ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Quanti rinvii, ancora, per il superamento degli OPG?

Mario Iannucci (*), Gemma Brandi (**), 2014

Dobbiamo dire che siamo sempre contenti quando, per discutere di un argomento che presenta forti connotazioni tecniche, prende la parola una persona che ha una comprovata competenza nella materia. A proposito di OPG e di esecuzione penale, Massimo Niro questa competenza la può senz'altro vantare. Da tecnici del settore (lo siamo anche noi dopo trentacinque anni di attività terapeutica nei luoghi di detenzione) non possiamo che condividere molte delle considerazioni espresse da Massimo Niro. Tuttavia, su alcuni punti, sentiamo di dovere esprimere un parziale dissenso.

Cominceremo con qualche considerazione sul trattamento riservato, all'interno degli OPG e delle CCC, ai pazienti che vi sono internati. Possiamo davvero affermare che questo trattamento sia un “autentico orrore indegno di un paese appena civile”? Di certo possiamo farlo se usiamo la proprietà transitiva e l'inferenza: documentiamo degli orrori in taluni OPG e, per la proprietà transitiva, affermiamo che tali orrori sono presenti negli OPG (in tutti gli OPG). Il carattere scorretto di tale inferenza è lapalissiano. Cominciamo a comparare i trattamenti e le molteplici terapie che vengono effettuati nei diversi OPG/CCC italiani e impariamo a distinguere le cose buone da quelle cattive. Possiamo davvero affermare, senza tema di essere smentiti, che il trattamento riservato agli internati di Castiglione delle Stiviere (OPG senza Polizia Penitenziaria e senza Direzione Amministrativa penitenziaria) sia sovrapponibile a quello degli internati di Aversa, di Secondigliano e della CCC di Sollicciano (OPG e CCC situati nelle carceri), di Reggio Emilia (OPG e Sez. per Minorati Psichici situati a lato del carcere), di Montelupo, di Barcellona Pozzo di Gotto (OPG ancora a totale gestione “penitenziaria” anche per la parte “sanitaria”, visto che lì, il DPCM 1º Aprile 2008, non è ancora arrivato)? No, non possiamo e non dobbiamo affermarlo, a meno che non si voglia fare soltanto un gran tourbillon, confondendo il fango e le acque torbide con quelle che non saranno magari cristalline, ma che sono di certo molto più pulite. Non lo possiamo e non lo dobbiamo fare se si vogliono preservare, sviluppare, implementare e diffondere le esperienze terapeutiche e trattamentali che abbiano un valore, rendendo sempre più civile il difficile trattamento dei reo-folli.

1) Non lo possiamo e non lo dobbiamo fare. A meno che, come prima ipotesi operativa, non si voglia sposare la tesi, proposta già nel 1983 dal senatore comunista Vinci Grossi e riproposta poi innumerevoli volte negli anni da Franco Corleone, dai colleghi della psichiatria “triestina” e, recentemente, dai “comitati Stop-OPG”, di abolire il cosiddetto doppio-binario per il folle-reo, restituendo comunque quest'ultimo, per tutte le sue azioni, a una piena responsabilità. Se può sembrare un po' lunga la strada della modifica dei Codici, penale e di procedura, per giungere in maniera ragionevole al “superamento degli OPG”, la strada dell'abolizione degli articoli di legge relativi alla non imputabilità per vizio di mente (artt. 88, 89, 95, 206, 219, 222, 148 e correlati del cp; norme relative del ccp, comprese quelle sulla perizia psichiatrica, sulla valutazione della pericolosità sociale del paziente assolto per vizio di mente etc.) potrebbe apparire in linea di principio molto più breve.

Questa abolizione farebbe peraltro felici tantissime persone. Farebbe felici i magistrati e i penitenziaristi, ai quali sembrerebbe (molto illusoriamente) di intravedere la strada per sanare infine quel vulnus aperto nei loro trattamenti, a partire dall'epoca dei lumi, dall'irrompere della psichiatria moderna con Esquirol e Pinel, con Tuke, con Chiarugi che a Firenze già si appoggiava all'esperienza di Santa Dorotea de' Pazzerelli (lo spedale era stato aperto, nella seconda metà del seicento, per il trattamento differenziato dei detenuti pazzerelli provenienti dal carcere dell'Isola delle Stinche).

Farebbe felice molta politichiatria, ancora legata, sotto sotto, allo slogan che taluni, impropriamente, intendevano accompagnare al varo della L. 180/1978: “la malattia mentale non esiste”.

