ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Conclusioni

Irene di Valvasone, 2013

Sono consapevole che la ricerca ha portato alla luce molti problemi che si riscontrano nella disciplina delle misure semidetentive e detentive non carcerarie, senza però darne soluzioni certe e pienamente risolutive. Aver potuto esaminare anche le risposte date da un ordinamento differente alle stesse domande ha permesso di constatare che l'adozione di diversi modelli sanzionatori non sempre porta a delineare realtà diverse. Ma questo può significare anche qualcos'altro: non è tanto la disciplina, il sistema che viene adottato che dimostra la "bontà" di un ordinamento, penitenziario e non, ma il modo in cui è adottato, il come, e il motivo per cui viene adottato, il perché. Si può delineare un sistema sanzionatorio basato interamente su sanzioni alternative alla pena detentiva, quindi irrogate direttamente in sentenza di condanna, oppure si possono prevedere misure alternative che sostituiscano la pena soltanto nella fase dell'esecuzione. Quale che sia il modello adottato, quello che è necessario domandarsi è in che modo viene messo in pratica: viene rispettato il necessario equilibrio tra il principio di legalità e il principio di equità delle pene che si realizza con la concessione di poteri discrezionali al giudice? E la teoria della polifunzionalità della pena viene riflessa nelle scelte in concreto adottate, nel senso che viene dato adeguato spazio sia alla funzione di prevenzione generale sia alla funzione special-preventiva? Il sistema è efficace oppure nella pratica rischia di manifestare tutta la sua inadeguatezza? Pertanto, per migliorare la disciplina delle misure paradetentive credo che sia più giusto interrogarsi non sul fatto se sia meglio prevederle come pene principali, sanzioni sostitutive o misure alternative, ma se nel modo in cui sono adottate si garantisce ad un livello adeguato il rispetto dei principi fondamentali. Un sistema sanzionatorio basato sul profondo rispetto dei principi dell'ordinamento è un buon sistema, qualunque soluzione venga adottata. Ma c'è un altro quesito da porsi: perché si è voluto adottare una determinata soluzione? Quale obiettivo si vuole raggiungere prevedendo un sistema delle pene strutturato in una certa maniera? L'obiettivo delle misure semidetentive e detentive non carcerarie non può che essere questo: limitare il ricorso alla pena detentiva, sostituire la pena carceraria con delle misure comunque limitative della libertà personale.

La risposta a questi due quesiti è alquanto assurda. In primo luogo, la semidetenzione sembra aver trovato il giusto equilibrio tra istanze di difesa sociale ed esigenze risocializzanti, tra discrezionalità giudiziale necessaria all'individualizzazione della risposta sanzionatoria e principio di legalità, a tutela di un diritto certo ed effettivo. Ciò nonostante, i numeri riguardanti la sua applicazione la rendono del tutto irrilevante a causa delle ingessature provocate dalla legge, della magistratura poco lungimirante, o del contenuto stesso della semidetenzione che la rende, di fatto, non sostitutiva della pena detentiva. Per quanto riguarda le misure alternative della semilibertà e della detenzione domiciliare, le risposte sono invertite: sul piano del rispetto dei principi, l'estensione smisurata dei loro confini si pone sicuramente in termini di contrasto col principio di legalità, inoltre, la loro previsione è nata proprio con l'intento di realizzare soltanto la funzione di rieducazione della pena. Tuttavia, quest'ultime misure, nonostante abbiano molti difetti che si riscontrano nell'applicazione in concreto e che sono difficilmente eliminabili, danno prova di funzionare abbastanza bene nel nostro ordinamento, e ciò è dimostrato anche dal confronto con altri ordinamenti che ricorrono a queste sanzioni con una frequenza non superiore alla nostra. Sembra quasi che rispetto dei principi e obiettivo di ridurre il ricorso alla pena detentiva non possano essere perseguiti contemporaneamente. Ma non è così. La sanzione semidetentiva era destinata a fallire: non aveva senso, e continua a non avercelo, delineare una misura che si sostituisse alla pena detentiva per evitarne gli effetti desocializzanti del carcere senza eliminare il carcere dalla sua modalità di attuazione. E questa considerazione travolge anche la semilibertà, pur constatando che la contraddizione intrinseca delle misure semidetentive si riduce quando sono concepite al fine di reinserire gradualmente il condannato nella società, nel rispetto della progressione nel trattamento rieducativo. La detenzione domiciliare, invece, se si esamina attentamente ci mostra un aspetto più propriamente punitivo, o quantomeno neutralizzante, che la allontana dalle altre misure alternative, rendendola una misura più equilibrata dal punto di vista della necessaria polifunzionalità della pena. Da ciò conseguono le proposte di concepirla come una nuova specie di pena, prevista a titolo principale. Tuttavia, se si anticipa la pena detentiva non carceraria alla fase della cognizione, le disfunzioni in sede di applicazione in concreto divengono vere e proprie disparità di trattamento, privilegiando i privilegiati, e punendo i disagiati. Paradossalmente, appare più equo prevedere come pene, principali o sostitutive, le misure sospensive dell'esecuzione della pena detentiva, con o senza messa alla prova.

La verità è che, se il vero scopo di queste misure è la realizzazione di un sistema fondato sull'idea che la pena detentiva debba essere considerata l'ultima pena a cui fare ricorso, allora siamo di fronte ad un fallimento. Il problema è che, proprio perché si considerano alternative alla sanzione detentiva, continuano a perpetrare la centralità del carcere. Sono modalità alternative di esecuzione della pena detentiva, non misure alternative nel senso di diverse dalla pena della quale prendono il posto. Non solo: proprio perché parzialmente detentive continuano a giustificare l'idea che la libertà personale sia il bene da sacrificare per aver violato la legge penale. Ovviamente, qui si rischia di entrare in un campo minato, nel campo del diritto di punire e come punire, che esula dalle mie limitate competenze. Quello che posso dire con certezza, certezza dettata dal coro di voci unanimi a cui intendo aggregarmi, è che il problema non sta nel sistema di alternative alla pena, ma nella sanzione stessa a cui intendono surrogarsi. Gli sforzi che il legislatore ha compiuto per correggere, allargare e coordinare le misure alternative alla detenzione hanno mostrato tutta la loro inutilità di fronte al vero problema che s'intende affrontare: il sovraffollamento delle carceri, che comporta la violazione dei diritti dei detenuti. La soluzione non sta quindi nelle misure alternative, ma nella stessa pena detentiva. Finché non si realizzerà una globale e radicale riforma del diritto penale, con l'introduzione di un nuovo codice penale, non si può sperare di raggiungere risultati significativi. È necessario partire dalle fondamenta, dalla configurazione di un nuovo sistema di valori tutelati dalla legge penale che rispecchino i valori della società moderna, è necessario riscrivere l'intera parte speciale per ricalibrare le previsioni edittali all'effettiva gravità del reato e della condotta del suo autore. Finché non si riscrive la pena detentiva, le alternative alla detenzione continuano a partecipare della sua visione distorta della realtà e a perpetrarne le ingiustizie.