ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

I. La tutela dei diritti fondamentali nella Grande Europa

Gioia Bonaventura, 2015

1. Il Consiglio d'Europa, culla istituzionale della Convenzione europea dei diritti dell'uomo

La Convenzione europea dei diritti dell'uomo è un trattato multilaterale stipulato nel 1950 in seno al Consiglio d'Europa, organizzazione internazionale a carattere regionale e governativo, avente sede a Strasburgo. Un breve esame del contesto storico in cui tale organizzazione venne ad esistenza risulta necessario ed opportuno in considerazione dei riflessi che ebbe sull'assetto del meccanismo di garanzia dei diritti umani realizzato in Convenzione (1). Le macerie fumanti del secondo tragico dopoguerra sono indubbiamente punto di partenza obbligato, quasi topos, nel trattare la nascita del Consiglio d'Europa e, più ampiamente, dell'idea di una tutela dei diritti umani europea (2), non bisogna però dimenticare che, già nelle immediatezze della fine del conflitto, si andava profilando la distinzione in blocchi ideologici tra Est e Ovest del mondo.

All'indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale, il continente europeo si trovò a fronteggiare una ben scomoda eredità lasciata dai movimenti di matrice totalitaria proliferati negli anni precedenti: le perdite consistenti - tanto in termini concreti che di ideali - dovute alla guerra e agli orridi genocidi imponevano il rinnovamento dalle fondamenta di quella che per lungo tempo era stata e si era considerata la patria natia della cultura e della civiltà.

L'Europa occidentale si divideva fra fragili nuove democrazie in cerca di legittimazione e di emancipazione da un passato autoritario, e Stati che, anche se passati indenni attraverso il conflitto, erano sospettosi e timorosi nei confronti di una avanzata del pensiero comunista Sovietico.

Le alleanze che avevano stretto in una morsa e portato alla sconfitta la Germania Nazista si erano velocemente sgretolate: gli Stati dell'Europa occidentale si erano congiunti agli Stati Uniti d'America nel blocco NATO, mentre gli Stati dell'Est di fatto soggiacevano all'influenza della Russia comunista, che si consolidò dopo qualche anno con il Patto di Varsavia (3).

È questo il contesto che portò gli Stati a ricercare e a credere in una forma di integrazione del continente che nella loro idea evitasse l'insorgere di nuove guerre mondiali e desse luogo a un fronte comune contro l'Est comunista. A partire dalla seconda metà degli Anni Quaranta proliferò infatti una vasta congerie di movimenti e organizzazioni che propugnavano a viva voce l'ideale dell'unità europea occidentale, guidati da personalità politiche di spicco del tempo (4) e rappresentativi della società civile (5).

Lo sbocco istituzionale di questa pluralità di istanze fu la costituzione del Comitato internazionale di coordinamento dei movimenti per l'unità, promotore del "Congresso dell'Europa", svoltosi a L'Aja dal 7 al 10 maggio 1948. Nell'ambito di questi "Stati Generali dell'Europa" furono elaborati i germi delle proposte che verranno realizzate negli anni successivi: la creazione di un'unione economica e politica per assicurare la sicurezza, l'indipendenza economica e il progresso sociale del vecchio continente, l'elaborazione di una Carta Europea dei diritti dell'uomo e la creazione di una Corte per renderla effettiva (6).

L'istituzione del Consiglio d'Europa, ad opera del Trattato di Londra (7), affonda dunque le radici in questo clima di rinnovamento e aspettativa, i cui strascichi possono essere colti nelle affermazioni più retoriche dello stesso Statuto dell'organizzazione, da taluni definito "come pervaso dallo spirito de L'Aja" (8).

Lo scopo di tale organizzazione, come emerge dalla lettura del suo Statuto, è quello di "attuare un'unione più stretta fra gli Stati membri per tutelare e promuovere gli ideali e i principi che sono loro comune patrimonio e per favorire il progresso economico e sociale" attraverso il ricorso ai tipici strumenti della cooperazione intergovernativa quali "l'esame delle questioni di interesse comune, la conclusione di accordi e lo stabilimento di un'opera comune nel campo economico, sociale, culturale, scientifico, giuridico e amministrativo e mediante la tutela e lo sviluppo dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali" (9). I membri dell'organizzazione si impegnano a riconoscere il "principio della preminenza del Diritto e il principio secondo il quale ogni persona soggetta alla loro giurisdizione deve godere dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali" (10).

La missione di questa forma di cooperazione quindi si muoveva verso il duplice obiettivo (11) di rafforzare la democrazia nell'Europa occidentale, come ad esorcizzare lo spettro del recente passato fascista ed impedire ricadute nella tirannide, e di fronteggiare il comunismo strisciante, nel quadro di un conflitto ideologico tra i due Blocchi contrapposti ormai grave e consolidato (12).

Inevitabilmente quindi, il prodotto del primo impegno concreto del Consiglio d'Europa, ovvero la Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, risulta intriso di questa duplice finalità: il documento, posto in essere al fine di "assicurare la garanzia collettiva di alcuni dei diritti enunciati nella Dichiarazione Universale ONU del 1948" (13), racchiudeva al suo interno i valori che informavano l'organizzazione di partenza e che erano comune eredità degli Stati occidentali e andava a realizzare un meccanismo di controllo esterno per tamponare le derive autoritarie di cui gli Stati si erano dimostrati capaci, in aggiunta alle sicurezze "interne" rappresentate dall'adozione di Carte Costituzionali rigide e dall'istituzione di Corti Costituzionali. Gli Stati Membri fondatori infatti non prospettavano inizialmente un ruolo di primo piano per il meccanismo convenzionale, nella convinzione che la tutela interna e nazionale dei diritti oltrepassasse in maniera consistente il dettato CEDU: la loro intenzione era istituire un sistema avente il carattere di "valvola di sicurezza", il quale garantisse da eventuali derive autoritarie interne degli Stati e si frapponesse all'Est Europa in qualità di muro ideologico.

2. La Convenzione europea: un unicumnel suo genere

La Convenzione europea fu sottoscritta il 4 Novembre 1950 a Roma, presso Palazzo Barberini, ed entrò in vigore nel 1953, una volta ratificata dal numero minimo previsto di dieci Stati membri del Consiglio d'Europa (14).

Il sistema di garanzia della Convenzione Europea costituisce allo stato attuale il punto di riferimento imprescindibile nella tutela dei diritti umani a livello globale: questa esperienza si è tradotta infatti in un modello cui guardare, sia per l'allestimento di sistemi simili, come avvenuto con la Convenzione americana dei diritti dell'uomo (15), sia come paradigma ideale di tutela, nel più ampio contesto della tendenziale universalizzazione e omogeneizzazione dei diritti umani e del fenomeno del dialogo tra giudici (16).

Gli stessi dati quantitativi e statistici relativi alla partecipazione alla Convenzione e al carico di lavoro della Corte sono tanto imponenti quanto sconcertanti: una membership di ben quarantasette Stati si traduce in una giurisdizione esercitata su oltre ottocento milioni di individui, che a sua volta si concretizza in un numero di ricorsi vertiginoso. Se nel 1998 solo 4.200 ricorsi venivano proposti di fronte a Strasburgo, nel 2013 questi si contano in numero di 65.900 e, considerando gli arretrati, è possibile arrivare a contare quasi 100.000 istanze pendenti (17).

Al di là delle considerazioni circa la forte adesione a questo strumento convenzionale che inevitabilmente ed empiricamente hanno contribuito al suo successo, la specifica valenza della CEDU affonda le radici in alcune sue caratteristiche sui generis che hanno reso il meccanismo di Strasburgo un vero e proprio unicum nel panorama globale.

Innanzitutto, ciò che ha distinto la Convenzione Europea è l'essere andata oltre la mera previsione dell'obbligo per le Alte Parti Contraenti di rispettare i diritti contenuti nel catalogo: gli Stati si sono obbligati a garantire i diritti previsti a tutti i soggetti che si trovino entro la propria giurisdizione (18). In più, il sistema CEDU prevede l'istituzione di un organo di controllo giurisdizionale, con ampi poteri di accertamento dei fatti e interpretazione del diritto, deputato a vagliare il rispetto delle obbligazioni assunte dagli Stati con la ratifica della Convenzione. La Corte rappresenta dunque un'istanza di tutela attraverso la quale gli Stati contraenti si assoggettano ad un controllo esterno e sussidiario (19) in materia di diritti umani e le cui pronunce sono vincolanti per gli Stati riconosciuti colpevoli e condannati (20). La CEDU è, in sintesi, vistosa concretizzazione di quella tendenza eversiva (21) che ha scardinato l'ordine di idee per cui i rapporti Stato-individuo fossero materia attinente alla domestic jurisdiction e, conseguentemente, che il diritto internazionale si disinteressasse delle violazioni dei diritti fondamentali (22).

L'area geo-politica europea fu dunque la prima, nel panorama mondiale, a dotarsi di un sistema collettivo regionale di protezione dei diritti fondamentali, andando dunque ben oltre quella che è considerato il fondamento del movimento di tutela dei diritti umani del XX Secolo, ovvero la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (23), documento che rappresenta la reazione della comunità internazionale all'annullamento dei diritti avvenuto nei conflitti mondiali ed espressivo della consapevolezza di come la messa a repentaglio sistematica di tali diritti costituisse ostacolo alla pace mondiale. Tuttavia, come ben noto, tale dichiarazione è appunto una mera dichiarazione: è sprovvista di forza vincolante. Anche il Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici e il Patto delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali, successive specificazioni della Dichiarazione Universale, sono ben lontani dal prevedere un meccanismo simile a quello realizzato dieci anni prima a livello europeo (24).

Altre peculiarità del sistema CEDU poi emergono effettuando alcune considerazioni relativamente ai due canali di accesso alla Corte EDU, il ricorso individuale e il ricorso statale.

La posizione privilegiata attribuita all'individuonel sistema CEDU (25) è caratteristica che può quasi dirsi sovversiva, ove comparata al tradizionale diritto internazionale: il soggetto, non più concepito come suddito dell'attore princeps della scena internazionale - lo Stato -, è ora destinatario di diritti ed altresì si vede attribuita la possibilità di far valere il loro rispetto da parte del proprio Stato di appartenenza. Come affermato dalla stessa Corte EDU, il diritto di ricorso individuale costituisce una delle garanzie fondamentali dell'effettività del sistema convenzionale (26). In definitiva, nell'ambito CEDU l'individuo partecipa ad una delle funzioni cruciali del moderno costituzionalismo: la limitazione degli abusi perpetrati dall'onnipotente Stato Nazione (27).

Infine, un ulteriore signum individuationis del sistema, tale da rendere la Convenzione un unicum nel panorama dei vari trattati internazionali a tutela dei diritti umani, si ricava esaminando la disciplina e le indicazioni giurisprudenziali sul ricorso statale. In effetti, in tale sistema, qualunque Stato Membro può usufruire del meccanismo CEDU per far accertare qualunque inosservanza delle disposizioni di Convenzioni e Protocolli da parte di qualunque altro Stato contraente.

Attraverso il ricorso statale, dunque, lo Stato che interviene non agisce per ottenere il rispetto dei propri diritti, ma per sottoporre al giudizio dell'organo di Strasburgo questioni che toccano l'ordine pubblico dell'Europa. Ogni Stato è titolare del potere di provocare un controllo sulle politiche dei diritti umani praticate dagli altri Membri ed è responsabile del rispetto dei diritti garantiti in Convenzione su tutto il territorio ove questa trova applicazione, prescindendo da un proprio specifico interesse.

Rileva la Corte infatti che, "stipulando la Convenzione, gli Stati contraenti non hanno voluto concedersi dei diritti e delle obbligazioni reciproche utili al raggiungimento dei rispettivi interessi nazionali, ma realizzare gli obiettivi e gli ideali del Consiglio d'Europa. [Tali obbligazioni] hanno essenzialmente carattere obiettivo, per il fatto che esse hanno lo scopo di proteggere i diritti fondamentali dei singoli contro le violazioni degli Stati contraenti, piuttosto che creare diritti soggettivi e reciproci tra questi ultimi" (28). Ancora più significativamente: "la Convenzione esorbita dal quadro della semplice reciprocità tra gli Stati contraenti; in luogo di impegni sinallagmatici bilaterali, essa crea obbligazioni oggettive che beneficiano di una garanzia collettiva" (29).

Ne deriva così una sorta di actio popularis, un meccanismo di garanzia collettiva dei diritti umani e delle libertà fondamentali dell'individuo in cui ogni Stato è chiamato ad agire in qualità di guardiano della legalità in Europa sulla base della Convenzione, strumento costituzionale dell'ordine pubblico europeo (30).

Gli obblighi, positivi e negativi, che hanno fonte nella CEDU sono posti infatti nell'interesse degli individui e la possibilità, per ciascuno Stato parte, di pretenderne il rispetto ha la funzione di rafforzare ulteriormente la tutela dei diritti in Europa (31).

3. L'evoluzione del sistema CEDU: linee di indagine

Il meccanismo di garanzia dei diritti europei -di cui abbiamo sinteticamente illustrato gli aspetti positivi e che lo fanno assurgere al rango di riferimento centrale a livello mondiale- non è tuttavia nato con le caratteristiche e la fisionomia attuale: dal 1950 ad oggi sono stati elaborati ben sedici protocolli che hanno variamente emendato il disegno originale (32). Tuttavia, ripercorrere le linee evolutive del modello di tutela in questione, basandosi esclusivamente sulle riforme "istituzionali" veicolate dall'alto del consesso degli Stati Membri, offre una panoramica solo parziale dei mutamenti intervenuti nel corso di questi cinquanta e oltre anni di attività.

In realtà e perlomeno in riferimento all'ultima decade, è forse possibile affermare che il canale di rinnovamento del sistema più importante ed incisivo sia quello rappresentato dalla stessa giurisprudenza di Strasburgo: vere e proprie rivoluzioni, dagli imponenti riflessi sul sistema globalmente considerato, sono state realizzate in via pretoria dalla Corte, grazie ad una presa di coscienza che ha dato luogo a una giurisprudenza inedita e, a volte, marcatamente creativa (33).

Queste dunque le vie attraverso cui il sistema convenzionale si è evoluto - e va evolvendosi tutt'ora! - e a partire dalle quali è possibile ripercorrere il cammino intrapreso fino ad oggi che ha portato al progressivo allontanamento dai binari tracciati dai redattori degli Anni Cinquanta e al mutamento dei connotati del sistema. La Corte di Strasburgo infatti è andata progressivamente abbandonando il proprio ruolo di custode secondario dei diritti fondamentali, implicito nella natura sussidiaria del meccanismo convenzionale, per amplificare l'impatto della propria giurisprudenza negli ordinamenti nazionali, configurandosi così sempre maggiormente come una Corte Costituzionale paneuropea (34). Indipendentemente dall'accoglimento di una simile visione - la dottrina non è infatti concorde nell'attribuire al giudice europeo di Strasburgo la qualifica di corte costituzionale - molteplici sono le tracce che consentono di riscontrare uno spostamento del baricentro della Corte EDU: questi aspetti, a volte sintomatici di veri e propri mutamenti copernicani che hanno investito il sistema, saranno dunque oggetto dell'analisi nei paragrafi seguenti.

In primo luogo, momento essenziale di evoluzione è rappresentato dal mutamento strutturale e funzionale dell'istanza di tutela, realizzato in particolare dal Protocollo n. 11: questo ha dato seguito a una vera e propria ristrutturazione della fisionomia del meccanismo di tutela dei diritti fondamentali, rendendolo pienamente giurisdizionale e generalizzando il diritto di ricorso individuale. A questo proposito, infatti è necessario soffermarsi a ricordare che la Convenzione europea del 1950 è indubbiamente figlia di un compromesso politico, come emerge tanto dall'esame dei travaux préparatoires, quanto dal contesto storico-politico di riferimento. Non tutti gli Stati membri fondatori erano pronti ed inclini ad un'erosione cospicua della loro sovranità a favore di un soggetto terzo e esterno quale l'istituenda Corte Europea (35): la soluzione prescelta fu dunque quella di istituire un organo giurisdizionale internazionale con il compito di garantire il rispetto dei diritti previsti in Convenzione, statuendo però al contempo che la sua competenza fosse facoltativa, cioè sottoposta a puntuale accettazione da parte degli Stati (36). Inoltre si statuì che anche la previsione con cui si attribuiva un diritto di ricorso individuale del singolo davanti alla Commissione europea, il "filtro statale" per i ricorsi, avesse carattere facoltativo (37), in modo tale da preservare uno dei principî fondamentali dell'ordinamento internazionale, ovvero il riconoscimento della soggettività internazionale ai soli Stati nazionali (38). La riforma del 1998 ha dunque giurisdizionalizzato in maniera totale la tutela fornita dall'istituzione europea e ha rafforzato la centralità dell'individuo nel sistema: la vera innovazione introdotta in seno alla Grande Europa è "l'accettazione definitiva del rapporto diretto - senza intermediari e senza possibilità di opposizione - tra vittime nazionali e Corte di Strasburgo" (39).

Parimenti rilevante, è poi la riforma realizzata con il Protocollo n. 14 che, posta in essere soprattutto per tamponare l'overload di ricorsi dovuto all'abbattimento della barriera tra individuo e Corte, contiene molte previsioni che valgono ad allontanare la Corte europea da quel modello di individual justice, rappresentativo della sua fisionomia iniziale, e ad avvicinarla a una giurisdizione (para)costituzionale. Tutto ciò considerato, la rilevanza e la centralità del Protocollo n. 11 sono tali da farlo assurgere a vero e proprio spartiacque relativamente agli aspetti istituzionali e funzionali del meccanismo CEDU: di qui l'opportunità di illustrare tanto la versione originale del modello di tutela -evidenziandone i limiti e i punti critici, nonché i primi tentativi di soluzione a tali criticità- quanto quella attuale, inclusiva dei cambiamenti operati con il Protocollo n. 14, in modo da poter operare un confronto sostanziale tra le due versioni.

Per quanto riguarda invece il nuovo corso giurisprudenziale inaugurato alla fine degli Anni Novanta, si segnalano tutta una serie di pronunce che hanno dato luogo a vere e proprie innovazioni su aspetti sostanziali, tecnici e procedurali, i cui effetti si riverberano su tutta l'architettura convenzionale.

In primo luogo la Corte ha determinato un'estensione della portata dell'obbligo assunto dalle Parti Contraenti di garantire i diritti previsti nel catalogo convenzionale: gli Stati membri sono, nelle parole del giudice di Strasburgo, vincolati al rispetto dei diritti "così come interpretati" dalla giurisprudenza europea. L'obbligazione assunta dalle Parti e positivizzata nel testo dell'articolo 1 CEDU ha dunque subito una traslazione: poiché il testo della Convenzione vive nell'interpretazione datane dal suo interprete autentico, si rende necessaria una integrazione del testo convenzionale con il parametro giurisprudenziale. Gli Stati sono tenuti al rispetto dei diritti previsti in Convenzione secondo la lettura interpretativa offertane dal Giudice europeo, che dunque vanta una vera e propria primazia ermeneutica nei confronti delle autorità giudiziarie nazionali.

Entro un orizzonte più tecnico-procedurale, assumono invece una specifica rilevanza il complesso di pronunce in tema di "misure provvisorie", definibili come le misure cautelari dell'ordinamento internazionale: l'esame di questa tematica, in particolare poiché si versa nell'ambito della tutela dei diritti umani, permette di valutare se e in che misura il sistema possa essere in grado di salvaguardare, in corso di giudizio, i diritti della persona che denuncia la violazione da parte di uno Stato membro e dunque, in ultima battuta, la capacità del sistema di dare tutela effettiva (40).

Infine, l'ambito in cui forse maggiormente è possibile cogliere una giurisprudenza creativa, i cui echi si riverberano sull'assetto del sistema stesso e sulle stesse opzioni politiche che vi sono a monte, è quello relativo all'espansione degli effetti delle sentenze della Corte Europea dei diritti dell'uomo e al profilo della loro esecuzione. Ambito a prima vista strettamente esecutivo e tecnico, questo è in realtà vero e proprio banco di prova in cui si misurare concretamente gli spostamenti effettuati dal sistema europeo rispetto alle sue origini.

4. I profili funzionali ed istituzionali del sistema CEDU

4.1. Il sistema CEDU nella sua fisionomia iniziale: 1950-1998

Il meccanismo sussidiario (41) di protezione dei diritti fondamentali nella sua formula originaria si imperniava su tre distinte istituzioni, ovvero:

  • La Commissione europea dei diritti dell'uomo, prevista e istituita all'articolo 19.1 del testo originale (42);
  • La Corte europea dei diritti dell'uomo, prevista e istituita all'articolo 19.2 del testo originale (43);
  • Il Comitato dei Ministri, organo del Consiglio d'Europa previsto e disciplinato nello Statuto della suddetta organizzazione internazionale;

4.1.1. Le istituzioni

La Commissione europea dei diritti dell'uomo

La Commissione, disciplinata nell'apposita III Sezione della Convenzione, venne ad esistenza nel 1954 ed era composta da un numero di membri pari a quello degli Stati aderenti alla Convenzione stessa (44).

I singoli commissari venivano eletti dal Comitato dei Ministri con la maggioranza assoluta dei voti da una lista di tre candidati, predisposta in seno all'Assemblea Parlamentare. (45) I commissari duravano in carica sei anni ed erano rieleggibili (46); costoro (47) non rivestivano formalmente il ruolo di rappresentanti degli Stati nazionali e dei loro interessi, tuttavia la loro indipendenza sostanziale era alquanto sfumata (48). Questa circostanza rappresentava infatti uno dei punti di maggiore debolezza del sistema e fu oggetto di modifica già dal 1990, con l'entrata in vigore del Protocollo n. 8. Quest'ultimo, al fine di rendere maggiormente effettiva l'indipendenza del commissario rispetto allo Stato "di appartenenza", introdusse una codificazione dei requisiti per l'accesso al mandato e dettò anche una disciplina sulle incompatibilità con altre cariche (49).

La Commissione era un organo non permanente: si riuniva infatti periodicamente sulla base delle concrete necessità (50) che, perlomeno nella prima fase della vita del sistema CEDU, non erano particolarmente consistenti (51).

Per quanto riguarda il ruolo rivestito dall'istituzione nel sistema, la Commissione europea aveva una specifica funzione di 'filtraggio' dei ricorsi, poiché era il luogo in cui si effettuava il vaglio sulla loro ammissibilità, secondo i criteri previsti in Convenzione. Questa competenza non esauriva tuttavia le sue funzioni dato che la Commissione interveniva anche nella fase istruttoria del procedimento, poiché era chiamata a valutare la sussistenza e consistenza dei fatti allegati alle istanze dichiarate ricevibili, e aveva poi un ruolo specifico in tema di conciliazione delle parti. A questo proposito si deve notare che, nell'ideale dei compilatori della Convenzione, lo sbocco principale e auspicabile per i ricorsi presentati a Strasburgo era una soluzione conciliativa della controversia: non a caso era possibile che una composizione intervenisse in ogni fase della procedura in sede CEDU. La Commissione dunque doveva mettersi a disposizione delle parti in lite per elaborare il cosiddetto "regolamento amichevole" e mettere fine alla procedura internazionale, senza arrivare agli esiti considerati patologici della decisione della Corte o del Comitato dei Ministri.

La Corte Europea dei diritti dell'uomo

La Corte europea dei diritti dell'uomo, disciplinata nell'apposita IV Sezione della Convenzione, si insediò nel 1959 (52). Questa, nella prima versione del documento internazionale, era formata da un numero di giudici pari al numero degli Stati membri del Consiglio d'Europa: era dunque possibile che nel collegio sedessero giudici provenienti da quegli Stati che non avevano ancora ratificato la Convenzione (53). Per sanare questa aporia, a partire dalla fine degli Anni Ottanta, si sviluppò una prassi "correttiva" per cui gli Stati non erano ammessi a partecipare al Consiglio d'Europa a meno che non si impegnassero a ratificare la Convenzione.

Per quanto riguarda la composizione della Corte Europea, i singoli giudici venivano eletti dall'Assemblea Consultiva del Consiglio d'Europa sulla base di una lista di candidati forniti dei requisiti richiesti (54) che veniva elaborata da ogni singolo Stato membro. La carica aveva durata novennale ed era suscettibile di essere rinnovata (55).

La Corte, la cui competenza riguardava tutti gli affari concernenti l'applicazione e l'interpretazione della Convenzione che le venivano sottoposti secondo i requisiti previsti (56), sedeva per l'esame dei casi in una formazione denominata Camera, composta da sette giudici (57).

La Corte EDU era infine organo non permanente, che si riuniva mensilmente, circostanza ammissibile data la mole di lavoro dei giudici di Strasburgo assai più contenuta inizialmente, in considerazione del filtraggio dei ricorsi operato dalla Commissione e dall'eventualità che il foro decisorio privilegiato fosse quello del Comitato dei Ministri.

Il Comitato dei ministri

Il Comitato dei ministri è organo politico-esecutivo del Consiglio d'Europa ed è infatti nel relativo Statuto che possiamo trovare le linee essenziali della sua disciplina.

Il Comitato è formalmente composto dai Ministri per gli Affari Esteri degli Stati membri anche se concretamente le decisioni vengono prese dai Delegati, cioè diplomatici plenipotenziari incaricati dai primi.

È proprio in relazione a quest'organismo che possiamo cogliere una delle differenze maggiori rispetto ai due meccanismi di tutela delineati in seguito alla riforma del 1998: nella prima versione della procedura, infatti, il Comitato, organismo essenzialmente rispecchiante il potere esecutivo del Consiglio d'Europa, aveva una funzione decisoria. Doveva infatti valutare, per quei casi non rimessi alla Corte Europea dai soggetti legittimati, la sussistenza di una violazione della Convenzione, attraverso un procedimento camerale in cui erano assenti anche i rudimenti del contraddittorio, con votazione a maggioranza dei due terzi dei componenti (58). Il Comitato era poi altresì competente a valutare l'esecuzione delle sentenze della Corte che accertassero una violazione dei diritti umani da parte degli Stati membri convenuti.

4.1.2. La procedura

Il ricorso dello Stato o dell'individuo, ove si fosse accettata la clausola con cui gli Stati acconsentivano a rendere possibile il ricorso del singolo (59), doveva essere proposto davanti alla Commissione la quale decideva in merito alla ricevibilità del ricorso seguendo i criteri codificati nella Convenzione (60). Per quanto riguarda gli "effetti" della proposizione del ricorso in sede internazionale, nella convenzione non troviamo nessuna disposizione in merito: nella prima fase della sua attività la Commissione ha ritenuto che non vi si ricollegasse nessun effetto sospensivo delle misure nazionali considerate lesive dei diritti e libertà convenzionali.

Una volta effettuata questa prima scrematura in merito alla ricevibilità, per i ricorsi ammissibili la Commissione istruiva la causa, accertando i fatti e mettendosi a disposizione delle parti per giungere a una definizione amichevole della controversia, attraverso il ricorso al cosiddetto "regolamento amichevole" (61).

Nel caso in cui il regolamento amichevole si fosse rivelato impossibile - ipotesi invero piuttosto frequente-, la Commissione adottava il "rapporto sul merito", con cui accertava la sussistenza della violazione allegata (62) e questo veniva trasmesso al Comitato dei Ministri e comunicato agli Stati 'interessati'. A questo punto, due erano gli sbocchi possibili e tra loro alternativi per il ricorso: l'uno coinvolgeva la Corte EDU, l'altro invece il Comitato dei Ministri.

Una volta trasmesso il rapporto al Comitato, infatti iniziava la decorrenza del termine di tre mesi per poter adire la Corte Europea (63), da parte del legittimato attivo di volta in volta rilevante e/o ammissibile (64): la Commissione, l'Alta Parte Contraente che avesse presentato un ricorso interstatale, l'Alta Parte Contraente convenuta ed infine, nell'ipotesi di ricorso individuale alla Commissione, l'Alta Parte Contraente sotto la cui giurisdizione l'individuo, che si affermava vittima di una lesione dei diritti fondamentali, si trovasse (65).

Se il caso dunque fosse giunto davanti alla Corte EDU, questa di regola, salvo cancellazione della causa dal ruolo, statuiva a maggioranza sulla sussistenza o meno di una violazione della Convenzione con una sentenza definitiva (66), cioè non suscettibile di essere impugnata o sottoposta a gravame, ed obbligatoria (67), in quanto le Parti Contraenti si impegnavano a conformarsi alle decisioni rese nei loro confronti. Se invece nessuno dei legittimati avesse adito la Corte EDU, la conclusione della procedura di tutela internazionale avveniva con una risoluzione del Comitato dei Ministri con cui si statuiva, a maggioranza di due terzi, sul merito del ricorso, in un procedimento camerale segreto e privo di contraddittorio (68). Questo è il punto in cui, a parità di "legittimati attivi" al ricorso, può cogliersi uno dei profili più evidenti della disuguaglianza della posizione del singolo rispetto a quella dello Stato: quest'ultimo infatti, partecipando al procedimento decisorio, era giudice e parte al contempo (69), lasciando dubbi sul grado di effettività della procedura internazionale CEDU. Si trattava dunque di un meccanismo farraginoso, destinato a funzionare in maniera diversa a seconda del "grado di partecipazione al sistema convenzionale" dello Stato europeo di volta in volta rilevante (70).

4.2. Il meccanismo di tutela negli Anni Duemila

Un momento essenziale e importante di riforma dell'assetto dell'istanza di tutela CEDU è, come già detto, ascrivibile al Protocollo n. 11; tuttavia questo non è stato l'ultimo protocollo ad intervenire e a modificare tale impianto.

A fini di semplificazione, il discorso sulla fisionomia della nouvelle Cour sarà svolto a partire dal testo consolidato della Convenzione Europea ora vigente, in cui vanno a confluire due linee direttrici di riforma: l'una appunto rappresentata dal Protocollo n. 11 (71); l'altra, rappresentata invece dal Protocollo n. 14, entrato in vigore nel 2010 (72), che concerne le modalità e le procedure di funzionamento del sistema convenzionale (73).

Come già anticipato, il Protocollo n. 11 risponde all'esigenza di una ristrutturazione del sistema di controllo datato 1950, effettuata essenzialmente attraverso l'eliminazione del dualismo di Corte Europea e Commissione, dando invece vita a un unico organo, denominato anch'esso Corte europea (però dotato del potere, a determinate condizioni, di riesaminare le proprie decisioni) avente competenza obbligatoria; l'eliminazione dell'aporia costituita dalla funzione paragiurisdizionale del Comitato dei Ministri; ed infine, la generalizzazione del ricorso individuale, sottratto al gioco delle dichiarazioni facoltative degli Stati.

Tuttavia, la riforma non è stata in grado di reggere al corposo allargamento ad Est del Consiglio d'Europa (74) e il sistema, sovraccaricato, era prossimo al collasso: dall'entrata in vigore del protocollo n. 11 alla fine del 2009 si contano infatti più di 340 000 ricorsi pendenti (75). Un tentativo di arginare l'aumento esponenziale delle istanze rivolte al giudice di Strasburgo, in numeri evidentemente tali da comprometterne seriamente il funzionamento si è reso dunque necessario: il Protocollo n. 14, anche definito "la riforma della riforma", trova dunque qui la sua ragion d'essere. Al fine di fronteggiare il carico di lavoro della Corte e di garantire l'effettività del meccanismo, si sono dunque introdotti un ulteriore filtro per i ricorsi individuali, la competenza del giudice unico a valutare l'ammissibilità di tali ricorsi e un rafforzamento del controllo, ad opera del Comitato dei Ministri, sulla fase esecutiva delle sentenze europee (76).

