ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo IV
La 'Direttiva rimpatri'

Carlotta Happacher, 2012

1. La competenza dell'Unione Europea in materia di immigrazione

Uno degli scopi che l'Unione europea si prefigge è quello di realizzare per i propri cittadini uno "spazio di libertà, sicurezza e giustizia" privo di "frontiere interne", nel quale garantire la libera circolazione delle persone. La soppressione dei controlli su chiunque attraversi le frontiere interne fa sì che anche i cittadini di Paesi terzi possano spostarsi da uno Stato membro ad un altro e ciò presuppone che vi siano controlli parimenti efficaci presso tutte le frontiere esterne, ossia quelle tra uno Stato membro e uno Stato terzo (1). In ragione della scarsa disponibilità da parte degli Stati a cedere attribuzioni in tal senso alla Comunità europea, l'armonizzazione dei controlli alle frontiere esterne è inizialmente avvenuta a livello di cooperazione intergovernativa, in primo luogo con la stipula dell'Accordo di Schengen e della Convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen (2). Successivamente, con il Trattato di Amsterdam, il cosiddetto "acquis di Schengen", ovvero la Convenzione stessa e gli atti adottati sulla base di essa, è stato ricondotto nell'ambito dell'Unione europea, e si sono attribuite alla Comunità importanti competenze in materia di immigrazione (3).

La rilevanza della 'comunitarizzazione' della materia, attraverso il Titolo IV del Trattato CE ("Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse alla libera circolazione delle persone") era però fortemente ridimensionata da un lato dalla mancata partecipazione di alcuni Stati; dall'altro, dalla previsione, ancorché per un periodo di tempo limitato (5 anni dall'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam) della regola dell'unanimità in seno al Consiglio per l'adozione delle misure necessarie a dare attuazione al Titolo IV (4). Terminato tale periodo transitorio le materie oggetto del Titolo IV sono invece soggette alla procedura di codecisione, che prevede la regola della maggioranza qualificata del Consiglio e il coinvolgimento attivo del Parlamento (5).

In materia di visti, immigrazione e asilo particolarmente significative sono state le modifiche introdotte con il Trattato di Lisbona del 2007, entrato in vigore il 1º dicembre 2009, dopo il deposito della ratifica dell'ultimo Stato membro. La novità di maggior rilievo è rappresentata dalla scomparsa della struttura a tre pilastri istituita con il Trattato di Maastricht, con la conseguenza che la competenza in materia di visti, asilo e immigrazione è ora interamente collocata in ambito comunitario (6), in particolare essa è oggetto del Titolo V del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (di seguito TFUE) (7).

L'articolo 67, paragrafo 2 TFUE stabilisce che l'Unione "sviluppa una politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà tra Stati membri ed equa nei confronti dei cittadini dei paesi terzi", mentre precedentemente al Trattato di Lisbona l'articolo 62 del TCE parlava di adottare misure minime (8). Il successivo articolo 68 TFUE attribuisce al Consiglio europeo il compito di definire gli "orientamenti strategici della programmazione legislativa e operativa nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia". La competenza attribuita all'Unione europea nelle materie comprese nel Titolo V TFUE, che deve essere esercitata nel rispetto "dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri" (9), è competenza di natura concorrente, secondo quanto indicato dall'articolo 4, paragrafo 2, lettera j), TFUE. Il che significa che l'Unione adotta i propri atti in rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, entrambi definiti dall'articolo 5 del Trattato sull'Unione europea (di seguito TUE). In base al principio di sussidiarietà l'Unione interviene laddove gli obiettivi previsti non siano conseguibili in maniera sufficiente dagli Stati membri, ma possono esserlo meglio a livello di Unione; secondo il principio di proporzionalità l'azione dell'Unione deve limitarsi a quanto strettamente necessario al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Gli Stati membri, da parte loro, possono legiferare e adottare atti vincolanti, esercitando la propria competenza soltanto nella misura in cui l'Unione non abbia esercitato la propria ovvero abbia cessato di esercitarla. È stato sottolineato che la necessaria compatibilità delle normative nazionali con quanto stabilito nei Trattati limita fortemente lo spazio per un'attività normativa autonoma da parte degli Stati (10). L'articolo 72 del TFUE stabilisce che il Titolo V "non osta" all'adozione da parte degli Stati membri di misure che siano giustificate dalla tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza interna.

