ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo VI
Il recepimento della direttiva rimpatri in Italia

Carlotta Happacher, 2012

La pronuncia della Corte di Giustizia europea, con la sentenza 'El Dridi', dichiarando l'illegittimità comunitaria dei delitti di cui ai commi 5-ter e 5-quater dell'articolo 14 T.U. Immigrazione, ha sostanzialmente messo a rischio di paralisi il sistema espulsivo italiano. Di conseguenza il Governo è stato costretto obtorto collo (1), rivedendo il proprio precedente orientamento secondo cui la normativa italiana non necessitava di alcun tipo di adeguamento alla direttiva europea sui rimpatri, ad intervenire per conformare la disciplina italiana agli obblighi imposti dalla norma europea. Lo ha fatto mediante il ricorso alla decretazione d'urgenza (2), ravvisando i presupposti della straordinaria necessità ed urgenza, richiesti dall'articolo 77 della Costituzione, nell'esigenza di scongiurare l'avvio di procedure di infrazione da parte dell'Unione europea nei confronti dello Stato italiano per il mancato adeguamento alla 'direttiva rimpatri'. Come è stato giustamente sottolineato (3), la necessità e l'urgenza sono condizioni che il Governo stesso ha creato, essendo del tutto prevedibile l'effetto che avrebbe avuto una sentenza della Corte di Giustizia nei confronti del mancato adeguamento dell'ordinamento italiano entro il termine assegnato dalla direttiva stessa. Vi è stato anche chi ha avanzato il dubbio che arrivare ad utilizzare lo strumento della decretazione d'urgenza fosse in realtà un "obiettivo politico da raggiungere" in modo da poter raccogliere "quei dividendi politici e normativi che in tale clima meglio si prestano ad essere incassati", evitando, invece, un adeguamento meditato che avrebbe consentito di dare miglior attuazione agli obblighi derivanti dal processo di integrazione europea (4).

Come si vedrà, il legislatore italiano è intervenuto modificando alcune parti della legislazione in vigore, lasciandone però intatto l'impianto complessivo, con il risultato di un adeguamento alla normativa europea incompleto e, sotto alcuni profili, del tutto carente. Infatti, è di immediata evidenza la reticenza del legislatore italiano ad adeguarsi al sistema delineato dalla direttiva che privilegia la partenza volontaria in luogo dell'esecuzione coattiva del rimpatrio. Nel T.U. Immigrazione anche dopo le modifiche, quest'ultima rimane la regola, relegando la partenza volontaria ad ipotesi nei fatti del tutto eccezionali. Basti notare che ogni disposizione mantiene la propria collocazione topografica, così, prima è disciplinata l'esecuzione del rimpatrio con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, e solo dopo il 'diritto' alla concessione del termine per la partenza volontaria; prima il trattenimento e poi le misure che possono sostituirlo (5). Il risultato è un testo di difficile comprensione e interpretazione, soprattutto se si vuole cercare di darne una lettura comunitariamente orientata.

Il legislatore italiano non rinuncia nemmeno all'utilizzo dello strumento penale nell'ambito delle procedure di rimpatrio, predisponendo una serie di nuovi reati, tutti sanzionati con la sola pena della multa ed affidate alle competenza del Giudice di pace. Il sospetto è che la finalità realmente perseguita perseverando nell'utilizzo del diritto penale, anche in considerazione delle scarsissime (per non dire nulle) probabilità che lo straniero irregolare abbia le risorse sufficienti a pagare la sanzione disposta nei suoi confronti, sia, ancora una volta, quella di tentare di eludere l'applicazione della direttiva.

1. Il nuovo sistema di espulsione dello straniero dopo la legge 129/2011

Una delle (poche) novità accolte positivamente è stata l'introduzione di due norme di favore nei confronti degli stranieri che si allontanino spontaneamente dal territorio nazionale. Allo scopo di incentivare il rimpatrio volontario degli stranieri irregolari, in primo luogo è stato modificato il comma 2 dell'articolo 10-bis (6), escludendo la punibilità per il reato di irregolare permanenza sul territorio nazionale nel caso in cui lo straniero irregolare sia identificato durante i controlli di polizia in uscita dal territorio nazionale. In secondo luogo, il nuovo comma 2-ter dell'articolo 13 prevede che non sia disposta e, qualora il provvedimento sia già stato adottato non eseguita l'espulsione "nei confronti dello straniero identificato in uscita dal territorio nazionale durante i controlli alle frontiere esterne". Anche se valutata favorevolmente, nei confronti di quest'ultima previsione sono state mosse due critiche (7). In primo luogo si è criticata la ragionevolezza di limitarsi a non dare esecuzione al decreto di espulsione, invece di provvedere alla revoca in via di autotutela, in ragione del venir meno dell'interesse pubblico all'espulsione, avendo lo straniero lasciato spontaneamente il territorio nazionale. In secondo luogo, è previsto che la norma in esame operi solo nei confronti dello straniero che sia fermato all'atto di varcare le frontiere esterne. Presumibilmente una tale definizione è ripresa dal Regolamento CE n. 562/2006 (codice frontiere di Schengen), dove per 'frontiera esterna' si intende quella tra uno Stato membro e un Paese terzo. Di conseguenza la norma escluderebbe quanti siano fermati all'uscita dal territorio italiano diretti verso un altro Stato membro, quindi fermati all'atto di attraversare una frontiera interna (all'Unione Europea), dal quale fare ritorno al Paese d'origine.

Il decreto - legge 23 giugno 2011, n. 89 convertito con modificazioni in legge 2 agosto 2011, n. 129, ha modificato il secondo comma dell'articolo 13, che individua i casi di espulsione prefettizia, inserendo l'inciso "caso per caso", formula, più volte ripetuta dalla nuova disciplina, che riprende il testo del considerando n. 6 della direttiva 2008/115/CE. La norma europea, però, prosegue specificando che nell'adozione della decisione di rimpatrio si debbano prendere in considerazione criteri obiettivi, non limitandosi alla mera irregolarità del soggiorno. Di questa seconda parte non vi è traccia nella nuova formulazione del T.U. Immigrazione, il che importa il rischio che l'inciso "caso per caso", in assenza di qualsiasi specificazione, rimanga privo di concreta attuazione, sia nell'adozione dei decreti espulsivi che nella verifica della loro legittimità (8). Si impone, pertanto, di dare un'interpretazione comunitariamente orientata della disposizione in esame, in modo da obbligare l'amministrazione ad esercitare la potestà espulsiva avendo riguardo della specificità del caso concreto, così come emerge da un'adeguata attività istruttoria che deve precedere ogni atto adottato (9).

