ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo terzo
Il difficile rapporto tra discrezionalità e legalità

Irene di Valvasone, 2013

1- Discrezionalità e legalità in materia di sanzioni

Il problema di delineare i rispettivi confini tra la discrezionalità giudiziale e il principio di legalità in ambito penale è una questione che riguarda l'intera disciplina penalistica, ma che diventa particolarmente critico quando si parla sanzioni in particolare.

La discrezionalità giudiziale è un rinvio che la legge fa al giudice affinché sia lui ad individuare la regola da adottare in concreto. (1) Quindi, i problemi sorgono quando si passa dall'astratto al concreto. Ma il sistema sanzionatorio si può considerare articolato in tre fasi: la fase della minaccia della pena, il momento della sua commisurazione, e la fase dell'esecuzione. (2) Il momento della minaccia della sanzione è indubbiamente il meno problematico: il principio di legalità si esprime nella necessaria predeterminazione dei reati, ai sensi dell'articolo 25, comma secondo, della Costituzione. La riserva di legge in materia penale protegge infatti dall'arbitrio del potere giudiziario, tutela il bene fondamentale della libertà personale contro i rischi di prevaricazione da parte del giudice. Ma impedisce anche i possibili abusi da parte del potere esecutivo, laddove corollario del principio di legalità è il principio d'irretroattività della legge penale.

Invece, nel momento in cui la legge penale deve essere applicata dal giudice, i rapporti fra discrezionalità e legalità si complicano, per la necessità di adattare la legge astratta alla concretezza della situazione presa in esame. La legge predetermina le sanzioni che possono essere irrogate, in base al principio di tassatività che si estende anche alle pene, tuttavia al giudice rimane da scegliere quale pena e in che quantità debba essere irrogata. Ed ecco che, non appena la legge entra in relazione col caso concreto, la discrezionalità giudiziale emerge prepotentemente sulla scena. (3) La fase della commisurazione giudiziale è disciplinata dall'articolo 133 del codice penale, che impone al giudice, nel momento in cui deve applicare una sanzione, di prendere in considerazione la gravità del reato e la capacità a delinquere del suo autore. Soltanto lasciando un margine di discrezionalità al giudice si può adeguare la sanzione alla personalità del condannato, al fine di garantire il rispetto del principio di rieducazione delle pene, ai sensi del terzo comma dell'art. 27 Cost. D'altronde, si ritiene che una pena fissa, una pena cioè rigidamente predeterminata dalla legge e immutabile nel tempo, sia in contrasto coi principi costituzionali. «Lo strumento più idoneo al conseguimento delle finalità della pena, e più congruo rispetto al principio di uguaglianza, è la mobilità della pena». Queste sono le parole della Corte costituzionale. (4) «L'adeguamento delle risposte punitive ai casi concreti contribuisce a rendere quanto più possibile personale la responsabilità penale, nella prospettiva segnata dall'articolo 27, primo comma, della Costituzione, e allo stesso tempo è strumento per una determinazione della pena quanto più possibile finalizzata, nelle prospettive dell'articolo 27, terzo comma». «L'uguaglianza di fronte alla pena viene a significare, in definitiva, proporzione della pena rispetto alle personali responsabilità e alle esigenze di risposta che ne conseguono, svolgendo una funzione che è essenzialmente di giustizia e anche di tutela delle posizioni individuali e di limite della potestà punitiva statuale». In conclusione, prosegue la Corte: «sussiste di regola l'esigenza di un'articolazione legale del sistema sanzionatorio, che renda possibile tale adeguamento individualizzato, proporzionale, delle pene inflitte con le sentenze di condanna. Di tale esigenza, appropriati ambiti e criteri per la discrezionalità del giudice costituiscono lo strumento normale».

Queste considerazioni critiche nei confronti della fissità della pena sono le stesse che alimentano le proposte di abrogazione dell'ergastolo, in quanto pena incostituzionale. La pena dell'ergastolo impedisce, per definizione, il recupero sociale del condannato, chi è condannato alla pena perpetua non ha nessun interesse a dimostrare i suoi progressi, ed è per questo motivo che gli sono state estese le misure alternative.

Dunque, la previsione legislativa di un minimo e di un massimo edittale di pena irrogabile non solo permette di adeguare la sanzione alle specifiche caratteristiche del caso concreto, dando attuazione al principio d'individualizzazione delle pene, ma al contempo costituisce un limite alla discrezionalità giudiziale, un parametro legislativo a cui ancorare il potere discrezionale del giudice, al fine di proporzionare la sanzione non al proprio giudizio di disvalore, ma a quello assegnatole dal legislatore stesso. (5) La predeterminazione legale della cornice edittale, quindi, garantisce l'individualizzazione delle sanzioni, tramite i criteri indicati dall'art. 133 c.p., ma evita che la discrezionalità giudiziale si tramuti in arbitrio.

Il terzo momento nella definizione della pena è la fase della sua esecuzione. In questa fase, la discrezionalità giudiziale ha la funzione di adattare la pena ai progressi compiuti dal condannato e all'evolversi della sua personalità durante il trattamento punitivo. (6) La pena deve tendere alla rieducazione del colpevole non solo nel momento in cui viene irrogata, ma anche durante tutta la sua esecuzione; la pena deve essere adeguata alla personalità del condannato non solo quando è commisurata dal giudice, ma anche durante il trattamento punitivo. Dunque, per attuare i principi d'individualizzazione e proporzionalità che caratterizzano il trattamento penitenziario, è necessario assicurare la progressività e la flessibilità della pena; la conseguenza di ciò, è la configurazione di poteri discrezionali, affidati alla magistratura di sorveglianza, nella concessione dei benefici penitenziari.

