ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo terzo
I Bolognina Warriors

Leonardo Basile, 2014

1-Una nota introduttiva

In questo e nel successivo capitolo cercherò di raccontare l'esperienza dei Bolognina Warriors a partire dal loro rapporto con la strada, utilizzando in particolare due strumenti di analisi. Il primo è la loro relazione con il quartiere della Bolognina, luogo che acquista una valenza sia reale che simbolica. Il secondo è il rapporto che li lega all'hip hop, e in particolare alla cultura "gangsta-rap", elemento che ne caratterizza l'immaginario da "soggettività di strada". Verranno riportati liberamente estratti di interviste effettuate in particolare a due ragazzi: Wallace e Jona. Wallace è uno dei fondatori dei Bolognina Warriors, nonché, musicalmente, la "voce" principale. Jona è invece un ragazzo membro di un'altra organizzazione di strada ormai disciolta, che mi ha fornito preziose informazioni situate "dal di dentro" ma con una prospettiva ormai distaccata. Per tutti i riferimenti ad altre persone ho invece utilizzato nomi di fantasia, in accordo a quanto mi era stato chiesto. Oltre alle interviste vengono utilizzati anche diversi "appunti" di campo, raccolti nei momenti immediatamente successivi agli incontri avuti con i ragazzi.

2-Da Sol Yurick alla Bolognina: gli anni delle "click"

Vi siete contati? Io vi dico che il futuro è nostro, se voi riuscite a contarvi. Ci sono 60.000 soldati delle gang e solo 20.000 elmetti: tutti noi uniti possiamo controllare la città. Possiamo distruggere la criminalità organizzata, quella del potere. Sono gli uomini al potere che ci hanno spinti l'uno contro l'altro. Ci impadroniremo di un quartiere per volta, perché la città è nostra e noi la vogliamo.

E' il famoso discorso che Cyrus rivolge ai rappresentanti delle gang di New York riunite in una gigantesca assemblea, all'inizio del film "I guerrieri della notte". Il regista è Walter Hill, che trasforma in pellicola il famoso libro di Sol Yurick (1) (1965), scrittore nato nel Bronx nel 1925 da una famiglia ebrea della working class. Per scrivere il romanzo Yurickentra a stretto contatto con i giovani delle bande, "fa meticolosamente inchiesta, affitta addirittura un furgone con dei buchi sulla fiancata per osservarli nei loro comportamenti. Non consegna nulla all'irreale: per raccontare nei dettagli la fuga di uno dei guerrieri nelle gallerie della metropolitana, compie lui stesso il percorso e annota i tempi" (Roggero, Curcio, 2013). Hill trasmette per immagini quella condizione urbana presente negli anni settanta, in cui la formazione di bande giovanili che si spartivano i territori era un fenomeno sociale ben presente nel tessuto urbano di New York (De Rienzo, 2004). I protagonisti della scena sono i "Warriors", una gang del quartiere periferico di Coney Island. Durante il film saranno costretti ad affrontare tutte le bande della metropoli, in una spettacolare fuga che passa attraverso la metropolitana e le tenebre nei quartieri più malfamati di New York. "Guerrieri" che si immergono in un immaginario simile al paradigma narrativo dell'Odissea: tutta la vicenda è calata in una dimensione epico-avventurosa, che finisce per assorbire, fino quasi ad annullarla, ogni possibilità di lettura in chiave sociologica. L'unica cosa che emerge chiaramente sono gli stili e le attitudini delle gang, e la loro "forma selvaggia di ribellione" al sistema ("la vera criminalità organizzata, quella dei potenti") ed alla polizia.

E' dai "guerrieri" protagonisti di questo romanzo che nasce il nome di Bolognina Warriors:

Non so se hai visto il film warriors.. è un film degli anni settanta.. spacca, guardatelo se hai tempo! L'idea di chiamarci guerrieri della bolognina nasce così (Wallace).

La suggestione è di quelle ben azzeccate. La Bologna di inizi anni duemila è popolata da un gran numero di bande giovanili. Non si tratta di gang etniche, legate all'immigrazione, o ai grossi giri della malavita e della criminalità organizzata. Nulla di tutto questo. Il terreno comune è costituito dal movimento hip hop cittadino, ed in particolare dalla sua componente writers. In ogni quartiere è presente una "click" (2), ed ogni click ha il suo stile e le sue "tag" (3).

La logica era tra virgolette animalesca. Difendi il tuo territorio, vedi se nel tuo quartiere ci sono tag di intrusi, cerchi di capire se c'è una tag nuova e vedi se li vuoi crossare (4) immediatamente. Detto così sembra molto violenta, ma il codice del writing non sfora quasi mai in violenza, a meno che non ci sia proprio un infamata. (Jona)

Oltre che dalle tag e da un elemento territoriale, la differenza fra i gruppi è dettata dallo stile, l'abbigliamento e i riferimenti che ognuno coltiva all'interno della cultura hip hop. Jona Mottura, membro dei di un'organizzazione di strada del tempo, i "PRS" (5), ci regala un panorama sorprendente di quegli anni:

Più su un livello di quartiere a quel periodo c'erano PRS in Andrea Costa-Saragozza. C'erano i BBS (bologna bombers), una clik molto grande che si sviluppava in molti quartieri, ed il loro network era sparso su bologna. Infatti loro se la raccontano un po', dicendo che hanno regnato sulla città. Però loro sono dei merda, infatti hanno sempre fatto del gran bombing (6). Alcuni regaz han fatto cose interessanti, ma la maggior parte no, anche se erano trow up incredibili e te lo sparavano magari in via d'Azeglio, quindi un'azione con un colpo d'occhio incredibile. Se no hanno fatto del bombing, che è la parte più vandalica del writing, perché faccio quest'azione per far vedere che sono figo e te la faccio in "face", e te la faccio ovunque perché me ne sbatto degli sbirri. In centro invece, fino a prima che fondassero un'associazione culturale, c'era SPA che spaccava. Spa stava per società per azioni, azioni nel senso di illegali. Hanno anche fondato una fanzine. Poi c'erano delle clik in murri, e c'erano i Bolognina Warriors in bolognina. Al Pilastro c'erano i pilastrini, che erano i più violenti di tutti. E in tutto l'hinterland di bologna, dove non essendo centro urbano, c'erano molti più muri e meno sbirri, e allora diventava molto più facile. Poi c'erano anche dei quartieri come Dozza che proponevano muri legali per far sviluppare il movimento come forma d'arte (Jona).