1.1 Le ipotesi di accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica

Dal punto di vista sistematico, l'impianto del T.U. Immigrazione rimane invariato, disciplinando come prima modalità esecutiva dell'espulsione l'accompagnamento forzoso, e, soltanto successivamente la possibilità di concedere un termine allo straniero per allontanarsi spontaneamente; con ciò mantenendo un'impostazione esattamente opposta a quella della direttiva rimpatri. Il comma 4 dell'articolo 13 non prevede più che l'espulsione sia sempre eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, ma individua ora una serie di situazioni specifiche in cui l'espulsione deve essere eseguita coattivamente. È, però, sufficiente scorrere la casistica prevista nel nuovo comma 4, per rendersi conto che l'allontanamento forzoso rimane tuttora la modalità esecutiva privilegiata dal legislatore italiano. Da notare, inoltre, che con le modifiche apportate dal decreto - legge 23 giugno 2011, n. 89 convertito con modificazioni in legge 2 agosto 2011, n. 129, sparisce la previsione (di cui al precedente comma 5 dell'articolo 13) di un trattamento differenziato nei confronti dello straniero già titolare di un permesso di soggiorno che non ne abbia chiesto il rinnovo decorsi 60 giorni dalla scadenza, il cui rimpatrio avviene ora con le stesse modalità previste in tutti gli altri casi. Secondo il comma 4 dell'articolo 13, l'espulsione deve essere eseguita dal questore mediante accompagnamento alla frontiera, oltre che nelle ipotesi di espulsioni ministeriali quando: sussiste rischio di fuga; la domanda di soggiorno è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta; lo straniero, senza giustificato motivo non ha rispettato il termine per la partenza volontaria precedentemente concesso; l'interessato abbia violato una delle misure disposte dal questore con la concessione del termine per la partenza volontaria, ovvero in sostituzione del trattenimento; l'espulsione sia stata disposta come misura di sicurezza ovvero come misura sostitutiva o alternativa alla detenzione; infine, nel caso di mancata richiesta del termine per la partenza volontaria ovvero rigetto della stessa. Dei criteri adottati dal legislatore italiano per definire la sussistenza del rischio di fuga si dirà infra cap. VI, § 1.2, si anticipa soltanto che in presenza delle condizioni descritte il rischio di fuga è presunto per legge.

L'esclusione dalla possibilità di richiedere un termine per la partenza volontaria per lo straniero la cui domanda di soggiorno sia stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta, desta perplessità in relazione al fatto che è lo stesso organo che rifiuta la domanda di soggiorno a doverne valutare l'intento fraudolento o la fondatezza ai fini della scelta della modalità esecutiva di rimpatrio da adottare (10).

1.2 Il 'rischio di fuga'

Come aveva già tentato di fare con la Circolare del 17 dicembre 2010 (11), il Governo italiano mira a escludere la concessione del termine per la partenza volontaria principalmente attraverso la valutazione della sussistenza del rischio che lo straniero destinatario del provvedimento espulsivo vi si sottragga dandosi alla fuga. A tal fine, nel recepire l'obbligo imposto all'articolo 3, numero 7 della direttiva 2008/115/CE di dare concreta determinazione ai criteri indicativi della sussistenza di un rischio di fuga, ne predispone un'ampia gamma, ricomprendendovi anche condizioni che possono non dipendere dalla volontà dello straniero. Inoltre, è stato osservato che il legislatore italiano, compie una "lettura in negativo" degli obblighi che secondo la direttiva è possibile imporre allo straniero cui sia stato concesso un termine per la partenza volontaria, al fine di scongiurare il rischio di fuga in pendenza del suddetto termine. In sostanza, la disciplina italiana ribalta la previsione di fondo della direttiva, ossia la preferenza per la partenza volontaria eventualmente corredata dall'imposizione di obblighi e finisce per presumere

il rischio di fuga ogniqualvolta gli obblighi suggeriti dalla direttiva rimpatri non sarebbero di facile e immediata applicazione, giungendo così a confondere gli strumenti idonei a fronteggiare il rischio di fuga con la sua essenza (12).

In base al nuovo comma 4-bis dell'articolo 13, il verificarsi di almeno una delle condizioni ivi previste determina una presunzione assoluta della sussistenza del rischio di fuga, comportando l'obbligo per l'amministrazione di non concedere il termine per la partenza volontaria. Tali condizioni sono: a) l'essere lo straniero privo di passaporto o altro documento equipollente in corso di validità; b) l'impossibilità per l'interessato di fornire idonea documentazione atta a dimostrare la disponibilità di un alloggio presso cui essere agevolmente rintracciato; c) l'aver precedentemente dichiarato o attestato false generalità; d) il non aver ottemperato all'obbligo di allontanarsi nel termine precedentemente concesso, ovvero l'aver fatto illegale rientro nel territorio nazionale dopo essere già stato espulso; e) l'aver violato anche una soltanto delle misure imposte dal questore in pendenza del termine per la partenza volontaria, precedentemente concesso.

In aggiunta alla considerazione che la mancata disponibilità di un passaporto o altro documento equipollente in corso di validità ben potrebbe non dipendere dallo straniero sottoposto a rimpatrio, ma, come spesso accade, dalle Rappresentanze diplomatiche del Paese d'Origine, è stato osservato che la direttiva prende in considerazione l'eventuale difficoltà di identificazione dello straniero non in relazione al pericolo di fuga, bensì ai fini del rinvio dell'allontanamento ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 2, lettera b). Di conseguenza, la lettera a) del comma 4-bis dell'articolo 13 T.U. Immigrazione, andrebbe disapplicata per contrasto con la direttiva europea (13).

L'onere per lo straniero di produrre idonea documentazione per dimostrare la disponibilità di un alloggio presso cui essere facilmente rintracciato si rivela estremamente gravoso, anche in considerazione della previsione dell'articolo 12, comma 5 T.U. Immigrazione, che punisce la cessione a titolo oneroso di un immobile allo straniero irregolare. Certamente rari i casi in cui lo straniero potrebbe presentare copia di un contratto di compravendita o di locazione stipulato quando si trovava in posizione di soggiorno regolare (14), ovvero copia di una dichiarazione di ospitalità o cessione di fabbricato già presentata da parenti conviventi (15). Una simile previsione può essere "potenzialmente criminogena" (16), poiché "colpisce le fasce meno abbienti della popolazione migrante e può indurre la produzione di documentazione 'di comodo' all'uopo predisposta a caro prezzo" (17).

Anche l'ipotesi sub c), cioè la presunzione della sussistenza del rischio di fuga quando lo straniero abbia precedentemente dichiarato o attestato false generalità è criticabile sotto due punti di vista. Il primo temporale, nel senso che non essendo posto alcun limite di tempo, i fatti potrebbero essere stati commessi anche in epoca remota, e dunque non essere certo idonei a definire l'attualità del rischio di fuga. La seconda, e più rilevante, critica sta nella considerazione che la legge non richiede che la dichiarazione o attestazione di falsa identità sia stata accertata con una sentenza di condanna (se non definitiva per lo meno di primo grado) per il reato di cui all'articolo 495 del codice penale (18).

Pare evidente che i termini in cui il legislatore italiano ha voluto delineare il 'rischio di fuga' siano talmente restrittivi da sostanzialmente eliminare quella valutazione del caso concreto che secondo la direttiva dovrebbe orientare le determinazioni dell'amministrazione. L'intento, chiaramente elusivo dell'applicazione della direttiva rimpatri, è reso evidente dal tentativo del legislatore italiano di

sussumere nel perimetro del rischio di fuga la gran parte dei migranti irregolari all'evidente scopo di osteggiare la concessione del termine per la partenza volontaria e continuare ad eseguire coattivamente i provvedimenti ablativi (19).