Farebbe felici molti altri psichiatri, che si vedrebbero per incanto sollevati dall'obbligo di sottoporre coattivamente dei pazienti alle loro cure (se un paziente è responsabile quando compie un reato in pieno delirio, perché non dovrebbe esserlo quando, da delirante, si oppone con tutte le sue forze a una terapia?): i TSO verrebbero automaticamente eliminati. Il codice penale sarebbe poi ulteriormente semplificato: andrebbe ad esempio abolito l'art. 643, relativo alla circonvenzione di incapace. Anche il codice civile potrebbe essere utilmente snellito, con l'abolizione, fra l'altro, dell'annullamento degli atti compiuti da incapace (art. 428 cc) e di tutta la legislazione relativa alla tutela e alla curatela (istituti desueti, per la cui abrogazione anche noi combattiamo da anni) e all'amministrazione di sostegno (dalla cui abrogazione non saremmo per niente soddisfatti).

Farebbe felice quasi tutti gli psichiatri, che non potrebbero in alcun modo essere chiamati ad assumere nei confronti dei loro pazienti, anche se affetti da gravi patologie psicotiche, una posizione di garanzia, che è quella posizione di “supplenza di responsabilità” nella quale, curando persone potenzialmente irresponsabili, deve costantemente portarsi chi prende in cura pazienti con gravi turbe psichiche: se tutte le persone, anche se affette da grave patologia psichica, sono responsabili, a quale assenza/carenza di responsabilità dovrebbe supplire lo psichiatra o il terapeuta della mente?

Se dunque tutti possono rispondere e patire utilmente gli effetti di una pena (anche detentiva) per le azioni delittuose che compiono, l'assoluzione o la diminuzione di pena per vizio totale o parziale di mente, l'accertamento di pericolosità per gli infermi di mente, l'applicazione delle misure di sicurezza detentive dell'OPG o della CCC non avrebbero più alcuna ragione di esistere. Il problema del “superamento degli OPG” sarebbe automaticamente risolto. D'altronde, se possono stare tranquillamente in un carcere ordinario Anders Breivik, il delirante mass murder di Oslo/Utøya, e Adam Kabobo, l'altro folle che ha ucciso a picconate tre passanti casuali in Milano, allora davvero tutte le persone possono, poiché sono “capaci di intendere e di volere”, essere giudicate idonee a soffrire le pene di un carcere ordinario. Qualcuno poi, dandoci una spiegazione logica, dovrebbe dirci come si possa quindi, laddove questi individui, affetti da una psicopatologia maggiore e tuttavia giudicati sani di mente, rifiutassero in carcere o fuori di sottoporsi a una terapia, procedere a questa terapia nonostante la loro precisa volontà ostativa, chiaramente espressa.

E' anche vero che, qualora i pazienti che sono ora in OPG e in CCC finissero nel carcere ordinario, quest'ultimo non farebbe granché caso alla loro presenza. Nicholas Kristof, penna prestigiosa de The New York Times, l'8 febbraio scorso ha pubblicato un articolo che aveva questo titolo: Inside a Mental Hospital Called Jail. Si consiglia a tutti gli operatori penitenziari di leggere questo articolo, nel quale si fa peraltro riferimento ad alcuni studi molto seri, uno pubblicato nel 2006 dal Dipartimento della Giustizia degli US, l'altro nel 2010 dalla National Sheriffs Association e dal Treatment Advocacy Center, nei quali si documenta come più della metà dei detenuti nelle carceri americane soffra di rilevanti turbe psichiche. Lavorando in carcere non distrattamente, ci si accorge ben presto che il luogo altro non è che un grande e misconosciuto ospedale psichiatrico. Una delle ricerche più estese e dettagliate compiute in Europa sulla presenza di disturbi mentali in ambito penitenziario, l'abbiamo fatta proprio a Sollicciano e a Montelupo, tra il 2001 e il 2002, in collaborazione con l'Università di Firenze (1). I dati della ricerca comprovano il punto di vista statunitense e anticipano il divenire della clinica psicopatologica, annunciando una inclinazione autolesiva elevatissima, oggi diventata il problema più vistoso degli istituti di pena. Questa ricerca, già nel 2002, ha mostrato, intanto, il preoccupante elevarsi dei disturbi di Asse I del DSM all'interno dei penitenziari (con una prevalenza del 46,7% sui soggetti nuovi-giunti), quindi la notevolissima incidenza, fra i disturbi di Asse I, di Episodi Depressivi Maggiori (soggetti nuovi-giunti 24,8%), infine la fortissima incidenza dei gravi Disturbi di Personalità (non solo del Disturbo Antisociale di Personalità, ma anche degli altri Disturbi, del Borderline e del Paranoide in particolare). I dati diffusi dalla Agenzia Regionale di Sanità della Toscana nel 2013, relativi allo stato di salute dei detenuti nella Regione per l'anno 2012, confermano quelli della Grande Ricerca di Sollicciano e di tutta la letteratura internazionale: “Il 71,8% dei detenuti nelle carceri toscane è affetto da almeno una patologia. La più diffusa è il disturbo mentale, che interessa il 41% [dei detenuti]”. C'è fra l'altro da immaginarsi che il Presidente della Repubblica, considerando questi dati e quello che ha detto il 15/05/2014 in occasione del 197º anniversario della costituzione del Corpo della Polizia Penitenziaria (auspicando “un ripensamento del sistema sanzionatorio e una rimodulazione dell'esecuzione della pena, indispensabili per superare la realtà di degrado civile e di sofferenza umana riscontrabile negli istituti”; il grassetto è nostro), promulghi entro breve un DPR per la chiusura (o il superamento) delle attuali e degradate carceri “della follia”.

