill of Rights scritto dell'UE. Il secondo formante è invece rappresentato dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo: l'articolo 6 TUE, riempiendo quel vuoto riscontrato dalla Corte di Giustizia nel suo parere 2/94, introduce nel corpo dei trattati la base giuridica formale per l'adesione dell'Unione europea alla Convenzione. Una volta che il complesso processo di adesione sarà portato a termine, la CEDU e, ancora più significativamente la sua appendice costituita dal diritto vivente prodotto dalla Corte di Strasburgo, entreranno a far parte dell'ordinamento giuridico dell'Unione e l'organizzazione sarà direttamente assoggettata al controllo esterno e sussidiario dei giudici di Strasburgo. L'ultima fonte in materia di diritti fondamentali, quasi residuale, è in realtà la prima cronologicamente riscontrabile ed è costituita dalla categoria giuridica dei "principî generali" del diritto dell'Unione: entro questa elaborazione concettuale, effettuata in via pretoria dalla Corte di Giustizia, è inclusa anche la tutela delle prerogative dell'individuo a livello europeo, ricostruita dalla Corte a partire dalle tradizioni costituzionali comuni e dalla CEDU (6).

Portando a conclusione la metafora della storia europea sui diritti fondamentali conviene evidenziare, come d'altronde risulta da queste brevi e sintetiche considerazioni, che la narrazione in questione manca della sua parte più importante: un finale. Per sua natura, l'argomento dei diritti umani, in particolare nel momento in cui si privilegi l'aspetto dell'applicazione giurisprudenziale, non può mai dirsi concluso, come la storia europea insegna e in ogni caso, un capitolo decisivo, in grado di imprimere una certa direzione al finale, è rappresentato dalla vicenda dell'adesione all'a Convenzione europea, di cui si vuole sottolineare l'importanza e tuttavia il carattere di questione ancora in via di definizione.

2. L'iniziale silenzio dei Trattati istitutivi, le domande delle Corti nazionali e la (prima) risposta della Corte di Giustizia

I Trattati istitutivi delle Comunità europee non contenevano un catalogo di diritti fondamentali (7), non facevano rinvio ad una carta esterna, né menzionavano il dovere delle istituzioni di agire nel rispetto delle fondamentali prerogative dell'individuo (8), nonostante questa tematica costituisse una sorta di vera e propria topica nel contesto storico di ricostruzione postbellica (9). Molte le ipotesi ricostruttive avanzate in dottrina sulla valenza di questo silenzio, sul suo costituire o meno lacuna (10): ciò che è certo, è che questa mancanza ha reso ancora più evidente e marcata l'audacia interpretativa della Corte di Giustizia, alla cui opera si deve l'introduzione della tutela dei diritti fondamentali entro l'orizzonte comunitario.

Se si mettono a fuoco la fisionomia e i caratteri iniziali della Comunità economica europea, appare plausibile che tale silenzio non costituisse invero un vuoto di tutela: nella fase germinale dell'organizzazione internazionale, in cui i signa individuationis dell'integrazione europea -la primauté del diritto comunitario e la nozione di effetto diretto (11) - avevano da venire, il sentire dei Fondatori era probabilmente quello di voler mantenere in seno agli Stati membri la competenza in materia di tutela dei diritti fondamentali (12). Ciò vale a significare che il rispetto dei diritti fondamentali si pensava dovesse essere garantito anche nell'ambito delle materie comunitarie ad opera degli attori istituzionali nazionali (13); ovvero nel luogo naturale e deputato per la tutela dell'individuo nei confronti di atti arbitrari o abusivi provenienti dai centri di potere. Inoltre, quasi contemporaneamente all'istituzione delle Comunità europee, era stata allestita la valvola di sicurezza di matrice internazionale rappresentata dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (14), il cui meccanismo era destinato ad intervenire in via suppletiva ove le istanze nazionali di tutela si fossero dimostrate deficienti nell'assicurare il minimo comune denominatore di garanzia dei diritti umani.

Il "sentiero battuto" offriva uno sbocco certo e sicuro per la tutela delle libertà fondamentali dell'individuo: il vuoto normativo, conseguente alla mancanza di un Bill of Rights delle Comunità, non costituiva vuoto di tutela (15).

Questa posizione trova poi concreto riscontro nella prima giurisprudenza della Corte di Lussemburgo in materia - si intende ovviamente in senso lato - di diritti fondamentali (16).

Già a partire dagli Anni Sessanta, nelle primissime fasi della vita comunitaria, la Corte di Giustizia si trovava a fronteggiare richieste di riesame di atti CEE da parte dei quali i ricorrenti lamentavano la violazione dei diritti fondamentali, scontrandosi tuttavia con la mancanza di un qualunque riferimento ai diritti umani all'interno dei Trattati. Nelle prospettazioni dei ricorrenti, la illegittimità degli atti comunitari veniva non a caso collegata alla violazione delle previsioni di rango costituzionale interne al sistema dei singoli Stati, le quali dunque assumevano il ruolo di parametro rilevante.

La risposta dei giudici delle Comunità europee a simili questioni si risolse sostanzialmente in una declinazione di competenza, argomentata sulla base delle disposizioni sul ruolo della Corte di Giustizia. L'articolo 31 del Trattato istitutivo CE prevedeva infatti che il compito dell'istituzione giudiziaria comunitaria fosse quello di assicurare il rispetto del diritto nell'interpretazione e applicazione dei trattati: i diritti fondamentali sono collocati al di fuori dell'ambito di un tale rule of law, sono esterni all'ordinamento giuridico in cui la Corte di Giustizia stessa è collocata e sono del pari estranei alle fonti cui quest'ultima può fare riferimento (17).

In questa prima fase in cui le costruzioni comunitarie si stavano ancora assestando si evince dunque come l'obiettivo princeps della Corte di Giustizia fosse garantire la libertà d'azione degli organi CEE e l'autonomia dell'ordinamento europeo (18): queste due caratteristiche sarebbero certamente venuto meno se ogni atto comunitario avesse dovuto essere rispettoso delle garanzie costituzionali dei sei Stati membri (19).

Pertanto, incrociando le considerazioni sulla ratio del vuoto normativo e sullo scopo concreto verso cui questo primo filone giurisprudenziale risulta teso, quello che emerge è un quadro chiaro. Nell'architettura originale del sistema comunitario, i ruoli delle rispettive istanze e, a monte, la ripartizione delle competenze, erano ben chiari: le Comunità europee, entità internazionali (20), erano esclusivamente deputate a dare vita ad una forma di cooperazione economica tra la ristretta cerchia di Stati membri (cui sarebbe dovuta eventualmente seguire, secondo l'approccio funzionalista (21), un'integrazione sempre più stretta ed estesa ad altri campi). Eventuali e ipotetiche violazioni dei diritti fondamentali da parte delle azioni delle istituzioni europee dovevano essere neutralizzate, secondo i vari e tipici moduli di garanzia, ad opera degli attori nazionali, Corti costituzionali o giudici comuni.

3. Il Sessantotto dei diritti fondamentali nell'ordinamento europeo: l'inventio dei principî generali del diritto comunitario

È sufficiente uno scarto di tempo ridotto (ma di importanza cruciale ai fini dell'integrazione europea) per trovare una Corte di Giustizia che parla un linguaggio radicalmente diverso: a distanza di soli dieci anni dal primo caso sui diritti fondamentali, le circostanze sono infatti mature per una netta inversione di rotta.

Il registro della giurisprudenza della Corte di Giustizia muta infatti a partire dalla fine degli Anni Sessanta: i giudici europei introducono in via pretoria nell'ordinamento CEE una prima forma di protezione dei diritti fondamentali, basata su una fonte intermedia rispetto al diritto primario comunitario e al diritto derivato (22). I giudici iniziano a fare riferimento, nello svolgimento delle proprie funzioni, ad un sistema di principî non scritti desunti sia dai Trattati sia dagli ordinamenti degli Stati Membri; tali principî, immanenti nell'ordinamento giuridico in cui i giudici europei si trovano ad operare, hanno la funzione di criterio di integrazione e interpretazione del diritto CEE, nonché di parametro di validità delle norme derivate (23). A partire dalla sentenza Stauder, si afferma che la tutela dei diritti dell'uomo fa parte dei principî generali del diritto delle Comunità, la cui osservanza la Corte è chiamata a garantire (24). In questo modo la clausola generale "principî generali dell'ordinamento comunitario" viene riempita di un (ulteriore) contenuto, cioè la "tutela dei diritti fondamentali": in questo modo lo spettro del judicial review of legislation si amplia fino a ricomprendere anche i diritti dell'uomo.

Questo revirement, che investe l'appartenenza dei diritti fondamentali al nucleo del diritto che la Corte di Giustizia, nella sua funzione di tutrice della legittimità comunitaria, si trova a dover applicare, deve essere contestualizzato in riferimento all'evoluzione normativa ed istituzionale di cui la CEE è stata protagonista proprio nell'arco di quel decennio intercorso dai tempi di Stork e gli altri casi similari: una rivoluzione copernicana dai possibili effetti negativi, in grado di trasformare quel vuoto normativo dei Trattati in materia di diritti umani in un vuoto di tutela.

A seguito delle pietre miliari Van Gend en Loos e Costa c. ENEL (25) con cui le nozioni di primazia ed effetto diretto si fanno strada nella costruzione comunitaria, inizia a sgretolarsi quella solida architettura, facente perno sulla tutela accordata dagli attori nazionali anche in ambito CEE. La immediata conseguenza dell'affermazione dell'effetto diretto e della primazia comunitaria è quella di determinare la formazione di un cono d'ombra nel sensibile ambito dei diritti dell'uomo, poiché il precipitato concreto di due concetti è di vanificare e rendere inammissibile ogni eventuale controllo normativo o giurisdizionale sugli atti CEE ad opera degli Stati Membri. Ben si comprende la viva necessità di un overruling in merito alla precedente posizione giurisprudenziale, in modo tale da porre fine all'odiosa inesistenza di tutela dei diritti umani a livello comunitario: la ricerca e l'allestimento di una qualche forma di protezione dei diritti umani diventa perciò obiettivo principale della Corte di Giustizia, vero e proprio "imperativo giuridico e politico" (26).

Alla luce di simili considerazioni, non sembra essere un caso che il revirement dei giudici di Lussemburgo avvenga compiutamente proprio nella sentenza Internationale Handelsgesellschaft (27): in questa pronuncia infatti la piena enunciazione della gap filling rule, alla stregua della quale la Corte di Giustizia ha veicolato la protezione dei diritti fondamentali entro l'ambito applicativo del diritto europeo (28), si accompagna ad un'affermazione altrettanto cruciale. La primauté communautaire è qui portata al suo acme, poiché i giudici europei sanciscono la prevalenza del diritto comunitario anche nei confronti delle normative di rango costituzionale degli Stati membri. All'interno del corpus giurisprudenziale in tema di diritti fondamentali, questa sentenza riveste una posizione centrale e assume una rilevanza tutta particolare proprio perché vi si intrecciano queste due forti affermazioni giudiziali, segnando inoltre il momento di inizio del conflitto dialettico tra (alcune) istanze nazionali e la Corte di Lussemburgo (29).

Venendo dunque a tale gap filling rule, la sentenza citata costituisce exemplum significativo del modus operandi con cui la Corte di Giustizia ha introdotto la propria forma di tutela dei diritti fondamentali nell'ordinamento di riferimento. In tale pronuncia salta agli occhi una soluzione di continuità quasi esasperata con il precedente indirizzo giurisprudenziale dei giudici di Lussemburgo: si ribadisce infatti l'impossibilità di subordinare la validità e l'efficacia del diritto derivato comunitario a parametri esterni, pena un vero e proprio imbastardimento del diritto CEE e una perdita in termini di autonomia per la stessa organizzazione internazionale (30). È escluso che si imponga a livello europeo il rispetto delle singole normative nazionali (anche) in merito al rispetto dei diritti umani. Questa salda riaffermazione di un legame ideologico con il passato, una sorta di tensione verso una giurisprudenza coesa, è in realtà sintomatica del revirement prossimo venturo. Nel continuo dell'iter argomentativo, la Corte riprende infatti quel fatale obiter dictum che aveva quasi casualmente lasciato cadere nella sentenza Stauder, ampliandolo e delineandone con più precisione i contorni: "è tuttavia opportuno accertare se non sia stata violata alcuna garanzia analoga [a quella eventualmente presente negli ordinamenti nazionali], inerente al diritto comunitario. La tutela dei diritti fondamentali costituisce infatti parte integrante dei principî giuridici generali di cui la Corte di Giustizia garantisce l'osservanza. La salvaguardia di questi diritti, pur essendo informata alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, va garantita entro l'ambito della struttura e delle finalità della Comunità" (31).

Una volta così creato, nell'alveo giuridico comunitario, uno spazio per la tutela dei diritti fondamentali, il successivo step è perfezionare il passepartout "tutela dei diritti fondamentali come principî generali", specificando il cuore e soprattutto i confini della garanzia apprestata. L'iniziale, riferimento, invero piuttosto generico, al sintagma "tutela dei diritti fondamentali" deve infatti necessariamente andare incontro a una maggior definizione, pena una fantasiosa e sfrenata libertà ricostruttiva che, questa sì, forse davvero avrebbe potuto far levare le voci contro il gouvernament des jueges (32).

Questo avviene in realtà, sin da subito, nella stessa Internationale Handelgesellschaft, la quale a ben vedere contiene ben due "radici concettuali" che verranno rimarcate e anche completate dalla successiva giurisprudenza. Infatti, vi troviamo innanzitutto un primo criterio identificativo alla cui stregua deve informarsi la tutela dei diritti fondamentali nell'ambito europeo: le tradizioni costituzionali comuni (33) agli Stati Membri (34). A questo si affiancherà, in sentenze successive, un secondo parametro, i trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell'uomo, cui gli Stati aderenti alla CE hanno cooperato e aderito, i quali, insieme al riferimento costituzionale interno, "possono fornire elementi di cui occorre tenere conto nell'ambito del diritto comunitario" (35). Dalla prassi della Corte di Giustizia emerge poi con chiarezza che il riferimento privilegiato sulla massa dei trattati internazionali è in realtà la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (36) e ben presto questi due parametri, indicazioni quasi metodologiche per l'opera di costruzione della tutela comunitaria, andranno a fondersi in un'unica clausola di stile (37).

La seconda indicazione di Internationale Handelgesellschaft, che va a definire i contorni della garanzia apprestata a livello comunitario, anche se per una finalità e in una maniera diverse rispetto ai "criteri metodologici", è il riferimento alla realizzazione di una tutela dei diritti fondamentali nell'ambito della "struttura e delle finalità della Comunità". L'inciso in questione rappresenta la nuova declinazione della tutela dell'autonomia e specificità della Comunità europea e del suo diritto: una volta adempiuto all'imperativo giuridico-politico, alla cui stregua era necessaria una qualche forma di garanzia dei diritti fondamentali a livello europeo, la Corte di Giustizia non cessa di tutelare l'autonomia dell'ordinamento comunitario, ma persegue l'obiettivo con modalità adattate al nuovo scenario.

Il significato non poi troppo recondito dell'inciso è quello di indicare che la garanzia dei diritti fondamentali, ora presente e realizzata nella CEE, è autonoma e diversa rispetto a quella propria degli ordinamenti interni dei singoli Stati Membri; anzi, a parità di contenuto dei diritti tra i due distinti livelli, ben può non aversi identico contenuto della tutela concretamente apprestata (38).

Questo è reso manifesto considerando che la ponderazione tra interessi contrapposti, la limitazione dei diritti, ovvero il sostrato logico perché si possa a monte parlare di diritti fondamentali e della loro tutela (39), risente dell'ambientazione specifica nell'ordinamento comunitario: i limiti che i diritti fondamentali incontrano in questa dimensione non sono né sintesi né aggregato degli interessi degli Stati Membri, bensì sono gli obiettivi di interesse generale perseguiti dalla Comunità (40).

Tali obiettivi della Comunità, con cui si intende indicare in senso ampio l'intera struttura dell'organizzazione internazionale e l'impianto del diritto comunitario, hanno dunque una valenza superiore e rafforzata, tale da legittimare una limitazione dei diritti fondamentali, che si caratterizzerà come sintomatica, specifica, appartenente all'ordinamento CEE (41).

Questo appare confermato dalla successiva giurisprudenza europea, in cui la Corte afferma che i diritti fondamentali non sono delle prerogative assolute, ma incontrano limiti legittimi nel momento in cui, corrispondendo ad obiettivi di interesse generale della Comunità, non costituiscono un intervento sproporzionato e intollerabile, che attenterebbe alla sostanza stessa del diritto così tutelato (42).

Queste considerazioni sulla specificità della tutela europea, o se si preferisce sulla sua originalità, trovano riscontro nel modo in cui la Corte ha progressivamente dato vita a un Bill of Rights non scritto della Comunità, cioè concretamente nel modo in cui i giudici europei hanno utilizzato i due criteri di ricostruzione dei principî generali, ovvero le tradizioni costituzionali comuni e la Convenzione europea. Questo modus operandi infatti è stato definito, in maniera piuttosto calzante - quasi ut pictura poesis-, "maieutico" (43): la Corte, pur rinvenendo da un punto di vista formale il materiale base nelle fonti costituite dalle Costituzioni nazionali e dalla Convenzione Europea, procede autonomamente, creativamente, alla definizione del concreto spazio di tutela disponibile entro l'orizzonte comunitario (44). Affermare che la "salvaguardia di tali diritti fondamentali" debba essere garantita "nell'ambito della struttura e della finalità della Comunità", significa esattamente questo: nella loro opera di ricostruzione i giudici europei non vanno ad apprezzare il grado di convergenza degli ordinamenti nazionali di riferimento in merito ad una determinata forma di tutela di un diritto, quanto piuttosto ad apprezzare la consonanza della soluzione prescelta alle esigenze del sistema giuridico europeo (45). Le varie soluzioni offerte dalle tradizioni costituzionali degli Stati Membri o dalla Corte europea vengono valutate - ed è questa l'unica analisi comparativa di cui è possibile postulare l'esistenza - alla luce di uno specifico metro, lo spirito del Trattato istitutivo e le esigenze di una Comunità di diritto in via di edificazione (46). Da questo peculiare metodo di "integrazione selettiva" nella ricostruzione della dimensione europea di tutela dei diritti fondamentali, attraverso queste fonti di ispirazione, abbiamo così la radice del tratto tipico e originale della garanzia comunitaria.

Il diretto corollario di questo modo di procedere è infatti il mantenimento di un ruolo cassazionistico in seno alla Corte della Comunità: nel suo ruolo di interprete autentico delle esigenze di tutela dei diritti fondamentali, che ricordiamo, fanno parte del diritto della Comunità, precisamente dei suoi principî non scritti, la Corte mantiene saldo il monopolio sulla validità degli atti CE e allontana il rischio di interferenze esterne. I principî non scritti appartengono all'ordinamento comunitario e in quanto tali vivono nell'interpretazione che di loro offre l'interprete autentico a ciò preposto, ovvero la Corte di Giustizia (47).

3.1. La ratifica normativa dell'operato della Corte di Giustizia: gli Anni Novanta

L'attività giurisprudenziale di tutela dei diritti fondamentali ad opera della Corte di Lussemburgo si svolge indisturbata nell'isola felice della Piccola Europa, che nel frattempo ha ammesso alcuni nuovi Stati al proprio club (48), arrivando indenne al momento copernicano della caduta del muro di Berlino. L'ordinamento comunitario non è insensibile alla tematica dei diritti fondamentali, la cui cultura è ormai diffusa e penetrata a fondo nell'organizzazione grazie all'attività giurisprudenziale dei giudici europei; i terrori parossistici delle Corti Costituzionali degli Stati Membri sono stati soffocati (49) e le loro minacce non sono state messe in pratica.

Quasi paradossalmente, anzi, la marcata operazione di attivismo giudiziale della Corte di Giustizia non solo è andata esente dalle rimostranze degli altri organi comunitari, ma sono mancate anche le proteste di quegli attori nazionali custodi dei diritti fondamentali nei singoli Stati Membri, ovvero dei soggetti le cui prerogative sono state direttamente inficiate. L'ampliamento del parametro del sindacato della Corte di Giustizia, effettuato dalla stessa attraverso il ricorso alla fictio delle fonti non scritte, è stato infatti (non a torto) definito una rivoluzione tranquilla (50), nonostante la tenuità degli elementi testuali dei Trattati su cui si è fondata l'operazione logico-giuridica estensiva (51).

Tuttavia, qualcosa inizia a sgretolarsi alla fine degli Anni Ottanta, nonostante nessun attore istituzionale (né comunitario né nazionale) avesse mosso critiche all'affermazione curiale dell'appartenenza della tutela dei diritti fondamentali al nucleo del diritto comunitario non scritto, contribuendo indirettamente al consolidamento della linea giurisprudenziale in questione. In sede di revisione dei trattati si avvertì infatti la necessità di porre fine alla dissociazione tra una realtà sostanziale, di tutela pretoria dei diritti, e una realtà formale, di assenza di riferimenti espliciti nel tessuto normativo istituzionale dell'organizzazione internazionale. Nel Trattato sull'Unione Europea, adottato a Maastricht nel 1992, con cui si compie il salto di qualità verso l'integrazione politica (52), troviamo infatti l'articolo F §2 che contiene l'avallo ufficiale dell'impostazione operativa fatta propria dalla Corte di Giustizia a partire dalla sentenza Internationale Handelgesellschaft: "L'Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione di Roma del 1950 sui diritti dell'uomo e le libertà fondamentali, oltre che dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, come principi generali del diritto comunitario" (53).

La disposizione in questione rappresenta una ratifica normativa a livello di Trattato istitutivo di un'operazione condotta fra le righe dello stesso ad opera della Corte di giustizia: l'articolo F §2 è la cucitura di quello strappo teorico e di quella aporia formale che, se pur non evidenziato né dalle istituzioni europee né da parte degli Stati Membri, era comunque sussistente.

Dietro l'aspetto di questa operazione di labor limae, la cui portata su di un piano concreto è stata definita in maniera quasi brutale inutile (54), uno spunto di riflessione per converso utile è offerto dall'ambito in cui tale precisazione è avvenuta, la "sede costituente" dell'Unione europea, ovvero la sede di revisione dei trattati, momento che maggiormente caratterizza la matrice intergovernativa del progetto europeo. Il volgere del secolo si accompagna ad un atteggiamento degli Stati Membri mutato, meno lassista e ambiguo, più teso verso la riappropriazione dei propri spazi di competenza: il loro atteggiarsi a padroni dei trattati investe anche l'ambito della tutela dei diritti umani (55).

Il riferimento normativo ha trovato poi conferma nella successiva modifica dell'impianto dell'Unione europea, realizzata a distanza di un quinquennio con il Trattato di Amsterdam, istitutivo di uno spazio di libertà, giustizia e sicurezza (56). Il Trattato ha rafforzato il percorso della costruzione europea verso il rispetto dei diritti fondamentali, elevato a "principio fondativo" dell'Unione europea (57) e a condizione necessaria per l'ingresso e la partecipazione di nuovi Stati membri (58). Infine, ivi viene formalizzata la rilevanza dei diritti fondamentali anche nei confronti degli Stati già aderenti all'organizzazione, poiché viene introdotto un meccanismo sanzionatorio, consistente nella sospensione di alcuni dei diritti derivanti dai Trattati, che si attiva a seguito di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato Membro dei diritti fondamentali (59).

3.2. L'ambito del sindacato in materia di diritti fondamentali della Corte di Giustizia

In origine, la delimitazione del riparto di competenze in tema di diritti umani della Corte di Lussemburgo e delle Corti nazionali era decisamente netta, come si può facilmente intuire riflettendo sulle motivazioni che resero ineludibile l'invenzione (60) dei principî generali come fonte del sindacato in materia.

Il dualismo che investiva i rapporti tra i due distinti livelli trovava spazio anche in quest'ambito: la tutela dei diritti fondamentali si distingueva, nell'ordinamento comunitario e negli ordinamenti degli Stati Membri, per istituzione di riferimento, parametro normativo e campo applicativo. Dall'angolo visuale nazionale, l'attore istituzionale competente risulta essere la Corte Costituzionale o il giudice comune, il parametro normativo di riferimento i diritti fondamentali sanciti nelle "leggi fondamentali" e l'oggetto del sindacato gli atti normativi interni, con le varianti del caso imputabili al "modello di giustizia costituzionale" caratterizzante il singolo sistema giuridico. Dall'angolo visuale CEE, invece, l'istituzione di riferimento, la Corte di Giustizia, alla luce di un parametro composito e in continua definizione, ovvero i principî generali del diritto, valutava la consonanza ai diritti fondamentali europei degli atti delle istituzioni comunitarie. Un perfetto gioco degli specchi.

Ben presto però la linea di demarcazione va sfumandosi, poiché come la vicenda delle competenze nell'ordinamento comunitario (e non solo) insegna, le distinzioni sono chiare, immobili e non suscettibili di espansione solo a livello teorico. La Corte di Lussemburgo infatti, andando ad ampliare l'ambito applicativo dei principî generali del diritto comunitario, estende a monte anche gli spazi per la tutela europea dei diritti fondamentali: l'inevitabile e ovvia conseguenza dell'estensione della rilevanza dei principî è infatti l'ampliamento dei margini del proprio sindacato a discapito di un'erosione dell'ambito di garanzia dei meccanismi nazionali e della loro appendice sussidiaria internazionale (61).

Una tale estensione è avvenuta massimamente lungo due linee direttrici, che possono distinguersi prendendo come riferimento le due sentenze "capostipite" a partire dalle quali la Corte ha affermato tali orientamenti. Il primo dei due segmenti è stato inaugurato dai giudici europei nella sentenza Wachauf con cui viene affermato l'obbligo per gli Stati Membri di rispettare i principî generali quando danno attuazione al diritto comunitario, riportano così entro la sfera di competenza del giudice di Lussemburgo un primo fascio di atti normativi stricto sensu nazionali (62). Il singolo Stato è tenuto al rispetto dei principîgenerali del diritto CEE nel momento in cui va a dare esecuzione al diritto comunitario, potendo altrimenti incorrere nella scure della Corte di Giustizia, non rilevando né la consistenza né l'esistenza di un margine di discrezionalità per gli Stati membri nell'attuazione del diritto derivato comunitario (63).

L'opera di ritaglio di uno spazio sempre maggiore per l'applicazione del principio generale del rispetto dei diritti fondamentali è poi proseguita lungo la "linea ERT" (64). Gli Stati Membri devono rispettare tali fonti normative anche quando vanno a derogare al diritto comunitario o quando operano una restrizione alle quattro fondamentali libertà economiche sancite nei Trattati: si va così a ricomprendere entro le maglie del sindacato della Corte di Giustizia un ulteriore fascio di atti nazionali. Nella sentenza citata, in cui la Corte esamina la conformità di un regime di monopolio delle trasmissioni televisive rispetto al principio di libertà di espressione, si realizza così una forte espansione della giurisdizione europea in materia di diritti fondamentali e si introiettano ancora più cospicuamente i principî generali comunitari negli ordinamenti giuridici nazionali (65). Allo stato attuale, è possibile affermare che in linea generale i principî in questionetrovano applicazione rispetto a tutte le normative nazionali che rientrano nell'ambito applicativo del diritto comunitario. La Corte getta le basi per il proprio sindacato, ancorandosi a una sorta di clausola generale, riservandosene la modulazione del contenuto che, per la vaghezza della formulazione, si pone come difficilmente individuabile o prevedibile: l'unico limite certo è, non casualmente, quello affermato in negativo nella sentenza Cinéthèque e ribadito nel caso Vajnai secondo cui la tutela dei diritti fondamentali non può investire atti nazionali in materie del tutto estranee al diritto comunitario (66).

Passando ad un esame del dato normativo, possiamo notare che, in linea con lo spirito di minor remissività che caratterizza gli Stati Membri all'alba del 1990, nel corpo dei Trattati troviamo alcune indicazioni di senso contrario a tale attitudine espansiva mostrata dalla giurisprudenza europea. In primo luogo l'articolo F §2 del Trattato di Maastricht si limita ad affermare un obbligo di rispetto dei diritti fondamentali in capo all'Unione europea, senza menzionare la riferibilità concreta dell'obbligo agli Stati parte dell'organizzazione internazionale. A ciò si aggiunge anche una vistosa dimenticanza quale la mancata affermazione, rectius specificazione della competenza della Corte di Giustizia sul rispetto di tale obbligo da parte delle istituzioni alla quale si pone fine con un "correttivo" del Trattato di Amsterdam. Tuttavia tale Trattato continua a predicare l'obbligo di rispetto dei diritti fondamentali quali principî generali del diritto europeo relativamente alle sole attività delle istituzioni europee, mancando una codificazione dell'estensione giurisprudenziale sopra descritta.

Il brocardo latino del ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit non sembra trovare spazio nell'orizzonte europeistico, poiché i giudici del Lussemburgo hanno tenuto ferma la propria impostazione e continuato nel sindacato secondo gli estremi sopra delineati.

4. La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e l'adozione del Trattato di Lisbona

La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea è stata proclamata solennemente nell'ambito del Consiglio europeo di Nizza il 7 Dicembre 2000, data simboleggiante l'inizio delle complesse vicissitudini del primo Bill of Rights scritto nell'ambito UE (67).

Il documento, ribattezzato a motivo dell'ambientazione della sua entrata ufficiale sulla scena "Carta di Nizza", rappresenta una nuova fonte per la garanzia dei diritti dell'uomo: si tratta infatti di un altro sedimento - il secondo in senso cronologico - che, aggiungendosi ai principî generali del diritto UE, connota il paradigma europeo di tutela dei diritti fondamentali. Anzi, allo stato attuale nell'ordinamento giuridico della Piccola Europa, la Carta è considerata fonte e strumento primario in tale ambito (68).

La spinosa quaestio dell'efficacia giuridica da attribuirsi alla Carta, lasciata in sospeso dal temporeggiamento delle Alte Parti Contraenti e origine di un vero e proprio rovello della dottrina di tutta Europa (69), è stata sciolta, come noto, nell'ambito del Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1 dicembre 2009. Nella versione consolidata del Trattato sull'Unione europea troviamo infatti l'articolo 6, il quale sancisce ufficialmente che la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, come adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo (70), ha lo stesso valore giuridico dei trattati (71). Il nuovo articolo 6 TUE ha dunque chiarito in modo sintetico e quasi stringato la natura formale del Bill of Rights europeo, con un cambio di rotta inevitabile rispetto alla soluzione dell'incorporazione, prescelta nel naufragato progetto di Trattato-Costituzione, dovendo e volendo i conditores di Lisbona dare luogo a una decostituzionalizzazione dell'Unione europea e dei relativi trattativi istitutivi (72).