Ho avuto la fortuna di conoscere Jona attraverso una complicata ragnatela di amicizie, di quelle tipiche che si formano a Bologna, così intrecciata che farei fatica io stesso a ricostruire. Fatto sta che senza la sua testimonianza non avrei avuto la possibilità di avere un quadro altrettanto chiaro delle organizzazioni di strada che si muovevano in città fino a pochi anni fa. Si tratta di racconti suggestivi, di rivalità ed alleanze che rimandano all'immaginario spettacolare di Sol Yurick ed i suoi guerrieri della notte.

Pochi dei gruppi presenti a inizi anni duemila sono ancora rimasti in piedi. Alcuni sono scomparsi del tutto. Altri si sono trasformati in movimenti artistici legalizzati, uscendo dalla logica del quartiere e delle tag. Qualcuno continua a tirare avanti con alti e bassi. Qualcuno, invece, è diventato leggenda.

Un riflusso dovuto a due ordini di ragioni, secondo Jona. C'è l'aspetto repressivo, manifestatosi a partire dalla giunta Cofferati, quando i writers cominciarono a diventare un vero e proprio nemico pubblico (Asta, 2008). E gli stessi gruppi, costretti a muoversi nell'illegalità, non sono riusciti a creare un valido ricambio al loro interno:

Il fenomeno è andato esaurendosi perché la città non è riuscita a vedere questo come movimento artistico, dando spazi di espressione legali per i writers e per i giovani rapper. Quindi è rimasta una cosa illegale e l'illegalità alla lunga ti blocca. E resta al singolo rischiare di volta in volta. Ad alcuni writers è stata contestata addirittura l'associazione a delinquere. Purtroppo cresci e ci pensi due volte a fare una cosa che puoi prendere una bella multa e addirittura finire in "gabbio". Poi c'è stato un ricambio strano. I momenti aggregativi tra le varie clik sono sempre stati molto rari. E questo porta a un esaurimento: perché se tu devi iniziare non c'è chi ti spiega come modificare un tappino con un ago, non c'è questo momento di comunione del sapere, comunione della "fotta". (Jona).

Bolognina Warriors fa parte di una delle uniche click "storiche" ancora presenti. Con i suoi quasi quindici anni rappresenta il gruppo più longevo ed inizia a far parte a pieno titolo della storia dell'underground bolognese. Per la click della bolognina lo spirito di gruppo di quegli anni è rimasto inalterato, ma il contesto è cambiato, e delle "balotte" che popolavano la città è rimasto più che altro un ricordo:

Ah, essere BW è come esser fratelli! Anche adesso.. siam cresciuti, ognuno ha le sue cose, la sua strada, ma restiamo sempre assieme, è come essere fratelli. E' un gruppo di amici. Così è anche negli altri quartieri come al pilastro, alla barca ... Prima Bologna era piena di queste storie ... Adesso siam rimasti solo noi, adesso che è tutto mischiato c'è solo consumismo, non c'è più la cosa dei gruppi, stan tutti su facebook.. Prima di facebook c'erano i giardinetti e stavi col tuo gruppo di amici.. ai giardini margherita si ritrovavano tutte le balotte bolognesi, c'era di tutto, c'erano anche gli skaters che oggi son quasi scomparsi.. i social network hanno rincoglionito le persone (Wallace).

Per Wallace l'equazione è semplice: la società virtuale e l'omologazione culturale (è tutto mischiato) sono i veri responsabili dell'abbandono della strada da parte delle organizzazioni di strada che per anni hanno popolato i quartieri di Bologna. Sembrerebbe che Wallace abbia letto Ippolita (2012), autore del libro "nell'acquario di facebook", che studia le conseguenze psicologiche e sociali dei social network non immediatamente percepibili dagli utenti del social network. A scomparire sono le soggettività e le implicazioni corporali messe in gioco, provocando una "mutilazione del corpo fisico e la sua estensione globale e virtuale" (Ippolita, 2012, pag. 13).

3-Il primo incontro ...

Non è stato facile prendere contatto con questi ragazzi, per quanto in quartiere siano conosciuti da tutti. Buona parte delle difficoltà erano dovute all'incredibile dispositivo mediatico scatenato intorno al nome "Bolognina Warriors", una storia che abbiamo analizzato nel capitolo precedente (7).

Come scrive Luca Queirolo Palmas (2010), rintracciare i giovani delle organizzazioni di strada non è mai un'impresa semplice. La costituzione del "panico mediatico" tende a generare un clima di diffidenza che rende particolarmente complesso per un ricercatore incontrare ed istaurare un rapporto di fiducia con i giovani delle organizzazioni di strada, rendendo necessario aguzzare l'ingegno alla ricerca di qualche forma di contatto. Ad una difficoltà dovuta alla peculiarità dei codici simbolici e di linguaggio di riferimento, si aggiunge così l'effetto costituito dalla paura di essere messi al bando, rifiutati da una società che non sembra concedere spazi di condivisione diversi da quelli legati alla circolazione delle merci e del profitto.

Nel mio caso, a questi elementi, si aggiungeva che i "Bolognina Warriors" non sono più ragazzini. Alcuni di loro hanno trent'anni, sono sposati ed hanno dei figli. La maggior parte lavora tutto il giorno, e non ha più la possibilità di vivere la click con la stessa assiduità di un tempo. E, anche una volta rintracciati nei loro luoghi di ritrovo, sarebbe stato difficile istaurare un rapporto di fiducia tale da consentirmi di passare tempo insieme e fare addirittura qualche intervista.

La possibilità di sbloccare questa situazione è arrivata ancora una volta grazie ad una certa ragnatela di conoscenze. La chiave è stata la mia amica Anna, nata e cresciuta in Bolognina. Conosceva i Warriors fin da adolescente, ed era stata amica di infanzia con Wallace. Pare che il padre di Anna avesse tatuato il padre di Wallace, durante un comune periodo di soggiorno al carcere cittadino della Dozza. Ma era un'amicizia interrotta durante l'adolescenza, e quindi Anna non aveva più alcun tipo di contatto. Ma questo problema è stato superato in scioltezza, attraverso un certo giro di chiamate. In qualche ora avevo già un appuntamento nel ritrovo storico dei Bolognina Warriors.

Al primo appuntamento sono arrivato senza fare troppi calcoli e prepararmi particolari domande. Il luogo fissato era il baretto di via Alfonso Lombardi, una piccola traversa di via Ferrarese all'altezza del giardino "Guido Rossa", naturalmente nel cuore della Bolognina. Temevo di trovare diffidenza: Wallace e Anna non si vedevano da quindici anni, e due anni di criminalizzazione mediatica non sono un buon punto di partenza per le presentazioni con sconosciuti. Io, d'altra parte, non avevo alcuna esperienza su come fare interviste o come spiegare sensatamente il lavoro che stavo facendo.