La discrezionalità giudiziale, in definitiva, si ritrova nel profilo dell'an dell'applicazione della sanzione, oltre che del quantum e quomodo, e riguardo a quest'ultimo profilo la possibilità di incidere sulla determinazione della pena, nel nostro ordinamento, è affidata sia al giudice della cognizione che al giudice dell'esecuzione. La sanzione, in pratica, dopo essere stata irrogata con la sentenza di condanna emessa al termine del giudizio, può essere rivalutata, modificata in una misura alternativa alla detenzione durante la fase della sua esecuzione, e ciò porta ad una duplicazione del momento commisurativo. (7)

Il problema è quindi coordinare le esigenze di flessibilizzazione e d'individualizzazione delle pene, che si esprimono attraverso la discrezionalità giudiziale, con il principio di legalità, principio garantista, tanto più necessario in una materia in cui è in gioco la libertà personale dell'individuo.

Una sanzione penale è veramente equa solo se è adeguata alla personalità del reo. Il bisogno di equità nel trattamento sanzionatorio si traduce nella necessità di valutare diversamente situazioni differenti, e s'identifica con la giustizia sociale. (8) La funzione di prevenzione speciale ordina al giudice di scegliere la sanzione più adatta per intraprendere quel percorso rieducativo che è costituzionalmente garantito all'articolo 27, comma terzo. La pena deve tendere alla rieducazione del condannato, e per far questo deve adeguarsi alla sua personalità. Tutto ciò, se è vero nel momento dell'irrogazione della pena, in cui la discrezionalità del giudice è ancorata ai criteri della gravità del fatto di reato e della capacità a delinquere in base all'art. 133 del codice penale, lo è ancora di più nella fase dell'esecuzione della pena, dove la personalità del soggetto può essersi evoluta in conseguenza della punizione subita con la sentenza di condanna e dei progressi conseguiti durante il trattamento rieducativo.

Tuttavia, se l'individualizzazione della pena risponde ad esigenze di prevenzione speciale, il principio di legalità è alla base della ratio di prevenzione-generale. La riserva di legge in materia penale tutela la certezza della pena, certezza che al compimento di un fatto di reato corrisponda una risposta dell'ordinamento, e l'effettività, la sicurezza che la pena inflitta sarà anche eseguita. (9) L'efficacia della funzione d'intimidazione dei consociati non si ottiene se alla minaccia della pena non si fa seguire la sua sottoposizione, non si raggiunge se non si fanno seguire alle parole i fatti. Un eccessivo distacco dalla previsione edittale tramite l'esercizio dei poteri discrezionali può rischiare di far questo, di creare un vulnus nel principio di legalità. In origine, l'introduzione delle misure alternative, con l'emanazione della legge sull'ordinamento penitenziario, è servita a stemperare la rigidità del codice Rocco. Il nostro codice penale, risalente al 1930, in piena epoca fascista, concepisce la pena solo in funzione retributiva e di prevenzione generale. È per ovvie ragioni un codice di stampo autoritario, in cui il mito dell'ordine e della sicurezza nazionale si riflettono anche sul sistema sanzionatorio, caratterizzato da rigore e rigidità. Ma non è solo un problema ideologico. La vetustà del codice penale si riflette soprattutto nella difficoltà di condividere i valori che tutela, valori che non riflettono più quelli di una società che è profondamente mutata. Il sovrapporsi di riforme parziali del codice e di leggi speciali non è sicuramente in grado di risolvere la situazione, anzi, rende il sistema penale ancora più irrazionale. In attesa di un nuovo codice penale, il legislatore ha deciso allora di emanare la legge 26 luglio 1975, n. 354, al fine d'introdurre elementi di flessibilizzazione e individualizzazione delle pene, principi che non potevano essere più disattesi. Le misure alternative servono pertanto a riequilibrare in senso special-preventivo delle sanzioni che altrimenti sarebbero tutte improntate alla difesa sociale e alla retribuzione. Molto semplicemente, le misure alternative hanno dato attuazione ai principi dettati dalla Costituzione. (10)

A garanzia dell'applicazione del principio rieducativo in fase esecutiva è stata introdotta la magistratura di sorveglianza, organo ormai specializzato nello studio della personalità dei condannati e delle sue evoluzioni. Si tratta dunque di una magistratura abituata a usare i suoi poteri discrezionali, nella concessione e nella revoca delle alternative al carcere, e per questo anche un po' gelosa degli spazi che si è guadagnata. Con l'introduzione, poi, di benefici sempre meno risocializzanti e sempre più finalizzati alla deflazione carceraria, il legislatore cerca di circondare di cautele la loro concessione, imponendo valutazioni al giudice sul rischio di reiterazione dei reati o di fuga, che invece ne accrescono la discrezionalità. L'elasticità di queste valutazioni, piuttosto che realizzare il bisogno di equità nel trattamento sanzionatorio, rischia di aumentare le disparità di trattamento, rimettendo completamente nelle mani del giudice la scelta di chi appaia più o meno affidabile, con il pericolo d'incoraggiare decisioni arbitrarie. (11) La prognosi stessa sulla possibilità di recupero del condannato è una celebrazione della finalità rieducativa nella fase dell'esecuzione penale, ma è un giudizio assolutamente opinabile. (12) D'altronde, il legislatore non sapendo come restringere delle misure, che proprio perché sono meramente deflative, non possono che essere generalizzate, affida questo compito alla magistratura di sorveglianza.