2. I principali atti adottati dall'Unione europea in materia di rimpatrio di cittadini di paesi terzi in posizione irregolare

Sulla base delle competenze assegnatole dai Trattati, l'Unione europea ha adottato numerosi atti in diversi settori attinenti all'immigrazione (11), ciò che qui interessa è soffermarsi su quelli riguardanti il rimpatrio dei cittadini di Paesi Terzi irregolarmente soggiornanti nei territori degli Stati membri, fino all'adozione della Direttiva 2008/115/CE.

2.1 La direttiva 2001/40/CE

Il primo atto emanato in ambito europeo in materia di espulsione è stata la direttiva 2001/40/CE, relativa al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di paesi terzi. Essa è stata adottata dal Consiglio dell'Unione europea su proposta della Francia (12), nonostante il parere negativo del Parlamento, il quale riteneva che l'articolo 63, paragrafo 3 del Trattato CE non fosse idoneo a fondare la competenza dell'atto (13). Al fine di garantire una maggiore efficacia delle decisioni di allontanamento e una migliore cooperazione in materia di rimpatrio tra gli Stati membri dell'Unione, la Comunità europea ha ritenuto necessario il reciproco riconoscimento delle decisioni di allontanamento (14). Queste ultime devono essere state adottate da un'autorità amministrativa (15) ed essere fondata sull'esistenza di una minaccia grave e attuale per l'ordine pubblico e la sicurezza nazionale, ovvero sulla violazione della norme riguardanti l'ingresso o il soggiorno dello straniero (16). Secondo il paragrafo 2 dell'articolo 3, l'attuazione della direttiva deve avvenire nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, inoltre, lo Stato membro di esecuzione deve prevedere la possibilità per lo straniero di proporre ricorso avverso la misura che attua il riconoscimento della decisione di allontanamento (17). L'articolo 7 prevede che se l'allontanamento non può essere eseguito a spese dello straniero, gli Stati membri debbano compensare gli squilibri finanziari derivanti dall'applicazione della direttiva, in base ai criteri e le modalità pratiche adottati dal Consiglio su proposta della Commissione. La determinazione di tali criteri e modalità è stata operata con la Decisione del Consiglio 2004/191/CE.

2.2 Il Libro verde su una politica comunitaria di rimpatrio delle persone che soggiornano illegalmente negli stati membri

L'obiettivo dell'Unione europea in materia di immigrazione irregolare, espresso nel piano d'azione del Consiglio europeo del 28 febbraio 2002, è quello di "assicurare che i cittadini di paesi terzi lascino il territorio degli Stati membri qualora non posseggano uno Status giuridico che ne autorizzi il soggiorno in forma permanente o temporanea" (18). A tal fine il Consiglio riteneva necessario che la Commissione europea presentasse urgentemente "un libro verde dedicato all'analisi di eventuali misure e azioni che concretizzino una politica comunitaria in materia di rimpatrio" (19), ponendo tale analisi quale obiettivo da conseguire a medio termine. Nell'aprile dello stesso anno la Commissione europea ha presentato il "Libro verde su una politica comunitaria di rimpatrio delle persone che soggiornano illegalmente negli stati membri", con l'obiettivo di

esaminare i complessi problemi attinenti al rimpatrio di persone soggiornanti illegalmente nell'UE e formulare suggerimenti per un politica coordinata ed efficiente, basata su norme e principi comuni, e rispettosa della dignità e dei diritti umani (20).