La portata innovativa e di rottura della solenne affermazione del valore giuridico della Carta deve in realtà perlomeno parzialmente ridimensionarsi: prima che questo fosse ufficializzato, una vastità di attori giurisdizionali tanto nazionali quanto internazionali aveva proceduto ad un utilizzo variegato della stessa, tanto da far parlare di un suo vero e proprio sdoganamento giurisprudenziale (73). Dopo la solenne proclamazione nizzarda, ma prima dell'entrata in vigore del Trattato stipulato a Lisbona, giudici comuni, Avvocati Generali della Corte di Giustizia, supreme giurisdizioni comuni e financo costituzionali, il Tribunale di prima istanza dell'Unione europea, nonché la stessa Corte EDU (74), si rifacevano al documento con modalità che a volte andavano oltre i (teoricamente ammissibili) riferimenti ad uno strumento di soft law (75), quale appunto la Carta europea. Ecco allora che forse sembra non solo possibile ma anche opportuno leggere l'articolo 6.1 TUE in chiave di (ennesima) ratifica normativo-formale di un processo già in moto a livello sostanziale-fattuale (76).

Una conseguenza importante che deriva dal riconoscimento dello stesso valore giuridico dei Trattati alle disposizioni della Carta di Nizza riguarda il principio cardine del sistema UE, ovvero il principio della primazia del diritto europeo. Subisce infatti un contraccolpo il presidio dei controlimiti, innalzato dalle Corti Costituzionali nazionali a tutela delle identità nazionali e composto prevalentemente dai principî relativi al rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali della persona. Nel momento in cui i diritti umani che la normativa UE deve rispettare sono positivizzati e sanciti in modo visibile nella Carta, risulta improbabile il verificarsi di un'antinomia tale da legittimare un intervento delle Corti nazionali a tutela dell'identità giuridica del proprio ordinamento. Attivare le difese costituzionali interne, sulla base di un contrasto del diritto dell'Unione con i diritti fondamentali propri dell'ordinamento, risulta un'eventualità sempre più lontana, nel momento in cui il diritto europeo promana da istituzioni tenute al rispetto di un parametro scritto di rango primario quale la Carta (77).

In ogni caso, l'affermazione della forza giuridica della Carta viene accostata nel testo ad un contrappunto, costituente il leitmotiv del Trattato di Lisbona definito, con sintagma efficace, l'assillo della sovranità (78) degli Stati Membri: il riconoscimento della vincolatività della Carta è indolore e rispettoso delle prerogative irrinunciabili dei "Padroni dei Trattati" proprio perché il Bill of Rights europeo non estende in alcun modo le competenze dell'Unione previste dagli stessi Trattati.

La disposizione - l'articolo 6.1 TUE ultimo alinea, tra l'altro riproduttivo di una clausola analoga inserita all'interno della stessa Carta dei diritti - vale a significare che il Bill of Rights non è un insieme di basi giuridiche per azioni legislative dell'Unione a tutela dei diritti umani, in modo tale da sopire i timori degli Stati nazionali di ulteriori erosioni della propria sovranità (79). Il diretto precipitato di questo assetto è che la funzione della Carta nel sistema è quella di parametro di legittimità del diritto dell'Unione (80).

In questa prospettiva appare significativo e apprezzabile anche l'ampliamento in merito alle condizioni che legittimano l'impugnazione degli atti dell'Organizzazione da parte delle persone fisiche e giuridiche. I requisiti di ricevibilità dei ricorsi nella loro versione originaria erano infatti molto netti e specifici, poiché era ammessa solo l'impugnazione di atti adottati nei confronti del soggetto ricorrente e di atti che lo riguardassero direttamente e individualmente (81). Una simile configurazione giuridica risultava comprensibile, lecita e ammissibile in un contesto in cui la produzione normativa comunitaria insisteva in ambiti esclusivamente economici e commerciali; tuttavia, con l'avanzare dell'integrazione e l'estensione della sfera competenziale dell'Organizzazione, questa formulazione restrittiva, che rende arduo il ricorso davanti alla Corte di Giustizia da parte del cittadino leso da un atto UE di cui non sia il destinatario giuridico, entra in conflitto con il valore della tutela giurisdizionale effettiva, principio generale dell'ordinamento comunitario (82). Il Trattato di Lisbona ha ampliato all'articolo 263.4 TFUE le condizioni di ricevibilità dei ricorsi individuali: nel nuovo quadro è possibile che l'individuo proponga ricorso avverso gli atti regolamentari che lo riguardano direttamente e che non comportano misure di esecuzione. Ulteriori previsioni, che rafforzano la posizione dell'individuo di fronte alle istanze giurisdizionali dell'Unione, sono inserite nell'articolo 263.5 TFUE, il quale prevede che gli atti istitutivi di organi e organismi dell'Unione possano prevedere condizioni e modalità specifiche per i ricorsi delle persone fisiche o giuridiche proposti contro gli atti di tali istituzioni; nonché l'articolo 267.4 TFUE, che significativamente prevede un "binario accelerato" per quei rinvii pregiudiziali che vengano sollevati nel corso di giudizi riguardanti soggetti in stato di detenzione (83).

4.1. La ratio ispiratrice dell'adozione di un Bill of Rights europeo

La redazione di un catalogo scritto dei diritti e la sua successiva elevazione a rango di diritto primario dell'Unione rappresentano la concretizzazione di un auspicio "di lunga data", che da molto tempo infatti si affacciava nei dibattiti delle istituzioni politiche della ex Comunità europea (84).

Il momento della scrittura (85) dei diritti potrebbe apparire come una superfetazione agli occhi dei giuristi più dogmatici, poiché sul piano formale non vi era nessuna lacuna normativa da colmare in materia, né alcun cono d'ombra da illuminare, stante lo sviluppo dei principîgenerali dell'ordinamento europeo ad opera della Corte di Giustizia, un viluppo vischioso e magmatico, ma comunque reputato in grado di offrire una sufficiente salvaguardia alle prerogative fondamentali della persona umana.

Quale dunque il senso di dare corso all'idea di un Bill of Rights europeo all'alba del nuovo secolo? Sulla carta - letteralmente: si intende infatti fare riferimento al Preambolo della Carta europea - lo specifico valore del catalogo è non a caso quello di un restatement of law, un'operazione ricognitiva e meramente codificatoria dei diritti fondamentali esistenti, rinvenuti dai giudici nel corso della propria attività in una pluralità di fonti di ispirazione diverse ma europee. Il fine della codificazione è di rendere tali diritti più manifesti e visibili, quasi che gli stessi fossero particelle disperse nell'universo della giurisprudenza europea e, in quanto tali, scarsamente conoscibili (86). Questa considerazione trova del resto una conferma nella Decisione del Consiglio europeo di Colonia (87), in cui emblematicamente si rileva come allo stato attuale dello sviluppo dell'Unione sia necessario elaborare una Carta di tali diritti al fine di sancirne in modo visibile l'importanza capitale e la portata per i cittadini dell'Unione.

In realtà, proprio queste parole ufficializzate a Colonia aiutano a far ulteriormente luce, ipotizzando una risposta, sull'interrogativo iniziale: perché ora un catalogo di diritti?

Le esigenze additate al fine di spiegare la ratio dell'adozione della Carta dei diritti fondamentali europea sono molteplici e afferenti agli ambiti concettuali più diversi e controversi; tuttavia, soprattutto con il pragmatico "senno di poi" - o se si vuole mantenere una parvenza di giuridicità, con una valutazione ex post degli avvenimenti -, appare evidente che l'affaire Nizza è riconducibile all'esigenza di dare visibilità politica all'Unione e soprattutto di preparare il terreno per la svolta in senso "costituzionale" dei trattati istitutivi (88). Il mutamento di prospettiva, dal mercato e gli obiettivi economici tout court, ad uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia (prodromico al salto di qualità verso i futuristici "Stati Uniti d'Europa") effettuato con il Trattato di Amsterdam del maggio '99, richiede infatti una carta dei diritti, che è "la più significativa modalità per dare forma giuridica a una comunità politica, riflettendone l'identità (ovvero i valori condivisi)" (89). La constatazione di questo motivo generale e politico di inclinazione verso il Bill of Rights europeo - constatazione peraltro suffragata dalle successive vicende della "corsa alla Costituzione" - non si presenta però isolata, ma va ad intrecciarsi e a fondersi con altre circostanze, talune contingenti (90), altre tangibili e giuridiche, in una sorta di nodo gordiano che rende difficile una scomposizione matematica dei motivi che hanno spinto verso l'adozione della Carta europea.

Tra le diramazioni dello snodo vengono particolarmente in rilievo sia l'incombente allargamento ad Est (e a Sud) della Piccola Europa sia la conseguenza del mutamento di prospettiva di cui sopra, ovvero l'ampliamento delle competenze dell'organizzazione internazionale.

Dopo anni di "messa alla prova" formale - la partecipazione al Consiglio d'Europa e la sottoposizione alla lente di ingrandimento CEDU degli aspiranti membri dell'UE - l'apertura dell'esclusiva membership della Piccola Europa nei confronti degli Stati candidati non può più essere rimandata a lungo. Tuttavia, le incerte tradizioni costituzionali dei nuovi Stati, freschi di democrazia, fanno sembrare preferibile una declinazione scritta e stabile di quei valori occidentali da cui tali paesi erano stati tenuti lontani a causa del susseguirsi di egemonie e dittature (91).

Appare ancora più plateale e giuridicamente pregnante la considerazione della necessità di un'apposizione di limiti più stringenti, come quelli della Carta di Nizza (rectius di una fonte scritta), nel momento in cui le materie di competenza del "Legislatore" europeo vanno ad estendersi fino a ricomprendere la libertà e la sicurezza dei cittadini, pena una smentita del sistema stesso ed una sua consistente perdita di credibilità. Problematiche quali la lotta alla criminalità organizzata internazionale nell'ambito della cooperazione delle forze di polizia, il fenomeno migratorio, la mondializzazione dell'economia e i cambiamenti strutturali del mercato del lavoro finiscono per insistere nel raggio di interesse dell'Unione, rendendo imprescindibile una chiara definizione dei diritti fondamentali da salvaguardare nel perseguimento degli obiettivi dell'Organizzazione (92).

Queste due implicazioni, che costituiscono il sostrato di quello stato attuale di sviluppo dell'Unione, sono dunque il presupposto della necessità di un catalogo scritto dei diritti fondamentali, il quale raccolga e renda più manifesti i diritti fondamentali, sancendone in modo visibile l'importanza capitale e la portata, in virtù e in preparazione di una svolta in senso costituzionale dell'UE (93).

4.2. La struttura e il contenuto: le luci della Carta di Nizza

La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea si compone di un altisonante Preambolo, nel nome dei "popoli d'Europa", il quale fa riferimento ai valori universali, comuni e indivisibili su cui l'Unione si fonda e di cinquantaquattro articoli ripartiti in sette titoli, di cui l'ultimo dedicato alle disposizioni generali in tema di interpretazione e applicazione del documento. Tali norme, ribattezzate significativamente "clausole orizzontali", non rappresentano dunque una miscellanea di articoli ai quali risulti impossibile dare una diversa collocazione sistematica, ma enunciano il campo applicativo della Carta, i suoi destinatari, nonché la sua portata in relazione alle altre fonti del complesso scenario giuridico europeo in tema di diritti fondamentali. La scelta, inedita per un testo dalla parvenza "costituzionale" (94), si pone come ormai necessaria ed inevitabile in considerazione della dimensione tendenzialmente globale propria dei diritti fondamentali e della loro tutela, improntata a incontri e scontri tra diversi ordinamenti o, secondo la versione attualizzata e di tendenza, livelli.

Da un punto di vista strutturale, quando si parla della Carta di Nizza ciò che salta in primo luogo agli occhi è una vera e propria innovazione ordinatoria in punto di classificazione dei diritti fondamentali. Nel catalogo europeo non è dato riscontrare la canonica ripartizione alla stregua della tradizionale tipologia dei diritti (95), bensì i diritti soggettivi sono organizzati intorno a delle categorie valoriali. Il discrimen utilizzato è infatti un valore o, se si preferisce, un principio fondamentale del costituzionalismo (nella specie si parla di "dignità", "libertà", "uguaglianza", "solidarietà", "cittadinanza" ed infine "giustizia" (96)) e ogni etichetta assiologica raggruppa entro le proprie maglie le singole species giuridiche, ovvero i singoli diritti.

Questa tecnica redazionale non è priva di effetti di rilievo pratico, poiché indubbiamente può offrire risorse e spunti per l'attività ermeneutica di competenza delle istituzioni giudiziarie: dalla allocazione di un certo diritto entro una determinata etichetta valoriale discendono infatti conseguenze sulla ricostruzione della portata della tutela da garantire. La migliore - nel senso di scarsamente contestabile e quindi maggiormente condivisibile - interpretazione delle norme è quella coerente con il valore di riferimento, teleologicamente orientata, quella su cui il principio getta luce, arricchendo e precisando le formulazioni tecnico-giuridiche dei singoli diritti soggettivi (97). Nel concreto poi, la riconducibilità dei diritti ad una o ad un'altra categoria valoriale potrà avere un precipitato concreto nelle ipotesi in cui vi sia necessità di un bilanciamento tra diritti fondamentali e concretamente, nel sacrificio dell'uno a discapito dell'altro.

La classificazione per principî si segnala inoltre per favorire la duplice tendenza del catalogo all'esaustività e alla completezza, propria di ogni opera di codificazione che si ponga con qualche accento di presunzione (98). Sotto questo profilo, in un confronto con l'altra carta internazionale caratterizzante il panorama europeo dei diritti, i conditores del progetto europeo (i quali sono poi riuniti in una formazione tale da offrire un ampio ventaglio di esperienze, conoscenze e ideologie) hanno indubbiamente l'opportunità di distinguersi e migliorarsi grazie al lasso di tempo intercorso dall'adozione del catalogo CEDU, in modo tale da poter correggere miopie e distorsioni che, se tali non apparivano negli Anni Cinquanta e in un contesto storico di particolare delicatezza, iniziano a pesare alla luce dell'esperienza nel frattempo maturata. Ed è così che nella Carta di Nizza troviamo affermata l'indivisibilità dei diritti: non più i soli diritti civili e politici, ai quali si limita il catalogo della CEDU, ma anche, e finalmente, i diritti economico-sociali (99), nonché i diritti di "terza generazione", quelli, riprendendo le parole del Preambolo della Carta, dovuti all'evoluzione della società e agli sviluppi scientifici e tecnologici (100).

Le "vistose assenze" che caratterizzano il diretto concorrente normativo della Carta di Nizza, imputabili sia a cause soggettive (se già nel '50 l'entusiasmo degli Stati Membri verso un controllo esterno in tema di diritti civili e politici era scarso, ipotizzare di estendere il controllo nell'ambito dei diritti socio-economici era fantascienza à la Philip K. Dick) sia a cause oggettive (come l'impossibile pensabilità, a meno di non ricorrere alla sfera di cristallo, dei diritti connessi alla bioetica, all'ambiente, allo sviluppo tecnologico) sono dunque, all'apparenza, sanate dal documento dell'Unione europea, che viene a porsi come un catalogo, completo, ampio e svecchiato. Scendendo nel dettaglio del contenuto della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, il primo titolo, intitolato alla "Dignità", si apre con un'annunciazione di tenore analogo, a rimarcare la centralità del valore primario cui orbitano intorno gli altri principî e i relativi corollari. L'articolo 1 della Carta sancisce infatti l'inviolabilità della dignità umana, della quale si esige rispetto e tutela: nelle Spiegazioni relative a tale articolo vi è infatti un rimando alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, con la precisazione che nessuno dei diritti sanciti nella Carta può essere usato per recare pregiudizio alla dignità altrui e che la dignità umana fa parte della sostanza stessa dei diritti sanciti nella Carta. Si manifesta dunque da questo incipit che i diritti qui racchiusi sono quelli aventi carattere basilare, quasi sostrato logico-naturalistico e presupposto di tutti gli altri: vi troviamo infatti il diritto alla vita; la proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, nonché della schiavitù e del lavoro forzato. Nella sezione si trova poi sancito il diritto dell'individuo all'integrità psico-fisica, declinato secondo le esigenze della modernità poiché si prendono specificatamente in considerazione gli aspetti connessi agli sviluppi scientifici e alla bioetica (101).

Nella seconda etichetta dedicata alla "Libertà" troviamo poi altri diritti classici, quali la libertà e la sicurezza personale, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, la libertà di espressione e d'informazione e la libertà di riunione e associazione. Si sancisce poi la protezione di altre prerogative fondamentali della persona: ecco che trovano visibilità il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni, il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia nonché, con un'apertura a tematiche più sociali, il diritto all'istruzione e la libertà delle arti e delle scienze. Il titolo continua poi con un trittico di articoli individualistici che risentono della specifica ambientazione nel proscenio liberale dell'Unione: la libertà professionale (102), la libertà di impresa e il diritto di proprietà. Trovano poi spazio alcuni diritti dei migranti, come il diritto di asilo e alcune linee guida in materia di protezione in caso di allontanamento, espulsione o estradizione. Infine, viene iscritto nel novero delle libertà anche il diritto di nuova generazione in tema di protezione dei dati personali.

L'"Uguaglianza" di stampo europeo prevede, oltre ad una clausola di stile sull'uguaglianza di tutti gli uomini di fronte alla legge, il principio di non discriminazione e il principio della parità tra i sessi. Si prevedono poi i diritti del bambino, degli anziani, nonché l'inserimento dei disabili; infine, con un significativo cambiamento lessicale, si ribadisce che l'Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica.

Il titolo dedicato alla Solidarietà è sicuramente quello più controverso e importante, in cui si prevedono i diritti sociali, operando un calco da alcune previsioni della Carta Sociale Europea, come quelle in materia di sicurezza sociale e assistenza sociale. In realtà il titolo ha un contenuto variegato: vi sono sia diritti inerenti al rapporto di lavoro (come il diritto dei lavoratori all'informazione e consultazione nell'ambito dell'impresa, il diritto di negoziazione e azioni collettive, il diritto a condizioni di lavoro giuste ed eque e la necessità di una tutela in caso di licenziamento ingiustificato) o precedenti l'instaurazione dello stesso (il diritto di accesso ai servizi di collocamento), accompagnati a disposizioni di carattere più generale, come la proibizione del lavoro minorile, la protezione della vita familiare e l'accesso ai servizi di interesse economico generale; ma anche il diritto alla salute, la tutela dell'ambiente e la protezione dei consumatori.

La Carta prosegue poi smentendo le sue premesse di universalità dei diritti prevedendone un'intera categoria dedicata esclusivamente ai cittadini europei, con singole previsioni in cui si registra lo scivolamento lessicale dal termine "individuo" al termine "cittadino europeo". Un primo raggruppamento di diritti ricalca le previsioni degli articoli 20-25 TFUE: diritto di voto e eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali, diritto di ricorrere al mediatore europeo, diritto di petizione, la libertà di circolazione e di soggiorno, la tutela diplomatica e consolare. Oltre a questi troviamo alcuni diritti non compresi nel corpo dei Trattati, ovvero il diritto a una buona amministrazione e il diritto di accesso ai documenti dell'Unione, che, come già ricordato, sono stati tra i primi ad aver trovato applicazione a livello giurisdizionale.

Infine, l'ultimo dei titoli sostanziali, dedicato alla Giustizia, include un gruppo di disposizioni dedicate ai "diritti procedurali" in cui figurano il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, il diritto di difesa e la presunzione di innocenza, il principio di legalità e proporzionalità delle pene e dei reati e il divieto di ne bis in idem.

4.3. Abdicazione definitoria, principî e diritti, le Spiegazioni: le ombre della Carta di Nizza

Nel momento in cui si passa da un esame strutturale, per sua stessa natura tendenzialmente superficiale ed esterno, ad un esame più ravvicinato del contenuto della Carta dei diritti fondamentali, emergono una pluralità di aspetti problematici che valgono a ridimensionare quello slancio di grandiosità e solennità, consacrato simbolicamente nelle parole del suo Preambolo (103).

Le molte luci della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - la completezza del catalogo di diritti, il valore dell'indivisibilità, la celebrazione dei valori della civiltà europea - non sono sufficienti a nascondere le ombre, quelle perplessità che emergono da alcune scelte aventi carattere tecnico, ma dall'indubbio risvolto sostanziale, come le metodologie redazionali e le opzioni interpretative positivizzate nel testo. Tra queste ombre è possibile riscontrare sia tendenze generali, dal carattere quasi immanente, quale il frequente ricorso alla tecnica del rinvio legislativo nel corpo del testo dei diritti, sia aspetti più specifici, attinenti alla Carta nella sua dimensione di documento da interpretare e applicare, come la formalizzazione della distinzione tra diritti e principî e i controversi riferimenti alle Spiegazioni.

Scendendo più nel dettaglio, un primo snodo problematico riguarda il manifestarsi di una tendenza all'abdicazione definitoria nel corpo normativo della Carta (104): numerose e frequenti sono infatti le clausole di rinvio alla normativa nazionale e/o comunitaria per quanto riguarda gli aspetti di definizione del contenuto dei diritti (105). Gli ambiti in cui queste vie di fuga insistono sono poi, non casualmente, quelli più sensibili, come gli aspetti più controversi di alcuni diritti civili (massimamente il diritto di sposarsi e costituire una famiglia, che richiama la problematica dei diritti delle coppie omosessuali, il diritto all'obiezione di coscienza) e i diritti economici e sociali (la libertà di impresa, i diritti dei lavoratori, i diritti in tema di sicurezza sociale ed assistenza sociale, il diritto all'istruzione nonché il diritto alla salute). La ratio di tali riserve in favore del Legislatore (comunitario o nazionale) è eminentemente ed evidentemente elusiva rispetto a una scelta politica in punto di contenuto dei diritti fondamentali: gli ardori e i fervori dei membri della Convenzione ne risultano non solo ridimensionati, ma anche sviliti (106).

La tendenza all'abdicazione definitoria si snoda poi anche nel ricorso a una formulazione talmente generica da far dubitare della precettività diretta delle disposizioni che la impiegano, così ampliando sensibilmente il margine di apprezzamento del Legislatore nella sua attività di attuazione dei diritti e dimezzando le possibilità di un controllo di legittimità effettivo da parte del giudice. Le materie in cui è dato rinvenire l'impiego di queste formule generali sono ancora una volta quelle intrise da una vena di polemicità, terreno di scontro "politico": i diritti di terza e quarta generazione, come il diritto a condizioni di lavoro giuste ed eque o le disposizioni in tema di tutela ambientale (107).

Questa tendenza può tuttavia essere messa a sistema, poiché il frequente ricorso ai rinvii (espressi e non) al Legislatore deve indubbiamente essere ascritto alla complessità istituzionale dell'Unione. Da un punto di vista redazionale, effettuare una sintesi valoriale completa ed omnicomprensiva, valevole e accettata da quindici (108) Stati appartenenti a tradizioni giuridiche anche molto lontane tra loro è, se non impossibile, concretamente molto difficile. Il rischio che la sostanza dei diritti venga infatti come prosciugata dall'interno è dunque il rovescio della medaglia in quei testi che finiscono inevitabilmente con l'avere carattere compromissorio; carattere che nel caso di specie è tanto implicito quanto palese, se si pensa che lo scopo dichiarato è quello di unire nella diversità una vasta congerie di formanti anche molto lontani tra loro (109).

Foriero di ulteriori spunti critici è poi anche l'articolo 52 della Carta, una di quelle disposizioni generali la quale è significativamente dedicata alla "Portata e interpretazione dei diritti e dei principi" (110). L'articolo in questione è uno di quelli maggiormente colpiti dagli "adeguamenti redazionali" ad opera del Gruppo Carta della Convenzione Giscard ed è stato rimaneggiato anche nell'ambito della Conferenza Intergovernativa del 2007. L'articolo in questione contiene molteplici disposizioni dal tenore eterogeneo, alcune delle quali quasi pirandelliane nel susseguirsi di indicazioni interpretative e meta-interpretative in un gioco di rimandi tutt'altro che facilmente comprensibile (111). Il sezionamento e l'analisi dei sette comma dell'articolo 52 portano ad individuare una prima clausola generale, in cui si sanciscono le condizioni di legittimità delle deroghe ai diritti contenuti nei sei titoli della Carta (112); una seconda clausola orizzontale e automatica, che individua possibili ambiti di coesistenza della Carta con altre fonti normative e detta il coordinamento con queste (113); una clausola generale che formalizza la distinzione tra diritti e principî; infine, un'ultima disposizione la quale contiene l'invito per i giudici dell'Unione e degli Stati membri chiamati ad interpretare e applicare il Bill of Rights a "tenere pienamente conto" delle legislazioni e prassi nazionali (114) e a "tenere in debito conto" le Spiegazioni elaborate dal Segretariato Generale della Convenzione.

Tutte queste clausole sollevano dubbi e problematiche, connotando in senso critico il contenuto concreto del Bill of Rights europeo e ridimensionandone la portata effettiva; tuttavia, tra queste si intende fare in particolare riferimento alla distinzione formale tra diritti e principî prevista all'articolo 52.7 del documento nonché alla disposizione del terzo comma, la quale attribuisce una specifica funzione ermeneutica alle Spiegazioni ufficiali della Carta.

Venendo al primo aspetto, l'articolo 52.7 enuncia una distinzione ontologica tra principîe diritti, collegando alle distinte fattispecie effetti divergenti: la questione ha dunque un preciso precipitato concreto sul profilo della tutela dei diritti umani e non sapore meramente teorico, nonostante sia indubbiamente annosa e affondi le radici nelle elaborazioni più raffinate della teoria generale.

La Carta di Nizza infatti dispone: "le disposizioni della presente Carta che contengono dei principi possono essere attuate da atti legislativi e esecutivi adottati da istituzioni, organi e organismi dell'Unione e da atti di Stati membri allorché essi danno attuazione al diritto dell'Unione, nell'esercizio delle loro rispettive competenze. Esse possono essere invocate dinanzi a un giudice solo ai fini dell'interpretazione e del controllo di legalità di detti atti".

La distinzione diritti-principî a livello UE non è un unicum che fa la propria comparsa solo nell'articolo 52.7, ma varie menzioni sono riscontrabili anche in altre parti dei testi di tenore "costituzionale" dell'Unione: la distinzione si trova infatti anche nel Preambolo della Carta di Nizza (115) e all'articolo 6.1 TUE.

Dal tenore dell'articolo 52.7, si evince che le conseguenze riconducibili alla distinzione tra disposizioni di principio e disposizioni che configurano diritti sono divergenti in senso sostanziale: da una parte, il principio non dà luogo a una pretesa direttamente azionabile e funziona essenzialmente come limite esterno di legittimità degli atti; dall'altra invece, il diritto ha per definizione il carattere della immediata esercitabilità davanti al giudice, e dunque della giustiziabilità.

Ricondurre le disposizioni sostanziali della Carta all'una o all'altra categoria implica quindi una diversa consistenza della tutela di cui l'individuo può fruire, in ragione del divergente regime di efficacia ricondotto ai due concetti. In linea di principio si tratta di un forte limite ad una garanzia effettiva, che dunque vale a svilire la portata innovativa e rivoluzionaria di un catalogo ampio e completo: per una sua parte infatti, il Bill of Rights europeo non risulta direttamente azionabile, ma relegato ad una funzione negativa di parametro di legalità di atti normativi. Tuttavia, non può negarsi che il dualismo de qua sia fenomeno conosciuto agli stessi ordinamenti nazionali; su questa linea sono state rintuzzate e tacitate quelle obiezioni critiche che riconducano questa disposizione a una forma di cautela nei confronti dei diritti e del ruolo di tutela del giudice europeo. Ad esempio, nel panorama italiano è stato osservato come l'articolo non faccia che riproporre, positivizzandolo, "ciò che noi pacificamente riteniamo [sussistente] riguardo ai principi espressi nella Costituzione" (116).

In realtà, ciò che sembra maggiormente criticabile è, più che l'esistenza in sé della distinzione diritti-principî, comune alla quasi totalità dei sistemi giuridici europei, la sua cristallizzazione in una forma rigida e predeterminata, inserita nel testo al fine di spuntare le armi offensive di quei diritti più pericolosi a rivendicarsi, valendo a stemperarne la portata e la normatività. La Corte di Giustizia ben avrebbe potuto autonomamente graduare la precettività delle disposizioni in maniera autonoma, "a colpi di sentenza", in linea con le altre realtà sovranazionali e nazionali, invece si è cercato di irrigidire la distinzione in una coppia rigidamente antinomica, creando non pochi problemi di sistema (117). A corroborare la problematicità del supposto nitore della coppia concettuale basti richiamare, tra i molti esempi possibili, le vicende di specifica ambientazione europea del principio di parità retributiva tra uomo e donna: la Corte di Giustizia ha ricavato dal principio fondamentale diritti immediatamente azionabili in una prospettiva tanto verticale quanto orizzontale (118).

In ogni caso è evidente che, in un simile assetto, momento essenziale e centrale diviene quello della individuazione della fattispecie giuridica, eppure a livello testuale non sono riscontrabili indicazioni più precise su cosa costituisca un diritto e cosa invece un principio. La Carta (nonché le sue Spiegazioni), pur indulgendo con dovizia di particolari a precisare l'efficacia che distingue un diritto da un principio nel contesto europeo, non è altrettanto prodiga di dettagli in merito al discrimen della coppia concettuale. Molto tenue sembra infatti l'appiglio offerto dalla sottile distinzione semantica, riscontrabile nel corpo del testo della Carta, secondo cui i principî sono osservati, mentre i diritti vengono rispettati da parte dell'Unione o da parte degli Stati Membri (119): una tale littera, al di là di un valore meramente indiziario, non fornisce alcuna indicazione positiva ai fini della individuazione di un criterio utile per distinguere diritti e principî. Indicazioni più pregnanti non possono essere rinvenute neanche con un esame semantico e terminologico delle disposizioni sostanziali dei primi sei titoli della Carta: quegli articoli che non sono direttamente intitolati a uno specifico diritto, come ad esempio l'articolo 26 "inserimento dei disabili", fanno però riferimento e dunque configurano dei diritti nel corpo del loro testo ("l'Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità") di tal ché la circostanza non sembra né provante né pregnante. Le stesse indicazioni "autorevoli" delle Spiegazioni dell'articolo 52.7 vanno a complicare ulteriormente il quadro, indicando a titolo esemplificativo alcuni principî: i diritti degli anziani, la tutela dell'ambiente e, in perfetta coerenza con la propria incoerenza, il "diritto" all'inserimento delle persone disabili.

Da questa netta impossibilità di ricondurre a sistema la nozione di diritto-principio, emerge evidente il rischio di strumentalizzazioni della demarcazione introdotta nel corpo dell'articolo 52, rischio tra l'altro direttamente proporzionale all'ambiguità delle fattispecie distintive.

Un ulteriore profilo della Carta di Nizza che ha sollevato dubbi, perplessità e critiche da parte della comunità scientifica europea è costituito dal tema delle Spiegazioni della Carta dei diritti fondamentali e della loro specifica valenza interpretativa.

Le "Spiegazioni" sono un documento, idealmente e sostanzialmente separato dal testo delle Carta europea, che contiene una griglia ermeneutica con cui si intende andare a chiarire il significato delle disposizioni dl catalogo (120). La loro funzione è dunque quella di fornire un ausilio interpretativo alla Corte di Giustizia e ai giudici nazionali (quando devono applicare il diritto dell'Unione), al fine di evitare degenerazioni sia nel senso di un'interpretazione eccessivamente estensiva dei diritti fondamentali sia, al contrario, rigidamente restrittiva (121). È lo stesso "Legislatore costituzionale europeo" a dare indicazioni in tal senso: nel corpo della Carta di Nizza è possibile leggere che "benché non abbiano di per sé status di legge, [le Spiegazioni] rappresentano un prezioso strumento d'interpretazione destinato a chiarire le disposizioni della Carta", e poi, ancora, nel terzo alinea della onnicomprensiva norma sui diritti fondamentali del TUE "i diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati [...] tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni" (122).