Gli interventi di ampliamento delle misure alternative alla pena sono diventati sempre più frequenti e sempre meno razionali. Il "sottosistema" delle alternative alla detenzione carceraria ha assunto dei caratteri di vastità tali da far ritenere non esagerato chi paventa il rischio della cosiddetta "fuga dalla sanzione". (13) La crisi del sistema sanzionatorio, che comporta l'indebolimento della funzione di prevenzione generale, è sicuramente accentuata dall'ampliamento smisurato delle misure alternative, divenute ormai la "valvola di sfogo" di un sistema alla deriva, e l'unico argine contro l'inarrestabile affollamento delle carceri. (14) La mancanza di una riforma globale del sistema sanzionatorio, perpetrando la centralità delle uniche due sanzioni del nostro ordinamento, la pena detentiva e la pena pecuniaria, costringe a mantenere relegato alla fase dell'esecuzione il principio finalistico della rieducazione delle pene, il quale, potenziando il sistema delle misure alternative alla detenzione, aumenta la discrasia tra la previsione edittale e la pena irrogata in concreto e concede al giudice un eccessivo potere discrezionale. (15)

Tuttavia, a ben guardare, il problema dell'erosione della pena detentiva non si può imputare soltanto alle misure alternative, anzi, esse sono solo l'ultimo stadio di questa tendenza. L'ampia forbice tra il minimo e il massimo edittale, le circostanze attenuanti e aggravanti, ma anche istituti di tipo processuale, come il giudizio abbreviato e il "patteggiamento", sono tutte cause, precedenti alla concessione dei benefici penitenziari, che alimentano il fenomeno della fuga dalla sanzione penale. (16) Le pene edittali assumono il ruolo di mere indicazioni fornite al giudice, la prassi dei tribunali è diventata quella di andare sotto la soglia del minimo edittale per correggere le asprezze della previsione legislativa originaria, il catalogo delle pene principali è ribaltato nella fase dell'esecuzione penale: tutto ciò, al fine di supplire alle mancate decisioni del legislatore. (17)

La discrezionalità giudiziale è senz'altro uno strumento atto a garantire le ineludibili esigenze di equità della pena, esigenze che sempre emergono quando dall'astratto si passa al concreto. Tuttavia, un eccessivo ampliamento dei suoi confini, non radicati in ben precisi limiti legali, rischia di trasformare la discrezionalità in arbitrio nelle mani del magistrato. Da rimedio al rigore sanzionatorio, si trasforma in un'aperta violazione del principio di uguaglianza; dal principio d'individualizzazione, si è passati ad una forma di clemenzialismo penalistico. (18) È vero che il giudice è sempre più spesso chiamato a supplire all'inefficienza e intempestività del legislatore, (19) ma questo non deve portare a considerare la sanzione penale praticamente un monito simbolico, che può essere completamente ribaltato, disatteso, nella fase dell'esecuzione. Anche le esigenze di equità si trasformerebbero in diseguaglianza, laddove la discrezionalità del giudice non fosse più dettata da fini d'individualizzazione della pena, ma dalla possibilità di riconsiderare in toto la pena e le sue modalità di attuazione.

Il principio di legalità ha sicuramente la sua ragion d'essere. Ma allo stesso tempo, anche la discrezionalità serve a dare attuazione ai principi fondamentali del nostro ordinamento. Ciò significa che è necessario continuare a vedere queste due esigenze contrapposte come due facce della stessa medaglia, due caratteri imprescindibili per poter applicare la sanzione penale più equa possibile. La ricerca di un equilibrio fra discrezionalità e legalità è perciò un obiettivo da perseguire costantemente, essendosi maturata nella coscienza dei giuristi la consapevolezza che il sistema delle pene, o meglio l'intero diritto penale, è una continua ricerca della soluzione migliore possibile, in un determinato momento storico.

Dunque, ancora una volta saranno le finalità della pena a guidare la discrezionalità del giudice: i fini risocializzanti infatti non potranno mai superare il limite dell'afflittività, limite che è stabilito con la commisurazione in sentenza di una pena determinata. (20) Né, viceversa, si dovrà mai permettere che la pena si risolva in una mera strumentalizzazione del colpevole, attraverso l'esemplarità della risposta punitiva, prescindendo dalle esigenze del singolo in favore delle esigenze della collettività. (21)

In questo modo, si può passare da una discrezionalità libera a una discrezionalità vincolata, necessaria per il rispetto del principio di legalità in materia penale. Per un verso, dunque, il principio finalistico della rieducazione della pena non può condurre a superare «la durata dell'afflittività insita nella pena detentiva determinata nella sentenza di condanna». (22) Per altro verso, gli obiettivi di prevenzione generale e di difesa sociale non possono spingersi fino al punto di «autorizzare il pregiudizio della finalità rieducativa espressamente consacrata dalla Costituzione nel contesto dell'istituto della pena». (23) D'altronde, ritenendo ormai pienamente valida la tesi della polifunzionalità della pena, ci si domanda quale sia la gerarchia tra le funzioni delle sanzioni. A questo proposito, è necessario sottolineare che non è possibile stabilire a priori quale sia la finalità prevalente, ma il punto di equilibrio tra le esigenze risocializzanti e le istanze di difesa sociale dovrà essere trovato, di volta in volta, a seconda della fase in cui ci si trova (previsione edittale, commisurazione, esecuzione della pena) e dell'istituto preso in esame. (24)

Di conseguenza, il punto di equilibrio tra discrezionalità e legalità in materia di sanzioni si avrà allora ogni qualvolta la sanzione penale applicata in concreto sia in grado di esprimere al contempo l'effettività e la certezza di una risposta sanzionatoria, ma anche le esigenze personali di recupero sociale dell'individuo.