Nel libro verde la Commissione ribadisce il principio secondo cui, in linea generale, le persone che non soddisfino o non soddisfino più le condizioni richieste per il soggiorno nel territorio di uno degli Stati membri devono lasciare l'Unione europea, in modo volontario e coattivo. L'effettività dell'allontanamento, secondo la Commissione, è fondamentale per garantire che "la politica di ammissione non sia indebolita e per imporre il principio di legalità, elemento costitutivo di un'area di libertà, di sicurezza e di giustizia" (21). Benché la Commissione riconosca l'"effetto dimostrativo" del rimpatrio forzato sia nei confronti di quanti soggiornano illegalmente che di coloro che intendono entrare illegalmente in Europa, raccomanda di privilegiare il rimpatrio volontario non soltanto per ragioni di carattere umanitario, ma anche perché esso richiede uno sforzo amministrativo minore (22). L'azione delle istituzioni europee dovrebbe concentrarsi da un lato sulla cooperazione con i paesi d'origine e di transito ai fini della riammissione, dall'altro indirizzarsi verso l'adozione di norme comuni in materia di rimpatrio (23).

Nell'ottica di un riavvicinamento e di un miglioramento della cooperazione tra Stati membri la Commissione europea ha inteso il Libro verde come l'avvio di una discussione con la prospettiva di adottare una proposta di direttiva del Consiglio in materia di norme minime sulle procedure di rimpatrio. Date le profonde differenze tra i diversi ordinamenti giuridici degli Stati membri, essa ha ritenuto necessario fornire una prima serie di definizioni che permettessero di evitare fraintendimenti e semplificare così la discussione (24). La Commissione ipotizza che si possano

sviluppare motivazioni giuridiche specifiche, più dettagliate, per una decisione di allontanamento e, in tale contesto, si potrebbe ad esempio introdurre una distinzione fra cause che rendono obbligatoria una decisione di allontanamento per motivi di pericolo eccezionale, e altri motivi legittimi che possono comportare, di norma, una decisione di allontanamento (25).

Per adottare una decisione di allontanamento dovrebbero essere presi in considerazione lo status del residente, l'eventuale appartenenza a gruppi bisognosi di particolare tutela (26), e, in ogni caso, la decisione dovrebbe basarsi sulla specifica situazione individuale del destinatario della decisione (27). Partendo dal presupposto che il trattenimento in attesa di accompagnamento alla frontiera, così come l'accompagnamento stesso, sono misure che incidono fortemente sulla libertà personale delle persone che vi sono soggette, la Commissione europea afferma la necessità di stabilire alcune norme minime che definiscano la competenza a disporre il trattenimento e le condizioni necessarie, i gruppi che in linea generale non dovrebbero essere soggetti a trattenimento, nonché alcune norme minime sulle modalità esecutive del trattenimento e sulla durata media o massima, valutando, inoltre se vi siano possibili alternative (28).

A proposito dell'accompagnamento, norme minime dovrebbero stabilirsi in quattro settori: forme di salvaguardia del principio di non - refoulement; valutazione dello stato fisico e mentale della persona sottoposta a rimpatrio, tutela dei minori e dell'unità familiare; norme di sicurezza inerenti l'accompagnamento in senso stretto; compilazione di un elenco di Paesi in cui sia temporaneamente impossibile rinviare chiunque per gravi motivi umanitari (29). Infine, per far sì che coloro che rientrano spontaneamente nel Paese d'origine godano di un trattamento privilegiato, dovrebbero essere previste una serie di possibili mezzi di prova dell'avvenuto rientro, così che le persone interessate abbiano la possibilità di rientrare nel territorio dell'Unione provando l'avvenuto rimpatrio volontario (30).

3. La direttiva 2008/115/CE

Il Consiglio europeo di Bruxelles del 4 e 5 novembre 2004 ha rilanciato l'invito rivolto a Consiglio e Commissione affinché esaminassero ulteriori proposte in materia di rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi (31). La proposta della Commissione COM (2005) 391, seguendo il complesso iter previsto per la procedura di codecisione (32), attraverso un percorso segnato da numerose battute d'arresto (33), è infine giunta all'adozione della Direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio, nota come "direttiva rimpatri".