1.3 Il 'diritto' a richiedere un termine per la partenza volontaria

Nell'ipotesi, evidentemente del tutto residuale, in cui non si verifichi nessuna delle condizioni per l'esecuzione coattiva del provvedimento di espulsione, il nuovo comma 5 dell'articolo 13 stabilisce che lo straniero possa chiedere al Prefetto che gli sia concesso un termine per lasciare volontariamente il territorio nazionale, anche attraverso programmi di rimpatrio assistito di cui all'articolo 14-ter. Il legislatore italiano si avvale così della facoltà attribuita dall'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva rimpatri che ammette che lo Stato possa concedere il termine per l'adempimento spontaneo solo su richiesta dell'interessato. In base al disposto del successivo comma 5.1, la mancata richiesta del termine implica l'esecuzione coattiva dell'espulsione ai sensi del comma 4; la legge di recepimento colma una lacuna lasciata dalla direttiva, la quale nulla disponeva per il caso in cui lo straniero omettesse di chiedere il termine per la partenza volontaria (20). Anche in considerazione dell'equiparazione fatta dal legislatore italiano tra le ipotesi di mancata concessione del termine e quella di omessa richiesta da parte dell'interessato, importanza centrale assume l'obbligo posto in capo alla questura di fornire allo straniero adeguata informazione della facoltà di richiedere un termine, da adempiere, secondo il comma 5.1, mediante schede informative plurilingue. È stata lamentata sia la mancanza di una disposizione regolamentare che individui l'esatto contenuto dell'informazione che deve essere fornita e individui le lingue in cui questa deve essere tradotta; nonché il fatto che spetti alla questura informare l'interessato della facoltà di richiesta concessagli, mentre è di competenza della prefettura disporre l'espulsione e concedere o negare il termine. Il presupposto perché il sistema predisposto per la richiesta del termine svolga la sua funzione di garanzia è dunque il corretto funzionamento del flusso di informazione tra i due uffici, circostanza del tutto sottratta al controllo dell'interessato e certamente di non facile confutazione in sede di eventuale ricorso (21).

Qualora il Prefetto, valutato il singolo caso, decida di accogliere la richiesta dello straniero, intima all'interessato, con lo stesso provvedimento con cui dispone l'espulsione, di lasciare il territorio nazionale in un termine compreso tra i 7 e 30 giorni. Sulla possibilità di proroga, il terzo periodo del comma 5 dell'articolo 13 T.U. Immigrazione (22), richiama esattamente il disposto del paragrafo 2 dell'articolo 7 della direttiva (23), aggiungendo tra le circostanze che il Prefetto deve prendere in considerazione ai fini della concessione della proroga l'eventuale ammissione a programmi di rimpatrio assistito. Manca però qualsiasi indicazione delle modalità con cui lo straniero può presentare richiesta di proroga, nonché quali siano i rimedi attivabili nel caso di rigetto. Ci si chiede se, in mancanza di devoluzione espressa al Giudice di Pace, la mancata concessione della proroga debba essere considerata lesione di un diritto soggettivo, con conseguente competenza del giudice ordinario per l'impugnazione del rigetto, ovvero, come sembra più probabile, lesione di un interesse legittimo, "dovendosi comunque escludere che le situazioni che legittimano il Prefetto a dilazionare il termine integrino mere aspettative prive di tutela giurisdizionale" (24).

Qualora il Prefetto conceda allo straniero un termine per la partenza volontaria, secondo il comma 5.2, il questore chiede all'interessato di "dimostrare la disponibilità di risorse economiche sufficienti derivanti da fonti lecite, per un importo proporzionato al termine concesso, compreso tra una e tre mensilità dell'assegno sociale annuo". Oltre a criticare l'elevatezza dell'importo richiesto dalla legge, evidenziando come possa risultare estremamente oneroso per uno straniero in posizione irregolare, si sottolinea in primo luogo che non si capisce come possa pretendersi la prova della derivazione da fonti lecite di una mera disponibilità monetaria. In secondo luogo, si è notato che mentre la direttiva prevede soltanto che allo straniero possa essere chiesto di costituire una garanzia finanziaria adeguata in pendenza del termine per la partenza volontaria, il legislatore italiano sembra voler trasformare il requisito economico in un presupposto (25) per la concessione del termine stesso, così eludendo l'effetto utile della direttiva (26).

Il questore, oltre a chiedere allo straniero la predetta disponibilità di risorse economiche

dispone, altresì, una o più delle seguenti misure: a) consegna del passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, da restituire al momento della partenza; b) obbligo di dimora in un luogo preventivamente individuato, dove possa essere agevolmente rintracciato; c) obbligo di presentazione, in giorni e orari stabiliti, presso un ufficio della forza pubblica territorialmente competente (27).

Si deve innanzitutto notare che nel sistema della direttiva le misure che possono accompagnare la concessione del termine per la partenza volontaria sono atte a scongiurare il rischio di fuga durante il periodo assegnato. Invece, nel sistema italiano, si prevede un esame rigoroso in ordine alla sussistenza del rischio di fuga al fine non di predisporre misure idonee a scongiurarlo in pendenza del termine per il rimpatrio volontario, ma di escluderne del tutto la concessione. Pertanto è stata sottolineata l'irragionevolezza della previsione di ulteriori cautele, poiché la sussistenza del rischio di fuga è già stata precedentemente esclusa (28). Tanto più che la direttiva prevede che tali obblighi possano essere imposti, mentre il comma 5.2 dell'articolo 13 T.U. Immigrazione, prevede che essi siano sempre applicati al cittadino di Paese terzo cui sia stato concesso il termine per l'adempimento spontaneo (29).

Il provvedimento con cui il questore impone le suddette misure, efficace dalla notifica all'interessato, deve essere comunicato al Giudice di pace territorialmente competente, entro 48 ore dalla sua adozione; verificata la sussistenza dei presupposti, il Giudice dispone la convalida con decreto entro le successive 48 ore. Il procedimento di convalida è meramente cartolare, inaudita altera parte (30); l'instaurazione del contraddittorio solamente eventuale poiché dipende dall'iniziativa dell'interessato che ha facoltà di presentare memorie e deduzioni personalmente o a mezzo del difensore (la difesa tecnica non è necessaria, ma solo facoltizzata) (31). Il Giudice di pace, su istanza dell'interessato e sentito il questore, può modificare o revocare le misure adottate. La legge non prevede, però, alcuna facoltà di impugnazione, né, naturalmente, dà indicazioni in ordine all'organo eventualmente competente, sia dei provvedimenti genetici, che di quelli modificativi delle misure imposte ai sensi del comma 5.2 dell'articolo 13 (32).

In caso di violazione da parte dello straniero di una delle misure adottate nei suoi confronti, da un lato l'espulsione sarà eseguibile coercitivamente, dall'altro l'interessato commetterà un reato punito con la multa da 3.000 a 18.000 euro, devoluto alla cognizione del Giudice di pace (33).

1.4 La nuova disciplina del trattenimento

La parte della direttiva 2008/115/CE relativa al trattenimento dello straniero in attesa di essere rimpatriato è stata certamente quella maggiormente criticata, in particolare in ragione dell'abnorme ampiezza temporale della privazione di libertà personale che persone che non hanno commesso alcun reato possono subire, tanto che la direttiva, a causa del suo approccio securitario nel governo del fenomeno migratorio è stata definita da molti 'direttiva della vergogna' (diréctive de la honte) (34). Nonostante questo, anche nel regolare il trattenimento, il legislatore italiano ha adottato una disciplina deteriore rispetto a quella della direttiva, al punto di far sorgere numerosi dubbi di compatibilità con il dettato comunitario.