4.2.1. La composizione della Corte e le sue formazioni

La Corte EDU è composta da un numero di giudici pari al numero delle "Alte Parti Contraenti" (77), pertanto è attualmente formata da un consesso di quarantasette giudici.

I membri della Corte europea sono eletti dall'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa sulla base di liste di tre candidati proposte dai singoli Stati membri (78). I candidati giudici devono godere della più alta considerazione morale e possedere i requisiti richiesti per l'esercizio delle più alte funzioni giudiziarie, o essere dei giureconsulti di riconosciuta competenza (79): nel concreto questi requisiti sono stati sviluppati e precisati in via di prassi e attraverso fonti inerenti al sistema del Consiglio d'Europa, come le Risoluzioni dell'Assemblea Consultiva (80).

L'indipendenza dei giudici di Strasburgo è molto forte, tanto nei confronti degli Stati membri di "provenienza" quanto dell'istituzione di cui fanno parte: siedono infatti nella Corte permanentemente, a titolo individuale (81), per un mandato novennale e non sono rieleggibili (82); sono state loro riconosciute le prerogative previste all'articolo 18 dell'Accordo generale sui privilegi e le immunità del Consiglio d'Europa e quelle riconosciute dal diritto internazionale agli inviati diplomatici (83).

Per quanto riguarda la trattazione dei ricorsi, la Corte di Strasburgo è in primo luogo suddivisa in sezioni, in numero minimo di quattro (84), al cui interno deve sussistere un equilibrio per provenienza geografica dei giudici e caratteristiche dei sistemi giuridici dei loro Stati di provenienza. All'interno delle sezioni si costituiscono poi le formazioni giudicanti della Corte, le quali sono attualmente quattro: giudice unico, Comitato, Camera, Grande Camera (85).

Il giudice unico può dichiarare irricevibile o cancellare dal ruolo un ricorso individuale in via definitiva, quando tale decisione può essere adottata senza ulteriori accertamenti (86). Dunque, nell'attuale meccanismo di tutela questo è il luogo deputato al vaglio sulla sussistenza delle condizioni di ammissibilità dei ricorsi: questa novità, introdotta dal Protocollo n. 14, ha lo scopo di snellire e rendere più efficace il meccanismo di tutela internazionale (87).

I Comitati, composti da un collegio di tre giudici, sono designati dal Presidente di sezione che ne stabilisce numero e composizione. Questa formazione può dichiarare irricevibile o cancellare dal ruolo un ricorso nonché altresì pronunciarsi sul merito dei casi "ripetitivi", cioè quelli in cui le questioni di interpretazione o applicazione della Convenzione e annessi Protocolli sono oggetto di una giurisprudenza consolidata della Corte (88). Notiamo dunque un primo germe di una "gerarchia informale" tra le formazioni giudicanti di Strasburgo, la quale è direttamente connessa alla consistenza della violazione convenzionale, aspetto che è stato indubbiamente rafforzato dalla riforma protocollare del 2009.

Quando i ricorsi non sono decisi da queste due formazioni, e dunque si versa fuori dalle ipotesi degli articoli 27 e 28 CEDU, vengono in rilievo le Camere o eventualmente la Grande Camera. Per quanto riguarda le Camere, queste sono composte da sette giudici e comprendono necessariamente il Presidente della sezione e il giudice nominato dal paese parte della controversia; gli altri componenti sono designati a rotazione dallo stesso Presidente all'interno della sezione. Una Camera si pronuncia, eventualmente anche separatamente, sulla ricevibilità e sul merito del ricorso.

Per quanto riguarda la Grande Camera, questa è composta da diciassette giudici e almeno tre supplenti e riveste un ruolo nomofilattico all'interno del microsistema giurisdizionale convenzionale ed è altresì, soprattutto nell'assetto riformato, il luogo maggiormente espressivo delle tendenze in senso costituzionale del meccanismo CEDU, dato che le sue competenze riguardano i casi controversi e complessi. Le Camere infatti possono rimettere le questioni oggetto dei ricorsi pendenti davanti ad essere alla Grande Chambre nel caso in cui tali questioni sollevino gravi problemi di interpretazione della Convenzione o nel caso in cui la decisione possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali, salva opposizione delle parti (89).

La Grande Camera ha anche un'altra competenza: ai sensi dell'articolo 43 CEDU, si pronuncia su una decisione resa da una Camera, previa dichiarazione di ammissibilità da un collegio di cinque giudici (90), avendo anche il potere di riformarla.

Il plenum della Corte non ha ovviamente - né potrebbe averne dato il numero dei suoi componenti che ne renderebbe arduo il funzionamento - competenze giurisdizionali: questo ha infatti competenze essenzialmente di tipo organizzativo ed amministrativo, quali l'elezione delle Presidente e Vicepresidente, istituzione delle Camere e delle sezioni nonché adozione delle regole procedurali.

4.2.2. La competenza della Corte

La competenza della Corte EDU, secondo il disposto dell'articolo 32 CEDU (91), si estende a tutte le controversie, concernenti l'interpretazione e l'applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli che le vengano sottoposte secondo le condizioni di accesso previste. Ricordiamo che, nel nuovo assetto, la competenza della Corte è obbligatoria, non più soggiacente ad una clausola facoltativa.

In via sistematica è possibile affermare che, attualmente, la Corte vanta una competenza che si dirama in due direzioni: l'una, che risulta preponderante, è quella contenziosa, l'altra è quella consultiva. Per quanto riguarda quest'ultima, l'articolo 47 CEDU prevede la facoltà, per il Comitato dei Ministri, di richiedere pareri consultivi alla Corte su "questioni giuridiche relative all'interpretazione della Convenzione e dei Protocolli", tuttavia, tali questioni non devono riguardare "il contenuto o la portata dei diritti e libertà definiti nel Titolo I della Convenzione e nei Protocolli", né avere il carattere di "questioni su cui la Corte o il Comitato dei Ministri potrebbero doversi pronunciare in seguito alla presentazione di un ricorso previsto dalla Convenzione" (92). Si riconducono entro questa competenza anche le pronunce, previste all'articolo 46 CEDU, che chiarificano l'interpretazione di proprie sentenze su richiesta del Comitato dei Ministri, qualora questo dovesse ritenere il proprio compito di monitorare l'esecuzione di una sentenza definitiva ostacolato da difficoltà interpretative del disposto.

Venendo alla competenza princeps, ovvero quella contenziosa, ricordiamo che la Convenzione attribuisce alla Corte EDU una competenza giurisdizionale generale, su tutte le questione di applicazione ed interpretazione della Convenzione e dei suoi Protocolli. Tuttavia, è bene ricordare che l'ampiezza di tale competenza varia nei fatti a seconda del "canale" di ricorso prescelto. Il singolo infatti può adire la Corte solo per lamentare la lesione di uno dei diritti fondamentali contenuti nel catalogo della Convenzione e dei suoi Protocolli, a norma dell'articolo 1 CEDU. La giurisprudenza della Corte però è andata oltre questo dato letterale, ampliando la facoltà per il singolo di allegare la violazione anche di altre disposizioni convenzionali, come ad esempio l'articolo 34 CEDU, dedicato al ricorso individuale e l'articolo 38 CEDU.

La prima delle disposizioni ricordate, infatti, sancisce l'impegno delle Alte Parti contraenti ad impegnarsi a non ostacolare con alcuna misura l'esercizio effettivo del diritto di ricorso individuale: la Corte europea l'ha valorizzata permettendo all'individuo di dedurre in giudizio la circostanza che lo Stato abbia ostacolato, materialmente e giuridicamente, l'accesso all'istanza internazionale, arrivando anche a riscontrarne la violazione quando, accertata la violazione del diritto lamentata dal singolo ricorrente, gli Stati - ovviamente prima del revirement sulla loro efficacia vincolante - rifiutavano di darei seguito alle misure cautelari disposte dal giudice di Strasburgo a tutela del diritto del ricorrente. Per quanto riguarda l'articolo 38 CEDU, invece, la Corte ha valorizzato la disposizione che, nel prevedere la possibilità di procedere a un'inchiesta, statuisce che le Alte Parti contraenti interessate forniranno tutte le facilitazioni necessarie per garantirne l'efficace svolgimento: ove si riscontri una mancanza di cooperazione in tal senso, dunque, l'individuo può altresì dedurre tale specifica violazione convenzionale.

Nell'ipotesi di ricorso statale invece, lo Stato ricorrente è legittimato a far valere nei confronti dello Stato convenuto una qualunque inosservanza di tali disposizioni. Questa circostanza rafforza quell'interpretazione del meccanismo di tutela CEDU per cui ogni Stato contraente è una sorta di guardiano della legalità dei diritti umani del sistema CEDU, essendo chiamato ad intervenire ove riscontri una violazione della convenzione, prescindendo da un suo specifico interesse nel caso concreto (93).

4.2.3. La ricevibilità dei ricorsi

Più volte abbiamo detto che l'elemento che vale a contraddistinguere e a far considerare in senso positivo il sistema di tutela di Strasburgo è la novità della previsione di un diritto al ricorso individuale generalizzato: tuttavia, elementarmente, si capisce che questa sia sì previsione di rilievo ma che deve necessariamente essere valutata ed apprezzata nella sua dimensione concreta. Nel momento in cui si aggrava e rende sempre più difficile l'accesso individuale alla Corte EDU, il meccanismo va inevitabilmente a perdere di effettività: per questo motivo appare necessario esaminare i criteria of admissibility dei ricorsi, con particolare riferimento al ricorso individuale, posto che il diritto di azione del singolo a livello internazionale vive nei limiti in cui nel concreto è suscettibile di essere esercitato. L'esame, anche di un momento così formale, presenta in realtà dei risvolti sostanziali e non se ne può dunque prescindere.

I criteri di ricevibilità (sic) (94) sono svariati e molto eterogenei tra loro e sono ostativi all'esame del merito delle doglianze contenute nei ricorsi; tra di essi, è possibile distinguerne alcuni propri tanto dei ricorsi statuali che del singolo ed altri invece specificatamente posti per i soli ricorsi individuali.

Partendo dall'esame dei primi, possiamo in primo luogo ricordare che la Corte può essere adita "solo dopo l'esaurimento delle vie di ricorso interne". Si parla a tale proposito della condizione del "previo esaurimento dei ricorsi interni", condizione peraltro espressiva di una regola di diritto internazionale comune (95); si tratta della condizione di ricevibilità più importante e che deve essere letta congiuntamente ad altre disposizioni chiave della stessa Convenzione, quali l'articolo 1 CEDU (96) e l'articolo 13 CEDU (97).

In primo luogo, tale condizione rappresenta la concretizzazione formale del principio di sussidiarietà della tutela internazionale dei diritti (98): gli Stati, che hanno assunto l'obbligo di tutelare i diritti previsti nel catalogo ratificando la Convenzione, sono infatti i primi custodi e garanti di tali diritti; sono chiamati in prima battuta e a livello interno a rimuoverne le violazioni e a prevenirle. Una corretta applicazione di questa condizione di ricevibilità contribuisce infatti all'efficacia del sistema di protezione convenzionale, poiché consente a questo di mantenere il suo carattere di extrema ratio e alla Corte di pronunciarsi avendo messo lo Stato in condizione di adoperarsi in via prioritaria per eliminare la violazione. Sinteticamente, per quanto riguarda i corollari applicativi di questa regola, i principî ricavabili dalla giurisprudenza della Corte EDU sono in primo luogo la necessaria natura giurisdizionale dei ricorsi interni de qua (99) e il loro carattere effettivo, cioè l'idoneità a fornire un ristoro concreto del pregiudizio subito, il quale viene declinato nelle due accezioni di accessibilità ed adeguatezza del ricorso (100). Recentemente, la Corte ha individuato anche delle eccezioni all'operatività della condizione così ricostruita, in particolare in seguito alle adesioni degli ex paesi socialisti: sono state elaborate delle ipotesi in cui il privato è ammesso ad adire direttamente la Corte EDU anche in mancanza di previo esaurimento dei rimedi interni (101). Ancora, estremamente rilevanti sono quelle ipotesi in cui la Corte, a fronte di istanze giurisdizionali nazionali che non si conformano all'interpretazione della Convenzione offerta dal suo interprete autentico, consente che i ricorrenti individuali tralascino di esperire tutti i rimedi interni, mancando a questi il carattere dell'effettività (102).

La seconda condizione richiesta, che deve essere letta congiuntamente a quella del previo esaurimento, è che il ricorso deve essere proposto davanti alla Corte Europea nel termine di sei mesi (103) decorrenti dalla decisione interna definitiva, resa appunto nel quadro dei ricorsi effettivi del singolo ordinamento. Il requisito assolve a una duplice funzione, da una parte tutela la certezza del diritto, dall'altra individua un tempo funzionale all'elaborazione della strategia processuale per le parti che intendano proseguire lungo la strada della "denuncia" internazionale.

Venendo invece alle condizioni di ricevibilità che sono rivolte esclusivamente ai ricorsi individuali, si deve ricordare innanzitutto che la Corte non accetta ricorsi anonimi: residua comunque una possibilità di tutela della privacy mediante apposita richiesta che oscuri il nome dei ricorrenti, ove se ne ravvisi una richiesta e la necessità.

Altra condizione che osta all'esame del merito del ricorso, è quella per cui la Corte valuti l'istanza presentata come essenzialmente identica a una precedentemente esaminata dalla Corte, sia sul profilo oggettivo dei fatti e delle doglianze dedotti, sia sul profilo soggettivo delle parti; fatta ovviamente salva l'ipotesi di allegazione di fatti nuovi. In quest'ipotesi la condizione ostativa è individuata nella proposizione davanti alla Corte EDU di un ricorso da questa già previamente esaminato e in merito al quale si è dunque avuta una pronuncia della stessa o eventualmente anche un regolamento amichevole. Si tratta ovviamente di una concretizzazione del principio del ne bis in idem ed è volta a mantenere il carattere definitivo delle pronunce della Corte.

Del pari inammissibile risulta quel ricorso essenzialmente identico a uno già sottoposto a un'altra istanza internazionale di inchiesta o di risoluzione, salva l'allegazione di fatti nuovi (104). Con questa disposizione si vuole evitare l'instaurazione di una pluralità di vertenze internazionali sul medesimo caso e con essa tutti i difficili problemi di coordinamento e gli imbarazzi politici derivanti dall'eventualità di giudicati discordanti.

Inoltre, ricorsi incompatibili con le disposizioni della Convenzione e i suoi Protocolli non possono poi essere esaminati dalla Corte nel merito. La condizione "di compatibilità" così delineata è espressione di sintesi per identificare la sussistenza della competenza della Corte di Strasburgo ex articolo 32 CEDU, il quale individua le varie sfaccettature dei criteri della competenza ratione personae attiva (105) e passiva (106), ratione loci (107), ratione materiae (108), ratione temporis (109).

Venendo a uno dei filtri di ammissibilità in cui la linea di confine tra i profili tecnici-procedurali e sostanziali è più sfumata, incontra la cesura dell'irricevibilità il ricorso manifestamente infondato. Il "requisito" infatti riguarda un esame preliminare del merito del ricorso e delle doglianze ivi incluse e la sua funzione è quella di permettere una trattazione più approfondita da parte della Corte di quei ricorsi contenenti doglianze meritevoli (110).

Il Protocollo n. 14 ha introdotto un nuovo requisito per l'ammissione allo scrutinio del merito: si tratta della condizione che serve a stralciare quei ricorsi in cui non sia riscontrabile un pregiudizio importante, la condizione dell'"assenza di un pregiudizio importante". Si tratta di un'applicazione del principio de minimis non curat praetor: anche in materia di diritti fondamentali è richiesta una soglia minima della violazione per poter accedere al meccanismo internazionale di tutela. Tuttavia, la clausola in questione è accompagnata da due disposizioni di salvaguardia, volte a delimitare il suo ambito applicativo e limitare la forte dose di discrezionalità insita nella formula. In primo luogo pur in assenza di pregiudizio significativo, il ricorso sarà ammissibile se la tutela dei diritti sanciti in Convenzione richieda in ogni caso un esame nel merito, oppure quando l'affare non sia stato debitamente esaminato da alcun tribunale nazionale interno (111). Questo è l'aspetto più sintomatico della tendenza ad uno spostamento in direzione "costituzionale" della Corte europea dei diritti dell'uomo: questo nuovo criterio vale ad operare una prima scrematura delle istanze proponibili davanti all'organo giurisdizionale, a favore dei casi più importanti e di ampia risonanza (112).

Infine, abbiamo una condizione di ricevibilità dalla natura quasi residuale, che va a colpire i "ricorsi abusivi" (113). In tale etichetta vi confluiscono una pluralità di ipotesi eterogenee, quali l'allegazione di fatti falsi ed il ricorso ad un linguaggio molesto, oltraggioso, minaccioso o provocatorio.

4.2.4. La procedura

Data la marginalità dell'attivazione del meccanismo da parte di uno Stato (114), prenderemo come ipotesi di riferimento, al fine di descrivere la procedura, il ricorso individuale.

Il soggetto, che si affermi vittima di una violazione dei diritti umani, deve inviare l'apposito formulario con le informazioni richieste (115) alla cancelleria (116) che apre un fascicolo che viene poi assegnato a una delle sezioni. In questa fase preliminare, fondamentale è l'apporto del non-judicial rapporteur, il referente incaricato del ricorso che intrattiene una relazione quasi diretta con il ricorrente e lo Stato convenuto: costui, dotato di conoscenze sul sistema giuridico dello Stato parte in causa e delle rilevanti competenze linguistiche, opera una scrematura dei ricorsi effettivamente espressivi di violazioni della Convenzione o meno. È possibile che in questa fase si richiedano ulteriori informazioni o precisazioni in merito a singoli aspetti del ricorso o in merito a condizioni di ammissibilità, le quali se non dovessero giungere o dovessero pervenire oltre il tempo massimo indicato vanno a determinare la distruzione del fascicolo.

Il relatore è chiamato ad effettuare una delibazione sommaria dell'istanza: ad esempio, a fronte di un ricorso ritenuto manifestamente inammissibile, lo invierà, secondo il disegno del Protocollo n. 14, ad un giudice singolo (diverso dal giudice dello Stato parte in causa), il quale è infatti competente a dichiarare i ricorsi irricevibili nel momento in cui la decisione può essere presa senza ulteriori accertamenti. Infatti ove il giudice "monocratico" concordi con la valutazione effettuata dal relatore, questi dichiara il caso inammissibile e si ha il termine della vicenda processuale; in caso contrario, il giudice è tenuto ad inviare il fascicolo ad un Comitato o a una Camera, a seconda delle questioni ivi sollevate.

Il relatore può invece ritenere sussistente l'ammissibilità del ricorso e, logicamente, di una violazione della Convenzione: in questo caso, se l'istanza va a pescare in un ambito in cui troviamo giurisprudenza consolidata della Corte che offra soluzione immediata al caso, questa deve essere inviata ad un comitato (117). A questo punto, le possibilità sono tre: il comitato, divergendo dal relatore, dichiara all'unanimità il ricorso inammissibile, cancella la causa dal ruolo e la vicenda processuale termina, ovvero, nel caso in cui valuti ammissibile il caso, affronta congiuntamente il merito della questione. Tuttavia, è possibile che tale unanimità non sia raggiunta e allora si adisce una Camera. Nell'ipotesi in cui il Comitato ritenga che il ricorso sollevi una questione nuova rispetto alla passata giurisprudenza della Corte e che non sia dunque di immediata soluzione, si adisce ovviamente una Camera (118). L'istanza viene esaminata da questa che, nell'adottare la decisione, vota a maggioranza semplice, allegando eventuali opinioni dissenzienti e concorrenti.

Una funzione di raccordo quasi nomofilattico tra la giurisprudenza delle varie Camere è svolta dalla cancelleria che ha il dovere di avvertire se vi è il rischio di un conflitto di decisioni rese da Camere diverse.

La decisione di una Camera diviene definitiva dopo tre mesi, in mancanza di richiesta di riesame delle partes alla Grande Camera. Nel sistema convenzionale non esiste un diritto all'appello, tuttavia, su richiesta di parte e previa valutazione di un collegio di cinque giudici, quei ricorsi i quali sollevino gravi problemi di interpretazione o applicazione della Convenzione o i quali sollevino una questione di importanza generale, possono andare incontro al riesame da parte della Grande Camera: ad esempio casi in cui l'adozione di una determinata decisione da parte di Strasburgo renda necessario un cambiamento sostanziale della legislazione dello Stato convenuto o di una sua prassi amministrativa; casi in cui si reputi opportuno dare luogo a overruling o consistenti cambiamenti della giurisprudenza europea ed infine casi concernenti questioni aventi carattere politico (119).

La sentenza della Grande Camera è definitiva e riguarda tutto il caso, non solo la singola questione oggetto di riesame: siamo di fronte a quello che noi chiameremo un effetto devolutivo. La regola di votazione è la stessa della Camera.

Al di là della competenza di riesame però, la Grande Camera ha anche una competenza di primo "grado" sua propria: in ogni momento del procedimento dinanzi alla Camera infatti, ove si ritenga che la questione oggetto di esame sollevi gravi problemi di interpretazione del sistema CEDU o se la sua soluzione rischia di dar luogo a un contrasto con una sentenza anteriormente pronunciata dalla Corte, è possibile rimettere la questione alla Grande Camera con il consenso di entrambe le parti in causa (120).

5. La Corte europea dei diritti dell'uomo, Demiurgo della CEDU

L'impatto della Convenzione europea dei diritti dell'uomo sugli ordinamenti giuridici degli Stati Membri non può che essere definito dirompente: il 'diritto convenzionale' è penetrato diffusamente in tali ordinamenti, vera e propria causa efficiente di rivoluzioni in campi vari e disparati (121). Il potere legislativo adatta il diritto interno alle esigenze messe in luce dalla Corte europea; l'Esecutivo modifica prassi ed emana normativa regolamentare conforme a Convenzione e, infine, i giudici nazionali modificano i propri orientamenti su questioni inerenti i diritti umani, in modo da tenere conto delle evoluzioni della Convenzione. È bene sottolineare, come è intuibile da queste sintetiche affermazioni, che ciò che ha effettivamente impatto negli ordinamenti giuridici dei numerosi Stati aderenti alla CEDU non è, semplicemente e di per sé, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, bensì la giurisprudenza della Corte di Strasburgo: constatazione, quest'ultima, densa di implicazioni teoriche e pratiche.

L'istituzione di un organismo giurisdizionale (122), avente lo specifico compito di valutare il rispetto dei diritti convenzionalmente previsti da parte degli Stati, ha infatti prodotto come inevitabile conseguenza l'inveramento dell'idea che la Corte sia l'interprete autentico del dettato convenzionale, ammantando di auctoritas la sua lettura della Convenzione (123).

L'autorevole opera interpretativa del Giudice europeo ha dato vita a un vero e proprio approfondimento del testo CEDU, il quale insiste su un ambito prima facie circoscritto a una manciata di diritti fondamentali civili e politici, cui si sono progressivamente aggiunti altri diritti per il tramite protocollare. Il testo del trattato è però composto da norme generiche e tendenzialmente di ampio respiro, le quali sono servite da base formale per "enunciare diritti che scaturiscono dall'interpretazione giudiziaria" (124): la giurisprudenza di Strasburgo ha infatti riempito le disposizioni CEDU di contenuti nuovi e le ha progressivamente allineate ai mutamenti sociali dell'Europa (125). La Corte europea ha affermato sin da subito che i propri giudizi non servono solo a decidere i casi che le pendono davanti, ma anche e soprattutto a chiarificare, salvaguardare e sviluppare le norme della Convenzione, contribuendo così al rispetto degli obblighi assunti dagli Stati Membri nel momento in cui hanno sottoscritto tale trattato internazionale (126).

Il modus operandi della Corte è infatti incentrato, peraltro sin dall'inizio dell'attività di questa, su un'interpretazione dei diritti convenzionali evolutiva e dinamica (127), ed essa è attenta a valorizzare i mutamenti sociali, culturali e giuridici che prendono piede nel bacino europeo: questo perché la Convenzione è uno strumento redatto al presente, da applicare alla luce delle condizioni attuali (128) e in modo da consentire che gli individui esercitino i propri diritti in modo concreto ed effettivo (129). Per contro, sintomatica del modo di agire della Corte di Strasburgo e, al contempo, vero e proprio contralto a tali metodologie interpretative estensive, è la teoria del margine di apprezzamento (130). Attraverso tale tecnica interpretativa, viene ritagliato per gli Stati Membri un 'margine di manovra' più ampio relativamente all'adempimento delle obbligazioni che scaturiscono dalla Convenzione. La CEDU è infatti strumento realistico poiché prevede, tipizzandole, alcune limitazioni ai diritti umani, sia in generale che nello specifico (131): con alcune circoscritte eccezioni, i diritti, pur se fondamentali e inerenti ad ogni persona umana, non hanno una dimensione assoluta che consente il loro esercizio nel tempo e nello spazio senza alcun limite. Ed è a questo proposito, in merito alle limitazioni ai diritti, che si innesta appunto il concetto di margine di apprezzamento: la better position in cui determinare il preferibile assetto degli interessi conflittuali in gioco è, secondo la Corte, il singolo livello nazionale, fermo restando un ruolo di supervisione sussidiaria della Corte in merito a tali scelte (132). Il contemperamento tra diritti di segno opposto non è infatti operazione tecnica né, soprattutto, univoca: la scelta tra i vari possibili bilanciamenti degli interessi, siano essi legislativi o giudiziari, è indicativa di precise opzioni ideologiche e dunque riflette le identità nazionali dei singoli Stati. Il concetto giurisprudenziale di margine di apprezzamento, citando Rozakis, nel concreto opera "come veicolo di controllo sull'operato del giudice, limitando su certi problemi l'ampiezza dell'intervento della corte ad un mero controllo 'esterno' di compatibilità di atti nazionali con la Convenzione" ed è dunque un vero e proprio "limite a questa capacità altrimenti illimitata" di "innovare lo strumento convenzionale di riferimento" (133).

Il modo con cui la Corte EDU ha dato vita alla opera di riscrittura del catalogo convenzionale si muove quindi tra i due estremi del judicial activism, caratterizzante le scelte interpretative più audaci e estensive, e del judicial self restraint, di cui sublime manifestazione è la teorizzazione della dottrina del margine di apprezzamento; modo che sembra concretizzare un susseguirsi di atti di realpolitik nel campo dei diritti umani in Europa.

Ci sono poi anche ulteriori opzioni della Corte che militano a favore della progressiva valorizzazione della sua stessa giurisprudenza, come ad esempio il riconoscimento giurisprudenziale del 'peso specifico' dei propri precedenti interpretativi. Nella sentenza Chapman c. Regno Unito, pur ribadendo che formalmente la Corte di Strasburgo non è assolutamente vincolata dalle proprie pronunce anteriori, si afferma che è nell'interesse alla sicurezza giuridica, alla prevedibilità e uguaglianza davanti alla legge che la Corte EDU non si distacchi senza una ragione apprezzabile dai propri precedenti (134). Il riferimento al precedente (135) è sintomatico di per sé di una tendenza della Corte ad andare oltre la dimensione concreta dell'individual justice, arrivando a positivizzare all'interno della propria giurisprudenza principî di portata più generale, astrattamente idonei a fornire soluzioni stabili a questioni di diritto. Tendenza che appare rafforzata dalla circostanza per cui ormai la Corte EDU dà luogo ai revirement giurisprudenziali nella formazione di Grande Camera, con ampie motivazioni (136). L'idea stessa di precedente dà conferma "dell'autorità dell'interpretazione della Convenzione fatta dalla Corte e traduce in termini giuridici il fatto che la giurisprudenza della Corte si ponga come un tutt'uno con la Convenzione" (137). La conseguenza è dunque che il significato delle disposizioni convenzionali è creato dalle interpretazioni sviluppate nella giurisprudenza della Corte e che, di conseguenza, gli Stati sono tenuti, su di un piano sostanziale, a conformarsi alle previsioni della Convenzione così come interpretate dalla Corte.

Nelle parole di Vladimiro Zagrebelsky, alla Corte di Strasburgo e al suo operato "si adatta la definizione secondo la quale il diritto è quello che diranno i giudici" poiché essa "dice ora ciò che dirà anche in seguito nei casi simili; essa annuncia il diritto e rende così prevedibile e ragionevolmente certo il diritto della Convenzione" (138).

In definitiva, la Corte, ponendosi come centro di produzione normativa europeo dei diritti dell'uomo, ha distillato in via interpretativa dalla Convenzione un "diritto comune delle libertà in Europa" che si va ad innestare nei singoli ordinamenti nazionali, accelerando una convergenza degli stessi e rendendo manifesta la tendenza verso l'erosione del principio del monopolio statale nella regolamentazione e attuazione dei diritti dell'uomo.

5.1. La CEDU così come interpretata dalla Corte europea di Strasburgo

Con l'avanzare dell'approfondimento del testo convenzionale si è dunque prodotta una scissione tra il piano statico -il testo della Convenzione come espressivo di alcuni diritti fondamentali rispetto ai quali non sono ammesse violazioni ingiustificate nei singoli Stati Membri- e il piano dinamico o sostanziale - il diritto vivente e le indicazioni specifiche e attualizzate che esso fornisce in punto di tutela dei diritti umani -. Attualmente, la valorizzazione dell'interpretazione europea del dettato convenzionale ha ormai raggiunto il suo acme e gli stessi membri del collegio giudicante internazionale affermano che il processo di applicazione della Convenzione negli ordinamenti degli Stati Membri si è sostanzialmente trasformato nel processo di applicazione della giurisprudenza della Corte europea (139). L'integrazione del parametro convenzionale con la propria giurisprudenza è ormai considerata indispensabile dalla Corte EDU, al punto di ritenere "inconcepibile da parte dei giudici nazionali una interpretazione del dettato convenzionale che non tenga conto del significato che ad essa è stato attribuito dall'approccio evolutivo della stessa Corte" (140).

La primazia interpretativa della Corte di Strasburgo non è però formalizzata, allo stato attuale, all'interno del testo convenzionale: è la giurisdizione europea che ha dato luogo ad un ampliamento dell'obbligo ex articolo 1 CEDU di garantire i diritti previsti in Convenzione, trasfigurandolo nell'obbligo di garantire tali diritti nella lettura datane dalla Corte.

Ex parte CEDU, tra le pronunce che affermano il valore normativo della Convenzione "così come interpretata dalla Corte", particolarmente incisiva è la decisione di ammissibilità del caso Scordino e altri c. Italia (141). In tale decisione, che riguarda l'ammissibilità del ricorso alla luce del criterio del previo esaurimento dei rimedi interni, la Corte EDU effettua infatti delle affermazioni che vanno ben oltre la singola vicenda concreta (142). Questa pronuncia è dunque exemplum da cui è agevole ricostruire le argomentazioni della Corte che hanno ufficializzato la metamorfosi del vincolo di fedeltà convenzionale - statico - in vincolo di fedeltà interpretativa alla giurisprudenza europea - dinamico -.