3.1 Principi e scopi della Direttiva

Nei trenta considerando che aprono la direttiva 2008/115/CE vengono esplicitati gli obiettivi dell'Unione europea in materia di rimpatrio, dando altresì conto della scelta di intervenire a livello comunitario, infatti

Poiché l'obiettivo della presente direttiva, ossia stabilire norme comuni in materia di rimpatrio, allontanamento, uso di misure coercitive, trattenimento e divieti d'ingresso, non può essere realizzato in misura sufficiente dagli Stati membri e può dunque, a causa delle sue dimensioni e dei suoi effetti, essere realizzato meglio a livello comunitario, la Comunità può intervenire, in base al principio di sussidiarietà sancito dall'articolo 5 del trattato. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo, in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo (34).

La finalità principale è quella di istituire "una politica di rimpatrio efficace quale elemento necessario di una politica d'immigrazione correttamente gestita" (35), si tratta quindi di garantire l'effettività delle procedure di allontanamento degli stranieri irregolarmente presenti.

Secondo l'Unione europea, allo scopo di armonizzare i sistemi nazionali degli Stati membri, l'Unione europea ritiene che sia necessario "introdurre un corpus orizzontale di norme, applicabili a tutti i cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni d'ingresso, di soggiorno o di residenza in uno Stato membro" (36). Gli Stati membri possono legittimamente procedere al rimpatrio dei cittadini di paesi terzi in posizione irregolare, ma devono esistere "regimi in materia di asilo equi ed efficienti che rispettino pienamente il principio di non-refoulement" (37), e lo devono fare attraverso "una procedura equa e trasparente" (38), nel rispetto dei principi generali dell'Unione europea e osservando "pienamente tutte le disposizioni applicabili della presente direttiva" (39). In primo luogo "occorre stabilire garanzie giuridiche minime comuni sulle decisioni connesse al rimpatrio per l'efficace protezione degli interessi delle persone interessate" (40); in linea generale il rimpatrio volontario deve essere preferito a quello forzato (41), inoltre "l'uso di misure coercitive dovrebbe essere espressamente subordinato al rispetto dei principi di proporzionalità e di efficacia per quanto riguarda i mezzi impiegati e gli obiettivi perseguiti" (42) e "il ricorso al trattenimento ai fini dell'allontanamento dovrebbe essere limitato e subordinato al principio di proporzionalità con riguardo ai mezzi impiegati e agli obiettivi perseguiti" (43), essendo giustificato soltanto "per preparare il rimpatrio o effettuare l'allontanamento e se l'uso di misure meno coercitive è insufficiente" (44). Il trattenimento dovrebbe comunque essere effettuato nel rispetto dei diritti fondamentali della persona in conformità con il diritto interno e internazionale, con modalità tali da assicurare un trattamento umano e dignitoso (45). Come si vedrà in seguito l'aspetto più fortemente criticato della direttiva qui esaminata è proprio quello relativo al trattenimento in funzione dell'allontanamento, in particolare sotto il profilo della durata, fissata nel massimo a 18 mesi.

3.2 L'ambito di applicazione della direttiva

Occorre delimitare l'ambito di applicazione sotto due punti di vista: in primo luogo quello territoriale, in secondo luogo in relazione alle facoltà derogatorie concesse agli Stati.

Sotto il primo profilo in quanto la materia trattata rientra nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, è necessario fare alcune precisazioni. La Danimarca, in base a quanto stabilito nel Protocollo sulla posizione della Danimarca allegato al Trattato sull'Unione europea e al Trattato che istituisce la Comunità europea (ora trattato sul funzionamento dell'Unione europea), non ha partecipato all'adozione della direttiva e non ne è vincolata. In quanto sviluppo dell'acquis di Schengen, la Danimarca avrebbe potuto decidere, a norma dell'articolo 5 del suddetto protocollo, entro sei mesi dall'adozione della direttiva di recepirla nel proprio ordinamento. Parimenti, non hanno partecipato all'adozione dell'atto e non vi sono vincolati Regno Unito (46) e Irlanda (47). Al contrario, alcuni Stati, pur non facendo parte dell'Unione europea, saranno soggetti all'applicazione della direttiva in quanto essa costituisce sviluppo dell'acquis di Schengen, accordo al quale Norvegia, Islanda (48), Liechtenstein (49) e Svizzera (50) sono associati (51).

