ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

2 Immigrazione (illegale) e traffico di esseri umani in ambito comunitario

Carlo Vettori, 2014

Anche nel contesto europeo, l'attenzione per i fenomeni della tratta di persone e del traffico di migranti può farsi risalire storicamente a fine Ottocento: all'epoca essa è collegata e, in molti casi coincide, con il contrasto alla schiavitù ed alla prostituzione. I primi strumenti ed accordi internazionali in materia concernono proprio questi specifici crimini e le loro vittime (1) e sono siglati e/o ratificati anche dai futuri Stati membri dell'Unione (2).

Sulla base del collegamento suddetto, è possibile indicare una summa divisio che era operata fra una tratta finalizzata allo sfruttamento della prostituzione ed una finalizzata allo sfruttamento del lavoro (forzato).

Alcuni anni più tardi (3), la schiavitù, lo schiavismo e il contrabbando di schiavi sono definitivamente messi al bando dai governi; nel mentre, gli atteggiamenti degli ordinamenti nei confronti della prostituzione si diversificano e, in coincidenza con un'evoluzione del concetto di sovranità statale e con le numerose guerre del periodo, si inizia a parlare di immigrazione illegale. Tale ultimo concetto, non solo per come va evolvendosi fino ai giorni nostri, ma sin dall'inizio, ha in comune con quello di trafficking due elementi: la transnazionalità della condotta e il frequente coinvolgimento di associazioni criminali. Ciò, unito alla perdita (quantomeno concettuale) dei suoi connotati specifici delle finalità di sfruttamento lavorativo e sessuale, determina una notevole confusione sulla fattispecie di tratta (4).

In particolare, sono due le difficoltà maggiori: la distinzione fra tratta e migrazione illegale e quella fra tratta e traffico di migranti (5). Nel primo caso, le conseguenze negative si riflettono soprattutto sul piano sanzionatorio. Se si finisce per identificare nel trafficante un soggetto che ha unicamente violato le leggi sull'immigrazione (di uno o più Stati che non incriminano penalmente la prostituzione), esso sarà punibile prevalentemente con sanzioni amministrative: questo rende la tratta di persone un'attività criminale piuttosto a basso rischio rispetto ad altre parimenti redditizie (ad es., traffico di droga o di armi) e perciò, preferibile. La tratta si diffonde.

Nel secondo caso, la sovrapposizione delle due condotte del trafficking e dello smuggling of migrants, che, come visto sopra, identiche non sono, rischia di far passare in secondo piano la più grave violazione dei diritti umani sottesa alla tratta, vanificando gli strumenti e gli accordi che i Paesi europei promuovo per una tutela effettiva di tali diritti.

Questi due ostacoli sono superati dall'analisi giuridica su questi reati, la quale giunge a due considerazioni (6) che rappresentano la base delle riflessioni in materia delle fonti internazionali, comunitarie e nazionali successive: con il Protocollo anti-tratta addizionale alla Convenzione di Palermo e con la Convenzione di Varsavia del Consiglio d'Europa tali considerazioni si ritengono acquisite e quindi, valide per i Paesi firmatari.

In primis, l'elemento che deve essere valorizzato in relazione alla tratta è il carattere coercitivo del trasporto: la vittima non è un migrante che volontariamente si sposta dal suo Paese d'origine, ma un soggetto il cui consenso (a trasferirsi) è stato estorto con mezzi di coercizione fisica e non. La finalità di sfruttamento resta un elemento della fattispecie, ma passa in secondo piano: il trafficante è così penalmente punibile per tale reato, anche se la prostituzione è legalmente ammessa nel Paese di destinazione.

Inoltre, si è arricchita ulteriormente la definizione di sfruttamento, cui la tratta sarebbe preordinata, con una serie di pratiche moderne e diffuse (7) analoghe alla schiavitù.

Il consolidamento di tali confini teorici e pratici, avvenuto con i Protocolli addizionali e con la Convenzione di Varsavia, ha rimosso parte della confusione.

2.1 I principi generali, le fonti e gli strumenti prima del 2007

Nella visione più recente della tratta, si sottolinea l'importanza di prendere coscienza di un'ulteriore sua caratteristica, imprescindibile per un'appropriata azione preventiva e repressiva anche a livello comunitario: la sua complessità. La disciplina legislativa sul traffico di esseri umani non può non tenere di conto di tre ulteriori tematiche (e delle relative fonti): la mobilità delle persone (cittadini comunitari e non) e la disciplina sull'immigrazione da Paesi terzi ('primo pilastro'), la protezione dei diritti umani fondamentali delle vittime ('secondo pilastro'), il contrasto alle associazioni criminali coinvolte quale strumento per garantire sicurezza, rispetto delle libertà ed ordine pubblico sul territorio europeo (8) ('terzo pilastro'). Da tale costatazione deriva la necessità, più volte invocata dalle istituzioni comunitarie, di adottare un approccio multidisciplinare al problema.

Le istituzioni comunitarie iniziano ad intervenire in modo significativo sul traffico di persone all'incirca fra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta del secolo scorso (9). I primi spunti concernono essenzialmente la precisazione e la criminalizzazione delle condotte: l'intento principale è quello di inasprire il trattamento sanzionatorio nei confronti dei trafficanti, per innalzare il tasso di rischio connesso a tali reati, impedirne il propagarsi e indebolire la criminalità organizzata. L'ambito considerato più preoccupante è quello della tratta di persone con la finalità dello sfruttamento sessuale femminile. In questo senso, si posso ricordare alcune raccomandazioni provenienti dal Parlamento europeo già dagli anni Ottanta (10) e alcune norme relative all'Accordo di Schengen (11) emanate nel 1990.

Nel giugno del 1996, a Vienna, si tiene la prima Conferenza europea sulla tratta delle donne e al novembre dello stesso anno risale un primo tentativo di mettere a punto una strategia per la prevenzione e la repressione di tale crimine, attraverso un "approccio globale ed interdisciplinare" (12). Sempre del 1996 è il primo programma che impone all'Europol di occuparsi anche di tratta (13)

2.2 L'Azione comune 97/154/GAI

Il 24 febbraio 1997 il Consiglio europeo adotta l'azione comune 154/GAI per la lotta contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei bambini. Si tratta di uno dei primi atti comunitari dedicati specificamente all'argomento e l'unica disciplina di riferimento prima del 2002 (14). La norma fondante è l'articolo K.3 (15) del trattato sull'Unione, ma sono espressamente citati nel preambolo anche diverse raccomandazioni, conclusioni, iniziative provenienti da istituzioni ed organi comunitari (16). Proprio partendo da suddetti atti non vincolanti, l'azione inquadra questi due crimini quali gravi violazioni dei diritti dei soggetti coinvolti e invoca l'esigenza di stabilire regole comuni fra gli Stati membri circa la loro repressione e circa la collaborazione giudiziaria al riguardo.

Tra gli aspetti positivi di questo intervento, si segnala innanzitutto il tentativo di concepire due definizioni sufficientemente ampie di trafficking e di sexual exploitation che dovrebbero fungere da "ausilio agli Stati membri nella applicazione della presente azione comune" (17). Se la nozione di 'tratta' accolta appare decisamente scarna (18) e sovrapponibile a quella di traffico di migranti, più dettagliate paiono essere le definizioni di 'sfruttamento sessuale', 'in riferimento ad un bambino' ed 'in riferimento ad un adulto'. In ogni caso, gli Stati sono invitati a rivedere le proprie normative nazionali e ad armonizzare le relative incriminazioni in materia, anche avvalendosi delle indicazioni e degli elementi (costitutivi delle fattispecie in questione) indicati nel paragrafo successivo (19). A livello di enunciazione di principi, è interessante anche l'affermazione dell'esigenza di punire con sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive non solo i reati, ma anche il concorso ed il tentativo nei medesimi da parte delle persone fisiche, prevedendo sanzioni adeguate anche per le persone giuridiche (20). Sullo stesso tenore, non è da sottovalutare nemmeno la disposizione G. del medesimo titolo, se non altro perché dimostra che vi è già consapevolezza sull'importanza di una cooperazione fra società civile, mondo dell'associazionismo ed istituzioni/autorità giudiziarie e di pubblica sicurezza nazionali per un efficace contrasto alla tratta (21).

Tuttavia, i riscontri positivi terminano qui: l'impatto di questa azione comune è effettivamente molto contenuto. In particolare, il riferimento alla protezione riguarda quasi esclusivamente i testimoni (promuovendo perciò un sistema di tipo premiale), così come pare una tutela meramente processuale (e generica) l'assistenza di cui si dispone in favore delle vittime e dei loro familiari (22). A ciascuno Stato membro è richiesto di adottare le misure necessarie al fine di agevolare la testimonianza di quelle vittime che sono a conoscenza di elementi utili per l'azione penale, il che può in determinati casi comportare il rilascio di un permesso di soggiorno provvisorio" (23). Pochi e vaghi accenni sono riservati ai diritti umani essenziali della vittima ed ai modi per garantirne la salvaguardia. Anche per questo, tale azione comune è criticata in quanto considerata vaga enunciazione di principi, piuttosto che un documento che adotta un approccio risoluto e concreto sotto il profilo del perseguimento degli obiettivi di prevenzione e repressione della tratta, cooperazione su più livelli nella lotta ai reati e protezione ed assistenza delle vittime.

2.3 La Decisione quadro del Consiglio Europeo 2002/629/GAI

Fra il 1998 e il 2000 si concentrano una serie ulteriori di interventi in ambito comunitario, che hanno ad oggetto prevalentemente la tratta delle donne a scopo di sfruttamento sessuale (24). Si tratta di dichiarazioni e comunicazioni rivolte dalle istituzioni ad altri organi comunitari o agli Stati membri; le finalità perseguite si risolvono essenzialmente nella indicazione di alcune linee guida e si possono così riassumere: miglioramento della funzione investigativa e di polizia, anche in ottica preventiva dei crimini; rafforzamento dell'azione penale nei confronti dei trafficanti e attenuazione della responsabilità per le vittime di tratta (a determinate circostanze); armonizzazione delle legislazioni nazionali sui due obiettivi precedenti; azioni per favorire una cooperazione stabile ed interdisciplinare fra gli Stati, le loro istituzioni e le istituzioni europee (soprattutto in ambito giudiziario) (25). Il 15-16 ottobre del 1999, ormai alle soglie della ratifica della Convenzione di Palermo e dei suoi Protocolli addizionali, si tiene il Consiglio europeo di Tampere, dal quale emergono considerazioni importanti, ancora però prevalentemente sotto il profilo repressivo-penalistico. In particolar modo, si invitano i legislatori nazionali ad inasprire il quadro sanzionatorio per i responsabili di traffico di persone o migranti e di sfruttamento; si auspica inoltre il raggiungimento di definizioni, incriminazioni e sanzioni quanto più possibile ravvicinate ed armoniche, per i reati suddetti e per lo sfruttamento sessuale di donne e bambini.

Nel luglio 2002 è adottata finalmente una decisione quadro, sostitutiva della azione comune 97/154/GAI, che rappresenta la disciplina comunitaria di riferimento sulla lotta alla tratta fino all'emanazione della direttiva 36 del 2011 (26). L'adozione di questa tipologia di atto (27) comunitario da parte del Consiglio, conforme alle modifiche apportate dal Trattato di Amsterdam in materia di 'terzo pilastro', testimonia l'esigenza primaria di un riavvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri, al fine di potenziare la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. L'obiettivo generale è quello di introdurre disposizioni definitorie comuni relativamente alle fattispecie, alle sanzioni ed alla giurisdizione. Affinché i trafficanti siano assoggettati a sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive e la fattispecie di tratta divenga sussumibile nell'ambito di applicazione degli strumenti (28) previsti per la lotta alla criminalità organizzata (transnazionale), è necessario che "l'azione individuale di ciascuno Stato membro" (29) sia corredata di un "approccio globale" (30), nel rispetto della proporzionalità e della sussidiarietà (31). La decisione, di conseguenza adottata a norma del titolo 6º del Trattato sull'Unione Europea, è maturata sulla esperienze delle dichiarazioni e conclusioni suddette e ad essa di poco antecedenti (come quelle provenienti dal Consiglio di Tampere, espressamente citato) (32), e le integra (33); il richiamo all'importanza dell'introduzione del Protocollo addizionale alla Convenzione di Palermo sulla prevenzione e repressione della tratta, in particolare di donne e bambini (2000) pare obbligato (34).

L'impatto delle novità introdotte col Protocollo è evidente innanzitutto nella definizione della tratta (soprattutto se comparata con quella contenuta nella normativa sostituita). Significativo in proposito è il 3º considerando, il quale inquadra così il crimine in questione:

(Esso) costituisce una grave violazione dei diritti e della dignità dell'uomo e comporta pratiche crudeli quali l'abuso e l'inganno di persone vulnerabili, oltre che l'uso di violenza, minacce, sottomissione tramite debiti e coercizione (35).

La tratta è riconosciuta come reato contro la persona finalizzato a due distinte forme di sfruttamento dall'articolo 1 (36) della decisione quadro. In unione con l'articolo 2 (37), tale norma impone agli Stati membri di incriminare penalmente due tipologie di condotte (38): la commissione del reato tramite il reclutamento, il trasporto, il trasferimento di una persona, il darle ricovero e la successiva accoglienza, compreso il passaggio o il trasferimento del potere di disporre di questa persona, qualora ricorra l'utilizzo di determinati mezzi; la partecipazione allo stesso, più o meno indiretta, identificata nelle azioni di istigazione, favoreggiamento, complicità e tentativo. Seppur strutturato in un ordine parzialmente diverso (39), l'articolo 1 definisce la tratta specularmente all'articolo 3 (lettere da a) a d) del Protocollo di Palermo: medesimi (o comunque con differenze minime) sono gli atti punibili, medesimi i mezzi coercitivi e i fini dello sfruttamento lavorativo o sessuale, medesimi i principi sull'irrilevanza del consenso e sulle vittime minori. Condivisi sono quindi anche i difetti di tale definizione, ed in particolar modo la mancanza di una precisazione circa i concetti di 'abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità' e della situazione di costrizione che provocano per la vittima. Da ricordare, seppure utilizzata quale sorta di circostanza aggravante, è anche la definizione di "vittima particolarmente vulnerabile" (40), la quale determina alcune perplessità: in primo luogo, non si capisce perché si includa una vulnerabilità rivolta al solo sfruttamento sessuale e non anche inclusiva dello sfruttamento lavorativo (specialmente minorile); in secondo luogo, permangono dubbi su una nozione di vulnerabilità in materia di tratta che non faccia menzione alcuna della questione di genere (data la prevalente esposizione delle donne, soprattutto al sexual exploitation); inoltre, può creare confusione, rispetto al tentativo di armonizzazione delle legislazioni operato con la disposizione del paragrafo 4 dell'articolo 1º, il sostanziale rinvio ai singoli sistemi nazionali per stabilire il periodo d'inizio della maturità sessuale (41).

Infine, il paragrafo 4º dell'articolo 4 definisce cosa si debba intendere per "persona giuridica", ai fini di circoscriverne la responsabilità in materia di traffico di persone.