In primo luogo, secondo la direttiva europea il trattenimento dello straniero può essere disposto soltanto quando altre misure, dotate di un grado di minor coercizione, siano in concreto inefficaci (35); al contrario il nuovo articolo 14 del T.U. Immigrazione contempla misure alternative al trattenimento soltanto come ipotesi eccezionali.

In secondo luogo, mentre secondo la 'direttiva rimpatri' il trattenimento è legittimo solo in presenza di situazioni di ostacolo riconducibili alla volontà del singolo, la legge nazionale consente l'adozione della misura anche in situazioni del tutto indipendenti dall'interessato. Infatti, con la legge di recepimento della direttiva 2008/115/CE, il legislatore italiano non solo ha ampliato i presupposti del trattenimento rispetto a quanto stabilito dalla direttiva europea, ma ha anche legittimato la pubblica amministrazione ad adottare il provvedimento di trattenimento in ipotesi prive del requisito della tassatività (36).

Secondo il nuovo comma 1 dell'articolo 14, il questore dispone il trattenimento qualora non sia possibile procedere con immediatezza all'allontanamento coattivo (o al respingimento) a causa di "situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l'effettuazione dell'allontanamento". Tra queste vi può essere, oltre alla sussistenza del rischio di fuga di cui al comma 4-bis dell'articolo 13, la necessità di prestare soccorso allo straniero o di effettuare accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero di acquisire i documenti per il viaggio o la disponibilità di un vettore idoneo. L'elencazione non tassativa dei presupposti legittimanti il trattenimento pone seri dubbi di legittimità costituzionale in relazione alla riserva assoluta di legge in materia di misure limitative della libertà personale di cui all'articolo 13 della Costituzione (37). Anche dal punto di vista del diritto europeo la nuova disciplina del trattenimento del T.U. Immigrazione, pone problemi di compatibilità (e quindi di legittimità) con le norme della 'direttiva rimpatri'. Mentre quest'ultima prevede che il trattenimento possa essere adottato soltanto in presenza di "circostanze che testimonino una possibile inaffidabilità dello straniero" (38), la legge italiana ne consente l'adozione anche in presenza di

circostanze storiche, non necessariamente ascrivibili a condotte del cittadino di Paese terzo, e, anzi, addirittura estranee alla sua sfera di intervento, come la disponibilità di documenti di viaggio o di un idoneo vettore (39).

In conseguenza del contrasto con le previsioni della direttiva, secondo alcuna dottrina, le norme interne che legittimano il trattenimento in dette situazioni incolpevoli dovrebbero essere disapplicate (40).

La durata massima del trattenimento, già elevata a 180 giorni dalla legge 94/2009, con il decreto - legge 23 giugno 2011, n. 89 convertito con modificazioni in legge 2 agosto 2011, n. 129, viene ulteriormente dilatata, fino al limite massimo di 18 mesi previsto dalla direttiva 2008/115/CE. Pertanto ora, decorsi inutilmente i primi 180 giorni dall'inizio della misura, il questore può, qualora non sia stato possibile effettuare l'allontanamento nonostante sia stato compiuto "ogni ragionevole sforzo", chiedere al Giudice di pace la proroga del trattenimento per periodi non superiori a 60 giorni fino al raggiungimento del limite massimo di ulteriori 12 mesi. Tali proroghe di 60 giorni ciascuna possono essere chieste soltanto se l'impossibilità di procedere con l'accompagnamento coattivo dipende dalla mancata cooperazione del cittadino di Paese terzo interessato, ovvero da ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione da Paesi terzi (41). Sotto quest'ultimo profilo, il legislatore italiano, recepisce pedissequamente il disposto della direttiva, di conseguenza

non resta che auspicare che - nella prassi applicativa - il controllo giurisdizionale in merito alla presenza del presupposto legittimante la proroga (l'aver compiuto ogni ragionevole sforzo e il non essere riusciti ad ottenere il risultato - a causa della mancata cooperazione del cittadino di Paese terzo o per il ritardo nell'ottenimento della documentazione) avvenga con la serietà imposta dalla rilevanza del bene costituzionale compresso (la libertà personale) e dalla durata della compressione (sino a 18 mesi) (42).

Il legislatore italiano ha però omesso di recepire due norme della direttiva che avrebbero potuto rappresentare un temperamento alla durata del trattenimento, trattasi di un "grave contrasto per omissione" (43), che mette in luce l'intento elusivo delle garanzie (minime) riconosciute dalla direttiva nei confronti dei cittadini di Paese terzo sottoposti a rimpatrio.

Innanzitutto nella nuova formulazione dell'articolo 14 non vi è traccia di quanto stabilito dal paragrafo 4 dell'articolo 15 della direttiva, secondo cui il trattenimento deve cessare e la persona rilasciata quando risulta che non esiste più alcuna ragionevole prospettiva di allontanamento. Trattasi della disposizione, che insieme a quella contenuta nel paragrafo 1 del medesimo articolo ("il trattenimento a durata quanto più breve possibile ed è mantenuto solo per il tempo necessario all'espletamento diligente delle modalità di rimpatrio"), esprime maggiormente la stretta correlazione funzionale che deve sussistere tra trattenimento e effettuazione del rimpatrio. Principio quest'ultimo del quale la Corte di giustizia ha avuto modo di ribadire l'importanza, anche richiamandosi alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, sia con la sentenza 'Kadzoev' che la sentenza 'El Dridi' citate. Nella prima, in particolare, la Corte ha anche affermato il carattere self - executing dell'articolo 15, paragrafo 4 della direttiva, pertanto, anche se il legislatore italiano ne ha omesso il recepimento, il Giudice di pace deve applicare la norma europea ai fini di ogni decisione di proroga del trattenimento, dovendo quindi verificare che la protrazione della misura sia funzionale all'esecuzione del rimpatrio e che gli impedimenti non abbiano dunque un carattere tale da far ritenere che non vi sia più alcuna ragionevole prospettiva di effettivo allontanamento dello straniero trattenuto.

In secondo luogo, non è stato recepito nemmeno il paragrafo 3 del medesimo articolo 15 della direttiva, che prevede il riesame a intervalli regolari del trattenimento su richiesta dell'interessato, "che sarebbe [...] essenziale per far presente il sopravvenire di situazioni (giuridiche o di fatto) che giustifichino il venir meno o quanto meno la sospensione dell'esecuzione dell'espulsione, e di conseguenza del trattenimento" (44).

Come si è detto, contrariamente a quanto previsto dalla direttiva, il legislatore italiano ha disciplinato le ipotesi in cui è possibile disporre misure meno coercitive alternative al trattenimento come del tutto eccezionali. Infatti, secondo il comma 1-bis dell'articolo 14, quando l'espulsione non sia stata disposta per motivi di sicurezza dello Stato (45), per motivi di prevenzione del terrorismo anche internazionale (46), ovvero per motivi di pericolosità sociale (47), e alla condizione che lo straniero sia in possesso di passaporto (o altro documento equipollente), il questore può disporre una o più misure in luogo del trattenimento. Tali misure sono le stesse che devono essere imposte dal questore quando è concesso il termine per la partenza volontaria: consegna del passaporto; obbligo di dimora; obbligo di presentazione all'autorità di pubblica sicurezza. A variare è il presupposto applicativo, essendo in questo caso disposte a garanzia del rischio di fuga, mentre sono poste a garanzia dell'adempimento nel termine assegnato nel caso di cui all'articolo 13, comma 5.2 (48).