Ma anche stavolta le mie preoccupazioni erano immotivate: vestito in pantaloncini e canotta prima di andare ad allenarmi nella palestra di boxe di via Saliceto, non dovevo sembrare esattamente un giornalista o un poliziotto, mentre Anna ... era già incinta di cinque mesi e cominciava ad avere un bel pancione. Circostanze che ci hanno permesso di avere fin dal primo momento una conversazione estremamente tranquilla e rilassata. Dopo aver parlato per un'oretta del più e del meno ho cercato di spiegargli in cosa consisteva il lavoro che stavo facendo. Ed ho deciso di affrontare subito registratore alla mano l'argomento più scottante, il rapporto fra i ragazzi storici della click e la "baby gang" salita negli ultimi anni agli onori della cronaca (8).

Bolognina Warriors, dicevamo, è una delle ultime organizzazioni di strada sorte al principio degli anni duemila e rimasta ancora in piedi: il loro nome è diventato nel quartiere leggenda, tanto da aver prodotto un'incredibile spirito di emulazione nei ragazzini delle medie e dei primi anni del liceo. Ma, visti gli esiti di questo spirito emulativo, non sorprende che sia bastato semplicemente alludere a questo fatto per alzare il livello della tensione dentro al bar:

"D: Chi sono questi giovani che si definiscono bolognina warriors?

R: Beh dei regaz ci sono, magari anche qualcuno più piccolo, ma non è che uno arriva e si presenta dicendo di essere un bw ... magari te lo dicono perché ti conoscono ... mentre quel gruppo di cinnazzi (9) lì non centrano niente, loro si son presi il nome.. han provato a fare una richiesta di amicizia su facebook a noi e io li ho rifiutati, non ci ho mai avuto niente a che fare ..."

Wallace ha cambiato espressione e gli si è ingrandita la vena del collo (ed io penso a Jona che mi aveva detto che bisognava far attenzione a Wallace quando perde il controllo!). Gli spiego che per me questa storia non ha nessuna importanza e che mi interessa piuttosto parlare d'altro. Ma niente da fare, a questo punto preferisce chiarire bene una volta per tutte:

Mi rodeva il culo quando è successa quella cosa lì che è uscita sul giornale. Quando è uscito il giornale mi telefonano che io ero a lavorare e non ci credevo. Ero preso malissimo, ti giuro. Vai in paranoia, pensi che ci vai in mezzo anche tu. Hai venticinque anni e magari ti dicono che sei il capo di quei ragazzini. Adesso se scrivi su google bw viene fuori anche quella roba lì, prima usciva solo la musica. Ma io nemmeno li conosco.. quando è uscito sto problema allora ho pensato di andare li a fare qualcosa, ma alla fine vaffanculo, ho scoperto che sono pure troppo piccoli.. Abbiamo cambiato addirittura nome a livello musicale, non so più che altro fare..

Il Bw non è quello che va a rubare a un vecchio (10).. se vuoi far lo sborone vai a fare un'altra cosa.. rubare tutte ste cose qua noi come balotta non le abbiam mai fatte. Te le devi guadagnare le cose. Ma io con che faccia vado a cantare BW se mi associano a dei bambini che rubano ai vecchi. Non mi metto nemmeno al livello di andare a cercarli. Adesso funziona che se sei del quartiere ti chiami BW. I giornali hanno raccontato stronzate. Bastava andare su google e si poteva vedere cos'erano veramente. Il quartiere è un micromondo. Magari un cinnazzo diceva, guarda, quello è Wallace che ha fatto i pezzi dei BW. Non è che puoi immaginarti che uno ascolta le tue cose e poi va a fare dei danni. Non ho mai emulato, emulare è da coglioni. Dopo sto casino ho visto la cosa musicale finita. Adesso sono screditati i BW.

Finito questo sfogo la conversazione tornerà su toni più rilassati. Ci racconta che è appena andato in Messico a trovare suo fratello, che si è trasferito là per cercare lavoro. "Qui non se ne trova più". Vive in un barrio popolare, su YouTube è possibile trovare il videoclip della canzone "las cuatro ruedas para Mexico" scritta durante il soggiorno. E' l'occasione per iniziare anche a parlare di hip hop e gangsta-rap, un argomento decisamente più stimolante. Quando ci salutiamo abbiamo tutti dei gran sorrisi, e ci promettiamo di rivederci presto. Io inizierò a diventare un frequentatore assiduo di quel bar ...

4-Il quartiere della Bolognina

L'universo relativamente chiuso di un'organizzazione di strada non può essere compreso al di fuori del contesto umano ed "ecologico" in cui si radica e delle possibili forme sociali di cui è portatore. E' infatti nella sua duplice relazione di simbiosi e di opposizione al quartiere che il gruppo si definisce. Diventare membro dei Bolognina Warriors non acquista senso se non in rapporto alle possibilità di vita offerte dal sistema locale, ed in particolare in relazione al complicato mondo del mercato del lavoro ed alle reti dell'economia di strada. E' quindi indispensabile tracciare a grandi linee un ritratto del quartiere Navile (11) e della sua evoluzione storica (12).

Questo quartiere multietnico ha una storia lunga e complessa, attraverso la quale si può ricostruire la storia della classe proletaria del capoluogo emiliano. Le sue origini si rintracciano nel piano regolatore generale del 1889, anno in cui si decise di sviluppare in quest'area una nuova urbanizzazione della città (Daconto, 2009). La vicinanza alla stazione ferroviaria appena costruita suggerì una conversione da area rurale a snodo strategico dell'economia bolognese. A quel tempo l'economia era sinonimo di produzione, e nei primi decenni del novecento iniziano ad insediarsi le prime fabbriche dell'industria metalmeccanica e manifatturiera, come le Cevolani (1900), le Minganti (1919), le Casaralta (1919), l'ACMA (1929) o la SASIB (1933). La Bolognina diventa rapidamente un autentico quartiere operaio: le abitazioni vengono costruite con la logica delle case popolari, resta poco margine per la presenza di spazi pubblici. Le grandi fabbriche metalmeccaniche attirano un'ondata di flussi migratori dalla provincia prima e dal meridione poi, ed il quartiere inizia a tingersi di provenienze e culture differenti. Ma l'integrazione sembrava non causare alcun problema di convivenza, poiché "a Bologna non c'erano le grandi fabbriche da diecimila operai, ma da ottocento o mille e comunque si trattava sempre di manodopera specializzata" (Scandurra, 2010, pag. 35).