Sotto il profilo sanzionatorio, la decisione quadro invita i legislatori nazionali a reprimere i crimini descritti dagli articoli 1º e 2º con pene "efficaci, proporzionate e dissuasive", individuate essenzialmente nella pene reclusive (con possibilità di ricorrere anche all'estradizione). (42). Poi, solo relativamente alla prima tipologia di condotte, indica una regola singolare. Gli Stati devono rendere punibili i reati con una pena della durata massima non inferiore agli otto anni, tuttavia tale punibilità pare richiedere la sussistenza di almeno una delle quattro circostanze indicate (43): quando gli autori del reato mettano, intenzionalmente o per negligenza grave, in pericolo la vita della vittima; quando la tratta sia commessa ai danni del soggetto particolarmente vulnerabile; nel caso in cui il reato sia perpetrato con violenza grave o abbia causato un danno grave alla vittima; nel caso in cui sia coinvolta un'organizzazione criminale (definita richiamando l'azione comune 98/733/GAI). Dalla formulazione non si capisce bene se debba essere seguito il medesimo criterio riguardo alla determinazione/armonizzazione delle sanzioni, nel caso in cui si verifichi un'ipotesi rientrante nella fattispecie di tratta senza che ricorra però alcuna delle suddette 'circostanze gravi'. Ciò sottende un ulteriore e decisivo quesito: qual è la vera natura giuridica delle circostanze elencate? Se guardiamo a come è scritta la norma, potrebbe sorgere il sospetto che tali elementi siano da includersi tacitamente nella definizione stessa di tratta, magari quali criteri secondari utili a precisare la responsabilità penale degli autori e la loro punibilità. Questa lettura non è però sostenibile se raffrontata col tenore delle situazioni descritte, le quali rappresentano tipiche circostanze aggravanti della legislazione penalistica. Non si può che concludere quindi, che la disposizione è illogica, mal formulata e di incerta applicazione pratica: l'apparato sanzionatorio realizzabile sulla base della lettera dell'articolo 3 finirebbe per escludere una parte rilevante dei fenomeni di tratta. Inoltre, le forme più gravi ed odiose di estrinsecazione di questo reato sarebbero soggette ad una pena di base piuttosto tenue, in quanto non considerabili come situazioni aggravate. E' da segnalare un'ulteriore imprecisione logico-sintattica contenuta nella lettera a) dell'articolo 3 e forse dovuta a un difetto nel lavoro di interpretazione. I reati legati al traffico di persone sottendono, ovviamente, solo condotte di tipo intenzionale; perciò, la lettera a) deve ritenersi espressiva della circostanza aggravata in cui i trafficanti abbiano messo in pericolo la vita della vittima, dolosamente o per negligenza.

Gli articoli 4 e 5 rappresentano forse la parte maggiormente innovativa della decisione quadro rispetto alla normativa previgente, in quanto estendono compiutamente la responsabilità penale e civile per i reati di tratta anche alle persone giuridiche, richiedendo al contempo la fissazione da parte degli Stati di sanzioni adeguate. La disposizione dell'articolo 4 (44) riconnette tale responsabilità a quella di qualsiasi soggetto/persona fisica che rivesta una posizione dominante nell'ambito della persona giuridica, richiedendosi l'esercizio di almeno una delle prerogative fondamentali (potere di rappresentanza, potere decisionale, potere si sorveglianza). E' necessario inoltre che il reato determini un vantaggio in favore della persona giuridica per configurarne la responsabilità; ciò comunque non esclude l'avvio di procedimenti penali nei confronti delle persone fisiche coinvolte. L'articolo 5 (45) elenca una possibile gamma di sanzioni penali e non che dovrebbero essere predisposte negli ordinamenti interni e che dovrebbero trovare applicazione una volta accertata la responsabilità di cui alla norma precedente.

La giurisdizione degli Stati membri in materia di tratta dovrebbe seguire le regole dell'articolo 6, il quale indica tre criteri: un criterio (46) non-derogabile che guarda al territorio su cui è commesso il reato; due criteri (47), fondati sulla cittadinanza della persona fisica e sulla sede della persona giuridica, derogabili ai sensi del comma successivo della stessa disposizione.

Fino a questo punto si può dire che, l'impatto della decisione 629 del 2002 sul quadro legislativo comunitario circa il contrasto alla tratta è più che positivo per l'epoca. E' superata l'impostazione più teorica e dichiarativa della azione comune 154 del 1997, in favore di una fissazione di concetti, definizioni e standard precisi cui i Paesi devono attenersi. In materia di sanzioni e di giurisdizione gli Stati membri sono soggetti ad obblighi più chiari e definiti rispetto al Protocollo di Palermo sulla tratta (48).

Tuttavia, forti critiche sono state rivolte alla scarsa considerazione per la prevenzione dei reati e, soprattutto, alla carenza di disposizioni significative in materia di assistenza e di tutela dei diritti delle vittime. L'unica norma rivolta a questa finalità, l'articolo 7, è piuttosto insoddisfacente: esso si limita a stabilire il principio per cui l'iniziativa per le indagini e per l'esercizio dell'azione penale non deve dipendere dalla denuncia della vittima (49) (il che rappresenta una garanzia per essa, ma limitata); inoltre, introduce alcune previsioni generiche circa la considerazione (in special modo, processuale) della vittima minore (50). L'ultimo comma accenna ad un'assistenza in favore della famiglia della suddetta vittima-minorenne, la quale si risolve nella applicazione, "se possibile ed opportuno", dell'articolo 4 della decisione quadro 2001/220/GAI, riguardante il diritto all'informativa sulle azioni processuali in corso (51). Gli Stati membri sono chiamati a conformarsi e ad adottare le misure legislative necessarie entro il 1º agosto 2004 e il Consiglio è chiamato a relazionare sullo stato di avanzamento di tale processo entro l'anno successivo (52).

2.4 Altri strumenti in materia

Volendo tracciare a questo punto un breve quadro riassuntivo (53), si può notare intanto come l'affermarsi del contrasto tratta nell'ambito dell'ordinamento comunitario corrisponde ad un processo lento e graduale, che matura col tempo la consapevolezza dei diversi profili giuridici e non che si intrecciano in tale crimine e del diverso grado di attenzione che richiedono con l'evolversi delle forme con cui è perpetrato. Partendo dal Trattato di Amsterdam (1997), esso considera la tratta in un'ottica di ravvicinamento delle disposizioni di diritto penale degli Stati e di incremento della cooperazione di polizia e giudiziaria al fine di perseguire più efficacemente i trafficanti. Il titolo di riferimento è quindi il titolo 6º del TUE: in base all'articolo 29 paragrafo 2 del medesimo è adottata infatti la decisione quadro 629, e, sempre nello stesso contesto, è stata decretata la partecipazione dell'Unione al Protocollo sulla tratta aggiuntivo alla Convenzione di Palermo. In materia invece di asilo e di immigrazione, gli accenni alla tratta nell'ambito del TCE, titolo 4º, restano molto più sporadici, quantomeno fino al 2004, quando sulla base dell'articolo 63 TCE è emanata la direttiva 81 del 2004. Ciò permette di individuare una prima fase del suddetto processo di affermazione, nella quale prevale un approccio repressivo al problema, volto ad ostacolare, a perseguire, a sanzionare penalmente ed in modo proporzionato alla gravità dei fatti gli autori dei reati (rendendo la tratta attività criminale a più alto rischio). Il frequente svolgersi delle condotte sul territorio di due o più Stati impone invece la necessità, già riconosciuta dai primi atti comunitari in materia, di valorizzare la collaborazione su più livelli fra i Paesi, anche dando attuazione alle norme comunitarie che richiedono un'armonizzazione delle normative nazionali in materia.

Un primo ampliamento di prospettiva è riconducibile all'adozione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, avvenuta a Nizza il 7 dicembre 2000: il riconoscimento delle libertà e della dignità della persona qui contenuto, richiama l'attenzione delle istituzioni e del legislatore comunitario sulla tutela dei diritti fondamentali delle vittime di tratta (54). Il trafficking in human beings comincia ad essere considerato prima di tutto come grave e profonda lesione dei diritti e della dignità umana, a prescindere dal coinvolgimento di soggetti particolarmente vulnerabili (elemento che inizia invece essere inquadrato quale circostanza aggravante).

La direttiva 2004/81/CE del Consiglio (55). La direttiva 81 emanata dal Consiglio dell'Unione Europea il 29 aprile 2004, ha ad oggetto il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un'azione di favoreggiamento dell'immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti. Come precisato dall'articolo 1, l'obiettivo generale è quello di definire i criteri e le procedure minime comuni per poter rilasciare un permesso di soggiorno allo straniero, che comunque è espressamente inteso come provvisorio e di breve durata (56). La direttiva, almeno in apparenza, pare recepire il nuovo approccio, diffusosi in quegli anni, sul fenomeno della tratta, andando per la prima volta a prevedere, in un atto comunitario dotato di efficacia diretta negli ordinamenti statali nazionali, una serie di precisi obblighi di protezione ed assistenza in favore delle vittime (57). Tuttavia, con una formula ricorrente, nella parte introduttiva si sottolinea come questo strumento non vada ad incidere con la protezione concessa ai rifugiati o a coloro che beneficiano di protezione internazionale e con le altre forme di tutela processuale o materiale riconosciute dagli ordinamenti nazionali (58). Innanzitutto, si deve rilevare come la direttiva, che è fondata sull'articolo 63, comma 1º, n.3 del Trattato CE, trovi applicazione solo in favore dei cittadini di Stati terzi (maggiorenni ed anche se entrati illegalmente sul territorio) (59) e non in favore dei cittadini comunitari: ciò costituisce un limite politico ed operativo, in quanto sostanzialmente esclude l'applicazione delle previsioni ai sempre più frequenti casi di 'tratta interna'. Sempre sotto il profilo delle condizioni applicative, i suddetti soggetti devono essere vittime del reato di trafficking in human beings (secondo la definizione accolta nella decisione quadro 2002/629/GAI, articoli 1, 2 e 3) (60), mentre è rimessa alla discrezionalità degli Stati membri la possibilità di estendere le norme della direttiva ai casi in cui essi siano vittime del reato di smuggling of migrants (61).

Il Capo 2º (articoli 5-8) è interamente dedicato alla "procedura di rilascio del titolo di soggiorno". L'obiettivo perseguito tramite queste norme è quello di riuscire a contemperare due diverse esigenze connesse alla tratta: un potenziamento degli strumenti investigativi e di contrasto ai traffici tramite il coinvolgimento delle vittime e la garanzia di un'adeguata assistenza e protezione per le medesime (62). Si prevedono in questo senso tre ordini di misure rivolte a rendere possibile questa armonizzazione nelle legislazioni nazionali. In primis, di fianco ai consueti obblighi informativi (63), si stabiliscono dei precisi doveri assistenziali in favore delle vittime ed in particolare: assistenza linguistica, assistenza legale gratuita, assistenza materiale e medica in caso di urgenza o di presenza di persone vulnerabili o bisognose (64). Tali interventi, come espresso nel considerando (12), dovrebbero permettere alle vittime di ristabilirsi e sottrarsi all'influenza dei trafficanti.

Continuando sulle misure antecedenti alla concessione del titolo di soggiorno, riveste una particolare importanza l'articolo 6, che introduce in ambito comunitario il cosiddetto "periodo di riflessione". I fini perseguiti con questa previsione sono all'incirca i medesimi sottesi alle misure assistenziali (ed indicati anche nella Convenzione di Varsavia), più uno: si vuole mettere in condizione la vittima di decidere liberamente e senza pressioni di alcun tipo se cooperare o meno con le autorità dello Stato membro (65). Per questo motivo, durante tale arco di tempo essa beneficia del trattamento di cui all'articolo 7 e di un divieto di essere soggetta a qualsiasi forma di allontanamento. In ogni caso, le decisioni sulla durata, la decorrenza e la cessazione di tale periodo (per alcune circostanze indicate nell'ultimo comma) sono riservate ai legislatori nazionali, senza l'indicazione di criteri specifici.

Infine, lo strumento principale ed innovativo (cui i suddetti trattamenti sono subordinati) è la possibilità per gli Stati membri di rilasciare un permesso di soggiorno temporaneo alle vittime, la cui validità deve essere almeno di 6 mesi e rinnovabile alle stesse condizioni che giustificano il rilascio (66), ovvero: l'utilità della presenza della vittima sul territorio nazionale ai fini delle indagini o del procedimento giudiziario; la decisione della medesima di collaborare con la giustizia; la rottura di ogni legame fra 'trafficati' e presunti autori dei reati; la compatibilità della permanenza dell'individuo con la sicurezza e l'ordine pubblico dello Stato; la partecipazione dell'interessato ai programmi o ai regimi di cui all'articolo 12 (solo se ciò è espressamente previsto quale presupposto del rilascio e/o del rinnovo). Una volta ottenuto il titolo, lo straniero ha almeno diritto a ricevere il trattamento assistenziale di cui all'articolo 7 laddove ne necessiti (67), anche se le aperture più interessanti sono contenute negli articoli 11 e 12. Il primo, introduce la possibilità che gli Stati membri definiscano normativamente percorsi di inserimento lavorativo, professionale o formativo della vittima, per il periodo di permanenza. Tuttavia, oltre ad essere espressamente indicato un preciso limite temporale, il 2º comma della disposizione si sofferma a sottolineare come le condizioni e le procedure di autorizzazione ad accedere al mercato del lavoro o all'istruzione sono stabilite dalle autorità nazionali secondo le leggi interne. Questo ultimo comma vanifica di fatto la portata vincolante dell'articolo 11, lasciando tutte le decisioni nel merito agli Stati membri.

L'articolo 12, al comma 1º stabilisce: "Ai cittadini in questione dei paesi terzi è concesso l'acceso a programmi o regimi esistenti, previsti dagli Stati membri o da organizzazioni o associazioni non governative che hanno accordi specifici con gli stati membri, aventi come prospettiva la ripresa di una vita sociale normale, compresi, eventualmente, corsi intesi a migliorare la loro capacità professionale, oppure la preparazione al ritorno assistito nel Paese d'origine" (68). E' questo, uno dei primi riferimenti all'utilizzo dello strumento della programmazione sociale ai fini del reinserimento delle vittime di tratta o di persone comunque implicate nelle dinamiche criminose dell'immigrazione illegale. L'obiettivo perseguito è quello di consentire di assistere lo straniero ed evitare che possa ricadere nei traffici e nello sfruttamento; ancora, nella direttiva non è predisposta una programmazione finalizzata all'integrazione sociale della vittima, esigenza che non rientra nemmeno nello spirito del documento.

L'applicazione della direttiva in questione ai minori è considerata come eccezionale rispetto alle regole individuate dall'articolo 3 della stessa, e la decisione è lasciata agli Stati membri in base alle singole legislazioni nazionali (69). Qualora essi scelgano di avvalersi di tale facoltà, devono osservare le regole indicate nell'articolo 10. Tale disposizione ha però uno scarso contenuto precettivo, che può essere sintetizzato nell'indicazione di due principi generici: un dovere per gli Stati di adeguare i procedimenti e gli istituti contemplati alle specifiche esigenze dei minori internazionalmente riconosciute (è citato l'accesso al sistema scolastico pubblico, ma mancano criteri specifici) (70); un dovere di riservare una considerazione speciale sotto il profilo identificativo ed assistenziale per il minore non accompagnato (anche in questo caso, senza indicare criteri o misure particolari, se non la rappresentanza legale) (71).

In conclusione, da questa rassegna degli scopi, delle procedure e degli obblighi previsti dalla direttiva 81, dovrebbe emergere con chiarezza anche quello che è il suo principale limite nonché, bersaglio di critiche. La portata innovativa delle misure volte a difendere i diritti umani è contenuta, ma soprattutto è vanificata quasi del tutto dalla subordinazione del rilascio del permesso di soggiorno ad un'effettiva e proficua collaborazione giudiziaria (cosiddetto sistema premiale). Ciò permette di aprire le porte, negli ordinamenti nazionali, ad un inappropriato 'baratto' delle esigenze della giustizia con la tutela di diritti fondamentali delle vittime. La concessione del titolo di soggiorno e il periodo di riflessione sono strumenti validi, ma di per sé insufficienti a tale scopo in ragione del breve arco di tempo per cui sono concessi. Senza contare che la direttiva pare lasciare sguarniti di qualsiasi protezione coloro che non possano (per carenza di informazioni utili) o non vogliano collaborare con le autorità degli Stati membri.