Sotto il profilo dell'applicazione soggettiva, l'articolo 2 della direttiva esordisce affermando che essa si applica ai cittadini dei paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare, ossia a coloro che non soddisfano o non soddisfano più, le condizioni di ingresso stabilite dall'articolo 5 del Codice frontiere di Schengen (52), ovvero le altre condizioni di ingresso e soggiorno nel territorio dello Stato membro interessato poste dalla legislazione nazionale (53). Il paragrafo successivo del medesimo articolo consente però agli Stati di escludere l'applicazione della direttiva ai cittadini di paesi terzi:

  1. sottoposti a respingimento alla frontiera, conformemente all'articolo 13 del codice frontiere di Schengen, ovvero fermati o scoperti dalle competenti autorità in occasione dell'attraversamento irregolare via terra, mare o aria della frontiera esterna di uno Stato membro e che non hanno successivamente ottenuto un'autorizzazione o un diritto di soggiorno in tale Stato membro;
  2. sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale, in conformità della legislazione nazionale, o sottoposti a procedure di estradizione (54).

In base alla lettera a), la direttiva sarà applicabile esclusivamente alle ipotesi di espulsione in senso stretto, restando escluse le ipotesi di respingimento, le quali, come si è detto nel precedente capitolo, rappresentano uno dei punti critici della normativa italiana, si pensi in particolare ai casi di respingimento in alto mare e di respingimento differito disposto dal questore.

Per ciò che riguarda quest'ultimo in particolare, la vaghezza dei presupposti che ne legittimano l'adozione, che lasciano all'autorità di pubblica sicurezza una pressoché totale discrezionalità nella scelta del provvedimento da adottare (espulsione o respingimento) (55), rischia di compromettere in numerosi casi, l'applicazione della disciplina dettata dalla direttiva. Infatti, laddove si potesse adottare un provvedimento di respingimento in luogo di un provvedimento di espulsione, così eludendo l'applicazione della direttiva, se ne vanificherebbe senz'altro l'effetto utile. È però prospettabile anche un'interpretazione restrittiva dell'ambito di operatività della facoltà di esclusione dalla sfera applicativa della direttiva del 'respingimento differito'. Secondo l'articolo 10, comma 2, lettera a) T.U. Immigrazione, il respingimento può essere disposto dal questore nei confronti degli stranieri che siano fermati "all'ingresso", ovvero "subito dopo". L'articolo 2, paragrafo 2, lettera a) della direttiva consente di escludere dalla sua applicazione i cittadini di Paesi terzi "fermati o scoperti dalle competenti autorità in occasione dell'attraversamento irregolare" (56). In base al tenore letterale della norma europea, che sembrerebbe riferirsi soltanto alle persone fermate o scoperte all'atto di attraversare le frontiere ('in flagranza'), si potrebbe ritenere che il respingimento differito disposto nei confronti di chi sia stato fermato non "all'ingresso", ma "subito dopo" non sia riconducibile alla previsione della direttiva che consente agli Stati di non applicarne le norme.

Inoltre, sono esclusi, secondo l'articolo 2, paragrafo 3, i beneficiari del diritto comunitario alla libera circolazione, come definiti dall'articolo 2, paragrafo 5 del codice frontiere di Schengen (57). Sono fatte salve le eventuali disposizioni più favorevoli derivanti dall'acquis comunitario in materia di immigrazione e asilo, ovvero da accordi bilaterali o multilaterali conclusi dalla Comunità e/o dagli Stati membri con Paesi terzi (58).

Da sottolineare che l'articolo 4, paragrafo 4 prevede che anche nei confronti dei cittadini di paesi terzi esclusi dall'ambito di applicazione della direttiva in base all'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), gli Stati sono obbligati a garantire un livello minimo di tutela (59) e al rispetto del generale principio di non-refoulement (60).