Nelle argomentazioni fatte proprie dai giudici europei, viene in primo luogo sottolineata la natura sussidiaria del meccanismo convenzionale, come discendente dal combinato degli articoli 35 e 13 CEDU, dedicati l'uno alla regola del previo esaurimento e l'altro alla necessità di allestire rimedi interni effettivi attraverso i quali poter dedurre eventuali violazioni dei diritti affermati dalla Convenzione. Sia per ragioni di rispetto della sovranità statale sia per ragioni di economia del meccanismo, il principio di sussidiarietà implica che le autorità nazionali debbano intervenire in prima battuta sulle violazioni dei diritti, essendo esse il luogo naturale e preferibile per porvi rimedio; la Corte europea, invece, deve intervenire in qualità di extrema ratio, a correggere le storture che non siano state rilevate e riscontrate a livello interno. Da una simile articolazione in due fasi del meccanismo emerge dunque prepotentemente il ruolo di "giudici comuni della Convenzione" proprio delle autorità giudiziarie nazionali, le quali sono chiamate a dare applicazione in maniera conforme alla CEDU alle normative interne che insistano nell'ambito dei diritti convenzionalmente previsti; parallelamente emerge anche il diverso ruolo di controllo e supervisione proprio del Giudice europeo, chiamato a verificare che l'interpretazione nazionale sia conforme ai principî convenzionali. Principî convenzionali i quali sono nient'altro che la lettura interpretativa della Convenzione fornita dalla Corte: pertanto il diritto vivente è parte integrante del dettato convenzionale che deve essere preso in considerazione dal judicial review europeo, e non mero orpello casistico da cui è possibile prescindere (143).

Rebus sic stantibus, è ragionevole affermare che il perno che legittima concettualmente l'argomentazione della Corte di Strasburgo e che la avvalora, è proprio il modo in cui la stessa dà luogo all'interpretazione della Convenzione europea, di quel living instrument che, a torto o ragione, fa da specchio all'evoluzione socio-culturale della Grande Europa.

Nel momento in cui si afferma che la Convenzione è uno strumento vivente, e che vive nell'interpretazione che di essa dà la Corte di Strasburgo, il sillogismo giudiziario con cui si designa la giurisprudenza europea come vera e propria appendice imprescindibile del testo convenzionale acquista autorevolezza e nuova linfa: discostarsi dall'interpretazione della Corte EDU significa, niente meno, che violare la Convenzione.

Anche se non esiste un formale obbligo di soggiacere all'interpretazione della Corte, questo prende vita nel momento in cui la Corte europea statuisce che il parametro seguito nell'eseguire il proprio compito di controllo del rispetto della convenzione è un parametro così ampliato ed integrato. Se gli Stati Membri (rectius: i loro agenti, nel caso concreto i giudici nazionali) si discostano dall'interpretazione autorevole della Corte europea, il riverbero delle conseguenze può infatti essere nefasto: esauriti i rimedi interni accessibili ed adeguati (144), il ricorrente ha titolo per adire il Giudice europeo ed ottenere una sentenza di condanna, poiché la Convenzione non è applicata così come interpretata dalla Corte europea. L'effetto a catena delle violazioni e delle relative sentenze di condanna può dunque essere eliminato solo conformandosi giocoforza alla giurisprudenza europea sulla singola questione (145). Quanto più i giudici nazionali si dimostrano restii ed insensibili all'evoluzione giurisprudenziale di Strasburgo, tanto più il loro paese andrà incontro a conseguenze sul piano internazionale e, concretamente, il loro ruolo di giudici europei decentrati verrà adombrato in conseguenza dei necessari interventi della Corte europea, che si vedrà costretta ad abbandonare il proprio ruolo di custode secondario dei diritti garantiti in Convenzione (146).

Anche se costituisce un dato ormai comunemente accettato, questa vera e propria egemonia interpretativa del testo convenzionale, che la Corte di Strasburgo si è ritagliata e che gli altri attori istituzionali del proscenio europeo hanno avallato e confermato, incrina "certezze che sembravano inamovibili" e solleva "una serie di interrogativi di non facile soluzione" (147) a causa del valore de facto vincolante attribuito alla giurisprudenza europea negli ordinamenti nazionali. Tuttavia, la situazione attuale non sembra essere reversibile come dimostrano sia il protocollo n. 16 alla Convenzione europea, sia la formalizzazione dei rapporti tra il sistema della Grande Europa e della Piccola Europa.

Per quanto riguarda il protocollo n. 16 (148), questo, pur ancora aperto alle firme e alle ratifiche degli Stati Membri, contiene quella che può essere definita come la formale ratifica da parte degli Stati aderenti alla CEDU della primazia interpretativa della Corte europea in materia di diritti fondamentali. Tale protocollo intende infatti introdurre nel sistema convenzionale un meccanismo di rinvio pregiudiziale alla Corte EDU, incentivando il dialogo tra i livelli giudiziari nazionali e convenzionale e permettendo la formalizzazione del raccordo tra i distinti ordinamenti (149). In linea generale, i singoli Stati Membri sono lasciati liberi di decidere quali istanze giurisdizionali nazionali avranno la facoltà di richiedere pareri consultivi alla Corte europea di Strasburgo in merito a questioni di applicazione e interpretazione di normativa che insiste nell'ambito convenzionale. Anche se formalmente, come specificato all'articolo 5 del protocollo n. 16, le advisory opinions rese dal Giudice europeo non avranno carattere vincolante si deve ricordare che, ove un parere consultivo fosse richiesto dall'istanza giudiziaria nazionale e poi, una volta reso, disatteso nel giudizio a quo, l'individuo insoddisfatto ha davanti a sé la possibilità di esercitare il proprio diritto di ricorso individuale a fronte del giudice internazionale.

La primazia interpretativa della Corte di Strasburgo ha del resto ricevuto un avallo precedente ed esogeno al sistema, proveniente infatti dall'Unione europea, nell'ambito della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, il Bill of Rights della Piccola Europa a ventisette. Prendendo atto della complessità del sistema europeo di tutela dei diritti umani e delle intersecazioni inevitabili tra Carte e Corti che vengono a crearsi, il documento, datato (nella sua prima versione) 2004, dispone che la portata e il significato dei diritti del catalogo UE sono da equipararsi ai diritti corrispondenti del catalogo CEDU. Sorvolando temporaneamente (150) sul preciso significato della disposizione, invero piuttosto oscuro e foriero di spunti problematici, è degna di particolare attenzione la circostanza che nelle Spiegazioni allegate alla Carta dell'UE si specifica che il significato e la portata dei diritti CEDU sono determinati non solo dal testo convenzionale, ma anche e massimamente dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, avvalorando manifestamente l'idea per cui la Convenzione europea è documento che vive e assume pregnanza normativa così come interpretato dal proprio interprete autentico, ovvero la Corte EDU.

6. Tutela cautelare e ordinamento internazionale: le misure provvisorie

Il dispiegarsi di qualunque tipologia processuale, forma istituzionale della tutela giurisdizionale, si scontra con un dato naturalistico ineliminabile che ne costituisce vero e proprio limite strutturale: il tempo. Ogni procedimento giurisdizionale cognitivo necessariamente si snoda in un arco temporale che può essere più o meno lungo: in certi casi è ben possibile che, nelle more del giudizio, si verifichino degli eventi idonei a vanificare l'effettività della tutela (151), punto di arrivo del ricorso alla giustizia.

È questa la cornice di riferimento delle riflessioni e degli studi su ciò che noi chiamiamo tutela cautelare: per neutralizzare simili eventualità, gli organi giurisdizionali sono normalmente dotati della facoltà di adottare specifici provvedimenti, di natura provvisoria e strumentali al procedimento principale, tesi ad assicurare che la pretesa del ricorrente non resti frustrata lungo il corso del giudizio.

L'eventualità che si verifichino tali pericula in mora non è certo sconosciuta all'ordinamento internazionale, soprattutto in considerazione del suo carattere anarchico (152); tuttavia, è necessario approfondire e considerare altresì l'ambientazione specifica della CEDU, un non comune trattato internazionale nelle parole dei suoi stessi interpreti, ovvero la protezione dei diritti fondamentali. Nel meccanismo in questione, diversamente dalla giustizia internazionale classica (153), il cuore della controversia è accertare se uno Stato abbia o meno violato i diritti umani di un individuo: così contestualizzato, il tema delle misure cautelari assume una pregnanza e una rilevanza ancora maggiori. Siffatte misure, infatti, hanno lo scopo precipuo di salvaguardare nelle more del procedimento davanti alla Corte EDU proprio quello zoccolo duro di diritti e libertà che gli Stati si sono impegnati a garantire e riconoscere alla generalità dei soggetti sottoposti alla propria giurisdizione: è possibile affermare dunque che la pervicacia e il concreto funzionamento della tutela cautelare nel nostro contesto costituisce un vero e proprio banco di prova per valutare l'effettività e la credibilità dell'intero sistema CEDU di tutela dei diritti fondamentali.

Questa dunque la linea concettuale da tenere presente nell'affrontare, brevemente, una questione a prima vista meramente procedurale, grettamente tecnica quasi, ma che in realtà dischiude uno dei cuori pulsanti del sistema di tutela convenzionale: nel prosieguo dell'analisi ci si soffermerà sui tratti fondamentali del sistema di misure provvisorie proprio del sistema convenzionale europeo (154).

6.1. Il fondamento giuridico del potere di adottare provvedimenti provvisori. Disciplina e casistica

La Convenzione europea non contiene al suo interno alcuna disposizione in relazione al tema delle misure provvisorie: nel testo convenzionale, tanto nella sua versione originale del 1950 che in quella attuale e diversamente dagli altri trattati internazionali che istituiscono meccanismi di tutela dei diritti umani (155), nulla è detto circa il potere di adottare simili provvedimenti; né alcuna menzione della tematica è fatta nei Travaux Preparatoires della CEDU (156).

Le ricostruzioni della dottrina in merito alla ragione di questa vera e propria lacuna convenzionale sono molteplici (157); tuttavia, ciò che costituisce dato certo e indiscutibile è che gli Stati europei nel secondo dopoguerra non fossero affatto inclini a realizzare cospicue cessioni di sovranità a favore degli organismi esterni di controllo, come mostra l'impianto originario della Convenzione. I compilatori convenzionali erano ben consapevoli del fatto che dotare l'istituenda Corte europea di un potere di ingiunzione - quale quello cautelare- nei confronti degli Stati membri avrebbe riscosso ben poco successo, ostacolando la realizzazione dell'obiettivo principale, ovvero l'approvazione del testo definitivo della Convenzione in tempi ragionevoli. La ratio del silenzio convenzionale in tema di misure cautelari così ricostruita sembra del resto perfettamente en pendant con le motivazioni che spinsero i conditores della CEDU ad espungere dal testo finale la previsione alla cui stregua la Corte EDU avrebbe potuto emanare sentenze di condanna, prescrivendo le specifiche misure che gli Stati condannati avrebbero dovuto adottare per dare esecuzione alle sentenze internazionali (158). Del resto, l'architettura convenzionale sarebbe stata del tutto asimmetrica se la Corte europea, nel corso del giudizio o anche prima della sua instaurazione, avesse potuto emanare provvedimenti cautelari vincolanti nei confronti dello Stato, per poi poter esclusivamente pronunciare una sentenza di mero accertamento della responsabilità internazionale dello stesso Stato (159).

In ogni caso, la via prescelta per ovviare a questo silenzio del sistema convenzionale in ambito cautelare fu quella di ricorrere agli strumenti di autonormazione degli organismi coinvolti nella procedura - dunque inizialmente la Corte EDU e, una volta che il sistema CEDU ebbe trovato quel minimo di legittimazione necessaria a garantirsi la sopravvivenza, anche la Commissione europea (160) -, inserendo nel corpo del proprio regolamento interno una disposizione che menzionasse la facoltà di indicare alle parti le misure provvisorie richieste dal caso.

Attualmente, il potere della Nouvelle Cour di adottare misure ad interim è previsto alla rule 39 del suo regolamento interno (161), il quale prevede che, nel corso del procedimento - nonché prima dell'instaurazione di esso -, il soggetto di volta in volta competente possa indicare, anche d'ufficio, le misure provvisorie la cui adozione è ritenuta necessaria nell'interesse delle parti o del corretto svolgimento della procedura. Dunque, l'attuale base giuridica sul punto non è riconducibile alla manifestazione di una unanime volontà degli Stati - si pensi alla possibilità, pure ventilata dal Comitato dei Ministri, di introdurla attraverso il canale protocollare di riforma del sistema - bensì ancora ad una fonte interna all'organo giurisdizionale di Strasburgo.

Questo tenue fondamento fornisce altresì ben poche indicazioni sulla disciplina delle misure in questione: questo non deve in realtà stupire poiché una certa fluidità nella regolamentazione del tema è richiesta dalla sua stessa natura, come dimostrano del resto anche le esperienze dei singoli ordinamenti nazionali. La Corte infatti ha massimamente sviluppato questi temi attraverso la propria giurisprudenza; solo nel 2009 quest'ambito è stato in parte razionalizzato con l'adozione, ad opera del Presidente Costa, delle istruzioni pratiche sulle misure ad interim, un documento che riordina le linee essenziali delle 'regole' vigenti elaborate in materia.

Venendo dunque all'analisi della disciplina e della casistica delle misure provvisorie in seno al sistema CEDU, queste sono definite dalla Corte EDU come quei provvedimenti d'urgenza che, in accordo alla prassi giurisprudenziale consolidata, vengono disposti ed applicati ove vi sia pericolo imminente di un danno irreparabile per uno dei core rights previsti in Convenzione (163).

Il riferimento al 'pericolo imminente di pregiudizio irreparabile' e al 'nucleo essenziale' dei diritti convenzionali va a circoscrivere l'ambito applicativo delle misure cautelari nel contesto CEDU che, infatti, come dimostra tanto l'esame della giurisprudenza CEDU quanto le Practice Directions, non è generalizzato. Di regola, la Corte EDU concede le misure ad interim ove il ricorrente lamenti il rischio di una lesione del diritto alla vita o di essere sottoposto a tortura, ovvero dei diritti convenzionalmente garantiti la cui violazione risulta concettualmente irreparabile, poiché sono difficilmente suscettibili di una compensazione alternativa una volta che la lesione si sia prodotta (164).

Oltre ai diritti previsti agli articoli 2 CEDU e 3 CEDU, inizialmente in via eccezionale, poi sempre più frequentemente, la Corte ha dato luogo alla concessione di misure cautelari in riferimento al rischio di violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare (165).

Venendo poi ai presupposti necessari per la concessione di una misura interinale, questi, conformemente alle indicazioni generali, devono essere individuati nei due requisiti del periculum in mora, che nel caso di specie è rappresentato dal pericolo imminente di un danno irreparabile per il richiedente, nonché del fumus boni iuris, che pur non essendo espressamente menzionato nella definizione sopra riportata, può agevolmente ricavarsi dalla circostanza per cui la Corte, nel concedere o meno la misura, dà luogo a una delibazione sommaria della parvenza della violazione del diritto invocato dal ricorrente in sede CEDU. Una condizione ulteriore e tipica, che risente dell'ambientazione della tutela cautelare nel peculiare contesto internazionale, è quella per cui, per ottenere la concessione di un provvedimento interinale dalla Corte di Strasburgo, è richiesto il previo esaurimento dei "rimedi" interni predisposti all'uopo: nei fatti la violazione in atto non può essere paralizzata altrimenti in sede nazionale.

Per quanto riguarda invece il profilo dell'attivazione della domanda di misure provvisorie, l'avvio di questo sub-procedimento può avvenire tanto d'ufficio - circostanza in pratica eccezionale- che su istanza di parte: in quest'ultima ipotesi la facoltà compete sia alle parti del processo instaurato davanti alla Corte, siano esse ricorrenti o resistenti, nonché, per espressa menzione della citata rule 39, a qualunque altra persona interessata. Si ricordi inoltre che la richiesta può essere effettuata sia nel corso del procedimento, in ogni sua fase, che prima della sua formale instaurazione, come canonicamente avviene in tutte le discipline cautelari.

L'autorità competente al rilascio del provvedimento è il collegio giudicante volta volta competente sul ricorso principale ovvero, eccezionalmente, il Presidente di questo: la prassi della convalida, da parte del collegio, dei provvedimenti eventualmente emessi dal solo Presidente sembra tuttavia indicare che l'esercizio del potere in forma collegiale sia comunque privilegiato rispetto ad un intervento monocratico, circostanza avvalorata dalla littera della disposizione rilevante.

L'istanza di provvedimenti ad interim deve essere motivata approfonditamente (166): si devono menzionare gli elementi su cui il pericolo di danno irreparabile è fondato, la natura e la consistenza dello stesso e le disposizioni della Convenzione di cui si paventa la violazione; è necessaria inoltre una specifica documentazione a sostegno di tali elementi.

Le istanze vengono esaminate in via prioritaria; non è garantito alcun contraddittorio tra le parti; la misura può essere concessa per un tempo variabile, per tutta la durata del giudizio o più limitatamente; la revoca è comunque sempre possibile.

I provvedimenti di concessione o diniego di misure interinali non sono motivati e non sono suscettibili di riesame né di ricorso; la Corte comunque invia una lettera standardizzata con cui comunica l'accoglimento o meno della richiesta e, nel caso, quale tipologia di misure deve essere adottata; non sono previste forme di pubblicità per le decisioni di Strasburgo che vengono solo parzialmente segnalate nel rapporto annuale di attività delle varie sezioni della Corte.

Nella prassi, le misure provvisorie vengono prevalentemente impiegate al fine di sospendere provvedimenti di espulsione (167) o estradizione (168) verso Stati in cui vi siano fondati motivi di temere che i ricorrenti corrano il reale pericolo di essere uccisi, subire torture o altri trattamenti inumani e degradanti e dunque subire una violazione dei relativi diritti convenzionalmente garantiti (169). La Rule 39 viene anche impiegata per sospendere altre misure di respingimento alla frontiera o di trasferimento dalla giurisdizione di uno Stato contraente a quella di uno Stato 'a rischio di violazione convenzionale' (170); per bloccare il trasferimento dei ricorrenti verso uno Stato contraente ad opera del quale essi avrebbero corso il rischio di essere rimpatriati in violazione dell'articolo 3 CEDU (171); per sospendere l'esecuzione di condanne a morte (172).

Alcune tendenze espansive recenti sono andate nel senso di ricorrere alle misure provvisorie anche al fine di salvaguardare persone detenute in gravi condizioni di salute, richiedendone la scarcerazione immediata o il trasferimento in strutture adeguate (173). Per quanto riguarda l'applicazione rispetto all'articolo 8, definita nelle Practice Directions "eccezionale" ma nella prassi sempre più frequente, le misure cautelari intervengono al fine di bloccare provvedimenti di adozione o affidamento dei figli del ricorrente o per bloccare provvedimenti di allontanamento del ricorrente dal territorio dello Stato Membro, nell'ipotesi in cui il nucleo familiare di quest'ultimo sia radicato sul territorio (174).

6.2. Il revirement giurisprudenziale sull'efficacia delle misure provvisorie

L'efficacia delle misure provvisorie adottate a livello internazionale, e non solo nell'ambito della protezione dei diritti umani, è vera e propria vexata quaestio: si tratta infatti di stabilire se tali misure sono o meno produttive di effetti e dunque obbligatorie per gli Stati destinatari. Una simile valutazione, di per sé già densa di implicazioni sul piano dell'impatto sulla sovranità dello Stato coinvolto, assume una rilevanza ancora maggiore nel momento in cui manchi un forte fondamento giuridico del potere cautelare internazionale, come appunto nel caso CEDU.

Infatti, le prime soluzioni individuate dagli organi di Strasburgo a questa problematica risentivano indubbiamente della mancanza della previsione convenzionale in merito all'adozione di siffatti provvedimenti. L'iniziale strategia della rassicurazione, ineludibile fino a quando il meccanismo CEDU non si fosse consolidato in Europa, si riscontra anche in quest'ambito: dato che gli Stati membri non sembravano propensi ad accettare un ampliamento dei limitati poteri da loro attribuiti a Corte e Commissione, si impose come necessario da parte di quest'ultime un regime di self-restraint, sia nell'adozione di simili misure che sul piano della loro rilevanza giuridica. Nel primo corso di attività delle istituzioni CEDU, le misure ad interim furono infatti qualificate come non vincolanti nei confronti dei destinatari, come d'altronde suggeriva la stessa formulazione letterale delle disposizioni regolamentari adottate dai due organi (175). Indubbiamente, questa partenza in sordina riuscì nel suo intento di incontrare il favore degli Stati membri, i quali tendenzialmente si conformavano alle indicazioni provenienti da Strasburgo nei ricorsi che li vedevano coinvolti.

Tuttavia, questa scissione del piano formale, in cui le indicazioni provenienti da Corte e Commissione europea non avevano carattere obbligatorio per i destinatari, e del piano sostanziale, in cui si riscontrava una prassi nel senso di una esecuzione delle misure provvisorie indicate, con il passare del tempo andò esasperandosi, rendendo necessaria una riflessione generale sull'efficacia delle misure interinali CEDU (176).

Occasione di una simile riflessione fu la sentenza Cruz Varas e al. C. Svezia (177) in cui per la prima volta la Corte EDU, su impulso della Commissione, fu chiamata a valutare se il diniego delle autorità svedesi di dare seguito alla richiesta di sospensiva del provvedimento di espulsione nei confronti del ricorrente e della sua famiglia costituisse nel caso di specie violazione dell'(ex) articolo 25 CEDU, sul diritto a un ricorso (individuale) effettivo (178).

La sentenza in questione, tra l'altro non molto condivisa all'interno dello stesso collegio (179), statuì che l'inottemperanza della Svezia alla misura interinale richiesta dalla Commissione non comportasse alcuna responsabilità nel sistema convenzionale. In primo luogo, viene riaffermato, in ragione del fondamento giuridico, il carattere meramente facoltativo dei provvedimenti assunti ex rule 36 del regolamento della Commissione, negandosi la loro efficacia giuridica; una volta riaffermato ciò, si procede ad esaminare se, nel caso di specie, la mancata esecuzione del provvedimento non obbligatorio avesse determinato un ostacolo all'esercizio effettivo del diritto di ricorso di Cruz Varas davanti all'istanza internazionale. Riallacciandosi all'opinione dissenziente del commissario Sperduti, la Corte nega la possibilità di far discendere dall'articolo 25 CEDU l'obbligo per gli Stati di conformarsi alle misure indicate dalla Commissione, non potendo nascere da una simile previsione obblighi aggiuntivi rispetto a quelli esplicitati nel testo convenzionale. Inoltre, la Corte ribadisce che non solo non esiste una norma di diritto internazionale generale in merito alla vincolatività delle misure provvisorie adottate dai tribunali internazionali (180), ma altresì non poteva dirsi formata una norma consuetudinaria poiché se da un lato esisteva una prassi quasi uniforme in merito al rispetto delle indicazioni provenienti dalla Commissione da parte degli Stati membri, dall'altro mancava la opinio iuris, come dimostrato dalle reiterate raccomandazione a livello di Consiglio d'Europa sull'opportunità di conformarsi alle misure de qua (181).

La circostanza che lo Stato si fosse rifiutato di dare seguito ai provvedimenti indicati dalla Commissione poteva avere nel sistema solo il valore di "circostanza aggravante" nel momento in cui, una volta completata la procedura in sede CEDU, si fosse accertata la sussistenza della violazione invocata dal ricorrente.

Dopo il consolidamento di quest'orientamento, evento degno di rilievo è l'adozione del Protocollo n. 11: se neanche in questa sede si inserì il potere cautelare della Nouvelle Cour, tuttavia il nuovo quadro giuridico (in cui la competenza della Corte era obbligatoria e dunque il sistema completamente gurisdizionalizzato, il ricorso individuale generalizzato e potenziato nonché la circostanza formale dell'abolizione della Commissione cui la sentenza Cruz Varas c. Svezia faceva riferimento) conteneva indubbiamente degli spunti interessanti per un cambio di orientamento. Questo non avverrà che con il revirement giurisprudenziale del 2005, nel celebre caso Mamatkoulov e Askarov c. Turchia, quindi dopo vari anni di rodaggio del nuovo sistema di tutela delineato dal Protocollo n. 11, con cui si affermò l'efficacia giuridica delle misure provvisorie.

L'argomentazione fatta propria dai giudici europei si fonda innanzitutto sulle particolarità proprie del sistema CEDU, accentuate dalla riforma e anche sul diritto internazionale e la prassi seguita da altre corti e tribunali internazionali.

L'obbligo posto dall'articolo 34 CEDU implica infatti il divieto, per lo Stato coinvolto, di atti od omissioni che, andando ad incidere sull'oggetto del ricorso, lo ostacolino o, peggio, lo vanifichino.

Ed è qui che le misure provvisorie si inseriscono: queste hanno appunto lo scopo di preservare l'oggetto del ricorso dai rischi di pregiudizi irreparabili derivanti da atti od omissioni statali. Se ne deduce così una duplice funzione, tanto oggettiva, tesa a garantire un corretto funzionamento del meccanismo di tutela - le misure provvisorie permettono un esame del ricorso di cui la Corte è investita -, tanto soggettiva, tesa invece a dare una tutela effettiva al ricorrente - le misure provvisorie assicurano protezione al diritto del ricorrente pendente lite o, eventualmente, in limine litis - (182).

Nelle pronunce successive, di conferma del nuovo orientamento della natura vincolante delle misure, la Corte EDU ha precisato inoltre il rapporto intercorrente tra il mancato rispetto di queste e la violazione dell'articolo 34 CEDU, improntandola ad un automatismo: lo Stato che non si conformi alle indicazioni della Corte sulle misure infatti realizza, di fatto e in quel preciso momento, una grave compromissione dell'effettivo esercizio del diritto ad un ricorso individuale, prescindendo da un apprezzamento concreto sulle difficoltà incontrate dal ricorrente nel portare avanti il proprio ricorso individuale (183). L'unica possibilità per lo Stato di non ricadere entro l'ambito operativo di questa regola di responsabilità è individuata dalla Corte nell'ipotesi in cui l'esecuzione della misura indicata risulti impossibile per impedimenti oggettivi interni (184).

7. Gli effetti delle sentenze della Corte Europea e la loro esecuzione

L'architettura realizzata in Convenzione, relativamente alla fase di esecuzione delle sentenze della Corte ed agli effetti a queste ascrivibili, presenta dei significativi spostamenti rispetto all'ordinario baricentro delle altre istanze di tutela internazionale dei diritti umani. Le funzioni di accertamento dell'illecito, di scelta delle misure riparatorie della violazione e, infine, di supervisione sull'esecuzione di dette misure, risultano ripartite tra tre distinti attori istituzionali: la Corte EDU, lo Stato condannato e il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa.

La Corte europea, investita di un ricorso, dichiara sussistente una violazione dei diritti umani; lo Stato condannato, obbligato a conformarsi alle sentenze definitive di cui è destinatario, dà esecuzione alla sentenza; infine il Comitato dei Ministri controlla, attraverso consultazioni periodiche e scambi di informazioni, che lo Stato abbia dato seguito alla sentenza, eliminando la violazione e i suoi effetti (185). L'ordre publique europeo è ristorato.

Tuttavia le disposizioni rilevanti in materia - ovvero l'articolo 41 CEDU e l'articolo 46 CEDU - sono di per sé sufficienti a descrivere solo un quadro statico della fase esecutiva; al di là di queste, sono le prassi, specificative del disposto convenzionale, dei tre attori coinvolti a risultare decisive nella ricostruzione del tema in questione (186).

Tra queste si segnala in particolare la prassi giurisprudenziale della Corte che, soprattutto recentemente, ha determinato un cambiamento dell'equilibrio degli "esecutivi" nonché un superamento dell'affermato carattere dichiarativo delle sue pronunce. Ci riferiamo in particolare al trend pretorio della Corte EDU (suscettibile di essere definito come una manifestazione di vero e proprio judicial activism) di indicare sempre più spesso nel corpo delle proprie sentenze le misure individuali e/o generali necessarie per rimuovere l'accertato vulnus ai diritti umani e ripristinare così la convenzionalità nell'ordinamento interno dello Stato condannato (187).

7.1. L'azione della Corte europea in materia di misure di riparazione: l'iniziale approccio restrittivo

L'articolo 41 CEDU, unica disposizione del testo convenzionale in materia di conseguenze dell'illecito internazionale, dispone che "se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente non permette, se non in modo imperfetto, di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte può accordare, se del caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa". Tale articolo va affiancato a 46 CEDU, il quale invece prevede, tra le altre cose, che "le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti; la sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne controlla l'esecuzione" (188).

Il combinato di queste due sintetiche disposizioni è origine di un vero e proprio nodo gordiano di contrapposti orientamenti giurisprudenziali e ricostruzioni dottrinarie.

Da un'interpretazione storica dell'articolo 41, emerge innanzitutto il preciso intento dei compilatori di non introdurre in Convenzione il potere per la Corte Europea di indicare nel dispositivo della sentenza le misure riparatorie che lo Stato condannato avrebbe dovuto adottare per sanare la violazione riscontrata (189). L'ipotesi contraria, infatti, avrebbe permesso alla Corte di annullare normative interne ritenute in contrasto con gli obblighi convenzionali, esito cui gli Stati membri del Consiglio d'Europa erano tutt'altro che inclini.

In secondo luogo, il tenore letterale della disposizione in questione echeggia clausole di alcuni trattati internazionali di arbitrato di epoca anteriore (190), le quali andavano a realizzare una deroga al diritto internazionale generale vigente, rimettendo all'apprezzamento degli organi internazionali la definizione di riparazione nelle ipotesi in cui una restitutio in integrum risultasse impossibile (191).

Scientemente o meno, ciò che è certo è che la Corte di Strasburgo procedette con grande cautela per gran parte della sua vita istituzionale circa l'indicazione delle misure di riparazione agli Stati condannati, dichiarandosi reiteratamente incompetente a richiedere l'adozione da parte degli Stati di misure diverse dal risarcimento monetario e rigettandole, ove proposte, ancorché mai sulla base di argomentazioni specifiche (192). La base logica di questa impostazione restrittiva affondava le radici nelle interpretazioni storico-letterali sopra ricordate che si concretizzavano nella "efficacia meramente dichiarativa" delle sentenze della Corte europea (193). L'unica possibilità che residuava per quest'ultima era quella di disporre un'equa soddisfazione per la parte vittoriosa che l'avesse richiesta, ove non fosse possibile per ostacoli interni dare luogo a una restitutio in pristinum: questa poteva consistere sia nella semplice constatazione dell'avvenuta violazione o, più frequentemente, nella corresponsione di un risarcimento monetario comprendente i danni morali, materiali e le spese legali sostenute (194).

Questa impostazione subì non solo le critiche della dottrina ma anche critiche endogene da parte degli stessi giudici, come emerge da alcune opinioni dissenzienti in quei casi in cui il ricorrente aveva richiesto che la Corte indicasse specifiche misure per la soddisfazione del proprio interesse (195). La credibilità del sistema risultava infatti a rischio nel momento in cui, nel solco dell'impostazione seguita dalla Corte, per uno Stato membro fosse stato possibile, solo invocando ostacoli di ordine e natura interni e in assenza di un controllo effettivo, liberarsi dall'obbligo riparatorio limitandosi a corrispondere un risarcimento. Trascurare che la riparazione specifica costituisce e deve costituire un prius rispetto alla riparazione per equivalente, considerare cioè il risarcimento monetario del tutto equivalente alla restitutio in pristinum, conduceva ad un esito paradossale: il sistema europeo di garanzia dei diritti umani avallava ed accettava non solo una monetarizzazione dei diritti, ma anche - si pensi alle ipotesi di illeciti continuati come le detenzioni arbitrarie - il protrarsi di situazioni di violazione del common core dei diritti umani.