2- Il principio della "personnalisation de la peine" in Francia: una discrezionalità giudiziale "accettata"

Studiando il sistema sanzionatorio francese, ci si può facilmente stupire di quanto appaiano ampi i poteri discrezionali affidati al giudice. Nel Paese che per primo in Europa ha fatto del principio di legalità un pilastro del suo ordinamento giuridico, e principalmente per combattere lo strapotere dei giudici dell'Ancien Régime, si rimane meravigliati di quanta fiducia viene invece attualmente riposta nelle persone dei magistrati. Il giudice, inizialmente considerato bouche de la loi, si è guadagnato col tempo sempre più ampi spazi di discrezionalità in materia di sanzioni. Già nel codice penale napoleonico, del 1810, viene concesso al giudice un potere d'individualizzare le sanzioni, anche se viene considerata una mera facoltà. Con l'entrata in vigore, poi, del nuovo codice penale, viene finalmente consacrato a principio fondamentale dell'ordinamento. (25)

È sufficiente dare un occhio al vastissimo numero di sanzioni per capire di cosa si sta parlando. Il giudice, nel caso in cui debba irrogare una pena correzionale, quindi a fronte della commissione di un delitto, ha a sua disposizione oltre alle pene tradizionali, un elenco di pene effettivamente alternative alla detenzione e che possono essere irrogate come sanzioni principali, come ad esempio il jour-amende, la sospensione della patente di guida, oltre alle pene accessorie e complementari che possono sostituire la pena detentiva. Se ciò non bastasse ha poi la possibilità di emanare le peines aménagées, con le quali può modificare le modalità di esecuzione di una pena detentiva. (26) È come se il legislatore individuasse soltanto le tipologie sanzionatorie, mentre il compito di strutturare in concreto il sistema delle pene viene rimesso all'incredibile potere discrezionale del giudice. (27)

Con l'entrata in vigore del nuovo codice penale, il primo marzo del 1994, i poteri discrezionali del giudice in materia di sanzioni sono stati ulteriormente implementati. Il nuovo codice ha infatti eliminato i limiti minimi edittali, tranne che in materia criminale, e, di conseguenza, le circostanze attenuanti. Questa decisione è stata adottata per permettere una maggiore flessibilità nella scelta della sanzione. Il codice detta pertanto solo il limite massimo di pena che può essere inflitta ad un colpevole, entro questa soglia spetta al giudice determinare la pena da irrogare sulla base delle considerazioni in ordine alla personalità dell'individuo e alle circostanze del fatto. Non essendoci un minimo edittale, non sono più necessarie neanche le circostanze attenuanti. Queste saranno autonomamente valutate dal giudice. Il limite edittale massimo è il limite che rispecchia il massimo disvalore che può essere attribuito ad un comportamento criminoso, è la colpevolezza che costituisce il limite invalicabile entro il quale devono attenersi le istanze preventive. E la colpevolezza si esprime non solo nella personalità della responsabilità penale, imponendo sia il divieto di configurare una responsabilità per fatto altrui che il divieto di configurare una responsabilità oggettiva, ma anche nelle esigenze d'individualizzazione che sono sollecitate dalla funzione rieducativa della pena. (28) Se la colpevolezza è il massimo che si può rimproverare all'autore di un fatto di reato, le circostanze attinenti sia alla gravità del fatto che alla personalità del suo autore, non possono che portare verso il basso la quantità di pena da infliggere.

La discrezionalità giudiziale nella scelta della sanzione è diventata un principio, codificato all'articolo 132-24 del code pénal. Questa norma afferma che il giudice, all'interno dei limiti fissati dalla legge, pronuncia una pena e ne fissa il regime in considerazione delle circostanze dell'infrazione e della personalità del colpevole. Quindi, è compito del giudice adeguare la sanzione alle esigenze della personalità del condannato. A prima vista, il primo comma dell'articolo in esame non sembra discostarsi molto dall'articolo 133 del codice penale, potendo facilmente accostare i criteri della gravità del reato e della capacità a delinquere ai criteri delle circostanze dell'infrazione e della personalità del colpevole. Quindi, si tratta semplicemente di quei criteri di commisurazione della pena che devono servire a guidare la discrezionalità giudiziale nella scelta della sanzione. Tuttavia, l'art. 132-24 inaugura una sezione del codice penale francese interamente dedicata ai modi di personalizzazione della pena. (29) Va preliminarmente detto che il termine "personnalisation" è stato preferito al termine "individualizzazione" in ragione dell'introduzione della responsabilità penale delle persone giuridiche, (30) dato che i modi di personalizzazione della pena incidono anche sulle sanzioni che colpiscono gli enti giuridici e il termine individualizzazione si riferisce soltanto alle persone fisiche. I modi di personalizzazione della pena elencati dal codice penale sono: la semilibertà, il placement à l'extérieur, la sorveglianza elettronica, il fractionnement della pena, e altre misure sospensive come la sospensione condizionale semplice, con messa alla prova oppure accompagnata dal lavoro d'interesse generale, il rinvio della pena e l'aggiornamento. A mio avviso, ciò significa che il principio di personalizzazione delle pene non è concepito soltanto come criterio per individuare la pena all'interno di una cornice edittale, ma si estende a impegnare il giudice nel valutare anche le modalità, più o meno gravose, di esecuzione della pena detentiva, o l'opportunità stessa di eseguirla oppure sospenderla. Sono le esigenze della personalità del condannato che devono essere tenute in considerazione nella scelta della sanzione più equa possibile.