Il secondo caso in cui agli Stati è concessa facoltà di derogare al regime dettato dalla direttiva, riguarda il rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale, ovvero gli stranieri che siano sottoposti a procedura di estradizione. Il motivo di tale causa di esclusione può essere individuato nella volontà di non

interferire con provvedimenti di espulsioni disposti dall'autorità giudiziaria, a conclusione di procedimenti penali per i quali l'intervento comunitario dovrebbe essere adottato su una diversa base giuridica, rientrando tecnicamente nelle misure di cooperazione giudiziaria in materia penale disciplinate dal titolo VI del TUE (61).

Accogliendo un'interpretazione estensiva della suddetta causa di esclusione la si potrebbe ritenere applicabile anche nel caso di sanzione penale conseguente al reato di ingresso irregolare, previsto soltanto da alcuni Stati membri, tra i cui l'Italia (62), con la conseguenza di vanificare le finalità della direttiva (63). In base ai principi di leale collaborazione ed effetto utile, gli Stati membri sono tenuti ad adottare ogni misura di carattere generale o particolare necessaria ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dal diritto europeo; parallelamente essi sono tenuti ad astenersi dall'assumere qualsiasi misura che possa ostacolare la realizzazione degli obiettivi dell'Unione (64). È evidente che l'introduzione di una norma che punisce la mera condizione di irregolarità della presenza sul territorio di uno Stato membro, viola il principio di leale collaborazione in quanto, facendo derivare il provvedimento di rimpatrio dall'irrogazione di una sanzione penale, si cerca di restringere l'ambito di applicazione della direttiva. In merito all'ampiezza da riconoscere alla norma in esame in relazione al principio di effetto utile, risolutiva è stato l'intervento della Corte di Giustizia con la sentenza 'Achughbabian' (65), di cui pertanto è utile ripercorrere i passaggi fondamentali.

3.2.1 La sentenza 'Achughbabian'

In sintesi, la causa principale da cui è scaturita la questione pregiudiziale sottoposta alla Corte di Giustizia è così riassumibile (66): il sig. Achughbabian, mentre era sottoposto alla misura della garde à vue (67) perché sospettato del reato di ingresso e permanenza irregolare di cui all'articolo L. 621-1 del Code de l'entrée et du séjour des étrangers et du droit d'asile (Ceseda), era stato notificato il provvedimento che disponeva l'allontanamento coattivo e il trattenimento. Nel giudizio davanti al giudice della libertà e della detenzione, adito ai fini della proroga del trattenimento oltre le 48 ore ai sensi dell'articolo L. 552-1 del Ceseda (68), fra le eccezioni sollevate dall'interessato, citando la sentenza 'El Dridi', vi era l'incompatibilità tra la pena detentiva prevista dall'articolo L. 621-1 e il diritto dell'Unione, sostenendo che, alla luce di tale incompatibilità e in ragione del fatto che la garde à vue può essere disposta solo in caso di sospetto di un reato punibile con la reclusione, il procedimento seguito sarebbe irregolare.

La questione pregiudiziale, posta dalla Corte d'appello di Parigi alla Corte di Giustizia, era quindi se la direttiva 2008/115/CE fosse ostativa ad una norma nazionale, come l'articolo L. 621-1 del Ceseda (69), che punisce l'ingresso e il soggiorno irregolare con una sanzione detentiva (un anno di reclusione).

La Corte di Giustizia, nella sentenza in esame, esordisce affermando che l'oggetto della direttiva 2008/115/CE è soltanto il rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi in posizione irregolare, senza avere l'obiettivo di armonizzare integralmente le norme interne sul soggiorno degli stranieri. Pertanto, la direttiva in primo luogo,

non vieta che il diritto di uno Stato membro qualifichi il soggiorno irregolare alla stregua di reato e preveda sanzioni penali per scoraggiare e reprimere la commissione di siffatta infrazione delle norme nazionali in materia di soggiorno. (70)

In secondo luogo, essa non osta a che lo Stato preveda una detenzione finalizzata a determinare se il soggiorno di un paese terzo sia regolare o meno (71). A questa conclusione la Corte giunge facendo leva su due argomenti. Da un lato richiama il considerando n. 17 della direttiva, da cui "si deduce che le condizioni dell'arresto iniziale dei cittadini di Paesi terzi sospettati di soggiornare in modo irregolare in uno Stato membro rimangono disciplinate dal diritto nazionale" (72). Dall'altro la Corte ha fatto leva sul principio dell'effetto utile, affermando che la finalità della direttiva - l'efficace esecuzione dei rimpatri - sarebbe frustrata se non si consentisse agli Stati di imporre una privazione di libertà funzionale ad impedire la fuga della persona sospettata di soggiornare irregolarmente prima del chiarimento della sua posizione.