Il consolidamento del polo produttivo ha da subito un ulteriore risvolto: la costituzione di un'importante presenza delle organizzazioni dei lavoratori. Le prime forme associative si rintracciano infatti già negli anni ottanta dell'ottocento. Parallelamente alla storia dello sviluppo industriale bolognese, iniziava quella di un quartiere geneticamente proletario e ribelle.

Nel 1890 viene celebrato per la prima volta il primo Maggio, e quando un migliaio di scioperanti, dopo aver ascoltato un comizio di Quirico Filopanti presso i locali della Società Operaia, tentano di formare un corteo verso il centro città la truppa interviene sciogliendo violentemente la manifestazione. In quell'anno verrà fondata la prima Camera del Lavoro, grazie in particolare alla presenza di operai metallurgici e di muratori (Senta, 2013).

Molti studi negli anni hanno enfatizzato la presenza, in Bolognina, di una comunità operaia specializzata fortemente integrata, benestante e, soprattutto, armoniosamente inserita all'interno del tessuto sociale (Piano b, 2008; Romagnoli, 1995; Caldarola, 2004; Giovanardi, 1975; Scandurra, 2010). Ma queste ricostruzioni, tendenzialmente concentrate nel celebrare il potere evocativo del "sogno operaio", o il lavoro di rete sociale svolto dal PCI e dalla CGIL nel secondo dopoguerra, hanno il demerito di dimenticare un argomento di assoluta importanza nello sviluppo del quartiere: la concentrazione in loco della popolazione più marginale della città ed il suo portato perennemente conflittuale con le autorità. La resistenza al fascismo, ad esempio, non inizia certo dalla "battaglia di porta Lame" (Romagnoli 1995), ma fin dal 1920, anno in cui dopo la fine dell'occupazione delle fabbriche e la fine di un ciclo preinsurrezionale, le attività del fascio, ben protette da carabinieri e istituzioni locali, iniziano a diffondere il terrore. A testimonianza della forza sviluppata dai sindacati dei lavoratori, USI e CGL in particolare, occorreranno ben tre anni di aggressioni, caccie all'uomo e incendi delle sedi dei lavoratori per piegare la resistenza degli operai, mentre prefettura e questura sono ovviamente impegnate a stroncare ogni tentativo di risposta armata (Senta, 2013).

Anche nel dopoguerra la Bolognina si caratterizza per le intense lotte operaie, spesso portate avanti ben oltre le linee direttrici tracciate dai classici sindacati confederali, che nel frattempo sembrano aver perso del tutto il loro spirito conflittuale precedente al ventennio fascista. Lasciano in questo senso alquanto perplessi affermazioni come quelle formulate dal collettivo Piano b, secondo cui "il quartiere, grazie agli stabilimenti industriali, rappresentò, negli anni del boom, un simbolo del progresso economico e sociale di quest'area e dell'intera città ... uno che andava alle Minganti era come se andasse all'università, chissà, un dio, un mago, era stato baciato dalla sorte ..." (Piano b, 2008, pag. 33). Gli anni cinquanta, sessanta e settanta si caratterizzano invece per un fortissimo conflitto all'interno dei luoghi di lavoro, e Bologna è uno degli epicentri delle lotte, al punto, ad esempio, da essere scelto nel 73' come luogo per la costituzione dell'"autonomia operaia" (Balestrini, 1988).

Insomma: la Bolognina non fu mai "un fiore all'occhiello" del progresso economico e dell'integrazione operaia. O forse lo era nelle parole dei suoi politici di successo e molto meno e molto meno in quelle dei suoi abitanti, spesso provenienti da terre lontane. Piuttosto è un quartiere storicamente, appunto, effervescente, in cui è proprio l'autorganizzazione e la lotta per i propri diritti ad aver segnato la vita di tante e tanti. E proprio per via di questo continuo fermento, la "piccola Bologna" è sempre stato un luogo di integrazione e tolleranza.

Venendo alla storia più recente, con gli anni ottanta inizia l'era delle grandi trasformazioni strutturali: da un lato le fabbriche iniziano a chiudere o delocalizzare, lasciando i loro immensi capannoni a marcire nel cuore dei caseggiati; dall'altro gli effetti della globalizzazione portano a Bologna migliaia di nuove generazioni di immigrati (Daconto, 2009). Per dare un'idea di ciò che ha comportato la chiusura degli stabilimenti è sufficiente citare un dato: dal 1983 al 2004 la popolazione residente in quartiere passa da quasi cinquantamila abitanti a poco più di trentamila (13). Contemporaneamente la fascia giovanile (0-24 anni) si riduce drasticamente, passando nello stesso periodo di riferimento dalle 12.000 unità a meno di 5.000 (Comune di Bologna, 2010). Quanto al fenomeno migratorio, gli stranieri legalmente residenti, oggi, con quasi 12.000 unità, rappresentano ormai oltre il 18% degli abitanti complessivi del quartiere Navile (Comune di Bologna, 2010).

Questa complessità storica, ed in particolare la lunga tradizione di immigrazione ed accoglienza alle spalle, appare in contraddizione con quelle letture che parlano oggi di un "conflitto culturale" fra l'ipotetico abitante italiano del quartiere, ex-operaio o proveniente da una famiglia di operai, e gli immigrati che a partire dagli anni novanta hanno cominciato a popolare in gran numero le sue strade (Scandurra, 2010). Certo è che gli immigrati faticano sempre più a trovare lavoro, e in quanti disoccupati possono diventare strumento per il sostentamento delle economie illegali. Oggi la globalizzazione ha contribuito alla formazione di una nuova geografia urbana, e la Bolognina si presenta al contempo come un luogo di incontro, ricco di culture e di contraddizioni.

Da un punto di vista architettonico si sta modificando, c'è il tentativo di speculare e di cambiare orientamento al quartiere. Però è ancora un quartiere ultraffascinante, perché c'è più mescolanza, c'è la potenza dell'incontro. Le prime macellerie halal sono nate in Bolognina, c'è l'esperienza dell xm che va avanti da più di dieci anni proprio perché è la. La Bolognina ha una storia di quartiere proletario, operaio, quindi rosso, che ha sempre mantenuto un'identità ribelle, ed è anche per questo che i BW rivendicano questa loro provenienza. (Jona).

Il quartiere Navile oggi si presenta come parte integrante di quella che Saskia Sassen (1994) definirebbe una città globale, cioè un luogo che contemporaneamente assume caratteristiche di centralità economica e di marginalità strutturale. Da un lato, lo smantellamento delle industrie manifatturiere e metallurgiche ha provocato un irreversibile declino in termini occupazionali e di degrado urbano, come testimoniano le mostruose carcasse lasciate in abbandono da fabbriche come la Sasib o le Casaralta. Dall'altro, i lavoratori più qualificati vedono i propri redditi raggiungere livelli inusitati: si assiste alla creazione di una nuova centralità economica, con la costruzione del gigantesco impianto fieristico, dell'avveniristica sede del comune o di costruzioni pensate per un ceto ricco come quelle della nascente Trilogia Navile (14).