Il procedimento di convalida è lo stesso che nell'ipotesi di concessione del termine, così come sono parimenti corredate di una sanzione penale se violate dallo straniero (multa da 3.000 a 18.000 euro).

È stato osservato che la probabile funzione che tali misure finiranno con l'avere nel sistema italiano sarà quella deflattiva della popolazione trattenuta nei centri di identificazione ed espulsione (49).

1.5 Il nuovo ordine di allontanamento del questore e il nuovo reato ad esso correlato

La nuova formulazione del comma 5-bis dell'articolo 14, prevede che, "allo scopo di porre fine al soggiorno illegale dello straniero e di adottare le misure necessarie per eseguire immediatamente il provvedimento di espulsione o di respingimento", quando non sia stato possibile disporre il trattenimento, ovvero siano decorsi i termini massimi consentiti, senza che l'allontanamento sia stato eseguito, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di sette giorni (50). Si ripropone la situazione, già presente nella versione previgente del T.U. Immigrazione, in cui l'amministrazione, non essendo stata in grado di eseguire i propri provvedimenti finalizzati al rimpatrio del cittadino di Paese terzo irregolarmente soggiornante, ordina a quest'ultimo di auto - espellersi. Come nella disciplina previgente, il provvedimento con cui il questore intima allo straniero di allontanarsi dal territorio nazionale è assunto con provvedimento scritto e motivato, contenente le conseguenze sanzionatorie in caso di violazione, deve essere notificato a mano all'interessato (51).

La Corte di Giustizia dell'Unione europea, con la medesima pronuncia con cui ha dichiarato l'incompatibilità dei reati previsti dalla precedente versione commi 5-ter e 5-quater dell'articolo 14 del T.U. Immigrazione, ha affermato che gli Stati restano liberi di adottare misure, anche penali, al fine di dissuadere i cittadini di Paesi terzi dal soggiornare irregolarmente sul proprio territorio, purché non ostacolino lo scopo della direttiva di garantire l'effettività del rimpatrio. Il legislatore italiano, non riuscendo a "concepire una disciplina dell'immigrazione sganciata dalla criminalizzazione del migrante" (52), si è limitato a modificare i reati di mancata ottemperanza all'ordine di allontanamento preesistenti sostituendo la pena detentiva con una pena pecuniaria e devolvendone la competenza al Giudice di pace (53). Pertanto, il nuovo comma 5-ter prevede che la violazione senza giustificato motivo dell'ordine di cui al comma precedente sia punita con una sanzione la cui entità varia a seconda del provvedimento amministrativo presupposto (54). In caso sia stato emesso in esecuzione di un provvedimento di respingimento, di espulsione da eseguirsi con accompagnamento coattivo, ovvero di un provvedimento di espulsione disposto per nei confronti dello straniero che si è sottratto ad un programma di rimpatrio assistito, la violazione dell'ordine del questore è sanzionata con la multa da 10.000 a 20.000 euro. Se invece si tratta di ordine impartito in esecuzione di un'espulsione corredata dalla concessione di un termine per la partenza volontaria ai sensi del comma 5 dell'articolo 13, la multa va dai 6.000 ai 15.000 euro.

Il comma 5-ter prosegue prevedendo l'adozione di un nuovo provvedimento di espulsione, che verosimilmente condurrà all'emanazione di un nuovo ordine di allontanamento. Infatti, nonostante la norma preveda sia "valutato il singolo caso" e se l'espulsione debba essere eseguita coattivamente o se possa invece essere concesso un termine per la partenza volontaria, non appare probabile che questa seconda ipotesi si verifichi nei confronti di una persona che sia stata condannata per non aver rispettato l'ordine del questore. Qualora l'accompagnamento non possa essere eseguito si applicano le disposizioni dei commi 1 e 5-bis, quindi il questore dispone il trattenimento (sempre che lo straniero non sia già stato precedentemente trattenuto per i 18 mesi consentiti) ovvero adotta un nuovo ordine di allontanamento, la cui violazione è sanzionata con la multa da 15.000 a 30.000 euro, salvo non sussista giustificato motivo.

La legge n. 129/2011 ha modificato, altresì, l'articolo 16, comma 1, estendendo l'applicazione dell'espulsione come sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione alle fattispecie previste dai commi 5-ter e 5-quater dell'articolo 14. Secondo un primo orientamento, in questo modo, all'espulsione amministrativa se ne aggiungerebbe un'altra disposta questa volta dal giudice in sostituzione di una sanzione penale. La direttiva prevede però un solo provvedimento di espulsione, che, come chiaramente affermato dalla Corte di giustizia nella sentenza 'El Dridi', continua a produrre effetti anche dopo il rilascio della persona trattenuta e non allontanata. La volontà del legislatore italiano sembra essere quella di iniziare una nuova procedura di espulsione la cui esecuzione avviene però mediante accompagnamento immediato, in quanto disposta dall'autorità giudiziaria come sanzione penale o conseguenza di sanzione penale, secondo il disposto dell'articolo 13. L'intento pare essere quello di limitare l'ambito di applicazione della direttiva, avvalendosi della clausola di cui all'articolo 2, paragrafo 2, lettera b). Si deve però escludere una tale possibilità, in ragione del fatto che tutti i provvedimenti espulsivi potenzialmente emanati

hanno un'unica origine: l'irregolarità dell'ingresso e/o del soggiorno. Il fatto che la persona non abbia ottemperato ad un ordine di allontanamento non rende diversa la fattispecie ma può solo rendere più severa la misura di esecuzione.

A nostro avviso l'applicazione dell'art. 16, 1º comma, ai reati di cui all'art. 14, co. 5-ter e quater, è radicalmente incompatibile con la direttiva, ragion per cui tale norma deve essere disapplicata, così come devono essere disapplicate tutte quelle norme che dispongono una nuova espulsione nei confronti di un soggetto che è già stato espulso (55).

Si può, invece, ritenere che le espulsioni di cui all'articolo 16 non possano in nessun caso essere ricomprese nella deroga di cui all'articolo 2, paragrafo 2, lettera b) e ricadano quindi interamente nell'ambito di applicazione della direttiva. A questa conclusione è possibile pervenire facendo riferimento alle già discusse (56) ordinanze della Corte costituzionale n. 369/1999 e n. 226/2004, relative, rispettivamente, all'espulsione come sanzione sostitutiva e come misura alternativa alla detenzione. In entrambe le occasioni la Corte aveva confutato il presupposto dei giudici remittenti che intendevano le espulsioni in oggetto come istituti di natura penale, affermandone, al contrario, la natura amministrativa, a prescindere dal nomen juris scelto dal legislatore. Se, come affermato dalla Corte costituzionale, le espulsioni come sanzione sostitutiva e come misura alternativa, benché disposte dall'autorità giudiziaria, hanno in realtà natura amministrativa, dovrebbero rientrare nell'ambito di applicazione della direttiva ed essere eseguite secondo la stessa scansione procedurale prevista per l'espulsione prefettizia.