Il tenore letterale di queste disposizioni, in cui si nega il "rango legislativo" delle Spiegazioni e in cui viene fatto impiego di formulazioni non obbligatorie nel riferirsi alle stesse, si scontra tuttavia sia con la frequenza dei riferimenti alle Spiegazioni sia con il loro contenuto: indicazioni sulle "fonti di ispirazione" delle disposizioni sostanziali della Carta (coerentemente con la natura ricognitiva del Bill of Rights sopra evidenziata) si intrecciano a indicazioni intrinsecamente precettive, in quanto volte a delineare in maniera precisa gli aspetti tecnici del campo applicativo della Carta o dei suoi rapporti con la Convenzione europea. Simili considerazioni aprono dunque la strada alla questione della natura giuridica delle Spiegazioni (123): o si è inteso allestire uno schema interpretativo autorizzato - o autentico, se si preferisce - e come tale vincolante per il giudice nell'esercizio delle proprie funzioni; oppure si tratta di un documento ausiliario, utile e consultabile ma formalmente non cogente (124).

Indipendentemente dalla soluzione formale del quesito, indubbio è che, stante l'insistenza dei riferimenti alla griglia interpretativa ivi formalizzata, distaccarsi apertamente dalle indicazioni contenute nelle Spiegazioni risulti in concreto politicamente difficile per il giudice, in particolare per quello europeo. Quello che sembra realizzarsi è così il duplice risultato di vincolare l'interprete, ingabbiato nella direzione codificata nel testo, e limitarne la discrezionalità, in modo tale da impedire l'adozione di soluzioni ultra vires.

La necessità di introdurre cautele nei confronti del "governo dei giudici", ben lungi dal costituire un mero residuato storico della Rivoluzione Francese, è motivo ricorrente nell'attuale fase storica e non sconosciuto neanche al livello sovranazionale, tuttavia, questa sua concretizzazione -le Spiegazioni- solleva due distinte perplessità, l'una di carattere quasi formale, l'altra attinente ai risvolti sostanziali dell'attività giurisdizionale.

Formalmente infatti, le Spiegazioni sono un prodotto che può essere definito spurio. Da un punto di vista genetico, gli estensori della Carta di Nizza non sono infatti i medesimi che hanno redatto le (varie versioni delle) Spiegazioni, nonostante la definizione retorica dell'intestazione di queste ultime, che si vogliono redatte sotto l'autorità del Praesidium. Le Spiegazioni non risultano infatti concretamente riconducibili alla Convention, poiché furono redatte separatamente e successivamente all'adozione formale del documento, da parte di organismi tecnici, quali il Segretariato Generale e il Servizio Giuridico del Consiglio. Inoltre, non furono mai né discusse né approvate dalla prima Convenzione; anzi, la loro legittimità fu a più riprese messa in dubbio e disconosciuta dai membri della Convention, proprio perché promananti da un organo non legittimato, neanche indirettamente, alla individuazione del contenuto dei diritti e delle libertà della Carta di Nizza. Le Spiegazioni hanno conservato in capo ad un'oscura autorità burocratica un ambito di discrezionalità e disponibilità inaccettabile e incompatibile con la moderna cultura dei diritti umani: la legittima esigenza di voler neutralizzare lo spettro del gouvernements de juges va a perdere di fondatezza nel momento in cui è tesa a mantenere lo status quo del gouvernements de fonctionnaires. La contrapposizione della fonte scritta alla libertà dell'interprete assume dunque questa nuova connotazione in questa peculiare ambientazione, avvalorando la visione sempre più diffusa di un'Europa tecnocratica per pochi.

In secondo luogo, anche in considerazione del contenuto stesso delle Spiegazioni, e in particolare dei compulsivi rinvii alle fonti che devono governare le concrete declinazioni dei diritti sostanziali, si determinano delle infelici conseguenze sull'attività giurisdizionale di tutela svolta dal giudice. Una lettura rigorosa delle Spiegazioni e dei rinvii da esse effettuate ad altre fonti, rigide o mobili (come la CEDU - la quale, si ricordi, è normativa nella lettura datane dal suo Interprete Autentico, la Corte di Strasburgo - oppure i Trattati istitutivi dell'Unione europea), inchioda l'attività ermeneutica dell'interprete, realizzando un depotenziamento dei margini di manovra per il giudice, che potrà limitarsi a leggere le norme alla luce del parametro di riferimento, come specificato nella griglia già predisposta, ed eventualmente correggere in via interpretativa (più spesso) o cassare (in misura molto meno frequente) le normative europee. L'impossibilità di discostarsi dagli orientamenti ivi cristallizzati andrebbe dunque a sterilizzare le potenzialità della giurisprudenza, limitando la discrezionalità dell'interprete.

Tirando le somme, abbiamo definito l'abdicazione definitoria, il dualismo irrigidito 'diritti-principî' ed infine il controverso tema delle Spiegazioni della Carta come "punti problematici", vere e proprie ombre di un documento che ambisce a segnare una svolta nella vita democratica dell'Unione. È pur vero però che queste ombre - che costituiscono indubbiamente opzioni politiche e dunque in quanto tali non vanno scevre da giudizi, anche negativi - sono suscettibili di essere in qualche modo giustificate e messe "a sistema": infatti i rinvii legislativi, la distinzione delle regole giuridiche che governano concretamente l'attività ermeneutica e giurisdizionale dei giudici e, massimamente, la portata delle Spiegazioni, possono essere razionalizzate, poiché non si tratta di concetti sconosciuti ai moderni ordinamenti giuridici (come il caso della distinzione tra principî e diritti e, lapalissianamente dei rinvii ad altre fonti) né di insormontabili vincoli dall'effetto trappola (le Spiegazioni non hanno, formalmente, valore di legge).

È necessario tuttavia sottolineare che l'insieme di queste circostanze può dare luogo a degenerazioni in senso negativo per la portata della tutela dei diritti: la distinzione rigida tra regole giuridiche, in quanto governa concretamente l'attività ermeneutica e giurisdizionale dei giudici, può determinare un irrigidimento delle forme intrinsecamente elastiche di tali attività; massimamente, un pedissequo attaccamento al contenuto delle Spiegazioni ben può tarpare le ali alle potenzialità del Bill of Rights europeo, conducendo ad un appiattimento acritico della portata della tutela, cristallizzata sui rinvii effettuati all'interno delle Spiegazioni, che in particolare riguardano i diritti fondamentali che trovano corrispondenza nei Trattati istitutivi dell'Unione o nella CEDU.

In conclusione, può forse essere affermato che il rovescio della medaglia di questi aspetti più oscuri e controversi, che determinano un ridimensionamento del valore della Carta di Nizza in sé, in qualità di documento, è il fatto che permettono di misurare la capacità reattiva della giurisprudenza del Lussemburgo: le problematicità sollevate, le ombre emerse, non sono infatti assolute, ma anzi è proprio l'atteggiarsi degli interpreti nei loro confronti che determina nel concreto la consistenza del sistema europeo di tutela dei diritti fondamentali. L'individuazione della concreta portata della tutela dei diritti fondamentali nel contesto della Piccola Europa è sostanzialmente rimessa all'opera della giurisprudenza. Perciò, nella valutazione e apprezzamento della consistenza della tutela dei diritti nell'ambito dell'Unione europea è imprescindibile e essenziale andare a valutare la sostanza della giurisprudenza della Corte di Giustizia.

4.3.1. Segue: il caso dei diritti della Carta corrispondenti ai diritti della Convenzione europea

Vero e proprio crocevia in cui le varie problematiche affliggenti la Carta dei diritti fondamentali si manifestano, il tema dei diritti comuni ai due cataloghi europei direttamente in competizione offre molteplici occasioni di riflessioni e merita un approfondimento.

La Carta dell'Unione europea, nel prendere atto della pluralità di livelli che si intersecano relativamente alla tutela dei diritti fondamentali, dispone in via perentoria che, per i diritti della Carta di Nizza corrispondenti ai diritti del catalogo CEDU, l'interprete è tenuto ad equiparare significato e portata a quelli della Convenzione europea (125).

La Spiegazione di tale clausola, la quale è destinata ad assicurare la necessaria coerenza tra i due documenti senza pregiudicare l'autonomia dei due sistemi (126), tenta di delinearne in maniera precisa il funzionamento tecnico; tuttavia vi sono non pochi punti oscuri che valgono ad adombrare il senso del rinvio stesso.

In primo luogo, né il testo dell'articolo 52.3 della Carta, né la relativa Spiegazione delineano il concetto di "corrispondenza tra diritti" di cui dunque manca una definizione: ciò che è possibile riscontrare è invece un'enunciazione "autoritativa", in forma di elenco, dei diritti della Carta aventi significato e portata identici ai corrispondenti diritti CEDU.

Si deve poi notare che la Spiegazione va oltre la clausola di rinvio orizzontale contenuta nel testo, poiché elenca anche gli articoli della Carta che hanno significato identico ma portata più ampia dei corrispondenti diritti del catalogo CEDU. Il testo normativo e con forza giuridicamente vincolante è sopravanzato dalla fonte spuria e dallo status legale incerto.

La Spiegazione della clausola prosegue poi chiarendo il senso dell'espressione "portata e significato": nel predicare l'uguaglianza di portata e significato come conseguenza della corrispondenza dei diritti dei due cataloghi, la disposizione vuole indicare in particolar modo che, pur nel silenzio delle previsioni della Carta, per i diritti così individuati si intendono richiamate le limitazioni previste in maniera alquanto particolareggiata nella Convenzione europea. A riprova, le singole Spiegazioni dei "diritti corrispondenti" richiamano espressamente le definizioni negative e il testo delle limitazioni convenzionali.

Si aggiunge poi che il significato e la portata dei diritti sono determinati non solo dal testo, ma anche dalla giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo: sembra quasi una precisazione inutile, poiché la CEDU è strumento che vive e assume rilevanza normativa così come interpretato dalla Corte EDU, tuttavia non è scontata, in considerazione dell'estensività che caratterizza l'approccio di tale collegio giudicante (127).

Infine, si precisa che il riferimento alla CEDU, al fine di determinare gli ulteriori aspetti della "portata e del significato" e dunque a fini interpretativi, è da intendersi come inclusivo dei protocolli alla Convenzione, sollevando così non poche perplessità poiché non tutti gli allegati sono stati ratificati dalla totalità degli Stati Membri dell'UE, circostanza che invece sembra essere presa in considerazione nel corpo delle singole Spiegazioni delle disposizioni sostanziali al fine di escludere determinate interpretazioni.

L'esito di queste problematiche generali qui accennate può cogliersi operando un confronto tra i diritti della Carta di Nizza che trovano corrispondenza nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

Partendo ab initio, è necessario prendere atto che la formulazione del diritto alla vita, che apre la parte sostanziale della Convenzione europea, ha un tenore diverso nel catalogo dell'Unione da quella dell'analogo diritto previsto nel catalogo CEDU (128). Tale circostanza è ovviamente da collegarsi alla diversità dei momenti storici in cui è avvenuta la stesura dei due cataloghi e dal conseguente mutamento del sentire sociale: il testo del 1950 prevede infatti la legittimità delle esecuzioni capitali, fatto salvo il rispetto del principio di legalità della pena e di riserva giurisdizionale della sua applicazione (129); mentre la pena di morte è vietata a livello UE.

Invero, la Spiegazione relativa all'articolo 2 della Carta considera le due disposizioni corrispondenti e pertanto ne predica l'identità di portata e significato, introducendo nel corpo del diritto dell'UE anche il regime particolareggiato delle limitazioni CEDU: le "definizioni negative", scriminanti in merito all'uso della forza, assolutamente necessario, che comporti la morte di uno o più soggetti.

La ratio dell'equiparazione, che sembra a prima vista operazione fuorviante e scorretta (130), viene collegata dai redattori delle Spiegazioni all'intervenuta ratifica, da parte di tutti gli Stati aderenti alla CEDU, del protocollo n. 6 (131) che sancisce l'abolizione della pena di morte in tempo di pace, legittimandola per i soli atti commessi in tempo di guerra o in caso di pericolo imminente di guerra. Quest'ultima disposizione, contenuta all'articolo 2 del suddetto protocollo, viene espressamente richiamata dal testo della Spiegazione, che la acclude alle "definizioni negative" che si intendono vigenti nel contesto UE. Tuttavia, la Spiegazione non prende atto dell'intervento in ambito CEDU del protocollo n. 13, riguardante l'abolizione della pena di morte in ogni circostanza, il quale in particolare costituisce un superamento del protocollo n. 6 e segnatamente della disposizione citata nelle Spiegazioni (132).

La circostanza dà vita a una forte incongruenza a livello di diritti fondamentali UE, soprattutto in considerazione del fatto che, nonostante in linea generale le Spiegazioni prevedano un rinvio aperto a tutti i protocolli della Convenzione europea, attraverso il richiamo limitato al solo protocollo n. 6 si va a determinare una tutela inferiore per il diritto alla vita, limitando proprio uno di quei diritti basilari, che lo stesso sistema CEDU rafforza circondando di ulteriori garanzie (133).

Delucidazioni su questo singolare assetto aporetico devono essere ricercate nel fatto che, al momento della stesura delle Spiegazioni "aggiornate" ai risultati della Convenzione Giscard, alcuni Stati membri dell'Unione non avevano ancora dato seguito alla ratifica del protocollo n. 13 alla Convenzione (134), cosicché i redattori hanno limitato la definizione dell'ambito del rinvio a quell'allegato che vantava, ai tempi, la partecipazione soggettiva della totalità degli Stati Membri dell'Unione (135).

Tuttavia, si deve ricordare che la Corte EDU nella sentenza Al-Saadoon e Mudfhi c. Regno Unito del 2008 ha enunciato che nel sistema del Consiglio d'Europa vige un divieto generale di prevedere ed eseguire la pena capitale, arrivando a configurare un vero e proprio diritto a non essere sottoposto a pena di morte in capo all'individuo (136).In virtù del rinvio al diritto vivente della Corte EDU si deve ritenere il diritto soggettivo enunciato esistente anche nel quadro della Carta di Nizza, diventando così possibile sanare l'aporia del testo della Spiegazione attraverso la valorizzazione del formante giurisprudenziale, che nel caso in questione dimostra più che mai la sua intrinseca attitudine a costituire una valvola di sfogo e di salvaguardia dalle storture delle indicazioni interpretative cristallizzate nel documento.

L'articolo 3 CEDU sancisce la proibizione della tortura, enunciando così uno dei valori fondamentali e fondanti le moderne società democratiche. La disposizione, diversamente da altri diritti convenzionali, ha un'enunciazione lineare e piana: nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti. L'articolo 4 della Carta di Nizza presenta identica formulazione e pertanto le due fattispecie sono considerate corrispondenti: si producono dunque gli effetti della clausola di rinvio in merito a significato e portata del diritto. A tale proposito si deve considerare che il divieto di tortura si caratterizza per essere una delle chiavi di volta del sistema convenzionale: la giurisprudenza della Corte di Strasburgo su questo articolo raggiunge picchi marcatamente estensivi e creativi. La sua ampia formulazione ha infatti permesso ai giudici di prodursi in veri e propri virtuosismi di tutela, con cui si sono configurate ipotesi di violazioni nuove e diverse rispetto a quelle che la fattispecie avrebbe dovuto ricomprendere agli occhi dei conditores degli Anni Cinquanta (137). A titolo meramente esemplificativo possiamo ricordare che la Corte ha statuito, sulla base di tale articolo: il divieto di allontanare soggetti, a qualunque titolo, verso Stati in cui corrano il rischio di essere sottoposti a tortura, trattamenti o pene inumani o degradanti (protezione riflessa o par ricochet), l'obbligo, per le autorità penitenziarie, avuto riguardo alle ordinarie condizioni di detenzione, di salvaguardare la salute e il benessere dei detenuti; divieti specifici relative a tecniche di interrogatorio di polizia particolarmente invasive, obblighi di carattere procedurale di inchiesta e indagine su fenomeni di violazione dell'articolo 3 CEDU, le extraordinary renditions e le sparizioni forzate, fenomeno ormai drammaticamente attuale e non più mero vezzo folcloristico latinoamericano (138).

Rebus sic stantibus, in virtù del rinvio anche il significato e la portata dell'articolo 4 della Carta di Nizza devono intendersi come inclusivi di questa ampia giurisprudenza del giudice di Strasburgo nonché dei suoi eventuali sviluppi futuri. Tuttavia, nella Carta dell'UE troviamo isolato e come scorporato dal suo alveo naturale uno dei filoni giurisprudenziali riconducili al divieto di tortura. Il secondo comma dell'articolo 19 (139), tra l'altro collocato nel diverso sistema delle "Libertà", codifica infatti la giurisprudenza della Corte EDU in tema di protezione riflessa e prevede che nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani e degradanti.

La positivizzazione di questo aspetto della giurisprudenza della Corte EDU va dunque a dare autonomia a una parte della elaborazione ermeneutica sviluppata dai giudici di Strasburgo, come consacrando, attraverso la codificazione, la particolare rilevanza di quest'ultima. Tuttavia, l'operazione ingenera alcuni dubbi di carattere sistematico.

In primo luogo, può notarsi una imprecisione concettuale: il testo dell'articolo 19 prevede un divieto di allontanamento che ricomprende le ipotesi in cui si profila per il soggetto un rischio serio di pena di morte o di tortura. Ciò è infatti in linea con gli sviluppi di Strasburgo che hanno esteso il campo applicativo della Convenzione alle violazioni indirette, perpetrate materialmente da soggetti non vincolati al disposto convenzionale, relativamente agli articoli 2 e 3 CEDU. Eppure, la Spiegazione dell'articolo 19 della Carta di Nizza fa riferimento alla sola giurisprudenza della Corte EDU relativa all'articolo 3 CEDU, trascurando di richiamare l'articolo 2 CEDU e la circostanza che i due articoli vengano sovente richiamati congiuntamente sotto tale profilo. L'imprecisione, si rilevi, poteva essere facilmente elusa nel momento in cui i redattori avessero evitato di selezionare il filone giurisprudenziale e avessero maggiormente valorizzato il rinvio alla giurisprudenza di Strasburgo, anche attraverso una esplicita menzione rafforzativa nel corpo delle singole Spiegazioni relative al diritto alla vita e al divieto di tortura.

L'articolo 5 della Carta di Nizza, dedicato al tema della schiavitù e del lavoro forzato, consta di tre commi, dei quali l'ultimo rappresenta una novità che non figura nel testo della CEDU; per la restante parte, siamo di fronte ad una identità di formulazione tale da determinare la canonica equiparazione tra le due disposizioni (140). Pertanto, ne deriva l'assolutezza del divieto di riduzione e mantenimento in stato di schiavitù o servitù in virtù della clausola di protezione ex articolo 15 CEDU e la trasposizione, nel sistema UE, delle definizioni negative di lavoro forzato o obbligatorio previste dalla Convenzione europea.

Per quanto riguarda la disposizione che non trova riscontro nella CEDU, si tratta della proibizione del cosiddetto trafficking in human beings, ovvero della tratta di esseri umani. La sua collocazione sistematica entro le maglie del divieto di schiavitù è apprezzabile e sistematicamente corretta: la tratta di esseri umani è infatti tradizionalmente collocata entro l'etichetta delle "forme contemporanee di moderna schiavitù" (141) e in quanto tale il trafficking deve sicuramente iscriversi nel cerchio dei crimini contro i diritti umani, trattandosi di un "vero e proprio oscuramento di questi" (142).

La lotta contro la tratta di esseri umani, qualificata nella relativa Spiegazione come recente sviluppo della criminalità organizzata, è da tempo una delle priorità nelle agende di organizzazioni internazionali e degli Stati, nonché oggetto di forme di cooperazione, a maglie più o meno strette, volte a fermare questo odioso fenomeno, moderna veste dell'antica schiavitù (143). Nel quadro dell'Unione, i primi impegni concreti in materia di trafficking devono essere messi in relazione ai cambiamenti della fisionomia dell'organizzazione che si sono avuti con il Trattato di Amsterdam: il primo strumento di hard law di lotta al trafficking è la decisione quadro 2002/629/GAI del Consiglio sulla lotta alla tratta di esseri umani, che viene infatti menzionata nel corpo della Spiegazione dell'articolo 5 (144). Quest'ultima, in ogni caso, si limita a richiamare la definizione di tratta a scopo di sfruttamento sessuale contenuta nell'allegato alla convenzione istituente l'Europol (145) ed anche una disposizione, tratta dalla convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen (cui si specifica che partecipano anche il Regno Unito e l'Irlanda), alla cui stregua gli Stati Membri si impegnano a sanzionare il favoreggiamento, a scopo di lucro, dell'immigrazione clandestina, riferendosi dunque a quello che, per prassi e consenso internazionale, risulta un fenomeno distinto dal trafficking in human beings, lo smuggling in migrants.

L'articolo 6 della Carta di Nizza si pone come una sintesi dell'articolo 5 CEDU, il quale è infatti considerato come corrispondente. La sua stringata formulazione non osta al funzionamento del meccanismo di rinvio disposto in via generale, il quale trova piena applicazione anche in questa ipotesi: le limitazioni che si intendono ammissibili alla libertà e sicurezza personale nel contesto dell'UE sono quelle tipizzate nel testo convenzionale (146).

Per quanto riguarda invece l'articolo 6 della CEDU, questo contiene disposizioni in tema di diritti processuali ed è infatti intitolato al "diritto all'equo processo" (147). I suoi contenuti sono rintracciabili nell'ultimo titolo sostanziale della Carta di Nizza, dedicato alla "Giustizia", anche se sono ripartiti in più articoli. Il secondo e terzo comma dell'articolo 6 CEDU trovano infatti il proprio corrispondente nell'articolo 48 della Carta di Nizza, dedicato alla presunzione di innocenza e ai diritti della difesa (148). In particolare, in virtù del meccanismo di rinvio, nella disposizione sintetica dedicata ai diritti della difesa da garantirsi a ogni imputato si intendono ricomprese le specificazioni previste nel testo convenzionale, quali: il diritto ad essere informati, nel più breve tempo possibile e in una lingua conosciuta dall'imputato, della natura e dei motivi dell'accusa; il diritto ad un lasso temporale adeguato e alle facilitazioni necessarie per poter allestire la propria strategia difensiva; il diritto a difendersi personalmente, a mezzo di un difensore di propria scelta o, nel caso e al concorrere delle condizioni, il diritto ad essere assistito gratuitamente da un avvocato d'ufficio; il diritto di esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'esame dei testi a discarico alle stesse condizioni dell'accusa; il diritto all'assistenza di un interprete ove necessario.

Per quanto riguarda invece il primo comma dell'articolo 6 CEDU, è necessario notare che lo stesso è una di quelle disposizioni che, nell'ambito della Spiegazione Madre della clausola di rinvio ex articolo 52.3 CDFUE, vengono definite come aventi "significato identico ma portata più ampia" dei corrispondenti diritti CEDU. Il secondo comma dell'articolo 47 della Carta di Nizza, infatti, in tema di diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, stabilisce il diritto del soggetto all'esame della propria causa in maniera equa, pubblica ed entro un termine ragionevole ad opera di un tribunale indipendente ed imparziale, precostituito per legge (149). La disposizione è di portata più ampia rispetto alla disposizione di tenore analogo di cui all'articolo 6.1 CEDU (Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti) poiché nel catalogo dell'Unione il diritto a un giudice non si applica solo ai processi riguardanti controversie di tipo penale o civile. Nonostante il diverso e più ampio ambito applicativo, che ricomprende dunque anche i processi in materia "amministrativa" e dello stesso ambito comunitario, le disposizione della CEDU in merito allo svolgimento del processo sono espressamente richiamate e fatte proprie dalla Spiegazione dell'articolo 47.2 CDFUE, cosicché devono ritenersi sussistenti anche a livello di Unione.

Continuando la rassegna degli articoli in tema di "Giustizia" secondo la classificazione valoriale seguita dalla Carta di Nizza, troviamo poi l'affermazione di una piena corrispondenza tra i contenuti dell'articolo 7 CEDU e l'articolo 49 della Carta di Nizza (150). In realtà, nonostante l'affermazione dell'applicabilità del rinvio dell'articolo 52.3, la disposizione del Bill of Rights dell'Unione si segnala per alcuni positivi aggiornamenti e svecchiamenti del suo omologo convenzionale. Si prevedono infatti i principî di irretroattività in materia di legge penale incriminatrice, aggiungendo però un nuovo contenuto, ovvero la retroattività della legge penale più favorevole, la cosiddetta lex mitior, in considerazione del fatto che nella sen. Berlusconi e al la Corte di Giustizia UE ha riconosciuto che il principio fa parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati Membri (151). Inoltre, la disposizione di ambito UE introduce altresì il principio generale della proporzionalità dei reati e delle pene, considerandolo riconducibile alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e valorizzando la pregressa giurisprudenza della Corte di Giustizia stessa sul punto.

L'articolo 7 della Carta di Nizza prevede il diritto alla vita privata e alla vita familiare con formulazione identica all'omonimo diritto previsto a livello CEDU, fatta salva l'introduzione del termine "comunicazioni" in luogo del più limitato "corrispondenza", in virtù dell'evoluzione tecnica (152). Pertanto, le limitazioni ammesse alla vita privata e familiare sono quelle tipizzate nel tessuto convenzionale, ovvero le ingerenze di una autorità pubblica che siano previste dalla legge e costituiscano misure che, in una società democratica, sono necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.

La libertà di pensiero, di coscienza e di religione è prevista rispettivamente all'articolo 10 della Carta di Nizza e all'articolo 9 CEDU (153): le due proposizioni normative si intendono corrispondenti e infatti la portata e il significato della libertà in questione è identica nei due distinti sistemi. In particolare dunque, devono ritenersi sussistenti le limitazioni legittime a tale diritto, pur non richiamate expressis verbis nel corpo della Carta di Nizza: le restrizioni ammesse alla libertà di pensiero sono le misure necessarie in una società democratica, previste per legge, per la protezione della pubblica sicurezza, dell'ordine, della salute o della morale pubblica, nonché dei diritti e delle libertà altrui.

Il catalogo dell'Unione aggiunge al prisma di questa libertà un'altra sfaccettatura del suo contenuto, affermando il principio per cui il diritto all'obiezione di coscienza è riconosciuto secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio. La Spiegazione di questo segmento normativo, afferma che il "diritto" in questione rispecchia le tradizioni costituzionali nazionali e l'evoluzione delle relative legislazioni: si tratta di una di quelle disposizioni innovative e migliorative rispetto al datato catalogo CEDU. Tuttavia, nel momento in cui ci soffermiamo sulla disposizione, notiamo che la stessa, in virtù della "riserva di disciplina nazionale", non contiene né più né meno che un mero riconoscimento formale dell'esistenza di tale diritto negli ordinamenti di (alcuni) Stati membri, come confermato nella relativa Spiegazione (154).

L'argomento offre uno spunto concreto per vedere come la cristallizzazione delle Spiegazioni dei diritti in un testo rigido e scritto, e conseguentemente la cristallizzazione delle disposizioni sostanziali stesse, si scontri con la progressiva evoluzione della giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo. La pronuncia della Grande Camera del 7 luglio 2011 Bayatyan c. Armenia ha inaugurato una nuova linea giurisprudenziale che afferma la tutela convenzionale dell'obiezione di coscienza, specificatamente al servizio militare, riconducendola proprio all'articolo 9 CEDU, diversamente dalle posizioni espresse in seno al sistema CEDU nel passato (155).

La Grande camera, muovendo dalla significativa premessa per cui non solo il diritto all'obiezione di coscienza è riconosciuto dalla maggioranza degli Stati Membri del Consiglio d'Europa e menzionato nella stessa Carta di Nizza, ma soprattutto dal fatto che la sua mancata previsione sia di ostacolo all'ammissione in seno all'organizzazione, afferma che, pur nell'assenza di riferimenti testuali al diritto all'obiezione di coscienza nel catalogo CEDU, questo deve indubbiamente ritenersi aspetto inerente alla libertà di religione e come tale salvaguardato, ove riconducibile a vere e ferme convinzioni religiose.

Rebus sic stantibus, deve concludersi che nel contenuto della libertà di pensiero debbano confluire anche questi ultimi sviluppi giurisprudenziali, in virtù del rinvio alla giurisprudenza di Strasburgo nella determinazione di senso e portata delle disposizioni sostanziali equivalenti di catalogo convenzionale e della Carta di Nizza. Ciò dovrebbe essere reso possibile dalla specifica previsione alla cui stregua la catalogazione dei diritti che si intendono corrispondenti è effettuata dai redattori delle Spiegazioni relativamente "a questa fase e senza che ciò escluda l'evoluzione del diritto".

Del pari, anche la libertà di espressione risulta corrispondere nei due distinti testi: ne consegue la canonica identità di significato e portata, specificatamente per i profili attinenti alle limitazioni ammissibili a tale libertà fondamentale. Il dettagliato disposto CEDU dell'articolo 10 si intende dunque applicabile anche nel contesto europeo, pertanto l'articolo 11 della Carta di Nizza risulta così integrato (156): l'esercizio di queste libertà [di espressione, opinione, di ricevere o comunicare informazioni o idee], poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all'integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l'autorità e l'imparzialità del potere giudiziario.

Indipendentemente dalla circostanza della equiparazione delle disposizioni, per quanto riguarda le differenze riscontrabili tra le queste deve notarsi come nel catalogo dell'Unione europea faccia comparsa un inciso à la page, alla cui stregua "la libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati". Si tratta di una conseguenza della libertà di espressione, nonché tematica di maggior interesse nel panorama attuale e aspetto centrale della libertà civile in questione, come esplicitato nel testo della relativa Spiegazione (157): il pluralismo dei mezzi di informazione deve essere specificatamente garantito contro tentativi monopolistici e/o oligarchici causativi di distorsioni dell'informazione. Poiché tale aspetto è intrinsecamente collegato alla modernità e all'evoluzione globale dell'informazione, risulta ovvio che una disposizione dal tenore analogo non figuri nel catalogo convenzionale: questo risale ad un'epoca in cui i mezzi di comunicazione di massa non erano sviluppati; peraltro nel sistema CEDU dobbiamo prendere nota di giurisprudenza formatasi sull'articolo 9 CEDU con cui si è affermato il diritto dei cittadini a un'informazione "il più possibile pluralistica e non condizionata dalla presenza di posizioni dominanti" (158). Un'ulteriore distinzione riguarda la specifica assenza, nella Carta di Nizza, della disposizione che prevede la facoltà per gli Stati di sottoporre a regime autorizzativo le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive che invece caratterizza il testo convenzionale. A questo proposito, è la Spiegazione a precisare il valore di questa omissione: la disciplina della concorrenza propria del sistema dell'Unione collide infatti con i regimi autorizzatori in questione e si fa specificatamente salva l'eventualità che il diritto UE apporti dei limiti alle facoltà degli Stati Membri di darvi seguito.