E' facile percepire, anche solo attraversando i negozi o i mercati popolari del quartiere, un'enorme differenza nella disponibilità di reddito fra i suoi abitanti. In Bolognina, come nel quartiere Santo Stefano, è possibile trovare in grande quantità piccole imprese, ristoranti (15), negozi di alimentari, che applicano prezzi inaccessibili a chi vive di lavoro salariato o precario. Contemporaneamente, spesso nello stesso marciapiede a distanza di pochi metri, è possibile trovare i prodotti più a buon mercato di tutta l'Emilia Romagna.

Esiste, in quartiere, quello che Wacquant ha definito un nuovo regime di povertà:

Mentre una volta, nelle metropoli occidentali, la povertà era in larga parte residuale o ciclica, era localizzata nelle comunità della classe operaia, era geograficamente diffusa e si considerava rimediabile mediante una maggior espansione del mercato, oggi sembra essere sempre più a lungo termine se non permanente, sconnessa dalle tendenza macroeconomiche e stabilita in quartieri di cattiva fama dove l'isolamento e l'alienazione sociale si alimentano l'un con l'altra. (Wacquant, 2001, pag. 168).

La Bolognina assomiglia adesso ad un quartiere in grande trasformazione, basta guardare l'enorme quantità di cantieri e cemento che ogni mese di deposita nelle poche aree verdi rimaste, o in quelle da "riconvertire". Le élite economiche e l'amministrazione cittadina sono impegnate nello sforzo di cambiarne radicalmente caratteristiche economiche e sociali, nell'ambito di un processo di gentrificazione già ben avanzato (Daconto, 2009). Mentre le strade iniziano a traboccare di gente (di ogni nazionalità) costretta all'inattività dalla disoccupazione (Scandurra, 2011), la strada maestra intrapresa dalla politica non sembra quella di cercare forme di integrazione o partecipazione, ma viceversa di impiegare sempre più massicciamente le forze dell'ordine nel tentativo di confinare povertà e disagio in zone buie e sempre più "a rischio" (16). E' in questo scenario di trasformazione che i Bolognina Warriors hanno impiantato le loro radici.

5-I luoghi dei Bolognina Warriors

Graffiti con le iniziali BW sono visibili ovunque a Bologna, compresa la zona del centro storico. Gli enormi murales altri tre metri e larghi quattro sono però tutti concentrati nel quartiere Navile, nella zona della Bolognina delimitata a ovest da via di Corticella, ad est da via Stalingrado, a nord dal ponte Matteotti ed a sud dal parco delle Caserme Rosse. In questo quadrilatero il nome Bolognina Warriors è diventato una leggenda capace di passare attraverso le generazioni. Wallace e compagni, sono legati al quartiere da un rapporto che è allo stesso tempo simbiotico e conflittuale. Sono figli della classe operaia (17), e parlare con loro significa conoscere uno spaccato della precarietà giovanile contemporanea, scoprire tutta la ricchezza e le problematiche culturali di una vita passata tra strada e lavoro.

I luoghi in cui sono cresciuti testimoniano un senso di appartenenza che si traduce nel trasmettere un significato simbolico a luoghi apparentemente anonimi della città. Il loro punto d'incontro storico non ha nulla a che vedere con i pub o le piazze del centro storico, ma è il bar più semplice che ci si possa immaginare. Si respira un'aria multietnica. Al contrario di altri locali del quartiere divisi per etnia, qui si può trovare un po' di tutto. Anche la piazzetta storica situata di fronte al bar è un gran miscuglio di provenienze e generazioni. Una sola cosa sembra a prima vista accomunare tutti i frequentatori del bar: la difficoltà ad arrivare a fine mese. I nostri appuntamenti sono così avvenuti in luoghi che spiccavano per semplicità e umiltà. E' capitato di parlare seduti al bancone o in piedi alla porta del bar, o nella piazzetta, nel parchetto antistante, o ancora semplicemente seduti nel marciapiede del piccolo parcheggio che si affaccia sulla chiesa.

Ci vediamo alle undici e mezza di sera "in piazzetta", per fare due chiacchiere nel bar di fronte al parchetto Guido Rossa, lo storico punto di ritrovo. Io sono arrivato con qualche minuto di anticipo ed entro per primo, da solo, nel bar, dove ordino immediatamente un unicum. La barista è una rumena tutta sorridente, sta fumando una sigaretta e chiacchiera allegramente con una amica. Non faccio in tempo a prendere il resto del carlino appoggiato sul bancone che alle mie spalle arriva Wallace. Sembra di ottimo umore, ma in realtà ha gli occhi particolarmente stanchi. Si è alzato la mattina presto, ha lavorato tutto il giorno e adesso sta uscendo dal garage di uno dei ragazzi del gruppo, spazio che funge da sala registrazioni. Hanno in preparazione l'uscita di un nuovo album autoprodotto prima della fine del 2013. Mi racconta un po' delle sue giornata super-faticose passate andando avanti e indietro tra il lavoro e la casa, dove lo aspetta la sua compagna, che ha una bimba di 9 anni, figlia di un altro padre. Dico qualcosa su quanto debba essere faticoso e responsabilizzante dover seguire anche una bambina. La sua risposta è: "eh, devi crederci sempre, sforzarti di crederci ogni tanto. Devi tirare avanti a lavorare e poi avere la forza di sorridere la sera. La relazione è anche quello". Beviamo due bicchieri insieme, io un unicum e lui un campari soda. Dentro il bar saluta tutti e la clientela della mezzanotte è una mescola alquanto spettacolare. Abbiamo due cinesi semi brilli, quattro campani, che saranno alti mediamente non meno di un metro e novanta, qualcuno molto di più, e che non peseranno meno di un quintale a testa, visto l'anguria che si ritrovano al posto dello stomaco. Probabilmente sono dei facchini che stanno per avviarsi al lavoro. Poi abbiamo tre giovani "autoctoni", di cui una ragazza che conosce Wallace e con la quale facciamo due chiacchiere assieme. Infine passa per un attimo Willie, uno storico dei Bw, che ormai ha una figlia e Wallace dice che sta sempre più sbattuto nei tempi. E' passato solo per fare un saluto. (Appunto del 4/4/2013)

Chi vive in zona sa bene che quello in via Alfonso Lombardi è il bar dei Bolognina Warriors. All'entrata si vedono due murales enormi con le loro iniziali, di cui uno disegnato sulla saracinesca, di modo che sia visibile solo quando il bar è chiuso. All'esterno ed all'interno ci sono anche diversi dei loro adesivi. Nella porta del bagno, ad esempio, il loro logo è accompagnato dalla celebre bomba a mano. Nel parchetto antistante invece c'è una piccola costruzione, che da qualche tempo è diventata un bar gestito da cinesi. Una delle sue pareti è interamente ricoperta da un logo dei BW molto appariscente, scritto in stampatello con i bordi rossi, le lettere sono riempite con un color argento. Quando i cinesi iniziarono ad allestire il bar decisero di ridipingere le mura del chioschetto, cominciando così anche ad imbiancare il murales. Qualcuno, però, deve avergli immediatamente consigliato di non toccare il graffito, che così oggi è rimasto li, al suo posto, solo in una piccola parte leggermente sbiadito.