La legge n. 2005-1549 del 12 dicembre 2005 relativa al trattamento della recidiva nelle sanzioni penali, ha voluto restringere un po' i poteri del magistrato, introducendo tra le altre cose un secondo comma alla norma in esame che impone di considerare nella commisurazione delle pene non solo le possibilità di reinserimento dell'individuo ma anche la possibilità di prevenire la reiterazione del reato. Per i soggetti in stato di recidiva sono previste delle soglie minime di pena detentiva, che possono non essere applicate solo attraverso una speciale motivazione. (31) La disposizione è ancora più restrittiva se si considera che in generale il giudice francese non ha alcun obbligo di motivare la scelta della sanzione. (32)

L'ultimo comma è stato invece introdotto dalla recente legge penitenziaria. La norma afferma che la pena dell'emprisonnement, quindi soltanto in materia correzionale, non accompagnata dalla sospensione condizionale, non può essere pronunciata che come ultimo ricorso, se la gravità della violazione e la personalità del suo autore la rendano necessaria e se tutte le altre sanzioni appaiano inadeguate. Si codifica pertanto il principio della pena detentiva come extrema ratio, in materia correzionale per giunta, quindi quando siamo in presenza di reati di media gravità (d'altronde, per le contravvenzioni non è prevista la pena detentiva). Si stabilisce che non solo la pena detentiva, ma addirittura la pena detentiva comunque non sospesa, facendo intendere che generalmente andrà sospesa, non può essere inflitta se non quando è strettamente indispensabile e se le altre sanzioni non sono adeguate alla gravità del reato e alla personalità del reo.

Si stabilisce inoltre che nei casi in cui è necessario infliggere la pena detentiva, salvo che il soggetto non sia in stato di recidiva, la sanzione dovrà essere oggetto di una misura d'aménagement, se la personalità e la situazione del condannato lo consentano, e salvo i casi d'impossibilità materiale. Quindi, anche se il giudice non può evitare di pronunciare la pena detentiva correzionale, questa dovrà, si sottolinea il verbo dovere, essere comunque attenuata, inflitta con le modalità di esecuzione più favorevoli, che sono la semilibertà, il placement à l'extérieur, la sorveglianza elettronica, e il fractionnement della pena. Anche se la pronuncia di una sanzione d'emprisonnement ferme, una pena cioè non modulata e non sospesa, appare adeguata e necessaria in ragione della gravità del reato e della personalità del suo autore, non significa che il condannato debba essere incarcerato. (33) Il giudice deve verificare se sussistono le condizioni per irrogare una peine aménagé, non solo legali, come i limiti di pena, ma anche per motivi pratici, che riguardano la situazione in generale del condannato, ad esempio se non ha un domicilio o un lavoro, e le disponibilità materiali, come la mancanza dei dispositivi elettronici di controllo. Al giudice è pertanto concesso un esteso potere di modulare la pena. (34)

Riepilogando, si afferma che la pena detentiva deve essere l'ultima sanzione presa in considerazione da parte del giudice, quando non è proprio possibile irrogarne nessun'altra. Ma questo non è sufficiente, si rafforza la clausola di extrema ratio, affermando che anche quando la pena detentiva è inevitabile, bisogna sempre cercare di attenuarla attraverso le misure d'aménagement. Perlomeno per i delinquenti occasionali, la pena detentiva breve deve considerarsi eccezionale. (35)

Il principio della pena detentiva come ultimo ricorso è poi reso effettivo attraverso l'obbligo per il giudice di offrire una motivazione speciale nel caso in cui decida d'irrogare la pena dell'emprisonnement. Il giudice ha dunque l'obbligo di spiegare perché tutte le altre sanzioni appaiano non adeguate.

Sembra che a frenare l'ampia discrezionalità del giudice francese intervenga proprio il principio di extrema ratio della pena detentiva. La vasta gamma di sanzioni, l'assenza di limiti minimi edittali e soprattutto il potere/dovere d'individualizzare la pena per adeguarla alle esigenze della personalità di un condannato concedono sicuramente al giudice un enorme potere discrezionale in materia di comminazione e irrogazione delle sanzioni, ma questo potere deve essere esercitato nel rispetto del criterio secondo il quale la pena detentiva deve essere l'ultimo strumento sanzionatorio previsto dall'ordinamento. È dunque proprio la clausola di extrema ratio a individuare l'unico limite alla discrezionalità in materia di sanzioni.

3- L'esecuzione presso il domicilio: ipotesi obbligatoria? La "grace électronique"

Al momento della sua introduzione, ci si è domandati se l'ipotesi di detenzione domiciliare introdotta ai sensi della legge n. 199 del 2010 andasse considerata una misura da applicare obbligatoriamente, in caso di soddisfacimento delle condizioni d'ammissibilità, oppure la sua applicazione fosse comunque riservata alla discrezionalità del giudice. In fondo, la facoltatività delle misure alternative è una loro intrinseca caratteristica: non essendo pene principali, essendo previste allo scopo di realizzare il principio di rieducazione, la valutazione sulla loro ammissibilità non può che rientrare nella discrezionalità della magistratura di sorveglianza, anche quando sembra che abbiano soltanto scopi deflativi. I dubbi sull'obbligatorietà o meno della misura dell'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a 18 mesi sono nati, innanzitutto, per il tenore letterale, il modo in cui si esprimeva la legge. La norma, infatti, stabilisce che la misura in esame "è eseguita" presso il domicilio. L'utilizzo del presente indicativo ha destato immediatamente sospetti, che poi sono sembrati avvalorati da ulteriori fattori. (36) Il fatto che la competenza sia del magistrato di sorveglianza, che inizialmente sembrava potesse agire d'ufficio, può far pensare che si sia in presenza di una misura alternativa sui generis, più simile alle misure premiali come ad esempio la liberazione anticipata, e che non necessiti delle superiori garanzie della collegialità. Il procedimento per la sua applicazione è caratterizzato da un contraddittorio differito, pertanto il magistrato di sorveglianza adotta il provvedimento in camera di consiglio, solo se le parti propongono reclamo si adotta il procedimento contraddittorio di fronte al Tribunale di sorveglianza. Infine, proprio la ratio unicamente deflativa e non risocializzante, poteva far pensare ad una misura automatica, obbligatoria. (37)