In definitiva, se si esclude che possa essere disposta la sanzione sostitutiva dell'espulsione (57), per i nuovi reati di mancata ottemperanza all'ordine del questore sola pena irrogabile è una sanzione pecuniaria (58) destinata a rimanere ineseguita, in considerazione dello stato di impossidenza in cui normalmente versa lo straniero irregolare. È evidente la scarsa utilità di reati come quelli esaminati che da un punto di vista generalpreventivo non hanno alcuna efficacia deterrente e che altro non fanno che appesantire il carico di lavoro degli uffici giudiziari, senza che a questo corrisponda alcun beneficio in termini di effettiva esecuzione dei rimpatri (59).

1.6 Il divieto di reingresso

La direttiva rimpatri impone agli Stati di disporre un divieto di reingresso di durata non superiore a 5 anni nel caso non sia stato concesso un termine per la partenza volontaria, , ovvero nel caso in cui il termine concesso non sia stato rispettato; negli altri casi gli Stati sono lasciati liberi di disporre o meno il suddetto divieto. Secondo la normativa italiana il divieto di reingresso accompagna tutti i provvedimenti di espulsione. Secondo il nuovo comma 14 dell'articolo 13 T.U. Immigrazione, la durata del divieto è compresa tra i 3 e i 5 anni e deve essere determinata tenendo conto delle specifiche circostanze del singolo caso; in caso di espulsione disposta ai sensi dell'articolo 13, comma 2, lettera c) la durata può essere superiore a 5 anni (60). Nel caso sia stato assegnato un termine per la partenza volontaria il divieto decorre dalla scadenza di detto termine, ma può essere revocato su istanza dell'interessato a condizione che fornisca la prova di aver lasciato il territorio nazionale entro il termine prescritto (61). Se lo straniero rientra nel territorio dello Stato, senza la speciale autorizzazione del Ministro dell'interno, quindi in violazione del divieto imposto con l'espulsione, è punito con la reclusione da 1 a 4 anni e nuovamente espulso con accompagnamento immediato.

Per quel che riguarda i divieti di reingresso decennali che corredavano i provvedimenti di espulsione emanati prima dell'entrata in vigore della legge n. 129/2011, non possono più rappresentare il presupposto del reato di cui all'articolo 13, comma 13. Infatti, l'attuale disciplina, richiedendo una valutazione del caso concreto e stabilendo una durata del divieto compresa tra i 3 e i 5 anni, assicura un trattamento di maggior favore e "per ciò solo, ne determina un'applicabilità retroattiva" (62). Non è possibile ritenere applicabile nei confronti dei provvedimenti di espulsione e di esecuzione della stessa il principio del tempus regit actum, il quale

esplica la propria efficacia allorché il rapporto cui l'atto inerisce sia irretrattabilmente definito, e diventi insensibile ai successivi mutamenti della normativa di riferimento. Tale circostanza non si verifica nella specie in quanto l'assetto prodotto da detti atti permane per il solo fatto di costituire il presupposto applicativo di fattispecie incriminatrici capaci di determinare l'irrogazione di sanzioni penali, peraltro detentive (63).

Concludendo, nel procedimento penale a carico dello straniero accusato di aver violato il divieto decennale imposto con un provvedimento antecedente l'entrata in vigore della nuova normativa, detto provvedimento deve essere disapplicato, con conseguente assoluzione dell'imputato.

2. La 'direttiva rimpatri' e il reato di ingresso e soggiorno irregolari

In conclusione resta da esaminare l'incidenza della direttiva 2008/115/CE, come interpretata dalle sentenze della Corte di Giustizia (64), sul reato di ingresso e soggiorno irregolari nel territorio dello Stato di cui all'articolo 10-bis T.U. Immigrazione, che il decreto - legge 23 giugno 2011, n. 89 convertito con modificazioni in legge 2 agosto 2011, n. 129 non ha modificato (65). Il reato in oggetto, come noto, è stato introdotto dal 'pacchetto sicurezza' del 2009 (66) con il dichiarato intento (67) di minimizzare l'impatto della direttiva, escludendo dal suo ambito di applicazione tutti i casi in cui l'espulsione fosse stata disposta dal Giudice di Pace quale sanzione sostitutiva alla pena pecuniaria prevista dall'articolo 10-bis. La compatibilità del reato di 'immigrazione clandestina' con la 'direttiva rimpatri' è stata messa in dubbio fin dall'inizio del dibattito sull'incidenza delle norme europee sull'assetto normativo italiano (68), comportando anche la disapplicazione del reato di cui all'articolo 10-bis da parte di alcuni Giudici di Pace (69). La questione è attualmente pendente davanti alla Corte di giustizia, sulla base di un'ordinanza ampiamente motivata del Giudice di Pace di Rovigo.

Diversamente dalle fattispecie penali oggetto delle sentenze 'El Dridi' e 'Achughbabian' il reato di cui all'articolo 10-bis T.U. Immigrazione non prevede una sanzione detentiva, ma soltanto pecuniaria che può essere sostituita con l'espulsione di cui all'articolo 16, comma 1. Nonostante questa importante differenza, sono stati sollevati dubbi di compatibilità con la disciplina dettata dalla direttiva, in particolare dal Giudice di Pace di Rovigo, che ha sollevato questione di interpretazione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia (70). Il ragionamento svolto dal Giudice di Pace di Rovigo nell'ordinanza di remissione, si muove su due argomenti principali: da un lato il fatto che la pena pecuniaria non eseguita sia sostituibile con la permanenza domiciliare, dall'altro la possibilità per il giudice di applicare la sanzione sostitutiva dell'espulsione. Infatti, in via preliminare, quando accerta la sussistenza del reato di ingresso e permanenza irregolare, il giudice penale verifica se sussistano le cause ostative di cui al comma 1 dell'articolo 14, che impediscono l'immediata esecuzione coattiva dell'espulsione. Se l'accertamento dà esito negativo, egli può (71) applicare la sanzione sostitutiva dell'espulsione ai sensi dell'articolo 16, nel caso in cui, invece, tali cause ostative sussistano, egli è obbligato a irrogare la pena pecuniaria (72). Secondo l'articolo 55 del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 (recante "Disposizioni sulla competenza penale del Giudice di Pace"), qualora il condannato non sia solvibile - ipotesi ordinaria nel caso di straniero irregolare che difficilmente avrà una disponibilità economica tale da far fronte a una sanzione compresa tra i 5 e i 10 mila euro - può essere disposta, a richiesta del condannato, la conversione della suddetta pena in lavoro sostitutivo. Poiché la condizione posta dalla norma è che il lavoro sostitutivo sia svolto nella provincia di residenza del condannato, è evidente che, essendo lo straniero irregolare per definizione non residente sul territorio nazionale, questa possibilità gli è preclusa. Sempre a norma dell'articolo 55, d.lgs. 274/2000, qualora il lavoro sostitutivo non sia richiesto (o in questo caso non possa essere richiesto), "le pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità si convertono nell'obbligo di permanenza domiciliare" (73). Si potrebbe dunque ritenere che se la sostituzione della pena pecuniaria ineseguita intervenisse nel corso della procedimento di rimpatrio, ovvero prima della stessa - anteponendo l'interesse punitivo dello Stato alla rapida esecuzione dell'allontanamento - si determinerebbe un possibile ritardo nell'esecuzione del rimpatrio, frustrando la finalità perseguita dalla direttiva di assicurare l'efficacia delle procedure di rimpatrio (74). L'argomento secondo cui l'applicazione della sanzione sostitutiva della permanenza domiciliare violerebbe la direttiva sul diverso piano della finalità di tutela dei diritti di libertà dei cittadini di paesi terzi nel corso della procedura di rimpatrio (75), sarà probabilmente respinto (o non preso in considerazione) dalla Corte di Giustizia. Basti notare che nella sentenza 'Achughbabian', in modo più esplicito che nella sentenza 'El Dridi', è messo in evidenza che

nell'ordinamento dell'Unione europea la criminalizzazione degli stranieri in situazione irregolare non è messa in discussione in termini assoluti, ma unicamente con riferimento alla sua idoneità ad ostacolare l'allontanamento degli stranieri il cui soggiorno è irregolare, rispetto al quale la tutela dei diritti fondamentali ha carattere meramente strumentale (76).