Pur derogando all'ordine di trattazione, è opportuno citare in questa sede due interventi comunitari, non formalmente pertinenti forse al tema di questo scritto, ma sicuramente collegati e rilevanti nel contesto della tratta. Tali documenti sono uno antecedente ed uno successivo di alcuni anni alla direttiva 2004/81/CE. Il primo riferimento è alla decisione quadro del Consiglio 2001/220/GAI, del 15 marzo 2001 (e successive modifiche), riguardante la posizione delle vittime nei procedimenti penali. La rilevanza di tale atto è testimoniata anche dal fatto che i diritti qui previsti sono espressamente richiamati anche dalla direttiva 2011/36/UE, come nucleo base della normativa sull'assistenza e la tutela processuale delle vittime di tratta (72). La decisione quadro prevede una serie abbastanza ampia e variegata di tutele e garanzie, rivolte però quasi esclusivamente a quelle vittime di reati (per le diverse legislazioni nazionali) coinvolte in un procedimento penale nel Paese d'arrivo. Più precisamente, il considerando (6) sostiene che:

le disposizioni della presente decisione quadro non hanno pertanto come unico obiettivo quello di salvaguardare gli interessi della vittima nel procedimento penale in senso stretto. Esse comprendono altresì talune misure di assistenza alle vittime, prima, durante e dopo il procedimento penale. (73)

Dalla lettura combinata del considerando e dell'articolo 2, comma 1 (74), si intuisce come, pur essendo disegnata una protezione più estesa possibile del soggetto, essa è comunque incentrata sull'istaurarsi di un procedimento penale caratterizzato da una qualche forma di partecipazione della vittima (seppur inteso quale procedimento in senso ampio, secondo la definizione dell'articolo 1 lettera d) (75).

Gli articoli 4 e 5 prevedono, in modo piuttosto dettagliato, le informazioni e le comunicazioni che la vittima ha il diritto dei ricevere dalle autorità competenti degli Stati membri sin dal momento del primo contatto sul territorio nazionale, suddividendole fra quelle penalmente obbligatorie e quelle che la vittima può scegliere di non ricevere (76).

Tali informazioni, da fornirsi in lingua comprensibile per l'interessato, hanno ad oggetto anche: la descrizione dei tipi di assistenza cui gli è possibile accedere e le organizzazioni cui può rivolgersi, i modi per ottenere un risarcimento ai sensi del successivo articolo 9, la sussistenza di un'eventuale situazione di pericolo che lo riguarda e i modi e tempi per poter sporgere denuncia (facoltà di denuncia che gli Stati devono agevolare ai sensi dell'articolo 11) (77). L'articolo 6, intitolato "assistenza specifica alla vittima", riguarda però il solo profilo strettamente processuale, fra l'altro menzionando espressamente l'accesso al gratuito patrocinio. Di maggiore interesse è l'articolo 8. Questa disposizione assicura un diritto di protezione in favore della vittima ed eventualmente dei suoi familiari, con particolare attenzione alla loro sicurezza personale ed alla privacy, sul presupposto che le autorità competenti riscontrino una minaccia seria e concreta a tali beni. I paragrafi da 2 a 4 dispongono alcune generiche misure di difesa dei suddetti interessi, complessivamente rivolte ad evitare la cosiddetta "vittimizzazione secondaria" (e perciò circoscritte nell'ambito di una procedura giudiziaria). Infine, la decisione quadro richiede agli Stati membri di migliorare la cooperazione interstatale nel settore giudiziario (78), e soprattutto, di favorire l'intervento nell'ambito dei procedimenti di "servizi specializzati e organizzazioni di assistenza alle vittime", promuovendo e/o finanziando progetti volti a garantire una formazione adeguata agli operatori di polizia e del settore giudiziario che entrano in contatto con le vittime (soprattutto quelle rientranti nelle 'categorie vulnerabili') (79).

Per quanto riguarda il secondo intervento, esso affonda le radici nella consapevolezza che i reati di trafficking in human beings e di smuggling of migrants sono, nella quasi totalità dei casi in cui si verificano, finalizzati a realizzare lo sfruttamento dei soggetti 'trafficati'. Di tale aspetto, noto fin dai primi documenti storici dedicati al contrasto di questi crimini, è ben consapevole la decisione quadro 629 del 2002, che distingue infatti la lotta alla tratta connessa al sexual exploitation da quella rivolta al labor exploitation. Alla seconda e statisticamente meno frequente tipologia di tratta è in parte rivolta la direttiva 2009/52/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio (80). L'atto prevede norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Nei considerando (21) e seguenti è precisato il collegamento con i fenomeni di tratta. In particolar modo, si rileva come i sistemi sanzionatori di natura amministrativa vigenti in questo campo nella maggioranza degli Stati membri si sono dimostrati insufficienti e richiedono di essere sostenuti da interventi penalistici (81). Ciò, a maggior ragione nei casi in cui si verifichino ipotesi di particolare gravità, quale ad esempio "la consapevolezza, da parte del datore di lavoro, che il lavoratore è vittima di tratta di esseri umani" (82) (tuttavia, il considerando successivo lascia impregiudicata l'applicazione della decisione quadro 2002/629/GAI in questa eventualità). Il considerando (27) richiama anche la direttiva 2004/81/CE, quale modello da tenere presente nell'eventualità che gli Stati membri decidano di rilasciare un premesso di soggiorno provvisorio alle vittime dello sfruttamento.

In conclusione, si può notare come questa direttiva sia chiamata a stabilire norme comuni per prevenire e soprattutto reprimere lo sfruttamento lavorativo degli stranieri irregolari, con l'obiettivo ulteriore di andare ad ostacolare lo sviluppo dell'immigrazione illegale e quindi, delle fattispecie criminose connesse che si rivolgono a questo tipo di mercato (83). Per quanto riguarda la lotta al trafficking, questo atto ha perciò ha il valore di uno strumento repressivo, il quale cerca di andare a colpire uno dei principali fattori che costituiscono la 'domanda di persone'.

In ogni caso, l'attenzione per le vittime e per i loro diritti è praticamente assente da questa direttiva, che privilegia un'ottica repressiva, volta a determinare sanzioni, penali e non, diversificate ed efficaci.

Nel dicembre del 2005, a quasi due anni dall'emanazione della direttiva 81 del 2004 e a più di tre anni di distanza dalla decisione quadro 2002/629/CE, il Consiglio dell'Unione Europea interviene nuovamente in materia di tratta, tramite una comunicazione. Tale atto contiene il Piano UE sulle migliori pratiche, le norme e le procedure per contrastare e prevenire la tratta di esseri umani (84). Il Piano ha come obiettivo generale quello di ridefinire ed adeguare le finalità perseguite con la disciplina comunitaria sulla lotta alla tratta, in base alle esigenze e alle difficoltà riscontrate nell'applicazione dei primi strumenti. Sono predisposte di conseguenza, 8 tabelle che fissano le azioni da adottarsi e da realizzare per altrettanti scopi. Sintetizzando, tre possono essere considerate le indicazioni essenziali su cui il Consiglio insiste in questo documento. Primo: gli Stati membri e le istituzioni europee devono intensificare la prevenzione ed il contrasto alla tratta di esseri umani finalizzata a qualsiasi tipo di sfruttamento. Ciò deve essere realizzato tramite politiche di rafforzamento delle incriminazioni per questi gravi fatti e favorendo le diverse forme di cooperazione fra Stati, istituzioni ed organismi non governativi, anche grazie all'intervento di agenzie europee quali Frontex, Europol ed Eurojust (85). Secondo: si avvertono gli Stati membri e la Commissione dell'esigenza di elaborare e valorizzare strategie preventive che abbiano come bersaglio le cause profonde della tratta e gli elementi che la favoriscono. Presupposto essenziale per poter efficacemente intervenire sulla 'domanda di persone' (nei Paesi di destinazione) e sull'offerta' (riguardo ai fattori tipici del contesto dei Paesi d'origine, quali corruzione e povertà), è promuovere, da parte delle istituzioni comunitarie e nazionali, iniziative volte ad una migliore conoscenza della natura e delle caratteristiche di questo grave reato (86). Terzo (e più importante): il Consiglio sottolinea l'opportunità di favorire l'adozione di un approccio al trafficking che sia effettivamente incentrato sulle vittime della tratta e sui loro diritti fondamentali. La tutela dei diritti umani, ancora vista in un'ottica processuale, acquista in questa comunicazione un suo profilo di autonomia da tale contesto, soprattutto se vittime dei reati siano soggetti appartenenti a 'categorie vulnerabili' (giovani donne, bambini e minori non accompagnati) (87). La comunicazione stessa, dispone che il Piano sia regolarmente valutato circa il conseguimento dei suddetti scopi ed eventualmente aggiornato, secondo quelle che sono le politiche e i principi adottati in base agli orientamenti nazionali sul problema (88).

2.5 Il Trattato di Lisbona: obiettivi ed impatto

Fino ad adesso, nell'excursus giuridico che conduce all'analisi della direttiva 36 del 2011, si è fatto principalmente riferimento ai singoli atti comunitari in materia di tratta, riservando solo pochi cenni al sistema dei Trattati Europei. E' necessario tuttavia soffermarsi brevemente su tale sistema, in particolare per capire quali cambiamenti siano ipotizzabili in quest'ambito dalla ratifica del Trattato di Lisbona, avvenuta nel 2007 (l'entrata in vigore definitiva è però nel 2009) (89). Prima di tale data, l'area del cosiddetto 'terzo pilastro' (GAI), dedicato alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, è caratterizzata da iniziative volte al contrasto della criminalità organizzata transnazionale e del traffico di persone adottate prevalentemente tramite decisioni quadro. Questa soluzione, fondata sull'articolo 34, par. 2, lett. b) del Trattato sull'Unione, era oggetto di alcune critiche. Innanzitutto, perché le decisioni quadro non sono dotate di effetti diretti negli ordinamenti interni, con la conseguenza che gli individui non possono invocarle di fronte alle corti nazionali. Inoltre, relativamente al 'terzo pilastro', le misure legislative principali erano adottate all'unanimità dal solo Consiglio dell'Unione, riservando al Parlamento un ruolo meramente consultivo. Ciò suscita perplessità in quanto il Consiglio, quale organismo composto dai ministri dei governi degli Stati membri e, come tale, rappresentante dell'interesse di questi ultimi, si trova nel ruolo di unico decisore in un'area in cui spesso si discute di diritti umani fondamentali dei cittadini comunitari e non (come appunto si afferma nel caso del contrasto alla tratta). Per i suoi sostenitori, il principio democratico doveva essere quindi ripristinato riconoscendo al Parlamento europeo, unico corpo direttamente eletto da tutti i cittadini dell'Unione, la possibilità di co-legiferare anche in questo ambito. Nel momento storico in cui ci si rende conto, anche in ambito comunitario, dell'importanza che i problemi legati all'immigrazione illegale, al trafficking in human beings e allo smuggling of migrants siano affrontati in un'ottica collaborativa fra gli Stati membri (in ragione della loro 'portata sovranazionale'), si impone un bilanciamento fra il principio di sovranità (nazionale) e il principio democratico (delle istituzioni europee). Per i sostenitori di quest'ultimo, era necessario ridurre il potere decisorio del Consiglio nelle materie del terzo pilastro, valorizzando il potere legislativo del Parlamento Europeo e introducendo un ruolo consultivo dei parlamenti nazionali.

Il Trattato di Lisbona è firmato nel 2007 ed è suddiviso in tre parti. Esso abolisce la distinzione fra Trattato sull'Unione Europea e Trattato sulla Comunità e supera dunque la suddivisione delle competenze nei cosiddetti 'tre pilastri' (90). La cooperazione di polizia e giudiziaria e le materie dell'asilo e dell'immigrazione sono inquadrate dal Trattato sul Funzionamento fra le politiche volte a realizzare uno Spazio Comunitario di Libertà, Sicurezza e Giustizia (91). L'articolo 77 del TFUE, ricompreso nel Capitolo 5º, è dedicato alle misure in tema di asilo ed immigrazione, e richiede "l'introduzione graduale di un sistema di gestione integrata dei confini esterni":

in order to achieve this object, Article 77(2) states that the European Parliament and the Council shall enact legislation by the ordinary legislative procedure. Article 78 states that the Union shall adopt a common policy on asylum, subsidiary protection and temporary protection (92).

Oltre a questa innovazione, si deve ricordare come il Trattato di Lisbona, assegni una posizione centrale ed autonoma al contrasto alla tratta rispetto alle politiche migratorie (articolo 63-bis), valorizzando il coinvolgimento in materia dei diritti fondamentali previsti dalla Carta di Nizza (che vieta esplicitamente la tratta). Il Trattato di Lisbona, modificando il Trattato UE, cerca di promuovere inoltre un "cooperazione rafforzata" fra gli Stati membri con l'obiettivo di realizzare un consenso più ampio possibile sugli atti comunitari da adottare (articolo 20).

In sostanza, l'obiettivo del Trattato di Lisbona è quello di creare una base giuridica e consensuale comune agli Stati membri in queste materie (fra le quali rientra la lotta al traffico di persone), non solo per realizzare una più democratica azione comunitaria, ma godendo di un più ampio consenso, per rendere anche più efficace la repressione e prevenzione di tali crimini e la tutela delle vittime. Il clima di coesione democratica fra le istituzioni nazionali e comunitarie, le organizzazioni e la società pare essere un presupposto irrinunciabile per il conseguimento di tali obiettivi.

2.6 La Direttiva 2011/36/UE del Parlamento e del Consiglio: innovazioni e raffronto con la disciplina previgente

Nel periodo 2006-2008, il quadro normativo europeo e comunitario sul contrasto alla tratta di persone vive una fase si transizione importante, ma anche di ambiguità: da un lato, iniziano a prendere forma i contorni reali del problema e, di conseguenza, la disciplina legislativa e giurisprudenziale su di esso. La decisione quadro 629 del 2002, la direttiva del 2004 sui titoli di soggiorno, la Convenzione di Varsavia, le comunicazioni e le dichiarazioni degli organi comunitari, il Programma sulla prevenzione e lotta del crimine organizzato (ISEC, 2007), senza dimenticare la giurisprudenza della Corte di Strasburgo e il recepimento della Carta di Nizza fra le fonti dell'Unione col Trattato di Lisbona, iniziano a costituire un panorama abbastanza articolato. Tuttavia, osservando meglio, vi sono anche alcuni elementi che testimoniano un certo ritardo e che potrebbe far dubitare del fatto che il contrasto al traffico di persone rientri fra le vere priorità politiche dei Paesi europei. Ad esempio, è del luglio 2006 la decisione del Consiglio che legittima la Comunità europea ad entrare a far parte del Protocollo Onu del 2000 sulla prevenzione e repressione della tratta. Nel medesimo arco temporale suddetto, sono solo 10 i Paesi UE che hanno ratificato la Convenzione del 2005 del Consiglio d'Europa, mentre sono 15 quelli che l'anno firmata. Senza contare che vi sono Stati membri i quali versano in uno stato di ritardo cronico sotto il profilo dell'adeguamento alle e del recepimento delle norme europee. Ad esempio, la decisione quadro 629 è recepita da un numero limitato di Stati, fra i quali non rientra l'Italia, la quale non aveva né recepito la successiva direttiva 81 del 2004, né ratificato la Convenzione di Varsavia.