2) La seconda ipotesi operativa è quella della costituzione di una Commissione Interministeriale (Giustizia e Salute), composta da poche persone molto competenti (non più di otto/dieci), che in un tempo limitato (massimo sei mesi) elabori un progetto di modifica semplice e ragionevole delle norme dei codici (penale, di procedura etc.) relative alle perizie, alla responsabilità del reo-folle, alla pericolosità sociale, alle misure di sicurezza e a tutte le altre necessità trattamentali/terapeutiche per il paziente autore di reato (necessità che si rilevino dentro i DSM, che devono assicurare il loro intervento anche all'interno degli istituti per l'esecuzione delle pene e delle misure di sicurezza). Le modifiche, pensate da coloro (psichiatri e magistrati) che operano nel settore, dovrebbero essere tese a un autentico miglioramento dell'assistenza di salute mentale nei luoghi di pena, miglioramento che porterebbe con sé, come è inevitabile, il “superamento degli OPG”. Tali modifiche andrebbero quindi approvate dall'Esecutivo in tempi rapidissimi.

Non sarebbe un gran lavoro. Basterebbe basarsi su ciò che, di ragionevole, è già stato pensato e proposto in passato. Nell'agosto del 1997 ad esempio, d'iniziativa del Consiglio Regionale della Toscana, venne presentato al Senato un Disegno di Legge contenente Disposizioni per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. Il Presidente Margara, che pochi giorni prima era diventato Direttore Generale del DAP, insieme ad altri esperti del settore era stato l'estensore dell'articolato, che potrebbe utilmente costituire una base per impostare quelle modifiche legislative che sono indispensabili per “superare gli OPG”. A proposito del Disegno di Legge “Margara”, esso viene spesso rammentato perché vi si proponeva l'abolizione della figura della seminfermità di mente, perché si “aggiornava” il Codice Penale relativamente alla voce della imputabilità, perché, già nel 1997, si proponeva, in alternativa alle misure di sicurezza detentive, il ricorso a un affidamento “terapeutico/trattamentale” ai servizi socio-sanitari (anticipando in parte il disposto delle sentenze 253/2003 e 367/2004 della Consulta). Ma il Disegno di L. “Margara” ha un rilievo almeno per altri due punti: il primo è relativo al reclutamento dei periti di ufficio e al coinvolgimento dei Servizi pubblici di Salute Mentale nell'assessment psichiatrico-forense (i periti, a nostro parere, dovrebbero essere debitamente formati, provenienti dai SSM pubblici, con una documentata esperienza clinica nel settore, specie in ambito penitenziario); il secondo punto riguarda l'istituzione di Centri Psichiatrici di Diagnosi e Cura presso gli Istituti ordinari di pena. C'è da considerare, infatti, che solo operando una valutazione adeguata dei pazienti psichiatrici autori di reato, stabilendo il grado della loro imputabilità (nel Disegno “Margara” era prevista solo una ipotesi “tutto o nulla”) e della loro eventuale pericolosità sociale (che non può non tenere conto anche delle soluzioni adottabili in quel caso specifico), che il percorso terapeutico/trattamentale maggiormente idoneo può essere indicato al magistrato che deve decidere. Solo disponendo inoltre di una filiera di soluzioni terapeutico/trattamentali a decrescente intensità di controllo (cerchiamo di non essere ipocriti, di non avere paura ad usare le parole adatte) potremo procedere alla terapia effettiva del mentally ill offender. Una filiera che si componga di diversi elementi:

  • i Centri Psichiatrici di Diagnosi e Cura presso gli Istituti ordinari di pena, dove i DSM dovrebbero impegnarsi con una vera assistenza intensiva di salute mentale, che preveda la presenza di infermieri, educatori e assistenti sociali, oltre che di psicologi, psichiatri e di operatori della Polizia Penitenziaria predisposti e adeguatamente preparati; nei suddetti Centri potrebbero allora essere ospitati, se necessario, gli internati provvisori (ex 206 cp), i detenuti con sopravvenuta infermità (ex 148 cp), i minorati psichici per i quali occorrano momentanee cure a maggiore intensità, i detenuti da sottoporre a osservazione psichiatrica (ex art. 112 DPR 230/2000); l'assessment psichiatrico-forense effettuato in questi Centri (per gli imputati che ne avessero la necessità, per gli osservandi e per gli internati provvisori), in collaborazione con i SSM territoriali competenti, avrebbe per tutti, per i magistrati in particolare, un valore e una utilità enormemente superiore a quella garantita dal fallace e risibile sistema attuale; un sistema a proposito del quale l'affidabilità del giudizio sulla imputabilità e sulla pericolosità sociale la si può sovrapporre a quella del lancio di una monetina in aria, come rilevarono, nel lontano 1974, Ennis e Litwack (2);
  • le future REMSD (Residenze per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza Detentive), luoghi a completa organizzazione sanitaria ma con la possibilità di un pronto intervento esterno delle forze di polizia (3); le REMSD sarebbero destinate alla esecuzione delle MdS dell'internamento detentivo ex artt 222 e 219; queste Residenze dovrebbero essere luoghi con alti livelli di terapia e di controllo; il personale di tali strutture dovrebbe procedere a un adeguato assessment della pericolosità sociale dei soggetti prosciolti;
  • residenze intermedie, situate sul territorio, destinate al trattamento di pazienti, autori di reati, che abbiano una pericolosità sociale residua non tanto elevata da richiedere l'inserimento nelle REMSD;
  • soluzioni trattamentali articolate, anche non residenziali, individuate di volta in volta dagli Operatori dei SSM territorialmente competenti; è peraltro ovvio che l'intervento precocissimo di tali SSM, fino dalla fase dell'arresto del paziente autore di reato, così come la stretta e costante collaborazione tra detti Servizi e gli organi della Giustizia da un lato e, dall'altro lato, gli organi sanitari dei penitenziari, delle REMSD e delle altre articolazioni residenziali, sono elementi indispensabili per una cura e un trattamento efficaci del paziente stesso.

3) La terza ipotesi operativa riguarda il potenziamento degli interventi che, per procedere al “superamento degli OPG”, sono possibili senza ricorrere ad alcuna radicale modifica dei codici (penale e di procedura). Si tratta di una ipotesi già a lungo sperimentata in almeno due Regioni: la Toscana e l'Emilia-Romagna. L'intervento si basa su alcuni irrinunciabili presupposti:

  1. gli OPG non esisterebbero più come tali e, al loro posto, come peraltro già stabilito dalla L. 9/2012, ci sarebbero le REMSD regionali (gli artt. 219 e 222 cp -e correlati- andrebbero aggiornati); tali strutture dovrebbero avere (come in effetti hanno avuto a livello di progettazione, una capienza limitata e una organizzazione sanitaria che risponda ai criteri ritenuti convenienti dagli organismi sanitari deputati della Regione di appartenenza); anche la “attività perimetrale di sicurezza e di vigilanza esterna” andrà organizzata come riterranno più opportuno i vari attori interessati (Salute, Giustizia e Interni);
  2. i vari DSM dovrebbero assicurare un intervento precocissimo sui pazienti autori di reato, sia che si tratti di persone già precedentemente in cura presso i CSM, sia che si tratti di “sconosciuti”; l'intervento precoce dovrebbe anche riguardare l'assessment psichiatrico forense, per le parti relative alla imputabilità, alla capacità processuale e alla pericolosità sociale; solo con un intervento pronto e competente dei DSM si può pensare di utilizzare in maniera conveniente strumenti utili alla cura (e all'esercizio di un diritto mite) come ad esempio le sentenze 253/2003 e 367/2004 della Consulta;
  3. i vari DSM dovrebbero potenziare e raffinare il loro intervento all'interno degli istituti ordinari di pena, realizzando un vero intervento multi professionale di salute mentale che consenta di prendere davvero in cura le numerosissime persone che, nelle carceri, soffrono di gravi disturbi psichici; almeno in una grande Casa Circondariale di ogni Regione andrebbe organizzato un Centro Residenziale di Salute Mentale che abbia diverse funzioni: osservazione psichiatrica, trattamento dei detenuti ivi ricoverati ex artt. 206 e 148 cp (che andrebbero aggiornati), terapia dei detenuti 'minorati psichici' che ne avessero bisogno, terapia delle fasi di maggiore scompenso dei molti detenuti con seri problemi mentali:
  4. i DSM dovrebbero articolare in modo assai più stretto e funzionale la loro collaborazione con i Ser.T. e con le altre agenzie che si occupano della salute dei detenuti, tenendo conto che maggiore salute significa maggiore sicurezza; a questo proposito va ripensato ad esempio in maniera radicale la funzione e l'inquadramento dei molti psicologi “penitenziari”, i quali rimanendo dipendenti funzionalmente dal ministero della Giustizia e non occupandosi di clinica e di terapia, continueranno ad esercitare all'interno delle carceri una funzione modestissima (quando non dannosa); i DSM dovranno ricercare una integrazione e una collaborazione diversa con tutti gli altri operatori penitenziari, specie con quelli di Polizia, i quali stanno quotidianamente a contatto con soggetti che presentano spesso una rilevante sofferenza psichica: la formazione del personale di Pol. Pen., con un adeguamento a compiti trattamentali che sono anche, sempre più, di “terapia”, andrebbe radicalmente ripensata e adeguata agli standard culturali del personale, che è senza dubbio cresciuto negli ultimi anni;
  5. la collaborazione con gli organismi giudiziari di tutto il DSM (e non solo delle sue articolazioni penitenziarie) sarà assolutamente necessaria e dovrà quindi essere indefessamente ricercata; su questa collaborazione interstituzionale, costruita con tenacia a partire da una reciproca e fertile contaminazione, potranno crescere soluzioni ragionevoli e non pericolose per il mentally ill offender; la forensizzazione dei SSM, con un ritorno alla competenza che fu quella delle origini della Psichiatria più di due secoli or sono, potrà portare enormi benefici alla Salute Mentale e alla Giustizia; la preparazione universitaria degli operatori, a riguardo, andrà radicalmente ripensata;
  6. una competente offerta trattamentale (anche residenziale) per il paziente autore di reato dovrà essere implementata e diffusa sul territorio; in questo modo si potranno decongestionare gli OPG e le carceri, senza peraltro creare, fuori dal luoghi di detenzione, problemi di sicurezza.

In Toscana abbiamo da molti anni imboccato la strada della utilizzazione pronta ed elastica degli strumenti legislativi e normativi che sono già a disposizione. La Regione ha disegnato un piano di intervento attraverso il quale, con una REMSD di due moduli e circa ventotto posti letto, con quattro Residenze intermedie dedicate di una decina di posti l'una e, soprattutto, con l'adozione di tempestivi programmi terapeutico/trattamentali dei DSM per i pazienti autori di reato, si potrebbe giungere a un graduale “superamento degli OPG”. Il nostro auspicio è che si giunga, soprattutto, a una assistenza di salute mentale all'interno dei penitenziari, una assistenza che sia vera, partecipata, efficace e condivisa. La collaborazione con gli organi della Giustizia e dei penitenziari, anche qui in Toscana, andrebbe comunque ulteriormente sviluppata. Se si imboccherà con decisione la strada di una decostruzione perseverante dell'OPG, il suo superamento sarà automatico e inevitabile.

Note

*. Psichiatra Psicoanalista, Specialista della CC di Sollicciano.

**. Psichiatra Psicoanalista, Resp. SSM dei Quart. Firenze 1-4 e degli Istituti di Pena di Firenze.

1. Ne Il reo e il folle nº 30/31 del 2008, numero monografico su La Grande Ricerca.

2. Ennis Ph., Litwack R. (1974), “Psychiatry and the Presumption of Expertise: Flipping Coins in the Courtrooms”, California Law Review, 62, 693. Come peraltro riporta uno studio di Greenwood (Greenwood P., 1982, Selective Incapacitation, Rand Corporation, Santa Monica, CA, USA), il giudizio sulla pericolosità formulato da esperti su un campione di soggetti, risulta affidabile nel 51% dei casi, gravemente erroneo nel 7% e parzialmente erroneo nel 42%.

3. In verità la L. 17 febbraio 2012, n. 9, all'art. 3 ter, punto b), parla soltanto di “attività perimetrale di sicurezza e di vigilanza esterna, ove necessario in relazione alle condizioni dei soggetti interessati, da svolgere nel limite delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente”.