Il secondo argomento su cui si basa l'ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia riguarda la supposta incompatibilità con le norme della direttiva della sanzione sostitutiva dell'espulsione disposta ai sensi dell'articolo 16, comma 1, la quale prevede l'esecuzione mediante accompagnamento coattivo alla frontiera, in modo certamente difforme dalla procedura delineata dalla direttiva. La possibilità di disporre l'espulsione con accompagnamento immediato in base al combinato disposto degli articoli 10-bis e 16, comma 1 T.U. Immigrazione,

rappresenta un tentativo (illegittimo) dello Stato membro di valersi della clausola dell'art. 2 della direttiva 2008/115/CE, per negare sempre al cittadino di paese terzo le garanzie, quali la concessione di un termine, previste in caso di partenza volontaria (77).

Sul punto, la Corte di Giustizia ha già dato una risposta inequivocabile nella sentenza 'Achughbabian', alla quale è sufficiente fare riferimento per concludere che:

l'espulsione conseguente al reato di ingresso e soggiorno irregolare deve sempre essere disposta ed eseguita secondo le regole previste nella direttiva rimpatri: non si potrà avere dunque quella sottrazione alle regole previste nella direttiva poiché l'art. 2, punto 2, lett. b), concerne reati diversi da quelli che sanzionano il soggiorno irregolare (78).

In conclusione, in base al percorso argomentativo fin qui svolto, se la Corte di giustizia ritenesse sussistente l'incompatibilità con la 'direttiva rimpatri', il giudice nazionale dovrebbe disapplicare non l'articolo 10-bis, e quindi non il reato di 'immigrazione clandestina' in quanto tale, ma le disposizioni che prevedono la sostituzione della pena pecuniaria con la permanenza domiciliare, ovvero con l'espulsione (79). Residuerebbe quindi solo una sanzione pecuniaria, che non verrà concretamente mai eseguita, per la quale valgono le stesse osservazioni svolte nei confronti dei nuovi reati previsti dai commi 5-ter e 5-quater dell'articolo 14: oltre al valore simbolico che tali reati rivestono nella criminalizzazione dello straniero irregolare, essi si risolvono in un inutile appesantimento del carico di lavoro degli uffici giudiziari.

Note

1. P. Morozzo della Rocca, Prime note sul decreto legge 23 giugno 2011, n. 89, Gli stranieri, 2011, n. 2, p. 7.

2. Decreto - legge 23 giugno 2011, n. 89 convertito con modificazioni in legge 2 agosto 2011, n. 129.

3. G. Savio, La nuova disciplina delle espulsioni conseguente al recepimento della direttiva rimpatri, Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2001, 3, p. 31; C. Favilli, L'attuazione della direttiva rimpatri: dall'inerzia all'urgenza con scarsa cooperazione, cit.

4. P. Morozzo della Rocca, Prime note sul decreto legge 23 giugno 2011, n. 89, cit., p.8.

5. A. Natale, La direttiva 2008/115/CE - Il decreto legge di attuazione n. 89/2011 - Prime riflessioni a caldo, Diritto penale contemporaneo.

6. Delle specifiche problematiche legate alla tenuta dell'articolo 10-bis di fronte alla direttiva rimpatri, anche alla luce di una pronuncia della Corte di Giustizia in relazione ad analoga fattispecie nell'ordinamento francese si dirà infra § 6.2.

7. G. Savio, La nuova disciplina delle espulsioni conseguente al recepimento della direttiva rimpatri, cit., p. 35.

8. Ivi, p. 32.

9. P. Morozzo della Rocca, Prime note sul decreto legge 23 giugno 2011, n. 89, cit., p. 18.

10. G. Savio, La nuova disciplina delle espulsioni conseguente al recepimento della direttiva rimpari, cit., p. 36.

11. Supra cap. V, § 1.

12. Ivi, p. 37.

13. G. Savio, P. Bonetti, L'allontanamento dal territorio dello Stato dello straniero extracomunitario in generale - Asgi - Scheda Pratica aggiornata al 28 febbraio 2012, ASGI, p. 23.

14. Se non si aderisce all'opinione secondo cui il divieto di locazione a stranieri irregolari si estenda al mantenimento di una locazione già in corso; Morozzo della Rocca, Prime note sul decreto legge 23 giugno 2011, n. 89, cit., p. 28.

15. G. Savio, P. Bonetti, L'allontanamento dal territorio dello Stato dello straniero extracomunitario in generale, cit., p. 23.

16. A. Liguori, L'attuazione della direttiva rimpatri in Italia, Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2011, 3, p. 22.

17. G. Savio, La nuova disciplina delle espulsioni conseguente al recepimento della direttiva rimpatri, cit., p. 37.

18. Ibid.

19. Ivi, pp. 37 - 38.

20. Supra cap. IV, § 3.4.2.

21. G. Savio, La nuova disciplina delle espulsioni conseguente al recepimento della direttiva rimpatri, cit., p. 38.

22. "Tale termine può essere prorogato, ove necessario, per un periodo congruo, commisurato alle circostanze specifiche del caso individuale, quali la durata del soggiorno nel territorio nazionale, l'esistenza di minori che frequentano la scuola, ovvero altri legami familiari e sociali, nonché l'ammissione a programmi di rimpatrio volontario ed assistito di cui all'articolo 14-ter".

23. "Gli Stati membri prorogano, ove necessario, il periodo per la partenza volontaria per un periodo congruo, tenendo conto delle circostanze specifiche del caso individuale, quali la durata del soggiorno, l'esistenza di bambini che frequentano la scuola e l'esistenza di altri legami familiari e sociali".

24. A. Natale, La direttiva 2008/115/CE - Il decreto legge di attuazione n. 89/2011 - Prime riflessioni a caldo, cit., p. 5.

25. La legge, però, dimentica di specificare le conseguenze in caso di mancata disponibilità delle risorse economiche richieste, essendo il termine già stato concesso e non essendone esplicitamente prevista in tal caso, la revoca. G. Savio, La nuova disciplina delle espulsioni conseguente al recepimento della direttiva rimpatri, cit., p. 39.

26. P. Bonetti, Osservazioni sul decreto - legge 23 giugno 2011, n. 89: il Parlamento rimedi subito alle elusioni e violazioni della Costituzione e della direttiva UE sui rimpatri. Alcune proposte di emendamento, ASGI, p. 12.

27. Articolo 13, comma 5.2, T.U. Immigrazione.

28. G. Savio, P. Bonetti, L'allontanamento dal territorio dello Stato dello straniero extracomunitario in generale, cit., p. 24.

29. A. Natale, La direttiva 2008/115/CE - Il decreto legge di attuazione n. 89/2011 - Prime riflessioni a caldo, cit., p. 6.