Un'apertura timida della Corte può riscontrarsi a partire dalla seconda metà degli Anni Novanta e, significativamente, relativamente a ipotesi di violazione dell'unico diritto a "contenuto economico" presente nel sistema convenzionale, ovvero il diritto di "proprietà" di cui al Protocollo n. 1. Nel celebre caso Papamichalopoulos e altri c. Grecia (196), in seguito all'interferenza dello Stato greco nel diritto di proprietà del ricorrente, la Corte affermò che migliore forma di riparazione dell'illecito fosse la restituzione del bene. Tuttavia, il valore di quest'affermazione si risolse in un nulla di fatto poiché, nel prosieguo dell'iter argomentativo della sentenza, si sancì che il risarcimento per equivalente fosse misura altrettanto valida e sostanzialmente fungibile alla tutela specifica, spingendosi fino a fare i 'conti in tasca' al ricorrente e a quantificare il quantum debeatur (197). Secondo questo nuovo orientamento, dunque, la riparazione specifica era semplicemente definita come la forma migliore e preferibile di riparazione, ma lo Stato conservava la possibilità di adempiere all'obbligo di riparazione attraverso la corresponsione di un risarcimento: in questo modo si finiva per configurare un vantaggio per lo Stato, che poteva esentarsi facilmente dal dovere primario della restitutio. L'orientamento della Corte, dunque, anche se sintomatico di una volontà di scalfire lo status quo in materia di misure di riparazione, ebbe forse degli esiti quasi peggiorativi rispetto alla precedente posizione giurisprudenziale, poiché finì per enunciare in termini di 'obbligazione alternativa' la possibilità per lo Stato di liberarsi dalle obbligazioni scaturenti dall'illecito internazionale: o restitutio in integrum o risarcimento monetario, essendo le due vie presentate come del tutto fungibili e perfettamente equivalenti tra loro.

La pronuncia a partire dalla quale si prepara il terreno per la futura svolta di Broniowski c. Polonia e che costituisce un salto ulteriore nell'evoluzione della giurisprudenza di Strasburgo, è indubbiamente l'emblematico caso Scozzari e Giunta contro Italia (198). In tale pronuncia, sotto il profilo dell'articolo 41 CEDU, la Corte mise un punto fermo affermando che l'equa soddisfazione non costituisce l'unico rimedio cui lo Stato membro condannato può ricorrere per adempiere al proprio dovere di conformazione alle sentenze europee. Oltre al versamento delle somme a tale titolo, infatti, lo Stato deve scegliere sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure individuali o eventualmente generali da adottare allo scopo di far cessare sia la violazione sia, nei limiti delle umane possibilità, le conseguenze della violazione. Il diretto precipitato della sentenza è che per adempiere all'obbligo dell'articolo 46 CEDU non è sufficiente il versamento di un indennizzo: lo Stato dunque dovrà anche decidere quali misure risultino opportune nel caso di specie e ristorare la conformità a Convenzione del proprio ordinamento, sotto l'egida del Comitato dei Ministri chiamato a valutarne l'idoneità.

7.2. L'evoluzione della prassi della Corte Europea: la diretta indicazione di misure individuali e generali

Il mutamento di registro giurisprudenziale determinante il cambiamento dei rapporti verticali - Stati Membri e Corte EDU - e dei rapporti orizzontali - Corte EDU e Comitato dei Ministri - è riscontrabile a partire dai primi Anni Duemila in tutta una serie di pronunce in cui si ribadisce la necessità che, a seconda delle circostanze, gli Stati parti del giudizio debbano dare luogo all'adozione di misure individuali o anche generali.

In limine, è necessario premettere che il tema delle misure individuali e generali, indicate direttamente dalla Corte di Strasburgo, è strettamente interconnesso al profilo materiale e concreto della natura e del carattere della singola violazione che, attraverso il ricorso CEDU, viene portata all'attenzione del collegio giudicante europeo. Naturalmente la tipologia di violazioni deducibili è la più varia: le storture convenzionali possono essere episodiche, accidentali e isolate, vere e proprie disfunzioni; oppure possono sussistere violazioni che hanno origine nell'esistenza "di un 'problema sistemico' all'interno dell'ordinamento statale", cioè in "un difetto, un'imperfezione, un malfunzionamento, una 'falla' del sistema giuridico interno nel suo complesso" (199). In quest'ultima tipologia rientrano quelle ipotesi in cui le violazioni derivano, ad esempio, dall'applicazione di una legge nazionale oppure dall'assenza di una legge nazionale nonché dall'interpretazione offertane dai giudici del singolo Stato Membro (200). Evidente è che a seconda della fenomenologia della violazione, ne cambiano gli effetti e le conseguenze sul piano generale: le misure specifiche aventi carattere individuale saranno utili a tamponare le violazione della CEDU eccezionali ed episodiche, impedendo la prosecuzione dell'illecito e ripristinando lo status quo ante; le misure specifiche aventi carattere generale saranno invece idonee ad intervenire sul lungo periodo e, soprattutto, ad impedire la ripetizione di illeciti similari.

Venendo dunque alle misure individuali, la Corte EDU si spinge oramai con frequenza ad indicarle agli Stati, soprattutto a fronte di illeciti a carattere continuato. In queste ipotesi infatti, le misure individuali diverse dal risarcimento vengono indicate puntualmente poiché sono le uniche che consentano la soddisfazione del ricorrente e che, al contempo, sono idonee sia a porre fine alla violazione del diritto de qua, sia a determinare la restitutio in integrum. Lalogica su cui si fonda il ragionamento (che realizza una cospicua erosione della discrezionalità degli Stati in merito alla scelta dei mezzi con cui eseguire gli obblighi internazionali (201)) è dunque a ben vedere una 'logica del caso particolare': la Corte fa leva infatti non su una generica attribuzione in Convenzione del potere di adottare sentenze a contenuto ordinatorio, bensì sulle circostanze del caso specifico che impongono l'adozione di quella misura, non residuando in concreto nessun'altra possibilità di conformarsi al portato convenzionale.

Questo, ad esempio, è quanto successo nel caso Assanidze c. Georgia (202) in cui la Corte, pur ribadendo sul piano astratto l'efficacia dichiarativa delle proprie sentenze e la sussistenza di un'autonomia per gli Stati in merito all'esecuzione di quest'ultime, rileva come sul piano concreto nel caso del ricorrente che continuava ad essere arbitrariamente detenuto nonostante l'intervento nei suoi confronti di una grazia presidenziale, non sussistesse alcun margine di discrezionalità per lo Stato georgiano al di fuori dell'immediata scarcerazione. Di qui l'inserimento nella sentenza, e in terminologia vincolante, dell'ordine di scarcerazione del ricorrente.

Il caso Assanidze non è stata ipotesi isolata (203): tuttavia, è la Corte stessa a qualificare il nuovo potere come discrezionale ed eccezionale (204) in modo tale da rendere anche difficile una razionalizzazione delle condizioni di utilizzo dell'istituto, non risultando a questo proposito vincolante la domanda delle parti in tal senso (205).

Tra le ipotesi di misure individuali indicate frequentemente (spesso nella motivazione della sentenza e a volte anche nel dispositivo) possiamo ricordare, oltre all'ipotesi classica della scarcerazione del ricorrente in caso di privazione della libertà illegittima, il miglioramento delle condizioni di detenzione volto ad assicurare le necessarie cure mediche in caso di violazione dell'articolo 3 CEDU (206), le misure tendenti a ristabilire i legami di figli e genitori naturali recisi arbitrariamente (207), le richieste di riaprire procedimenti interni viziati o di dare luogo a nuovi processi ex art. 6 CEDU (208).

Per quanto riguarda invece il diverso ambito delle misure a carattere generale indicate direttamente dalla Corte, come detto sopra, queste assumono una specifica rilevanza rispetto ai problemi strutturali degli Stati membri che, in quanto tali, valgono a determinare violazioni sistematiche del complesso convenzionale, producendo una pluralità di ricorsi seriali. In queste ipotesi, all'imprescindibile scopo di porre fine alla violazione e di ripararne le conseguenze dannose, si accompagna l'obiettivo di eliminare i deficit strutturali degli ordinamenti, evitando così la ripetizione degli illeciti in fattispecie analoghe e altresì alleviando il sovraccarico 'dibattimentale' della stessa Corte europea.

Questo nuovo sviluppo della Corte in realtà non è ascrivibile esclusivamente a un'iniziativa di attivismo giudiziario: il sostrato del nuovo corso giurisprudenziale è rappresentato da alcune risoluzioni del Comitato dei Ministri, in cui si invitava la Corte europea, nelle situazioni di violazione strutturale, sempre più frequenti in seguito all'allargamento ad Est dei Paesi Membri - ma che si manifestano anche negli ordinamenti degli anziani membri occidentali -, a individuare nel corpo delle proprie sentenze il problema ordinamentale e la sua fonte (209). Tale posizione del Comitato dei Ministri deve ricondursi alle difficoltà oggettive riscontrate nell'esercizio delle funzioni di controllo sugli Stati Membri: molto spesso infatti, a fronte dell'esigenza dell'adozione di misure ulteriori rispetto alla corresponsione del risarcimento monetario e alla perdurante inazione statale, gli strumenti a disposizione dell'organismo ministeriale risultavano ineffettivi ed inefficaci (210).

L'invito contenuto nella Risoluzione ministeriale è stato raccolto dalla Corte nella sentenza Broniowski c. Polonia del 2004 (211), con cui è stata introdotta nel sistema una particolare forma di trattazione dei casi di violazione seriale, la cosiddetta procedura della "sentenza pilota". La Grande Camera di Strasburgo non solo ha evidenziato la sussistenza di una problematica strutturale, ma altresì ha indicato direttamente nel corpo della sentenza le misure generali che lo Stato convenuto avrebbe dovuto adottare. In primo luogo, i giudici affermano che la violazione lamentata dal ricorrente trae origine da un "problema sistematico e strutturale", nel concreto il malfunzionamento di una legislazione polacca piuttosto vetusta sul diritto di proprietà. L'ombrello della legge, generale ed astratta, è ampio: un numero molto alto di cittadini polacchi versava nella stessa situazione lamentata da Broniowski e già i ricorsi seriali andavano moltiplicandosi presso Strasburgo (212). Nel prosieguo dell'argomentazione, ancora si ribadisce che "non compete in teoria alla Corte determinare le misure da adottarsi da parte dello Stato membro idonee a realizzare gli obblighi ex art. 46 CEDU", tuttavia, nel caso di specie "è indispensabile che la Polonia adotti al più presto misure di carattere generale in grado di prendere in considerazione gli interessi delle molte persone coinvolte" Le misure in questione devono dimostrarsi "risposta effettiva alle patologie sistemiche riscontrate, in modo da evitare un sovraccarico del contenzioso con una serie di ricorsi derivanti dalla medesima causa" (213). La Corte conclude con una spinta di paternalismo e una metaforica pacca sulla spalla allo Stato polacco stabilendo che "con l'obiettivo di assistere lo Stato contraente nell'adempimento degli obblighi ex art. 46 CEDU, la Corte ha anche pensato di indicare la tipologia di misure che potrebbero essere adottate al fine di mettere fine alla violazione sistematica prima identificata" (214).

Da questa pietra miliare in poi, la prassi di indicare nel corpo delle pronunce giurisdizionali le misure generali richieste allo Stato convenuto e la stessa procedura della sentenza pilota possono ormai dirsi consolidate, come dimostra sia l'introduzione della Rule 61 del regolamento della Corte, dedicata a tale procedura. A titolo di mero esempio, la Corte EDU ha a volte direttamente indicato allo Stato convenuto le modifiche puntuali alla legislazione nazionale che si rendevano necessarie al fine di restaurare la convenzionalità dell'ordinamento interno o la necessità di introdurre procedure interne idonee a garantire le pretese (convenzionali) dei ricorrenti (215). Il Giudice europeo dà indicazioni precise in merito agli obiettivi e le finalità che lo Stato parte in causa deve conseguire per ovviare alla falla dell'ordre publique europeo: tanto più le linee guida dettate dalla Corte saranno precise, tanto più il margine di discrezionalità nella scelta dei 'mezzi esecutivi' sarà eroso.

Anche solo a livello intuitivo, è possibile evincere che è questa la tipologia di misure che ha un maggior impatto sulla sovranità degli Stati Membri e sul tradizionale spazio di apprezzamento ad essi riservato nell'esecuzione delle sentenze della Corte nonché sulle specifiche funzioni attribuite al Comitato dei Ministri. In realtà però, il punto di maggior interesse è forse la manifestazione, di cui l'evoluzione su questa tematica è ennesima concretizzazione, della tendenza del meccanismo CEDU a travalicare la propria dimensione di istanza dedicata alla individual justice. L'indicazione di misure generali nelle ipotesi di violazione strutturale infatti "svincola l'ambito della decisione della Corte dai limiti che sono normalmente propri della procedura giudiziaria e la proietta nel vasto e indifferenziato campo della attività utile alla protezione dei diritti dell'uomo" (216).

7.2.1. Segue: la procedura della sentenza pilota

Il pilot-judgment inaugurato dalla Corte nella citata sentenza Broniowski c. Polonia è una procedura che ha la specifica funzione di consentire la trattazione dei 'ricorsi seriali', derivanti dalle violazioni strutturali della Convenzione ad opera degli Stati Membri, i quali sono una delle cause del congestionamento della funzionalità del sistema convenzionale (217). Lo sviluppo giurisprudenziale trova oggi espressa ratifica formale nella rule 61 del regolamento interno, introdotto il 21 febbraio 2011, nonché in una Information Note, reperibile sul sito istituzionale della Corte (218). In estrema sintesi, la procedura consiste nella decisione della Corte di trattare uno o più ricorsi in via prioritaria rispetto ad una pluralità di istanze seriali; nel dispositivo della sentenza indica allo Stato convenuto una soluzione di 'lungo periodo', ovvero misure generali idonee a risolvere ed estirpare tutte le violazioni seriali. L'obiettivo concretamente perseguito da tale 'sentenza-pilota' è dunque triplice: l'individuazione di una violazione nel singolo caso specifico; l'individuazione del problema sistemico radice della violazione; l'indicazione allo Stato Membro delle misure generali per eliminare tale problematica.

La Corte sceglie liberamente se addivenire o meno all'utilizzo di tale procedura; in ogni caso, le circostanze che rendono verosimile e legittimo darvi luogo sono il ricorrere di fatti, origine di un ricorso pendente, sintomatici dell'esistenza di un problema sistemico o di un'altra disfunzione simile, veri e propri danti causa di 'casi ripetitivi' sul punto. Come affermato nell'informativa, "the Court has used the procedure flexibly since it delivered the first pilot judgment in 2004; it is not every category of repetitive case that will be suitable for a pilot-judgment procedure and not every pilot judgment will lead to an adjournment of cases, especially where the systemic problem touches on the most fundamental rights of the person under the Convention" (219).

Per quanto riguarda il contenuto necessario della sentenza pilota, essa deve indicare la natura della disfunzione ordinamentale riscontrata e il tipo di misure riparatorie che lo Stato convenuto deve adottare. A tale fine, nel dispositivo della sentenza pilota viene indicato un termine per l'adozione delle suddette misure, calibrato sulla loro natura e sull'entità del problema strutturale, rinviando all'occorrenza l'esame degli altri ricorsi, già proposti o da proporsi (220). Se la Parte contraente interessata non si conforma al dispositivo della sentenza pilota nel termine indicato, la Corte, salvo decisione contraria, riprende l'esame dei ricorsi che sono stati rinviati.

Il vero e proprio ubi consistam della procedura è la facoltà di disporre tale sospensione o, secondo la stessa definizione atecnica dei giudici europei, il 'congelamento' dei ricorsi pendenti, volto a coniugare varie esigenze di carattere pratico quali sfoltire il carico pendente della Corte (evitando l'esame di ricorsi seriali) ed evitare reiterate condanne dello Stato, mettendolo in grado di sopperire al problema. Il 'congelamento' trova, secondo i giudici europei, un'ulteriore ratio che riguarda direttamente le esigenze degli individui i cui diritti si assumono violati: l'allestimento di rimedi interni e la sanatoria delle problematiche strutturali sono ovviamente obiettivi che, una volta raggiunti, rappresentano per i ricorrenti una soluzione più soddisfacente e più celere rispetto alla tutela che potrebbe essere ottenuta a livello europeo.

A questo proposito, tuttavia, solleva non pochi dubbi e perplessità l'impiego della procedura in questione relativamente a un caso di violazione di uno dei diritti appartenenti allo zoccolo duro convenzionale, ovvero il divieto di pene e trattamenti disumani o degradanti di cui all'articolo 3 CEDU, in particolare sotto il profilo delle condizioni detentive. Facendo un confronto tra le due sentenze pilota in materia, la Ananyev et al. c. Russia e la sen. Torreggiani e al. c. Italia, si nota che la corte, nella procedura contro la Russia, "having regard to the fundamental nature of the right protected by Article 3 of the Convention and the importance and urgency of complaints about inhuman or degrading treatment, [...] does not consider it appropriate to adjourn the examination of similar cases". L'argomentazione prosegue poi, "on the contrary, the Court observes that continuing to process all conditions-of-detention cases in a diligent manner will remind the respondent State on a regular basis of its obligations under the Convention and in particular those resulting from this judgment. Furthermore, as regards the applications that were lodged before the delivery of this judgment, the Court considers that it would be unfair if the applicants in such cases who had already suffered through periods of detention in allegedly inhuman or degrading conditions and, in the absence of an effective domestic remedy, sought relief in this Court, were compelled yet again to resubmit their grievances to the domestic authorities, be it on the grounds of a new remedy or otherwise" (221).

Nella sentenza relativa alla condanna dell'Italia per il trattamento riservato ai detenuti, invece, la Corte ha condannato lo Stato italiano a versare ai sette ricorrenti un risarcimento a titolo di equa soddisfazione, nonché il rimborso delle spese processuali e degli eventuali interessi, e ha rilevato la natura sistematica del sovraffollamento delle carceri italiane, chiamando l'Italia a realizzare riforme atte a rimuovere la violazione convenzionale in un anno dalla data in cui la sentenza risulti definitiva (222). In questo caso però si è dato luogo al 'congelamento' dei casi pendenti analoghi ai ricorsi che hanno originato il pilot-judgment (invero in numero maggiore rispetto a quelli proposti contro la Federazione Russa): una simile scelta ha permesso alla Corte di Strasburgo di tamponare temporaneamente il carico dei ricorsi pendenti contro l'Italia; mentre lo Stato italiano ha potuto evitare di incorrere in una condanna 'pesante' come quella per violazione dell'articolo 3 CEDU, attraverso la concessione del termine di un anno per introdurre le modifiche suggerite dalla Corte.

In questo caso, non sembra che la Corte EDU abbia considerato il fondamentale diritto dei ricorrenti a condizioni detentive rispettose della dignità umana - non inumane e non degradanti - come un ostacolo alla sospensione dell'esame dei ricorsi pendenti; e anzi, valutando positivamente gli sforzi del governo italiano - si allude all'adozione del decreto legge 26 giugno 2014 n.92 che ha novellato la legge 26 luglio 1975 n. 354 introducendo in particolare un rimedio a carattere risarcitorio per violazione dell'articolo 3 CEDU (art. 35 ter) (223) - una volta scaduto il termine per il congelamento, la Corte EDU ha dichiarato irricevibili una serie di ricorsi ex articolo 3 CEDU proposti da alcuni detenuti ristretti nelle carceri italiane. In due distinte decisioni del 25 settembre 2014, la Corte ha infatti giudicato all'unanimità non soddisfatta la condizione di ricevibilità del previo esaurimento dei rimedi interni, non avendo i ricorrenti naturalmente esperito i rimedi introdotti dal Legislatore italiano, in quanto avevano proposto i ricorsi a Strasburgo ben prima dell'introduzione dei nuovi rimedi (224).

La circostanza rilevata rivela uno squilibrio tra la vocazione paracostituzionale della Corte, particolarmente evidente nelle sentenze in cui si dà luogo all'indicazione di misure generali, e la sua vocazione naturale di giurisdizione dei diritti e delle libertà nei singoli casi concreti: nel caso di specie la Corte ha infatti sostanzialmente legittimato il perdurare nel tempo di uno stato di violazione dei diritti umani, senza considerare le situazioni concrete dei ricorrenti che le si erano rivolti in cerca di tutela. Soprattutto la Corte non sembra aver cercato un contemperamento tra tali esigenze di tutela e la 'Ragion di Stato', cioè sfoltire il proprio carico dibattimentale e concedere il tempo necessario allo Stato italiano per approntare delle riforme idonee a risolvere la situazione di sovraffollamento carcerario.

Note

1. "Il 4 novembre 1950, giorno, mese ed ano in cui i rappresentanti di quattordici stati componenti del Consiglio d'Europa, firmarono a Roma la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle Liberà fondamentali [...], sembra una data sommersa tra le tante ben più significative di cui è intessuta la storia del secolo breve, come talvolta si usa definire quello che è ormai alle nostre spalle, stretto com'è tra le colonne d'Ercole della prima guerra mondiale, che ne segna l'inizio, e il collasso dell'impero sovietico che ne marca la fine". A. Gardino Carli, Stati e Corte europea di Strasburgo nel sistema di protezione dei diritti dell'uomo. Profili processuali, Giuffrè Editore, Milano 2004, pag. 1.

"In order to undertand the issues facing the Court today, it is important first to examine the background to the formation of the Council of Europe and the drafting of the European Convention on Human Rights [...]" J.A. Sweeney, The European Court of Human Rights in the Post-Cold War Era. Universality in Transition, Routledge, London 2013, pag. 7.

2. Ex multis: A. Bultrini, La pluralità dei meccanismi di tutela dei diritti dell'uomo in Europa, Giappichelli, Torino 2004, pag. 1; A. Cassese, I diritti umani oggi, GLF editori Laterza, Bari 2013, pagg. 26 e ss.; A. Cardone, La tutela multilivello dei diritti fondamentali, Giuffrè Editore, Milano 2012, pagg. 99 e ss.

3. North Atlantic Treaty Organization (NATO), istituita il 4 aprile 1949 con il Trattato di Washington. L'obiettivo primario della NATO è la salvaguardia della sicurezza e della libertà degli Stati firmatari attraverso mezzi politici e militari. Il Trattato di Amicizia, Cooperazione e Mutua Assistenza, invece, sottoscritto a Varsavia il 14 maggio 1955 univa i paesi del "Blocco Sovietico" in un'alleanza militare.

4. Winston Churchill, in un memorabile e mirabile discorso tenuto il 19 settembre 1946 all'Università di Zurigo affermò che "occorre un rimedio che, come per miracolo, trasformi la situazione e, nello spazio di qualche anno, renda l'Europa così libera e felice come lo è adesso la Svizzera. Noi dobbiamo creare una sorta di Stati Uniti d'Europa".

5. G. Raimondi, Il Consiglio d'Europa e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Editoriale Scientifica, Napoli 2008, pagg. 3 e ss.

6. Già in tale epoca è dunque possibile cogliere in nuce le opposte prospettive, fatte proprie dai vari Stati Nazionali in merito alla realizzazione della tanto agognata cooperazione europea, caratterizzanti l'attuale dibattito politico sull'integrazione europea: da una parte l'approccio più "intenso", federalista, portato avanti allora dalla Francia, dal Belgio e dall'Italia; dall'altra l'approccio più "tenue" e conservatore, che si fondava sulla cooperazione intergovernativa tradizionale, sostenuto dall'Inghilterra, dall'Irlanda e dai Paesi scandinavi.

7. Lo statuto del Consiglio d'Europa fu firmato il 5 maggio 1949 al S. James Palace Hotel di Londra, ad opera di dieci Stati fondatori: Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito e Svezia. Il Consiglio d'Europa si incentra tutt'ora su due organismi principali: l'uno è rappresentato dal Comitato dei Ministri, che può identificarsi come il corpo esecutivo-politico dell'organizzazione, l'altro dall'Assemblea Consultiva o Parlamentare, che è l'organismo deliberativo del sistema. Per una ricognizione storica, si veda A.H. Robertson, The Council of Europe. Its Structure, Functions and Achievements, Londra, Stevens, 1956.

8. G. Raimondi, op. cit., pag. 6.

9. Articolo 1 Trattato di Londra.

10. Articolo 3 Trattato di Londra.

11. J.A. Sweeney, op. cit., pag. 10.

12. L'URSS aveva preso il potere in Cecoslovacchia, la guerra civile in Grecia era iniziata e infine il Ponte Aereo su Berlino era stato avviato.

13. Questo preciso riferimento, riscontrabile nel Preambolo della Convenzione europea, permette di considerare la CEDU una riuscita ed effettiva specificazione e applicazione regionale della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo, che, si ricorda, è priva di forza giuridica vincolante. B. Randazzo, Giustizia costituzionale sovranazionale. La Corte europea dei diritti dell'uomo, Giuffrè, Milano 2012.

14. Alla stregua dell'articolo 66 ECHR versione originaria, infatti "this Convention shall be open to the signature of the Members of the Council of Europe. It shall be ratified. Ratification shall be deposited with the Secretary-General of the Council of Europe. The present Convention shall come into force after the deposit of ten instruments of ratification". Inizialmente il documento internazionale fu sottoscritto da Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Regno Unito, Repubblica Federale tedesca (Saar) e Turchia. Di poco successive le firme di Svezia e Grecia. In seguito, i dieci Stati che, ratificando nell'immediato la Convenzione, permisero la sua entrata in vigore il 3 settembre 1953 furono: Danimarca, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Regno Unito, Repubblica Federale tedesca (Saar) e Svezia. Emblematiche le vicende francesi, in cui a una pronta sottoscrizione non seguì una altrettanto celere ratificazione: la Francia infatti ratificò il documento internazionale solo nel 1974, dopo ben vent'anni di limbo. Per quanto riguarda l'Italia, la legge di autorizzazione della CEDU è la legge 4 agosto 1955 n. 848, mentre lo strumento di ratifica è stato depositato il 26 ottobre 1955, con cui, è stata incorporata la Convenzione nell'ordinamento giuridico nazionale, in conformità all'impostazione dualista italiana dei rapporti con l'ordinamento internazionale.

15. La Convenzione Americana dei Diritti dell'Uomo è un trattato internazionale elaborato nell'ambito dell'Organizzazione Stati Americani (OAS), organizzazione internazionale panamericana. L'OAS, la cui membership oggi si è allargata arrivando a comprendere anche gli USA e il Canada, fu costituita il 20 aprile 1948 a Bogotà, e, diversamente da quanto avvenuto nell'ambito dell'integrazione europea, rappresenta il punto di arrivo di un processo che risalirebbe addirittura al 1826 e a El Libertador, Simon Bolìvar. Il Patto di San José de Costarica, elaborato dalla Conferenza interamericana sui diritti umani, è stato firmato il 22 novembre 1969 ed è entrato in vigore il 18 luglio 1978, con le undici ratificazioni richieste. La Convenzione istituisce quello che è definito il secondo meccanismo di controllo regionale più importante dopo il meccanismo CEDU e si articola in una Commissione e una Corte di Giustizia, composizione che riecheggia quella della versione iniziale del sistema europeo. Si ricorda inoltre, pur sottolineando l'originalità dell'esperienza dovuta anche al particolare contesto di emancipazione e decolonizzazione e di difficoltà economico-sociali, la Carta Africana dei Diritti degli Uomini e dei Popoli, adottata a Nairobi il 28 giugno 1981, ed entrata in vigore il 21 ottobre 1986 nell'ambito dell'Organizzazione Unità Africana (OUA), oggi Unione Africana (UA). Inizialmente il meccanismo di tutela regionale elaborato nella Carta era incentrato su un solo organo dalla natura mista, non propriamente giurisdizionale, la Commissione, ma in seguito all'entrata in vigore, il 25 gennaio 2004, del Protocollo di Ouagadougou, anche quest'esperienza risulta istituita una Corte dei diritti dell'uomo. C. Zanghì, La protezione internazionale dei diritti dell'uomo, Giappichelli, Torino 2006, pagg. 256-258; D. Harris, S. Livingstone, The Inter-American System of Human Rights, Clarendon Press, Oxford 1998; M. Mutua, Human Rights: a poltical and cultrual critique, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 2002.

16. P. Haberle, Le liberà fondamentali nello stato costituzionale, NIS, Roma 1993; B.S. Markesinis, J. Fedtke, Giudici e diritto straniero: la pratica del diritto comparato, Il Mulino, Bologna 2009; A.M. Slaughter, A New World Order, Princeton University Press, Oxford 2005; G. De Vergottini, Oltre il dialogo tra le corti: giudici, diritto straniero, comparazione, Il Mulino, Bologna 2010.

17. I dati statistici ufficiali sono reperibili nei documenti, periodicamente aggiornati, messi a disposizione sul sito della Corte EDU.

18. "Non più diritti di cittadinanza, ma diritti delle persone indipendentemente dalle loro diverse cittadinanze", E. Vitale (a cura di), Luigi Ferrajoli, Diritti fondamentali. Un dibattito teorico, Roma-Bari, 2002, pag. 23. È stato evidenziato che l'antenato storico di una simile idea è rappresentato, nel pur diverso contesto nazionale, dalla Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino del 1789 in cui, diversamente da quanto avvenuto con i Bill of Rights angloamericani, si tendeva ad equiparare cittadini e stranieri nell'attribuzione dei diritti, non prevedendo una protezione nei soli confronti dei cittadini rispetto agli abusi dell'autorità.

19. La regola è mutuata dalle norme internazionali in tema di trattamento degli stranieri: la violazione dei diritti fondamentali non può farsi valere sul piano internazionale finché esistono nell'ordinamento dello Stato offensore rimedi adeguati ed effettivi per eliminare la violazione e le sue conseguenze, o, nel caso, a dare luogo a una riparazione della stessa. B. Conforti, Diritto Internazionale, Editoriale Scientifica, Napoli 2013, pag. 214.

20. In questo dunque distinguendosi da organi di controllo non giurisdizionale, come le esperienze del Comitato sui diritti umani e del Comitato europeo contro la tortura, privi di poteri di accertamento vincolante. Il Comitato dei diritti umani, istituito dall'articolo 28 del Patto sui diritti civili e politici, ha il compito di verificare il rispetto da parte degli Stati dei diritti previsti in tale trattato attraverso varie procedure (il sistema dei rapporti periodici, dei ricorsi interstatuali e dei ricorsi individuali) nessuna delle quali però sfocia in una pronuncia giurisdizionale e dunque vincolante per i destinatari. Del pari, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura, istituito all'articolo 1 della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti (Strasburgo, 26 novembre 1987), che redige al termine dei sopralluoghi effettuati nei singoli Stati contraenti, meri rapporti conclusivi in cui vengono effettuate delle raccomandazioni per gli Stati Contraenti.

21. Nelle parole di Augusto Barbera, vi sono due tendenze che scuotono, dal dopoguerra in poi, il diritto internazionale e il diritto costituzionale. Tra queste, vi è la progressiva diffusione delle carte internazionali sui diritti dell'uomo, come appunto la Convenzione europea. Il carattere eversivo della tendenza viene collegato dall'Autore al fatto che "supera la tradizionale concezione del diritto internazionale come diritto che riguarda i rapporti fra Stati e tende invece a far emergere la soggettività dei cittadini e dei popoli (già manifestatasi timidamente nel primo dopoguerra con il riconoscimento del diritto dei popoli all'autodeterminazione); in secondo luogo perché si supera così il tabù del divieto di ingerenza negli affari interni ai singoli stati; in terzo luogo perché può colpire anche una più recente conquista, cara alle correnti pacifiste, che vede nel mantenimento di relazioni pacifiche il fondamento principale dell'ordinamento internazionale". Augusto Barbera, Su alcune tendenze "eversive" nel diritto internazionale e nel diritto costituzionale, introduzione a F. Cocozza, Diritto comune delle libertà in Europa. Profili costituzionali della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, Giappichelli, Torino 1994, pagg. XI-XII.