Questa porzione di quartiere è sempre stata "difesa". In primo luogo dalle altre eventuali "tag". Si può notare come nel raggio di un chilometro quadrato gli unici graffiti visibili -oltre quelli del gruppo- sono delle scritte a sfondo politico firmate con delle a cerchiate. Sembra che appunto solo con gli anarchici abbiano raggiunto una tregua, anche se in alcuni casi continuano a "crossarsi" un po' a vicenda. Altre volte, invece, si è trattato di difendersi fisicamente dall'aggressione di un altro gruppo rivale. La violenza non è certamente un elemento che caratterizza il gruppo, ma nemmeno una pratica esclusa a prescindere:

Quando siamo in balotta, magari può capitare che ti becchi contro qualcuno.. alcuni di noi magari sono più aggressivi, noi però non siamo mai stati un gruppo violento ... i pestaggi noi non li abbiamo mai fatti, al contrario di altri.. tipo come facevano i "pilastrini" ... uno volta i pilastrini, in questo bar sono venuti con tre macchine.. si sono fermati nella piazzetta e alla fine chiedevano di fare uno contro uno. Quello nostro è riuscito a menarlo peso, e allora sono usciti in dieci dalla macchina e ci hanno pestato così ... Tutto questo per una stronzata, era stata una discussione in discoteca il sabato sera prima con uno dei nostri (Wallace).

Alcuni particolari dell'isolato sono cambiati con i tempi, come le inferriate messe intorno al giardino della chiesa situata alla sinistra del bar. E proprio la chiesa fu il luogo in cui si conoscevano i primi BW.

Siamo nel portico che da fuori al bar e Wallace mi chiede ancora una volta in cosa consiste la tesi che sto scrivendo. Sta volta, dopo aver fatto già diverse chiacchiere, un intervista, alcune telefonate, esserci scambiati svariate mail, credo di essere riuscito a dare una spiegazione comprensibile. Lui però è sempre più sbalordito di come il nome del suo gruppo sia stato utilizzato e deformato dai mezzi di "informazione", ed abbia acquisito una popolarità che mai si sarebbe aspettato. Quando si prende questo argomento il suo sguardo ritorna serio e mugugna incazzoso che si sarebbe dovuto fermare tutto subito, prima che fosse tardi. L'appropriazione del nome da parte dei ragazzini, proprio non gli è andata giù. Intanto la barista, rumena, lo saluta e ci manda affettuosamente un bacio, e gli chiede perché quella settimana non era venuto a trovarla. Lui dice che ha sempre meno tempo. Si lamenta: son finiti i tempi in cui si poteva stare sempre in balotta! E mi racconta che i BW sono nati proprio in quella piazzetta, nella parrocchia che sta al lato del bar. Wallace frequentava la chiesa, li si sono conosciuti i primi componenti del gruppo. Mi racconta che i primi BW non erano tutti della Bolognina, però frequentavano tutti quella piazzetta. Uno veniva da "Mazzini", un altro da "Saragozza". Poi dopo i quattordici anni, aveva smesso di fare il chierichetto e aveva iniziato a fare balotta proprio nei gradoni della chiesa, che danno sulla piazzetta. Vede il mio sguardo perplesso, ma mi fa notare che al tempo non c'erano le inferriate che separano il cortile dall'asfalto. Poi sono comparse. Dice per ragioni di sicurezza. (Appunto del 24/4/2013).

Mentre durante il giorno attraversare il parchetto dinanzi al bar storico significa vedere soprattutto mamme, anziani, cani e bambini di ogni colore e ogni nazionalità, la notte può obiettivamente capitare di vedere di tutto. Quelle panchine diventano luogo di spaccio e non di rado anche di rese dei conti. Più volte io stesso mi sono ritrovato in mezzo a delle risse senza che ci entrassi niente ed ho dovuto squagliare alla svelta. Via Ferrarese e Via di Saliceto, il parco della Zucca e il parchetto Guido Rossa sono in questo senso diventate zone "ad alto rischio". Moltissimi sono i giovani, immigrati e italiani, che vi si ritrovano a stazionare durante la notte, spesso anche semplicemente perché non hanno dove andare. I cassonetti lungo le stradine che si intrecciano in questi isolati sono presi d'assalto da affamati di ogni età. Più che zone di spaccio, stiamo parlando di veri e propri rifugi per disperati. Quali problemi metta a nudo questa realtà, purtroppo, è ben noto: la mancanza di una casa per tutti, l'impossibilità di trovare un posto di lavoro, lo sfruttamento in nero, l'incredibile disparita di reddito fra italiani e immigrati, le problematiche connesse alla mancanza di libertà di circolazione.

Il "degrado", però, è oggi tema di speculazione giornalistica e politica. Non manca giorno che il Resto del Carlino o La Repubblica, nelle loro edizioni locali, non escano fuori con qualche articolo allarmista, dove si attribuisce la colpa del degrado "agli immigrati", che spacciano e sono violenti. Ma la stessa amministrazione comunale non sembra avere idee particolarmente brillanti da mettere in campo: l'ultima trovata, sarebbe quella di istallare "ronde di cittadini" (18), cioè vere e proprie pattuglie di strada in abiti civili.

Il tema, insomma, è di enorme attualità, e fra i ragazzi dei BW le opinioni su questo tema sembrano particolarmente discordanti. Sotto i loro occhi c'è stata indubbiamente una trasformazione del contesto urbano. C'è chi, come Max, assume ad esempio una posizione che finisce per sfociare apertamente nella xenofobia, sebbene il suo obiettivo polemico sia anche e soprattutto l'assenza delle istituzioni e in particolare l'incapacità della polizia.