Dalla sentenza in commento si evince con chiarezza che la Corte intende la direttiva come prioritariamente finalizzata a garantire l'effettività delle procedure di rimpatrio, accettando un sacrificio della libertà personale dello straniero nella misura in cui questa sia funzionale al conseguimento dell'obiettivo. Con la posizione assunta in merito alla detenzione dello straniero sospettato di trovarsi in posizione irregolare, la Corte declassa il temporaneo sacrificio della libertà personale "ad interesse marginale, se non addirittura irrilevante, rispetto alle esigenze connesse al perseguimento delle finalità della direttiva" (73).

La Corte precisa poi che la privazione della libertà dello straniero, finalizzata all'accertamento della sua posizione, deve essere di breve (ma ragionevole) durata e che le autorità nazionali competenti sono tenute ad agire con diligenza e a pronunciarsi rapidamente sulla regolarità o meno del soggiorno. Affermando che una volta che l'irregolarità sia stata accertata, le autorità competenti devono emanare una decisione di rimpatrio ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1 della direttiva (74), la Corte risolve definitivamente la questione dell'individuazione del momento iniziale della procedura di rimpatrio (75). Nel corso di detta procedura gli Stati, dovendo adoperarsi per conseguire l'obiettivo dell'effettivo allontanamento, non possono applicare una normativa penale che ne ostacoli il conseguimento. Secondo la Corte le misure che lo Stato membro può adottare ai sensi dell'articolo 8, paragrafi 1 e 4 della direttiva per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, sono tutti gli interventi, compreso il trattenimento che siano "teleologicamente orientati all'esecuzione, in modo 'efficace' e 'proporzionato' della decisione di rimpatrio, e cioè all'allontanamento dello straniero irregolare dal territorio dello Stato" (76). Tra queste non rientra la pena detentiva che venga irrogata nel corso della procedura di rimpatrio, la quale non contribuisce alla realizzazione dell'allontanamento (77). L'articolo L. 621-1 del Ceseda, e la procedura di rimpatrio delineata dalla direttiva hanno il medesimo presupposto fattuale e giuridico (78) - l'irregolarità della presenza sul territorio - dal quale derivano però conseguenze tra loro in rapporto di incompatibilità. Di conseguenza, la norma francese è idonea ad ostacolare l'applicazione delle norme e procedure comuni stabilite dalla direttiva 2008/11/CE, ritardando il rimpatrio e così pregiudicandone l'effetto utile (79).

La Corte replicando al governo francese che riteneva applicabile al reato di clandestinità la deroga di cui all'articolo 2, paragrafo 2, lettera b) della direttiva, ha chiarito l'interpretazione da dare a quest'ultimo, nel senso che esso

non può manifestamente essere interpretato, salvo privare la direttiva della sua ratio e del suo effetto vincolante, nel senso che gli Stati membri possano omettere di applicare le norme e procedure comuni previste dalla direttiva in parola ai cittadini di paesi terzi che abbiano commesso solo l'infrazione consistente nel soggiorno irregolare (80).

La sanzione detentiva per la mera irregolarità del soggiorno non può nemmeno, in ossequio al principio di effetto utile, intervenire prima della procedura di rimpatrio. In base al generale principio di lealtà e all'esigenza di garantire l'efficacia delle procedure di rimpatrio, gli Stati sono obbligati a procedere all'allontanamento con la "massima celerità", "così non sarebbe se lo Stato anteponesse all'esecuzione della decisione di rimpatrio, o addirittura alla sua stessa adozione un procedimento penale, eventualmente seguito dalla pena della reclusione" (81).