22. F. M. Patrono, I diritti dell'uomo nel paese d'Europa. Conquiste e nuove minacce nel passaggio da un millennio all'altro, CEDAM, Padova, 2000; E. Greppi "I diritti fondamentali nelle organizzazioni europee: il trattato e la Carta dell'Unione, la CEDU e la dimensione dei diritti umani dell'OCSE", in G. F. Ferrari (a cura di), I diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza. Il costituzionalismo dei diritti, Giuffrè Editore, Milano 2001, pag. 155 e ss.

23. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani fu approvata a Parigi il 10 dicembre 1948 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La Dichiarazione, in virtù della sua vocazione globale e universale, rappresenta un "minimo comune denominatore" sul piano della concezione dei rapporti Stato-individuo e su quello della individuazione dei diritti fondamentali. A. Cassese, op. cit., pag. 32 e ss.

24. Il Patto Internazionale sui diritti civili e politici è un trattato delle Nazioni Unite adottato nel 1966 ed entrato in vigore il 23 marzo1976; il Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali è un trattato anch'esso stipulato in seno alle Nazioni Unite, adottato nel 1966 ed entrato in vigore il 3 gennaio 1976. G. Raimondi, op. cit., pagg. 96-97.

25. In realtà, precisa Adriana Giardino Carli, "prima dell'entrata in vigore del protocollo n. 11 (che [...] ammette il ricorso individuale alla Corte) era diffusa l'idea che nel sistema convenzionale l'individuo non fosse titolare di un vero e proprio diritto soggettivo, in quanto di quest'ultimo può parlarsi solo ove sia accompagnato dal diritto strumentale di agire per la protezione dello stesso [...]. Si riteneva, pertanto, che gli Stati si fossero obbligati l'uno nei confronti degli altri a garantire ai soggetti sottoposti alla loro giurisdizione i diritti e le libertà sanciti dalla Convenzione, ma che tali soggetti permanessero, in questo quadro, mero oggetto di tutela". A. Giardino Carli, op. cit., pag. 10, nota 12. Contra, invece Oreste Pollicino, per cui "la disciplina [CEDU] fa, sin dall'inizio, dei singoli dei 'soggetti', in piena regola e a tutti gli effetti, del diritto internazionale, attraverso il riconoscimento agli individui, seppur previa accettazione degli Stati contraenti, della possibilità di far accertare ad un'autorità terza, di natura quasi giurisdizionale, la responsabilità (internazionale) dello Stato per aver causato al ricorrente una violazione dei diritti che la Convenzione europea dei diritti dell'uomo gli riconosce". O. Pollicino, Allargamento dell'Europa a Est e rapporto tra Corti Costituzionali e Corti Europee, Verso una teoria generale dell'impatto interordinamentale del diritto sovranazionale?, Giuffrè Editore, Milano 2010, Pagg. 34 e ss.

26. Sen. GC Mamatkulov e Askarov c. Turchia, 4 febbraio 2005, nn. 46827/99; 46951/99, par. 100.

27. "Il ricorso individuale consente agli individui di prendere attivamente parte all'esercizio di una funzione cruciale del costituzionalismo, quella di limitare il potere dell'esecutivo o, quanto meno, di far valere la sua responsabilità, seppur, lo si ribadisce, sotto il profilo internazionale". O. Pollicino, op. cit., pag. 35.

28. Dec. Comm. EDU Austria c. Italia 11 gennaio 1969, n. 788/60.

29. Sen. Irlanda c. Regno Unito 18 gennaio 1978, n. 5310/71, cui tra l'altro fa espresso riferimento il più recente sen. GC Loizidou c. Turchia, 18 dicembre 1996, n. 15318/89, in cui si attesta ufficialmente la natura della Convenzione di strumento dell'ordine pubblico europeo.

30. "Every State is entitled - and politically even called upon - to act as a guardian of legality in instances where another State party is seen as breaching the provisions of the ECHR". C. Tomuschat, "The European Court of Human Rights Overwhelmed by Applications: Problems and Possible Solutions", in Rüdiger Wolfrum, Ulrike Deutsch (eds.), The European Court of Human Rights Overwhelmed by Applications: Problems and Possible Solutions, Springer-Verlag, Berlin/Heidelberg, 2009.

31. Le considerazioni effettuate fanno riferimento, come evidente, ad un carattere astratto ed immanente del meccanismo di garanzia dei diritti CEDU. Nel concreto, i ricorsi interstatali effettivamente esperiti sono numericamente esigui e, spesso, carichi di valenze politiche. Come è stato notato "si è assistito ad un progressivo isterilimento di questa reciproca tutela tra Stati, la cui importanza, invece, era determinante per coloro che tratteggiarono la Convenzione e che così fermamente lo vollero. Pochi [...] e risalenti sono, infatti, i ricorsi interstatali e sempre rivolti contro Stati non certo definibili come potenze mondiali". A. Giardino Carli, op. cit., pag. 22.

32. Si ricordi inoltre la distinzione tra protocolli addizionali e protocolli di emendamento: i primi ampliano e precisano il catalogo dei diritti contenuto nel testo originale e non richiedono la ratifica della totalità delle Alte Parti Contraenti; gli altri invece modificano aspetti procedurali e istituzionali del meccanismo di tutela e quindi richiedono la partecipazione di tutti gli Stati contraenti. Nell'ambito dei protocolli addizionali ci sono il Protocollo n. 1 o Protocollo addizionale alla Convenzione europea sui diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, entrato in vigore il 18 maggio 1954; il Protocollo n. 4 (che ha introdotto alcuni diritti, quali il divieto di privazione di libertà a causa di debiti, la libertà di movimento e di libera scelta della propria residenza, il divieto per lo Stato di espellere i propri cittadini, il divieto per lo Stato di dare luogo a espulsioni collettive di stranieri) entrato in vigore il 2 maggio 1968; il Protocollo n. 6 in merito all'abolizione della pena di morte in tempo di pace entrato in vigore il 1 marzo 1985; il Protocollo n. 7 (che prevede il diritto dello straniero alle garanzie procedimentali in caso di espulsione dal territorio di uno degli Stati partecipanti alla Convenzione, il diritto di una persona condannata penalmente all'appello, il diritto al risarcimento in caso di errore giudiziario, il principio del ne bis in idem, la parità tra marito e moglie) entrato in vigore il 1 novembre 1988; il Protocollo n. 12 che amplia la nozione del divieto di discriminazione ed entrato in vigore il 1 maggio 2005; il Protocollo n. 13, riguardante l'abolizione assoluta della pena di morte, sia in tempo di pace che in tempo di guerra, entrato in vigore il 1 luglio 2003. Tra i protocolli di emendamento, invece, abbiamo dei Protocollo n. 2 entrato in vigore il 21 settembre 1970; il Protocollo n. 3, entrato in vigore anch'esso il 21 settembre 1970; il Protocollo n. 5, entrato in vigore nel il 20 dicembre 1971; il Protocollo n. 8 entrato in vigore il 1 gennaio 1990; il Protocollo n. 9 entrato in vigore il 1 ottobre 1994; il Protocollo n. 11 entrato in vigore il 1 novembre 1998; il Protocollo n. 14 entrato in vigore il 1 giugno 2010.

Per l'esattezza, dei sedici protocolli esistenti, il Protocollo n. 15 e il Protocollo n. 16 (entrambi che emendano il testo vigente della Convenzione) sono attualmente aperti alla ratifica degli Stati aderenti alla Convenzione e non in vigore.

33. O. Pollicino, L'allargamento ad Est cit., pagg. 90 e ss.

34. L. Garlicki, "Judicial deliberations in the European Court of Human Rights", in Huls, Adams&Bomhoff (ed.), The legitimacy of Highest Courts' Rulings, The Hague, T.M.C. Asser Press, 2009, pagg. 389 e ss.; L. Wildhaber, "A Constitutional Future for the European Court of Human Rights?", in Human Rights Law Journal, 2002, pagg. 161 e ss.

35. Nella lettura di Andrew Moravcsik, gli Stati che maggiormente avevano interesse a prevedere l'istituzione di un'autorità internazionale ed indipendente investita della specifica funzione di verificare il rispetto di uno standard minimo di tutela da parte degli Stati europei, erano le newly established democracies (Italia, Germania, Austria, Francia ed Irlanda); quest'ultime erano infatti desiderose di conseguire legittimazione e credibilità agli occhi della comunità internazionale. Riprova era il fatto che erano proprio questi i Paesi che, nell'ambito della negoziazione del testo convenzionale, erano favorevoli non solo all'istituzione di una Corte europea, ma anche ad una sua competenza obbligatoria e all'attribuzione di un diritto di azione individuale generalizzato avanti ad essa. Invece, gli altri Paesi, le well established democracies con tradizione democratica continuativa (Gran Bretagna, Belgio, Olanda, Norvegia, Lussemburgo, Svezia e Danimarca), non condividendo l'esigenza di ricerca di legittimazione internazionale, erano invece nettamente contrari all'introduzione di simili meccanismi. A. Moravcsik, "The Origins of Human Rights Regime: Democratic Delegtion in Post-War Europe", in International Organizations, 2000, pag. 217 e ss.

36. Article 46 ECHR: Any of the High Contracting Parties may at any time declare that it recognises as compulsory ipso facto and without special agreement the jurisdiction of the Court an all matters concerning interpratation and application of the present Convention.

The declaration referred to above may be made unconditionally or on condiction of reciprocity on the part of several or certain other High Contracting Parties or for a specified period [...].

37. Article 25 ECHR: The Commission may receive petitions addressed to the Secretary-General of the Council of Europe from any person, non-governmental organization or group of individuals claiming to be the victim of a violation by one of the High Contracting Parties of the rights set forth in this Convention, provided that the High Contracting Party against which the complaint has been lodget has declared that it recognises the competence of the Commission to receive such petitions. Those of the High Contracting Parties who have made such a delcaration undertake not to hinder in any way the effective exercise of that right.

Such declarations may be made for a specific period.

The declarations shall be deposited with the Secretary-General of the Council of Europe who shall transmit copies thereof to the High Contracting Parties and publish them.

The Commission shall only exercise the powers provided for in this Article when at lest six High Contracting Parties are bound by declarations made in accordance with the preceding paragraphs.

Article 24 ECHR: ant High Contracting Party may refer to the Commission, through the Secretary General of the Council of Europe, any alleged breach of the provisions of the Convention by another High Contracting Party.

38. Article 24 ECHR: any High Contracting Party may refer to the Commission, through the Secretary General of the Council of Europe, any alleged beach of the provisions of the Convention by another High Contracting Party.

39. A. Giardino Carli, op. cit., pag. 13.

40. A. Saccucci, Le misure provvisorie nella protezione internazionale dei diritti umani, Torino, Giappichelli 2006, pag. 4.

41. Article 26 ECHR: the Commission may only deal with the matter after all domestic remedies have been exhausted, according to the generally recognise rules of internatonal law, and within a period of six months from the date on which the final decision was taken.

42. Article 19 ECHR: to ensure the observance of the engagements undertaken by the High Contracting Parties in the present Convention, there shall be set up:

(1) A European Commissionof Human Rights hereinafter referred to as 'the Commission'.

43. Article 19 ECHR: to ensure the observance of the engagements undertaken by the High Contracting Parties in the present Conventions, there shall be set up:

(2) A European Court of Human Rights [...];

44. Article 20 ECHR: the Commission shall consist of a number of members equal to the High Contracting Parties. No two members of the Commission may be national of the same State.

45. Article 21 ECHR: the members of the Commission shall be elected by the Committee of Ministers by an absolute majority of votes, from alist of names drawn up by the Bureau of the Consultative Assembly; each group of the Representatives of the High Contracting Parties in the Consultative Assembly shall put forward three candidates, of whom two at least shall be its nationals [...].

46. Article 22 ECHR: the members of the Commission shall be elected for a period of six years. They may be re-elected. However, of the members elected at the first election, the terms of seven members shall expire at the end of three years [...].

47. Article 23 ECHR: the members of the Commission shall sit on the Commission on their individual capacity.

48. Tanto da far parlare di "filtro statale" ai ricorsi.

49. L'articolo 21 e l'articolo 23 vennero emendati, con l'aggiunta di ulteriori disposizioni.

Article 21 ECHR: [...] the candidates shall be of high moral character and must either possess the qualifications required for appointment to high judicial office or be persons of recognised competence in national or international law.

Article 23 ECHR: [...] during their term of office they [i.e. the judges] shall not hold any position which is incompatible with their independence and impartiality as members of the Commission or the demands of this office.

50. Article 35 ECHR: the Commission shall meet as the circumstances require. The meetings shall be convened by the Secretary General of the Council of Europe.

51. Negli anni Ottanta, con la prima impennata dei ricorsi all'istituzione europea, si rese necessario un emendamento del testo convenzionale al fine di introdurre un procedimento più snello, prototipo delle successive riforme della Corte.

Le principali innovazioni introdotte dal Protocollo n. 8 al fine di rendere più celere la procedura di esame preliminare dei ricorsi furono: la creazione di Comitati interni alla Commissione, formati da tre commissari, i quali all'unanimità potevano dichiarare irricevibile un ricorso quando una tale decisione non necessitava di più ampio esame; la creazione di Camere, formate da almeno sette commissari, che esaminavano i ricorsi quando questi potevano essere risolti sulla base di una giurisprudenza già consolidata o quando tali ricorsi non sollevavano gravi questioni di interpretazione o applicazione della Convenzione. Riportiamo di seguito gli emendamenti al testo dell'articolo 20 della Convenzione.

Article 20 ECHR: the Commission shall sit in plenary session. It may, however, set up Chambers, each composed of at least seven members. The Chambers may examine petitions submitted under Article 25 of this Convention which can be dealt with on the basis of established case law or which raise no serious question affecting the interpretation or application of the Convention. Subject to this restriction and to the provisions of paragraph 5 of this article, the Chambers shall exercise all the powers conferred on the Commission by the Convention.
The member of the Commission elected in respect of a High Contracting Party against which a petition has been lodged shall have the right to sit on a Chamber to which that petition has been referred.

The Commission may set up committees, each composed of at least three members, with the power, exercisable by a unanimous vote, to declare inadmissible or strike from its list of cases a petition submitted under Article 25, when such a decision can be taken without further examination.

A Chamber or committee may at any time relinquish jurisdiction in favour of the plenary Commission, which may also order the transfer to it of any petition referred to a Chamber or committee.

Only the plenary Commission can exercise the following powers:

  • the examination of applications submitted under Article 24;
  • the bringing of a case before the Court in accordance with Article 48.a;
  • the drawing up of rules of procedure in accordance with Article 36.

52. La clausola dell'articolo 46 ECHR, la quale consentiva agli Stati di accettare la competenza della Corte a pronunciarsi su una causa portata davanti alla Commissione, solo nel 1958 raggiunse il numero minimo di otto accettazioni necessarie affinché la Corte potesse insediarsi. Il 21 gennaio 1959 il primo collegio giudicante fu eletto ad opera della Assemblea Consultiva del Consiglio d'Europa e la prima udienza si tenne alla fine del febbraio '59.

53. Article 38 ECHR: the Europen Court of Human Rights shall consist of a number of judges equal to that of the Members of the Council of Europe. No two judges may be nationals of the State.

54. Article 39 ECHR: the members of the Court shall be elected by the Consltative Assembly by a majority of the votes cast from a list of persons nominated by the Members of the Council of Europe; each Member shall nominate three candidates, of whom two at least shall be its nationals [...].

55. Article 40 ECHR: the members of the Court shall be elected for a period of nine years. They may be re-elected [...].

56. Article 45 ECHR: The jurisdicition of the Court shall extend to all cases concerning the interpretation and application of the present Convention which the High Contracting Parties or the Commission shall refer to it in accordance with article 48.

57. Article 43 ECHR: for the consideration of each case brought before it the Court shall consist of a Chamber composed by seven judges. There shall sit as an ex officio member of the Chamber the judge who is a national of any State party concerned, or, if there is none, a person of its choice who shall sit in the capacity of judge; the names of the other judges shall be chosen by lot by the President before the opening of the case.

58. Si rilevi che, anche se di regola il Comitato dei Ministri seguiva l'opinione manifestata dalla Commissione nel rapporto in merito alla sussistenza della violazione, l'organismo era ovviamente libero di distaccarsi da tale linea e si sono altresì verificati ipotesi in cui le diverse posizioni dei membri governativi dell'organo hanno impedito il raggiungimento di una decisione.

59. I primi Stati che accettarono tale clausola furono Danimarca, Irlanda, Islanda e Svezia; seguiti nel 1955 da Belgio e Germania, permettendo il funzionamento del meccanismo individuale con il raggiungimento delle sei accettazioni richieste dall'articolo 24.4 della Convenzione. Si ricordi che il Regno Unito accettò la clausola di individual petition il nel 1966; l'Italia nel 1973 e la Francia che, come già ricordato, tardò a ratificare la Convenzione stessa, nel 1981.

60. È necessario precisare che, relativamente alle condizioni di ammissibilità dei ricorsi, il meccanismo (anche) nella sua versione originaria prevedeva un regime distinto a seconda che il canale di accesso prescelto fosse quello individuale, previsto all'articolo 25 ECHR, o statale, previsto invece all'articolo 24 ECHR. In merito ai ricorsi "interstatali" infatti l'unica condizione di ricevibilità rilevante era la regola, avente carattere generale, del previo esaurimento dei ricorsi prevista all'articolo 26 della Convenzione; a questa si aggiungevano, per quanto riguarda i ricorsi individuali, ulteriori condizioni di ammissibilità, elencate all'articolo 27 del testo. Si riporta il testo originale che le prevedeva.

Article 27 ECHR: the Commission shall not deal with any petition submitted under article 25 [i.e. individual petition] which:

  1. is anonymous, or
  2. is substantially the same as a matter which has already been examined by the Comission or has already been submitted to another procedure of international investigation or settlement and if it contains no relevant new information.

The Commission shall consider inadmissible any petition submitted under Artcle 25 which it considers incompatible with the provisions of the present Convention, manifestly ill-founded, or an abuse of the right of petition.

The Commission shall reject any petition referred to it which it considers inadmissible under Article 26.

61. Article 28 ECHR: in the event of the Commission accepting a petition referred to it:

  1. it shall, with a view to ascertaining the facts, undertake together with the representatives of the parties an examination of the petition and, if need be, an investigation, for the effective conduct of which the States concerned shall furnish all necessary facilities, after an exchange of views with the Commission;
  2. it shall place itself at the disposal of the parties concerned with a view to securing a friendly settlement of the matter on the basis of respect for Human Rights as defined in this Convention.

Il regolamento amichevole costituisce una risoluzione alternativa della controversia con cui le parti in causa si accordano, evitando di percorrere le strade pseudo-giurisdizionali del meccanismo convenzionale. A seconda del contenuto degli obblighi che il governo dello Stato chiamato in causa dal ricorrente decideva di assumersi, è possibile individuare tre tipologie di "regolamento amichevole". La prima tipologia, la categoria di regolamenti amichevoli di gran lunga più frequente nella prassi, prevedeva obblighi a contenuto patrimoniale che consistevano in un versamento di una somma di denaro al ricorrente, a titolo di riparazione della violazione subita (Jaxel, n. 11282/84). La seconda tipologia aveva ad oggetto l'obbligo consistente nell'adozione di misure amministrative in favore del ricorrente (caso D n. 10812/84). L'ultima categoria era rappresentata da quei regolamenti amichevoli in cui lo Stato membro si impegnava ad adottare provvedimenti di natura legislativa o regolamentare che modificassero le misure oggetto di doglianza di fronte alla Commissione (caso Woolf Channel Four n. 11553/85).

62. Article 31 ECHR: if a solution is not reached, the Commission shall draw up a Report on the facts and state its opinion as to whether the facts found disclose a beach by the State concerned of its obligations under the Conventon. The opinions of all the members of the Commission on this point may be stated in the Report.

The Report shall be transmitted to the Committee of Ministers. It shall also be transmitted to the States concerned, who shall not be at liberty to publish it [...].

63. Article 32 ECHR: if the question is not referred to the Court in accordance with Article 48 of this Convention within a period of three months from the date if tge transmission of the Report to the Committee of Ministers [...].

64. Article 48 ECHR: the following may bring a case bifore the Court, provided that the High Contracting Party concerned, if there is only one, or the High Contracting Parties concerned, if there is more than one, are subject to the compulsory jurisdiction of the Court or, failing that, with the consent of the High Contracting Party concerned, if there is only one, or of the High Contracting Parties concerned if there is more than one:

  1. the Commision;
  2. a High Contracting Party whose national is alleged to be a victim;
  3. a High Contracting Party which referred the case to the Commission;
  4. a High Contracting Party against which the complaint has been lodged;

65. Una tappa intermedia verso la compiuta riforma in senso giurisdizionale del sistema è quella rappresentata dall'adozione del Protocollo n. 9, ai sensi della quale, anche il singolo individuo (che si trovasse entro la giurisdizione degli Stati che avessero ratificato tale Protocollo) poteva richiedere l'esame del proprio ricorso da parte della Corte Europea, a condizione che, previo vaglio da parte di un collegio di tre giudici, il ricorso sollevasse questioni rilevanti di interpretazione e applicazione della CEDU.

66. Article 52 ECHR: the judgement of the Court shall be final.

67. Article 53 ECHR: the High Contracting Parties undertake to abide by the decision of the Court in any case to which they are parties.

68. Article 32 ECHR: [...] the Committee of Ministers shall decide by a majority of two-thirds of the members entitled to sit on the Committee whether there has been a violation of the Convention.

In the affirmative case the Committee of Ministers shall prescribe a period during which the High Contracting Party concerned must take the measures required by the decision of the Committee of Ministers.

If the High Contracting Party concerned has not taken satisfactory measures within the prescibed period, the Committee of Ministers shall decide by the majority provided in paragraph above what effect shall be given to its original decision and shall publish the Report.

The High Contracting Parties undertake to regard as binding on them any decision which the Committee of Ministers may take in application of the precedin paragraphs.

69. Peter Leuprecht, Segretario del Comitato dei Ministri, mette in luce gli innumerevoli punti deboli di tale assetto: the Ministers' Deputies are generally career diplomats [...]. They act, in human righrs cases as in other matters, on instructions from their capitals. They usually have no special training or competence to deal with human rights issues. They are trained to defend State interests - or what their central authority regards as interests of their State- and, if necessary, to seek compromise solutions; they are not trained to make clear-cut legal pronouncements on human rights issues. When their own State is "in the dock" they will have a natural inclination to defend it. [...] Sociologically speaking, the (21) Ambassadors and their staff form a rather closed society, a sort of microcosmos. The atmosphere could be described as that of a club whose members entertain intensive social relations among themselves and tend to show a sort of group solidarity towards the outside world. They often seem to be more conservative than their country and their government. They find it odd to have to deal with some of the 'customers' of the Strasbourg human rights institutions, who are not infrequently inmates of prisons or psychiatric hospitals or people who have problems with criminal justice... [...]. Peter Leuprecht, "The Protection of Human Rights By Political Bodies - The Example of the Committee of Ministers of the Council of Europe", in Nowak M., Steurer D., Tretter H. (eds), Progress in the Spirit of Human Rights, Engel Verlag, Kehl am Rhein, Strasbourg, Arlington 1988.

70. G. Raimondi, op. cit., pag. 101.

71. Protocol n. 11 to the Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms, restructuring the control machinary established thereby.

72. Precisamente il 1 giugno 2010, in seguito alla (tardiva) ratifica ad opera della Federazione Russa.

73. This Protocol aims to make the changes such as the introduction of a new admissibility criterion, the treatment of repetitive cases or clearly inadmissible cases, for a more satisfactory operation of the European Court of Human Rights.

Under the Protocol the Committee of Ministers will be empowered, if it decides by a two-thirds majority to do so, to bring proceedings before the Court where a State refuses to comply with a judgment. The Committee of Ministers will also have a new power to ask the Court for an interpretation of a judgment. This is to assist the Committee of Ministers in its task of supervising the execution of judgments and particularly in determining what measures may be necessary to comply with a judgment.

Other measures in the Protocol include changing the judges' term of office to a single, nine year term, and a provision allowing the accession by the European Union to the Convention.

74. Volendo schematizzare la partecipazione degli Stati europei allo strumento convenzionale, è possibile operare una scansione in due battute, distinguendo non alla stregua di un rigido criterio temporale, ma alla stregua della dissoluzione dell'Unione Sovietica. Per quanto riguarda ciò che qui rileva, ovvero le adesioni avvenute a motivo del crollo del muro di Berlino, possiamo ricordare: la Bulgaria, l'Ungheria (1992), la Repubblica Ceca, la Polonia, la Slovacchia (1993), la Romania, la Slovenia (1994), la Lituania (1995), l'Albania, l'Estonia (1996), la Croazia, la Lettonia, la Moldova, l'Ex Repubblica Iugoslava di Macedonia, l'Ucraina (1997), la Federazione Russa (1998), la Georgia (1999), l'Armenia, la Bosnia ed Erzegovina, l'Azerbaijian (2002), la Serbia (2004) e il Montenegro (2006).

Si ricorda che in precedenza, invece agli Stati fondatori che diedero vita al meccanismo convenzionale il 4 novembre 1950 (ovvero il Belgio, la Danimarca, la Germania, l'Islanda, l'Irlanda, l'Italia, il Lussemburgo, i Paesi Basi, la Norvegia, la Turchia e il Regno Unito, nonché la Francia e la Grecia, che però ratificheranno la Convenzione solo nel 1974) si aggiunsero poi quegli Stati che firmarono la Convenzione nell'immediato, come l'Austria (13 dicembre 1957) e la Svezia (28 novembre 1950); a metà degli Anni Sessanta vi aderirono Cipro, che ratificò la Convenzione il 18 marzo 1962 e Malta, che lo fece il 23 gennaio 1967; negli Anni Settanta fu la volta di Spagna (28 novembre 1978), Portogallo (9 novembre 1978) e della Svizzera (28 novembre 1974); in conclusione, tra le firme che anticiparono gli stravolgimenti dell'89, si ebbe l'adesione della Finlandia (che ratificò nel 10 maggio 1990), Liechtenstein (1982) e della Repubblica di San Marino (1988).

Per completezza ricordiamo che Andorra aderisce alla Convenzione nel 1996 e il Principato di Monaco nel 2004.

75. F. Sudre, Droit européen et international des droits de l'homme, Presses Universitaires de France, Paris 2011, pag. 710.

76. G. Gaja, "Quale nuovo filtro per i ricorsi individuali a Strasburgo?", in Diritti umani e diritto internazionale, 4/2010, pagg. 315 e ss.

77. Article 20 ECHR. Number of judges: the Court shall consist of a number of judges equal to that of the High Contracting Parties.

La circostanza eccezionale di un'entità sovranazionale che aderisce a un trattato aperto alle firme e ratifiche di Stati nazionali (circostanza afferente al tema dell'adesione dell'Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo) ha implicato il passaggio dalla terminologia "Stati membri del Consiglio d'Europa" al neutro "Alti Parti Contraenti". Tra le problematiche di carattere tecnico riferibili alla questione dell'adesione dell'Unione europea alla Convenzione europea vi è anche quella relativa all'elezione del giudice di riferimento dell'Organizzazione, che è infatti specificatamente affrontata nel progetto di accordo di adesione.

78. Article 22 ECHR. Election of the judges: the judges shall be elected by the Parliamentary Assembly with respect to each High Contracting Party by a majority of votes cast from a list of three candidates nominated by the High Contracting Party.

79. Article 21.1 ECHR. Criteria for office: the judges shall be of high moral character and must either possess the qualifications required for appointment to high judicial office or be jurisconsults of recognized competence. L'articolo presenta un tenore simile a quello di analoghe disposizioni in tema di requisiti per l'accesso alle cariche giudiziarie internazionali. Possiamo ricordare, a tale proposito l'articolo 2 dello statuto della Corte internazionale di giustizia, il quale prevede che "the Court shall be composed of a body of independent judges, elected regardless of their nationality from among persons of high moral character, who possess the qualifications required in their respective countries for appointment to the highest judicial offices, or are jurisconsults of recognized competence in international law". Ancora, l'articolo 52 della Convenzione americana dei diritti dell'uomo statuisce che "the Court shall consist of seven judges, nationals of the member states of the Organization, elected in an individual capacity from among jurists of the highest moral authority and of recognized competence in the field of human rights, who possess the qualifications required for the exercise of the highest judicial functions in conformity with the law of the state of which they are nationals or of the state that proposes them as candidates".

80. L'Assemblea Consultiva ha formalizzato attraverso le proprie risoluzioni la prassi che deve essere seguita per dare luogo all'elezione dei giudici. La procedura si apre con una fase preliminare, in cui un comitato di esperti redige un parere tecnico sulle liste di candidati fornite da ciascuna Alta Parte Contraente. Tale parere tecnico viene poi inoltrato ad una formazione ad hoc dell'Assemblea (la cosiddetta "sottocommissione ad hoc della commissione sulle questioni giuridiche e dei diritti dell'uomo"), davanti alla quale si svolge la prima fase del procedimento elettivo, ovvero l'audizione di tutti gli aspiranti giudici. L'audizione dinanzi alla sottocommissione è stata formalmente istituita con la risoluzione 1082(1996) del 22 aprile 1996 e consiste in una valutazione del curriculum del candidato e in una verifica della sussistenza delle competenze richieste. Infine, sulla base delle conclusioni della sottocommissione, si svolge l'ultima fase del procedimento, ovvero la votazione del candidato ad opera del plenum dell'Assemblea Parlamentare, a scrutinio segreto e con il quorum della maggioranza assoluta al primo turno e relativa al secondo.

Implicito e immanente per una resa positiva del meccanismo convenzionale è che anche le stesse procedure di selezione e di elezione dei giudici tendano ad accertare la sussistenza dell'indipendenza, imparzialità e competenza dei candidati.

81. Article 21.2 ECHR. Criteria for office: the judges shall sit on the Court in their individual capacity.

82. Article 23 ECHR. Terms of office and dismissal: the judges shall be elected for a period of nine years. They may not be reelected.

The terms of office of judges shall expire when they reach the age of 70.

The judges shall hold office until replaced. They shall, however, continue to deal with such cases as they already have under consideration.

Netta la differenza rispetto al regime precedente: il Protocollo n. 11 prevedeva infatti che i giudici avessero un mandato di sei anni, suscettibile di proroga. Si tratta indubbiamente di un periodo breve che, soprattutto tenendo in considerazione la possibilità del rinnovo dell'incarico, poteva andare ad inficiare l'indipendenza del giudice. I. Cameron, An Introduction to the European Convention of Human Rights, Iustus Förlag, Uppsala 2011, pag. 53.

83. L'Accordo generale sui privilegi e le immunità del Consiglio d'Europa, firmato a Parigi il 2 settembre 1949, prevede all'articolo 18 che: "gli agenti del Consiglio d'Europa"

  1. godono dell'immunità da giurisdizione per gli atti, parole e scritti compresi, da essi compiti ufficialmente come tali e nel limite delle loro competenze;
  2. sono esenti da ogni imposta su gli stipendi ed emolumenti pagati dal Consiglio d'Europa;
  3. non sono soggetti, del pari che i loro coniugi e congiunti viventi a loro carico alle disposizioni limitanti l'immigrazione, né alle forme di registrazione degli stranieri;
  4. godono, quanto alle agevolezze di cambio, dei privilegi concessi ai funzionari di grado equiparabile delle missioni diplomatiche accreditate presso il governo interessato;
  5. godono, come anche i loro coniugi e congiunti viventi a loro carico, delle agevolezze di rimpatrio concesse agli inviati diplomatici in tempo di crisi internazionale;
  6. godono del diritto d'importare in franchigia la mobilia e le masserizie loro in occasione del primo entrare in ufficio nel paese interessato e di riesportarle in franchigia nel loro paese di domicilio al cessare del loro ufficio.