La libertà di riunione e di associazione, prevista all'articolo 11 CEDU e articolo 12 della Carta di Nizza, è una di quelle disposizioni che le Spiegazioni della Carta di Nizza comprendono tra quelle che hanno significato identico ai corrispondenti articoli convenzionali, ma aventi portata più ampia (159). La Spiegazione dell'articolo 12 CDFUE afferma infatti che le libertà associative devono essere garantite anche all'interno dell'Unione europea ("le disposizioni dell'articolo 12, paragrafo 1, hanno lo stesso significato di quelle della CEDU, ma la loro portata è più estesa dato che possono essere applicate a tutti i livelli, incluso quindi il livello europeo"). A conferma, i membri della Convenzione Herzog hanno inserito nel corpo di questa previsione un riferimento ai partiti politici a livello UE, i quali "contribuiscono a esprimere la volontà politica dei cittadini", riprendendo peraltro la disposizione di cui all'articolo 10.4 TUE (160).

La sostanziale corrispondenza della libertà in questione, al di là del suo riferirsi anche al contesto "sovranazionale", fa sì che le limitazioni proprie delle "società democratiche" previste nel corpo della Convenzione debbano ritenersi sussistenti e applicabili anche alla disposizione della Carta di Nizza: misure previste ex lege, necessarie alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale e alla protezione dei diritti e delle libertà altrui; nonché restrizioni imposte da parte dei membri delle forze armate, della polizia o dell'amministrazione dello Stato.

Sensibilmente diverso appare invece il tenore letterale della formulazione del diritto al matrimonio. Ex parte CEDU, infatti, si parla genericamente di "diritto al matrimonio", mentre la Carta prevede il "diritto di sposarsi e di costituire una famiglia" (161). La CEDU prevede poi che l'uomo e la donna abbiano diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l'esercizio di tale diritto, una volta raggiunta l'età limite fissata allo scopo; mentre la Carta di Nizza non specifica il soggetto titolare del diritto, riferendosi genericamente ad un diritto di sposarsi e costituire una famiglia garantito (a livello UE) secondo la legge nazionale che ne disciplina l'esercizio. Leggendo in combinato la Spiegazione Madre dell'articolo 52.3 CDFUE e quella specifica sul diritto in questione, emerge che questo diritto del catalogo dell'Unione ha significato identico a quello CEDU (che ne è la base), ma portata più ampia, in quanto "il suo campo di applicazione può essere esteso ad altre forme di matrimonio eventualmente istituite dalla legislazione nazionale" e che le due disposizioni sono simili. La formulazione è stata aggiornata al fine di disciplinare i casi in cui le leggi degli Stati Membri riconoscono modi diversi dal matrimonio per costituire una famiglia.

Il raccordo tra le due disposizioni risulta davvero difficile da afferrare: non risultano infatti precisati i contorni della fattispecie della "similarità" tra diritti, in opposizione invece a quelli "corrispondenti"; del pari risulta scarsamente comprensibile il riferimento alla portata "più ampia" di questo diritto rispetto alla CEDU. I redattori trascurano la circostanza per cui lo standard di tutela prodotto dagli organi di Strasburgo costituisce un minimum, che invero rappresenta l'emblema distintivo del sistema convenzionale: la CEDU non esclude direttamente la tutela di altre forme di matrimonio, in particolare tra persone dello stesso sesso, ma allo stato attuale la giurisprudenza convenzionale ha sempre evitato di prendere posizione sul tema, ricorrendo allo strumento politico-giuridico del "margine di apprezzamento". Sembra anzi in realtà che il diritto di sposarsi previsto nella Carta di Nizza abbia in realtà codificato una sua propria e peculiare forma scritta di "margine di apprezzamento", nel momento in cui la formulazione aggiornata del diritto "non vieta né impone la concessione dello status matrimoniale a unioni tra persone dello stesso sesso". L'accento posto sul cambio di formulazione, che sicuramente nel catalogo europeo è maggiormente incline a un'apertura al matrimonio omosessuale, non deve in realtà essere enfatizzata: come dimostrato dalla vicenda spagnola, non appare improbabile un revirement futuro della Corte EDU al maturare delle condizioni sociali (e legislative) (162).

L'articolo 13 CEDU sancisce il diritto a un ricorso effettivo (163). Tale diritto non ha una corrispondenza nella Carta di Nizza, tuttavia, secondo quanto previsto dalla relativa Spiegazione, costituisce la base dell'articolo 47 CDFUE, che abbiamo visto contenere al proprio interno clausole equivalenti ad un'altra disposizione CEDU (l'articolo 6) dedicata ai diritti processuali. La Convenzione Herzog ha aggiornato e ampliato il contenuto di tale diritto, poiché a livello di Unione si è sancito che "ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice". Il carattere giurisdizionale del ricorso, direttamente collegato, quasi univocamente, con la sua effettività, è una innovazione rispetto a quanto previsto a livello di CEDU e deriva da costante giurisprudenza della Corte di Giustizia delle (ex) Comunità europee, che l'aveva qualificato come principio generale del diritto (164). È stato notato che, in questo caso, la Spiegazione ha una portata riduttiva delle possibilità di tutela astrattamente configurabili dal tenore letterale della disposizione della Carta di Nizza di riferimento: si specifica infatti, in via cautelare, che la menzione di questa giurisprudenza non è intesa a modificare il sistema di controllo giurisdizionale previsto dai trattati e, in particolare, le norme in materia di ricevibilità per i ricorsi diretti dinanzi la Corte di Giustizia dell'UE. Si è dunque tentato di arginare sul nascere eventuali sfide alla tenuta dell'impianto dei ricorsi alla Corte di Giustizia, in particolare con riferimento alla difficoltà di accesso all'istanza giurisdizionale che incontrano gli individui a causa delle condizioni restrittive previste ai fini di ricevibilità (165).

L'ultima disposizione a carattere sostanziale che trova spazio nel corpo della Convenzione europea è il divieto di discriminazione, previsto all'articolo 14 avente un ambito di applicazione autoreferenziale, in quanto si riferisce specificatamente al godimento di diritti e libertà previsti nella CEDU (166). All'interno della Carta di Nizza, vi è la disposizione dedicata alla "Non discriminazione" che troviamo all'articolo 21 CDFUE la quale stabilisce che "è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale". Il principio di non discriminazione ha una rilevanza tutta particolare nel golfo dell'Unione europea ed infatti tale principio si trova altresì consacrato all'articolo 19 dell'attuale TFUE, che costituisce la base legale per l'adozione di normativa antidiscriminatoria (167): tali circostanze impongono alcune precisazioni preliminari al confronto diretto con l'articolo 14 CEDU.

L'articolo 21 della Carta di Nizza può sembrare a priva vista avere un tenore analogo all'articolo 19 TFUE, ma in realtà vi sono delle differenze in merito all'ampiezza del principio di non discriminazione. Le discriminazioni vietate a norma della Carta di Nizza sono infatti anche quelle basate su "il colore della pelle", "l'origine sociale", "le caratteristiche genetiche", "la lingua", "le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura", "l'appartenenza ad una minoranza nazionale", "il patrimonio", "la nascita".

La Spiegazione dell'articolo 21 afferma però che non vi è alcuna contraddizione o incompatibilità tra le due previsioni, poiché i rispettivi campi di applicazione e finalità perseguite sono diverse. L'articolo 19 TFUE infatti conferisce all'Unione la facoltà di adottare atti legislativi per combattere quelle forme di discriminazione selezionate nel corpo dell'articolo in qualunque settore rientrante nelle competenze dell'Unione, potendo così anche incidere sui settori di intervento degli Stati membri o nei rapporti orizzontali tra privati. L'articolo 21 della Carta di Nizza, invece, non conferisce nessuna facoltà di emanare normativa antidiscriminatoria vincolante né sancisce nessun divieto assoluto di discriminazione in settori così ampi: "essa tratta soltanto delle discriminazioni ad opera delle istituzioni e degli organi dell'Unione stessi nell'esercizio delle competenze conferite e ad opera degli Stati nazionali quando danno attuazione al diritto dell'UE", in perfetta coerenza con il campo applicativo del documento delineato all'articolo 51 CDFUE (168).

Una volta così chiariti i rapporti 'interni' alle fonti dell'Unione, è possibile operare il confronto tra i due cataloghi normativi. Dalla lettura della Spiegazione Madre dell'articolo 52.3 CDFUE si evince che l'articolo 21 del Bill of Rights UE non trova riscontro nel catalogo CEDU; nella specifica Spiegazione dell'art. 21, tuttavia, si legge che l'articolo 14 CEDU è una "fonte di ispirazione" e pertanto nella misura in cui l'art. 21 CDFUE coincide con esso, deve essere applicata conformemente a Convenzione.

L'articolo 14 CEDU si caratterizza per essere una disposizione dalla natura accessoria, la quale non trova applicazione se non in combinato con gli altri diritti e le altre libertà previsti nella CEDU (169). La funzione della prescrizione, dunque, non è quella di garantire un autonomo 'diritto all'uguaglianza' quanto piuttosto garantire "l'uguale godimento dei diritti" sanciti in Convenzione (170).

È lecito ipotizzare che dunque anche l'art. 21 CDFUE avrà un identico funzionamento: la disposizione troverà applicazione congiunta alle altre disposizioni consacrate nella Carta (171).

Tuttavia, è necessario ricordare che in ambito convenzionale è intervenuto il protocollo n. 12 che amplia la nozione del divieto di discriminazione (172): l'articolo 1 di tale protocollo vieta agli Stati che vi aderiscono le discriminazioni sulla base del sesso, della razza, del colore della pelle, della lingua, della religione, delle opinioni politiche o di altro tipo, dell'origine nazionale o sociale, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, la proprietà, la nascita o qualunque altro status nel godimento di tutti i diritti previsti dalle leggi nazionali, ivi inclusi i diritti sociali (173).

Non sorprende dunque la scarsa partecipazione degli Stati parte della CEDU al protocollo n. 12 né la mancata menzione di tale protocollo nell'ambito della Spiegazione dell'articolo 21 CDFUE, nonostante l'evidente affinità semantica.

La Spiegazione dell'articolo 52.3 CDFUE afferma infine che l'articolo 17 della Carta di Nizza, dedicato al "diritto di proprietà" ha significato e portata identici all'articolo 1 del protocollo n. 1 alla CEDU (174), poiché la diversa formulazione costituisce esclusivamente uno svecchiamento e un'attualizzazione della disposizione del 1950 (175): le limitazioni ammesse nell'ordinamento giuridico UE non possono andare oltre quelle lecite alla luce del regime convenzionale.

L'equiparazione tra le due disposizioni, avvalorata dai riferimenti delle Spiegazioni, ha dei risvolti indubbiamente interessanti, se ci si sofferma a riflettere sul carattere estensivo della giurisprudenza della Corte di Strasburgo relativamente alla "Protezione della proprietà" (176). L'attività della Corte, infatti, si è incentrata sulla definizione della nozione di "bene" seguendo la littera della disposizione, che parla del "diritto al rispetto dei propri beni". Nella giurisprudenza della Corte EDU è possibile cogliere l'applicazione di un'interpretazione autonoma al concetto giuridico in questione, il quale è declinato indipendentemente dalle qualificazioni giuridiche formali dei singoli ordinamenti nazionali: la Corte ha infatti ricondotto alla fattispecie di 'bene' non solo la proprietà di beni immobili o immobili in senso stretto, ma anche molte altre fattispecie.

Tra le varie ipotesi cui la Corte europea di Strasburgo ha garantito tutela con riferimento all'articolo 1 del Protocollo allegato, vi è anche quella del "diritto ad ottenere prestazioni sociali", la quale è di estremo rilievo soprattutto in considerazione dell'assenza dei diritti economici e sociali dal catalogo CEDU. Ovviamente, il diritto al rispetto dei propri beni non attribuisce al singolo individuo un diritto ad ottenere prestazioni sociali; tuttavia, nel momento in cui l'ordinamento interno degli Stati preveda ed instauri un sistema di sicurezza sociale che garantisca delle prestazioni al singolo, allora tale diritto acquisito sul piano interno rientra nel campo applicativo della Convenzione (177).

Sulla base del meccanismo estensivo dell'ambito applicativo "oggettivo" della CEDU descritto, è stato possibile per la Corte affrontare numerosi casi in cui i ricorrenti denunciavano la violazione dei propri diritti sociali sotto lo specifico profilo del principio di non discriminazione (articolo 14 CEDU) che, in quanto disposizione accessoria, opera esclusivamente in relazione ai diritti sanciti nel catalogo convenzionale (178).

4.4. L'applicazione giurisprudenziale della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea

Il giudizio sulla qualità, in termini di tutela dei diritti, del discorso giurisprudenziale del giudice di Lussemburgo ha sempre diviso, tanto da dare vita, nel corso dei primi Anni Novanta, ad una ideale suddivisione in due frange della dottrina. Il dibattito si è materializzato e concretizzato in una vera e propria querelle a colpi di articoli in una delle più prestigiose riviste scientifiche a tema giuridico: to take rights seriously or not to? (179).

L'adozione di un catalogo scritto di diritti ha indubbiamente rinfocolato le braci della discussione secondo un curioso gioco delle parti: chi, in passato, aveva espresso opzioni di favore per la tutela realizzata dalla Corte di Giustizia ha paventato il rischio che la scrittura della Carta potesse ingabbiare e depotenziare l'elastica giurisprudenza europea e limitarne le fonti di ispirazione (180); altri invece hanno sottolineano che gli effetti della Carta sulla giurisprudenza della Corte di giustizia sono di potenziamento e non di ridimensionamento del suo ruolo nel campo dei diritti, sulla base di una serie di decisioni, successive all'adozione del catalogo, in cui la Corte sembra aver liberato le proprie energie costituzionali (181).

Quello che è certo è che la Carta di Nizza in sé, come "valore intrinseco", non ha realizzato compiutamente quel passaggio dal mercato ai diritti, tanto auspicato dai suoi redattori e commentatori e che, nonostante il mito legalista-continentale del diritto scritto che soverchia e neutralizza il potere dell'ordo iudiciorum, la dimensione effettiva della tutela dei diritti nel contesto dell'Unione dipende dalla Corte di Giustizia e dal suo concreto approcciarsi nei confronti del catalogo (182).

Giuseppe Federico Mancini, nel riferirsi alla costruzione pretoria della tutela dei diritti da parte dei suoi predecessori, scrisse che "i giudici di Lussemburgo hanno fabbricato degli involucri, ma non li hanno riempiti di contenuti". La frase, adattata al mutato contesto e interpolata, consente di lanciare un interrogativo provocatorio: la Convenzione Herzog ha fabbricato gli involucri e li ha ordinati sistematicamente, la Corte di Giustizia li ha riempiti di contenuti?

La risposta non pare essere affermativa, come del resto sembra confermare l'attenuarsi delle attenzioni e l'affievolirsi del dibattito intorno alla Carta dei diritti, dopo il primo iniziale tsunami di trattazioni sul tema.

Dopo quattordici anni dall'adozione della Carta dei diritti fondamentali e cinque dall'ufficializzazione della sua forza vincolante, la consistenza quantitativa della giurisprudenza di Lussemburgo sul tema dei diritti fondamentali è scarna, anche se in crescita. Ampliando lo spettro dell'indagine, risulta evidente che il sindacato della Corte di Giustizia sul tema dei diritti umani colpisce molto raramente gli atti normativi dell'Unione in sé, mentre il metro di giudizio sembra assai più rigoroso nei confronti degli atti degli Stati Membri che insistano nell'ambito del diritto UE (183).

A questo proposito, è necessario richiamare brevemente le disposizioni in merito al campo applicativo della Carta. L'articolo 51 CDFUE statuisce che "le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell'Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l'applicazione secondo le rispettive competenze e nel rispetto dei limiti delle competenze conferite all'Unione nei trattati". La littera è chiara, quasi lapalissiana: i diretti destinatari della Carta sono in primo luogo l'insieme dell'apparato istituzionale dell'UE, e, quasi in via eccezionale e limitatamente a determinate circostanze, gli Stati membri (184). Tuttavia, contrariamente a tali premesse, la tradizionale deferenza mostrata dalla Corte nei confronti della legislazione dell'Unione è tutt'altro che in via di estinzione: nonostante l'aumento dei casi in cui vengono sollevati dubbi sulla compatibilità della legislazione europea con i diritti fondamentali, le ipotesi in cui la Corte ha effettivamente cassato tale normativa sono estremamente ridotte, con alcune eccezioni nell'ambito della lotta al terrorismo (185).

In realtà, sono gli stessi autori che hanno salutato positivamente "l'ora dei diritti fondamentali" in Europa e che più recisamente hanno rintuzzato lo svilimento della tutela europea ad evidenziare la circostanza dell'eccezionalità del sindacato della Corte in tali ambiti: nel commentare il caso Modjahedines (186), con cui il Tribunale di prima istanza ha annullato una decisione del Consiglio riscontrandone il contrasto con il diritto di difesa, il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo e l'obbligo di motivazione, è stato detto significativamente che "i giudici comunitari hanno mostrato per una volta di saper essere più severi ed esigenti nei confronti delle proprie istituzioni, rispetto a quanto richiesto agli organi internazionali e agli organi degli Stati membri" (187).

Queste considerazioni sono utili a far emergere ciò che è stato efficacemente definito come "l'impiego di due pesi e due misure", nel sindacato sui diritti fondamentali della Corte di Giustizia nei confronti delle istituzioni europee e degli Stati Membri. Il "do not do what I do, do what I tell you to do" non sembra smentito nel suo nucleo essenziale dai casi circoscritti in cui la Corte ha dimostrato maggior rigore nel colpire gli atti riferibili alle istituzioni europee (188), soprattutto ove si riflette sulla alta complessità politica dei casi in cui sono intervenute le misure di annullamento degli atti censurati e sulla loro effettività, spesso sostanzialmente inesistente, in virtù di cavilli tecnico-procedurali (189).

Per contro, invece, la Corte sembra assai più incline a sindacare le normative degli Stati Membri, come dimostra la lettura giurisprudenziale estensiva del campo applicativo della Carta di Nizza, di quell'articolo 51 CDFUE dalla littera così chiara ("le disposizioni della Carta si applicano agli Stati membri esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione"). Le sentenze più recenti indicano che la Carta trova applicazione quando gli Stati "agiscono nell'ambito del diritto dell'Unione" e quando, nel derogare al diritto dell'Unione, gli Stati rischiano di pregiudicare il godimento dei diritti fondamentali (190).

La ratio della diversa consistenza del sindacato sui diritti fondamentali della Corte di Giustizia nei confronti delle istituzioni europee e degli Stati Membri è facile ove si rifletta sulle diverse implicazioni che caratterizzano i due sindacati. In primo luogo, banalmente, colpire un atto di un singolo Stato membro è ben diverso dal travolgimento di un atto del Consiglio, poiché la Corte rischia di inserirsi e trovarsi invischiata nelle dinamiche di 'scontro dialettico' che spesso caratterizzano i rapporti dei due attuali co-legislatori, mettendo in pericolo la propria neutralità istituzionale. Dall'altra parte, invece, non solo sindacare gli atti di attuazione ed esecuzione del diritto dell'Unione ad opera degli Stati è un compito che non presenta - salve eccezioni - difficoltà 'politiche', ma ha anche dei risvolti positivi in termini di armonizzazione del diritto UE negli Stati membri e di integrazione. L'obiettivo princeps della Corte di Giustizia sembra ancora essere quello collegato al proprio ruolo di garante dell'uniformità del diritto europeo nei bacini giuridici degli Stati Membri, come rivela l'esame ravvicinato delle sue sentenze in quei casi in cui vengono rivendicati i diritti fondamentali (191).

La Corte del Lussemburgo sembra quindi ben lontana dall'assumere e mantenere il ruolo di 'giurisdizione dei diritti e delle libertà' in Europa.

I timidi segnali verso un controllo più concreto e marcato anche nei confronti di atti politicamente più pesanti possono indubbiamente essere letti alla stregua di una svolta, timida ma sussistente, anche se non idonea a inficiare la valutazione globale sulla portata della tutela dei diritti nell'ambito UE.

5. L'adesione dell'Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Una questione (ancora) aperta

La partecipazione della ex Comunità europea, ora Unione, alla CEDU è un tema quasi vintage: da molto se ne parla, da molto se ne discute, ma gli spunti non si esauriscono mai. Nuova linfa ad un dibattito che, se mai esaurito, tendeva a diventare stanco, è giunta infine (ex parte UE) dalle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona e (ex parte CEDU) dall'entrata in vigore del Protocollo 14 alla Convenzione europea, con i quali si è stabilito che "l'Unione aderisce alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo" (192).

Queste modifiche sono dunque valse ad aggirare l'ostacolo macroscopico costituito dalla presa di posizione della Corte di Giustizia delle Comunità europee, il parere 2/94 reso il 28 marzo 1996, alla cui stregua si riteneva mancante una base legale adeguata per poter procedere ad una formale partecipazione al meccanismo convenzionale predisposto in seno al Consiglio d'Europa. La maggior parte delle componenti istituzionali delle Comunità ha sempre guardato con favore all'adesione (193), soprattutto negli anni in cui sul futuro dell'organizzazione pendeva la spada di Damocle del Solange delle Corti Costituzionali nazionali: assoggettare l'entità internazionale al controllo esterno e sussidiario della CEDU era soluzione indubbiamente in grado di rassicurare tali Corti sulla serietà della garanzia dei diritti fondamentali nel sistema comunitario.

Una volta realizzata, l'adesione si sarebbe infatti rilevata tetragona alle critiche e avrebbe sopito probabilmente (gran parte del)le polemiche sul tema; eppure lo scetticismo della Corte di Giustizia, sfociato poi in un vero e proprio ostracismo con il citato parere 2/94, ha impedito l'inizio dei negoziati nel corso degli Anni Novanta. Il giudice europeo, dopo aver riconosciuto la specifica valenza a fini interpretativi della CEDU, ritenne impossibile che la Comunità europea nel suo insieme andasse ad inserirsi in un sistema istituzionale del tutto diverso; in più l'incorporazione delle disposizioni della Convenzione nell'ordinamento europeo avrebbe creato ostacoli di ordine costituzionale (194). Ad un più attento esame, sembra che l'esito negativo del parere sia ascrivibile alla preoccupazione della Corte di Giustizia, del verificarsi di questioni di contrasto, materialmente verificabili nel momento in cui si hanno, come nel caso di specie, due Corti autonome e geneticamente molto diverse, con modalità d'azione e strumentario tecnico giuridico diverso, ma insistenti nello stesso ambito, ovvero la tutela dei diritti fondamentali dell'uomo nel contesto europeo (195).

Per quanto riguarda la fase attuale dei negoziati, la data simbolo del passaggio del dibattito sull'adesione dalla fase "ideale" alla fase "reale" è il 26 maggio 2010: il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha conferito un mandato ad hoc al Comitato Direttore in Materia di Diritti Umani (CDDH) al cui interno è stato istituito un gruppo informale deputato alla trattativa di un progetto di accordo di adesione, assieme alla controparte "unionistica" ovvero la Commissione europea. Dopo il fallimento della prima bozza di Accordo di Adesione (196), un'intesa preliminare su un nuovo progetto sembra essere stata raggiunta nell'aprile del 2013. Tuttavia, anche se la parte "di sostanza" del processo è stata effettuata, l'itinerario dell'adesione è attualmente incorso in una grave impasse che ha reso l'adesione se non impossibile, concretamente molto difficile. Il gravoso procedimento previsto dall'articolo 218 TFUE - all'avallo da parte del giudice di Lussemburgo, deve seguire anche il consenso del Consiglio dell'UE, che deve esprimersi in senso positivo all'unanimità; ed infine occorre che i singoli Stati Membri ratifichino l'accordo, in conformità con i propri ordinamenti costituzionali -, a sua volta aggravato dalla circostanza per cui è necessaria la ratifica dell'accordo da parte di tutti gli Stati aderenti alla CEDU (197), è infatti stato bloccato alla sua prima fase: la Corte di Giustizia ha reso il tanto atteso parere 2/13 il 18 dicembre 2014, pronunciandosi in senso negativo sull'accordo di adesione e sull'adesione in generale (198).

5.1. Convenzione e Unione, protezione equivalente tra passato e futuro

Tra i positivi effetti ascrivibili all'adesione, vi è quello di definire con certezza i rapporti tra i due distinti livelli, che, fino ad oggi, sono stati rimessi, nel loro difficile atteggiarsi, all'individuazione giurisprudenziale delle due Corti.

La situazione che si era venuta a creare con la coesistenza delle due entità entro il medesimo ambito territoriale era infatti inizialmente una vera e propria "architettura monca", potenzialmente pericolosa per una tutela dei diritti fondamentali piena e certa, a causa della formale autonomia e separazione dei due ordinamenti UE e CEDU. Da una parte infatti, non essendo l'Unione (o le Comunità europee) parte né del Consiglio d'Europa né della Convenzione europea, la Corte EDU non poteva sindacare gli atti comunitari, essendo incompetente ratione personae. D'altro canto però, a partire dal 1974, tutti gli Stati Membri delle Comunità europee risultavano aderenti al meccanismo CEDU: nel caso in cui gli Stati, in virtù della loro partecipazione all'organizzazione internazionale comunitaria, si trovavano a dare esecuzione o attuazione ad atti violativi dello standard CEDU, si trovavano in un'impasse, definita "conflitto di lealtà", a causa della loro duplice appartenenza ad entrambi gli ordinamenti e dunque alla loro soggezione a vincoli internazionali diversi e confliggenti.

La soluzione a siffatta impasse è stata individuata dalla Corte EDU e declinata in varie sentenze, pertanto è frutto di una progressiva evoluzione giurisprudenziale che non sembra essersi fermata neanche in seguito all'apertura formale del processo di adesione.

In particolare, la declinazione più compiuta è quella che si trova nella sentenza Bosphorus del 2005 (199) che precisa i contorni del Solange della Corte di Strasburgo. In primo luogo viene richiamata la circostanza, affermata nella precedente giurisprudenza, per cui la partecipazione di uno Stato parte della Convenzione ad un'organizzazione internazionale e il relativo (legittimo) trasferimento competenziale, non fanno venire meno le obbligazioni discendenti dalla CEDU: ciò implica che gli atti attuativi ed esecutivi del diritto comunitario possono essere sindacati dalla Corte di Strasburgo. Tuttavia, in quelle ipotesi in cui gli Stati membri dell'Unione non hanno a disposizione alcun margine di discrezionalità nell'attuazione dell'atto UE, si applica la clausola della cosiddetta "protezione equivalente": la Corte di Strasburgo presume che la protezione dei diritti fondamentali accordata nell'ordinamento UE sia comparabile, sia sul profilo sostanziale delle garanzie offerte, sia sul profilo procedurale dei meccanismi giurisdizionali per controllare il rispetto di tali garanzie, a quella garantita nel sistema del Consiglio d'Europa e concretizzata nel meccanismo di controllo esterno e sussidiario CEDU. Tuttavia, la presunzione non ha carattere assoluto e, ove la protezione dei diritti risulti manifestamente insufficiente, viene meno: la Corte afferma il proprio ruolo di garante dell'effettività della tutela dei diritti in Europa, riservandosi una valutazione concreta e caso per caso di tale equivalenza.

La sentenza Bosphorus, che ha avuto il merito di scolpire la relazione tra la tutela dei diritti fondamentali dei due diversi ordinamenti, non rappresenta tuttavia l'approdo finale del Solange di Strasburgo: nel recente caso Michaud c. Francia (200) del 2012 si è precisato ulteriormente, ritagliandolo, il campo applicativo della presunzione. La protezione equivalente trova infatti applicazione solo se il meccanismo di controllo del rispetto dei diritti fondamentali a livello UE è stato compiutamente esperito, ipotesi non sussistente nel caso in cui non sia stato possibile avere accesso alla Corte di giustizia (201).

Uno dei grandi interrogativi che si accompagna alla formalizzazione della procedura di adesione è la sorte della clausola di protezione equivalente. Si auspica infatti che la partecipazione dell'Unione alla Convenzione europea ponga fine a tale sindacato indiretto e caso per caso, dando vita a un controllo esterno diretto e indipendente (202). La tutela dei diritti umani nella Piccola Europa ne uscirebbe rafforzata e anche quel "vuoto" informale di tutela per i cittadini europei nei confronti degli atti dell'Unione verrebbe colmato. I cittadini europei potrebbero così godere oggettivamente dello stesso livello di protezione sia nei confronti degli atti riferibili agli Stati Membri sia di quelli promananti direttamente dalle istituzioni UE. Tuttavia, si deve tenere conto del fatto che gli atti normativi europei discendono formalmente da due istituzioni, il Parlamento europeo e il Consiglio europeo e che sono frutto di complessi iter normativi, portando ad ipotizzare, anche nei confronti di tali decisioni, di un armamentario interpretativo affine alla dottrina del margine di apprezzamento. Pertanto, le ombre sul futuro della presunzione Bosphorus non sono del tutto fugate, paventandosi come possibile un uso oculato da parte della Corte dei propri poteri decisori nei confronti degli atti riferibili direttamente all'Unione (203).

In ogni caso, la direzione imboccata, come dimostrato da Michaud e M.S.S. (204), sembra quella di uno scrutinio deciso della normativa UE e del sistema giuridico comunitario, con riflessi importanti relativamente al tema dei rapporti tra le due giurisdizioni europee.

Note

1. G. F. Mancini, "Le sfide costituzionali alla Corte di giustizia europea", in G. F. Mancini, Democrazia e costituzionalismo neill'Unione europea, il Mulino, Bologna 2004, pag. 78.

2. M. C. Baruffi (a cura di), Dalla Costituzione europea al Trattato di Lisbona, CEDAM, Padova 2008.

3. Emblematiche a tal proposito le parole di Stefano Rodotà che è tra gli autori della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea: "a quell'abbozzo di costituzione europea affidato al Trattato di Lisbona e alla Carta dei diritti fondamentali è stata in questi anni contrapposta una sorta di 'controcostituzione', che ha il suo cuore nel 'fiscal compact' e che ha portato ad una indebita amputazione dell'ordine giuridico europeo proprio attraverso la sostanziale cancellazione della Carta dei diritti, che pure ha lo stesso valore giuridico dei trattati". S. Rodotà, Se l'Unione europea allontana persone e diritti, da Repubblica, 19 settembre 2014.

4. E. Stein, "Lawyers, Judges and the Making of a Transnational Constitution", in American Journal of International Law, 75/1981, pag. 1; A. Tizzano, "Qualche riflessione sul contributo della Corte di giustizia allo sviluppo del sistema comunitario", in Il Diritto dell'Unione europea, 2009, pagg. 141 e ss.

5. In particolare la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali è canale di ispirazione a partire dal quale vengono ricostruiti i principîgenerali del diritto comunitario; costituisce base per molte delle previsioni sostanziali della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea le quali, ove corrispondenti alle analoghe previsioni della CEDU, hanno medesimo senso e portata a fini interpretativi e, infine, una volta che l'adesione sarà completa, la CEDU costituirà un accordo internazionale vincolante per l'Unione europea.