Nell'ottobre del 2008 è redatto a Bruxelles un documento di lavoro della Commissione che riguarda valutazione e monitoraggio dell'attuazione del piano UE sulle migliori pratiche, le norme e le procedure per contrastare e prevenire la tratta di esseri umani. Il documento, fondato sulle conclusioni del Consiglio GAI dell'8-9 novembre 2007, cerca di fornire una panoramica sulle misure e sulle politiche anti-tratta negli Stati dell'Unione. Sono in particolare individuate le principali lacune e difficoltà rispetto a quelli che erano i punti indicati nel Piano UE del 2005. Si rileva innanzitutto l'esigenza di potenziare le misure di prevenzione, specialmente quelle nei Paesi d'origine delle vittime e quelle 'a lungo termine' (ovvero quelle che sono destinate a esplicare effetti benefici non immediati, come le campagne di informazione e sensibilizzazione e i programmi educativi o di formazione del personale coinvolto). Sotto il profilo delle indagini e dell'azione penale per i reati di tratta ai fini dello sfruttamento sessuale e lavorativo si sottolinea come, pur in assenza di dati precisi, il numero dei procedimenti penali non è ritenuto corrispondente all'entità presunta dei fenomeni. Sono valutati come piuttosto insoddisfacenti anche i dati circa la protezione delle vittime da parte delle forze dell'ordine e riguardo la possibilità delle stesse di ottenere un risarcimento. L'Italia è menzionata riguardo al primo aspetto quale eccezione positiva, rilevandosi come tutte le vittime che hanno potuto partecipare a programmi di integrazione sociale hanno anche beneficiato di un'adeguata protezione.

Appare ancora molto basso il numero delle vittime che hanno beneficiato di misure assistenziali. La Commissione riscontra come, a fronte del fatto che la maggioranza degli Stati membri abbiano comunicato il recepimento integrale della direttiva 2004/81/CE, i dati al riguardo appaiono confusi e poco convincenti. L'Italia è nuovamente citata quale particolarità, visto che ha predisposto un sistema che permette di ottenere direttamente un titolo di soggiorno. Anche in questo caso, le cifre sono però scarse e frammentarie, tant'è che la Commissione arriva ad ipotizzare che "la maggior parte delle vittime identificate è immediatamente allontanata, il che viola le norme sui diritti umani, comporta la perdita di una fonte importante di elementi di prova, e costituisce una flagrante violazione della direttiva" (93).

Il documento, nella sua parte finale, fornisce alcune indicazioni operative sull'attuazione degli obiettivi del Piano. Una delle conclusioni pare però avere una portata decisiva per quello che è l'approccio delle misure di contrasto alla tratta suggerito dalla Commissione e che di lì a pochi anni, almeno teoricamente, si afferma:

le cifre mostrano....che nei Paesi in cui le vittime che ricevono assistenza sono numerose, maggiore è anche il numero dei procedimenti penali. Ciò significa che un approccio incentrato sui diritti dell'uomo è necessario non solo per tutelare i diritti delle vittime, ma anche nell'interesse della giustizia.

L'articolo 83 del TFUE, paragrafo 1 dispone: "il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante direttive secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni" (94). In base a tale norma ed all'articolo 82, paragrafo 2 del TFUE medesimo è adottata la direttiva 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, e che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI (95). La direttiva stessa dispone poi che gli Stati membri devono provvedere a conformarsi alle prescrizioni, tramite le misure attuative necessarie, entro il 6 aprile 2013 (96). Questo atto rappresenta un punto d'arrivo e di svolta fondamentale, in quanto con esso sono superati gli approcci precedenti al crimine della tratta, in particolar modo quello premiale, per adottare una visione più garantista che proviene direttamente dalla Convenzione di Varsavia del 2005 e dalle dichiarazioni e tesi che ne sono seguite. Allo stesso tempo, l'impostazione degli interventi precedenti più rilevanti in materia è ripresa e sviluppata. L'approccio della direttiva 36 è definito per questo "olistico"(o "integrato") e "globale": ciò significa che si tratta di uno dei primi strumenti in materia di legislazione penalistica che ricomprende azioni concrete di diversa natura, rivolte alla tutela degli interessi e dell'incolumità delle vittime del reato. Questo approccio è così sintetizzato nel duplice contenuto della direttiva: la prevenzione e la repressione del reato di tratta e la protezione dei soggetti coinvolti. La struttura e le azioni della direttiva possono essere ordinati secondo quattro diversi obiettivi: armonizzazione delle fattispecie, delle incriminazioni di tratta e delle sanzioni; rafforzamento degli obblighi repressivi; rafforzamento della cooperazione di polizia e giudiziaria e sua semplificazione; protezione delle vittime e dei loro diritti. Da queste prime considerazioni si può ricavare un elemento di ambivalenza o, se si preferisce, di versatilità della direttiva sul piano operativo: da un lato, essa riconosce l'esigenza di garantire una tutela extrapenalistica ai soggetti passivi, fondata su misure di assistenza, sostegno ed integrazione improntate ad un principio di 'non premialità'. Inoltre, si ritiene opportuno tenere indenni le vittime dall'azione penale e dalle sanzioni cui possono essere soggetti per il solo fatto di aver partecipato passivamente ai traffici e alle attività connesse allo sfruttamento. Dall'altro, essa pare rivendicare un ruolo di primo piano del diritto penale nella lotta a questi gravi reati (97), seppur coadiuvato a tale scopo dal rinnovato interesse per le misure preventive.

Analizzando struttura e contenuto dei considerando della direttiva 36 del 2011, si possono enucleare tre principali terreni di confronto con la disciplina previgente. Innanzitutto, la direttiva avverte l'esigenza di un ampliamento e di un approfondimento delle nozioni e dei concetti fondamentali in materia, per raccordare maggiormente la normativa con l'evoluzione del fenomeno (98) (a). In secondo luogo, rispetto al passato è profondamente valorizzato il tema della tutela delle vittime della tratta di esseri umani e dei loro diritti fondamentali (in particolare di quei soggetti più vulnerabili come i minori e i minori non accompagnati), svincolata ormai dalle vicende procedimentali (99) (b). Infine, è riconosciuta l'importanza di migliorare la conoscenza di queste dinamiche criminose per potenziare le misure preventive dei reati, anche a fronte della carenza di misure in grado di avere un impatto soddisfacente in questo senso (100) (c).

(a). La definizione di tratta e dei reati connessi presa in considerazione dalla direttiva del 2011 è sicuramente modellata sulla definizione accolta dalla decisione quadro 629 del 2002; tuttavia, essa non ripropone la bipartizione dei reati accolta nella disciplina previgente secondo le due più frequenti forme di sfruttamento. Si ritiene più opportuno invece attenersi ad una definizione di più ampio respiro internazionale, come quella del Protocollo ONU di Palermo sulla tratta (101). La fattispecie principale, contenuta nell'articolo 2 della direttiva, può nuovamente essere suddivisa in tre macro-elementi (102). L'elemento oggettivo è costituito dai comportamenti dolosi che vanno a comporre la definizione di tratta. Si deve notare come al riguardo la norma non faccia alcun riferimento al trasferimento della vittima attraverso due o più Stati, ovvero al carattere della trans nazionalità. La scelta si spiega con la volontà di poter utilizzare questo strumento anche per arginare il problema della tratta interna (ai confini dell'Unione). Con un intento simile, non è fatta menzione del coinvolgimento di un'associazione criminale organizzata circa i soggetti attivi, proprio per disegnare una fattispecie più ampia, di reato comune e, di base, monosoggettivo. (103) Per quanto concerne le condotte, il comma 1º indica: "il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l'alloggio o l'accoglienza di persone, compreso il passaggio o il trasferimento dell'autorità su queste persone" (104). La descrizione è piuttosto accurata e soddisfa il principio di legalità-determinatezza, anche se non sono mancate alcune difficoltà nel tradurre la disposizione dalla lingua originale (105). In particolare, può creare confusione la resa del termine inglese "receipt" con l'italiano "accoglienza"; ciò è rilevante in quanto il termine inglese ricomprende anche le posizioni del datore di lavoro o dell'intermediario consapevoli della "situazione di coercizione connaturata al traffico" (106), seppur non coinvolti in alcun modo con lo stesso. Perciò, una corretta interpretazione del termine risulta fondamentale per poter sussumere sotto la fattispecie di tratta anche quelle ipotesi in cui il traffico della persona e il suo sfruttamento para-schiavistico non siano frutto di un'unica condotta consequenziale, ma di condotte spezzettate e riferite a soggetti diversi (a patto che siano presenti i mezzi e i fini illeciti richiesti dall'articolo 2).

Il secondo elemento costitutivo della definizione sono le modalità coercitive (illecite) utilizzate dai trafficanti. Fra queste l'articolo 2 indica: l'uso o la minaccia d'uso della forza o di forme coercitive simili, il rapimento, la frode o l'inganno, l'abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità, l'offerta o l'accettazione di somme di denaro o altri vantaggi per poter disporre del consenso di una persona che ha autorità su un'altra. Rappresenta un innesto molto opportuno, l'introduzione di una definizione circa la "posizione di vulnerabilità", che mancava nella disciplina previgente. Essa è intesa come "situazione in cui la persona in questione non ha altra scelta effettiva ed accettabile se non cedere all'abuso di cui è vittima" (107). L'importanza di questa novità risiede nella possibilità di reprimere forme particolari ed attualmente sempre più diffuse di tratta, non perpetrate attraverso la coercizione fisica e non del tutto inquadrabili nella frode o nell'inganno. Il riferimento è ai fenomeni del "debt bondage" (108) e/o della "dipendenza multipla", nei quali, facendo leva su condizioni di debolezza/instabilità fisica, emotiva, sociale, economica, culturale i trafficanti manipolano (non senza pressioni) o ricattano le vittime, inducendole a credere che lo sfruttamento lavorativo è l'unica alternativa che hanno. Nonostante ciò, ha suscitato critiche il basso grado di determinatezza della formulazione utilizzata nel paragrafo 2.

Sempre riguardo a questo secondo elemento della fattispecie, sono ripresi fedelmente dalla decisione quadro il principio dell'irrilevanza del consenso della vittima allo sfruttamento in presenza dei mezzi coercitivi tipici e il principio dell'irrilevanza delle modalità di commissione per la configurabilità del reato se vittima è un minore di anni diciotto (109).

Ultimo aspetto per completare la definizione è quello dell'elemento soggettivo (110) degli scopi illeciti perseguiti, riassunti nella nozione di sfruttamento (111). Il paragrafo 3º, di fianco alle consuete forme dello sfruttamento lavorativo e dello sfruttamento sessuale, integra l'elenco della decisione quadro 629 prevedendo in più: lo sfruttamento dell'accattonaggio; lo sfruttamento di attività criminali; il prelievo di organi. Non è più menzionata la pornografia, ma tale elenco è da considerarsi esemplificativo. In questo modo, il legislatore comunitario ha inteso adeguare le incriminazioni con gli sviluppi recenti della tratta, mettendo a disposizione degli Stati membri uno strumento in grado di colmare i vuoti di tutela della precedente disciplina.

L'articolo 3 della direttiva, conformemente ai primi orientamenti, richiede agli Stati membri di reprimere penalmente nelle proprie legislazioni le ulteriori condotte dell'istigazione, del favoreggiamento, del concorso e del tentativo nei suddetti reati.

L'articolo 9, par. 1 della direttiva, sulla falsariga dell'articolo 7 della decisione quadro, richiede che, per garantirne il buon esito (112), l'avvio delle indagini e dell'azione penale sul traffico di persone non siano subordinati dai legislatori nazionali alla querela, alla denuncia o comunque ad accuse formulate dalle vittime. E' opportuno inoltre che siano adottate misure affinché i procedimenti avviati siano indipendenti da un'eventuale ritrattazione da parte del soggetto passivo.

A fronte di questi precisi obblighi di criminalizzazione dei reati di tratta previsti dagli articoli 2 e 3 della direttiva, si riscontra un altrettanto puntuale obbligo di non punire le vittime. Più precisamente, l'articolo 8 richiede agli Stati membri di mettere le autorità nazionali in condizione di non esercitare l'azione penale e di non sanzionare quegli illeciti che le vittime sono state costrette a commettere come conseguenza diretta dell'essere trafficate e/o sfruttate. E' discussa l'estensione di tale clausola di non punibilità, la quale copre sicuramente quegli atti criminosi della vittima individuati secondo il criterio del collegamento immediato con una delle condotte tipiche dell'articolo 2 (che essa ha subito e che l'avrebbero quindi costretta ad agire in quel certo modo illecito). Ciò pare comunque sufficiente ad esentare i soggetti interessati dalle conseguenze penali provenienti dalla violazione delle leggi sull'immigrazione (ad es. per i reati di immigrazione clandestina) e dai reati connessi allo sfruttamento sessuale ed alla prostituzione (ad es. per il favoreggiamento della prostituzione) Questi due casi rappresentano le ipotesi di reato più frequenti in cui incappano i 'trafficati' (113). E' abbastanza evidente come queste disposizioni, soprattutto l'articolo 8, costituiscono delle innovazioni consistenti anche sotto il profilo della tutela dei diritti delle vittime (in special modo, il diritto a non essere soggetti a 'vittimizzazione secondaria'). La decisione quadro previgente dedicava a questo aspetto un'unica e scarna disposizione.

Rimanendo in tema di rafforzamento ed armonizzazione delle incriminazioni, deve essere segnalato un possibile punto di debolezza della direttiva 2011, tanto più grave se si pensa che già nel 2005, la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta alla tratta, aveva suggerito di includere fra le condotte tipiche incriminate il ricorso consapevole ai servizi forniti dalla vittima (articolo 19). L'articolo 18, par. 4º della direttiva, frutto di un compromesso, non in modo irragionevole e tuttavia un po' artificioso, ha scelto di includere una norma di questo tipo fra le misure preventive. Leggendo però questa norma con l'articolo 23, par. 2º, si può notare come non si è potuto andare oltre lo stabilire una mera facoltà per gli Stati di includere nell'ordinamento penale queste situazioni, senza indicare criteri o sanzioni precise. Le difficoltà di trovare un accordo su questo aspetto riscontrate nella fase dei lavori preparatori, sono in parte legate ai diversi atteggiamenti che i sistemi penali nazionali europei hanno sul fenomeno della prostituzione. Di conseguenza, non è stato possibile far convergere le differenti posizioni su un'unitaria incriminazione dei clienti delle prostitute (anche perché si tratta di un comportamento non penalmente represso in tutti gli ordinamenti). La soluzione di compromesso escogitata, è stata quella di un inquadramento di tale fattispecie criminosa negli ordinamenti in un'ottica preventiva, come possibile misura volta a scoraggiare la 'domanda di persone' e a colpire i mercati illegali che vi ruotano attorno. Il ricorso consapevole alle prestazioni di una vittima di tratta da parte del datore di lavoro, è espressamente preso in considerazione e sanzionato dalla direttiva 2009/52/CE, seppur con il grave limite di non estendere l'ambito applicativo delle relative norme alle ipotesi in cui soggetto passivo sia un cittadino comunitario (114).

In definitiva, le nozioni di tratta e di sfruttamento ricomprese nella direttiva 2011/36/UE sono più complete e più ampie rispetto al passato. Ciò pare essenziale per garantire un'adeguata repressione e prevenzione di una tipologia di criminalità caratterizzata da una certa versatilità rispetto agli strumenti di contrasto, ma anche per realizzare una collaborazione più intensa fra gli Stati e fra le istituzioni ed agenzie nazionali e quelle europee. Inoltre, le suddette definizioni permettono di delineare meglio la distinzione fra la tratta da un lato e l'immigrazione illegale e i suoi reati satellite (come lo smuggling of migrants). Mentre la tratta emerge come reato contro la persona e contro i suoi diritti fondamentali, caratterizzato dalla coercizione e dallo sfruttamento esercitati sulla medesima, il secondo tipo di reati è classificabile soprattutto come reato contro lo Stato e le sue leggi (in particolare, le leggi sull'immigrazione) (115).