In verità, nonostante questi molteplici fattori a favore della tesi dell'obbligatorietà dell'esecuzione presso il domicilio delle pene fino 18 mesi, quest'impostazione non si può accettare per un semplice motivo: siamo di fronte ad una misura alternativa alla detenzione. Se gli automatismi non si possono accettare quando si tratta di preclusioni all'accesso dei benefici penitenziari, non si può accogliere neanche l'introduzione di un'ipotesi obbligatoria di detenzione domiciliare per le stesse ragioni. Proprio l'appartenenza alla "famiglia" delle detenzioni domiciliari impone di considerarla una misura alternativa, e in quanto tale, una misura che tende alla rieducazione del condannato, quanto meno perché non lo sottopone al regime carcerario. (38) Il campo dei benefici penitenziari, e in particolar modo delle misure alternative, è il regno del principio di rieducazione delle pene. Dire che le misure alternative devono tendere alla rieducazione del condannato, significa imporre al giudice, dopo aver accertato la sussistenza delle condizioni di legittimità per il loro accesso, di valutare che il condannato abbia raggiunto un certo grado del percorso rieducativo conforme al beneficio richiesto. In questo modo soltanto si garantisce il rispetto del principio d'individualizzazione delle pene e della progressività trattamentale, principi che non possono che ammettere un certo potere discrezionale da parte del giudice. (39) Se dunque l'esecuzione presso il domicilio si considera una misura facoltativa, si può allora affermare che non siamo di fronte ad "un indulto mascherato", che invece si caratterizza per la sua applicazione automatica. (40) D'altronde, adottare una soluzione differente avrebbe sicuramente comportato una dichiarazione d'illegittimità costituzionale, per motivi analoghi rispetto a quelli espressi in riferimento alla sospensione condizionale della pena. Così come le presunzioni di pericolosità sono incostituzionali, prevedere l'applicazione generalizzata di un beneficio penitenziario contrasta con il principio di eguaglianza, poiché finisce per omologare situazioni fra loro differenti, e con "la stessa funzione rieducativa della pena, posto che il riconoscimento di un beneficio penitenziario che non risulti correlato alla positiva evoluzione del trattamento, compromette inevitabilmente l'essenza stessa della progressività, che costituisce il tratto saliente dell'iter riabilitativo". (41) La Consulta ha affermato, dunque, che la sospensione condizionale configurata in termini automatici dalla legge 1º agosto 2003, n. 207, è incostituzionale laddove non permette al giudice della sorveglianza di negare la sua applicazione quando il beneficio non appaia adeguato alla finalità prevista dall'articolo 27, comma tre, della Costituzione. Impedire al giudice di valutare discrezionalmente l'opportunità di concedere o meno l'esecuzione presso il domicilio delle pene fino a 18 mesi, la sottoporrebbe alle stesse censure promosse dalla Corte costituzionale in riferimento alla legge n. 207 del 2003. (42)

Tuttavia, non si può negare che il legislatore nella legge 199/2010 abbia configurato una specie di "presunzione di concedibilità", che limita fortemente la discrezionalità giudiziale, anche interpretandola in maniera costituzionalmente orientata. La natura "semi-vincolata" della detenzione ex l. n. 199 del 2010 impone allora al magistrato di sorveglianza un onere di motivazione rafforzato, allorquando ritenga non applicabile la misura, nonostante siano soddisfatte le esigenze di prevenzione del pericolo di fuga o di reiterazione del reato. (43)

Anche in Francia esiste una peine amenagée che può sembrare obbligatoria. Si tratta dell'assegnazione alla surveillance électronique de fin de peine, (44) introdotta dalla legge penitenziaria n. 2009-1436. È dunque una variante del "braccialetto elettronico" che si applica quando manca veramente poco all'avvenuta espiazione della pena detentiva. Si può applicare, infatti, negli ultimi 4 mesi dell'emprisonnement oppure sui due terzi di una pena residua di 6 mesi, nel caso in cui non sia stato concesso nessun'altro aménagement della pena. È quindi una misura residuale, sussidiaria rispetto alle altre modalità di esecuzione della pena detentiva; però, può essere applicata anche alle persone recidive. (45) La formula ci è sicuramente familiare. Per essere concessa, inoltre, è necessario che la pena detentiva inflitta non sia superiore ai 5 anni.

La particolarità è che si tratta di una misura che viene adottata con una procedura semplificata e a carattere marcatamente amministrativo. L'iniziativa è assegnata al direttore dei servizi penitenziari d'inserimento e probation, il D-SPIP, sotto il controllo del procuratore della Repubblica, mentre il ruolo del giudice dell'applicazione delle pene rimane sussidiario. Tutto ciò si collega all'obiettivo di accelerare la procedura di concessione della misura e di creare una sorta di "contenzioso di massa". (46) Il direttore dei servizi sociali formula materialmente la proposta di adottare il provvedimento e la indirizza al procuratore della Repubblica, il quale non ha neanche un obbligo di motivazione, e decide se concedere o meno il SEFIP, la sorveglianza di fine pena. Solo in caso di rifiuto, il ricorso è presentato al giudice dell'applicazione delle pene.

La natura amministrativa del procedimento è confermata dall'assenza di contraddittorio. (47) In ogni caso, deve esserci il consenso dell'interessato.