Incontro Max mentre siamo seduti sul marciapiede del parcheggio, proprio a lato delle inferriate della chiesa. E' arrivato in macchina con altre tre persone: tutti siciliani, un quarantenne e due ragazzi credo appena maggiorenni. Max invece ha ventotto anni, ed è uno storico dei Bolognina Warriors. E' appena tornato da una vacanza ad Agrigento, ed è abbronzato come un muratore. E' vestito in modalità hip hop, stile un po' gangsta, con un cappellino tirato all'indietro. Wallace più volte mi aveva parlato della sua rabbia per la piega che stavano prendendo le cose in Bolognina, e mi aveva consigliato di intervistarlo per conoscere anche il suo punto di vista. Accendo il registratore, ma purtroppo siamo in mezzo alla strada, e tra il rumore di macchine e gli schiamazzi della gente che ci sta intorno non riesco a registrare quasi nulla. Mannaggia! Il contenuto però è di estrema chiarezza. Inizia lamentandosi "di tutti questi neri che spacciano e fanno sempre casini", e dice che non si può più nemmeno uscire tranquillamente. Sostiene che da quando c'è stata un'invasione di extracomunitari il quartiere è cambiato ed è diventato uno schifo. Individua il responsabile: la colpa è della polizia, che li lascia fare senza problemi: "vengono qui, fanno due retate, scappano tutti e si ricomincia da capo". Anche l'amministrazione comunale gli sembra particolarmente colpevole, perché ha reso la Bolognina il luogo più abbandonato della città, "e questi si stanno prendendo a poco a poco tutto. Tra un po' vedrai che non possiamo nemmeno più uscire noi. E' uno schifo, pure io che abito qui da sempre devo avere paura ad uscire di casa". (Appunto del 9/5/2013).

Ben diversa è la posizione di Wallace, che preferisce invece contestualizzare il discorso all'interno di un quadro più ampio, facendo riferimento ad un contesto culturale che ha determinato una trasformazione nel modo di concepire la strada ed il tempo libero. Il suo obiettivo critico è soprattutto la polizia e il suo metodo di gestione della criminalità di strada. La strategia delle forza dell'ordine non sembra mai quella di andare alle radici del crimine organizzato, ma piuttosto di trattare come delinquente chiunque stia fuori, di sera, in certi luoghi ritenuti a rischio.

Il problema non è solo che ora ci sono gli immigrati. Noi la sera a 14 anni, anche prima, si andava in giro si faceva le nostre cose, stavamo tutto il giorno per strada e conoscevamo tutti... ormai son tutti paranoici, han paura ad uscire da soli. Gli anziani ma anche i regaz, se ne stanno sempre più chiusi in casa. Secondo me è una paranoia che han inculcato in testa alla gente. E poi bona, stai in casa ed hai paura ad uscire. E' cambiato anche che non ci son più le balotte ... qui c'erano quelli che facevano rap, c'erano i metallari, c'erano gli skinhead, tutte queste cose ... Ognuno aveva la sua balotta, e poi ti conoscevi. Ma se stavi per strada c'era sempre un problema per la polizia, perché se stai per strada allora sei diventato un delinquente... Il problema era che non volevano che uscivi di casa ... Se ti trovavano seduti sulle panchine erano capaci di fermarti, chiedere a tutti i documenti e perquisirti ... Adesso son rimasti solo gli spacciatori, che però quelli non hanno intenzione di farli andare via.. In certi posti per evitare che vadano gli spacciatori basterebbe un faro o una luce, e li magari non ci va più nessuno. A volte basterebbe anche poco, invece niente, erano un problema tutti quegli altri ma gli spacciatori no. Perché quelli grossi non li toccano mai, e via Ferrarese è il luogo di spaccio. Di qualsiasi cosa. E poi la gente si è pure rincretinita, adesso vanno tutti a ballare allo stesso posto, fanno tutti le stesse cose, c'è facebook e allora stai sulle chat a non fare un cazzo. E' diventato tutto un mischione (Wallace).

Mi sono chiesto spesso, mentre passavo il tempo con questi ragazzi, quale fosse il senso del loro intenso legame con questi isolati. Luoghi che a guardarli da fuori sembrano non avere nulla di particolare, se non appunto l'impressione di un impatto con una povertà che -ad un osservatore superficiale- sembrerebbe non appartenere a questa città. Jona, che di legami delle bande con il loro quartiere se ne intende, ritiene che il loro attaccamento al territorio sia connessa anche ad una questione culturale, nel senso stretto del termine:

Non è un caso che una simile clik fuoriesca da un quartiere popolare. Loro non hanno fatto l'università, credo quasi nessuno, che ti porta fuori dal posto in cui sei nato. Chiaramente la loro rivendicazione parte anche dal fatto che non abbiano avuto una costruzione che li abbia portati all'università, li abbia portati ad aprirsi ad altre finestre. E non sto sottolineando la loro ignoranza, è che chiaramente hai un attaccamento ai tuoi valori anche in relazione che hai al tuo vissuto. (Jona)

Un elemento certo è che per i Bolognina Warriors questo legame si accompagna ad un totale rifiuto di molti dei valori dominanti della società moderna: dall'arrivismo come modello di affermazione personale alla mercificazione del divertimento. O, come vedremo nel prossimo capitolo, ai valori ed alle prescrizioni dell'industria culturale della musica. La letteratura tradizionale sulle bande giovanili, parlando di "territorialità", ha spesso inteso parlare della difesa di un luogo fisico dall'invasioni di bande rivali (Trascher, 1927, Cohen, 1972), o della necessità di riappropriarsi di uno spazio urbano per guadagnare in termini di visibilità, possibilità e sicurezza del gruppo (Queirolo Palmas, 2009, Feixa, 1996, Barrios, 2004). A me son venute in mente le parole di Manuel Castells, che ipotizza che oggi, fra i più esclusi, la dissociazione dalla cultura e dalla struttura dominante si affermi in una maniera nuova e dirompente per la teoria sociale. Secondo Castells (2003) la lotta di classe dell'era industriale, "sebbene ancora molto reale, non descrive più i profondi e fondamentali conflitti nel mondo, che ruotano intorno alla religione, alla razza o all'etnia, in una parola all'identità". E poiché vi è una profonda sfiducia nella popolazione mondiale sulle capacità di generare il cambiamento sociale, sia attraverso il percorso elettorale che quello rivoluzionario, le uniche prospettive di riscatto delle classi più deboli e marginali sarebbero quelle di opporre alla disgregazione sociale una identità di resistenza a partire dai territori e dalle reti di appartenenza. In quest'ottica Castells distingue fra le identità legittimanti, introdotte direttamente dalle istituzioni dominanti nella società per "estendere e razionalizzare il dominio sugli attori sociali", e le identità resistenziali, che si caratterizzano invece per il loro sorgere da posizioni di subordinazione e che quindi "costruiscono trincee per la resistenza e la sopravvivenza sulla base di principi diversi da quelli che informano le istituzioni della società". Sono queste che portano alla formazione di "comuni o comunità", che hanno come obiettivo quello di disegnare i confini del proprio terreno e difendersi dall'azione di recupero delle ideologie dominanti. Forse, il sogno che si nasconde dietro le storie di questi ragazzi, è proprio l'utopia di immaginare una sfera di autonomia culturale dalle forze di devastazione che da diversi anni assediano la Bolognina.