Per quanto riguarda il tema delle sanzioni e la loro armonizzazione, la direttiva 2011 si connota per una maggiore severità rispetto alla decisione quadro. Il considerando (12) premette che l'attenzione per le pene rispecchia "la preoccupazione crescente negli Stati membri in relazione allo sviluppo del fenomeno della tratta degli esseri umani" (116). Nel medesimo, si rileva l'esigenza di mettere a punto una struttura del sistema sanzionatorio che, oltre al trattamento di base, preveda almeno due tipologie generali di circostanze aggravanti: le ipotesi della commissione del reato a danno di 'persone vulnerabili' (fra le quali devono farsi rientrare, come minimo, i bambini ed in generale i minori, suggerendosi anche l'inclusione di donne e di persone con disabilità o precarie condizioni di salute psicofisica); i casi in cui la tratta è posta in essere con delle modalità particolarmente gravi (in senso penalistico), come quando le condotte tipiche siano associate concretamente con il ricorso a violenze psicofisiche molto intense o con l'aver arrecato un grave pregiudizio alla vittima. L'articolo 4 della direttiva recepisce questa impostazione, ottenendo un risultato più armonico e chiaro rispetto alla articolo 3 della decisione quadro (la quale contemplava espressamente solo delle fattispecie aggravate). Il reato base di cui all'articolo 2 è punito con la reclusione prevista nel massimo di almeno 5 anni; le forme aggravate, dovrebbero invece prevedere una reclusione massima di almeno 10 anni.

Le circostanze aggravanti (117) introdotte sono modellate sulle indicazioni del considerando citato, con alcune aggiunte. In particolare, si richiede agli Stati di adottare un trattamento sanzionatorio più consistente quando sia coinvolta un'organizzazione criminale (ai sensi della decisione quadro 2008/841/GAI del Consiglio), quando sia stata messa in pericolo la vita della vittima con dolo o colpa grave ed infine quando il reato sia stato commesso da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzione (in definitiva, quest'ultima è la vera aggiunta della direttiva rispetto alla decisione quadro 629 del 2002, insieme all'architettura della norma). Per l'istigazione, il favoreggiamento, il concorso e il tentativo ci si limita all'enunciazione di principio per cui le pene devono essere effettive, proporzionate e dissuasive (118).

Sembrerebbe da leggersi nell'ottica dell'aggravio del quadro repressivo anche la possibilità, non considerata espressamente dalla disciplina previgente, che le autorità nazionali degli Stati membri siano dotate di poteri di sequestro e confisca degli strumenti e dei proventi del reato (119) in forza delle disposizioni della direttiva. Tuttavia, la portata innovativa della previsione è limitata se si considera che esistevano, già prima della direttiva 36, diversi strumenti internazionali ed europei dedicati a questo aspetto del traffico di esseri umani (120); anzi essa può generare problemi di compatibilità a livello applicativo e confusione a livello interpretativo (121).

In linea con la decisione quadro, la nuova normativa individua la responsabilità delle persone giuridiche nel reato di trafficking in human beings (articolo 5) e quelle che sono le specifiche sanzioni adottabili (articolo 6).

La giurisdizione degli Stati membri sui reati è modificata nel senso di una sua diversificazione nei criteri e di un ampliamento della giurisdizione extraterritoriale. Il criterio obbligatorio di base resta quello della territorialità, cui se ne aggiunge un altro, già contemplato in precedenza, ma reso adesso obbligatorio: il criterio della personalità attiva ("l'autore del reato" è "cittadino" dello Stato membro procedente) (122). Anche i criteri facoltativi sono risistemati. Si conferma che, lo Stato membro che voglia estendere la propria giurisdizione al di fuori del suo territorio deve darne comunicazione alla Commissione. Con una formula apparentemente aperta, sono poi indicate le circostanze principali in cui ciò può verificarsi, fra le quali spicca la residenza (abituale) nello Stato membro della vittima o dell'autore (123) (la cittadinanza della vittima e la sede della persona giuridica nel territorio nazionale sono criteri già utilizzati in passato). L'ultimo comma della norma introduce una regola particolare: l'esercizio della giurisdizione sui reati di trafficking perpetrati fuori dal territorio dello Stato, non deve essere subordinato (in caso di giurisdizione obbligatoria, di cui quindi alla lettera b del comma 1), o può non essere subordinato (nei casi di giurisdizione facoltativa) alla doppia incriminabiltà dei fatti. La finalità perseguita tramite queste modifiche è quella di contrastare più efficacemente le cosiddette 'nuove mafie', caratterizzate dall'avere di solito la sede in uno stato ma agenti con un alto tasso di mobilità internazionale (124), soprattutto nelle tipologie di criminalità basate sui traffici.

b). L'assistenza e la protezione delle vittime della tratta degli esseri umani costituisce la parte più articolata della direttiva 2011/36/UE e quella che segna il maggiore distacco con la normativa antecedente. Basti considerare che sono 7 le disposizioni dedicate a questo aspetto (articoli da 11 a 17 compreso), mentre nella decisione quadro 2002/629 l'unica norma contenuta si limitava a stabilire la procedibilità d'ufficio per i reati indicati e a richiamare alcune garanzie processuali stabilite nella decisione quadro 2001/220/GAI (articolo 7). Molta è la distanza anche con la direttiva del 2004 sui titoli di soggiorno rilasciabili, in quanto con essa le misure di assistenza materiale e il rilascio del permesso sono comunque condizionate dalla utile collaborazione della vittima con le autorità procedenti (125). Non si deve poi dimenticare che su queste tematiche esercitano una forte influenza anche gli obblighi desunti in primis dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, dalla giurisprudenza della Corte europea sui principi della CEDU (126), dalla Convenzione ONU del 1989 sui diritti del fanciullo e i principi consuetudinari e di diritto internazionale come il principio di non-refoulement (Convenzione di Ginevra del 1951) (127).

Queste diverse fonti e strumenti confluiscono nella direttiva, dando un'impronta ben precisa all'approccio che ispira quest'insieme di norme e che è ben specificato dai considerando iniziali:

la presente direttiva riconosce la specificità di genere del fenomeno e che la tratta degli uomini e quella delle donne hanno spesso fini diversi. Per questo motivo, anche le misure di assistenza e di sostegno dovrebbero integrare una specificità di genere" (128)..."poiché i minori costituiscono una categoria più vulnerabile rispetto agli adulti e corrono quindi maggiori rischi di divenire vittime della tratta di esseri umani, è necessario che la presente direttiva sia applicata tenendo conto dell'interesse superiore del minore (129).

Per concludere questa parte introduttiva, nell'impostazione seguita da questo ultimo intervento comunitario, anche la tutela delle vittime rispetto all'azione penale ed alle sanzioni per i reati commessi non intenzionalmente all'interno degli ordinamenti degli Stati membri rientra nelle misure di sostegno e protezione della vittima. Perciò, l'articolo 8, così come gli articoli 11 e seguenti della direttiva 2011, rispondono alle medesime tre finalità essenziali: salvaguardare i diritti umani delle vittime; scongiurare la 'vittimizzazione secondaria'; favorire la collaborazione e le testimonianze delle vittime nei procedimenti penali contro i trafficanti (130).

Si può dire che la direttiva prende in considerazione sia la vittime reali che le vittime potenziali della tratta (cui sono rivolte le misure preventive di cui si dirà nel paragrafo successivo). Circa la prima tipologia di soggetti, le norme sono volte ad implementare la tutela di natura processuale e a garantire una tutela di carattere amministrativo (131). La tutela processuale è contenuta nelle disposizioni, già esaminate, di cui all'articolo 8 (sul mancato esercizio dell'azione penale e sulla mancata applicazione di sanzioni alle vittime), all'articolo 9 (sull'avvio e sulla continuazione delle indagini e dei procedimenti a prescindere dall'intervento di parte) e nell'ulteriore previsione dell'articolo 12 (132). Quest'ultima norma introduce una serie di misure assistenziali e garanzie tipiche (assistenza e consulenza legale eventualmente gratuite, accesso a programmi di protezione, disposizioni procedurali in senso stretto), espressamente rivolte alle vittime coinvolte nei procedimenti sulla tratta di persone. Tant'è che è sottolineata nel testo la necessità di leggere gli strumenti in questione come integrativi dei diritti previsti dalla decisione quadro 2001/220/GAI sulla posizione processuale delle vittime. L'obiettivo dichiarato è quello di far si che sia rispettato il diritto di difesa del soggetto interessato, prevenendo inoltre i rischi di una vittimizzazione secondaria.

La tutela amministrativa si sostanzia nell'obbligo generale gravante sugli Stati membri di predisporre nelle proprie legislazioni adeguate misure di sostegno ed assistenza per le vittime dei reati. Tali misure sono rivolte a garantire uno standard minimo di sussistenza, realizzabile caso per caso, e comprensivo di interventi quali la concessione di un alloggio idoneo e sicuro, l'assistenza materiale di base, unita a cure mediche e psicologiche se necessarie ed a servizi di consulenza e di interpretariato. L'articolo di riferimento è l'undicesimo, che organizza questa disciplina secondo alcuni principi generali (133). In primo luogo, sotto il profilo temporale, l'assistenza e il sostegno devono essere 'precoci', ovvero devono essere offerte nel momento in cui le autorità nazionali siano a conoscenza di un mero indizio che testimonia una possibile verificazione dei reati. Del resto, la regola è che assistenza e sostegno siano assicurate prima, durante e per un congruo periodo di tempo successivo alla conclusione del procedimento; ciò pare imprescindibile sia per rendere possibile un effettivo e proficuo esercizio dei propri diritti da parte dei soggetti, ma anche per far si che essi siano tenuti al riparo da eventuali intimidazioni e ritorsioni dei trafficanti (134).

Secondo e fondamentale principio in materia, si dispone che l'assistenza e il sostegno non potranno essere subordinati dai legislatori alla volontà delle vittime di dare un contributo alle indagini o di testimoniare nei procedimenti o comunque di collaborare fattivamente con le autorità di polizia e giudiziaria (paragrafo 3). Questa previsione rappresenta il frutto della maturazione del nuovo approccio garantista in materia di lotta al traffico di persone, per il quale, nel bilanciamento fra le esigenze della giustizia e la protezione dei diritti umani fondamentali, deve necessariamente farsi prevalere il secondo aspetto. Senza contare che, come suggerito da alcuni anni dagli operatori in questo campo e come testimoniato da alcune esperienze concrete e positive degli ordinamenti nazionali (quale quella dell'articolo 18 del T.U. italiano sull'immigrazione), la creazione di 'percorsi sociali' di inserimento delle vittime, fondati su di un'assistenza incondizionata, viene incontro alle esigenze di repressione dei crimini. Infatti, si è potuto riscontare come, a fronte dei gravi traumi psicologici e fisici che riporta quasi sempre il soggetto sfruttato, la garanzia di un clima di stabilità e di sicurezza minime (cui si aggiunge la certezza di non essere immediatamente rimpatriato) rendono lo stesso statisticamente più incline alla cooperazione. Il pesante limite che si porta dietro questa norma è il lasciare agli Stati membri la legittima possibilità di continuare a subordinare il rilascio di un permesso di soggiorno allo straniero alla sua collaborazione con le autorità procedenti. La salvezza delle disposizioni della direttiva 2004/81/CE da parte del comma 3º, rende l'esperienza italiana del permesso di soggiorno per motivi umanitari e di integrazione sociale una eccezione isolata (135).

A questo proposito, non pochi dubbi sono generati dalla parte finale comma 3º, dubbi di carattere interpretativo che potenzialmente si riflettono su buona parte dell'intero sistema di fonti comunitarie in materia di tratta e soprattutto di protezione delle vittime. La disposizione stabilisce:

Gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie affinché l'assistenza e il sostegno alla vittima non siano subordinati alla volontà di quest'ultima di collaborare nelle indagini penali, nel procedimento giudiziario o nel processo, fatte salve la direttiva 2004/81/CE o norme nazionali analoghe.

Il contrasto è palese. La direttiva del 2011, da un lato fermamente riconosce (nei considerando e nella norma in questione) la necessità di non condizionare in alcun modo l'assistenza e il sostegno che devono essere garantiti alla vittima alle esigenze della giustizia, per rendere la sua tutela più effettiva e l'impianto normativo conforme alle esigenze dettate dal rispetto dei diritti umani. Dall'altro, tale strumento recente fa espresso rinvio ad una direttiva di diversi anni prima che introduce alcune misure assistenziali e di protezione per i soli stranieri che decidano di collaborare con le autorità giudiziarie nazionali nel contrasto ai traffici. Prima di poter formulare delle ipotesi ricostruttive, devono essere precisati i soggetti e l'oggetto di una simile questione. Innanzitutto, si deve rammentare che la direttiva del 2004 è rivolta esclusivamente alle vittime di tratta degli esseri umani (o a limite di smuggling of migrants) che siano cittadini di Stati terzi; perciò la cerchia dei destinatari è più ridotta rispetto alla direttiva del 2011. La direttiva 36 inoltre, nonostante la centralità che in essa riveste la protezione ed assistenza della vittima a livello sistematico e di principi, non contiene un elenco delle tutele extra-procedimentali e si limita ad indicare alcune misure standard inerenti al coinvolgimento degli stranieri nelle indagini e nei processi. La direttiva 81 prevede invece una serie di tutele tutte espressamente rivolte alle vittime nell'ambito delle indagini e dei procedimenti (preoccupandosi soprattutto del buon esito di questi ultimi).

Tentare la strada di una interpretazione letterale, sorretta magari dal criterio della lex posterior e/o considerando la direttiva 81 come lex specialis rispetto alla direttiva 36, non sembra portare ad una soluzione sensata. Adottando una lettura di questo tipo, si potrebbe giungere ad esempio alla soluzione per cui la regola, espressa dall'articolo 11 della direttiva 36 del 2011, sia che la assistenza ed il sostegno delle vittime di tratta rispondano ad un principio generale di non premialità in quest'ambito. Ad essa sarebbe opponibile un'eccezione, a beneficio, o meglio, a danno di quegli stranieri provenienti da Paesi terzi che abbiano i requisiti richiesti dalla direttiva del 2004 per ottenere un titolo di soggiorno. Tali soggetti potrebbero accedere alle misure ivi previste solo previa la manifestazione della loro volontà a collaborare con le autorità interne contro i trafficanti. Una interpretazione di questo tipo è illogica e va comunque contro lo spirito dell'intervento più ampio e più recente, che non prevede da nessuna parte tale differenziazione di trattamento e rivolge invece le misure di assistenza, sostegno e protezione (senza specificazioni) a tutte le vittime di tratta ed a prescindere dalla loro collaborazione giudiziaria.

Si possono aggiungere a questo punto due ulteriori elementi all'analisi, che tuttavia paiono complicarla invece di contribuire ad arrivare ad un'interpretazione soddisfacente. Il primo riferimento si trova nel considerando (17) della direttiva 2011/36/UE. Esso, dopo aver ricordato che "la direttiva stabilisce specifiche misure di protezione per tutte le vittime di tratta di esseri umani", sottolinea come essa "non riguarda di conseguenza le condizioni di soggiorno delle vittime della tratta di esseri umani nel territorio degli Stati membri". La formulazione risulta ambigua, sia sotto il profilo della consequenzialità che dovrebbe legare le due enunciazioni, sia su cosa si intenda per condizioni di soggiorno. Se queste ultime sono intese in senso generico, non si vede come sia possibile che una direttiva che fa della tutela dei diritti umani delle vittime di tratta uno dei propri perni possa non indicare almeno delle linee guida circa le condizioni alle quali gli stranieri possono soggiornare temporaneamente sul territorio di uno Stato (condizioni imprescindibili per avere accesso alle misure assistenziali di base). Se diversamente, si vogliono richiamare le condizioni alle quali è possibile rilasciare da parte di uno Stato membro un titolo di soggiorno di varia durata (interpretazione avvalorata dal richiamo, nel considerando medesimo, alla direttiva 2004/81/CE) la disposizione acquista un senso logico, ma resta confusa e discutibile negli scopi.