B. Randazzo, op. cit., pag. 70.

84. Rule 25.1 Setting-up of Section: the Chambers provided for in Article 25 (b) of the Convention (referred to in these Rules as "Sections") shall be set up by the plenary Court, on a proposal by its President, for a period of three years with effect from the election of the presidential office-holders of the Court under Rule 8. There shall be at least four Sections.

È stata recentemente istituita una quinta sezione, allo scopo di migliorare la ripartizione del carico di lavoro della Corte.

85. Article 26 ECHR. Single-judged formation, Committes, Chambers and Grand Chamber: to consider cases brought before it, the Court shall sit in a single-judge formation, in committees of three judges, in Chambers of seven judges and in a Grand Chamber of seventeen judges. The Court's Chambers shall set up committees for a fixed period of time.

At the request of the plenary Court, the Committee of Ministers may, by a unanimous decision and for a fixed period, reduce to five the number of judges of the Chambers.

When sitting as a single judge, a judge shall not examine any application against the High Contracting Party in respect of which that judge has been elected.

There shall sit as an exofficio member of the Chamber and the Grand Chamber the judge elected in respect of the High Contracting Party concerned. If there is none or if that judge is unable to sit, a person chosen by the President of the Court from a list submitted in advance by that Party shall sit in the capacity of judge.

The Grand Chamber shall also include the President of the Court, the Vice-Presidents, the Presidents of the Chambers and other judges chosen in accordance with the rules of the Court. When a case is referred to the Grand Chamber under Article 43, no judge from the Chamber which rendered the judgment shall sit in the Grand Chamber, with the exception of the President of the Chamber and the judge who sat in respect of the High Contracting Party concerned.

86. Article 27 ECHR. Competence of single judges: A single judge may declare inadmissible or strike out of the Court's list of cases an application submitted under Article 34, where such a decision can be taken without further examination.

The decision shall be final.

If the single judge does not declare an application inadmissible or strike it out, that judge shall forward it to a committee or to a Chamber for further examination.

87. "Questa disposizione modifica la regola, precedentemente vigente, che richiedeva la pronuncia unanime di un comitato di tre giudici perché un ricorso fosse dichiarato irricevibile; consente pertanto una decisione che gravi meno sulle risorse della Corte, sia pure al prezzo di introdurre un elemento di casualità: cianche se i criteri relativi alla ricevibilità sono precisati dalla giurisprudenza della Corte ed inoltre il singolo giudice è affiancato da un relatore (art. 24), il quale verosimilmente veglia a promuovere l'uniformità nell'esame dei ricorsi". G. Gaja, op. cit. pag. 315.

88. Article 28 ECHR. Competence of Committees: In respect of an application submitted under Article 34, a committee may, by a unanimous vote,

  1. declare it inadmissible or strike it out of its list of cases, where such decision can be taken without further examination; or
  2. declare it admissible and render at the same time a judgment on the merits, if the underlying question in the case, concerning the interpretation or the application of the Convention or the Protocols thereto, is already the subject of wellestablished caselaw of the Court.

Decisions and judgments under paragraph 1 shall be final.

If the judge elected in respect of the High Contracting Party concerned is not a member of the committee, the committee may at any stage of the proceedings invite that judge to take the place of one of the members of the committee, having regard to all relevant factors, including whether that Party has contested the application of the procedure under paragraph 1.(b).

89. Nel corso della Conferenza di Alto Livello tenutasi a Brighton dal 18 al 20 aprile 2012 ad iniziativa della presidenza britannica del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, per assicurare l'avvenire della Corte europea dei diritti dell'uomo, è stata avanzata la proposta di prevedere il rinvio obbligatorio alla Grande Camera: la possibilità non è stata ovviamente accolta.

90. Rule 73. Request by a party for referral of a case to the Grand Chamber: in accordance with Article 43 of the Convention, any party to a case may exceptionally, within a period of three months from the date of delivery of the judgment of a Chamber, file in writing at the Registry a request that the case be referred to the Grand Chamber. The party shall specify in its request the serious question affecting the interpretation or application of the Convention or the Protocols thereto, or the serious issue of general importance, which in its view warrants consideration by the Grand Chamber.

A panel of five judges of the Grand Chamber constituted in accordance with Rule 24.5 shall examine the request solely on the basis of the existing case file. It shall accept the request only if it considers that the case does raise such a question or issue. Reasons need not be given for a refusal of the request.

If the panel accepts the request, the Grand Chamber shall decide the case by means of a judgment.

Nell'ottobre 2011, in seguito a una richiesta degli Stati membri nel corso della Conferenza di Smirne, la Corte ha reso noti i criteri in base ai quali il collegio di cinque giudici reputa ammissibili i rinvii alla Grande Camera. Tra i criteri che danno luogo ad un accoglimento del rinvio ricordiamo: ricorsi che possono pregiudicare la coerenza della giurisprudenza, allorché la pronuncia della Camera si discosti dall'orientamento consolidato della Corte EDU; ricorsi che possono dare luogo a un'estensione della giurisprudenza; casi che consentono di chiarire principi affermati della giurisprudenza; casi nei quali la Grande Camera potrebbe riesaminare una evoluzione giurisprudenziale importante dei principi adottata dalla Camera; ricorsi che propongono questioni nuove, o gravi di carattere generale; casi che hanno un impatto importante sullo Stato interessato.

91. Article 32 ECHR. Jurisdiction of the Court: The jurisdiction of the Court shall extend to all matters concerning the interpretation and application of the Convention and the Protocols thereto which are referred to it as provided in Articles 33, 34, 46 and 47.

In the event of dispute as to whether the Court has jurisdiction, the Court shall decide.

92. Rileva Frédéric Sudre che tale disposizione priva di contenuto e rilievo pratico la funzione consultiva della Corte "puisque il s'agit d'en exclure toute question relevant de sa compétence contentieuse, d'autant que la Cour interprète cette disposition, dans sa décision de Grande Chambre du 2 juin 2004 sur sa compétence pour rendre un avis consultatif, comme vivant non seulement tout recours déjà déposé mais aussi tout recours susceptible d'être introduit". La decisione cui l'Autore fa riferimento è la richiesta avanzata dal Comitato dei Ministri in merito alla natura della Commissione istituita dalla Convenzione dei diritti dell'uomo della Comunità di Stati Indipendenti di istanza internazionale di inchiesta o regolamento a norma dell'articolo 35.2 b) CEDU. F. Sudre, op. cit. pag. 719.

93. Si veda supra, paragrafo 2 "La Convenzione europea: un unicum nel suo genere".

94. La dogmatica della scienza processualcivilistica condurrebbe, a stretto rigore, a fare alcune precisazioni, come ad esempio la distinzione tra questioni preliminari di giurisdizione, questioni di merito, di rito et cetera. Nel testo convenzionale, invece, non è dato riscontare alcuna di queste specificazioni, di tal ché non assumono rilievo.

95. L'origine di tale regola va ricercata nel diritto internazionale consuetudinario in materia di protezione diplomatica per violazione delle norme sul trattamento degli stranieri. Tuttavia, poiché può essere riscontata in una molteplicità di trattati sui diritti umani, parte della dottrina ritiene che si sia formata in quest'ambito specifico una norma consuetudinaria autonoma. Inoltre deve rilevarsi come il previo esaurimento dei ricorsi interni, massimamente nello specifico ambito CEDU, abbia subito un'interessante trasfigurazione della sua funzione: l'iniziale ratio di protezione della sovranità statale contro ingerenze esterne a mezzo procedurale sembra essere stata eclissata da un collegamento diritto con il principio di sussidiarietà che informa il sistema convenzionale in linea generale. Il "previo esaurimento" diviene dunque strumento di coordinamento tra livello nazionale e internazionale di tutela dei diritti e tra interessi dello Stato e dell'individuo. S. Bartole, V. Zagrebelsky, P. De Sena, S. Allegrezza (a cura di), Commentario breve alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, CEDAM, Padova 2012, pag. 659; G. Gaja, L'esaurimento dei ricorsi interni nel diritto internazionale, Giuffrè Editore, Milano 1967, pagg. 37 e ss.

96. Article 1 ECHR. Obligation to respect Human Rights: The High Contracting Parties shall secure to everyone within their jurisdiction the rights and freedoms defined in Section I of this Convention.

97. Article 13 ECHR. Right to an effective remedy: Everyone whose rights and freedoms as set forth in this Convention are violated shall have an effective remedy before a national authority notwithstanding that the violation has been committed by persons acting in an official capacity.

98. Sen. GC Akdivar et al. c. Turchia, 1 aprile 1998, n. 21893/93 in cui al par. 65 "the Court recalls that the rule of exhaustion of domestic remedies referred to in Article 26 of the Convention obliges those seeking to bring their case against the State before an international judicial or arbitral organ to use first the remedies provided by the national legal system. Consequently, States are dispensed from answering before an international body for their acts before they have had an opportunity to put matters right through their own legal system. The rule is based on the assumption, reflected in Article 13 of the Convention - with which it has close affinity -, that there is an effective remedy available in respect of the alleged breach in the domestic system whether or not the provisions of the Convention are incorporated in national law. In this way, it is an important aspect of the principle that the machinery of protection established by the Convention is subsidiary to the national systems safeguarding human rights".

99. Questo è uno di quei casi in cui è possibile apprezzare l'interpretazione della Corte che, sorretta dal principio di effettività del sistema convenzionale, ricorre al principio dell'autonomia delle nozioni: infatti ad esempio si intendono compresi in questa nozione anche i ricorsi amministrativi che assicurano imparzialità e indipendenza e che forniscano un ristoro effettivo, cioè cessazione della violazione e risarcimento del danno, nonché i ricorsi diretti ai tribunali costituzionali, come l'amparo spagnolo. Sen. F.L. c. Italia, 20 dicembre 2001 n. 25639/94; sen. Silver v. UK 25 maggio 1983.

100. L'accessibilità del ricorso vale a significare che, concretamente, non devono sussistere impedimenti di natura giuridica o pratica al suo esperimento; per quanto riguarda l'adeguatezza, essa vale a indicare la necessità che il ricorso sia idoneo a sollevare la violazione lamentata e a porvi rimedio.

101. Ex multis, ricordiamo la decisione di ammissibilità della Commissione nel caso Cipro c. Turchia del 26 maggio 1975 n. 6780/74 e 6950/75 su rimedi amministrativi strutturati in violazione del giusto procedimento; il già citato caso Akdivar c. Turchia in cui si statuisce tra l'altro che "according to the generally recognised rules of international law there may be special circumstances which absolve the applicant from the obligation to exhaust the domestic remedies at his disposal. The rule is also inapplicable where an administrative practice consisting of a repetition of acts incompatible with the Convention and official tolerance by the State authorities has been shown to exist, and is of such a nature as to make proceedings futile or ineffective" (par. 67); la decisione della Commissione sull'ammissibilità del caso Becker c. Danimarca del 3 ottobre 1975 n.7011/75in cui si legge che "where a violation of the Convention could be brought about by the putting into effect of a measure for a person's removal from a State's territory, a court action without suspensive effect cannot be considered as effective".

102. Il punto, estremamente rilevante, sarà maggiormente approfondito infra sub par. 5 ("La Corte europea dei diritti dell'uomo, Demiurgo della CEDU") dedicato al tema della normatività della Convenzione così come interpretata dalla Corte europea di Strasburgo.

103. Si ricorda che l'articolo 4 del Protocollo n. 15 di riforma della Convenzione prevede la riduzione di tale termine da sei mesi a quattro mesi.

104. Nel concreto sono stati considerati tali dalla Corte europea nella propria giurisprudenza: il Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite nell'esercizio delle competenze che prevedono l'esame di comunicazioni individuali ai sensi del Protocollo facoltativo al Patto internazionale sui diritti civili e politici (New York, 16 dicembre 1966); il Gruppo di lavoro sulle detenzioni arbitrarie istituito in seno alle Nazioni Unite nel 1991; il Comitato sulla libertà di associazione dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) creato nel 1951.

105. Il ricorrente deve essere vittima a norma dell'articolo 34 ECHR.

106. Il ricorso deve essere diretto contro uno Stato parte della Convenzione ed, eventualmente, avente ratificato il Protocollo la cui violazione è denunciata dal ricorrente.

107. Il ricorrente deve essere individuo soggetto alla giurisdizione dello Stato convenuto a norma dell'articolo 1 ECHR.

108. Il diritto che si assume violato deve essere previsto nel catalogo convenzionale così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

109. La violazione deve essere avvenuta successivamente all'entrata in vigore della CEDU o del protocollo per lo Stato convenuto, poiché la Convenzione non è retroattiva. Per una sintetica ma efficace ricognizione delle problematiche si veda il commento di Giorgio Gaja all'articolo 1 della Convenzione europea in S. Bartole, B. Conforti, G. Raimondi, Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, Giuffrè Editore, Milano 2001.

110. In realtà, entro questa etichetta sono ricomprese una pluralità di situazioni anche fortemente eterogenee tra loro, quali: ricorsi fondati su fatti allegati evidentemente inverosimili o con prove carenti; i casi della "dottrina della quarta istanza", ovvero quei casi in cui il ricorrente agisce davanti alla Corte EDU, come se questa fosse un'ulteriore grado di giudizio, lamentando l'iniquità sostanziale di una decisione interna o contestandone i presupposti di fatto o di diritto, senza alcun riferimento a una violazione dei diritti umani previsti nella Convenzione né eventuali profili di arbitrarietà della sentenza stessa; insussistenza di una ingerenza statale nel diritto che si assume violato; questioni o situazioni rispetto alle quali in casi identici o comunque similari, la Corte ha già valutato come non sussistente la violazione de qua; ricorsi risolvibili in senso negativo alla stregua della giurisprudenza consolidata della Corte stessa. Per un approfondimento della casistica risulta utile la consultazione della Pratical guide on admissibility criteria, aggiornata al 31 dicembre 2009 e reperibile sul sito istituzionale della Corte.

111. Si ricorda che l'articolo 5 del Protocollo n. 15 di riforma alla Convenzione intende abolire quest'ultima disposizione di salvaguardia.

112. "The EctHR should be given the possibility to concentrate on 'major issues of policy, by curtailing, if not eliminatine, the need to deal with certain categories of minor or ripetitive violations at the European level'. In this view has partly succeded with the introduction of the new admissibility criterion in Protocol 14". H. Senden, Interpretation of fundamental rights in a multilevel legal system: an analysis of the European Court of Human Rights and the Court of Justice of the European Union, Intersentia, Cambridge 2011, pag. 18.

113. In questa ipotesi, invece, la Corte interpreta la nozione, conformemente alla regola generale positivizzata all'articolo 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, nel senso ordinario ad essa attribuita dalla teoria generale del diritto, comprendendovi così qualunque comportamento di un ricorrente manifestamente contrario alla finalità del diritto di ricorso individuale davanti alla Corte europea di Strasburgo o che ostacoli il corretto funzionamento della procedura davanti a questa.

114. I ricorsi presentati a norma dell'art. 33 ECHR sono numericamente esigui e generalmente riguardano gravi violazioni dei diritti umani legate a controversie di più ampia portata: l'esempio più recente in tal senso è offerto dalla crisi russo-ucraina 2014 e il ricorso interstatale dell'Ucraina contro la Russia del 13 marzo 2014 (n. 20958/14). L'esiguità dei numeri è del resto specchio della ritrosia degli Stati a valersi di tale strumento, le cui implicazioni, soprattutto sul piano politico, sono indubbiamente 'pesanti'.

115. Rule 47.1 Contents of individual applications: an application under Article 34 of the Convention shall be made on the application form provided by the Registry, unless the Court decides otherwise. It shall contain all of the information requested in the relevant parts of the application form and set out.

  1. the name, date of birth, nationality and address of the applicant and, where the applicant is a legal person, the full name, date of incorporation or registration, the official registration number (if any) and the official address;
  2. the name, occupation, address, telephone and fax numbers and e-mail address of the representative, if any;
  3. the name of the Contracting Party or Parties against which the application is made;
  4. a concise and legible statement of the facts;
  5. a concise and legible statement of the alleged violation(s) of the Convention and the relevant arguments; and
  6. a concise and legible statement confirming the applicant's compliance with the admissibility criteria laid down in Article 35 § 1 of the Convention.

116. Il "Registry of the Court", menzionato all'articolo 24 CEDU il quale fa rinvio al Regolamento della Corte.

117. Il giudice dello Stato convenuto non è di regola parte del comitato, tuttavia nella prassi è possibile che partecipi alla decisione ove venga chiamato a sostituire uno dei membri originali del comitato.

118. Nelle camere, diversamente da quanto visto a proposito del giudice unico e dei comitati, i giudici dello Stato convenuto possono essere chiamati a deliberare anche in merito al ricorso contro lo Stato di provenienza. La spiegazione risiede nella volontà di assicurarsi che almeno uno dei giudici chiamati a giudicare casi, che si caratterizzano per la novità della questione, conosca e comprenda pienamente il legal system e la cultura giuridica dello Stato parte in causa; in tale ottica deve anche leggersi la possibilità alla cui stregua, ove il giudice rappresentativo dello Stato convenuto non sia parte della Camera incaricata, venga nominato in qualità di giudice ad hoc per esprimere la propria opinion.

119. Article 43 ECHR. Referral to the Grand Chamber: within a period of three months from the date of the judgment of the Chamber, any party to the case may, in exceptional cases, request that the case be referred to the Grand Chamber.

A panel of five judges of the Grand Chamber shall accept the request if the case raises a serious question affecting the interpretation or application of the Convention or the Protocols thereto, or a serious issue of general importance.

If the panel accepts the request, the Grand Chamber shall decide the case by means of a judgment.

120. Questa eccentricità può spiegarsi con il fatto che questa costruzione è il frutto di un compromesso politico: in sede di riforma del meccanismo di tutela convenzionale, alcuni Stati volevano riorganizzare la vecchia Commissione come una Corte di prima istanza e creare una Corte più piccola con la competenza di riesaminare le decisioni in quei casi delicati e di forte valenza politica; altri invece volevano che fosse creata un'unica Corte, le cui decisioni non fossero suscettibili di essere riesaminati. Il risultato della mediazione delle due posizioni è dunque una simile scelta compromissoria, che sembra tuttavia indebolire il sistema globalmente considerato: la possibilità sempre aperta di un riesame delle sentenze da parte della Grande Chambre dà luogo a un indebolimento della "forza" delle pronunce "ordinarie" rese dalle Camere. Paradigmatica in tal senso la vicenda italiana del caso Lautsi: dopo la lapalissiana codardia di tutte le istanze giurisdizionali italiane, timorose di dare applicazione integrale al principio fondamentale della laicità dello Stato (ex multis: Consiglio di Stato, precisamente sez. II parere 63/1988 e Sez. VI, n. 556/2006; Corte di Cassazione, precisamente Cass. Pen. Sez. III, n. 10/1999; Cass. Pen. Sez. IV, n. 4273/2000; Corte Costituzionale, precisamente ord.. n. 389/2004), la vicenda è approdata al giudice europeo di Strasburgo. La sentenza che condannava lo Stato italiano per violazione convenzionale, Lautsi c. Italia del 3 novembre 2009, è stata rovesciata grazie alla tempestiva (e politicamente pregnante) richiesta di riesame da parte del governo italiano, concretizzata nel giudizio della Grande Camera del 18 marzo 2011, con cui si è stabilito che l'esposizione del crocifisso in una scuola pubblica non viola il diritto dei genitori di educare e istruire i figli secondo le proprie convinzioni religiose e filosofiche.

121. In seguito ad alcune sentenze di condanna della Corte di Strasburgo (tra cui si ricordi la sen. GC Christine Goodwin c. Regno Unito, 11 luglio 2002, n. 28957/98) nell'ordinamento del Regno Unito sono state introdotte delle norme tese a rafforzare i diritti delle persone transessuali, come il Gender Recognition Act del 2004. Tale normativa prevede che gli individui transessuali possano fare domanda al Gender Recognition Panel per ottenere un certificato di riconoscimento del genere di riassegnazione post operatoria, sulla base del quale essi vengono completamente integrati dal punto di vista legale nel sesso acquisito dopo l'intervento, anche ai fini assistenziali e previdenziali. Un altro esempio calzante e diametralmente opposto che può farsi è quello che riguarda le novazioni del codice di procedura penale italiano avvenute sulla spinta di varie pronunce di condanna della Core europea di Strasburgo ex articolo 6 ECHR (tra le quali si ricorda la sen. GC Sedjovic c. Italia, 1 marzo 2006, n. 56581/00). Al fine di introdurre un regime maggiormente garantista nei confronti dell'imputato contumace si è ad esempio modificato il regime delle notificazioni, introducendo il comma 8 bis all'articolo 157 c.p.p. nonché il regime della rimessione nel termine ex articolo 175 c.p.p.

122. La vera e propria consacrazione del ruolo della Corte europea di Strasburgo nel sistema e dell'importanza della sua opera interpretativo-applicativa è ascrivibile al novero delle numerose conseguenze della ristrutturazione del meccanismo convenzionale operata con il Protocollo n. 11. Si ricordi che alla stregua dell'articolo 32 ECHR "the jurisdiction of the Court shall extend to all matters concerning the interpretation and application of the Convention and the Protocols thereto".

123. Nella sentenza della Corte Costituzionale italiana n. 348/2007 (considerando in diritto 4.3) si legge infatti che "la CEDU presenta, rispetto agli altri trattati internazionali, la caratteristica peculiare di aver previsto la competenza di un organo giurisdizionale, la Corte europea per i diritti dell'uomo, cui è affidata la funzione di interpretare le norme della Convenzione stessa. [...] Poiché le norme giuridiche vivono nell'interpretazione che ne danno gli operatori del diritto, i giudici in primo luogo, la naturale conseguenza [...] è che tra gli obblighi assunti dall'Italia con la sottoscrizione e ratifica della CEDU vi è quello di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte specificatamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione".

124. M. De Salvia, La Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Editoriale Scientifica, Napoli 2001, pag. 67.

125. "la Convenzione con la quale la corte lavora ha ormai raggiunto un'età di quasi sessant'anni e, essendo stata concepita dai padri fondatori come testo di base, si è dimostrata - proprio in considerazione del suo carattere elementare - uno strumento obsoleto, che non è stato mai modificato attraverso un intervento legislativo, per lo meno per quanto riguarda le previsioni principali. Questi due fattori, ovvero la natura basilare delle sue previsioni e l'età dello strumento, hanno agito come forze propulsive per un'interpretazione evolutiva delle sue clausole da parte della corte. Il testo della Convenzione richiede la specificazione dei concetti e delle nozioni che contiene, e il passare del tempo in un mondo in rapida evoluzione (e in un'Europa che evolve rapidamente) richiede che a tale specificazione sia dato in ogni singolo caso un significato attuale, accettabile nelle società europee al momento dell'applicazione della norma da parte della corte". B. Markesinis, J. Fedtke, Giudici e diritto straniero. La pratica del diritto comparato, Il Mulino, Bologna, 2009, pagg. 448-449.

126. Sen. Irlanda c. Regno Unito, 17 gennaio 1978, n. 5310/71 in cui "[the Court's] judgments in fact serve not only to decide those cases brought before the Court but, more generally, to elucidate, safeguard and develop the rules instituted by the Convention, thereby contributing to the observance by the States of the engagements undertaken by them as Contracting Parties" (par. 154).

127. Andreana Esposito ribadisce fermamente l'esigenza di evitare l'uso in forma di endiadi del sintagma "interpretazione dinamica ed evolutiva" e postula la necessità di una distinzione dei due concetti, non fosse altro che per la loro differente origine etimologica. L'Autrice sottolinea infatti che "se entrambe le espressioni danno l'idea del movimento, è solo l'evoluzione ad indicare uno sviluppo progressivo che, nel caso della Convenzione, si traduce in un ampliamento o perfezionamento crescente della tutela dei diritti dell'uomo. È solo l'evoluzione che esprime il passaggio tra forme di tutela più semplici a forme di maggiore complessità. L'utilizzazione del termine dinamico implica il concetto di variazione, di un percorso (solo apparentemente) ondivago. Se i due termini indicano due concetti diversi, è ben possibile, poi, che l'attività interpretativa sia solo evolutiva o solo dinamica o, anche, al tempo stesso dinamica ed evolutiva". A. Esposito, Il diritto penale "flessibile". Quando i diritti umani incontrano i sistemi penali, Giappichelli, Torino 2008, nota 243 pag. 143.

128. Sen. Marckx c. Belgio, 13 giugno 1979 n. 6833/74 ("the Court recalls that this Convention must be interpreted in the light of present-day conditions" par. 41); conformemente, sen. Tyrer c. Regno Unito 25 aprile 1978, n. 5856 (par. 31). "Unanime è, infatti, la constatazione del carattere 'aperto' di tale giurisprudenza, il cui carattere dinamico appare consentito dallo stesso preambolo della Convenzione ove è espressa la volontà degli Stati sottoscrittori sia di promuovere lo 'sviluppo' dei diritti dell'uomo, sia di 'prendere le prime misure atte ad assicurarne la garanzia collettiva. Detti obiettivi appaiono, quindi, indicare un'attività in progress cadenzata sul ritmo dell'evoluzione della società, e tale idea della Convenzione stessa è fatta propria dalla Corte che, infatti, ne scrive come di 'uno strumento vivo, da interpretare alla luce delle condizioni attuali'". A. Giardino Carli, op. cit., pag. 16.

129. Sen. Airey c. Irlanda 9 ottobre 1979, n.6289/73, "the Convention is intended to guarantee not rights that are theoretical or illusory but rights that are practical and effective" (par. 24).

130. Il termine fa la comparsa nella sentenza Handyside c. Regno Unito 7 dicembre 1978 n. 5493/72; attualmente, il Protocollo n. 15 prevede l'introduzione nel corpo del Preambolo della CEDU di una specifica menzione alla dottrina del margine di apprezzamento. L'articolo 1 del protocollo prevede infatti che "at the end of the preamble to the Convenzion, a new recital shall be added, which shall read as follows: 'affirming that the High Contracting Parties, in accordance with the principle of subsidiarity, have the primary responsibility to secure the rights and freedoms defined in this Convention and the Protocols thereto, and that in doing so they enjoy a margin of appreciation, subject to the supervisory jurisdiction of the European Court of Human Rights established by this Convention'".

131. Nel corpus normativo convenzionale, infatti, è dato riscontrare sia una clausola generale che ammette delle limitazioni ai diritti ivi previsti sia specifiche limitazioni. In particolare la clausola generale è costituita dall'articolo 15 ECHR, che ammette limitazioni "in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione"; mentre singole ipotesi di deroga alla tutela dei diritti sono previste per il diritto alla libertà e sicurezza (art. 5 ECHR), il diritto ad un processo equo (art. 6 ECHR), diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 ECHR), libertà di pensiero, di coscienza e di religione (art. 9 ECHR), libertà di espressione (art. 10 ECHR), libertà di riunione e di associazione (art. 11 ECHR), divieto di discriminazione (art. 14 ECHR) e diritto di proprietà (art. 1 protocollo addizionale n. 1).

132. Ruolo di controllo sussidiario che in particolare valorizza l'evoluzioni subite nel contesto europeo e la progressiva formazione di un consensus degli Stati Membri verso una determinata forma di protezione del diritto o verso un determinato assetto del bilanciamento di interessi contrapposti. Un esempio di superamento del velo del margine di apprezzamento può leggersi nella sen. GC Hirst c. Regno Unito, in cui la Corte di Strasburgo è chiamata a valutare la compatibilità con la Convenzione della Section 3 of the Representation of the People Act 1983("a convicted person during the time that he is detained in a penal institution in pursuance of his sentence [...] is legally incapable of voting at any parliamentary or local election"). La Corte di Strasburgo giudica negativamente l'automatismo con cui opera la limitazione del voto per i detenuti poiché il diritto inglese non configura una pena accessoria che colpisce in ragione del tipo di crimine commesso o di altre circostanze calibrate sul caso concreto. In astratto, secondo la Corte EDU, limitazioni al voto dei detenuti sono legittime e costituiscono per l'appunto concrete manifestazioni del margine di apprezzamento statale; tuttavia, la privazione di un diritto fondamentale quale il voto, conseguente ipso iure ad una detenzione, non risulta rispettosa degli standard europei. Si apre così una breccia nello scudo del margine di apprezzamento, che è ampio ma non onnicomprensivo. La disposizione inglese viene infatti sindacata dalla Corte, in quanto priva del diritto di voto una categoria di soggetti consistente e lo fa in modo indiscriminato. Sen. GC Hirst c. Regno Unito 6 ottobre 2005. Si ricorda che in data 23 novembre 2010, la Corte ha adottato una sentenza pilota (Greens e M.T. c. Regno Unito) relativamente a tale problema a causa del perdurante inadempimento della pronuncia Hirst, disponendo la sospensione dell'esame di oltre 2 500 ricorsi similari fino all'11 ottobre 2011, termine poi prorogato per altri sei mesi. Stante la mancanza di esecuzione e di iniziativa dello Stato inglese, la Corte di Strasburgo ha iniziato lo smaltimento dei ricorsi seriali della popolazione carceraria inglese il 24 settembre 2013.

Ex multis, tra la amplissima letteratura sul margine di apprezzamento, P. Tanzarella, "Il margine di apprezzamento", in M. Cartabia (a cura di), I diritti in azione: universalità e pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee, il Mulino, Bologna 2007, pag. 145 e ss.; P. Mahoney, "Judicial Activism and Judicial Self-restraint in the European Court of Human Rights: Two Sides of the Same Coin?", in Human Rights Law Journal, 1990, pag. 57 e ss.; P. Falzea, A. Spadaro, L. Ventura (a cura di), La Corte costituzionale e le Corti d'Europa. Atti del seminario svoltosi a Copanello (CZ) il 31 maggio-1 giugno 2002, Giappichelli, Torino 2002, pag. 70 e ss.

133. C. L. Rozakis, "Il giudice europeo come comparatista", in B. Markesinis, J. Fedtke, op. cit., pag. 460.

134. Sen. GC Chapman c. Regno Unito, 18 gennaio 2001, n. 27238/95 in cui al par. 70 "the Court considers that, while it is not formally bound to follow any of its previous judgments, it is in the interests of legal certainty, foreseeability and equality before the law that it should not depart, without good reason, from precedents laid down in previous cases. Since the Convention is first and foremost a system for the protection of human rights, the Court must, however, have regard to the changing conditions in Contracting States and respond, for example, to any emerging consensus as to the standards to be achieved".

135. Il "precedente" cui la Corte di Strasburgo fa riferimento è ovviamente un precedente in senso generico ed atecnico: non si parla né si può parlare di vincolatività del precedente ai sensi dello stare decisis di stampo anglo-americano, poiché non è possibile configurare una trama di corti né una gerarchia nel sistema CEDU.