La ratio di questa misura è semplicemente di anticipare l'uscita dal carcere e permettere un ritorno progressivo alla libertà. Si accompagna il condannato alla vita libera, per evitare les sorties sèches, il passaggio brusco dal carcere alla libertà che può essere troppo traumatico e anche controproducente in termini di recidiva. (48) È proprio il codice di procedura penale, all'articolo 707, a ricordare che l'individualizzazione delle pene deve permettere, dove possibile, il ritorno progressivo alla libertà, che si accompagni ad una qualche forma di "controllo giudiziario". Questo controllo si realizza attraverso l'imposizione di ulteriori obblighi a chi è sottoposto ad una misura d'aménagement, per evitare degli "scivoloni" da parte del condannato e per tenere in considerazione gli interessi della vittima. (49)

Ma la surveillance de fin de peine ha anche altre due funzioni: cercare di ridurre il sovraffollamento nelle carceri e diminuire il costo dell'esecuzione delle pene privative della libertà, (50) due obiettivi tra loro collegati e sempre più influenti sulla legislazione penitenziaria.

La natura residuale e l'assenza di prescrizioni positive, in particolare della necessità di svolgere un'attività professionale istruttiva oppure di ragioni familiari o sanitarie che sono previste per tutte le modalità di attuazione della pena detentiva, proprio perché non c'è neanche il tempo di metterle in pratica, confermano il carattere automatico, obbligatorio di questa misura. (51) Ed è per questo che viene comunemente definita "grace électronique", per sottolineare il carattere di beneficio indiscriminato, e perché ha preso il posto della "grazia collettiva", istituto che è stato soppresso. (52)

Va comunque detto che l'automaticità di questa forma di sorveglianza elettronica è stemperata dalla presenza di alcuni fattori che ostano alla concessione della misura. In particolare, la grace électronique non deve essere applicata quando sussiste il rischio di commissione di ulteriori reati, se la misura appare incompatibile con la personalità del beneficiario, se il condannato la rifiuta e per impossibilità materiale, come ad esempio per la mancanza di un domicilio. Questi presupposti, più che esclusioni, appaiono delle vere e proprie valutazioni di merito. Specialmente quando si richiede al procuratore della Repubblica di prendere in considerazione il rischio di recidiva e l'incompatibilità tra la misura e il soggetto, siamo di fronte a valutazioni discrezionali che inficiano la natura obbligatoria del beneficio.

Forse, allora ancora una volta è eccessivo parlare di misura obbligatoria. Tuttavia, si deve registrare questa tendenza, non solo del legislatore italiano, a introdurre misure che hanno il solo compito di ridurre la popolazione carceraria e che per farlo, sono rese quasi automatiche. Si cerca di risolvere il problema del sovraffollamento con lo stesso strumento che ne è la causa: l'automatismo. Si è già detto che le presunzioni automatiche, il "doppio binario" per i soggetti che hanno commesso uno dei delitti indicati nell'articolo 4-bis O.P. oppure per i recidivi, non sono certo l'unica ragione del fenomeno del sovraffollamento delle carceri, ma sicuramente costituiscono una delle cause principali. Cercare uno strumento deflativo nelle concessioni automatiche di benefici è però altrettanto sbagliato. Un eccessivo potere discrezionale giudiziale rende ineffettivo il sistema delle pene, ma gli automatismi nelle misure alternative non possono che accentuare questo pericolo, alimentando le disparità di trattamento e le impunità. Inoltre, le forme di liberazione anticipata dal carcere, basate sui progressi compiuti dal detenuto, danno risultati migliori, in termini di reiterazione dei reati, rispetto alle anticipazioni automatiche del fine pena. (53)

Note

1. Abbagnano Trione A., I confini mobili della discrezionalità, Napoli, 2008, p. 63.

2. Zannotti R., Le misure alternative alla detenzione (in particolare l'affidamento in prova al servizio sociale) e la crisi del sistema sanzionatorio, (Intervento effettuato al Convegno "Certezza della pena per la certezza del diritto", organizzato dal Centro Studi Valdarno Cultura, Empoli, 30-31 ottobre 1999), in L'Indice penale, 2000, p. 723.

3. Dolcini E., Potere discrezionale del giudice (dir.proc.pen), in Enciclopedia del diritto, Milano, 1985, p. 745.

4. Corte cost., 2-14 aprile 1980, n. 50, in Corte costituzionale della Repubblica Italiana.

5. Corte cost., 15-24 giugno 1992, n. 299, in Corte costituzionale della Repubblica Italiana.

6. Di Gennaro G., Breda R., La Greca G., Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione: commento alla Legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni, con riferimento al regolamento di esecuzione e alla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, op. cit., p. 6.

7. Giunta F., L'effettività della pena nell'epoca del dissolvimento del sistema sanzionatorio, in Riv.it.dir.proc.pen., 1998, p. 416.

8. Bricola F., La discrezionalità nel diritto penale, Milano, 1965, p. VIII.

9. Della Casa F., Misure alternative al carcere ed effettività della pena tra realtà e prospettive, in La giustizia penale, 2001, p. 65 s.

10. D'Onofrio M., Sartori M., Le misure alternative alla detenzione, op. cit., p. 8.

11. Della Casa F., Misure alternative al carcere ed effettività della pena tra realtà e prospettive, op. cit., p. 68 s.

12. Neppi Modona G., Il sistema sanzionatorio: considerazioni in margine ad un recente schema di riforma, in Riv.it.dir.proc.pen., 1995, p. 326.