In questo secondo caso, la norma dell'articolo 11(3) della direttiva potrebbe essere intesa nel senso di operare una bipartizione sistematica di questo tipo: la direttiva 2011/36/UE andrebbe a disciplinare secondo un sistema non premiale la protezione generale, l'assistenza e il sostegno delle vittime di tratta di esseri umani (siano esse cittadini comunitari o meno) e le relative misure (esclusa la concessione di un permesso di soggiorno); la direttiva 2004/81/CE andrebbe invece a regolare in modo premiale la sola possibilità di rilasciare allo straniero/vittima cittadino di uno Stato terzo un titolo di soggiorno a fini assistenziali e di tutela (mentre, misure espressamente ricomprese nel medesimo documento, quale il periodo di riflessione, manterrebbero un carattere non-premiale). Gli stranieri cittadini comunitari non sarebbero in questo caso irragionevolmente discriminati e privati di una tutela, in quanto come ricorda il suddetto considerando (17), ad essi è applicabile la direttiva 2004/38/CE (136) relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, nonché alla loro protezione rispetto all'allontanamento. Invero, permangono comunque incertezze sull'opportunità di subordinare il riconoscimento di uno strumento così importante, come può essere un permesso di soggiorno per un soggetto particolarmente vulnerabile e bisognoso di protezione quale la vittima di tratta, alla collaborazione giudiziaria del medesimo. Un'interpretazione di questo tipo renderebbe inoltre l'articolo 18 del Testo Unico sull'immigrazione italiano un'eccezione nell'ambito dell'ordinamento comunitario.

In proposito, deve essere menzionato un secondo elemento, che è l'articolo 4 della direttiva del 2004. Questa norma rappresenta una sorta di clausola aperta che lascia agli Stati membri una discrezionalità piuttosto ampia in materia di interventi pro victima, conferendo, a questo come agli altri interventi in materia di tratta, il compito di definire una soglia minima di tutele in favore dei soggetti (137). Ovviamente, il richiamo che può essere fatto in forza di questa clausola va in primis alle specifiche disposizioni previste su vari livelli in favore dei rifugiati, di coloro che beneficiano della protezione internazionale, delle vittime particolarmente vulnerabili e agli altri strumenti internazionali che garantiscono i diritti umani fondamentali (138). Non si può escludere però che, in base a tale norma, si possa fare riferimento anche a fonti che si trovano sul medesimo piano della direttiva, come un'altra direttiva. Ad esempio, un legislatore nazionale potrebbe riconoscere la possibilità di concedere titoli di soggiorno in favore degli stranieri cittadini non comunitari vittime di trafficking o smuggling, a precise condizioni ed a prescindere da una loro proficua cooperazione, appellandosi all'articolo 4 in questione e, in modo diretto, ai principi espressi dalla direttiva 36 del 2011. Tuttavia, a livello interpretativo una simile soluzione deve essere valutata con cautela, in quanto il ricorso a fonti del medesimo rango che sono ispirate a due idee di fondo diametralmente opposte su temi limitrofi della stessa materia generale, può suscitare problemi teorici e attuativi.

Al di là delle letture possibili, si deve concludere che la formulazione allusiva e imprecisa del comma 3º dell'articolo 11 della direttiva non è opportuna e apre a diversi interrogativi. Complessivamente, sarebbe stato preferibile omettere l'ultimo inciso riguardante la direttiva 81 del 2004 e dedicare a questo aspetto delle disposizioni specifiche. Innanzitutto, ci si può interrogare sull'opportunità che le materie delle condizioni di soggiorno, dei rimpatri e degli allontanamenti nei riguardi degli stranieri vittime di tratta siano disciplinate separatamente dagli strumenti di tutela delle medesime (e senza specifiche disposizioni di raccordo). In particolare, anche mantenendo questa divisione, sarebbe stato utile che la direttiva del 2011, in quanto strumento di punta e recente della lotta alla tratta nell'ordinamento comunitario, fosse stata corredata di un elenco delle principali misure di protezione ed assistenza che devono seguire i suoi principi. In questo senso, si sarebbe potuta richiamare apertamente l'attenzione sul rilascio del titolo di soggiorno quale misura protettiva ed integrativa dello straniero, attraverso due strade: o ricomprendendola nell'elenco suddetto, in modo da sancire il suo carattere non premiale e quindi sollevare il conflitto con la direttiva previgente; o prevedendola in modo chiaro e preciso quale eccezione di sistema al principio garantista. In ogni caso, tralasciando l'eventuale necessità che la normativa del 2004 debba comunque essere riveduta, aggiornata e corretta, l'approccio adottato in tale intervento mal si concilia con lo spirito maggiormente garantista che affonda le sue radici nel riconoscimento in ambito comunitario della Carta di Nizza. E si manifestano attriti teorici e pratici anche laddove gli Stati membri, come è il caso dell'Italia e dell'articolo 18 del T.U., scelgano di andare oltre questa visione. Seppure questi ultimi restino per ora casi isolati, l'Unione non può permettersi di 'restare indietro' rispetto agli Stati membri sotto il profilo degli strumenti che tutelano i diritti umani, in quanto ciò finisce per generare disomogeneità applicativa. Le istituzioni comunitarie dovrebbero soprattutto interrogarsi sulla opportunità di mantenere strumenti diversi di protezione dei diritti delle vittime ispirati a principi opposti, invece di cercare, ove possibile e con i limiti del caso, di affiancare e progressivamente sostituire le misure premiali con 'percorsi sociali' di inserimento e recupero dei migranti (dalla comprovata maggiore efficacia anche sul piano della collaborazione giudiziaria). E' tuttavia inutile nascondere che sulle reali possibilità degli approcci socio-assistenziali suddetti gravano non poco le derive, soprattutto politiche, che ha assunto il tema del rapporto fra immigrazione e welfare in ambito comunitario (139).

In terzo luogo, è precisato dall'articolo 11 che l'assistenza ed il sostegno sono 'offerti' (paragrafo 5º). Ciò significa che essi sono forniti allo straniero su base consensuale ed informata nel momento in cui vi sia "un ragionevole motivo di ritenere che nei suoi confronti sia stato compiuto uno dei reati di cui agli articoli 2 e 3". Il considerando (21) si spinge fino a ritenere che il rifiuto della vittima non configuri alcun dovere per lo Stato. Infine, è disposto che, nel modellare ed attuare le misure in questione, gli Stati membri dovrebbero tenere conto di alcune peculiari situazioni individuali, connaturate allo stato ed alle caratteristiche della vittima o provocate dalle condotte criminali subite. Tuttavia, anche per la collocazione nella norma, il comma 7 pare più una formula piuttosto generica di chiusura dotata di scarsa precettività.

In linea con la Convenzione di Varsavia, il comma 4º riconosce l'importanza della pianificazione di meccanismi idonei a garantire un'identificazione dei soggetti più rapida possibile, anche avvalendosi dell'aiuto delle organizzazioni di sostegno e dei piani all'uopo creati (140).

I commi 2 e 3 dell'articolo 7 della decisione quadro 629 del 2002 sono teoricamente dedicati alla protezione dei bambini oggetto di tratta (non sono neppure menzionati invece i minori non accompagnati). Si è anche detto, come siano indicate per rinvio soltanto alcune garanzie processuali (di cui alla decisione quadro 2001/220) e sia suggerita una generica "assistenza della famiglia" del soggetto. Nella direttiva 2011, gli articoli da 13 a 15 compreso sono dedicati all'assistenza e al sostegno dei minori, mentre l'articolo 16 considera specificamente la situazione dei minori non accompagnati vittime di tratta (come esplicitamente richiesto anche dal considerando 23). L'obiettivo di queste norme è quello di garantire una tutela rafforzata e rispettosa dell'interesse superiore del minore in favore di questa particolare categoria di vittime più vulnerabili, attraverso la previsione di misure che debbono considerarsi addizionali o speciali rispetto a quelle che sono indicate per gli adulti (141). Il considerando (22) e l'articolo 13 (2) prevedono una regola generale di notevole rilievo sotto il profilo dell'identificazione e del trattamento conseguente per i soggetti che sono coinvolti nella tratta di esseri umani. Si stabilisce che, laddove l'età della vittima sia incerta (e non possa essere quindi accertata con sicurezza) e se vi siano motivi sufficienti per presumere che comunque lo straniero abbia meno di diciotto anni, esso è considerato minorenne e come tale deve avere accesso immediato alla tutela degli articoli 14 e 15 (142). La prima di tali disposizioni, indica le azioni (a breve o lungo termine) che gli Stati membri devono adottare per la protezione materiale dei soggetti minori, mentre l'articolo 15 ha il medesimo scopo ma riferito alla tutela nelle indagini e nei procedimenti. Finalità ulteriori ed esplicite delle misure di assistenza e di sostegno in quest'ambito sono il rendere possibile un recupero psicofisico della vittima e il cercare una soluzione, in prospettiva, duratura per la medesima (formula ricorrente anche nei considerando ma troppo generica, tanto da finire per essere considerata una mera enunciazione di principio). Dovrebbe avere invece un'incidenza maggiore per gli Stati l'inciso secondo cui le misure in questione dovrebbero essere fondate su di una "valutazione individuale della particolare situazione di ogni vittima di minore età, tenendo debito conto del parere, delle esigenze e dei timori del minore" (143) (esigenza, a maggior ragione, imprescindibile nel caso del minore non accompagnato (144)).

Fra gli interventi di carattere extraprocessuale è previsto: l'accesso all'istruzione in tempi ragionevoli, l'applicazione delle misure di cui all'articolo 11, la nomina di un tutore o di un rappresentante (obbligatoria per il minore non accompagnato, legata ad un conflitto di interessi fra il minore e i titolari della potestà genitoriale negli altri casi), misure di sostegno ed assistenza ai familiari diretti che si trovino sul territorio dello Stato. L'articolo 15 descrive in modo accurato gli strumenti di "tutela dei minori vittime della tratta di esseri umani nelle indagini e nei procedimenti penali". Oltre alle consuete indicazioni sull'assistenza legale e sulla consulenza gratuite e sulla possibilità di nominare un rappresentante del minore in vece dei titolari della responsabilità sul soggetto, sono specificate una serie di misure rivolte a rendere meno traumatico e meno gravoso per il minore il decorso delle indagini e del processo, evitando ritardi o procedure inutili e coinvolgendo personale appositamente formato. Tuttavia, l'apporto innovativo di alcune delle previsioni in questione è sminuito dall'aggiunta di clausole di compatibilità/conformità con il diritto interno (contenute, ad esempio, nei paragrafi 1 e 4 dell'articolo 15). Le disposizioni sull'assistenza e sul sostegno di cui all'articolo 12 sono applicabili anche ai minori.

Posto che, al minore non accompagnato si applicano sicuramente gli articoli 14 e 15, di riflesso si può concludere che i minori in generale possono godere anche di tutte le cautele previste dalla direttiva in favore delle altre vittime.

Deve essere segnalato che sono emersi alcuni dubbi interpretativi ed applicativi circa la accuratezza della distinzione nella direttiva 36 del 2011 fra norme dedicate ai minori e norme dedicate ai minori non accompagnati. Visto che infatti le misure effettivamente indicate agli Stati membri sull'argomento sono le stesse o hanno comunque il medesimo contenuto, l'unico elemento che permette di definire i rispettivi ambiti applicativi è la peculiare condizione della vittima (145).

Concludendo su questa parte, l'articolo 17 affida il soddisfacimento del diritto delle vittime di tratta ad ottenere un indennizzo ai sistemi già esistenti negli ordinamenti giuridici degli Stati membri per i reati dolosi violenti. Sarebbe forse stato opportuno suggerire almeno la creazione di un meccanismo separato per i reati di trafficking (magari finanziato tramite i proventi sequestrati e confiscati ai trafficanti, come suggerito da diversi strumenti internazionali), per rendere più probabile l'effettivo adempimento di questa possibilità.

c). L'articolo 18 della direttiva 2011 e il considerando (25) contengono le linee guida che gli Stati membri dovrebbero seguire, con l'obiettivo complessivo di introdurre efficaci politiche di prevenzione della tratta e, allo stesso tempo, per migliorare quelle già esistenti (146). Assieme alla protezione delle vittime, queste disposizioni rappresentano sicuramente la parte più innovativa rispetto alla disciplina previgente, rendendo quest'atto una peculiarità nell'ambito degli strumenti penalistici comunitari. L'approccio proposto è suddivisibile in due tipologie di interventi, che contemplano misure diverse: interventi sulla 'domanda di esseri umani', ovvero sui fattori pull che scaturiscono dal contesto dei paesi di destinazione e dei loro mercati; interventi sull'offerta, ovvero sui fattori push che spingono le persone ad emigrare o a rivolgersi/esporsi a certi tipi di contesti criminali. E' bene comunque sottolineare che si tratta di un modello di prevenzione cosiddetta situazionale, cioè costituito da atti e strumenti che cercano di rendere più difficoltosa la commissione dei reati, senza però risalire fino ad indagare ed agire sulle vere cause e le situazioni che le producono (che rappresenta la cosiddetta prevenzione sociale, più complessa da realizzare e più costosa). Appartengono alla prima categoria le misure che cercano di informare e sensibilizzare la società d'arrivo, quindi l'ambiente sociale presso il quale di solito avviene lo sfruttamento delle vittime. Per questo motivo è importante che nell'ambito dell'istruzione, delle iniziative educative e dei mezzi di informazione si approfondisca la conoscenza del fenomeno e si prenda coscienza delle sue implicazioni. Ciò dovrà essere conseguito soprattutto nella formazione dei funzionari ed operatori di vario genere che possono entrare in contatto con le vittime o potenziali vittime, i quali dovranno essere in grado di identificare le situazioni di pericolo e di occuparsene (paragrafi 1 e 3 dell'articolo 18). In un'ottica sia preventiva che repressiva della tratta, l'ultimo comma invita gli Stati membri a introdurre il ricorso consapevole ai servizi offerti dalla persona sfruttata e vittima di traffico, quale fattispecie penale degli ordinamenti interni. Tuttavia, le già ricordate divergenze sistematiche e di orientamenti sulla questione hanno ancora una volta impedito l'emanazione di una disposizione vincolante. Appartengono invece alla seconda categoria di misure quelle previste nel comma 2º, fra le quali spiccano campagne di informazione e di sensibilizzazione e programmi di ricerca e di istruzione (entrambi, con l'eventuale collaborazione di organizzazioni della società civile e altri enti) promossi nei contesti dei Paesi d'origine da cui più frequentemente provengono le vittime.

Gli ultimi due articoli della direttiva sono dedicati rispettivamente: all'istituzione, a livello nazionale, di meccanismi volti a "valutare le tendenze della tratta di esseri umani, misurare i risultati delle azioni anti-tratta, anche raccogliendo statistiche... e (di) presentare relazioni" (147); al coordinamento e al consolidamento della strategia comunitaria di contrasto alla tratta, con un'attenzione particolare al ruolo del coordinatore anti-tratta e alla sua collaborazione con gli Stati membri (articolo 20).