6. "The three main sources of EU law, namely the Charter, the ECHR and the general principles of EU law. Together these create three layers designed to permit the realisation - or even the entrenchment - of fundamental rights of the EU citizens" S. Morano-Foadi, S. Andreadakis, A Report on the Protection of Fundamental Rights in Europe: A reflection on the relationship between the Court of Justice of the European Union and the European Court of Human Rights post Lisbon, Oxford Brookes University, Oxford 2014.

"At least three sources for EU human rights law are today listed in Article 6 TEU. The first is the EU Charter of Fundamental Rights [...]. The second I the ECHR [...] which will become formally binding on the EU when the EU accedes to the ECHR, as Article 6(2) TEU now mandates it to do. The third is the 'general principles of EU law', a body of legal princples, including human rights, which have been articulated and developed by the ECJ over the years, drawing from national constitutional traditions, the ECHR and other international treaties signed by the Member States. These three sources overlap, since many provisions of the EU Charer are based on the ECHR, creating a certain amount of legal confusion". P. Craig, G. De Bùrca (ed.), EU Law. Text, Cases and Materials, Oxford University Press, Oxford 2011, pag. 362.

7. Le uniche libertà e gli unici diritti che troviamo espressi e considerati a livello dei Trattati, sono quelli che attengono all'uomo nella sua particolare dimensione di lavoratore: la libertà di circolazione dei lavoratori e il divieto di discriminazione nella retribuzione in base al sesso.

8. Nella prima fase dell'esperienza europea è possibile parlare di Comunità europee al plurale dato che a partire dalla fine degli Anni Cinquanta coesistevano tre distinte organizzazioni: la Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA), istituita col Trattato di Parigi del 1950; la Comunità Europea dell'Energia Atomica (CEEA o EURATOM) e la Comunità Economica Europea (CEE), istituite con i Trattati di Roma del 1957. Da più parti è stato notato come invece nei primi, ambiziosi progetti di integrazione europea non si riscontrasse questo silenzio in materia di diritti fondamentali. Nel Trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa (CED), firmato a Parigi il 27 maggio 1952, si prevedeva all'articolo 3 l'obbligo di rispettare "les libertés publiques et les droits fondamentaux des individus". Del pari, il Trattato istitutivo della Comunità Politica Europea (CPE), firmato il 26 febbraio 1953, prevedeva un simile obbligo, accompagnato dalla previsione di un rinvio pregiudiziale dalla Corte di Giustizia alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Amplius, A. Grilli, Le origini dl diritto dell'Unione europea, il Mulino, Bologna 2009.

9. Ogni silenzio deve infatti essere contestualizzato: il decennio degli Anni Cinquanta, momento della redazione e adozione dei Trattati istitutivi, è caratterizzato da una forte enfasi in materia di diritti umani. Il Secondo Dopoguerra è infatti tutto incentrato sulla previsione di Costituzioni rigide e di Corti Costituzionali; meccanismi con cui operare il controllo di costituzionalità delle leggi; proliferazione di patti e trattati internazionali sulla tutela dei diritti dell'uomo, tra i quali eminentemente spicca la Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

10. Tra le varie ipotesi avanzate dalla dottrina, appare sicuramente datata e non più accettabile quella che spiegava il silenzio dei Trattati istitutivi sui diritti fondamentali sulla base del carattere delle Comunità di mere entità economiche, tale da determinare l'impossibilità di un conflitto con i tipici diritti dell'individuo dell'impostazione liberale. Gli strali contro la ricostruzioni sono molteplici: dalla constatazione per cui, già a partire dal Secondo Dopoguerra, si aveva un filo rosso che legava i due campi (i diritti economico-sociali sono sussistenti nella totalità dei cataloghi delle nuove Costituzioni nazionali), alla flemmatica provocazione del Mancini, secondo il quale "non è proprio il pericolo che l'economia rappresenta per la libertà degli uomini la maggiore scoperta giuridica del XX secolo?". G. F. Mancini, Democrazia e costituzione nell'Unione europea, il Mulino, Bologna 2004, pag. 142.

11. Con il sintagma "effetto diretto" si intende propriamente designare l'attitudine di una norma dell'ordinamento comunitario ad essere direttamente applicata nel corso di un giudizio interno, senza che venga in rilievo la necessità di una ricezione ad opera di normativa interna. La "primazia" o "supremazia" del diritto CE è invece concetto diverso e indica l'attitudine di una norma comunitaria a prevalere su norme interne dal contenuto difforme nel corso dei procedimenti giurisdizionali nazionali. Amplius P. Craig, G. de Burça (eds), The Evolution of EU Law, Oxford University Press, Oxford 1999, pagg. 177 e ss.

12. "The simple fact remains that in 1957 the protection of the individual from Community measures allegedly violative of his of her fundamental rights would have seemed to rest with the national legal orders. Violations by the Community would have been judged within these national legal orders according to the yardstick provided by each Member State's system, both under national constitutional law and the ECHR. A Community measure coming into conflict with such national guarantees would be subordinated to them. An individual could simply refuse to comply with an allegedly violative Community measure and have as a valid defense the infringement by that measure of standards accepted in his or her national order. Or, at worst, the Member State concerned could enact a national statute abrogating the offensive Community mesure". J.H.H. Weiler, "Eurocracy and distrust: some questions concerning the role of the European Court of Justice in the protection of fundamental human rights within the legal order of the European Communities", in Washington Law Review, 1986, pag. 1113.

13. È ipotizzabile infatti che, in assenza delle costruzioni concettuali dell'effetto diretto e della primazia comunitaria, la sorte di atti prodotti dalle istituzioni europee (i quali implicassero la violazione dei diritti fondamentali sanciti e tutelati in ciascun ordinamento nazionale) fosse rimessa ai meccanismi di tutela interni, mancando nei Trattati qualunque catalogo di diritti fondamentali o riferimento alla necessità che il diritto derivato li rispettasse, a pena di invalidità. In mancanza dell'effetto diritto, infatti, tali atti delle istituzioni europee, richiedendo una formale ricezione nell'ordinamento dello Stato Membro, avrebbero potuto essere annullati dalle Corti Costituzionali nazionali o dagli altri attori nazionali competenti, a seconda del rango interno assunto dall'atto europeo trasposto. In caso invece di atti direttamente applicabili, le Costituzioni nazionali, conservando il loro rango di legge fondamentale in assenza della teoria della primazia comunitaria, sarebbero prevalse, in quanto gerarchicamente superiori, sul diritto di derivazione internazionale eventualmente filtrato nell'ordinamento nazionale.

14. Il riferimento alla "rete di sicurezza" del meccanismo di garanzia CEDU consente anche un'ulteriore riflessione: indubbiamente, data anche la ristrettezza della cerchia degli Stati membri delle Comunità europee, gli Stati europei potevano dirsi appartenenti ad una tradizione comune in materia di diritti umani, ed è proprio l'adesione e il progressivo successo della Convenzione europea a dimostrarlo. Tuttavia, già da allora potevano cogliersi delle differenze immanenti in merito agli standard di protezione dei diritti in generale e dei diritti a carattere economico-sociale in particolare, che venivano emergendo proprio in quegli anni. Una certa dose di relativismo o pluralismo culturale in materia dei diritti poteva dunque costituire argomento ad adiuvandum per l'esclusione di un catalogo di diritti a livello di Comunità europee. M. Cartabia (a cura di), I diritti in azione. Universalità e pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee, il Mulino, Bologna 2007, pag. 18.

15. In realtà, vi è anche un'altra chiave di lettura, che offre spunti affascinanti, avanzata da Weiler in un tempestivo accostamento dell'esperienza del federalismo statunitense e all'esperimento europeo, ripreso poi da Mancini, sintetizzato efficacemente in "a question of competence". Nel clima politico del 1957, quando l'euro-entusiasmo era già scemato, i sei Stati membri erano timorosi di un'espansione dei poteri attribuiti alle neonate Comunità: una Carta dei diritti poteva apparire minacciosa in quanto potenzialmente capace di espandere i poteri attribuiti alla CEE. Se infatti attribuire dei diritti è operazione che nell'immediato è avvicinata all'apposizione di un limite alle competenze attribuite all'organismo comunitario, in realtà (ed è la stessa storia a dimostrarlo) i cataloghi di diritti rappresentano al contempo la concretizzazione della possibilità di esercitare le competenze attribuite fino alle estreme frontiere di quei diritti. I diritti fondamentali, posti a tutela dell'individuo, finiscono per associarsi ai poteri del centro e ridurre le prerogative della periferia. Le potenzialità centripete del Bill of Rights potevano aver allarmato i Fondatori delle Comunità. G. F. Mancini, op. cit., pagg. 142 e ss.; J.H.H. Weiler, "Eurocracy and distrust" cit. pagg. 1111-11120.

16. Alludiamo in particolare al celebre caso sen. CG Stork c. Alta Autorità della Comunità europea del Carbone e dell'Acciacio, 4 febbraio 1959, C 1/58. La causa in questione è un ricorso per annullamento, avente ad oggetto una decisione dell'Alta Autorità della CECA, datata 27 novembre 1957. Il ricorrente lamentava infatti il conflitto di tale decisione con gli articoli 2 (Diritti di libertà) e 12 (Libertà della professione) del Grundgesetz tedesco. Vi sono poi anche altre pronunce che si inseriscono nel solco tracciato dalla sen. Stork, come la sent. CG Uffici di vendita del carbone della Ruhr"Präsident", "Geitling", "Mausegatt" e I. Nold KG contro l'Alta Autorità della Comunità europea del Carbone e dell'Acciaio, 15 luglio 1960, C 36-38-40/59. Nella causa in esame, anch'essa avente a oggetto l'annullamento di una decisione dell'Alta Autorità (n. 36/59), uno dei ricorrenti richiama, nel fondare la propria pretesa, il diritto vivente tedesco in merito all'interpretazione dell'articolo 14 della Legge fondamentale della Repubblica Federale (diritto di proprietà), suggerendo dunque implicitamente la violazione di tale diritto vivente costituzionale ad opera della decisione europea. Infine, ricordiamo la sen. CG Avv. Marcello Sgarlata et al. c. Commissione della CEE, 1 aprile 1965 C 40/64: questa causa è particolarmente significativa perché è una delle prime manifestazioni di insoddisfazione rispetto alla tutela giurisdizionale dei singoli individui nel contesto comunitario. I ricorrenti infatti lamentano che l'interpretazione restrittiva dell'articolo 173 TCEE (in merito al ricorso del singolo contro gli atti europei) priverebbe il singolo cittadino privato di ogni tutela giurisdizionale, tanto a livello interno che comunitario, in contrasto con tutti i principî fondamentali vigenti nella totalità degli Stati Membri.

17. Sen. Stork c. Alta Autorità, cit., in cui "[...] anche la Corte, a norma dell'articolo 31 del Trattato, deve semplicemente garantire il rispetto del diritto nell'interpretazione e applicazione del trattato e di regolamenti di esecuzione, ma non è di regola tenuta a pronunciarsi in merito alle norme dei diritti nazionali. Ne consegue che anche la censura relativa al fatto che l'Alta Autorità con la sua decisione avrebbe violato principi fondamentali della Costituzione tedesca non può essere presa in considerazione della Corte".

Richiamiamo a commento un inciso di Weiler, in cui leggiamo che "in Stork the major threat perceived by the Court was in forcing the High Authority to look over its shoulder at each step to ensure that it was not infringing on constitutional guarantees of the Member States". J.H.H. Weiler, "Eurocracy and distrust", cit., pag. 1114.

18. "No lack of commitment to human rights protection, but Europen Court of Justice was fearful of subordinating the treaty to the laws of Member States and thus prejudicing the effect of Community law". T. Tridimas, The General Principles of European Union Law, Oxford University Press, Oxford 2005, pag. 301.

19. M. Cartabia, Principi inviolabili e integrazione europea, Giuffrè Editore, Milano 1995, pag. 23.

20. "The European legal order was begotten from public international law in the normal way that these things happen: there was a communion among some Member States - the high contracting parties- which negotiated, signed and subsequently ratified the constituent Treaties that borught into being, first the nascent European Coal and Steel Community and then its twin sibling, the European Economic Community and the Euratom" J.H.H. Weiler, U.R. Haltern, "The Autonomy of the Community Legal Order - Through the Looking Glass", in Harvard International Law Journal, 1996, pag. 417.

21. Secondo il progetto dell'"Europa a piccoli passi" di Jean Monnet.

22. Entro l'etichetta 'principî generali' la Corte ha dunque convolato anche la tutela dei diritti fondamentali. Detti principî, vera e propria fonte del diritto comunitario sviluppata in via giurisprudenziale, sono situati a un livello intermedio tra la 'legge fondamentale' europea - Trattati e il diritto derivato, e assolvono la funzione di parametro di legittimità e di strumento per la sua interpretazione e integrazione. La base testuale a partire dalla quale la Corte di Giustizia ha dato luogo a tale sviluppo è la previsione di cui all'articolo 215 TCEE ai sensi della quale "in materia di responsabilità extracontrattuale, la Comunità deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell'esercizio delle loro funzioni".

23. G. Gaja, "Aspetti problematici della tutela dei diritti fondamentali nell'ordinamento comunitario", in Rivista di diritto internazionale, 1988, pag. 574.

24. Sen. CG Stauder 12 novembre1969, C 29/69 in cui notiamo l'obiter dictum "i diritti fondamentali della persona [...] fanno parte dei principi generali del diritto comunitario, di cui la Corte garantisce l'osservanza".

25. Sen. CG, Van Gend en Loos c. Amministrazione olandese delle imposte, 5 febbraio 1963, C 26/62 in cui si enuncia compiutamente la nozione di effetto diritto delle disposizioni del Trattato istitutivo. Infatti nella sentenza viene messo in luce il fatto che il Trattato istitutivo ha dato vita a un ordinamento giuridico peculiare ed innovativo in cui, a determinate condizioni, le disposizioni che impongono obblighi in capo agli Stati Membri determinano l'insorgere dei diritti corrispondenti in capo ai cittadini.

Sen. CG Costa c. ENEL, 15 luglio 1964C 6/64 in cui la Corte per la prima volta delinea la nozione di primazia comunitaria. L'ordinamento comunitario è infatti integrato negli ordinamenti giuridici nazionali degli Stati membri e ciò vale a determinare la preminenza delle norme comunitarie su quelle interne: ciò avviene nello specifico perché gli Stati membri, avendo dato luogo a una cessione di sovranità nei confronti della Comunità, non possono vanificare il trasferimento di poteri emanando nel proprio ordinamento normative incompatibili con gli obblighi assunti con la sottoscrizione del Trattato.

26. M. Cartabia, J. H. H. Weiler, L'Italia in Europa. Profili istituzionali e costituzionali, il Mulino, Bologna 2000, pag. 218.

27. Sent. CG Internationale Handelsgesellschaft 17 dicembre 1970, C 11-70.

28. T. Tridimas, op. cit., pagg. 298 e ss.

29. Ex multis, ricordiamo: l'ordinanza 18 ottobre 1967 in cui la Corte di Karlshure ribadisce che il trasferimento di competenze alla Comunità europea non può aver spogliato i cittadini tedeschi della protezione loro concessa dalla Grundgesetz e che pertanto il diritto comunitario deve essere sottoposto in sede nazionale a una verifica di compatibilità con le norme interne costituzionali. Bundesverfassungsgericht 25 luglio1971, in cui si afferma che la giurisprudenza della Corte di Giustizia non offre (ai primordi degli Anni Settanta) sufficienti elementi di certezza in merito alla sussistenza nel sistema comunitario di una protezione dei diritti fondamentali almeno coincidente con quella offerta dall'ordinamento tedesco. Bundesverfassungsgericht 29 maggio 1971 (Solange-Beschluss) in cui si afferma che in caso di contrasto tra le disposizioni di diritto derivato comunitario e le norme costituzionali sui diritti fondamentali, quest'ultime prevalgono almeno fino a quando la Comunità non si doti di un proprio sistema di salvaguardia dei diritti, che sia adeguato allo standard della Legge fondamentale tedesca. Per quanto riguarda invece l'ordinamento italiano, nella sentenza della Corte costituzionale 183 del 27 dicembre 1973 si ribadisce che la cessione di sovranità a favore della Comunità Economica europea non comporta il potere di violare i principî fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano: ove una tale eventualità dovesse verificarsi, la Corte Costituzionale si riserva il potere di procedere a un sindacato del Trattato alla luce di detti principî fondamentali, in cui sono ovviamente incluse le norme sostanziali in materia di diritti dell'uomo previste nella Costituzione repubblicana.

30. Sent. CG Internationale Handelsgesellschaft in cui"[...] il richiamo a norme o nozioni di diritto nazionale nel valutare la legittimità di atti emanati dalle istituzioni della Comunità menomerebbe l'unità e l'efficacia del diritto comunitario. La validità di detti atti può essere stabilita unicamente alla luce del diritto comunitario. Il diritto nato dal Trattato, che ha una fonte autonoma, per sua natura non può infatti trovare un limite in qualsivoglia norma di diritto nazionale senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che sia posto in discussione il fondamento giuridico della stessa Comunità. Di conseguenza, il fatto che siano menomati vuoi i diritti fondamentali sanciti nella Costituzione di uno Stato Membro, vuoi i principi di una Costituzione nazionale, non può sminuire la validità di un atto della Comunità né la sua efficacia nel territorio dello stesso Stato". Tali considerazioni sono poi confermate nella successiva sen. CG Hauer, 13 dicembre 1979, C44/99 in cui si afferma che, relativamente alla legittimità dei provvedimenti comunitari, applicare un criterio di valutazione nazionale "incrinerebbe inevitabilmente l'unità del mercato comune e comprometterebbe la coesione delle Comunità".

31. Vincenzo Sciarabba, ricostruisce in termini aristotelici il ragionamento effettuato a tale proposito dalla Corte: a una premessa maggiore, fondata sull'articolo 164 TCE, secondo cui il compito della Corte è quello di assicurare il rispetto del diritto nell'interpretazione e applicazione dl trattato, si affianca una rivoluzionaria premessa minore, alla stregua della quale nell'ordinamento comunitario esistono e hanno generalizzata rilevanza alcuni principî generali, i quali dunque costituiscono diritto. La conseguenza è quella per cui la Corte ha il potere-dovere di individuare ed applicare tali principî generali. V. Sciarabba, Tra fonti e corti. Diritti e principi fondamentali in Europa: profili costituzionali e comparati degli sviluppi sovranazionali, CEDAM, Padova 2008, pag. 88.

32. "My first concern will be to explain why human rights-based judicial review in the European Economic Community has not raised in any significant sense the type of controversy which has characterized siilar judicial activity in other jurisdicitions, despite the prima facie case for a major controversy" J.H.H. Weiler, "Eurocracy and distrust", cit., pag. 1106.

33. Tale formula rispecchia il fatto che nei singoli ordinamenti nazionali la tutela dei diritti fondamentali è realizzata in modo variegato, come per mezzo di norme costituzionali, di leggi o anche principî generali. Del tutto sui generis è, ad esempio, l'esperienza della Gran Bretagna, Stato in cui non vi è una costituzione scritta.

34. Rileva Oreste Pollicino che, nella sentenza in questione, "subito dopo la 'dichiarazione shock' dei giudici di Lussemburgo" si ammetteva "quasi ad attenuare la portata 'sovversiva' [della primazia comunitaria sul dettato delle Costituzioni nazionali] un passaggio dalla rilevanza altrettanto fondamentale": che la protezione dei diritti fondamentali, parte integrante dei principî generali del diritto comunitario, trovava ispirazione nelle tradizioni costituzionali comuni degli Stati Membri. Continua Pollicino osservando che "da questo punto di vista può dirsi che la supremazia del diritto comunitario sul diritto interno, almeno riguardo all'area relativa alla tutela dei diritti fondamentali, non è mai stata assolutizzata dalla Corte di Giustizia" e ancora "proprio nel momento in cui tale supremazia raggiungeva, apparentemente, il suo apice massimo, spingendosi oltre i limiti previsti dal dettato costituzionale degli Stati, essa era, allo stesso tempo, in qualche modo 'relativizzata' dal riferimento che, per la prima volta, la Corte di Giustizia faceva alle identità costituzionali nazionali quale limite, seppur assai indiretto, a detto primato". O. Pollicino, op. cit., pag. 56.

35. Sen. CG Nold, 14 maggio 1974, C4-73 in cui si stabilisce che "i trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell'uomo cui gli Stati membri hanno cooperato e aderito, possono del pari fornire elementi di cui occorre tenere conto nell'ambito del diritto comunitario". Rileva Giorgio Gaja come già in questa sentenza vi sia implicitamente una "considerazione particolare" della CEDU, nel momento in cui si impiega una formulazione allusiva ad un qualche coinvolgimento degli Stati Membri non parti del trattato alla sua formazione ed alla sua applicazione, come era appunto il caso della Francia rispetto alla Convenzione europea. Lo Stato francese infatti ratificò la Convenzione europea dei diritti dell'uomo solo il 3 maggio 1975, poco prima che la sentenza Nold venisse pronunciata: non è un caso infatti che nella successiva sen. CG Rutili, 28 ottobre 1975 si citi espressamente la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, isolandola dalla massa indistinta dei trattati internazionali e conferendole un significato speciale all'interno delle fonti di ispirazione per la tutela dei diritti umani operata dalla Corte di Giustizia. Nel '74 finalmente tutti gli Stati Membri delle Comunità europee aderiscono infatti anche alla Convenzione europea dunque il riferimento sembra quanto mai opportuno e calzante. Si aggiunga inoltre che "in una prospettiva di politica giudiziaria, il confermarsi alla Convenzione europea si presenta per la Corte di Giustizia come una esigenza minima perché la tutela dei diritti fondamentali nell'ordinamento comunitario assuma credibilità". G. Gaja, op. cit., pagg. 581 e ss.

36. A seguito della ratifica francese, i riferimenti alla CEDU sono infatti molteplici, mentre rarissimi ed eccezionali i richiami a diversi trattati internazionali. Ex multis e ad exemplum relativamente ai riferimenti alla CEDU possiamo ricordare: sen. CG Prais 27 ottobre 1976 C 130/75; sen. CG Dorca Marina 28 ottobre 1982 C 50-58/82; sen. CG Pecasting 5 marzo 1980 C 98/79. A titolo meramente esemplificativo ricordiamo la sen. Defrenne III 15 giugno 1978 C 149/77 vengono richiamate la Carta Sociale europea e la Convenzione n. 11 dell'OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) concernente la discriminazione in materia di impiego e professione del 25 giugno 1958.

37. La 'clausola di stile' fa la sua prima comparsa nella sen. CG Hauer 13 dicembre 1979, C-44/73; successivamente la ritroviamo nella sen. CG Testa 19 giugno 1980 C 41; 121; 796/79 nonché in sen. National Panasonic 26 giugno 1980 C 136/79.

38. "Anche quando si ravvisi l'esistenza nell'ordinamento comunitario di un diritto fondamentale corrispondente a quello tutelato in un ordinamento nazionale, una diversità di contenuto della tutela può dipendere dalla circostanza che gli interessi pubblici correlativi debbono essere rapportati alla dimensione comunitaria, sicché, ad esempio, la proporzionalità deve essere valutata in relazione alle esigenze non già di uno Stato membro ma dell'intera Comunità". G. Gaja, op. cit., pag. 577.

39. "In realtà, di fronte ad un'apparente identità di principi, l'effettivo grado di tutela di un diritto in un ordinamento deriva non tanto dall'enunciazione compiuta in via generale, quanto piuttosto dalle limitazioni che tale diritto incontra ad opera di altri principi che proteggono interessi diversi, ma comunque ritenuti meritevoli di tutela. L'equilibrio fra interessi contrapposti può, pertanto, comportare un grado di tutela sensibilmente diverso anche per diritti che siano sanciti in modo non dissimile in diversi ordinamenti [nazionali]". A. Adinolfi, "I principi generali nella giurisprudenza comunitaria e la loro influenza sugli ordinamenti degli Stati membri" in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, vol. 2/1994, pag. 552.

40. "It is clear that in assessing what is the 'general interest' which the measure serves, the Court makes a reference to the Community general interest and not to an aggregate or cumulative Member State interest". J.H.H. Weiler, op. cit., pag. 1131.

41. F. Trione, La tutela dei diritti fondamentali in ambito comunitario. Dal silenzio dei Trattati istitutivi alla Carta di Nizza, Editoriale Scientifica, Napoli 2004, pag. 25.

42. "Ainsi garanti, le respect des droits fondamentaux est aménagé en fonction des exigences propres du droit communautaire. Le postulat énoncé par la CJCE, selon lequel la sauvegarde des droits de l'homme 'doit etre assurée dans le cadre de la structure et des objectifs de la Communauté' [sen. CG Internationale Handelgeselleschaft, cit. par. 4] signifie, comme le relève à juste titre le Prof. Labayle, que 'la finalité communautaire des droits fondamentaux détermine à la fois leur incorporation et leur utilisation, voire parfois leur limitation'. La CJCE affirme ainsi que les droits fondamentaux ne sont pas 'des prérogatives absolues, ils doivent etre considérés, comme dans le droit consitutionnel de tous les Etats membres, en vue de la fonction sociale des biens et activités protégées' et, en conséquence, ils peuvent supporter 'certaines limites justifiées par les objectifs d'intérêt général poursuivis par la Communauté, dès lors qu'il n'est pas porté atteinte à la substance de ces droits' [sen. CG Nold cit. par 14]. En bred, la protection des droits de l'homme dans l'ordre communautaire obéit à la 'prééminence de la logique communautaire'". F. Sudre, Droit européen et international des droits de l'homme, Presses Universitaires de France, Paris 2011, pag. 145.

43. M. Cartabia (a cura di), I diritti in azione. Universalità e pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee, pag.

44. Un riscontro di tale modo di procedere sembra possibile che sia rinvenuto anche nel dato letterale del linguaggio impiegato dalla Corte nelle pronunce in materia di 'diritti fondamentali' che è stato infatti descritto come un "melange linguistico" di formule miste, imperative e flessibili.

45. Ne consegue la fatuità delle (numerose) discussioni, che peraltro hanno caratterizzato il dibattito dottrinario coevo alla giurisprudenza della Corte di giustizia di cui stiamo parlando, in merito allo standard di tutela da applicarsi a livello comunitario, derivante in particolare dal riferimento alla 'comunanza' delle tradizioni costituzionali degli Stati membri. Non è infatti solo impossibile ma anche concretamente poco utile forzare vere e proprie scelte assiologiche e di valore, le quali sfuggono del tutto a logiche gerarchiche e quantitative, in giudizi necessariamente di tipo quantitativo.

46. "Ma che cosa vuol dire principi (o valori o tradizioni) 'comuni'? È indispensabili che, per essere accolto in sede comunitaria, il diritto sia garantito dagli ordinamenti di tutti gli Stati? E che fare quando il grado di tutela offertone da ogni singolo Stato è diverso, come avviene soprattutto nel caso dei diritti economici e sociali? Dovrà la Corte assumerlo nella forma della protezione massima o della minima o, ancora, in quella che risulta dalla media aritmetica delle varie forme? [...] Il metro su cui [la Corte] misura le soluzioni che i vari sistemi le prospettano è dato dallo spirito del Trattato e dalle esigenze di una Comunità in via di edificazione: prescelta, dunque, è la forma di tutela più conforme a tali criteri o semplicemente a essi conforme se non c'è luogo a svolgere confronti perché il diritto che una parte invoca, pur non configgendo con i principi fondamentali degli altri ordinamenti, risulta garantito da un solo sistema". G. F. Mancini, "La tutela dei diritti dell'uomo: il ruolo della Corte di Giustizia", in G. F. Mancini, op. cit., pag. 152.

47. M. Cartabia, Principi inviolabili e integrazione europea, cit., pag.

48. La membership estremamente ristretta - soprattutto a paragone di quella propria dell'altra istituzione europea del Consiglio d'Europa- degli iniziali sei Stati Membri fondatori del 1952 (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi) si allargò inizialmente nel '73 alla Danimarca, al Regno Unito e all'Irlanda; nel 1981 la Grecia entrò a far parte dell'organizzazione internazionale, seguita a distanza di cinque anni dalla Spagna e dal Portogallo; infine nel 1995 si unirono la Svezia, la Finlandia e l'Austria. Il vero e proprio "allargamento ad Est" successivo alla dissoluzione dell'URSS si è poi avuto nel 2004, anno in cui sono entrati a far parte dell'attuale Unione europea gli Stati Cipro, Estonia Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Angheria; seguiti nel 2007 dalla Bulgaria e dalla Romania. L'ultima adesione cronologica, che ha portato ad un totale di ventotto membri, è stata quella della Croazia, perfezionata nel 2013.

49. Si allude alle sentenze, già citate supra alla nota 29.

50. J. H. H. Weiler, "A Quiet Revolution. The European Court of Justice and its Interlocutors", Comparative Political Studies, 1994.

51. Si è già menzionato che l'origine remota del passepartout 'principî generali' sia l'articolo 215 TCEE (vedi supra nota 22). La Corte di Giustizia fece riferimento sin da subito alla disposizione, indubbiamente andando oltre il suo ambito e il suo contenuto, in teoria dedicati alle "ipotesi limite" della responsabilità extra-contrattuale della Comunità e dei suoi agenti.

52. Il Trattato sull'Unione europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, è entrato in vigore il 1 novembre 1993. Le finalità del trattato sono la preparazione della creazione dell'Unione monetaria europea e per un'unione politica, introducendo infatti l'istituto della cittadinanza europea. Tra le principali novità si segnalano infatti l'istituzione dell'Unione europea, organizzata secondo la struttura in pilastri; l'introduzione della procedura di codecisione, che conferisce al Parlamento maggiori poteri nel processo decisionale; nuove forme di cooperazione tra i governi dell'UE, ad esempio in materia di difesa, giustizia e affari interni. Indubbiamente, una certa accelerazione verso l'integrazione politica dell'Europa fu data anche dall'adozione del precedente Atto Unico Europeo, entrato in vigore il 1 luglio 1987, con cui si riformarono le istituzioni dell'organizzazione per preparare l'adesione di Portogallo e Spagna e semplificare il processo decisionale in vista della realizzazione del mercato unico.

53. Il rispetto dei diritti fondamentali è riferito, nel testo del Trattato, alla neo istituita Unione europea, e non alla Comunità europea e alle sue istituzioni; tuttavia, e le vicende successive lo dimostrano, l'obbligo posto a carico dell'Unione si riflette inevitabilmente sulle Comunità su cui del resto la stessa Unione si fonda. A tale proposito si veda E. Pagano, "I diritti fondamentali nella Comunità europea dopo Maastricht", in Il Diritto dell'Unione europea, 1996, fasc. 1, pag. 163. Si ricordi inoltre che l'articolazione dell'organizzazione internazionale nei te distinti "pilastri", introdotta proprio con il Trattato di Maastricht, interessa anche l'ambito dei diritti fondamentali: relativamente agli obiettivi del secondo pilastro "politica estera e di sicurezza comune" infatti vi è anche "lo sviluppo e il consolidamento della democrazia e dello stato di diritto nonché il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali" (art. J 1 §2). Per quanto riguarda infatti i settori del terzo pilastro "affari interni e giustizia" vengono trattati "nel rispetto della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e della Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 28 luglio 1951, tenendo conto della protezione che gli Stati membri concedono alle persone perseguitate per motivi politici" (K 2 §1). Tuttavia, a queste affermazioni di principio, corrisponde l'esclusione degli atti adottati nell'ambito di tali pilastri dall'ambito del controllo giurisdizionale di legittimità ad opera della Corte di Giustizia.