136. Ex multis e ad exemplum possiamo ricordare il revirement della sen. GC Pellegrin c. Francia, 8 dicembre 1999 n. 28541/95 ad opera della sen. GC Vilho Eskelinen e al. c. Finalndia, 19 aprile 2007, n. 63235/00 "the Court can only conclude that the functional criterion [developed in Pellegrin cit.], as applied in practice, has not simplified the analysis of the applicability of Article 6 in proceedings to which a civil servant is a party or brought about a greater degree of certainty in this area as intended. It is against this background and for these reasons that the Court finds that the functional criterion adopted in Pellegrin must be further developed. While it is in the interests of legal certainty, foreseeability and equality before the law that the Court should not depart, without good reason, from precedents laid down in previous cases, a failure by the Court to maintain a dynamic and evolutive approach would risk rendering it a bar to reform or improvement. Pellegrin should be understood against the background of the Court's previous case-law and as constituting a first step away from the previous principle of inapplicability of Article 6 to the civil service, towards partial applicability. It reflected the basic premise that certain civil servants, because of their functions, are bound by a special bond of trust and loyalty towards their employer. However, it is evident from the cases decided since that in very many Contracting States access to a court is accorded to civil servants, allowing them to bring claims for salary and allowances, even dismissal or recruitment, on a similar basis to employees in the private sector. The domestic system, in such circumstances, perceives no conflict between the vital interests of the State and the right of the individual to protection. Indeed, while neither the Convention nor its Protocols guarantee a right of recruitment to the civil service, it does not follow that in other respects civil servants fall outside the scope of the Convention" (par. 55-57).

137. "La référence au 'précédent' signifie l'existence d'une solution satable à une question de droit et vient encadrer l'office du juge national, en lui permettent de détermner quel arret de la Cour est applicable au cas qui lui est soumis. L'autorité du précédent conforte l'autorité de l'interprétation de la Convention donnée par la Cour et traduit en termes juridiques cette évidence que la jurisprudence de la Cour fait corps avec la Convention". F. Sudre, op. cit., pagg. 822-823.

138. V. Zagrebelsky, "Violazioni 'strutturali' e Convenzione europea dei diritti umani: interrogativi a proposito di Broniowski", in Diritti umani e diritto internazionale 2/2008, pag. 7.

139. "The process of application of the Convention has been, to a considerable extent, transformed into the process of application of the case law of the Strasbourg Court". L. Garlicki, "Some observation on Relations Between the European Court of Human Rights and the Domestic Jurisdiction", in J. Iliopoulos-Strangas (a cura di), Cours suprêmes nationales et cours européennes: concurrence ou collaboration?, Bruylant, Bruxelles 2007, pag. 305.

140. O. Pollicino, op. cit., pag. 113.

141. Implicitamente, già nella sen. Pellegrini c. Italia 20 luglio 2001 n. 30882/96 (riguardante la delibazione di una sentenza ecclesiastica di annullamento del matrimonio, resa in violazione dell'articolo 6 CEDU), la Corte aveva ventilato la necessità che i giudici degli Stati Membri interpretassero le normative nazionali di pertinenza "convenzionale" tenendo in debito conto la giurisprudenza europea.

142. La sen. Scordino e al. c. Italia (No. 1) del 27 marzo 2003 n. 36813/97 prende le mosse da una vicenda di espropriazione per pubblica utilità in cui la durata del procedimento di determinazione dell'indennità, infarcito di ricorsi giurisdizionali, si pone nettamente in contrasto con il principio fondamentale della ragionevole durata del processo. A motivo di tale violazione, gli Scordino ricorrevano in Corte d'Appello, ai sensi della legge n. 89 del 2001 (la cosiddetta "Legge Pinto") per ottenere un'equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo; il giudice italiano, accogliendo la doglianza, accordò un risarcimento dei danni morali e materiali subiti pari alla somma di 2.450 euro, secondo una valutazione che si discostava, in negativo, dai criteri elaborati dalla giurisprudenza europea, espressamente richiamati all'articolo 2 n.1 di tale legge. Pertanto, relativamente al profilo di tale violazione, i ricorrenti decisero di rivolgersi direttamente alla Corte EDU e di non impugnare la decisione dinanzi la Corte di Cassazione, formalmente evitando di percorrere fino in fondo la strada dei rimedi interni nazionali, imposta nel disegno convenzionale dall'articolo 35 CEDU.

143. Sen. Scordino e al. c. Italia, cit. al punto 3 in cui "althought there is no formal obligation on Contracting States to incorporate the Convention in their domestic legal system, it follows from the principle of subsidiarity outlined above that the national courts must, where possibile, interpret and apply domestic law in accordance with the Convention. While is primarily for the national authorities to interpret and apply domestic law, the Court is in any event required to verify whether the way in which domestic law is interpreted and applied produces consequences that are consistent with the principles of the Convention, of which the Court's case-law is an integral part".

144. Si veda supra, nota 104, sub par. 4.2.3. "La ricevibilità dei ricorsi".

145. Esemplare in tale senso è la stessa vicenda italiana in tema di ragionevole durata del processo, per una ricostruzione sintetica ed efficace della quale si veda A. Esposito, op. cit., pag. 57 e ss.

146. La vera e propria rivoluzione dell'adozione dello Human Rights Act del 1999 nel sistema giuridico del Regno Unito può indubbiamente essere letta come un tentativo di arginare il numero di ricorsi sempre più frequente al giudice europeo. Per arginare e tamponare ciò che veniva vissuto alla stregua di una vera e propria espropriazione di sovranità, il Parlamento inglese ha introdotto il catalogo scritto di diritti e il meccanismo della dichiarazione di non convenzionalità delle previsioni. Sintomatico della polemica che agita tutt'ora le sponde dei territori inglesi è il dibattito attuale, che verte sulla possibilità di sostituire lo Human Rights Act del '99 con il cosiddetto British Human Rights Act.

147. S. Campailla, "L'obbligo di interpretazione conforme tra diritto dell'Unione, Convenzione europea dei diritti dell'uomo e ruolo della Corte di Strasburgo", in Processo penale e Giustizia, fasc. 4/2012, pag. 104.

148. Il protocollo n. 16 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo è aperto alla firma e ratifica degli Stati Membri dal 2 ottobre 2013 ed entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo alla scadenza di un periodo di tre mesi dalla data in cui dieci Alte Parti contraenti della Convenzione avranno espresso il loro consenso a essere vincolate dal Protocollo (art. 8). Attualmente, non è stato ratificato da nessuno Stato, ma solo firmato da Albania, Armenia, Estonia, Finlandia, Francia, Georgia, Italia, Lituania, Paesi Bassi, Norvegia, Romania, San Marino, Slovacchia, Slovenia, Turchia e Ucraina.

149. La facoltà di chiedere pareri consultivi su questioni di principio di interpretazione o applicazione dei diritti e delle libertà definiti nella Convenzione e nei suoi protocolli compete alle "più alte giurisdizioni" delle Alte Parti Contraenti e da queste indicate. Nell'explanatory report alla riforma protocollare si precisa che "questa formulazione è volta a evitare potenziali complicazioni permettendo una certa libertà di scelta. La locuzione 'le più alte giurisdizioni' fa riferimento alle autorità giudiziarie al vertice del sistema giudiziario nazionale. L'uso dei termini 'le più alte' invece di 'la più alta' permette la potenziale inclusione di quelle autorità giudiziarie che, sebbene inferiori alla corte costituzionale o alla corte suprema, sono tuttavia di particolare rilevanza in quanto sono le 'più alte' per una particolare tipologia di cause. Questo, unito al requisito che una Alta Parte contraente deve specificare quale alta giurisdizione può richiedere un parere consultivo, consente la necessaria flessibilità per tenere conto dei diversi sistemi giudiziari nazionali".

150. Il tema sarà oggetto di specifica analisi nel prosieguo della trattazione, cfr. in particolare il par. "4.3.1. Segue: un confronto nominale tra i diritti CEDU e i diritti della Carta di Nizza" del Capitolo Due "La tutela dei diritti fondamentali nella Piccola Europa".

151. "Il processo deve dare per quanto è possibile praticamente a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello ch'egli ha diritto di conseguire" G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 1933.

152. Come rilevato da Andrea Saccucci, i due elementi che caratterizzano l'ordinamento internazionale, quali il fondamento consensualistico dei meccanismi di aggiudicazione e l'assenza di un apparato coercitivo globale, se da un lato acuiscono la necessità e utilità della tutela cautelare in questo specifico contesto, dall'altro però la espongono a problematiche specifiche, sconosciute agli ordinamenti nazionali. A. Saccucci, Le misure provvisorie nella protezione internazionale dei diritti umani, Torino, Giappicchelli 2005, pag. 4 e ss.

153. Con "giustizia internazionale classica" si intende designare la forma tipica di giustizia internazionale la quale consiste nella risoluzione di controversie tra Stati in una posizione di pari sovranità ed è tesa all'accertamento di diritti e obblighi reciproci.

154. È necessaria una precisazione in merito alla terminologia che sul piano internazionale viene impiegata per designare i provvedimenti con cui si esplica la tutela che abbiamo definito cautelare. Suddetta terminologia è infatti estremamente variegata, poiché, tanto da parte del diritto internazionale che da parte della dottrina internazionalistica, viene fatto riferimento a misure interinali, a misure provvisorie, a misure precauzionali o a misure conservative; si tratta tuttavia di termini fra loro equipollenti e suscettibili di essere impiegati sinonimicamente.

155. Utile e necessario un breve raffronto con i due modelli di tutela dei diritti fondamentali regionali che costituiscono i termini di paragone prediletti rispetto alla CEDU: la Convenzione Americana dei Diritti dell'Uomo (CADU) e la Carta Africana dei Diritti dell'Uomo e dei Popoli (CADUP), per le quali cfr. supra nota 15. In entrambe le esperienze, cronologicamente successive, si ricordi, alla compiuta elaborazione e messa in funzionamento del meccanismo CEDU, è possibile infatti riscontrare un'espressa base giuridica del potere cautelare delle rispettive Corti. Per quanto riguarda il meccanismo interamericano, l'articolo 63.2 della CADU prevede che " in cases of extreme gravity and urgency, and when necessary to avoid irreparable damage to persons, the Court shall adopt such provisional measures as it deems pertinent in matters it has under consideration. With respect to a case not yet submitted to the Court, it may act at the request of the Commission". Per quanto riguarda invece l'esperienza del continente africano, si segnala l'articolo 27.2 del Protocollo alla CADUP relativo alla creazione di una Corte africana dei diritti dell'uomo e dei popoli, il quale prevede che "in cases of extreme gravity and urgency, and when necessary to avoid irreparable harm to persons, the Court shall adopt such provisional measures as it deems necessary".

156. In realtà, nel Progetto di Convenzione predisposto dal Movimento europeo, nel contesto di vivo europeismo della fine degli Anni Quaranta a L'Aja (per il quale cfr. supra paragrafo 1 "Il Consiglio d'Europa, culla istituzionale della CEDU"), era dato rinvenire la specifica previsione di un potere cautelare in capo alla Corte Europea. Si prevedeva infatti che fosse possibile per quest'ultima prescrivere, nel caso in cui lo esigessero le circostanze, tutte le misure provvisorie necessarie a preservare i rispettivi diritti di ciascuna parte. L'introduzione di tale base giuridica tuttavia vene ben presto accantonata: i Lavori Preparatori della Convenzione "ufficiale" non contengono tracce di alcuna discussione in merito ad un'eventuale tutela cautelare europea. W. Lipgens, A History of European Integration, Clarendon Press, Oxford 1982.

157. Per una puntuale ricostruzione, A. Saccucci, op. cit., pagg. 14 e ss.

158. I Lavori Preparatori dell'articolo 50 ECHR (attuale articolo 41 ECHR) forniscono un vivido spaccato delle opposte posizioni che si scontravano in merito agli aspetti "chiave" del meccanismo di tutela dei diritti umani europeo, come quello in merito all'efficacia e al contenuto delle sentenze con cui fossero state riscontrate violazione dei diritti umani. A mero titolo esemplificativo, ricordiamo le opposte posizioni, emerse già nel corso della prima Assemblea Consultiva del Consiglio d'Europa nell'agosto '49, di Churchill, secondo il quale "the Court would, of course, have no sanctions and would depend on enforcement of their judgement on the individual decision of the States now banded together in the Council of Europe", e del delegato francesce Teitgen, che riteneva opportuno che "the Curt could set aside governmental decisions, and legislative administrative or legal measures which were clearly contrary to the principle of the guaranteed rights".

159. Non è un caso infatti che le altre istanze di tutela internazionale dei diritti umani americana e africana, le quali prevedono all'interno dei propri trattati istitutivi un'espressa base giuridica formale per l'adozione di misure cautelari, siano altresì dotate del potere di adottare sentenze dal contenuto ben più ampio di quanto, stricto sensu, la CEDU preveda. In particolare, ricordiamo l'articolo 63.1 CADU secondo cui "if the Court finds that there has been a violation of a right or freedom protected by this Convention, the Court shall rule that the injured party be ensured the enjoyment of his right or freedom that was violated. It shall also rule, if appropriate, that the consequences of the measure or situation that constituted the breach of such right or freedom be remedied and that fair compensation be paid to the injured party"); l'articolo 27.1 del Protocollo di emendamento alla CADUP: "if the Court finds that there has been violation of a human or peoples' right, it shallmake appropriate orders to remedy the violation, including the payment of faircompensation or reparation". Si noti che sistematicamente in entrambe la Carte abbiamo un articolo, distinto in due comma, di cui il primo è dedicato ai poteri della Corte e al contenuto della sentenza di condanna nei confronti dello Stato, mentre il secondo contiene la base legale per il potere cautelare delle istituzioni: il legame tra i due aspetti è così reso più che manifesto.

A mero titolo esemplificativo e indubbiamente ex multis, possiamo fare un esempio del contenuto ben più ampio che le pronunce della Corte Interamericana possono assumere prendendo come riferimento la sentenza Gonzáles y otros c. Mexico del 16 novembre 2009, avente ad oggetto la scomparsa e l'omicidio di alcune (tra le molte) donne a Ciudad Juárez, la Santa Teresa di Roberto Bolãno. In questa sentenza, la Corte Interamericana, oltre al ristoro economico, impone anche altre misure allo Stato Messicano, chiedendo: la diffusione della sentenza dai mezzi di comunicazione, un riconoscimento pubblico della responsabilità dello Stato (che, in una vicenda in cui non vi è un colpevole ben identificato ma uno stato di impunità generalizzato, appare piuttosto significativa), un monumento in memoriam delle vittime la cui vicenda ha originato il ricorso, l'obbligo per lo Stato di dare vita a una serie di programmi che favoriscono la cultura dei diritti delle donne e dell'uguaglianza nei confronti di poliziotti, giudici e militari e di tutti i cittadini, dettagliatamente individuati nelle loro linee già nella stessa sentenza. L. Cappuccio, "La Corte interamericana ed il caso della sparizione delle donne a Ciudad Juárez", in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2/2011, pagg. 390 e ss.

160. La Corte europea ritenne opportuno sin dal 1959 inserire nelle proprie norme procedurali una disposizione dedicata alle misure interinali. La rule 34 della prima versione del suo regolamento prevedeva che "before the constitution of a Chamber, the President of the plenary Court may, at the request of a Party, of the Commission, of any person concerned or proprio motu, bring to the attention of the Parties any interim measure the adoption of which seems desirable. The Chamber, when constituted or, if the Chamber is not in session, its President, shall have the same right. Notice of these measures shall be immediately given to the Committee of Ministers". Le evoluzioni e gli emendamenti subiti nel tempo dalla previsione regolamentare sono ricostruiti nella monografia di Saccucci sul tema, al quale si rimanda. A. Saccucci, op. cit., pagg. 27 e ss.

La Commissione, nonostante rivestisse nella prima versione del meccanismo CEDU il ruolo di filtro di ammissibilità dei ricorsi e fosse dunque il luogo privilegiato cui avanzare richieste in tema di misure provvisorie, si dotò di una specifica previsione solo nel 1974, in armonia con la "strategia della rassicurazione" nei confronti dei riottosi Stati membri. La Rule 36 del regolamento della Commissione, introdotto appunto nel 1974, prevedeva che "the Commission, or when it is not in session, the President may indicate to the parties any interim measure the adoption of which seems desirable in the interest of the parties or the proper conduct of the proceedings before it".

161. In particolare, l'attuale Rule 39 fu introdotta nel sistema dall'appena insediata nouvelle Cour nel suo germe essenziale nel regolamento di procedura adottato il 4 novembre 1998, quindi ben prima del significativo revirement giurisprudenziale in tema di efficacia delle misure cautelari, effettuato dalla Grande Camera nel 2005 con la sentenza Mamatkulov e Askarov, per cui cfr. infra. Al par. 6.1 "Il revirement giurisprudenziale sull'efficacia delle misure provvisorie".

Riportiamo il testo della Rule 39 nella versione aggiornata per tenere seguito alle modifiche strutturali del meccanismo convenzionale, al 14 gennaio 2013.

Rule 39. Interim measures: the Chamber or, where appropriate, the President of the Section or a duty judge appointed pursuant to paragraph 4 of this Rule may, at the request of a party or of any other person concerned, or of their own motion, indicate to the parties any interim measure which they consider should be adopted in the interests of the parties or of the proper conduct of the proceedings.

Where it is considered appropriate, immediate notice of the measure adopted in a particular case may be given to the Committee of Ministers.

The Chamber or, where appropriate, the President of the Section or a duty judge appointed pursuant to paragraph 4 of this Rule may request information from the parties on any matter connected with the implementation of any interim measure indicated.

The President of the Court may appoint Vice-Presidents of Sections as duty judges to decide on requests for interim measures.

163. Ex multis, sen. GC Mamatkulov and Askarov v. Turkey 4 febbraio 2005 nn. 46827/99 46951/99 "in practice the Court applies Rule 39 only if there is an imminent risk of irreparable damage" (par. 104); sen. GC Paladi v. Moldova 10 marzo 2009 n. 39806/05 "furthermore, the Court would stress that where there is plausibly asserted to be a risk of irreparable damage to the enjoyment by the applicant of one of the core rights under the Convention, the object of an interim measure is to preserve and protect the rights and interests of the parties in a dispute before the Court, pending the final decision" (par. 86-90).

164. Nella celebre sentenza Soering c. Regno Unito del 7 luglio 1989, n. 14038/88, tuttavia, la Corte ventila l'impiego delle misure cautelari anche in relazione al rischio di una violazione dell'articolo 6 ECHR: "The right to a fair trial in criminal proceedings, as embodied in Article 6, holds a prominent place in a democratic society. The Court does not exclude that an issue might exceptionally be raised under Article 6 by an extradition decision in circumstances where the fugitive has suffered or risks suffering a flagrant denial of a fair trial in the requesting country" (par. 113).

165. Harris, O'Boyle & Warbick, Law of the European Convention on Human Rights, Oxford Univeristy Press, Oxford 2009, pag. 844 e ss.

166. ECHR, Pratice Direction. Request for Interim Measures, I. Accompanying information: any request lodged with the Court must state reasons. The applicant must in particular specify in detail the grounds on which his or her particular fears are based, the nature of the alleged risks and the Convention provisions alleged to have been violated. A mere reference to submissions in other documents or domestic proceedings is not sufficient. It is essential that requests be accompanied by all necessary supporting documents, in particular relevant domestic court, tribunal or other decisions, together with any other material which is considered to substantiate the applicant's allegations.

The Court will not necessarily contact applicants whose request for interim measures is incomplete, and requests which do not include the information necessary to make a decision will not normally be submitted for a decision. Where the case is already pending before the Court, reference should be made to the application number allocated to it. In cases concerning extradition or deportation, details should be provided of the expected date and time of the removal, the applicant's address or place of detention and his or her official case-reference number. The Court must be notified of any change to those details (date and time of removal, address etc.) as soon as possible.

The Court may decide to take a decision on the admissibility of the case at the same time as considering the request for interim measures.

167. Ex multis e ad exemplum: sen. Ben Khemais c. Italia 24 febbraio 2009 n. 246/07.

168. Ex multis e ad exemplum: sen. GC Shamayev e altri c. Georgia e Russia, 12 aprile 2005 n. 36378/02.

169. Il numero sempre crescente di istanze cautelari, provenienti in massima parte dai migranti irregolarmente presenti sul territorio di uno degli Stati membri, ha determinato l'esposizione della Corte ad attacchi da parte di alcune (frange estremiste) delle Parti Contraenti, come l'attribuzione del polemico epiteto di immigration tribunal. B. Randazzo, op. cit., pag. 62.

170. Ex multis e ad exemplum: sen. GC Al-Saadoon e Mufdhi c. Regno Unito, 2 marzo 2010, n. 61498/08.

171. Ex multis e ad exemplum: sen. GC M.S.S. c. Belgio e Grecia, 21 gennaio 2011, n. 30696/09. La pronuncia in questione si segnala altresì in quanto interente al tema dei trasferimenti operati tra gli Stati membri dell'Unione europea sulla base del Regolamento Dublino II: si tratta pertanto di uno di quei casi in cui la Corte europea di Strasburgo ha dato luogo al sindacato indiretto del diritto dell'Unione europea, tematica che sarà trattata più ampliamente sub Capitolo III "Il case study dei diritti dei migranti".

172. Ex multis e ad exemplum: sen. GCÖcalan c. Turchia, 12 maggio 2005, n. 46221/99.

173. Ex multis e ad exemplum: sen. Patané c. Italia, decisione 3 dicembre 1986, n. 11488/85; sen. Baran e Hun c. Turchia, 22 maggio 2010, n. 30685/05.

174. Ex multis e ad exemplum: decisione Eskinazi e Chelouche c. Turchia 6. dicembre 2005, n.14600/05; sen. GC Evans c. UK, 10 aprile 2007, n. 6339/05 che si segnala per essere una delle pronunce della Corte nell'ambito della bioetica.

175. L'originale rule 34 del regolamento di procedura della Corte, datata 1954, prevedeva infatti che le misure che sembrassero necessarie fossero portate all'attenzione dello Stato interessato ("bring to the attention of the Parties any interim measure the adoption of which seems desirable"). La rule 36 del regolamento della Commissione, datato 1974, prevedeva del pari che la Commissione avesse la facoltà di indicare allo Stato Membro chiamato in causa le misure cautelari che si ritenessero necessarie ("the Commission may indicate to the parties any interim measure the adoption of which seems desirable"). Le misure erano quindi meramente indicate agli Stati e la possibilità di dare seguito a tali indicazioni era ritenuta desiderabile o consigliabile.

176. Nel corso degli Anni Ottanta si moltiplicarono infatti le ipotesi in cui gli Stati non davano seguito alle misure indicate, invocandone la natura di mere raccomandazioni e la loro non obbligatorietà, sfruttando le possibilità lasciate aperte dalle formulazioni non cogenti dei regolamenti di procedura delle istituzioni europee, nonché della mancanza formale di menzione delle misure cautelari nel testo convenzionale.

177. Sen. Cruz Varas e al. c. Svezia, 20 marzo 1991, n. 15576/89. La vicenda da cui si originò il verdetto della Corte europea riguarda un caso di espulsione dallo Stato svedese verso il Cile: Cruz Varas, oppositore politico in patria del regime del generale Pinochet, era entrato con la propria famiglia illegalmente nel territorio svedese, ed ivi aveva richiesto asilo politico; il rigetto della status di rifugiato venne accompagnato da un ordine di espulsione dalla Svezia. Cruz Varas, deducendo il rischio di essere sottoposto a violazione sistematica del diritto ex articolo 3 CEDU (divieto di tortura, trattamenti o pene inumane e degradanti) adiva la Commissione europea richiedendo la sospensiva del provvedimento di espulsione. Il governo svedese rifiutò espressamente di dare seguito a questo provvedimento, ribadendone il carattere meramente raccomandatario ed esortativo, significativamente riagganciandosi alla natura meramente dichiarativa delle sentenze della Corte EDU con cui l'organo giurisdizionale dava luogo all'accertamento delle violazioni della CEDU. In seguito all'adozione del rapporto sul merito ad opera della Commissione, quest'ultima e lo Stato svedese adirono entrambi la Corte di Strasburgo.

178. Si ricordi che alla fine degli Anni Ottanta, nel momento in cui si svolge la vicenda di Cruz Varas, la (quasi) totalità degli Stati Membri aveva accettato la clausola dell'individual petition, che era dunque ormai tendenzialmente generalizzato nel sistema della Convenzione.

179. La decisione sulla insussistenza di una violazione dell'articolo 25 CEDU fu adottata con una maggioranza molto risicata (dieci a nove) e furono allegate una joint dissenting opinion, dei giudici Cremona, Thor Vilhjàlmsson, Walsh, Macdonald, Bernhardt, De Meyer, Martens, Foighel e Morenilla nonché una seperate opinion del giudice De Meyer; indice della scarsità di consensus in seno alla stessa Corte sulla questione.

180. La sentenza Cruz Varas e al. c. Svezia è pronunciata nel 1990, quindi prima della pietra miliare della Corte Internazionale di Giustizia sen. Germania c. USA, 27 giugno 2001, il cosiddetto caso "Le Grand" con cu la ICJ ha affermato la natura vincolante delle misure cautelari ai sensi dell'articolo 41 della Carta delle Nazioni Unite.

181. Nelle parole della Corte europea manca infatti la convinzione che le misure cautelari diano vita a un obbligo giuridicamente pregnante e coercibile in capo agli Stati ("belief that these indications give rise to a binding obligation"), poiché esse vengono eseguite solamente in virtù di una forma di cooperazione in buona fede tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa e la Commissione, nei casi in cui l'adozione della misura appare condivisibile ("a good faith cooperation with the Commission in cases where this was considered reasonable and practicable").

182. Sen. GC Mamatkulov e Askarov c. Turchia, cit., par. 92-128.

183. Ad exemplum, sen. Olaechea Cahuas c. Spagna, 10 agosto 2006, n. 2466.

184. Ad exemplum, sen. GC Paladi c. Moldova, 10 marzo 2009, n. 39806/05.

185. Tra le funzioni del Comitato dei Ministri, vi è quella, prevista all'articolo 46.2 ECHR, di supervisore dell'esecuzione delle sentenze della Corte EDU ("the final judgment of the Court shall be transmitted to the Committee of Ministers, which shall supervise its execution"). I Delegati dei Ministri si riuniscono regolarmente, quattro volte l'anno (nella formazione specificatamente dedicata al tema "diritti dell'uomo" DH/HR); a conclusione delle riunioni viene adottata una risoluzione finale o, eccezionalmente, una risoluzione interinale sullo stato dell'esecuzione delle pronunce della Corte da parte degli Stati Membri coinvolti. È utile ricordare che il persistere dell'inadempimento del contenuto prescritto di una sentenza europea può dare luogo alla sospensione dello Stato inadempiente, che viene dunque a perdere i propri diritti derivanti dalla partecipazione all'organizzazione internazionale. In seguito, il protrarsi della situazione di mancata tutela dei diritti umani può arrivare a configurarsi come una violazione dell'articolo 3 dello Statuto del Consiglio d'Europa e dunque dare luogo all'espulsione dal sistema internazionale dello Stato. Una simile situazione si è verificata alla fine degli Anni Sessanta, con il caso dell'espuLsione della Grecia a seguito del colpo di Stato del 1967. In seguito alle riforme del protocollo n. 14, il Comitato dei Ministri è stato dotato di nuove e importanti funzioni relativamente alla fase di esecuzione delle sentenze della Corte europea. Il vigente articolo 46.3 ECHR prevede infatti che il Comitato possa richiedere alla Corte un parere su questioni giuridiche di interpretazione sulla sentenza resa ("if the Committee of Ministers considers that the supervision of the execution of a final judgment is hindered by a problem of interpretation of the judgment, it may refer the matter to the Court for a ruling on the question of interpretation. A referral decision shall require a majority vote of two thirds of the representatives entitled to sit on the committee") e l'articolo 46.4 ECHR introduce una 'procedura di infrazione' con cui il Comitato dei Ministri, in caso di perdurante inadempimento di una sentenza della Corte europea, può far giudizialmente accertare tale situazione ("if the Committee of Ministers considers that a High Contracting Party refuses to abide by a final judgment in a case to which it is a party, it may, after serving formal notice on that Party and by decision adopted by a majority vote of two thirds of the representatives entitled to sit on the committee, refer to the Court the question whether that Party has failed to fulfil its obligation [to abide by the judgement]"). Entrambe le disposizioni trovano riscontro e specificazione nell'ambito del regolamento interno del Comitato dei Ministri, Rules of the Committee of Ministers for the supervision of the execution of judgments and of the terms of friendly settlements, adottate il 10 maggio 2006, in particolare la Rule 10 "Referral to the Court for interpretation of a judgment" e Rule 11 "Infringement Proceedings". N. Ronziti, Introduzione al diritto internazionale, Giappichelli Editore, Torino 2013, pag. 313.

186. La legittimazione dell'esame delle prassi istituzionali proprie della fase esecutiva deriva dalle ordinarie regole di diritto internazionale comune, in particolare dalle regole sull'interpretazione dei trattati internazionali. A questo proposito viene dunque in rilievo uno specifico strumento, ovvero la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, adottata il 23 maggio 1969 ed entrata in vigore il 27 gennaio 1980, successivamente quindi alla Convenzione europea. Tuttavia, poiché per opinione comune si ritiene che la Convenzione sul diritto dei trattati contenga una ricognizione dei principî generali del diritto internazionale in materia, essa può trovare applicazione anche in riferimento alla CEDU. In senso conforme si è pronunciata sin da subito la stessa Corte europea: sen. Golder c. Regno Unito 21 febbraio 1975 par. 29-30; 34-36; sen. James et al. c. Regno Unito 21 febbraio 1986 par. 64; sen. Cruz Varas c. Svezia 20 marzo 1991 par. 95. Pertanto, alla stregua del disposto ex articolo 31.3 lett. b) della Convenzione di Vienna ("si terrà conto, oltre che del contesto, di qualsiasi prassi successivamente seguita nell'applicazione del trattato attraverso la quale si sia formato un accordo delle parti in materia di interpretazione del medesimo") risulta legittimo e anzi essenziale ai fini interpretativo-ricostruttivi valutare la prassi seguita dagli attori coinvolti nella fase di esecuzione delle sentenze europee.

Sul punto si veda il commento di P. Pirrone, sub articolo 46 in S. Bartole, V. Zagrebelsky, P. De Sena, S. Allegrezza (a cura di), op. cit., pag. 744 e ss.

187. "The enforcement of final judgments is a critical component of any rule of law system. [...] However, the judgment of an international court implies a delicate balance between international jurisdiction and national sovereignity. Its enforcement therefore calls for different type of procedure from that applicable to national proceedings, involving, among other things, dialogue and cooperation. This can also be expressed in terms of a shared responsibility between the different actors, including, for the Convention system, the Court, the Committee of Ministers, the Governments and the national courts". Implementation of the judgement of the Europen Court of Human Rights: a shared judicial responsibility? (Seminar background paper), reperibile sul sito istituzionale della Corte.

188. Si ricordi che l'attuale articolo 41 ECHR corrispondeva, prima della riforma protocollare del '98, all'articolo 50 ECHR e l'attuale articolo 46 ECHR all'ex articolo 53 ECHR.

189. Si veda supra nota 158.

190. In particolare il vero e proprio antecedente dell'attuale articolo 41 CEDU è stato riscontrato nella clausola di cui all'articolo 10 del Traité d'arbitrage et de conciliation entre la Confédération suisse et le Reich allemand, del 3 dicembre 1921 («la sentence arbitrale contiendra l'indication du mode selon lequel son exécution sera assurée, en particulier, l'indication des délais qui devront être observés à cet égard. Si, dans une sentence arbitrale, il est établi qu'une décision ou mesure d'une instance judiciaire ou d'une autre autorité d'une Partie se trouve entièrement ou partiellement en opposition avec le droit des gens et si le droit constitutionnel de cette Parite ne permet pas ou ne permet qu'imparfaitement d'effacer par des mesures administratives les conséquences de la décision ou mesure dont il s'agit, la sentence arbitrale accordera à la Partie lésée une satisfaction équitable d'un autre ordre»). P. Pirrone, L'obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, Giuffrè editore, Milano 2004, pagg. 48 e ss.