In conclusione, la direttiva 2011/36/UE si inserisce in una tendenza delle fonti e degli strumenti penali (e non solo) europei al vittimocentrismo (148). Non a caso, le norme ricomprese sull'assistenza, il sostegno e la protezione dei diritti fondamentali delle vittime possono costituire il punto di raccordo fra le misure repressive e quelle preventive. La direttiva recepisce anche quelli che sono orientamenti piuttosto recenti degli studi di criminologia e di vittimologia secondo i quali, con riferimento ad un certo tipo di criminalità, il potenziamento del 'sistema punitivo' è in grado di produrre risultati ancor più apprezzabili, sotto il profilo del contrasto e della repressione, se coadiuvato da un adeguato 'sistema preventivo'. Un ragionamento di questo tipo, dimostra inoltre come rispetto al passato vi sia stata una presa di coscienza sulla complessità multiforme della tratta, non efficacemente arginabile ricorrendo solo alle sanzioni per i trafficanti. Per dare un seguito ed un senso compiuto a queste innovazioni, il passo successivo dovrebbe essere quello di iniziare a discutere, lavorare ed introdurre misure di prevenzione sociale che gradualmente vadano a rimpiazzare gli interventi situazionali, unite ad adeguate politiche (interne) migratorie e del mercato del lavoro. In questo senso, le difficoltà economiche e politiche da affrontare sono sicuramente enormi, anche per un'azione coordinata a livello comunitario. Tuttavia, non è sbagliato quantomeno interrogarsi sulla efficacia e sulla convenienza (anche finanziaria) di realizzare un'articolata rete di misure preventive di tipo situazionale. Se ad esempio, la struttura del mercato occupazionale e le relative politiche generano una forte domanda di manodopera a basso costo e poco garantita, i datori di lavoro avranno convenienza a trovare nuovi modi per aggirare sanzioni e divieti per procurarsela, con buona pace delle campagne di formazione/informazione.

Gran parte del buon esito di questo intervento si giocherà comunque sul piano attuativo, sperando che il ricorso ad una direttiva in luogo di una decisione quadro vada a sollecitare maggiormente gli Stati membri ad adeguarsi rapidamente alle nuove disposizioni (149).

A questo proposito, rimane da accennare al fatto che, nel giugno 2012, la Commissione ha emanato una comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni dal significativo titolo "la strategia dell'UE per l'eradicazione della tratta di esseri umani (2012-2016)" (150). Il documento è rivolto sostanzialmente a riassumere ed integrare il quadro entro il quale la direttiva 2011 dovrebbe essere attuata, fornendo alle istituzioni e agli organismi comunitari ulteriori linee guida. In questo modo, si vuole far si che tali istituzioni si aiutino e collaborino con gli Stati, nell'ottica di una lotta alla tratta che è combattuta tanto sul piano transnazionale ed internazionale che sul piano regionale ed interno. La comunicazione passa in rassegna le azioni internazionali e le azioni dell'Unione più rilevanti sul traffico degli esseri umani, indicando anche i dati e le statistiche di cui è in possesso circa alcuni aspetti più significativi del fenomeno (in particolare, le percentuali stimate sull'incidenza e la diffusione delle diverse forme di sfruttamento e quelle sui profili vittimologici più frequenti) (151).

Dopo aver ribadito la centralità del divieto di tratta, previsto nell'articolo 5 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, la Commissione indica 5 "priorità" che dovrebbero essere privilegiate dall'azione comunitaria (152) (corredate dall'indicazione di alcune misure): individuazione, protezione ed assistenza delle vittime;

  • rafforzamento della prevenzione;
  • rafforzamento dell'azione penale contro i trafficanti;
  • miglioramento delle forme di coordinamento e di collaborazione fra i soggetti interessati, anche tramite politiche idonee all'obiettivo;
  • sostegno ed incremento delle iniziative volte ad affinare le conoscenze sulla tratta e sulle sue caratteristiche e conseguenze, anche tramite l'adozione di un approccio pluridisciplinare e plurisoggettivo dei piani e delle azioni intraprese.

Può suscitare perplessità il richiamo che il documento fa all'esigenza di migliorare la coerenza delle politiche anti-tratta (punto 2.4, priorità d), specialmente nell'ottica di un rafforzamento dei diritti fondamentali delle vittime. Ciò, come ovvio, non tanto per l'obiettivo singolo, in sé apprezzabile, quanto per le gravi incoerenze che sono state avallate in alcuni interventi comunitari di primaria importanza. Il riferimento è inevitabilmente rivolto al confronto sopra esaminato fra la direttiva 81/2004/CE e la direttiva fondamentale del 2011: le azioni proposte, quale la messa a punto di "uno strumento, ad esempio un manuale o una guida, per aiutare gli Stati membri ad affrontare le questioni relative ai diritti fondamentali", con eventuale assistenza della Commissione, sembrano più enunciazioni di principio (destinate a restare tali) che fonti di una possibile soluzione giuridico-normativa al problema della premialità o meno di alcune tutele.

Note

1. Si vedano ad esempio le fonti citate nel paragrafo 3.1 in nota, ma, ovviamente, l'elenco potrebbe continuare.

2. G. CARELLA [et al.], L'immigrazione e la mobilità delle persone nel diritto dell'Unione Europea, Milano, Monduzzi, 2012, pp. 208 e ss.

3. Il periodo fra i primi del Novecento e gli anni a cavallo fra le due guerre mondiali è considerato quello in cui la schiavitù in senso classico inizia effettivamente a venire meno a livello mondiale, anche se la sua condanna teorica risale all'epoca illuminista e post-illuminista.

4. Ibid., pp. 208-209.

5. Ivi.

6. Ivi.

7. Al riguardo, è fondamentale la sopra citata giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo circa la applicazione dei principi CEDU di cui agli articoli 3 e 4, e il conseguente inquadramento del trafficking in human beings quale concezione moderna di schiavitù e di sue pratiche globali. Pagina 6, note.

8. G. CARELLA [et al.], L'immigrazione e la mobilità delle persone nel diritto dell'Unione Europea, Milano, Monduzzi, 2012, pp. 207.

9. Ibid., pp. 210-211. Vedi anche B. Nascimbene A. Di Pascale, Riflessioni sul contrasto al traffico di persone nel diritto internazionale, comunitario e nazionale, contributo in G. PALMISANO (a cura di), Il contrasto al traffico di migranti: nel diritto internazionale, comunitario e interno, Milano, Giuffrè, 2008, pp. 38-39.

10. Ad es., la Risoluzione sullo sfruttamento della prostituzione e la tratta di esseri umani, A2-52 /89 del 14 aprile 1989.

11. In particolare, l'articolo 27 della Convenzione applicativa dell'Accordo (del 19 giugno 1990), il quale, seppur riferibile anche allo smuggling ha costituito un punto di riferimento importante anche in materia di tratta, soprattutto per le legislazioni nazionali degli Stati aderenti. Il paragrafo 1 della norma recita: "Le Parti contraenti si impegnano a stabilire sanzioni appropriate nei confronti di chiunque aiuti o tenti di aiutare, a scopo di lucro, uno straniero ad entrare o a soggiornare nel territorio di una Parte contraente in violazione della legislazione di detta Parte contraente relativa all'ingresso ed al soggiorno degli stranieri".

12. B. Nascimbene A. Di Pascale, cit., pp. 38 in fondo.

13. Programma Stop, istituito con l'azione comune 96/700/GAI.

14. B. Nascimbene A. Di Pascale, Riflessioni sul contrasto al traffico di persone nel diritto internazionale, comunitario e nazionale, contributo in op. cit., pp. 38 e ss.

15. Paragrafo 2, lett. b). E' citato anche, come indirettamente coinvolto, l'articolo k.1 paragrafi 3 e 7, sulla lotta all'immigrazione irregolare e la cooperazione giudiziaria in materia penale.

16. Vedi anche le note riferite al paragrafo precedente.

17. Titolo 1º, "Obiettivi", disp. A.

18. Titolo 1º, "Obiettivi", disp. A., " i) "tratta": qualsiasi comportamento che agevola l'ingresso, il transito e il soggiorno nel territorio di uno Stato membro, nonché l'uscita da esso..".

19. Titolo 1º, "Obiettivi", disp. B.: sono qui precisati alcuni elementi aggiuntivi che saranno inclusi stabilmente, almeno dai Protocolli di Palermo in poi, nella definizione internazionale di tratta.

20. Titolo 2º, "Misure da adottare a livello nazionale".

21. Titolo 2º, disp. G.

22. Titolo 2º, disp. F.: in corsivo sono indicate tutte le condizioni cui il rilascio è subordinato.

23. Vedi nota prec.

24. B. Nascimbene A. Di Pascale, Riflessioni sul contrasto al traffico di persone nel diritto internazionale, comunitario e nazionale, contributo in op. cit., pp. 39-40.

25. Fra i documenti in questo senso più rilevanti si ricordano la Dichiarazione dell'Aja del 26 aprile 1997 "Linee guida europee per misure efficaci di prevenzione e lotta contro la tratta delle donne a scopo di sfruttamento sessuale", la Convenzione Europol pubblicata in Gazzetta Ufficiale G.U.C.E. C 316 del 27 novembre del 1997 ed in vigore dal 1º ottobre dell'anno seguente, ed infine, la Comunicazione della Commissione al Consiglio ed al Parlamento "Per un rafforzamento della lotta contro la tratta delle donne" COM (98) 726 del 9 dicembre 1998.

26. Decisione quadro 2002/629/GAI del Consiglio, emanata il 19 luglio 2002 e pubblicata in G.U.C.E. L 203 del 1º agosto 2002. Per la ricostruzione del contesto si veda ancora B. Nascimbene A. Di Pascale, Riflessioni sul contrasto al traffico di persone nel diritto internazionale, comunitario e nazionale, contributo in op. cit., pp. 40 e ss e M. VENTRELLA, The control of people smuggling and trafficking in the EU: experiences from the UK and Italy, Farnham, Burlington Ashgate, 2010, pp. 45 e ss.

27. A differenza delle direttive, non dotato di diretta applicabilità.

28. Sono espressamente menzionate l'azione comune 98/699/GAI, emanata dal Consiglio sul riciclaggio di denaro e l'individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi del reato, e l'azione comune 98/733/GAI, sempre del Consiglio, sulla punibilità delle varie forme di partecipazione ad un'associazione criminale nell'Unione.

29. Considerando (7).

30. Ivi. In questo caso, l'espressione pare da intendersi non in senso letterale, ma come riferita all'ambito comunitario ed europeo.

31. Considerando (7) e (8).

32. Considerando (1).

33. Considerando (9).

34. Considerando (4).

35. Considerando (3), corsivo aggiunto.

36. Articolo 1 della d.q., "Reati relativi alla tratta degli esseri umani a fini di sfruttamento di manodopera o sfruttamento sessuale. 1. Ciascuno Stato adotta le misure necessarie affinché i seguenti atti siano puniti come reato: il reclutamento, il trasporto, il trasferimento di una persona, il darle ricovero e la successiva accoglienza, compreso il passaggio o il trasferimento del potere di disporre di questa persona, qualora: a) sia fatto uso di coercizione, violenza o minacce, compreso il rapimento; oppure b) sia fatto uso di inganno o frode; oppure c) vi sia abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità tale che la persona non abbia scelta accettabile ed effettiva se non cedere all'abuso di cui è vittima; oppure d) siano offerti o ricevuti pagamenti o benefici per ottenere il consenso di una persona che abbia il potere di disporre di un'altra persona, ai fini di sfruttamento del lavoro o dei servizi prestati da tale persona, compresi quantomeno il lavoro o i servizi forzati o obbligatori, la schiavitù o pratiche analoghe alla schiavitù o alla servitù oppure ai fini di sfruttamento della prostituzione altrui o di altre forme di sfruttamento sessuale, anche nell'ambito della pornografia. 2. Il consenso, presunto od effettivo, da parte di una vittima della tratta degli esseri umani allo sfruttamento, è irrilevante qualora si sia ricorsi a uno dei mezzi indicati nel paragrafo 1. 3. La condotta di cui al paragrafo 1, qualora coinvolga minori, è punita come reato di tratta degli esseri umani anche se non si è ricorsi ad alcuno dei mezzi indicati nel paragrafo 1. 4. Ai fini della presente decisione quadro per "minore" si intende qualsiasi persona di età inferiore ai diciotto anni".

37. Articolo 2 della d.q., "Istigazione, favoreggiamento, complicità e tentativo. Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché l'Istigazione, il favoreggiamento, la complicità e il tentativo nella commissione dei reati di cui all'articolo 1, siano puniti come reato".

38. Come suggerito in precedenza, l'analisi di questa fattispecie può essere agevolmente scomposta in tre elementi: atti, mezzi e fini.

39. Vedi nota prec.

40. Articolo 3, "Pene", par. 2, lett. b): la norma considera una vittima di particolare vulnerabilità "almeno quando non ha raggiunto l'età della maturità sessuale ai sensi della legislazione nazionale e quando il reato è stato commesso ai fini di sfruttamento della prostituzione altrui o di altre forme di sfruttamento sessuale, anche nell'ambito della pornografia".

41. Sarebbe stato opportuno che la d.q. avesse operato un tentativo di definizione comune anche per questo aspetto.

42. Articolo 3 della d.q.

43. Articolo 3 della d.q., par. 2 lett. da a) a d).

44. "Responsabilità delle persone giuridiche".

45. "Sanzioni applicabili alle persone giuridiche", lett. da a) ad e).

46. Articolo 6, "Giurisdizione ed esercizio dell'azione penale", par. 1, lett. a).

47. Articolo 6, "Giurisdizione ed esercizio dell'azione penale", par. 1, lett. b) e c).

48. B. Nascimbene A. Di Pascale, Riflessioni sul contrasto al traffico di persone nel diritto internazionale, comunitario e nazionale, contributo in op. cit., pp. 42.

49. Articolo 7, "Protezione ed assistenza delle vittime", par. 1.

50. Articolo 7, par. 2.

51. Articolo 7, par. 3.

52. Articolo 10, "Attuazione".

53. G. CARELLA [et al.], L'immigrazione e la mobilità delle persone nel diritto dell'Unione Europea, Milano, Monduzzi, 2012, pp. 210-211.

54. Articolo 5 della Carta di Nizza, Capo 1º "Dignità".

"Proibizione della schiavitù e del lavoro forzato"
1. Nessuno può essere tenuto in condizioni di schiavitù o di servitù.
2. Nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato o obbligatorio.
3. E' proibita la tratta degli esseri umani.

55. GU L 261/19 del 6.8.2004.

56. B. Nascimbene A. Di Pascale, Riflessioni sul contrasto al traffico di persone nel diritto internazionale, comunitario e nazionale, contributo in op. cit., pp. 42 e ss. Vedi, considerando (10) della Direttiva.

57. Il considerando (6) cita espressamente la Carta di Nizza fra le fonti, mentre i considerando (3) ed (8) invocano rispettivamente i Protocolli annessi alla Convenzione di Palermo e gli interventi comunitari precedenti (fra cui la d.q. 629).

58. Considerando (4) e (5) della dirett.

59. Articolo 3, "Campo di applicazione", commi 1 e 3.

60. Articolo 2, "Definizioni", lett. c).

61. Definito anch'esso per rinvio nell'articolo 2, lett. b). E' importante ricordare come, già prima dell'adozione di questa direttiva, era sottolineata dalla giurisprudenza e dalle istituzioni comunitarie, la difficoltà di operare in concreto la distinzione fra i casi di trafficking e smuggling, seppure si tratti di una differenza teoricamente ben precisata dai due Protocolli di Palermo. Come sottolineato ad es., nel rapporto sulla tratta redatto dal Gruppo di esperti della Commissione il 22 dicembre 2004, i problemi maggiori in questo senso si palesano nella fase del transito/trasporto, antecedente perciò al realizzarsi dello sfruttamento. Circa la citata discrezionalità per gli Stati, vedi considerando (9) ed articolo 3, comma 2 della direttiva.