54. Da un punto di vista teorico, la menzione nel corpus normativo del Trattato dell'operazione giurisprudenziale costituisce una ratifica di tipo "costituzionale" (appunto a livello di trattato istitutivo) di un'operazione "costituzionale" eseguita dalla Corte di Giustizia; da un punto di vista pratico, non vi sono effetti concreti, ad eccezione di una ipotizzabile cristallizzazione della giurisprudenza formatasi e dello status quo, in particolare della preminenza e della rilevanza della CEDU nella ricostruzione dei diritti fondamentali. Si è osservato che operazione maggiormente utile sarebbe stata per contro quella di prevedere l'adesione alla CEDU dell'Unione oppure l'adozione di un nuovo ed inedito catalogo di diritti fondamentali. A quest'ultimo proposito, si ricorda la risoluzione del Parlamento europeo del 12 aprile 1989, "Dichiarazione dei diritti e delle liberà fondamentali" che costituisce un autonomo e tendenzialmente completo catalogo di diritti; nonché una risoluzione del 1975 in cui il neo istituito Parlamento europeo affermava la necessità di adottare una Carta dei diritti fondamentali. Per quanto riguarda l'adesione alla CEDU, l'opportunità della partecipazione a tale strumento internazionale delle ex Comunità europea è stata da sempre ventilata dalle istituzioni europee, cfr. infra par. 5 "L'adesione dell'Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Una questione ancora aperta". V. Sciarabba, op. cit., pagg. 96 e ss.

55. Oreste Pollicino rileva che "la regola del voto a maggioranza [introdotta dall'Atto Unico Europeo] e il Trattato di Maastricht" risultano indicativi "della volontà di riappropriazione, da parte degli Stati membri, della loro veste legittimante di legislatori comunitari, sottraendo alla Corte di Lussemburgo l'anomalo ruolo di law maker che essa aveva assunto in forza della perdurante inerzia legislativa in seno al Consiglio dei Ministri". Gli Stati membri, dunque, vogliono riappropriarsi del ruolo di Legislatore che gli spetta di diritto, tendenzialmente usurpato dall'attivismo giurisprudenziale. In questo senso, continua l'Autore, è possibile del resto leggere anche la positivizzazione dei principî di sussidiarietà e proporzionalità, che vale a ribadire "la volontà degli Stati di non voler subire eccessive intrusioni nelle aree simbolo della (invero assai residua) sovranità nazionale" nonché i messaggi di alcune Corti costituzionali "che accertavano ex ante l'incostituzionalità del Trattato di Maastricht e la necessità di una revisione costituzionale per la sua ratifica [Conseil Costitutionnel francese; Tribunal Costitutional spagnolo], o accompagnavano la valutazione di adeguatezza costituzionale dello stesso Trattato a ingombranti riserve [Maastricht Urteil della Corte Costituzionale tedesca]". O. Pollicino, op. cit., pag. 59.

56. Il Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1 maggio 1999, ha riformato le istituzioni europee in vista dell'allargamento ad Est della membership e ha ampliato l'utilizzabilità della procedura di codecisione introdotta nel 1992.

57. Il Trattato di Amsterdam, nel modificare l'articolo F §2 del Trattato di Maastricht, prevede infatti che "l'Unione si fonda su principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e dello Stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri".

58. Il Trattato di Amsterdam, nel modificare l'articolo O del Trattato di Maastricht, stabilisce che "ogni Stato europeo, che rispetti i principi sanciti nell'articolo F, paragrafo 1 [i.e. principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri] può domandare di diventare membro dell'Unione. Esso trasmette la sua domanda al Consiglio, che si pronuncia all'unanimità, previa consultazione della Commissione e previo parere conforme del Parlamento europeo, che si pronuncia a maggioranza assoluta dei membri che lo compongono".

59. Il Trattato di Amsterdam novella il Trattato di Maastricht, introducendo la disposizione alla cui stregua "il Consiglio, riunito nella composizione dei Capi di Stato e di Governo, deliberando all'unanimità su proposta di un terzo degli Stati Membri o della Commissione e previo parere conforme del Parlamento europeo, può constatare l'esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membri dei principi di cui all'articolo F par. 1 [i.e. principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri], dopo aver invitato il governo dello Stato membro in questione a presentare osservazioni.

Qualora sia stata effettuata una siffatta constatazione, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere, alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall'applicazione del presente trattato, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio. Nell'agire in tal senso, il Consiglio tiene conto delle possibili conseguenze di una siffatta sospensione sui diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche. Lo Stato membro in questione continua in ogni caso ad essere vincolato dagli obblighi che gli derivano dal presente trattato. [...]".

60. Si parla di invenzione in senso etimologico: il vuoto di tutela che si era venuto a creare a seguito dell'affermazione e del perfezionamento della primazia del diritto comunitario e dell'effetto diretto spinse i giudici europei a rinvenire nel corpus dei principi giuridici generali immanenti nel tessuto comunitario uno spazio per la tutela dei diritti fondamentali.

61. Ritroviamo dunque il cosiddetto "uso in funzione offensiva" dei diritti fondamentali, preconizzato da Coppel e O'Neill nel loro Taking rights seriously. J. Coppel, A. O'Neill, "The European Court of Justice: Taking Rights Seriously?", in Common Market Law Review, 1992 n. 4, pagg. 669 e ss.

62. Sen. CG Wachauf, 13 luglio 1989 C-5/88 la quale è rappresentativa della dottrina della incorporation. L'antenata della sentenza Wachauf è la sen. Krucken, 26 aprile 1988, C-316/86. In tale pronuncia, la Corte afferma infatti che ogni autorità nazionale che sia incaricata di applicare il diritto comunitario ha l'obbligo di rispettare i principî fondamentali CE (il caso concreto riguardava l'osservanza del principio della tutela del legittimo affidamento ad opera dell'autorità nazionale incaricata di applicare il regime delle restituzioni alle esportazioni nell'ambito dell'organizzazione comune dei mercati agricoli).

63. La Corte di Giustizia afferma nella sentenza Wachauf che, nel caso in cui sussista un ampio margine di discrezionalità per gli Stati Membri relativamente all'attuazione del diritto comunitario, questi devono prediligere un'attuazione degli obblighi CEE che sia rispettosa dei principî generali. Le esigenze di tutela dei diritti fondamentali, infatti, vincolano gli Stati Membri quando questi danno esecuzione alla normativa comunitaria, pertanto detti Stati sono tenuti, nei limiti del possibile, ad applicare detta normativa in condizioni che non vanifichino le suddette esigenze di tutela (par. 19). Nel caso in questione, l'obbligo di rispetto per i principî fondamentali, ivi inclusa la tutela comunitaria dei diritti, riguarda norme che danno applicazione ai regolamenti comunitari; successivamente la linea si è estesa ricomprendendo anche l'attuazione di altri atti, come le direttive.

64. Sen. Elliniki Radiophonia Tileorassi, 18 giugno 1991, C-260/89.

65. Una successiva specificazione di questo orientamento si è avuta nella sen. Vereinigte Familiapress Zeitungsverlags- und Vetriebs GmbH, 13 marzo 1997, C-368/95 in cui si afferma il dovere di rispettare i principî generali del diritto anche quando lo Stato Membro, pur non ricorrendo direttamente alle deroghe espressamente previste nel tessuto normativo dei Trattati, fondi la propria azione su quelle più ampie "giustificazioni per pubblico interesse" sviluppate in via pretoria dalla Corte di Giustizia per le misure nazionali indistintamente applicabili.

66. Ex multis e ad exemplum: sen. CG Demirel, C-12/86; sen. CG Kremzow, c-299/95; sen. Annibaldi C-309/96.

67. Tali vicissitudini, che si intersecano a problematiche più ampie dato che sono intimamente connesse alla spinosa questione dell'Unione come comunità politica specchio di un demos europeo, si snodano per lungo tempo. L'origine della Carta di Nizza come documento è formalmente fatta risalire a una data precisa, ovvero al 4 giugno 1999, nell'ambito del Consiglio Europeo di Colonia. In tale sede (e tracce tangibili sono riscontrabili nelle Conclusioni del Consiglio Europeo in questione e nella Decisione ivi allegata), si incarica un organo estraneo al quadro istituzionale dell'UE, la futura Convention presieduta da Roman Herzog, di stendere un progetto di Carta dei diritti fondamentali entro il dicembre del 2000. Il mandato viene celermente compiuto, e nell'ottobre 2000 viene consegnato tale progetto di Carta all'allora Presidente del Consiglio Europeo Jaques Chirac. Se già nel Consiglio Europeo di Biarritz del 14 ottobre 2000 il progetto viene informalmente approvato dalle componenti dell'Unione Europea, la vera e propria problematica consacrazione della Carta sia ha nell'ambito del Consiglio Europeo di Nizza del 7 dicembre 2000, con la sua solenne proclamazione da parte di tutte le istituzioni europee. Tuttavia, il nodo gordiano di posizioni contrapposte in merito all'efficacia giuridica della Carta e alla sua eventuale collocazione all'interno dei Trattati non era ancora stato sciolto da parte dei Padroni dei Trattati: fu necessario adottare una Dichiarazione sul futuro dell'Unione (la Dichiarazione n. 23, allegata al Trattato di Nizza), la quale rinviava a una futura Conferenza intergovernativa del 2004 la discussione e soluzione, tra le altre questioni, della determinazione dello status giuridico della Carta di Nizza. Tali questioni furono approfondite nella Dichiarazione sul futuro dell'Unione Europea, adottata nell'ambito del Consiglio europeo di Leaken del 15 dicembre 2000, la quale convocò altresì la cosiddetta "Seconda Convenzione" o "Convenzione Giscard", dal nome del Presidente incaricato, avente il compito di esaminare le questioni essenziali comportate dal futuro sviluppo dell'Unione e di ricercare le diverse soluzioni possibili ad esse. All'interno della Convenzione Giscard, il "Gruppo Carta" presieduto da Antònio Vitorino, si occupò, in sintesi, del futuro dell'Unione nell'ambito della tutela dei diritti fondamentali, studiando infatti le questioni sottese sia alla sorte giuridica della Carta di Nizza sia quelle sottese ad un'eventuale adesione dell'Unione alla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e libertà fondamentali. La sintesi dei lavori dei vari Gruppi costituirà il Progetto di un Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa, su cui andrà a lavorare la Conferenza Intergovernativa del 2004, la quale predisporrà il testo definitivo del Trattato costituzionale, poi firmato a Roma dai Capi di Stato o di Governo degli Stati Membri il 29 ottobre 2004, le cui vicende, come noto, ebbero un esito non particolarmente felice. L'impasse fu superata a Lisbona, con la firma del Trattato omonimo ad opera di tutti e ventisette i Capi di Stato e di Governo degli Stati membri il 13 dicembre 2007, il quale, diversamente dal Trattato di Roma, non prevede né l'allegazione, né l'incorporazione della Carta nel corpus del diritto primario, bensì vi fa riferimento nel testo di uno specifico articolo.

68. G. Strozzi, "Il sistema integrato di tutela dei diritti fondamentali dopo Lisbona: attualità e prospettive", in Il diritto dell'Unione europea, 4/2011, pag. 838.

69. Per opinione quasi totalmente concorde la Carta non poteva essere considerata come una mera elencazione di principî morali, in quanto rappresentativa dei valori condivisi dagli Stati Membri; essa ha inoltre il preciso scopo di creare nei cittadini dell'UE la consapevolezza di una comune identità e di un comune destino europeo. In questa prospettiva, infatti, parte della dottrina sostenne che "la Carta, pur avendo una portata meramente ricognitiva dei preesistenti diritti, attribuisce ad essi un 'plusvalore', quanto meno quello della scrittura, modificando inevitabilmente il modo in cui essi vengono garantiti nel contesto comunitario". (A. Celotto, G. Pistorio, "L'efficacia giuridica della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea", in Giurisprudenza italiana, 2005; A. Pace, "A che serve la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea? Appunti preliminari", in Giurisprudenza Costituzionale, 2001, pag. 193 e ss). Altri, invece, videro nella Carta di Nizza un "efficace testo dichiarativo del livello di tutela esistente dei diritti nel sistema europeo" (U. de Siervo, "L'ambigua redazione della Carta di diritti fondamentali nel processo di costituzionalizzazione dell'Unione Europea", in Diritto pubblico, 2001, pag. 55 e ss.) oppure una "codificazione organica della materia nel contesto comunitario" F. Pocar (a cura di), Commentario breve ai Trattati della Comunità e dell'Unione europea, CEDAM, Padova 2001, 1179 e ss. Ancora, si vedano: A. Anzon, "La Costituzione europea come problema", in Rivista diritto costituzionale, 2000, pag. 656 e ss.; L.S. Rossi, "La Carta dei diritti come strumento di costituzionalizzazione dell'ordinamento comunitario", in Quaderni Costituzionali, 2002, pag. 566 e ss.

70. Si è infatti resa necessaria una nuova proclamazione della Carta dei diritti fondamentali, la quale ha avuto luogo a Strasburgo, in considerazione del fatto che la Convenzione Costituente (rectius il Gruppo Carta presieduto da Vitorino) e la Conferenza Intergovernativa hanno parzialmente emendato alcune disposizioni della Carta di Nizza, pur considerando il testo elaborato dalla Convenzione Herzog adottato a Nizza un acquis non suscettibile di essere messo in discussione. Emblematiche, a tale proposito, le parole di Elena Paciotti, membro della Convenzione Herzog: "la nuova cerimonia è stata resa necessaria da due circostanze che non meritano particolari apprezzamenti, ma suscitano semmai qualche (peraltro contenuto) disappunto, cioè il fatto che la Carta di Nizza è stata nel frattempo integrata con nuove clausole (da un punto di vista formale non è dunque la 'Carta di Nizza' che entra nei Trattati, ma una sua versione aggiornata e un pochino peggiorata) e il fatto che la Carta non solo non entra formalmente a far parte del testo dei Trattati ma non viene neppure allegata ad essi, sicché c'è bisogno di un testo autonomo da pubblicare sulla Gazzetta ufficiale, perché ad esso si possa fare riferimento". E. Paciotti, "La seconda 'proclamazione' della Carta dei diritti e il trattato di riforma", in Osservatorio sul rispetto dei diritti fondamentali in Europa, 2007.

71. Formalmente, la Carta non è mai stata oggetto di stipulazione da parte dei singoli Governi degli Stati Membri e non costituisce né un Protocollo, né un trattato allegato, tuttavia, la precisa affermazione secondo cui la stessa ha "il medesimo valore giuridico dei Trattati", è sufficiente a chiarire la questione delLa sua efficacia giuridica. La conferma è arrivata puntuale ad opera della Corte di Giustizia con la prima sentenza che fa riferimento alla piena efficacia giuridica della Carta dei diritti fondamentali, vera e propria fonte in materia di diritti fondamentali nell'UE, ovvero sen. CG Seda Kucukdeveci v. Swedex GmbH & Co. KG, 19 gennaio 2010, C-555/07.

72. L'articolo 6 TUE è una "disposizione che certo non si perde in perifrasi e - anche nel confronto con altre formule contenute nel Trattato di Unione talvolta verbose, talaltra prolisse o, addirittura, ripetitive - brilla per l'uso parco dei termini e per la stringatezza del dispositivo", come rileva Nicoletta Parisi. La stesa Autrice ricollega peraltro l'essenzialità della disposizione all'espressa volontà di "decostituzionalizzare" il trattato sull'Unione europea nell'occasione della sua ultima revisione. N. Parisi, "Funzione e ruolo della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea nel sistema delle fonti alla luce del Trattato di Lisbona", in Il Diritto dell'Unione europea, 3/2009, pag. 653.

73. O. Pollicino, V. Sciarabba, "La Carta di Nizza oggi tra sdoganamento giurisprudenziale e Trattato di Lisbona", in Osservatorio sul rispetto dei diritti fondamentali in Europa, 2008.

74. Ex multis e ad exemplum, ricordiamo: Corte di Appello di Firenze, sentenza 14 marzo 2006 che prevede "a livello di proclamazione di principi, ossia di valori assiologici condivisi in ambito sovranazionale, il generale divieto di discriminazione - anche in relazione al fattore dell'età- viene sancito solennemente dall'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea proclamata a Nizza nel dicembre 2000"; Corte di Appello di Roma, sentenza 27 aprile 2004 che richiama l'articolo 47 della Carta; l'ordinanza n. 7992/03 del Consiglio di Stato, sesta sezione; la sentenza 12 dicembre 2005 n. 460 della Corte Suprema di Cassazione, sesta sezione penale; la sentenza 10 aprile 2002 n. 15822 della Corte Suprema di Cassazione, sezione lavoro. La Carta è stata poi spesso richiamata nelle Conclusioni degli Avvocati Generali, considerandola alla stregua di una "fonte preziosissima" e uno "strumento privilegiato" nell'individuazione di quei diritti patrimonio comune dell'Unione e facenti parte dei principî generali del diritto europeo, una vera e propria "codificazione dello stato dell'arte" in materia di prerogative fondamentali dell'individuo nel contesto UE. A livello esemplificativo richiamiamo: conclusioni dell'Avv. generale Alber nella causa Traco C-340/99; le conclusioni dell'Avv. generale Tizzano nella causa BECTU/Secretary of State for Trade and Industry C-173/99; le conclusioni dell'Avv. generale Léger in Consiglio dell'Unione europea c. Hautala C353/99. Tra i richiami delle giurisdizioni costituzionali, possiamo poi ricordare una tra le primissime pronunce che ha richiamato la Carta di Nizza, ovvero la sentenza 292/2000 del Tribunal Costitutional de Espana che espressamente si rifà all'articolo 8 della Carta di Nizza per avvalorare la declaratoria di incostituzionalità di alcuni articoli della legge 15/1999; la sentenza 135/2002 della Corte Costituzionale italiana. Per quanto riguarda le prime pronunce della Corte EDU che menzionano la Carta dei diritti fondamentali UE, sen. Anheuser - Busch Inc. c. Portogallo, 11 ottobre 2005, n.73049/01; sen. Bosphorus Hava Yollari Turizm Ticaret Anonim Sirketi c. Irlanda, 30 giugno 2005, n. 45036/98 (sulla quale si veda infra, par. 5.1 "Convenzione ed Unione, protezione equivalente tra passato e futuro"); sen. Vo c. Francia, 8 luglio 2004, n. 53924/00; sen. C. Goodwin c. Regno Unito, 11 luglio 2002, n. 28957/95. Per ulteriori riferimenti giurisprudenziali, si veda G. Bisogni, G. Bronzini, V. Piccone (a cura di), I giudici e la Carta dei diritti dell'Unione europea, Cimenti Editore, Taranto 2006.

75. Pasquale Gianniti rileva che si sono distinte varie tipologie di utilizzi della Carta di Nizza, nella specie: a) un uso "retorico" (quando la Carta veniva richiamata in generale nel suo complesso); b) un uso di soft law (quando veniva richiamata in riferimento a singole e specifiche disposizioni contenute nella medesima); c) un uso "diretto" (quando una disposizione della Carta veniva posta a fondamento di una conclusione giuridica). P. Gianniti (a cura di), I diritti fondamentali nell'Unione Europea: la Carta di Nizza dopo il Trattato di Lisbona, Zanichelli, Roma 2013.

76. Precisamente la seconda "ratifica normativa" a livello di Trattato istitutivo relativamente all'ambito dei diritti fondamentali, dopo l'articolo F § 2 del Trattato di Maastricht, per il quale vedi supra par. 3.1. "La ratifica normativa dell'operato della Corte di Giustizia: gli Anni Novanta".

77. Nicoletta Parisi, rileva poi che la efficacia giuridica della Carta riverbera effetti positivi soprattutto "in relazione all'attività delle giurisdizioni nazionali: queste, infatti, all'interno degli Stati membri, in costanza di una Carta di Strasburgo dotata della medesima autorità delle norme convenzionali, sarebbero tenute a far rispettare il diritto dell'Unione, leggendo ogni disposizione di quest'ordinamento e del diritto nazionale adottata in suo adempimento alla luce di questo parametro normativo europeo; il Bill of Rights di riferimento cesserebbe di essere nel caso costituito dalle norme e dai principi costituzionali relativi alla tutela dei diritti dell'uomo, la cui funzione non viene però cancellata, essendo essi chiamati ad alimentare i principi generali dell'Unione e, ovviamente, continuando a rilevare per la regolamentazione di situazioni meramente interne". N. Parisi, op. cit., pag. 671.

78. J. Ziller, Il nuovo trattato europeo, il Mulino, Bologna, 2007.

79. "Vi è una differenza tra le disposizioni della Carta fondate su basi giuridiche disposte dal TUE o TFUE - come ad esempio l'art. 45, par. 1, sulla "Libertà di circolazione e di soggiorno", al quale corrisponde l'art. 20 TFUE- per le quali l'Unione ha una competenza per agire, e le altre disposizioni della Carta - come ad esempio l'art. 22 sulla "Diversità culturale, religiosa e linguistica"- per le quali si tratta, certo, di diritto o principi ormai vincolanti, che, però, non costituiscono una base giuridica per l'azione delle Istituzioni dell'Unione. Il fatto che non vi sia una base giuridica per l'azione dell'Unione significa che il suo legislatore - Parlamento e Consiglio, su proposta della Commissione- non può adottare provvedimento finalizzati a dare attuazione ad un articolo della Carta: il diritto che vi viene espresso deve essere rispettato quando il legislatore agisce in base ad una disposizione del TUE o del TFUE, che gli attribuisce la competenza in un determinato settore". J. Ziller, "I diritti fondamentali tra tradizioni costituzionali e "costituzionalizzazione" della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea", in Il Diritto dell'Unione europea, 2/2011, pag. 549-550.

80. "I Trattati istitutivi non attribuiscono alle istituzioni la competenza ad adottare disposizioni in tema di diritti fondamentali così puntuali e precettive, ma soltanto quelle che, concretando un potere d'azione che ricade nell'ambito materiale dell'Organizzazione - anche assunto tramite la clausola di flessibilità- non si pongono in conflitto con il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali. Detto in altri termini, la questione si riassume nel fatto che la tutela dei diritti della persona risponde ancor oggi, nell'ordinamento dell'Unione, a una prospettiva funzionale, è legata cioè a una specifica competenza, anche se tale prospettiva va progressivamente stemperandosi, essendo la salvaguardia delle libertà fondamentali un obiettivo trasversale all'intera azione dell'Unione nei sui ormai altissimi obiettivi e poteri d'azione". N. Parisi, op. cit., pag. 665.

81. In definitiva dunque erano impugnabili da questa categoria di ricorrenti i soli atti comunitari che avessero come destinatari in senso formale o sostanziale l'individuo (come precisato già nella sen. CG Plaumann & Co. c. Commissione della Comunità economica europea, 15 luglio 1963, C-25/62 "chi non sia destinatario di una decisione può sostenere che questa lo riguarda individualmente soltanto qualora il provvedimento lo tocchi a causa di determinate qualità personali, ovvero di particolari circostanze atte a distinguerlo dalla generalità, e quindi lo identifichi alla stessa stregua dei destinatari").

82. Principio generale del diritto comunitario e, allo stato attuale, consacrato all'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione. Per sopperire, è la stessa Corte di Giustizia a evidenziare la necessità di un'interpretazione di questi requisiti conforme alla Carta di Nizza e ai principî generali ma che comunque mantenga in piedi il sistema di requisiti fissato dai Trattati. L'effettività della tutela deve essere infatti valutata nel suo complesso, cioè anche considerando la tutela offerta in seno agli attori nazionali, pertanto, nelle ipotesi in cui sia possibile eccepire l'invalidità degli atti UE dinanzi al giudice nazionale, l'effettività non risulta vanificata. È dunque necessario che gli Stati membri prevedano procedimenti e rimedi idonei, sopperendo a livello interno ad eventuali vuoti di tutela al livello UE (art 19 TUE). È possibile così ottenere un esame della validità dell'atto in via indiretta, tramite anche il rinvio pregiudiziale, ma con molti limiti: ad esempio non vale questo meccanismo per chi, legittimato a ricorrere a livello UE, non si sia attivato per tempo. Data l'incertezza di applicazione del criterio, la Corte stessa ha apportato dei correttivi, nella sen. CG Ministero dell'economia e delle finanze c. Cassa di Risparmio di Firenze SpA, Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato e Cassa di Risparmio di San Miniato SpA, 10 gennaio 2006, C-222/04.

83. M. G. Bernardini, "L'Unione europea e il Trattato di Lisbona: nuove frontiere per la tutela multilivello dei diritti", in Diritto e Società, 2010, pag. 417.

84. A quest'ultimo proposito si ricorda la risoluzione del Parlamento europeo del 12 aprile 1989, "Dichiarazione dei diritti e delle liberà fondamentali" che costituisce un autonomo e tendenzialmente completo catalogo di diritti; nonché una risoluzione del 1975 in cui il neo istituito Parlamento europeo affermava la necessità di adottare una Carta dei diritti fondamentali.

85. C. Pinelli, Il momento della scrittura, il Mulino, Bologna 2000.

86. In senso conforme, lo stesso Preambolo della Carta di Nizza in cui è possibile leggere che "la Carta riafferma, nel rispetto delle competenze e dei compiti della Comunità e dell'Unione e del principio di sussidiarietà, i diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dal trattato sull'Unione europea e dai trattati comunitari, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, dalle carte sociali adottate dalla Comunità e dal Consiglio d'Europa, nonché i diritti riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità europea e da quella della Corte europea dei diritti dell'uomo".

87. Il riferimento è alla "Decisione del Consiglio europeo relativa all'elaborazione di una Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea", adottata e contenuta nell'allegato IV alle Conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Colonia (3-4 giugno 1999).

88. Nota Andrea Manzella che "la raccolta in un unico contesto dei diritti fondamentali vigenti nell'Unione, si risolve più che nella loro ricognizione, in una agnizione della natura costituzionale dell'Unione. I diritti fondamentali non sono più qualcosa che 'sta fuori' dell'ordinamento giuridico dell'Unione e che essa devo solo 'rispettare'. Essi sono ora qualcosa che 'sta dentro' l'ordinamento dell'Unione e questa deve 'tutelare' come suo compito,"presupposto indispensabile della sua stessa legittimità". Taluni hanno inoltre definito di tenore 'costituzionalizzante' la stessa procedura istituita per il raggiungimento di un consenso sul testo della Carta e per la sua elaborazione. Nelle conclusioni del Consiglio Europeo di Colonia del 1999 il compito di elaborare la Carta venne affidato ad un organismo ad hoc, autodenominatosi -nomen omen-, Convention. Per quanto riguarda la composizione della Convenzione, questa era un organo unitario risultante dalla fusione di rappresentanti dei singoli Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo, rappresentanti dei Capi di Stato o di Governo degli Stati membri e della Commissione europea. È possibile dunque distinguere due 'matrici' all'interno dell'organismo: da una parte, sono stati coinvolti nel processo istruttorio di formazione della Carta rappresentanti delle istituzioni europee politiche (Commissione, Parlamento e Consiglio); dall'altra invece troviamo rappresentanti dei Parlamenti nazionali, cioè elementi rappresentativi delle singole frazioni del demos europeo. Si è detto a questo proposito che, "nella materia di più alta sensibilità costituzionale", ovvero la redazione di un Bill of Rights europeo, si è ricorsi a una "procedura di revisione costituzionale, da tempo contrapposta al consolidato metodo intergovernativo che vede i Parlamenti intervenire solo in sede di ratifica". La cooperazione registrata tra le due componenti era, sotto tale angolo visuale, inevitabile in ragione della duplicità su cui si incentra la stessa Unione: "né il Parlamento europeo né i Parlamenti nazionali presi da soli avrebbero la legittimazione per un lavoro di questo tipo".

A. Manzella, "Dal mercato ai diritti", in A. Manzella, P. Melograni, E. Paciotti, S. Rodotà, Riscrivere i diritti in Europa. La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, il Mulino, Bologna 2001, pag. 33.

89. N. Parisi, op. cit., pag. 663.

90. "Credo che ci fossero comunque molteplici ragioni perché si adottasse finalmente questa decisione. C'era stata la guerra nel Kosovo (con un intervento militare motivato da ragioni di tutela dei diritti umani) che aveva svelato la debolezza politica dell'Europa. Era emerso il problema (messo poi in evidenza dalla vicenda austriaca) che anche all'interno dell'Europa la difesa dei diritti umani non fosse sicura. Soprattutto la progressiva disaffezione dei cittadini verso un'Unione che appariva sempre di più come un burocratico regolamento delle attività economiche, rendeva urgente un atto di grande valore simbolico, che mostrasse il passaggio da un'Europa dei mercati a un'Europa politica, da un'Europa della moneta e un'Europa dei diritti". E. Paciotti, "La Carta: i contenuti e gli autori", in A. Manzella, P. Melograni, E. Paciotti, S. Rodotà, op. cit., pag.

91. Peraltro non senza una certa qual dose di presunzione (per non dire ipocrisia) da parte degli stessi Stati democratici e occidentali.

92. V. Sciarabba, op. cit., pagg. 114-115.

93. Il corsivo è un calco dalla "decisione di Colonia" su cui vedi supra nota 87.Questa ricostruzione può inoltre trovare riscontro nel cosiddetto "Rapporto Simitis", la Relazione del gruppo di esperti in materia di diritti fondamentali adottata nel febbraio del '99, poco prima e in vista dell'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam. In tale rapporto si lamentava infatti la mancata adozione di un Bill of Rights in seno alla UE, ribadendo la necessità di un impegno profondo a livello europeo in ambito di diritti umani. Tale impegno dove essere inteso non come un obiettivo da conseguire sul lungo periodo, ma come necessità a breve termine, proprio in considerazione dell'ampliamento delle competenze dell'Unione.

94. "Il titolo VII della Carta dei diritti fondamentali rappresenta altresì indubbiamente una peculiarità nel contesto delle carte internazionali dei diritti". P. Sandro, "Alcune aporie e un mutamento di paradigma nel nuovo articolo 6 del Trattato sull'Unione europea", in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2009/1, pag. 865.

95. Nella Costituzione italiana l'angolo visuale privilegiato è quello incentrato sulla persona e le formazioni sociali, come espresso all'art. 2: più che una visione individualistica la catalogazione dei diritti rispecchia dunque una dimensione 'relazionale' ed infatti troviamo una suddivisione in capi incentrata sui 'rapporti civili', 'rapporti politici', 'rapporti etico-sociali' ed infine 'rapporti economici'.

96. In senso conforme il Preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea in cui si legge che "consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell'uguaglianza e della solidarietà".