191. La pietra miliare sul punto è la sentenza della Corte Permanente di Giustizia Officine di Chorzow del 13 settembre 1928. I principî classici in tema di riparazione dell'illecito prevedevano che lo Stato che avesse violato il diritto internazionale e di cui fosse stata accertata la responsabilità (internazionale) avesse la specifica obbligazione di ripristinare lo status quo ante la violazione da lui realizzata. La regola generale constava di due eccezioni che ne impedivano l'applicabilità, incentrate sull'impossibilità materiale e giuridica di dar corso alla restituzione in pristino. La prima, in ossequio al principio ad impossibilia nemo tenetur, si verificava quando lo Stato responsabile versava nell'impossibilità materiale di dare luogo alla restitutio in integrum; lo Stato poteva liberarsi della propria obbligazione attraverso una riparazione per equivalente. L'altra eccezione riguardava invece i casi di impossibilità giuridica e i soli impedimenti che rilevavano al fine di escludere l'operatività del principio generale erano quelli riconducibili al solo diritto internazionale, non anche al diritto interno dello Stato. Si noti che la prima dottrina sull'articolo 41 CEDU diede una lettura assai restrittiva della disposizione, trascurando di considerare la specifico oggetto della Convenzione europea, che è trattato in materia di tutela dei diritti umani. L'ex articolo 50 ECHR veniva infatti interpretato alla stregua di una lex specialis derogatoria dell'ordinario regime del diritto internazionale sopra descritto e pertanto legittimamente uno Stato poteva invocare un'impossibilità giuridica di rango interno alla realizzazione della restitutio in integrum. Secondo la dottrina dunque, nell'ambito CEDU la regola generale subiva un'ulteriore restrizione e ciò in armonia con il principio di sussidiarietà che informava il sistema nella sua interezza.

192. Tra le richieste dei ricorrenti rivolte alla Corte di Strasburgo nel corso degli anni possiamo ricordare: annullamento di una sanzione penale o disciplinare (sen. Albert and Le Compte v. Belgio, 24 ottobre 1983, n. 7299/75; 7496/76, par. 9); modifiche legislative o assicurazioni sull'interpretazione di disposizioni interne in modo conforme a Convenzione (sen. F. c. Svizzera, 18 dicembre 1987, n. 11329/85, par. 43); garanzie sulla non applicazione di sanzioni corporali in danno di fanciulli (sen. McGoff c. Svezia, 26 ottobre 1984, n.9017/80, par. 31); permessi per risiedere nel territorio dello Stato (sen. Gillow c. Regno Unito, 14 settembre 1987, n. 9063/80, par.9); garanzie di ripristino di legami all'interno della famiglia naturale ingiustamente separata (sen. W. c. Regno Unito, 9 giugno 1988, n.9749/82, par. 14); pubblicazione della sentenza della Corte europea sui quotidiani nazionali (sen. Vacher c. Francia, 17 dicembre 1996, n. 20368/92, par. 35-36). G. Bartolini, Riparazione per violazione dei diritti umani e ordinamento internazionale, Jovene Editore, Napoli 2009, pag. 138.

193. Natura dichiarativa delle sentenze della Corte che, in conseguenza del dato letterale convenzionale in particolare ex articolo 46 ECHR, viene tutt'oggi affermata da parte del Giudice europeo, come nell'inciso delle sen. Church of Scientology Moscow v. Russia, 5 aprile 2007, n. 18147/02 ("as regards the applicant's request for injunctive relief in respect of the re-registration of the applicant, the Court is not empowered under the Convention to grant exemptions or declarations of the kind sought by the applicant, for its judgments are essentially declaratory in nature" par. 106) e sen. Abbasov c. Azerbaijan, 17 gennaio 2008, n. 24271/05 ("the Court reiterates that its judgments are essentially declaratory in nature" par. 36).

194. Si noti che l'equa riparazione determinata dal Giudice europeo non è un diritto delle parti e, nel caso in cui venga riscontrata una violazione di uno o più dei diritti convenzionalmente garantiti, non vi è alcun automatico risarcimento monetario: l'articolo 41 ECHR infatti configura in capo alla Corte un potere discrezionale. Ciò del resto in pieno accordo con quanto avviene nel diritto internazionale comune, in cui la jus satsfaction è una semplice forma di riparazione dell'illecito internazionale, la cosiddetta "soddisfazione".

195. Nel corpo della sentenza infatti il collegio giudicante non si produceva in ampie motivazioni in merito all'impossibilità di indicare siffatte misure; ma anzi, come ricordato da Giulio Bartolini nella sua monografia, "questa impostazione, volta a mantenere un carattere declaratorio delle sentenze [...] era stata talvolta messa in discussione da alcuni giudici che, in alcune opinioni separate, si erano espressi favorevolmente sulla possibilità di disporre specifiche misure a carico dello Stato responsabile". Tra queste, si ricordano le forti riserve espresse dal giudice De Meyer sul punto relativamente al caso W. c. Regno Unito (per il quale vedi supra nota 192): "I feel that the Court's duty 'to ensure the observance of the engagements undertaken by the High Contracting Parties' may, in certain circumstances entail the power to make orders". Si ricordi anche quanto espresso nella sen. Guerra e al. c. Italia, 19 febbraio 1998, n. 14967/89: "the Delegate of the Commission expressed the view that a thorough and efficient inquiry by the national authorities together with the publication and communication to the applicants of a full, accurate report on all the relevant aspects of the factory's operation over the period in question, including the harm actually caused to the environment and people's health, in addition to the payment of just satisfaction, would meet the obligation laid down in Article 53 of the Convention. The Court notes that the Convention does not empower it to accede to such a request. It reiterates that it is for the State to choose the means to be used in its domestic legal system in order to comply with the provisions of the Convention or to redress the situation that has given rise to the violation of the Convention" (par. 73-74). G. Bartolini, op. cit., pag. 139.

196. Sen. Papamichalopoulos et al. c. Grecia (art. 50), 31 ottobre 1995, n.14556/89, par. 34: "the Court points out that by Article 53 of the Convention the High Contracting Parties undertook to abide by the decision of the Court in any case to which they were parties; furthermore, Article 54 provides that the judgment of the Court shall be transmitted to the Committee of Ministers which shall supervise its execution. It follows that a judgment in which the Court finds a breach imposes on the respondent State a legal obligation to put an end to the breach and make reparation for its consequences in such a way as to restore as far as possible the situation existing before the breach".

197. Ex multis e ad exemplum: sen. Vasiliu c. Romania, 22 maggio 1998, n. 27053/95, par. 61 in cui "la Cour rappelle que s'il est impossible d'effacer les conséquences d'une violation de la Convention, l'article 50 l'habilite à accorder, s'il y a lieu, à la partie lésée la satisfaction qui lui semble appropriée. En l'espèce, la restitution des objets litigieux aurait placé la requérante autant que possible dans une situation équivalant à celle où elle se trouverait s'il n'y avait pas eu manquement aux exigences de l'article 1 du Protocole nº 1. Or le Gouvernement explique qu'il lui est impossible de procéder à pareille restitution. Dans ces conditions, la Cour, statuant en équité sur la base des renseignements qui lui ont été fournis, accorde à la requérante 60 000 francs français (FRF) du chef du préjudice matériel, somme à convertir en lei roumains au taux applicable à la date du règlement". Poi, sen. Zwierzynsky c. Polonia 2 luglio 2002, n. 34049/96, par. 13-14, in cui la Corte "estime que le requérant a incontestablement subi un préjudice matériel en relation directe avec la violation de l'article 1 du Protocole nº 1 constatée en raison de la privation de la jouissance de la propriété. Elle maintient sa position exprimée dans l'arrêt rendu quant au fond de l'affaire et réaffirme que la meilleure forme de réparation dans cette affaire consisterait dans la restitution du bien en question par l'Etat en plus d'une indemnité. Ceci placerait le requérant, autant que possible, dans une situation équivalant à celle où il se trouverait si les exigences de l'article 1 du Protocole nº 1 précité n'avaient pas été méconnues. A défaut pour l'Etat défendeur de procéder à pareille restitution dans un délai de trois mois à compter du jour où cet arrêt sera devenu définitif conformément à l'article 44 § 2 de la Convention, la Cour décide qu'il devra verser au requérant, pour dommage matériel, la valeur actuelle de la maison"; sen. Hodos e al. c. Romania, 21 maggio 2002, n. 29968/96, par. 72-73.

198. Sen. Scozzari e Giunta c. Italia, 13 luglio 2000, n. 39221/98 e n. 41963/98, par. 249: "the Court points out that by Article 46 of the Convention the High Contracting Parties undertook to abide by the final judgments of the Court in any case to which they were parties, execution being supervised by the Committee of Ministers. It follows, inter alia, that a judgment in which the Court finds a breach imposes on the respondent State a legal obligation not just to pay those concerned the sums awarded by way of just satisfaction, but also to choose, subject to supervision by the Committee of Ministers, the general and/or, if appropriate, individual measures to be adopted in their domestic legal order to put an end to the violation found by the Court and to redress so far as possible the effects. Furthermore, subject to monitoring by the Committee of Ministers, the respondent State remains free to choose the means by which it will discharge its legal obligation under Article 46 of the Convention, provided that such means are compatible with the conclusions set out in the Court's judgment".

199. A. Saccucci, "Accesso ai rimedi costituzionali, previo esaurimento e gestione "sussidiaria" delle violazioni strutturali della CEDU derivanti da difetti legislativi", in Diritti umani e diritto internazionale, 6/2012, pag. 264.

200. Ad exemplum, possiamo ricordare nell'ordinamento italiano la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, che affonda indubbiamente le radici in un problema strutturale della macchina giudiziaria italiana. Notato già in sen. GC Bottazzi c. Italia 28 luglio 1999, n. 34884/97 in cui "the Court notes at the outset that Article 6 § 1 of the Convention imposes on the Contracting States the duty to organise their judicial systems in such a way that their courts can meet the requirements of this provision. It wishes to reaffirm the importance of administering justice without delays which might jeopardise its effectiveness and credibility. It points out, moreover, that the Committee of Ministers of the Council of Europe, in its Resolution DH (97) 336 of 11 July 1997 (Length of civil proceedings in Italy: supplementary measures of a general character), considered that 'excessive delays in the administration of justice constitute an important danger, in particular for the respect of the rule of law'. The Court next draws attention to the fact that since 25 June 1987, the date of the Capuano v. Italy judgment, it has already delivered 65 judgments in which it has found violations of Article 6 § 1 in proceedings exceeding a 'reasonable time' in the civil courts of the various regions of Italy. Similarly, under former Articles 31 and 32 of the Convention, more than 1,400 reports of the Commission resulted in resolutions by the Committee of Ministers finding Italy in breach of Article 6 for the same reason. The frequency with which violations are found shows that there is an accumulation of identical breaches which are sufficiently numerous to amount not merely to isolated incidents. Such breaches reflect a continuing situation that has not yet been remedied and in respect of which litigants have no domestic remedy. This accumulation of breaches accordingly constitutes a practice that is incompatible with the Convention" (par. 22).

201. La libertà degli Stati nella scelta dei mezzi con cui adempiere alle obbligazioni di natura internazionale è una delle norme 'classiche' del diritto internazionale, vera e propria golden rule. O. Pollicino, op. cit., pag. 103, nota 65.

202. Sen. GC Assanidze c. Georgia, 8 aprile 2004, n. 71503/01: "the Court reiterates that, in the context of the execution of judgments in accordance with Article 46 of the Convention, a judgment in which it finds a breach imposes on the respondent State a legal obligation under that provision to put an end to the breach and to make reparation for its consequences in such a way as to restore as far as possible the situation existing before the breach. If, on the other hand, national law does not allow - or allows only partial - reparation to be made for the consequences of the breach, Article 41 empowers the Court to afford the injured party such satisfaction as appears to it to be appropriate. It follows, inter alia, that a judgment in which the Court finds a violation of the Convention or its Protocols imposes on the respondent State a legal obligation not just to pay those concerned the sums awarded by way of just satisfaction, but also to choose, subject to supervision by the Committee of Ministers, the general and/or, if appropriate, individual measures to be adopted in its domestic legal order to put an end to the violation found by the Court and make all feasible reparation for its consequences in such a way as to restore as far as possible the situation existing before the breach. Consequently, it is for the respondent State to remove any obstacles in its domestic legal system that might prevent the applicant's situation from being adequately redressed. As regards the measures which the Georgian State must take, subject to supervision by the Committee of Ministers, in order to put an end to the violation that has been found, the Court reiterates that its judgments are essentially declaratory in nature and that, in general, it is primarily for the State concerned to choose the means to be used in its domestic legal order in order to discharge its legal obligation under Article 46 of the Convention, provided that such means are compatible with the conclusions set out in the Court's judgment. This discretion as to the manner of execution of a judgment reflects the freedom of choice attached to the primary obligation of the Contracting States under the Convention to secure the rights and freedoms guaranteed (Article 1). However, by its very nature, the violation found in the instant case does not leave any real choice as to the measures required to remedy it" (par. 198; 202).

203. Ex multis e ad exemplum: sen. GC Ilascu e al. c. Moldova e Russia, 8 luglio 2004, n. 48787/99; sen. Abbasov c. Azerbaijan 17 gennaio 2008, n. 24271/05.

204. Sen. Aleksanyan c. Russia, 22 dicembre 2008, n. 46468/06 in cui si legge che "however, exceptionally, with a view to helping the respondent State to fulfil its obligations under Article 46, the Court will seek to indicate the type of measure that might be taken in order to put an end to a systemic situation it has found to exist. In other exceptional cases, the nature of the violation found may be such as to leave no real choice as to the measures required to remedy it and the Court may decide to indicate only one such measure. [...] In the case at hand the Court found violations of several Convention provisions related to the applicant's detention. In particular, the Court found that the applicant's many illnesses cannot be treated in the conditions of the remand prison, and that the applicant's detention at present does not serve any meaningful purpose under Article 5 of the Convention. The proceedings against the applicant have been suspended, and not likely to be reopened in the foreseeable future. In such context, and especially in view of the gravity of the applicant's illnesses, the Court considers that the applicant's continuous detention is inacceptable. The Court concludes that the Russian Government, in order to discharge its legal obligation under Article 46 of the Convention, must replace detention on remand with other, reasonable and less stringent, measure of restraint, or with a combination of such measures, provided by Russian law" (par. 239-240).

205. Ex multis e ad exemplum: sen. Kimlya e al. c. Russia, 1 ottobre 2009, n. 76836/01 e n. 32782/03 in cui "as regards the applicants' request for injunctive relief in the form of registration of the religious communities concerned, the Court is not empowered under the Convention to grant exemptions or to issue orders of the kind sought by the applicants, for its judgments are essentially declaratory in nature. In general, it is primarily for the State concerned to choose the means to be used in its domestic legal order to discharge its legal obligation under Article 46 of the Convention. By finding a violation of Article 9 read in the light of Article 11 in the present case, the Court has established that the State is under an obligation to take appropriate measures to remedy the applicants' particular situation. Whether such measures would involve granting registration to the communities concerned, removing the reference to the "fifteen-year rule" from the Religions Act, reopening of the domestic proceedings or a combination of these and other measures is a decision that falls to the respondent State. The Court, however, emphasises that any measures adopted must be compatible with the conclusions set out in its judgment". (par.109).

206. Sen.Slawomir Musial c. Polonia 20 gennaio 2009 n. 28300/06 in cui è possibile leggere che "in these conditions, having regard to the particular circumstances of the case and the urgent need to put an end to the violation of Article 3 of the Convention, the Court considers that the respondent State must secure, at the earliest possible date, the adequate conditions of the applicant's detention in an establishment capable of providing him with the necessary psychiatric treatment and constant medical supervision" (par.108).

207. Sen. Görgülü c. Germania 26 maggio 2004, n. 74969/01 in cui "the Court points out that by Article 46 of the Convention the High Contracting Parties undertook to abide by the final judgments of the Court in any case to which they were parties, execution being supervised by the Committee of Ministers. It follows, inter alia, that a judgment in which the Court finds a breach imposes on the respondent State a legal obligation not just to pay those concerned the sums awarded by way of just satisfaction, but also to choose, subject to supervision by the Committee of Ministers, the general and/or, if appropriate, individual measures to be adopted in their domestic legal order to put an end to the violation found by the Court and to redress so far as possible the effects. Furthermore, subject to monitoring by the Committee of Ministers, the respondent State remains free to choose the means by which it will discharge its legal obligation under Article 46 of the Convention, provided that such means are compatible with the conclusions set out in the Court's. In the case at hand this means making it possible for the applicant to at least have access to his child" (par. 64).

208. Ex multis e ad esemplum: sen. GC Sejdovic c. Italia 1 marzo 2006, n. 56581/00 in cui al par. 126 "the Court accordingly considers that, where, as in the instant case, an individual has been convicted following proceedings that have entailed breaches of the requirements of Article 6 of the Convention, a retrial or the reopening of the case, if requested, represents in principle an appropriate way of redressing the violation. However, the specific remedial measures, if any, required of a respondent State in order for it to discharge its obligations under the Convention must depend on the particular circumstances of the individual case and be determined in the light of the Court's judgment in that case, and with due regard to the Court's case-law as cited above"; sen. Somogyi c. Italia 18 maggio 2004, n. 67972/01 ove "the Court refers to its settled case-law to the effect that in the event of a violation of Article 6 § 1 of the Convention the applicant should, in so far as possible, be put in the position that he would have been in had the requirements of that provision not been disregarded. The Court considers that, where it finds that an applicant has been convicted despite a potential infringement of his right to participate in his trial, the most appropriate form of redress would, in principle, be trial de novo or the reopening of the proceedings, in due course and in accordance with the requirements of Article 6 of the Convention" (par. 86).

209. Si allude in particolare alla RES(2004)3 del 12 maggio 2004 con cui il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha messo in evidenza che i propri compiti inerenti alla fase esecutiva delle sentenze di condanna della Corte di Strasburgo risulterebbero semplificati ove l'esistenza di un problema strutturale fosse già identificata nella sentenza della Corte. Pertanto si invitava l'istanza giurisdizionale "to identify in its judgments finding a violation of the Convention what it considers to be an underlying systemic problem and the source of that problem, in particular when it is likely to give rise to numerous applications, so as to assist States in finding the appropriate solution and the Committee of Ministers in supervising the execution of judgments".

210. Ex multis, si ricordi la vicenda Scozzari e Giunta c. Italia, e le risoluzioni del Comitato dei Ministri (2001)/65 e 151.

211. Sen. GC Broniowski c. Polonia 22 giugno 2004, n. 31443/96, in cui (in particolare ai paragrafi 190-191) il fondamento giuridico della indicazione delle misure generali nonché dello stesso procedimento della sentenza pilota viene ricondotto nel reasoning giudiziale sia alle risoluzioni ministeriali, in particolare Res(2004)6 e Res (2004)3 (vedi supra nota 210) del 12 maggio 2004, sia all'articolo 46 CEDU. La violazione strutturale riscontrata dalla Corte riguarda l'articolo 1 del protocollo n. 1 alla CEDU, ovvero il diritto di proprietà. In seguito agli eventi della Seconda Guerra Mondiale, il confine orientale della Polonia fu ridisegnato e fatto arretrare fino al fiume Bug, a danno delle province orientali della Polonia del periodo prebellico, le cosiddette "Terre di confine" (vaste aree delle attuali Bielorussia, Ucraina e Lituania). I cittadini polacchi ivi residenti (circa 1.240.000) furono assoggettati al rimpatrio forzato in Polonia dal 1944 al 1953, secondo le disposizioni dei cosiddetti "Accordi delle Repubbliche"; l'abbandono delle proprietà e il rimpatrio forzato doveva essere oggetto di una specifica compensazione da parte dello Stato polacco. In seguito al ricorso alla CEU di un cittadino polacco che affermava di non aver ricevuto la compensazione a cui aveva diritto, la Corte europea ha riscontrato l'esistenza nell'ordinamento giuridico polacco di un problema strutturale che comportava la violazione del pacifico godimento dei propri beni ad una vasta categoria di cittadini (circa 80 000).

212. "It is inherent in the Court's findings that the violation of the applicant's right guaranteed by Article 1 of Protocol No. 1 originated in a widespread problem which resulted from a malfunctioning of Polish legislation and administrative practice and which has affected and remains capable of affecting a large number of persons. The unjustified hindrance on the applicant's "peaceful enjoyment of his possessions" was neither prompted by an isolated incident nor attributable to the particular turn of events in his case, but was rather the consequence of administrative and regulatory conduct on the part of the authorities towards an identifiable class of citizens, namely the Bug River claimants. [...] the Court concludes that the facts of the case disclose the existence, within the Polish legal order, of a shortcoming as a consequence of which a whole class of individuals have been or are still denied the peaceful enjoyment of their possessions. It also finds that the deficiencies in national law and practice identified in the applicant's individual case may give rise to numerous subsequent well-founded applications" (par. 189).

213. "The Court has already noted that the violation which it has found in the present case has as its cause a situation concerning large numbers of people. The failure to implement in a manner compatible with Article 1 of Protocol No. 1 the chosen mechanism for settling the Bug River claims has affected nearly 80,000 people. There are moreover already 167 applications pending before the Court brought by Bug River claimants. This is not only an aggravating factor as regards the State's responsibility under the Convention for an existing or past state of affairs, but also represents a threat to the future effectiveness of the Convention machinery. Although it is in principle not for the Court to determine what remedial measures may be appropriate to satisfy the respondent State's obligations under Article 46 of the Convention, in view of the systemic situation which it has identified, the Court would observe that general measures at national level are undoubtedly called for in execution of the present judgment, measures which must take into account the many people affected. Above all, the measures adopted must be such as to remedy the systemic defect underlying the Court's finding of a violation so as not to overburden the Convention system with large numbers of applications deriving from the same cause. Such measures should therefore include a scheme which offers to those affected redress for the Convention violation identified in the instant judgment in relation to the present applicant. In this context the Court's concern is to facilitate the most speedy and effective resolution of a dysfunction established in national human rights protection. Once such a defect has been identified, it falls to the national authorities, under the supervision of the Committee of Ministers, to take, retroactively if appropriate, the necessary remedial measures in accordance with the subsidiary character of the Convention, so that the Court does not have to repeat its finding in a lengthy series of comparable cases" (par. 193).

214. "With a view to assisting the respondent State in fulfilling its obligations under Article 46, the Court has sought to indicate the type of measure that might be taken by the Polish State in order to put an end to the systemic situation identified in the present case. The Court is not in a position to assess whether the December 2003 Act can be treated as an adequate measure in this connection since no practice of its implementation has been established as yet. In any event, this Act does not cover persons who - like Mr Broniowski - had already received partial compensation, irrespective of the amount of such compensation. Thus, it is clear that for this group of Bug River claimants the Act cannot be regarded as a measure capable of putting an end to the systemic situation identified in the present judgment as adversely affecting them. Nevertheless, as regards general measures to be taken, the Court considers that the respondent State must, primarily, either remove any hindrance to the implementation of the right of the numerous persons affected by the situation found, in respect of the applicant, to have been in breach of the Convention, or provide equivalent redress in lieu. As to the former option, the respondent State should, therefore, through appropriate legal and administrative measures, secure the effective and expeditious realisation of the entitlement in question in respect of the remaining Bug River claimants, in accordance with the principles for the protection of property rights laid down in Article 1 of Protocol No. 1, having particular regard to the principles relating to compensation" (par. 194).

215. Ex multis e ad exemplum: sen. Lukenda c. Slovenia, 6 ottobre 2005, n. 23032/02 "the Court has identified some of the weaknesses of the established legal remedies guaranteed by the respondent State, while acknowledging that certain recent developments show reassuring improvements. To prevent future violations of the right to a trial within a reasonable time, the Court encourages the respondent State to either amend the existing range of legal remedies or add new remedies so as to secure genuinely effective redress for violations of that right. The characteristics of an effective remedy are to be found in the Court's case-law cited in this judgment" (par. 98); sen. Xenides-Arestis c. Turchia, 22 dicembre 2005, n. 46347/99 in cui ai par. 88 e ss. "it is inherent in the Court's findings that the violation of the applicant's rights guaranteed by Article 8 of the Convention and Article 1 of Protocol No. 1 originates in a widespread problem affecting large numbers of people, namely the unjustified hindrance of her 'respect for her home' and 'peaceful enjoyment of her possessions' as a matter of 'TRNC' policy or practice. Moreover, the Court cannot ignore the fact that there are already approximately 1,400 property cases pending before it brought primarily by Greek Cypriots against Turkey. [...] The Court considers that the respondent State must introduce a remedy which secures genuinely effective redress for the Convention violations identified in the instant judgment in relation to the present applicant as well as in respect of all similar applications pending before it, in accordance with the principles for the protection of the rights laid down in Article 8 of the Convention and Article 1 of Protocol No. 1 and in line with its admissibility decision of 14 March 2005. Such a remedy should be available within three months from the date on which the present judgment is delivered and redress should be afforded three months thereafter".

216. V. Zagrebelsky, "Violazioni 'strutturali' e Convenzione europea dei diritti umani: interrogativi a proposito di Broniowski", in Diritti umani e diritto internazionale, 2/2008, pag. 13.

217. Ex multis e ad exemplum, suddivise a seconda della violazione riscontrata: sentenze pilota adottate in ipotesi di violazione del diritto di proprietà (articolo 1 protocollo n. 1 ECHR) sen. Hutten-Czapska c. Polonia, 22 febbraio 2005, n. 35014/97; sen. Suljagic c. Bosnia Herzegovina, 3 novembre 2009, n. 27192/02; sen. Maria Atanasiu e al. c. Romania, 12 ottobre 2010, nn. 30767/05 33800/06; sen. Manushaqe Puto e al. c. Albania, 31 luglio 2012, nn. 604/07, 43628/07, 46684/07,34770/09; sen. M.C. e al. c. Italia, 3 settembre 2013, n.5376/11; sen. GC Alisic e al. c. Bosnia Herzegovina, Croazia, "l'ex Repubblica Yugoslava di Macedonia", Serbia e Slovenia, 16 luglio 2014, n. 60642/08. Sentenze pilota adottate per la prolungata mancanza di esecuzione di sentenze giurisdizionali e mancanza di rimedi interni (art. 13 ECHR): sen. Burdov c. Russia, 15 gennaio 2009, n. 33509/04; sen. Olaru e al. c. Moldova 28 luglio 2009, nn. 476/07, 22539/05, 1791/08, 13136/07; sen. Yuriy Nikolayevich Ivanov c. Ucraina, 15 ottobre 2009, n.40450/04; sen. Gerasimov et al. c. Russia, 1 luglio 2014, nn. 29920/05, 3553/06, 18876/06, 61186/10, 21176/11, 36112/11, 36426/11, 40841/11, 45381/11, 55929/11, 60822/11. Sentenze pilota adottate per violazioni del diritto alla ragionevole durata del processo e mancanza di rimedio interno (art. 6 ECHR, 13 ECHR): sen. Rumpf c. Germania, 2 settembre 2010, n. 46344/06; sen. Vassilios Athanasiou et al. c. Grecia 21 dicembre 2010, n. 50973/08; sen. Dimitrov e Hamanov c. Bulgaria 10 maggio 2011, nn. 48059/06 2708/09; sen. Finger c. Bulgaria, 10 maggio 2011, n. 37346/05; sen. Ummuhan Kaplan c. Turchia, 20 marzo 2012, n. 24240/07; sen. Michelioudakis c. Grecia, 3 aprile 2012, n.54447/10; sen. Glykantzi c. Grecia, 30 ottobre 2012, n. 40150/09. Sentenze pilota per violazione del diritto di voto (art. 3 protocollo n. 1 ECHR): sen. Greens e M.T. c Regno Unito, 23 novembre 2010, nn. 60041/08 60054/08. Violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti (condizioni detentive, ex art. 3 ECHR): sen. Ananyev e al. c. Russia, 10 gennaio 2012, nn.42525/07 60800/08; sen. Torreggiani e al. c. Italia, 8 gennaio 2013, nn.43517/09 35315/10 37818/10 46882/09 55400/09 57875/09 61535/09. Sentenza pilota adottate per la mancata regolarizzazione della residenza di persone ingiustamente rimosse dai registri di residenza (art. 8 ECHR, art. 14 ECHR): sen. GC Kuric et al. c. Slovenia, 26 giugno 2012, n. 26828/06.

218. Dal sito istituzionale della Corte "over the past few years the Court has developed a new procedure known as the pilot-judgment procedure as a means of dealing with large groups of identical cases that derive from the same underlying problem. The Court has for some time had pending before it a great many of these cases, referred to as repetitive cases. They represent a significant proportion of the Court's workload and therefore contribute to the congestion in the Court's processes. The purpose of the document below [i.e. the information note] is to provide informations about this procedure".

219. Punto 7 dell'Information note di cui alla nota precedente.

220. Sen. Ananyev et al. C. Russia, cit. in cui al par. 238 "rule 61 § 6 of the Rules of Court provides for the possibility of adjourning the examination of all similar applications pending the implementation of the remedial measures by the respondent State. The Court would emphasise that adjournment is a possibility rather than an obligation, as clearly shown by the inclusion of the words 'as appropriate' in the text of Rule 61 § 6 and the variety of approaches used in the previous pilot-case judgments (see Burdov, where the adjournment concerned only the applications lodged after the delivery of the pilot judgment, or Rumpf, where an adjournment was not considered to be necessary)".

221. Sen. Ananyev cit. in cui "the Court is convinced, however, that adjudication of hundreds pending cases of this kind will be a time-consuming process which can only be accelerated by the respondent State's efficient response to the present judgment, including the resolution of the well-founded cases at the domestic level by means of friendly settlements or unilateral remedial offers. An accelerated settlement of the individual cases at the domestic level is not only required because of the gravity of the applicants' allegations under Article 3, a provision of fundamental importance in the Convention system. The need for such a settlement is also dictated by the principle of subsidiarity: once the Court has clarified the obligations of the respondent State under the Convention, it is in principle for the latter to take the necessary remedial measures, so that the Court does not have to reiterate its finding of a violation in a long series of comparable cases" (par. 236 e ss).

222. In particolare, la Corte di Strasburgo ha ingiunto all'Italia di introdurre provvedimenti volti a diminuire lo stato di sovraffollamento carcerario, di introdurre un ricorso per porre rimedio "alle violazioni in atto", cioè un sistema di rimedi preventivi per far cessare eventuali situazioni lesive in corso e infine un rimedio compensativo, per garantire ai detenuti il risarcimento dei danni subiti.

Sen. Torreggiani e al. c. Italia, cit., in cui al par. 99 "elle en conclut que les autorités nationales doivent sans retard mettre en place un recours ou une combinaison de recours ayant des effets préventifs et compensatoires et garantissant réellement une réparation effective des violations de la Convention résultant du surpeuplement carcéral en Italie. Ce ou ces recours devront être conformes aux principes de la Convention, tels que rappelés notamment dans le présent arrêt, et être mis en place dans un délai d'un an à compter de la date à laquelle celui-ci sera devenu définitif".

223. Il decreto legge 26 giugno 2014 n. 92 recante "disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell'art. 3 della CEDU nonché di modifiche al codice di procedura penale e alle disposizioni di attuazione, all'ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria e all'ordinamento penitenziario, anche minorile", è stato convertito in legge con modificazioni (ma non per la parte concernente le modifiche alla l. 354/1975) il 20 agosto 2014 n. 117/2014.

224. Decisioni del 25 settembre 2014, Stella e altri c. Italia, n. 49169/09 e Rexhepi e altri c. Italia, n. 47180/10.