30. G. Savio, La nuova disciplina delle espulsioni conseguente al recepimento della direttiva rimpatri, cit., p. 39.

31. A. Natale, La direttiva 2008/115/CE - Il decreto legge di attuazione n. 89/2011 - Prime riflessioni a caldo, cit., p. 7.

32. G. Savio, P. Bonetti, L'allontanamento dal territorio dello Stato dello straniero extracomunitario in generale, cit., p. 25.

33. Articolo 13, comma 5.2 T.U. Immigrazione.

34. A. Natale - C. Renoldi, La tutela dei diritti e paradossi del diritto - La direttiva rimpatri, l'Italia e la libertà dei migranti, cit., p. 8.

35. Articolo 15, paragrafo 1, direttiva 2008/115/CE.

36. G. Savio, La nuova disciplina delle espulsioni conseguente al recepimento della direttiva rimpatri, cit., p. 41.

37. G. Savio, P. Bonetti, L'allontanamento dal territorio dello Stato dello straniero extracomunitario in generale, cit., p. 28.

38. Ibid.

39. A. Natale, La direttiva 2008/115/CE - Il decreto legge di attuazione n. 89/2011 - Prime riflessioni a caldo, cit., p. 15.

40. G. Savio, P. Bonetti, L'allontanamento dal territorio dello Stato dello straniero extracomunitario in generale, cit., p. 28.

41. Articolo 14, comma 5 T.U. Immigrazione.

42. A. Natale, La direttiva 2008/115/CE - Il decreto legge di attuazione n. 89/2011 - Prime riflessioni a caldo, cit., p. 17.

43. G. Savio, La nuova disciplina delle espulsioni conseguente al recepimento della direttiva rimpatri, cit., p. 42.

44. A. Liguori, L'attuazione della direttiva rimpatri in Italia, cit., p. 25.

45. Articolo 13, comma 1 T.U. Immigrazione.

46. Articolo 3, comma 1, decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito in legge 31 luglio 2005, n. 155.

47. Articolo 13, comma 2, lettera c), T.U. Immigrazione.

48. G. Savio, La nuova disciplina delle espulsioni conseguente al recepimento della direttiva rimpatri, cit., p. 43.

49. Ibid.

50. Il precedente termine di 5 giorni è stato sostituito con gli attuali 7, "ma questo omaggio alla direttiva rimpatri è ultroneo, fondandosi su una impropria sovrapposizione tra l'istituto in esame (che si colloca al termine della procedura espulsiva) ed il termine per la partenza volontaria (che delinea una procedura ab origine differente). G. Savio, La nuova disciplina delle espulsioni conseguente al recepimento della direttiva rimpatri, cit., p. 44.

51. Articolo 14, comma 5-bis, T.U. Immigrazione.

52. A. Natale - C. Renoldi, La tutela dei diritti e paradossi del diritto - La direttiva rimpatri, l'Italia e la libertà dei migranti, cit., p. 18.

53. G. Savio, La nuova disciplina delle espulsioni conseguente al recepimento della direttiva rimpatri, cit., p. 44.

54. G. Savio, P. Bonetti, L'allontanamento dal territorio dello Stato dello straniero extracomunitario in generale, p. 32.

55. C. Favilli, L'attuazione della direttiva rimpatri: dall'inerzia all'urgenza con scarsa cooperazione, cit.

56. Si veda supra cap. II, §.3.3.

57. O se si esclude che essa consenta di conseguire l'obiettivo di non applicare la procedura di rimpatrio imposta dalla direttiva europea.

58. "In caso di inadempimento del condannato non pare possibile convertire la pena pecuniaria né in lavoro sostitutivo (trattandosi di condannato straniero irregolarmente presente sul territorio che deve essere allontanato e non può lavorare legalmente), né nell'obbligo di permanenza domiciliare difettando sia un titolo di soggiorno che - frequentemente - un domicilio". G. Savio, La nuova disciplina delle espulsioni conseguente al recepimento della direttiva rimpatri, cit., p. 46.

59. A. Natale - C. Renoldi, La tutela dei diritti e paradossi del diritto - La direttiva rimpatri, l'Italia e la libertà dei migranti, cit., p. 18.

60. Analogamente per le espulsioni ministeriali di cui all'articolo 13, comma 1 del T.U. Immigrazione e all'articolo 3, comma 1, decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito in legge 31 luglio 2005, n. 155.

61. Articolo 13, comma 14.

62. Tribunale di Milano, sezione X, ordinanza 06 febbraio 2012 , giudice Formentin.

63. Ibid.

64. Le già citate sentenze 'Kadzoev' e 'El Dridi' e 'Achughbabian'.

65. Salvo quanto detto supra cap. VI, § 1. in merito all'esclusione della punibilità per il reato in discorso per coloro che siano identificati in occasione dei controlli di frontiera in uscita dal territorio nazionale.

66. Legge 15 luglio 2009, n. 94 ("Disposizioni in materia di pubblica sicurezza").

67. Per le dichiarazioni dell'allora Ministro dell'interno Maroni, supra cap. I, § 1.2.

68. C. Favilli, La direttiva rimpatri, ovvero la mancata armonizzazione dell'espulsione dei cittadini di Paesi terzi, cit.; F. Viganò, L. Masera, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, cit.

69. Giudice di Pace di Roma, sentenza 16.06.2011, Diritto penale contemporaneo.

70. Giudice di Pace presso il Tribunale di Rovigo, sezione distaccata di Adira, ordinanza 15 luglio 2011, giudice Miazzi, Diritto penale contemporaneo.

71. La Corte di Cassazione ha recentemente affermato la natura discrezionale dell'applicazione dell'espulsione quale sanzione sostitutiva alla pena pecuniaria di cui all'articolo 10-bis, richiamandosi all'orientamento espresso dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 250/2010, (Corte di Cassazione, I sezione penale, sentenza 22 febbraio 2011, n. 13408.

72. Giudice di Pace presso il Tribunale di Rovigo, sezione distaccata di Adira, ordinanza 15 luglio 2011, giudice Miazzi, p. 5.

73. Articolo 55, comma 4, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274.

74. G. L. Gatta, Il 'reato di clandestinità' (art. 10 bis T.U.IMM.) e la 'direttiva rimpatri', cit., p. 7.

75. L'argomento fa leva sui limiti che la direttiva impone alla privazione della libertà personale, "che può avvenire solo alle condizioni previste dalla normativa europea senza la possibilità per la norma nazionale di introdurre una deroga peggiorativa", Giudice di Pace presso il Tribunale di Rovigo, sezione distaccata di Adira, ordinanza 15 luglio 2011, giudice Miazzi, p. 6.

76. L. D'Ambrosio, Se una notte d'inverno un... sans papiers. La Corte di Giustizia dichiara il reato di ingresso e soggiorno irregolare conforme e non conforme alla 'direttiva rimpatri', cit., p. 14.

77. Giudice di Pace presso il Tribunale di Rovigo, sezione distaccata di Adira, ordinanza 15 luglio 2011, giudice Miazzi, p. 6.

78. C. Favilli, Sentenza Achughbabian - C-329/11, 6 dicembre 2011, ASGI.

79. G. L. Gatta, Il 'reato di clandestinità' (art. 10 bis T.U.IMM.) e la 'direttiva rimpatri', cit., p. 8.