97. "Si crea una sorta di 'differenziazione', e in qualche modo una 'gerarchia' (innanzitutto logica), tra il super-principio/valore di riferimento e le sue molteplici espressioni o componenti".V. Sciarabba, op. cit., pag. 134.

98. Dal punto di vista delle pretese all'unità, completezza ed esclusività non sembra troppo azzardato il paragone con un altro monumentum aere perennius giuridico, ovvero il Code civil des Français del 1804, sul quale si veda P. Grossi, Mitologie giuridiche della modernità, Giuffrè editore, Milano 2007, pagg. 83 e ss.

"Il carattere più evidente della Carta è il suo sforzo di globalità, la sua pretesa di organicità, che trapela dalla sistematica, cioè dalla divisione in capi ispirati a valori del costituzionalismo più che ad istituti specifici, prima che dalla rassegna delle posizioni soggettive elencate. Gli estensori hanno tentato di operare una sintesi suprema, una vera codificazione dell'esistente". G. F. Ferrari (a cura di), I diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza. Il costituzionalismo dei diritti, Giuffrè Editore, Milano 2001, pag. 43.

99. "Dopo decenni di monotematicità e frigidità sociale della Comunità (economica) europea, dopo ani di incertezze, tentennamenti, contraddizioni, i novecenteschi diritti sociali vengono innalzati da quel limbo normativo in cui erano stati a lungo relegati all'interno, o meglio ai margini, dell'ordinamento comunitario, per essere finalmente affiancati [...] ai vecchi sette-ottocenteschi, diritti civili nel nascituro catalogo dei diritti dell'Unione". V. Sciarabba, op. cit., pag. 122.

100. Parimenti valida e degna di interesse (nonché conferma del relativismo di ogni classificazione) la ricostruzione proposta da Fausto Pocar, che si incentra nella seguente tripartizione: diritti già regolati dalle norme dei Trattati; diritti già previsti nella CEDU; diritti nuovi, non previsti né nella Convenzione né nei Trattati. Rispetto a questi ultimi dunque, si potrebbe cogliere una frizione rispetto al contenuto effettivo del mandato di Colonia, che era quelo di operare una ricognizione dei diritti già esistenti a livello dell'Unione. F. Pocar, Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, in F. Pocar, Commentario breve al Trattato CE, Giuffrè editore, Milano 2002, pag. 1178 e ss.

101. L'articolo statuisce che, nell'ambito della medicina e della biologia, devono essere rispettati il consenso libero e informato dell'interessato, secondo modalità definite ex lege; il divieto di pratiche eugenetiche, specificatamente di quelle aventi il fine di selezione delle persone; il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali fonte di lucro; il divieto di clonazione umana. Nella relativa Spiegazione (per la quale si veda infra par. 4.3. "Abdicazione definitoria, principî e diritti, le Spiegazioni: le ombre della Carta di Nizza") si fa menzione della Convenzione sui diritti dell'uomo e la biomedicina adottata nell'ambito del Consiglio d'Europa, specificando che l'UE non proibisce forme di clonazione diverse da quella riproduttiva. Viene altresì menzionato lo Statuto della Corte Penale Internazionale in riferimento al divieto di pratiche eugenetiche, ricordando che i programmi di selezione che possano condurre a campagne di sterilizzazione, gravidanze forzate e matrimoni etnici forzati sono crimini penali internazionali.

102. Fuorviante l'intitolazione "diritto di lavorare e libertà professionale": il testo dell'articolo fa infatti riferimento esclusivamente al diritto di lavorare e esercitare una professione liberamente scelta o accettata. In seguito, la disposizione prosegue esplicitando i diritti specificamente previsti per i cittadini dell'Unione di cercare un impiego, lavorare, stabilirsi o prestare servizi in qualunque Stato membro; per poi chiudere con una disposizione recante il divieto di discriminazione a carico dei cittadini di paesi terzi autorizzati a lavorare nel territorio di uno degli Stati membri.

103. "I popoli d'Europa, nel creare tra loro un'unione sempre più stretta, hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni. Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell'uguaglianza e della solidarietà; essa si basa sul principio della democrazia e sul principio dello Stato di diritto. Pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell'Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. L'Unione contribuisce alla salvaguardia e allo sviluppo di questi valori comuni nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli d'Europa, nonché dell'identità nazionale degli Stati membri e dell'ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale; essa si sforza di promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile e assicura la libera circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali, nonché la libertà di stabilimento. A tal fine è necessario rafforzare la tutela dei diritti fondamentali, alla luce dell'evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici, rendendo tali diritti più visibili in una Carta".

104. L'obiezione naturale che può essere mossa a una simile affermazione è che una certa qual dose di genericità linguistica (cui fa specchio l'impossibilità di dettare una disciplina analitica e di dettaglio) è insita in tutti quei testi di aspirazione 'costituzionale', tra cui rientra indubbiamente la stessa Carta di Nizza. Tuttavia, ciò che più 'sostanzialmente' si intende contestare è la mancanza di una presa di posizione, di una scelta o di una opzione politica a un livello più generale, soprattutto in quegli ambiti più sensibili in cui i 'diritti' ancora non sono ancora saldi. Infatti non mancano esempi, all'interno della stessa Carta europea, di disposizioni in cui la definizione dei contenuti del singolo diritto è piuttosto puntuale, poiché il grado di convergenza in seno alla Convenzione era più ampio: è il caso del "diritto a una buona amministrazione" (art. 41), del "diritto all'integrità della persona" (art. 3), del "diritto alla privacy" (art. 8).

105. L'analisi del testo della Carta mostra le seguenti varianti di rinvio al Legislatore: rinvio alle "leggi nazionali" di disciplina dell'esercizio di un determinato diritto (art. 9 "diritto di sposarsi e costituire una famiglia"; art. 10 "libertà di pensiero, di coscienza e di religione"; art. 14 "diritto all'istruzione"); rinvio al "diritto comunitario e legislazioni e prassi nazionali" (art. 16 "libertà di impresa"; art. 27 "diritto dei lavoratori all'informazione e alla consultazione nell'ambito dell'impresa"; art. 28 "diritto di negoziazione e di azioni collettive"; art. 30 "tutela in caso di licenziamento ingiustificato"; art. 34 "sicurezza sociale e assistenza sociale"; art. 35 "protezione della salute"; art. 36 "accesso ai servizi d'interesse economico generale"). Si ricordi inoltre che tra gli adeguamenti redazionali della Convenzione Giscard vi è anche il paragrafo 6 dell'articolo 52 della Carta, il quale statuisce che ai fini interpretativi "si tiene pienamente conto delle legislazioni e prassi nazionali, come specificato nella presente Carta". L'unica funzione di questa affermazione sembra tra l'altro essere quella di ribadire la 'diffidenza' di alcuni Stati rispetto alla Carta e alle sue potenzialità.

106. Indubbiamente potrebbe affermarsi che l'intima ratio di tale abdicazione definitoria è costituita dal noto deficit democratico dell'Unione: i diritti non presentano un contenuto estremamente definito in omaggio a una sorta di presa di coscienza e di un vero e proprio "atto di realismo" di un limite immanente all'organizzazione. Tuttavia, se così fosse, non sembra molto coerente effettuare un rinvio al Legislatore dell'Unione, la cui legittimazione democratica è tutt'oggi scarsa, nonostante i passi in avanti effettuati con il Trattato di Lisbona nella valorizzazione del ruolo codecisorio del Parlamento europeo.

107. L'art. 31.2, in tema di condizioni di lavoro giuste ed eque, dispone che "ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite"; l'art. 35.2, in tema di protezione della salute, dispone che "nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche ed attività dell'Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana"; nell'art. 37, dedicato alla tutela dell'ambiente, si stabilisce che "un livello elevato di tutela dell'ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell'Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile"; infine, all'art. 38 in punto di protezione dei consumatori, si dice che "nelle politiche dell'Unione è garantito un livello elevato di protezione dei consumatori".

108. Gli Stati Membri dell'Unione erano in numero pari a quindi nel momento della redazione del catalogo.

109. "La fatica della omogeneizzazione di materiali così diversi per origine, radicamento positivo e conformazione qualitativa, unita alla tecnica del citazionismo a mosaico intesa a riprodurre o perpetuare effetti espressivo-retorici di antichi documenti, ha indotto certamente non poche genericità ed eccessi di programmaticità in varie disposizioni". G. F. Ferrari (a cura di), op. cit., pag. 43-44.

110. Nella prima versione dell'articolo 52 della Carta anche la rubricazione aveva un tenore ben diverso: l'articolo era infatti dedicato alla "portata dei diritti garantiti". Lo specifico riferimento al carattere 'garantito' che dovevano avere i diritti del catalogo riverberava indubbi effetti positivi sul sistema globalmente considerato; inoltre non vi era alcuna menzione in merito ai 'principî', in coerenza con il fatto che il dualismo tra principî e diritti era sconosciuto al primo drafting convenzionale. Riportiamo di seguito il testo completo dell'articolo 52 attualmente vigente: "eventuali limitazioni all'esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall'Unione o all'esigenza di proteggere i diritti e le liberà altrui.

I diritti riconosciuti nella presente Carta che trovano fondamento nei trattati comunitari o nel trattato sull'Unione europea si esercitano alle condizioni e nei limiti definiti dai trattati stessi.

Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente convenzione non preclude che il diritto dell'Unione conceda una protezione più estesa.

Laddove la presente Carta riconosca i diritti fondamentali quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, tali diritti sono interpretati in armonia con dette tradizioni.

Le disposizioni della presente Carta che contengono dei principi possono essere attuate da atti legislativi e esecutivi adottati da istituzioni, organi e organismi dell'Unione e da atti di Stati membri allorché essi danno attuazione al diritto dell'Unione, nell'esercizio delle loro rispettive competenze. Esse possono essere invocate dinanzi a un giudice sol ai fini dell'interpretazione e del controllo della legalità di detti atti.

Si tiene pienamente conto delle legislazioni e prassi nazionali, come specificato nella presente Carta.

111. P. Sandro, op. cit., pagg. 865 e ss.

112. In merito al regime di deroga ai diritti, è possibile muovere un primo rilievo critico in merito alla scelta di sistema con cui si dispone una clausola limitativa generale. Indubbio è che la previsione una tantum di una clausola limitativa che si applichi alla generalità delle disposizioni sostanziali della Carta eviti incongruenze o sciatterie normative; tuttavia, ad un più attento esame l'armonia e la simmetria si trasformano in problematicità. La clausola generale è infatti indiscriminata, è cioè una concreta applicazione del principio di uguaglianza formale in merito ai diritti: tutti i diritti sono formalmente uguali e pertanto sono suscettibili di uguali limitazioni, cioè di poter subire delle deroghe a condizioni uguali. Come la storia insegna, però, la vera rivoluzione è quella determinata dal riconoscimento dell'eguaglianza sostanziale: non solo determinati diritti non sono suscettibili di limitazioni (si pensi al divieto di tortura), ma più in generale, deve osservarsi come ciascun diritto sia unico e particolare e necessiti perciò di condizioni limitative che tengano in considerazione la sua specificità.

113. Ai fini del coordinamento con le altre fonti normative vengono prese in considerazione la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, le tradizioni costituzionali comuni degli Stati Membri nonché i Trattati istitutivi dell'Unione europea.

114. "Gli altri commi aggiunti all'art. 52, come anche la modifica del preambolo, contengono raccomandazioni sull'interpretazione assai curiose, al limite del ridicolo, come quella del comma 6, che recita: 'si tiene pienamente conto delle legislazioni e prassi nazionali, come specificato nella presente Carta'. Ebbene, dove la Carta già dice, per esempio agli artt. 27 e 30, che un certo diritto spetta alle condizioni previste o in conformità alle legislazioni e prassi nazionali, è evidente che di esse dovrà tenersi conto: disporre con un'apposita disposizione che se ne tenga conto 'pienamente' appare davvero singolare". E. Paciotti, "La seconda 'proclamazione' della Carta dei diritti e il trattato di riforma", in Osservatorio sul rispetto dei diritti fondamentali in Europa, 2007.

115. "La presente Carta riafferma, nel rispetto delle competenze e dei compiti dell'Unione e del principio di sussidiarietà, i diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, dalle carte sociali adottate dall'Unione e dal Consiglio d'Europa, nonché dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea e da quella della Corte europea dei diritti dell'uomo. In tale contesto, la Carta sarà interpretata dai giudici dell'Unione e degli Stati membri tenendo in debito conto le spiegazioni elaborate sotto l'autorità del praesidium della Convenzione che ha redatto la Carta e aggiornate sotto la responsabilità del praesidium della Convenzione europea".

116. "[...] all'art. 52 sono stati aggiunti quattro commi. Uno di essi, il comma 5, ha suscitato delle perplessità per la distinzione fra diritti e principi, che già Valerio Onida ha giudicato infondate osservando che sostenere che i principi sono utilizzabili giudizialmente solo ai fini della interpretazione delle leggi e degli altri atti europei o ai fini della decisione sulla loro legalità, cioè, potremmo dire, sulla loro costituzionalità, 'è ciò che noi pacificamente riteniamo riguardo ai principi espressi nella Costituzione'". E. Paciotti, op. cit.

117. "Non priva di problematicità - a prescindere dai suoi esiti concreti, e dalle conseguenze normative che vi si vogliano eventualmente ricollegare- appare infatti l'idea stessa di contrapporre, in via 'esclusiva' e totalizzante, diritti e principi. È stato accuratamente osservato, del resto, che non si tratta di una vera 'coppia concettuale'. E, come emerge, tra l'altro, da una giurisprudenza (costituzionale e ordinaria) ormai cinquantennale sulla prima parte della nostra Costituzione, e sui suoi principi fondamentali, la 'realtà' delle posizioni giuridiche - e, più in generale, delle 'situazioni normative' (in qualche senso e in qualche modo) di vantaggio- nel diritto pubblico (ma anche in quello privato) non risulta facilmente riconducibile, in termini binari, a due sole categorie. Essa presenta, si intende dire, una molteplicità di aspetti e sfumature che, se può forse permettere una tendenziale 'graduazione' delle posizioni giuridiche lungo un'ideale scala di prescrittività, o di 'giustiziabilità', esclude invece probabilmente un simile, artificioso, 'bipolarismo' - anzi, se è lecito spingersi oltre nella metafora, un simile 'bipartitismo'- delle situazioni normative". V. Sciarabba, op. cit., pag. XVII-XVIII.

118. "Uno degli interventi più significativi della Corte di Lussemburgo [...] resta comunque quello racchiuso nella [...] sentenza Defrenne II, che elevò il principio di parità retribuitiva enunciato dal Trattato a principio fondamentale della Comunità europea, con efficacia diretta verticale ed orizzontale, rivenendo nella disposizione una norma c.d. self-executing". M. L. Vallauri, "Rapporto di lavoro e appartenenza di genere: la discriminazione e i congedi parentali", in A. Alaimo, M. Militello, S. Sciarra, M. L. Vallauri, Diritto del lavoro e diritto sociale europeo. Temi Scelti, Giappichelli, Torino 2009.

119. Articolo 51. Ambito di applicazione: le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell'Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l'applicazione secondo le rispettive competenze e nel rispetto dei limiti delle competenze conferite all'Unione nei trattati.

La presente Carta non estende l'ambito di applicazione del diritto dell'Unione al di là delle competenze dell'Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l'Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nei trattati.

120. La redazione delle Spiegazioni è stata giustamente definita come uno strascico della presa della posizione inglese in tema di adozione del Bill of Rights europeo: si allude al cosiddetto "progetto Goldsmith", dal nome del fautore inglese. Lord Goldsmith proponeva infatti di suddividere il 'nascituro' catalogo europeo in due distinte parti: un primo segmento, avente natura "politica-ideologica", avrebbe enunciato i diritti in termini generali e sarebbe stato privo di forza giuridica vincolante; il secondo segmento avrebbe invece incluso al proprio interno definizioni precise ed analitiche, nonché le limitazioni e restrizione dei diritti, e sarebbe invece stato dotata di efficacia vincolante.

121. N. Lazzerini, "Considerazioni sul valore delle Spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea", in Osservatorio sulle fonti, fasc. 2/2010.

122. Il riferimento attuale alle Spiegazioni è fatto alla versione aggiornata delle Spiegazioni relative al testo della Carta dei diritti fondamentali, dato che la prima 'versione' del documento dell'ottobre 2000 è stata più volte emendata, fino all'ultima versione del 2007.

123. "The question is then what interpretative value one must give to the explanations relating to the Charter. Are they a manifestation of the 'authentic interpretation' of the Charter or just 'certified traveaux preparatoires? The difference in value between those two options is by no means irrelevant". K. Lenaerts, "Exploring the limits of the EU Charter of Fundamental Rights", in European Constitutional Law Review, 2012, pag. 401.

124. J. Ziller, "Le fabuleux destin des Explications relatives à la Charte des droits fondamentaux de l'Union européenne" in Chemins d'Europe: Melanges en l'honneur de Jean-Paul Jacque, Dalloz 2010 p. 765.

125. Il terzo comma dell'articolo 52 ("Portata e interpretazione dei diritti e dei principi") dispone infatti che: "laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente convenzione non preclude che il diritto dell'Unione conceda una protezione più estesa".

126. "A combined reading of Article 52(3) and Article 53 of the Charter demonstrates that if the ECtHR raises the level of protection of a fundamental right (or decides to expand its scope of application) so as to overtake the level of protection guaranteed by EU law, then the autonomy of EU law may no longer exist. With a view to attaining the level of protection guaranteed by the ECHR, the ECJ will be obliged to reinterpret the Charter. Conversely, if the ECtHR ever decides to lower the level of protection below that guaranteed by EU law, by virtue of Article 53 of the Charter, the ECJ will be precluded from interpreting the provisions of the Charter in a regressive fashion. Stated differently, interpreted as a 'stand-still clause', Article 53 of the Charter preserves the constitutional autonomy of EU law". K. Lenaerts, op. cit., pag. 395.

127. In tema si veda sub Capitolo I "La tutela dei diritti fondamentali nella Grande Europa" in particolare il par. 5 "La Corte europea dei diritti dell'uomo, Demiurgo della CEDU".

128. Articolo 2 CEDU "Diritto alla vita": il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena.

La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario:

  1. per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale;
  2. per eseguire un arresto regolare o per impedire l'evasione di una persona regolarmente detenuta;
  3. per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un'insurrezione.

Articolo 2 CDFUE "Diritto alla vita": ogni individuo ha diritto alla vita.

Nessuno può essere condannato alla pena di morte, né giustiziato.

129. La prescrizione trova la propria ratio nella volontà da parte dei compilatori degli Anni Cinquanta di prescrivere una garanzia minima ovvero nella volontà di andare a regolamentare e limitare l'uso legittimo del potere statale in tal senso. Tale affermazione trova peraltro una controprova in un'analisi storica: nell'Europa Occidentale degli Anni Cinquanta, molti erano gli Stati che ricorrevano nell'ambito dei propri sistemi punitivi alla pena capitale.

130. Tanto da alimentare l'ennesima 'polemica telematica' e a dare vita ad "una serie di sensazionalistici quanto approssimativi allarmi per la 'reintroduzione della pena di morte in Europa' (sic et simpliciter!)". P. Sandro, op. cit., pagg. 856; 884 e ss.

131. Protocollo n. 6 in merito all'abolizione della pena di morte in tempo di pace, adottato a Strasburgo il 28 Aprile 1983 ed entrato in vigore il 1 marzo 1985.

132. Protocollo n. 13, riguardante l'abolizione assoluta della pena di morte, sia in tempo di pace che in tempo di guerra, adottato a Vilnius il 3 maggio 2002 ed entrato in vigore il 1 luglio 2003.

133. L'art. 2 CEDU (diritto alla vita) è una di quelle disposizioni, come gli artt. 3 CEDU (proibizione della tortura); 4.1 CEDU (proibizione della schiavitù); 7 CEDU (nulla poena sine lege), cui non si applica la clausola limitativa ex art. 15 CEDU (deroga in caso di urgenza).

134. In particolare l'Italia ha ratificato il protocollo n. 13 il 9 settembre 2009; la Polonia il 23 maggio 2014 e la Spagna il 16 dicembre 2009. Si ricorda inoltre anche il caso della Francia che ha ratificato il protocollo n. 13 il 10 ottobre 2007.

135. Tale ricostruzione va così nel concreto a circoscrivere la portata del rinvio alla Convenzione e ai suoi protocolli: il rinvio non deve intendersi come aperto, senza distinzioni, come la "Spiegazione madre" dell'articolo 52.3 CDFUE afferma. Il rinvio è effettuato -molto più realisticamente- nei confronti dei protocolli cui tutti gli Stati Membri dell'Europa a 27 aderiscono. Milita a favore di questa ricostruzione anche il fatto che l'articolo 1 dell'Accordo di Adesione dell'UE alla CEDU sancisce infatti che con la sua entrata in vigore l'UE diventerà parte della CEDU, del protocollo n. 1 e del protocollo n. 6 (appunto quello sul divieto di pena di morte relativo). Questo perché l'adesione avviene rispettivamente a quei protocolli cui aderiscono tutti gli Stati membri dell'UE e al momento del drafting dell'accordo, anteriore al maggio '14, la Polonia non aveva ancora ratificato il protocollo n. 13.

136. Sen. Al-Saadoon e Mudfhi c. Regno Unito, 2 marzo 2010, n. 61498/08. Il percorso argomentativo fatto proprio dalla Corte si fa forte della situazione esistente al momento in Europa, cui la CEDU, in quanto strumento vivente, fa implicito rinvio: non solo la Corte ritiene che sia ormai sostanzialmente intervenuta una modifica al testo dell'articolo 2 ad opera dei due Protocolli n. 6 e n. 13 (quest'ultimo tra l'altro non è stato firmato da Russia e Azerbaijan né ratificato dall'Armenia), ma si spinge sino a ritenere che ormai si sia affermata una prassi generale e internazionale tale da configurare l'abolizione generale della pena di morte in Europa. Interessante notare come tanto nella parte II dell'articolata sentenza della Corte, dedicata ai "relevant national and international materials" quanto nell'argomentazione giuridica vera e propria (par. 115 e ss.) manchi qualunque riferimento all'art. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

137. Allo stato attuale, è possibile affermare che l'articolo 3 CEDU sia "una norma individuante un genus entro cui ricondurre diverse specie di violazioni" S. Bartole, B. Conforti, G. Raimondi, Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, Giuffrè Editore, Milano 2001, pag. 55.

138. "Tu che ne sai di Buenos Aires?" "Maradona, desaparecidos, tango". M. Vàzquez Montalbàn, Quintetto di Buenos Aires, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2001.

139. L'articolo 19 è dedicato alla "protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione" e consta di due comma: il primo statuisce il divieto di espulsioni collettive, il secondo (riportato nel testo) positivizza la giurisprudenza della Corte EDU in materia di protezione riflessa. Per quanto riguarda il divieto di espulsioni collettive, la Spiegazione Madre definisce l'art. 19.1 corrispondente all'art. 4 protocollo n. 4 CEDU (Divieto di espulsioni collettive di stranieri). La Spiegazione specifica dell'art. 19.1, al fine di determinare portata e senso della disposizione, afferma che la disposizione è volta "a garantire che ogni decisione formi oggetto di un esame specifico e che non si possa decidere con un'unica misura l'espulsione di tutte le persone aventi la nazionalità di un determinato Stato". Siamo dunque di fronte all'ennesimo richiamo ad un protocollo alla CEDU, in armonia con la Spiegazione Madre dell'articolo 52.3 che dispone un rinvio aperto alla CEDU e a tutti i protocolli, come visto supra in particolare alla nota 135. Tra l'altro, è interessante notare che il protocollo n. 4 non vanta un'applicazione generalizzata all'interno degli Stati membri dell'UE: da una parte infatti, la Spagna ha ratificato il protocollo solo successivamente all'adozione delle Spiegazioni e dello stesso Trattato di Lisbona, precisamente il 16 settembre 2009; il Regno Unito, pur avendo firmato l'allegato non lo ha mai ratificato, ed infine la Grecia non ha né ratificato né firmato il protocollo n. 4. Le incongruenze della 'gabbia interpretativa' delle Spiegazioni aumentano.

140. Articolo 4 CEDU "Proibizione della schiavitù e del lavoro forzato": nessuno può essere tenuto in condizioni di schiavitù o di servitù.

Nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato od obbligatorio.

Non è considerato "lavoro forzato o obbligatorio" ai sensi del presente articolo

  • il lavoro normalmente richiesto ad una persona detenuta alle condizioni previste dall'articolo 5 della presente Carta o durante il periodo di libertà condizionale;
  • il servizio militare o, nel caso degli obiettori di coscienza nei paesi dove l'obiezione di coscienza è considerata legittima, qualunque altro servizio sostitutivo di quello militare obbligatorio;
  • qualunque servizio richiesto in caso di crisi o di calamità che minacciano la vita o il benessere della comunità
  • qualunque lavoro o servizio facente parte nei normali doveri civici.

Articolo 5 CDFUE "Proibizione della schiavitù e del lavoro forzato": nessuno può essere tenuto in condizioni di schiavitù o di servitù.

Nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato o obbligatorio.

È proibita la tratta di esseri umani.

141. Anche se vi è chi, come Nerina Boschiero, dubita dell'utilità concreta della distinzione tra "antiche forme di schiavitù" e "moderne forme di schiavitù" nel momento in cui queste ultime mostrano minime variazioni rispetto al passato e consistendo il quid pluris nel fatto che la moderna schiavitù interessa nuovi settori dell'economia, anche in seguito al processo di liberalizzazione degli scambi e della de-nazionalizzazione delle attività economiche con il conseguente declino della capacità di controllo e regolamentazione del mercato da parte degli Stati. A riprova si noti altresì che in alcune parti del mondo non risultano ancora del tutto debellate nemmeno le forme tradizionali di schiavitù. N. Boschiero, "Lo sfruttamento economico dei lavoratori migranti: vecchie o nuove forme di schiavitù nell'era della 'private economy'", in Diritti umani e diritto internazionale 4/2010.

142. D. Mancini, "Il cammino europeo nel contrasto alla tratta di persone", in Diritto penale e processo 9/2010, nonché F. Spiezia, M. Simonato, "La prima direttiva UE di diritto penale sulla tratta di esseri umani", in Cassazione Penale, 9/2011.

143. S. H. Krieg, "Traffickin in Human Beings: The EU Approach between Border Control, Law Enforcement and Human Rights", in European Law Journal, vol. 15/6, 2009.

144. Si deve notare che attualmente il riferimento alla decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI risulta superato: la direttiva 2011/36/UE, entrata in vigore il 15 aprile 2011, nel rinnovato quadro giuridico di abolizione della "struttura in pilastri", sostituisce la precedente decisione quadro 2002/629/GAI.

145. Maggiormente apprezzabile sarebbe risultata l'inclusione della definizione tratta dagli strumenti internazionali più specifici dedicati alla lotta contro la tratta di esseri umani, ovvero i cosiddetti "Protocolli di Palermo", allegati alla Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale del 2000, ovvero il Protocollo delle Nazioni Unite sulla prevenzione, soppressione e persecuzione del traffico degli esseri umani, in particolar modo donne e bambini e il Protocollo contro il traffico di migranti via terra, mare e aria. Ancora migliore, un riferimento alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani firmata a Varsavia nel 2005, considerata uno degli strumenti normativi più completi in questo campo, soprattutto relativamente agli aspetti di protezione e tutela delle vittime del reato e che, relativamente alla nozione di tratta, ripropone quella elaborata nell'ambito delle Nazioni Unite.

146. Articolo 5 CEDU "Diritto alla libertà e alla sicurezza": ogni individuo ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi seguenti e nei modi previsti dalla legge:

  1. se è detenuto regolarmente in seguito a condanna da parte di un tribunale competente;
  2. se si trova in regolare stato di arresto o di detenzione per violazione di un provvedimento emesso, conformemente alla legge, da un tribunale o allo scopo di garantire l'esecuzione di un obbligo prescritto dalla legge;
  3. se è stato arrestato o detenuto per essere tradotto dinanzi all'autorità giudiziaria competente, quando vi sono motivi plausibili di sospettare che egli abbia commesso un reato o vi sono motivi fondati di ritenere che sia necessario impedirgli di commettere un reato o di darsi alla fuga dopo averlo commesso;
  4. se si tratta della detenzione regolare di un minore decisa allo scopo di sorvegliare la sua educazione oppure della sua detenzione regolare al fine di tradurlo dinanzi all'autorità competente;
  5. se si tratta della detenzione regolare di una persona suscettibile di propagare una malattia contagiosa, di un alienato, di un alcolizzato, di un tossicomane o di un vagabondo;
  6. se si tratta dell'arresto o della detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare illegalmente nel territorio, oppure di una persona contro la quale è in corso un procedimento d'espulsione o d'estradizione.

Ogni persona arrestata deve essere informata, al più presto e in una lingua a lei comprensibile, dei motivi dell'arresto e di ogni accusa formulata a suo carico.

Ogni persona arrestata o detenuta, conformemente alle condizioni previste dal paragrafo 1 c) del presente articolo, deve essere tradotta al più presto dinanzi a un giudice o a un altro magistrato autorizzato dalla legge a esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura. La scarcerazione può essere subordinata a garanzie che assicurino la comparizione dell'interessato all'udienza.

Ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso a un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima.

Ogni persona vittima di arresto o di detenzione in violazione di una delle disposizioni del presente articolo ha diritto a una riparazione.

Articolo 6 CDFUE "Diritto alla libertà e alla sicurezza": ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza.

147. Articolo 6 CEDU "Diritto ad un equo processo": ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia.

Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.

In particolare, ogni accusato ha diritto di:

  1. essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa formulata a suo carico;
  2. disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;
  3. difendersi personalmente o avere l'assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d'ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia;
  4. esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;
  5. farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza.

148. Articolo 48 CDFUE "Presunzione di innocenza e diritti della difesa": ogni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata.

Il rispetto dei diritti della difesa è garantito a ogni imputato.

149. Articolo 47 CDFUE "Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale": ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo.

Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare.

A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia.

150. Articolo 7 CEDU "Nulla poena sine lege": nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso.

Il presente articolo non ostacolerà il giudizio e la condanna di una persona colpevole di una azione o di una omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili.

Articolo 49 CDFUE "Principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene": nessuno può essere condannato per un'azione o un'omissione che, al momenti in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l'applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest'ultima.

Il presente articolo non osta al giudizio e alla condanna di una persona colpevole di un'azione o di un'omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali riconosciuti da tutte le nazioni.

Le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato.

151. Sen. CG Silvio Berlusconi, Sergio Adelchi, Marcello dell'Utri 3 maggio 2005, C-387/02; C-391/02; C-403/02 in cui al par. 67 e ss. "va a tal riguardo ricordato che, secondo una giurisprudenza costante, i diritti fondamentali costituiscono parte integrante dei principi generali del diritto di cui la Corte garantisce l'osservanza. A tal fine, quest'ultima s'ispira alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali in materia di tutela dei diritti dell'uomo cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito. Orbene, il principio dell'applicazione retroattiva della pena più mite fa parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri. Ne deriva che tale principio deve essere considerato come parte integrante dei principi generali del diritto comunitario che il giudice nazionale deve osservare quando applica il diritto nazionale adottato per attuare l'ordinamento comunitario e, nella fattispecie, in particolare, le direttive sul diritto societario".