62. B. Nascimbene A. Di Pascale, cit., pp. 44.

63. Articolo 5 della dirett., "Informazione del cittadino di un paese terzo interessato".

64. Articolo 7 della dirett., "Trattamento concesso prima del titolo di soggiorno". La norma fa solo un generico riferimento al rispetto delle esigenze di sicurezza e protezione del soggetto passivo.

65. Vedi anche il considerando (11).

66. Articolo 8 della dirett., "Rilascio e rinnovo del titolo di soggiorno". Circa il mancato rinnovo o il ritiro vedi rispettivamente gli articoli 13 e 14.

67. Articolo 9 della dirett.

68. Articolo 12, comma 1 della dirett.

69. Articolo 3, par. 3, ultimo inciso della dirett.

70. Articolo 10, lett. a) e b).

71. Ivi, lett. c).

72. Vedi in particolare gli articoli 11 e 12 (per entrambi, comma 1º) della direttiva del 2011.

73. Considerando (6) della d.q. 220/2001.

74. Articolo 2 della d.q., "Rispetto e riconoscimento. 1. Ciascuno Stato membro prevede nel proprio sistema giudiziario penale un ruolo effettivo ed appropriato delle vittime. Ciascuno Stato membro si adopererà affinché alla vittima sia garantito un trattamento debitamente rispettoso della sua dignità personale durante il procedimento e ne riconosce i diritti e gli interessi giuridicamente protetti con particolare riferimento al procedimento penale".

75. Articolo 1, "Definizioni", lett. d): " Procedimento: il procedimento inteso in senso lato, comprendente cioè, oltre al procedimento penale [lett. c.], tutti i contatti, tra la vittima in quanto tale e qualsiasi autorità, servizio pubblico o organizzazione di assistenza alle vittime, anteriormente, durante o successivamente allo svolgimento del processo penale".

76. Articolo 4, par. 4 della d.q. in questione.

77. Articolo 4, primi tre par.

78. Articolo 12 della d.q.

79. Rispettivamente, articoli 13 e 14.

80. GU L 168/24 del 30.6.2009.

81. Considerando (21) della dirett. 52/2009.

82. Consid. (22).

83. Articolo 1 della dirett.

84. "Piano UE sulle migliori pratiche, le norme e le procedure per contrastare e prevenire la tratta di esseri umani", comunicazione del Consiglio, 2005/C 311/01.

85. Paragrafi 1 e 4 della comunicazione. Nel paragrafo 4(ii) si legge: " La tratta deve essere convertita da attività della criminalità organizzata a basso rischio e alto profitto in una ad alto rischio e basso profitto".

86. Paragrafo 2 della comunic.

87. Paragrafo 3 della comunic.

88. Paragrafo 1, seconda parte.

89. Vedi M. VENTRELLA, The control of people smuggling and trafficking in the EU: experiences from the UK and Italy, Farnham, Burlington Ashgate, 2010, "Introduction", pp. 1 e ss. e pp. 27 e ss. Vedi anche B.Nascimbene-A.Di Pascale, Riflessioni sul contrasto al traffico di persone nel diritto internazionale, comunitario e nazionale, contributo in G. PALMISANO (a cura di), Il contrasto al traffico di migranti: nel diritto internazionale, comunitario e interno, Milano, Giuffrè, 2008, pp. 46.

90. M. VENTRELLA, cit., pp. 27 e ss.

91. Si tratta di un'area in cui vige la competenza mista, dell'Unione e degli Stati membri, ripartita secondo l'interpretazione prevalente dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità.

92. M. VENTRELLA, cit., pp. 28. La procedura legislativa ordinaria, fondata sul potere di co-legiferare del Consiglio e del Parlamento, è prevista dall'articolo 251 del vecchio Trattato CE.

93. "Valutazione e monitoraggio dell'attuazione del piano UE sulle migliori pratiche, le norme e le procedure per contrastare e prevenire la tratta di esseri umani", documento di lavoro della Commissione, Bruxelles, 17.10.2008, COM (2008) 657, pp. 4.

94. Confronta con l'articolo 1 della direttiva, "Oggetto".

95. Pubblicata in GU L 101/1 del 15.4.2011 e firmata il 5 di aprile. Vedi A. Annoni, Gli obblighi internazionali in materia di tratta degli esseri umani, contributo in S. FORLATI (a cura di), La lotta alla tratta di esseri umani: fra dimensione internazionale e ordinamento interno, Napoli, Jovene, 2013, pp. 10 e ss; G. CARELLA [et al.], L'immigrazione e la mobilità delle persone nel diritto dell'Unione Europea, Milano, Monduzzi, 2012, pp. 210 e ss; M. G. GIAMMARINARO, La direttiva 2011/36/UE sulla prevenzione e repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, "Diritto immigrazione e cittadinanza", 14 (2012), 1, pp. 15 e ss; M. Venturoli, La direttiva 2001/36/UE: uno strumento 'completo' per contrastare la tratta degli esseri umani, contributo in S. FORLATI (a cura di), La lotta alla tratta di esseri umani: fra dimensione internazionale e ordinamento interno, Napoli, Jovene, 2013, pp. 47 e ss.

96. Articolo 22, "Recepimento".

97. Vedi considerando (12) e (13).

98. Consid. (11).

99. Consid. (13) e (18).

100. Consid (24).

101. Vedi fra l'altro, il considerando (9), dove è espressamente richiamata anche la Convenzione di Varsavia.

102. G. CARELLA [et al.], L'immigrazione e la mobilità delle persone nel diritto dell'Unione Europea, Milano, Monduzzi, 2012, pp. 211.

103. M. Venturoli, La direttiva 2001/36/UE: uno strumento 'completo' per contrastare la tratta degli esseri umani, contributo in S. FORLATI (a cura di), La lotta alla tratta di esseri umani: fra dimensione internazionale e ordinamento interno, Napoli, Jovene, 2013, pp. 52-53.

104. Articolo 2, "Reati relativi alla tratta di esseri umani. 1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché siano punibili i seguenti atti dolosi: il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l'alloggio o l'accoglienza di persone, compreso il passaggio o il trasferimento dell'autorità su queste persone, con la minaccia dell'uso o con l'uso stesso della forza o di altre forme di coercizione, con il rapimento, la frode, l'inganno, l'abuso di potere o della posizione di vulnerabilità o con l'offerta o l'accettazione di somme di denaro o di vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un'altra, a fini di sfruttamento. 2. Per posizione di vulnerabilità si intende una situazione in cui la persona in questione non ha altra scelta effettiva ed accettabile se non cedere all'abuso di cui è vittima. 3. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro o i servizi forzati, compreso l'accattonaggio, la schiavitù o pratiche simili alla schiavitù, la servitù, lo sfruttamento di attività illecite o il prelievo di organi. 4. Il consenso della vittima di tratta di esseri umani allo sfruttamento, programmato o effettivo, è irrilevante in presenza di uno dei mezzi indicati al paragrafo 1. 5. La condotta di cui al paragrafo 1, qualora coinvolga minori, è punita come reato di tratta di esseri umani anche in assenza di uno dei mezzi indicati dal paragrafo 1. 6. Ai fini della presente direttiva per 'minore' si intende la persona di età inferiore ai diciotto anni".

105. M. G. GIAMMARINARO, La direttiva 2011/36/UE sulla prevenzione e repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, "Diritto immigrazione e cittadinanza", 14 (2012), 1, pp. 18-19.

106. Ivi.

107. Articolo 2, paragrafo 2 della dirett.

108. Cui è dedicata anche una Convenzione supplementare ONU sulla schiavitù, del 1956.

109. Par. 4, 5 e 6 dell'articolo 2.

110. M. Venturoli, La direttiva 2001/36/UE: uno strumento 'completo' per contrastare la tratta degli esseri umani, contributo in op. cit., pp. 55: siamo in presenza in questo caso di una fattispecie che tipicamente prevede un dolo specifico, che trova nello sfruttamento della vittima il proprio fine ultimo. Più precisamente, alla luce del principio di offensività, si parla di un dolo specifico di ulteriore offesa, in quanto lo sfruttamento è fine, ma anche ulteriore vulnus per la vittima, che va a sommarsi all'offesa costituita dall'evento perfezionativo (cioè, la condotta concretamente posta in essere).

111. Articolo 2, "Reati relativi alla tratta di esseri umani", par. 3: "Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro o i servizi forzati, compreso l'accattonaggio, la schiavitù o pratiche simili alla schiavitù, la servitù, lo sfruttamento di attività illecite o il prelievo di organi".

112. Consid. (14) della dirett.

113. M. G. GIAMMARINARO, La direttiva 2011/36/UE sulla prevenzione e repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, "Diritto immigrazione e cittadinanza", 14 (2012), 1, pp. 20.

114. Vedi G. CARELLA, cit., pp. 214 e M. Venturoli, La direttiva 2001/36/UE: uno strumento 'completo' per contrastare la tratta degli esseri umani, contributo in op. cit., pp. 52.

115. Vedi G. CARELLA, ibid., pp. 214-215.

116. Consid. (12) della direttiva.

117. Articolo 3 della dirett., "Pene", par. 2, lett. da a) a d) e par. 3.

118. Par. 4º dell'articolo 4.

119. Articolo 7 della dirett. Si deve ricordare come il considerando (13) indichi addirittura la facoltà di introdurre meccanismi per utilizzare i proventi confiscati e sequestrati per il finanziamento dell'assistenza e della protezione delle vittime di tratta, e per corrispondere loro gli eventuali indennizzi richiesti.

120. Si possono citare la Convenzione Onu contro la criminalità organizzata transnazionale e i suoi Protocolli addizionali, la Convenzione del Consiglio d'Europa sul riciclaggio, il sequestro e la confisca di tali proventi del 1990, la decisione quadro 2001/500/GAI sul medesimo argomento in ambito comunitario.

121. Per un esempio esplicativo di questi problemi, con particolare riferimento al rapporto fra la direttiva in esame e la decisione quadro 2005/212/GAI sulla confisca di beni, strumenti e proventi del reato, vedi G. CARELLA [et al.], L'immigrazione e la mobilità delle persone nel diritto dell'Unione Europea, Milano, Monduzzi, 2012, pp. 216-217.

122. Articolo 10, "Giurisdizione", par. 1, lett. a) e b).

123. Articolo 10, par. 2, lett. a), b) e c).

124. Vedi consid. (16) della dirett.

125. G. CARELLA [et al.], L'immigrazione e la mobilità delle persone nel diritto dell'Unione Europea, Milano, Monduzzi, 2012, pp. 219-220.

126. Vedi nota prec. per due casi pratici al riguardo, circa la lettura dell'articolo 4 CEDU sul divieto di schiavitù in relazione alla tratta.

127. Consid. (1), (2), (8), (10) della dirett. 2011.

128. Consid. (3).

129. Consid. (8).

130. Consid. (13), seconda parte.

131. M. Venturoli, La direttiva 2001/36/UE: uno strumento 'completo' per contrastare la tratta degli esseri umani, contributo in S. FORLATI (a cura di), La lotta alla tratta di esseri umani: fra dimensione internazionale e ordinamento interno, Napoli, Jovene, 2013, pp. 62-63.

132. "Tutela delle vittime della tratta di esseri umani nelle indagini e nei procedimenti penali".

133. Articolo 11 della dirett., "Assistenza e sostegno alle vittime della tratta di esseri umani". Vedi in proposito M. G. GIAMMARINARO, La direttiva 2011/36/UE sulla prevenzione e repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, "Diritto immigrazione e cittadinanza", 14 (2012), 1, pp. 23-25.

134. Rispettivamente: par. 2, dell'articolo 11 della dirett. e consid. (18) e (19); par. 1, art. 11.

135. G. CARELLA [et al.], L'immigrazione e la mobilità delle persone nel diritto dell'Unione Europea, Milano, Monduzzi, 2012, pp. 220.

136. Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004. Pubblicata in GU L 158 del 30.4.2004, pp. 77.

137. In questo caso, l'articolo 4 si riferisce esplicitamente alle "persone cui si applica la presente direttiva", ovvero gli stranieri vittime di tratta o coinvolti in azioni di favoreggiamento dell'immigrazione illegale cittadini di paesi terzi che collaborino con la giustizia.

138. Vedi considerando (4), (5) e (6) della direttiva 2004/81/CE.

139. Ad esempio, nel marzo 2013 Germania, Gran Bretagna, Austria e Olanda concordano l'invio di una lettera alla Commissione Europea al fine di richiamare l'attenzione delle istituzioni comunitarie sul cosiddetto 'turismo del welfare'. Nello specifico, tali Stati rivendicano il diritto di rifiutare l'assistenza sociale agli immigrati comunitari ed eventualmente espellere coloro i quali elaborano truffe o imbrogli per accedervi. Il fine è quello ovviamente di arginare tale fenomeno, in coincidenza con l'effettivo allargamento dell'Unione e dei suoi principi a diversi nuovi Paesi (fonte: Corriere della sera, lunedì 11 marzo 2013). Nonostante la diversità dei temi in questione, non si può ignorare come sia diffuso da alcuni anni fra gli Stati membri dell'Unione (e non solo) un atteggiamento conservatore, fatto di prudenza e di diffidenza quando si vanno a toccare i temi dell'accesso al welfare (soprattutto sotto il profilo delle condizioni soggettive al riguardo). Lo smantellamento progressivo dello Stato di welfare e la recessione economica degli ultimi anni sono inevitabilmente aspetti che devono essere tenuti presenti quando si parla di 'percorsi sociali' ed interventi assistenziali e di inserimento in favore degli stranieri (a maggior ragione se cittadini di Paesi terzi).

140. Si tratta di un importante riconoscimento del ruolo delle ONG e delle associazioni che prendono parte ai cosiddetti "National Refferal Mechanism" creati dall'OSCE-ODIR nel 2004.

141. M. G. GIAMMARINARO, La direttiva 2011/36/UE sulla prevenzione e repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, "Diritto immigrazione e cittadinanza", 14 (2012), 1, pp. 28-29.

142. Articolo 13 della dirett. 2011, "Disposizioni generali sulle misure di assistenza, sostegno e protezione dei minori vittime della tratta di esseri umani".

143. Articolo 14, "Assistenza e sostegno alle vittime minorenni", par. 1.

144. Vedi par. 1 e 2 dell'articolo 16 della dirett.

145. Vedi per tutti GIAMMARINARO, Ibid., pp. 30 in fondo.

146. Vedi M. Venturoli, La direttiva 2001/36/UE: uno strumento 'completo' per contrastare la tratta degli esseri umani, contributo in S. FORLATI (a cura di), La lotta alla tratta di esseri umani: fra dimensione internazionale e ordinamento interno, Napoli, Jovene, 2013, pp. 57-59 e GIAMMARINARO, La direttiva 2011/36/UE sulla prevenzione e repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, "Diritto immigrazione e cittadinanza", 14 (2012), 1, paragrafo 5.

147. Articolo 19, "Relatori nazionali e meccanismi equivalenti".

148. M. Venturoli, cit., pp. 66.

149. Vedi M. Venturoli, La direttiva 2001/36/UE: uno strumento 'completo' per contrastare la tratta degli esseri umani, contributo in op. cit., pp. 59 e 66-69 e M. G. GIAMMARINARO, La direttiva 2011/36/UE sulla prevenzione e repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, "Diritto immigrazione e cittadinanza", 14 (2012), 1, "Conclusioni".

150. Bruxelles, 19.6.2012, COM(2012) 286 final.

151. PP. da 2 a 4 della Comunicazione.

152. PP. 5 e ss. della comunicazione.