Note

1. "Suo padre era immigrato negli Stati Uniti per tentare di sfuggire all'alternativa tra la persecuzione e il diventare un colono in Palestina. Era comunista, Sol lo sarebbe diventato più tardi ... Inizia a scrivere al college, dove era riuscito ad entrare attraverso il programma governativo che garantiva l'istruzione ai figli dei veterani di guerra. Nel frattempo, siamo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, Sol lavora per il dipartimento del welfare di New York: «qui ho conosciuto figure proletarie diverse da quelle con cui sono cresciuto, senza la capacità di organizzarsi per lottare. Ho così scoperto le gang, come forma selvaggia di ribellione»" (Roggero, Curcio, 2013, intervista per "il manifesto").

2. La parola "click" è usata nel gergo hip hop come sinonimo di "banda" di quartiere.

3. La tag è il nome in codice che writers, mc e breakers, usano per distinguersi, sia a livello di singoli che di gruppo. Nella cultura hip hop è un linguaggio simbolico che può alludere anche ad un certo modo di fare o un lato caratteristico. L'attività di marcare una superficie con un tag viene chiamata tagging. Per tag bombing (letteralmente "bombardamento di tag") si intende la riproduzione del proprio tag su vasta scala in una determinata area di un centro urbano.

4. Per "crossare" si intende semplicemente cancellare, o deformare le scritte degli "intrusi".

5. Acronimo di Porno star crew, che successivamente diventa "pazzi rimasti stronzi".

6. "Bombing" significa letteralmente riempire le strade della propria tag, in maniera noncurante dell'aspetto estetico del writing.

7. Nel secondo capitolo abbiamo visto come a partire da alcuni episodi di bullismo adolescenziale i mass-media cittadini abbiano scatenato una campagna contro la baby-gang denominata "Bolognina Warriors", producendo degli esiti particolarmente gravi in termini di conseguenze penali per tutti i ragazzini coinvolti.

8. Sarebbe stato meglio non toccare questo argomento al primo incontro, ma in quel momento la mia principale preoccupazione era che forse non avrei avuto una seconda possibilità di incontro ...

9. "Cinno", in gergo bolognese, significa bambino.

10. Uno degli episodi più noti della baby gang è proprio quello in cui dei quattordicenni aggrediscono (in realtà solo metaforicamente) un anziano con un passato nella resistenza partigiana.

11. "Bolognina" in realtà non è più ufficialmente un quartiere dagli anni ottanta. Adesso il suo territorio è appunto compreso in quello del quartiere Navile.

12. Sottolineare il legame esistente fra l'ecologia urbana di un quartiere e la presenza di un'organizzazione di strada non significa affrontare lo studio di quest'ultima da una prospettiva "strutturale". Lo studio delle bande di strada, come abbiamo visto nel primo capitolo, ha spesso prestato il fianco a letture che riproponevano in maniera automatica delle teorie datate riguardo sottoculture delinquenti che, una volta applicate, non descrivono affatto una "gang". La nostra prospettiva vuole essere in questo senso di tipo "culturale". Come vedremo nel quarto capitolo, parlando di hip hop, scopriremo che un buon modo per cominciare a comprendere il modo in cui i membri di un'organizzazione di strada danno un senso alle loro vite è iniziare ad ascoltare la loro musica.

13. Quello del cambiamento nella composizione demografica è un fenomeno che coinvolge tutto il comune: basti pensare che durante gli anni settanta Bologna contava oltre 520.000 abitanti residenti, mentre oggi il numero si ferma a 370.000.

14. La "Trilogia Navile" è un enorme area di trecentomilametri quadri edificata nel cuore della bolognina, in uno dei suoi pochissimi spazi non ancora cementificati. Comprende centinaia di appartamenti avveniristici, un numero imprecisato di locali da adibire ad uffici e negozi, uno studentato, una cintura di verde che separerà il complesso dal resto del quartiere e addirittura due laghetti artificiali (da trilogiavanile.it). Queste costruzioni si collocano all'interno di un vastissimo processo di gentrificazione che racchiude tutto il perimetro della nuova "Città della ferrovia", un'enorme area che va dalla stazione ferroviaria fino al nuovo impianto fieristico, passando appunto per la Trilogia Navile e le nuove sedi futuristiche del comune situate in piazza Liber Paradisus. "Città" che, tuttavia, sorge proprio nel cuore delle periferie più povere e marginalizzate del comune di Bologna.

15. Spettacolare ad esempio è il ristorante "leoni" collocato in mezzo agli edifici della Unipol: visto da lontano ha la forma di una balena; da più vicino si scopre che un primo si aggira sui cento euro a persona.

16. L'assenza di ogni tentativo nella direzione dell'integrazione e della pacifica convivenza è testimoniata dalle ultime iniziative portate avanti ufficialmente dal Quartiere Navile. In data 11 Novembre, ad esempio, è stata fatta una fiaccolata che partiva da via Saliceto per arrivare in piazza dell'Unità "contro il degrado e la cultura della dipendenza". La manifestazione chiedeva semplicemente un intervento più deciso da parte delle forze dell'ordine nel "ripulire le strade dalla droga e dal degrado", e annoverava fra i suoi promotori tutti i gruppi consiliari del quartiere. Tuttavia gli esiti sono stati molto lontani da quelli auspicati dagli organizzatori, come ho potuto costatare coi miei occhi: la scarsa partecipazione è stata accompagnata da una contro- manifestazione della rete "Bologna Antifascita" che ha denunciato pubblicamente la natura xenofoba e populista di questa iniziativa.

17. Nel capitolo successivo, in cui analizzeremo la loro musica hip hop, potremo vedere come questa appartenenza alla classe operaia è per loro al tempo stesso un motivo di orgoglio ed un simbolo attraverso il quale riconoscersi.

18. Per queste ronde, nel momento in cui scriviamo, è in corso una discussione all'interno del consiglio comunale. Dalle prime indiscrezioni riportate dalle cronache, pare che la cifra inizialmente stanziata per questo progetto superi i duecentomila euro.