A mero titolo di esempio, il principio della retroattività della lex mitior è infatti previsto all'art. 2 co. 4 del c.p. italiano ("Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile"). Per quanto riguarda i documenti internazionali, possiamo ricordare l'art. 15 Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici ("nessuno può essere condannato per azioni od omissioni che, al momento in cui venivano commesse, non costituivano reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Così pure, non può essere inflitta una pena superiore a quella applicabile al momento in cui il reato sia stato commesso. Se, posteriormente alla commissione del reato, la legge prevede l'applicazione di una pena più lieve, il colpevole deve beneficiarne") e l'art. 9 CADU "Freedom from ex post facto law" ("no one shall be convicted of any act or omission that did not constitute a criminal offense, under the applicable law, at the time it was committed. A heavier penalty shall not be imposed than the one that was applicable at the time the criminal offense was committed. If subsequent to the commission of the offense the law provides for the imposition of a lighter punishment, the guilty person shall benefit therefrom"). Molto interessante il lucido revirement della Corte EDU nella sen. GC Scoppola c. Italia n. 2, 17 settembre 2009, n. 10249/03, al par. 105-106: "the Court considers that a long time has elapsed since the Commission gave the above-mentioned X v. Germany decision and that during that time there have been important developments internationally. In particular, apart from the entry into force of the American Convention on Human Rights, Article 9 of which guarantees the retrospective effect of a law providing for a more lenient penalty enacted after the commission of the relevant offence, mention should be made of the proclamation of the European Union's Charter of Fundamental Rights. The wording of Article 49 § 1 of the Charter differs - and this can only be deliberate - from that of Article 7 of the Convention in that it states: "If, subsequent to the commission of a criminal offence, the law provides for a lighter penalty, that penalty shall be applicable". In the case of Berlusconi and Others, the Court of Justice of the European Communities, whose ruling was endorsed by the French Court of Cassation, held that this principle formed part of the constitutional traditions common to the member States. Lastly, the applicability of the more lenient criminal law was set forth in the statute of the International Criminal Court and affirmed in the case-law of the ICTY. The Court therefore concludes that since the X v. Germany decision a consensus has gradually emerged in Europe and internationally around the view that application of a criminal law providing for a more lenient penalty, even one enacted after the commission of the offence, has become a fundamental principle of criminal law. It is also significant that the legislation of the respondent State had recognised that principle since 1930".

152. Articolo 8 CEDU "Diritto al rispetto della vita privata e familiare": ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.

Articolo 7 CDFUE "Rispetto della vita privata e della vita familiare": ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni.

153. Articolo 9 CEDU "Libertà di pensiero, di coscienza e di religione": ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti.

La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell'ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui.

Articolo 10 CDFUE "Libertà di pensiero, di coscienza e di religione": ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti.

Il diritto all'obiezione di coscienza è riconosciuto secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio.

154. Non sembra che si possa parlare di un diritto previsto nella Carta di Nizza, poiché il suo riconoscimento in seno all'ordinamento dell'Unione deve intendersi circoscritto alla sola ipotesi in cui uno Stato Membro lo preveda, realizzandosi un curioso "sistema mobile e variabile" di diritti ricompresi nel catalogo.

155. Sen. GC Bayatyan c. Armenia, 7 luglio 2011, n. 37334/08. La sentenza affronta il caso del ricorrente, cittadino armeno di religione cristiana e testimone di Geova, il quale, dichiarato idoneo a svolgere il servizio militare e convocato a comparire per gli adempimenti del caso, non si presenta in quanto il servizio contrasta con il proprio credo. Bayatyan, che si era già in precedenza rivolto a varie autorità nazionali affermando che non avrebbe potuto svolgere il servizio di leva ma si sarebbe reso disponibile per adempiere un servizio civile alternativo, persistendo nel proprio rifiuto viene sottoposto a procedimento penale e condannato a due anni e sei mesi di reclusione, poiché, secondo il giudizio della Commissione parlamentare per gli affari di stato e legali, egli è obbligato a servire l'esercito così come previsto dalla Costituzione armena e dal Military Liability Act.

Bayatyan dunque presenta ricorso alla Corte europea lamentando la violazione dell'articolo 9 CEDU. La terza sezione, con sentenza del 29 ottobre 2009 nega la sussistenza di una violazione della libertà di pensiero, coscienza e religione, sulla base del fatto che la decisione sulla previsione o meno dell'obiezione di coscienza all'interno dei singoli ordinamenti rientra nell'ampio margine di apprezzamento riconosciuto agli Stati membri in materia. Per arrivare a tale conclusione i giudici di Strasburgo, in mancanza di propri precedenti sul tema, ripercorrevano l'antecedente giurisprudenza della Commissione (tra tutte dec. Autio c. Finlandia 6 dicembre 1991, n. 17086/90; dec. A. c. Svizzera 9 maggio 1984, n. 10640/83; dec. Obiettori di coscienza c. Danimarca 7 marzo 1977, n. 7565/76) in base alla quale l'art. 9 doveva essere interpretato alla luce della disposizione di cui all'art. 4.3 b) CEDU secondo cui la nozione di "lavoro forzato o obbligatorio" non comprende in alcun modo servizi di carattere militare ovvero, negli Stati in cui l'obiezione di coscienza fosse prevista, servizi sostitutivi del servizio militare obbligatorio, lasciando pertanto aperta la possibilità che il diritto in questione non venisse riconosciuto dagli Stati membri. Conclusivamente, i giudici osservano che la Convenzione deve essere interpretata alla luce del diritto vivente e che il fatto che essa consenta agli Stati la libera scelta sulla previsione dell'obiezione di coscienza, pur se essa risulta presente nella maggioranza di essi, non consente di ritenere sussistente un vero e proprio diritto garantito in tal senso. Il ricorrente, quindi, chiedeva ed otteneva che la questione fosse esaminata dalla Grande Camera: contrariamente a quanto aveva stabilito la sezione semplice con la pronuncia richiamata, la Grande Camera osserva che l'articolo 9 CEDU non deve essere letto in combinato disposto con l'art. 4.3 b) CEDU, poiché questo non può avere la funzione di limitarne l'efficacia, ma deve essere interpretato unicamente sotto l'angolo visuale della disposizione in esso contenuta. A tal riguardo precisano infatti i giudici di Strasburgo che l'interpretazione fatta propria dalla sezione semplice non riflette il reale scopo dell'art. 4.3 b), in quanto dai lavori preparatori risultava che la previsione in parola stava unicamente a significare che qualsiasi servizio nazionale imposto agli obiettori dalla legge in sostituzione del servizio militare non sarebbe in alcun modo rientrato nella nozione di lavoro forzato obbligatorio. L'enunciato "nei paesi in cui è prevista l'obiezione di coscienza" costituiva pertanto semplice constatazione del fatto che, al momento dell'adozione della norma in questione, in molti paesi essa non era ancora contemplata non potendo quindi esso essere letto come ammissione esplicita della possibilità, per gli Stati, di non riconoscere tale diritto. Unica funzione della previsione di cui alla lettera b dell'art. 4 § 3 risulta quindi essere quella di fornire una delucidazione sul significato del brocardo "lavoro forzato obbligatorio". Il mancato riconoscimento dell'obiezione di coscienza al servizio militare viola l'art. 9 Cedu; La Corte EDU definisce ulteriormente i contorni della "neonata" tutela convenzionale dell'obiezione di coscienza: la disciplina sull'obbligo del servizio militare esistente in Turchia viola gli artt. 9 e 3 della convenzione.

156. Articolo 10 CEDU "Libertà di espressione": ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione. Tale diritto include la libertà d'opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive.

L'esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all'integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l'autorità e l'imparzialità del potere giudiziario.

Articolo 11 CDFUE "Libertà di espressione e di informazione": ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.

La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati.

157. La Spiegazione dell'art. 11.2 CDFUE afferma infatti che "il paragrafo 2 di questo articolo esplicita le conseguenze del paragrafo 1 in relazione alla libertà dei media". La Spiegazione prosegue rilevando come tale disposizione si basi "segnatamente sulla giurisprudenza della Corte in materia di televisione, in particolare nella sentenza del 25 luglio 1991, causa C-288/89 Stichting Collective Antennevoorziening Gouda e a. e sul Protocollo sui sistemi di radiodiffusione pubblica negli Stati Membri, allegato al trattato CE, ed ora ai trattati, nonché sulla direttiva 89/552/CE del Consiglio".

158. R. Mastroianni, La direttiva sui servizi di media audiovisivi e la sua attuazione nell'ordinamento italiano, Giappichelli, Torino, 2011, p. 31. Ex multis e ad exemplum: sen. Meltex c. Armenia, 17 giugno 2008, n. 32283/03; sen. Verein Alternatives Lokalradio Bern and Verein Radio Dreyeckland Basel c. Svizzera, 16 ottobre 1986, n. 10746/84; sen. Glas Nadezhda c.. Bulgaria, 11 ottobre 2007, n. 14134/02; sen. Jersild c. Danimarca, 23 settembre 1994, n. 15890/89; sen. Piermont c. Francia, 27 aprile 1995, nn. 15773/89; 15774/89.

159. Articolo 11 CEDU "Libertà di riunione e di associazione": ogni persona ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà d'associazione, ivi compreso il diritto di partecipare alla costituzione di sindacati e di aderire a essi per la difesa dei propri interessi.

L'esercizio di questi diritti non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale e alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. Il presente articolo non osta a che restrizioni legittime siano imposte all'esercizio di tali diritti da parte dei membri delle forze armate, della polizia o dell'amministrazione dello Stato.

Aricolo 12 "Libertà di riunione e di associazione": ogni persona ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà di associazione a tutti i livelli, segnatamente in campo politico, sindacale e civico, il che implica il diritto di ogni persona di fondare sindacati insieme con altri e di aderirvi per la difesa dei propri interessi.

I partiti politici a livello dell'Unione contribuiscono a esprimere la volontà politica dei cittadini dell'Unione.

160. A tale proposito la Spiegazione precisa che tale disposizione "corrisponde all'articolo 10, paragrafo 4 del trattato sull'Unione europea": abbiamo dunque un rinvio implicito alla normativa primaria dell'Unione ai fini interpretativi di tale disposizione.

161. Articolo 12 CEDU "Diritto al matrimonio": a partire dall'età minima per contrarre matrimonio, l'uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l'esercizio di tale diritto.

Articolo 9 CDFUE "Diritto di sposarsi e di costituire una famiglia": il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio.

162. È possibile azzardare un paragone con quanto avvenuto in Spagna. La Constitución española del 1978 prevede all'interno della sezione "derechos y deberes de los ciudadanos" l'articolo 32 ai sensi del quale "el hombre y la mujer tienen derecho a contraer matrimonio con plena igualdad jurídica. La ley regulará las formas de matrimonio, la edad y capacidad para contraerlo, los derechos y deberes de los cónyuges, las causas de separación y disolución y sus efectos". La ley 13/2005 è intervenuta a modificare il codigo civil del 1889 estendendo l'istituto del matrimonio (nonché dell'adozione del minore) anche alle coppie omosessuali. Contro tale legge è stato proposto un ricorso per incostituzionalità da parte del Gruppo Popolare del Congresso dei deputati, a motivo del contrasto con l'art. 32 della Constitutión. Il Tribunal Constitucional rigetta il ricorso non solo perché la littera della disposizione non osta al riconoscimento del matrimonio omosessuale, ma anche attraverso un'interpretazione evolutiva della disposizione costituzionale: partendo dal dato di fatto per cui la Spagna accetta socialmente le unioni omosessuali (avvalorato anche da dati statistici e ricerche sociologiche) la ley non snatura l'istituzione matrimoniale, ma anzi adegua la realtà normativa alla realtà fattuale della società civile spagnola.

163. Articolo 13 CEDU "Diritto a un ricorso effettivo: ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un'istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali.

164. La Spiegazione include i seguenti riferimenti alla giurisprudenza della Corte di Giustizia: sen. CG Marguerite Johnston c. Chief Constable of the Royal Ulster Constabulary, 15 maggio 1986, C-222/84; sen. CG Unectef c. Georges Heylens e al., 15 ottobre 1987, C-222/86; sen. Oleificio Borelli SpA c. Commissione delle Comunità europee, 3 dicembre 1992 causa C-97/91.

165. Si veda supra par. 4. "L'inaugurazione del nuovo secolo: la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea", in particolare la nota 82.

166. Articolo 14 CEDU "Divieto di discriminazione": il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.

167. Articolo 19 TFUE: fatte salve le altre disposizioni dei trattati e nell'ambito delle competenze da essi conferite all'Unione, il Consiglio, deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa approvazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale.

168. Sul quale si veda supra par. 4 "L'inaugurazione del nuovo secolo: la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea".

169. Sen. Case "relating to certain aspects of the laws on the use of languages in education in Belgium" c. Belgio, 23 luglio 1968, nn. 1474/62 1677/62 1691/62 1769/63 1994/63 2126/64 par. 9 "while it is true that this guarantee has no independent existence in the sense that under the terms of Article 14 it relates solely to 'rights and freedoms set forth in the Convention', a measure which in itself is in conformity with the requirements of the Article enshrining the right or freedom in question may however infringe this Article when read in conjunction with Article 14 for the reason that it is of a discriminatory nature".

170. E. Crivelli, "Il Protocollo n. 12 Cedu: un'occasione (per ora) mancata per incrementare la tutela antidscriminatoria", in G. D'Elia, G. Tiberi. M. P. Viviani Schlein, Scritti in memoria di Alessandra Concaro, Giuffrè, Milano 2012, pagg. 137 e ss.

171. Ai soli diritti o anche ai principî? A tutti i diritti e i principî sanciti nella Carta di Nizza oppure solo a quelli che trovano corrispondenza nel catalogo CEDU? I dubbi interpretativi non sono solo molti, ma sono anche aggravati dai tecnicismi che affliggono le Spiegazioni della Carta di Nizza e anche alcune disposizioni della stessa.

172. Adottato a Roma il 4 novembre 2000, è entrato in vigore il 1 maggio 2005. Attualmente gli Stati che hanno firmato e ratificato tale protocollo sono: Georgia (2001), Cipro (2002), Croazia, Bosnia Erzegovina, San Marino (2003), Albania, Armenia, Finlandia, Montenegro, Paesi Bassi, l'Ex Repubblica iugoslava di Macedonia, Serbia (2004), Romania, Lussemburgo, Ucraina (2006), Andorra, Spagna (2008), Slovenia (2010).

Si riporta il testo dell'art. 1 del protocollo nella versione ufficiale inglese (general prohibition of discrimination): the enjoyment of any right set forth by law shall be secured without discrimination on any ground such as sex, race, colour, language, religion, political or other opinion, national or social origin, association with a national minority, property, birth or other status.

No one shall be discriminated against by any public authority on any ground such as those mentioned in paragraph 1.

173. Rileva Giovanni Guiglia che "nella misura in cui il legislatore nazionale si occupi dei diritti fondamentali, in specie dei diritti sociali, il Protocollo riconduce in effetti anche questi ultimi alla competenza della Corte EDU, aprendo così la porta alla loro giustiziabilità presso tale organo e gettando nel contempo un 'ponte' tra la sua giurisprudenza e le decisioni del Comitato Europeo dei Diritti Sociali (CEDS). In altri termini, se gli Stati intervengono con norme interne a garanzia dei diritti sociali contemplati nella Carta Sociale Europea, la cui applicazione incombe ovviamente sulle rispettive autorità nazionali, tali norme diventano giustiziabili anche a livello convenzionale, per l'accertamento dell'eventuale profilo discriminatorio, ricadendo in tal modo nell'ambito di competenza della Corte EDU" G. Guiglia, "Non discriminazione ed uguaglianza: unite nella diversità", in G. D'Elia, G. Tiberi, M. P. Viviani Schlein, op. cit., pag.

174. Articolo 1 protocollo allegato alla CEDU "Protezione della proprietà": ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.

Articolo 17 CDFUE "Diritto di proprietà": ogni persona ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquisito legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuna persona può essere privata della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa. L'uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall'interesse generale.

La proprietà intellettuale è protetta.

175. "Al diritto al rispetto dei propri beni, previsto nel co. 1 dell'art. 1 del Prot. N. 1, corrisponde nell'art. 17 della Carta il diritto della persona di godere della proprietà dei beni che ha acquisito legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Il co. 2, infine, contempla espressamente la tutela della proprietà intellettuale. Per quanto riguarda la privazione della proprietà, l'art. 17 sostituisce la formula apparentemente più ampia del pubblico interesse a quella della pubblica utilità prevista dall'art. 1 del Prot. N. 1. Viene inoltre mantenuta la riserva di legge, attraverso la precisazione che la privazione della proprietà debba avvenire nei casi e nei modi previsti dalla legge, mentre sparisce il riferimento al rispetto dei principi generali del diritto internazionale. La differenza più significativa riguarda comunque il pagamento dell'indennizzo. A differenza dell'art. 1 del Prot. N. 1, l'art. 17 stabilisce infatti espressamente l'esigenza del pagamento di una giusta indennità per la perdita della proprietà, stabilendo inoltre che questo debba avvenire in tempo utile". S. Bartole, V. Zagrebelsky, P. De Sena, S. Allegrezza (a cura di), Commentario breve alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, CEDAM, Padova 2012, pag. 812.

176. La difficoltà incontrate al momento della redazione del catalogo CEDU portarono all'adozione di un protocollo separato in cui vennero convogliati quei diritti più controversi. Un chiaro e divertente spaccato delle discussioni è offerto da Danny Nicol in cui leggiamo che "the right to own property was perhaps the most controversial of all [i.e. the right to property ownership, the rights of parents in the education of their children and the right to vote in the election of the legislature]. [...] when the matter was debated in the Assembly, memmbers with centre-right political inclinations sought a Bill of Rights-style entrenchment of property rights, to serve as protection not only against totalitarian expropriation, but also potentially against heavily redistributive policies pursued by a democratically-elected socialist government. In contrast, left-leaning Assembly members were anxious not to set in stone the existing destribution of property ownership. At first they opposed the inclusion of a property right, arguing that the matter was party-political. They doubtless envisaged that, irrispective of how cautiously such a right were framed, the Court might accord it an expansive interpretation, protecting the 'right of the well-to-do'. A right to own property might, for instance, be exploited by private companies to thwart nationalisation designe to serve the public interest, for example steel nationalisation in Britain, or public ownership of the railways in Sweden. Socialists also argued that if the right to own property were protecte, then so too should the right to an adequate standard of living, otherwise the ECHR would be lp-sided and reactionary. Later they sought to distinguish Nazi-style expropriations from the array of socialist measures which in their opinion formed part of legitiate democratic politics. This in turn led to complaints that such a dilution of the property right would be 'the thin end of the Moscow wedge' and 'a kind of fellow traveller policy'". D. Nicol, "Original Intent and the European Conventon on Human Rights" in Public Law, 2005, pag. 162.

177. Sen. GC Carson e al. c. Regno Unito, 16 marzo 2010, n. 42184/05, par. 64. in cui "the Chamber found that although there was no obligation on a State under Article 1 of Protocol No. 1 to create a welfare or pension scheme, if a State did decide to enact legislation providing for the payment as of right of a welfare benefit or pension - whether conditional or not on the prior payment of contributions - that legislation had to be regarded as generating a proprietary interest falling within the ambit of Article 1 of Protocol No. 1 for persons satisfying its requirements".

178. Dec. GC Stec e al. c. Regno Unito, 6 luglio 2005, nn. 65731/01; 65900/01, par. 54 e ss. "it must, nonetheless, be emphasised that the principles, most recently summarised in Kopecky v. Slovakia, which apply generally in cases under Article 1 of Protocol No. 1, are equally relevant when it comes to welfare benefits. In particular, the Article does not create a right to acquire property. It places no restriction on the Contracting State's freedom to decide whether or not to have in place any form of social security scheme, or to choose the type or amount of benefits to provide under any such scheme. If, however, a Contracting State has in force legislation providing for the payment as of right of a welfare benefit - whether conditional or not on the prior payment of contributions - that legislation must be regarded as generating a proprietary interest falling within the ambit of Article 1 of Protocol No. 1 for persons satisfying its requirements. In cases, such as the present, concerning a complaint under Article 14 in conjunction with Article 1 of Protocol No. 1 that the applicant has been denied all or part of a particular benefit on a discriminatory ground covered by Article 14, the relevant test is whether, but for the condition of entitlement about which the applicant complains, he or she would have had a right, enforceable under domestic law, to receive the benefit in question. Although Protocol No. 1 does not include the right to receive a social security payment of any kind, if a State does decide to create a benefits scheme, it must do so in a manner which is compatible with Article 14. It follows that the applicants' interests fall within the scope of Article 1 of Protocol No. 1, and of the right to property which it guarantees. This is sufficient to render Article 14 applicable".

179. J. Coppel, A. O'Neill, "The European Court of Justice: Taking Rights Seriously?", in Common Market Law Review, 1992, p. 669-692. J.H.H. Weiler, N.J.S. Lockhart, "'Taking Rights Seriously' Seriously: The European Court of Justice and Its Fundamental Rights Jurisprudence", in Common Market Law Review, 1995, pp. 51-92 e 579-627.

180. J. H. H. Weiler, La Costituzione dell'Europa, il Mulino, Bologna 2003, pagg. 511 e 615.

181. Questa la tesi di Marta Cartabia, compiutamente enunciata nel suo saggio "L'ora dei diritti fondamentali in Europa" in M. Cartabia (a cura di), I diritti in azione. Universalità e pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee, il Mulino, Bologna 2007, pagg. 37 e ss.

182. Come evidenziato supra par. 4.3. "Abdicazione definitoria, principî e diritti, le Spiegazioni: le ombre della Carta di Nizza".

183. Già Giuseppe Federico Mancini ricordava che "v'è qualcosa di più: l'impressione che la Corte sia unilaterale, che tra gli interessi degli Stati e l'interesse della Comunità essa favorisca sistematicamente il secondo. Im Zweifel für Europa (Nel dubbio per l'Europa): questo titolo della 'Frankfurter Rundschau' esprime bene le inquietudini con cui la classe politica tedesca, ma non solo tedesca, guarda alla filosofia che guida la Corte nell'arbitrare il più classico dei conflitti intrinseci agli organismi federali e confederali". G.F. Mancini, "La Corte di giustizia: uno strumento per la democrazia nella Comunità europea", in G. F. Mancini, Democrazia e costituzionalismo nell'Unione europea, il Mulino, Bologna 2004, pag. 93.

184. "La Carta da un lato prefigura un ambito di applicazione più ristretto di quello su cui la giurisprudenza comunitaria ha esercitato il proprio sindacato sugli atti degli Stati membri, di recente esteso ad atti estranei alle competenze dell'Unione, e dall'altro impegna la Corte a colpire atti delle istituzioni e degli organi dell'Unione che violino i diritti fondamentali". C. Pinelli, "I diritti fondamentali in Europa fra politica e giurisprudenza", in Politica del diritto, 1/2008, pag. 59.

185. Exemplum di tale tendenza all'autoconservazione del sistema dell'Unione è il caso della sentenza della Corte di Giustizia sul ricorso del Parlamento europeo per l'annullamento della direttiva sul ricongiungimento familiare 2003/86/CE, per i profili di contrasto con il diritto alla vita familiare e l'interesse del minori, su cu si veda sub Capitolo III "Il case study dei diritti dei migranti", in particolare par. 3 e ss.

186. Sen. Organisation des Modjahedines du people d'Iran, 12 dicembre 2006, T-228/2002. L'organizzazione in questione (la cosiddetta 'OMPI') era stata inclusa, con regolamento del Consiglio UE, nelle 'liste di proscrizione' di ispirazione ONU, con conseguente restrizione patrimoniale motivata sulla base del sospetto collegamento al terrorismo organizzato. L'Organisation era stata inclusa nell'elenco in virtù di una scelta discrezionale delle istituzioni europee che, in applicazione di una risoluzione ONU, erano tenute ad individuare le persone fisiche e giuridiche che commettano o tentino di commettere atti di terrorismi, o agevolino e fiancheggino tali persone ed organizzazioni, e a comminare loro le sanzioni del congelamento dei fondi e strumenti finanziari.

187. M. Cartabia, ibidem, pag. 51.

188. "It is in the field of anti-terrorism in the post 9/11 era, however, that the ECJ in recent years has become active and has been prepared to strike down a range of EU laws for disproportionately violatig individual rights. [...] in a series of important rulings handed down since those earlier judgments, most dramatically in Kadi I and Kadi II, but also in OMPI, PMOI (I) and PMOI (II), KONGRA-GEL, Othman, Hassan, Sison, Al-Aqsa I and II, and others, the ECJ and the CFI, or more recently the General Court, have struck down a number of EU laws, both autonomous EU measures which were not specifically required by the UN Security ouncil, as well as UN-mandated measures, for violting a range of rights, most notably due process (rights of defence) and the right to proptert" P. Craig, G. De Burça (eds), The Evolution of EU Law, Oxford University Press, Oxford 2013, pagg. 373-374.

189. "In a number of cases involving sanctions of a more political nature, for example as compared with the cases involving suspected individual assistance to terrorism, the CFI/General Court and ECJ have upheld EU sanctions and dismissed allegations of violation of procedural rights. Further, even where the ECJ or the General Court has annulled measures, the victory has sometimes been pyrrhic, as for exmple in Kadi I where the ECJ maintained the impunated measures in force to give the institutions time to correct the procedural breaches, or Al-Aqsa where, despite annulling the impugneted measure on procedural grounds, the General Court ruled that the domestic court had established as a matter of substance that the applicants had knowledge that their funds were being used for terrorist purposese". P. Craig, G. De Burça (eds), The Evolution of EU Law, Oxford University Press, Oxford 2013, pag. 377.

190. Sen. CG Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson, 26 febbraio 2013, C-617/10; sen. CG Stefano Melloni c. Ministerio Fiscal, 26 febbraio 2013, C-399/11; sen. CG DEB Deutsche Energiehandels- und Beratungsgesellschaft mbH c. Bundesrepublik Deutschland, 22 dicembre 2010, C-279/09; sen. CG J. McB. c. L. E., 5 ottobre 2010, C-400/10 PPU.

Da tale giurisprudenza, si evince che l'ambito applicativo estensivo dei principî generali del diritto comunitario e della Carta di Nizza sono coincidenti, nonostante la diversità di formulazione testuale. Dai richiami delle Spiegazioni e anche dalla giurisprudenza successiva, si può affermare che la nozione di "attuazione del diritto dell'UE", discrimine per individuare l'applicabilità della Carta agli Stati, sia del tutto in linea con quanto previsto dalla pregressa giurisprudenza in tema di principi generali del diritto (ex) comunitario. Unica distinzione soggettiva da fare è quella che riguarda il protocollo n. 30, che prevede la non riferibilità soggettiva della Carta a due Stati, configurando una sorta di opt-out dalla Carta di Nizza del Regno Unito, come era presumibile, e della Polonia, i quali rimangono comunque tenuti al rispetto, nel momento in cui vadano a dare attuazione al diritto dell'UE, ai principi generali del diritto, la cui attualità non è dunque stata soppiantata dall'adozione della Carta di Nizza.

191. Cfr. Capitolo Tre "Il case study dei diritti dei migranti", in particolare par. 2.1. e ss. "La direttiva 2008/115/CE come occasione di pronuncia della Corte di Giustizia dell'Unione europea".

192. Il protocollo n. 14 ha emendato il testo dell'articolo 59 ECHR (Signature and Ratification) che attualmente prevede, al suo secondo comma, che "the European Union may acced to this Convention".

193. Ex multis, possiamo ricordare la risoluzione 18 gennaio 1994 del Parlamento europeo "sull'adesione della Comunità alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo"; per parte della Commissione, invece, il memorandum 4 aprile 1979; la comunicazione 19 novembre 1990; documento di lavoro "L'adesione della Comunità alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e l'ordinamento giuridico comunitario" del 16 ottobre 1996.

194. Parere 28 marzo 1996 2/94, punto 27.

195. M. G. Bernardini, op. cit., pag. 415.

196. La bozza, conclusa il 10 ottobre 2011 e definita "an acceptable and balanced compromise", non ha incontrato l'unanimità e il favore degli Stati Membri dell'Unione europea. Successivamente, grazie anche all'iniziativa del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, le negoziazioni sono riprese in seno ad un gruppo ad hoc, avente lo specifico intento di portare a compimento un progetto di accordo in grado di incontrare il favore di entrambe le esigenti 'parti contrattuali'.

197. P. Gargl, "A Giant Leap for European Human Rights? The Final Agreement on the European Union's Accession to the European Convention on Human Rights", in Common Market Law Review, 2014.

198. Parere 2/13 della Corte di Giustizia, 18 dicembre 2014 in cui "the agreement on the accession of the European Union to the European Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms is not compatible with Article 6(2) TEU or with Protocol (No 8) relating to Article 6(2) of the Treaty on European Union on the accession of the Union to the European Convention on the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms".

199. Sen. Bosphorus Hava Jollari Turizm c. Irlanda, 30 giugno 2005, n. 45036/98. Nel caso in esame, l'impresa ricorrente, avente sede in Turchia, lamenta la lesione dei propri diritti fondamentali a causa del sequestro di un aeromobile in uso della ricorrente ma di proprietà della compagnia di bandiera iugoslava. Il sequestro in questione era stato effettuato dalle autorità irlandesi nel 1993 in attuazione di un regolamento comunitario, il quale costituiva a sua volta un'attuazione del pacchetto di misure previste dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, da prendersi nei confronti della Iugoslavia. L'impresa ricorrente adisce la Corte di Strasburgo dopo che la Corte di Giustizia si era pronunciata in via pregiudiziale nel senso della insussistenza di un pregiudizio ai diritti fondamentali del ricorrente (sen. CG Bosphorus, 30 luglio 1996, C-84/95).

200. Sen. Michaud c. Francia, 6 dicembre 2012, n. 12323/11.

201. Ad esempio, tale eventualità può ricorrere quando il giudice nazionale non abbia effettuato un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia sollevando una questione pregiudiziale con cui metta in dubbio la compatibilità della disciplina nazionale di derivazione europea con gli aspetti inerenti ai diritti fondamentali.

202. "This is why the key question about the future of Bosphorus presimption and the principle of equvalent protection needs to be answered. In principle, the presumption will not be upheld after accession, providd that the EU will accede on an 'equal footing' and will be treated in the same manner as any other of the 47 Contracting Parties". S. Morano-Foadi, S. Andreadakis, op. cit., pag. 82.

203. "To conclude, it is still not claer whether the Bosphorus presumption will stand the test of time and it is for the EctHR to decide on this issue. The decision will have to put on the plate, on the one hand, the principle of equality among the Contracting Parties and, on the other, the EU as a sui generis Party and the principle of equivalent protection" " S. Morano-Foadi, S. Andreadakis, ibidem.

204. Sulla sen. M.S.S. si veda sub Capitolo III "Il case study dei diritti dei migranti", in particolare "4.1. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo sul Sistema Dublino".