13. Bricola F., Le misure alternative alla pena nel quadro di una "nuova" politica criminale, (Relazione all'XI convegno Enrico De Nicola su "pene e misure alternative nell'attuale momento storico", Lecce, 3-5 dicembre 1976), in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1977, pag. 13 ss.

14. Zannotti R., Le misure alternative alla detenzione (in particolare l'affidamento in prova al servizio sociale) e la crisi del sistema sanzionatorio, op. cit., p. 707 ss.

15. Neppi Modona G., Il sistema sanzionatorio: considerazioni in margine ad un recente schema di riforma, op. cit., p. 324 ss.

16. Della Casa F., Misure alternative al carcere ed effettività della pena tra realtà e prospettive, op. cit., p. 67.

17. Neppi Modona G., Il sistema sanzionatorio: considerazioni in margine ad un recente schema di riforma, op. cit., p. 323.

18. Giunta F., L'effettività della pena nell'epoca del dissolvimento del sistema sanzionatorio, op. cit., p. 414.

19. Abbagnano Trione A., I confini mobili della discrezionalità, op. cit., p. 32.

20. Renoldi C., Note sulla flessibilità della pena e sui limiti alla discrezionalità legislativa in materia di benefici penitenziari, (Nota a C. Cost. 8 ottobre 2010, n. 291), in Giurisprudenza costituzionale, 2010, p. 3782.

21. Giunta F., L'effettività della pena nell'epoca del dissolvimento del sistema sanzionatorio, op. cit., p. 435.

22. Corte cost., 17-25 maggio 1989, n. 282, in Corte costituzionale della Repubblica Italiana.

23. Corte cost., 26 giugno- 2 luglio 1990, n. 313, in Corte costituzionale della Repubblica Italiana.

24. Corte cost., 17-25 maggio 1989, n. 282, in Corte costituzionale della Repubblica Italiana.

25. Leblois-Happe J., Fasc. 20: Personnalisation des peines. - Généralités. Semi-liberté. Placement à l'extérieur, op. cit.

26. Travaglia Cicirello T., La pena alternativa e le sue poliedriche alternative:Un'analisi del sistema sanzionatorio e francese, op. cit., p. 257.

27. Dolcini E., Paliero C.E., Il carcere ha alternative? Le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell'esperienza europea, op. cit., p. 48 ss.

28. Tumminello L., Il volto del reo: l'individualizzazione della pena fra legalità ed equità, Milano, 2010, p. 62 ss.

29. Code pénal, Partie législative, Livre 1er "Dispositions générales", Titre III "Des peines", Chapitre II "Du régime des peines", Section 2 "Des modes de personnalisation des peines".

30. Leblois-Happe J., Fasc. 20: Personnalisation des peines. - Généralités. Semi-liberté. Placement à l'extérieur, op. cit.

31. Artt. 132-18-1 e ss. Code pénal.

32. Bouloc B., Droit pénal général, op. cit., p. 526.

33. Leblois-Happe Jocelyne, Fasc. 20: Personnalisation des peines. - Généralités. Semi-liberté. Placement à l'extérieur, op. cit.

34. Leblois-Happe Jocelyne, Fasc. 20: Personnalisation des peines. - Généralités. Semi-liberté. Placement à l'extérieur, op. cit.

35. Leblois-Happe J., Fasc. 20: Personnalisation des peines. - Généralités. Semi-liberté. Placement à l'extérieur, op. cit.

36. Degl'Innocenti L., Faldi F., Le nuove disposizioni in materia di detenzione presso il domicilio, op. cit., p. 2817.

37. Fiorentin F., Legge svuotacarceri: esecuzione domiciliare se la condanna è di durata inferiore a un anno, op. cit., p. 56 s.

38. Corte cost., 16-24 maggio 1996, n. 165, in Corte costituzionale della Repubblica Italiana.

39. Fiorentin F., Legge svuotacarceri: esecuzione domiciliare se la condanna è di durata inferiore a un anno, op. cit., p. 58.

40. Turchettti D., Legge svuotacarceri e esecuzione della pena presso il domicilio: ancora una variazione sul tema della detenzione domiciliare?, op. cit., p. 11.

41. Corte cost., 21 giugno- 4 luglio 2006, n. 255, in Corte costituzionale della Repubblica Italiana.

42. Degl'Innocenti L., Faldi F., Le nuove disposizioni in materia di detenzione presso il domicilio, op. cit., p. 2818.

43. Fiorentin F., Legge svuotacarceri: esecuzione domiciliare se la condanna è di durata inferiore a un anno, op. cit., p. 58 s.

44. Art. 723-28 code de procédure pénale.

45. Senna E., La surveillance électronique de fin de peine - Dossier : Le nouveau droit de l'exécution des peines, in Actualité Juridique Pénal - AJP 2011, p. 170.

46. Senna E., La surveillance électronique de fin de peine - Dossier : Le nouveau droit de l'exécution des peines, op. cit., p. 169.

47. Senna E., La surveillance électronique de fin de peine - Dossier : Le nouveau droit de l'exécution des peines, op. cit., p. 169.

48. Senna E., Le lieu d'écrou doit-il déterminer l'accessibilité à la semi-liberté?, in Recueil Dalloz, 2006, p. 901.

49. Giacopelli M., La promotion du milieu ouvert par l'aménagement des peines, op. cit., p. 93.

50. Poncela Pierrette, La surveillance électronique de fin de peine, In Revue de science criminelle, 2011, p. 685.

51. Poncela Pierrette, La surveillance électronique de fin de peine, op. cit., p. 683.

52. Poncela Pierrette, La surveillance électronique de fin de peine, op. cit., p. 685.

53. Herzog-Evans M., Droit de l'exécution des peines, op. cit., p. 107.