In definitiva, secondo la Corte, le sanzioni penali per il reato di ingresso e soggiorno irregolare non possono essere applicate prima e nel corso della procedura di rimpatrio stabilita dalla direttiva, poiché in caso contrario se ne pregiudicherebbe l'effetto utile. Gli Stati sono però liberi di applicare dette sanzioni al termine della procedura espulsiva, nei confronti dello straniero che non sia stato possibile allontanare e che continui a soggiornare irregolarmente nel loro territorio, "purché non sussista un giustificato motivo che ne preclude il rimpatrio" (82).

Il giustificato motivo che preclude il rimpatrio potrebbe ritenersi sussistere non soltanto nei confronti di quanti non possano essere espulsi per divieto del diritto internazionale (o interno), ma anche di coloro che non possono essere allontanati per questioni da loro indipendenti (come ad esempio il rifiuto da parte del Paese d'origine di riconoscerne la cittadinanza). Non si ritiene che si possano riversare sugli stranieri irregolari "le conseguenze di una incapacità statuale di espellerli, sanzionandoli penalmente perché non eseguono volontariamente un ordine a cui lo Stato non è riuscito a dare coattivamente attuazione" (83).

In ragione delle considerazioni svolte, non si può non dare alla lettera b) dell'articolo 2, paragrafo 2, un'interpretazione restrittiva, consentendo di escludere dall'applicabilità della direttiva soltanto i casi in cui la sanzione penale sia conseguenza di fattispecie diverse dal reato di ingresso o permanenza irregolare (84).

3.3 La decisione di rimpatrio

L'articolo 6, paragrafo 1 stabilisce che ciascuno Stato membro adotti una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel proprio territorio sia irregolare, situazione che si verifica quando

la presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni di ingresso di cui all'articolo 5 del codice frontiere di Schengen o altre condizioni d'ingresso, di soggiorno di residenza in tale Stato membro. (85)

La direttiva, limitandosi ad occuparsi della sola procedura di rimpatrio, non si fa carico di fornire regole comuni per quanto concerne la fine del soggiorno regolare, restando prerogativa degli Stati stabilirne le condizioni (86); pertanto anche la definizione di "decisione di rimpatrio" è data in termini estremamente ampi, potendosi trattare di qualsiasi "decisione o atto amministrativo o giudiziario che attesti o dichiari l'irregolarità del soggiorno di un cittadino di paesi terzi e imponga o attesti l'obbligo di rimpatrio" (87).

I paragrafi da 2 a 5 dell'articolo 6 individuano i casi in cui gli Stati derogheranno all'adozione di una decisione di rimpatrio. Ciò avviene in primo luogo quando il cittadino di un paese terzo irregolarmente presente sul territorio dello Stato membro interessato sia in possesso di un permesso di soggiorno o altra autorizzazione che gli conferisca il diritto di soggiorno rilasciata da un altro Stato membro. In tal caso il cittadino di paese terzo dovrà immediatamente recarsi nel territorio dello Stato che ha rilasciato il titolo di soggiorno, nel caso in cui non ottemperi a questa prescrizione, ovvero nell'ipotesi in cui sussistano motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale tali da imporre la sua immediata partenza, lo Stato membro nel cui territorio questi si trovi potrà adottare una decisione di rimpatrio (88). In secondo luogo, secondo il paragrafo 3, agli Stati è data facoltà ("possono") di astenersi dall'emissione della decisione di rimpatrio qualora un altro Stato membro, in base ad accordi o intese bilaterali vigenti al momento dell'entrata in vigore della direttiva, riprenda il cittadino di Paese terzo interessato. In tal caso sarà quest'ultimo Stato, in base al rinvio al paragrafo 1 della medesima disposizione, a dover eventualmente adottare una decisione di rimpatrio (89).

Gli Stati membri possono comunque decidere in qualsiasi momento di rilasciare un permesso di soggiorno, o altra autorizzazione che conferisca il diritto a soggiornare, per motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura a un cittadino di paese terzo irregolarmente presente sul loro territorio. In tal caso lo Stato non emette la decisione di rimpatrio, ovvero, nel caso questa sia già stata adottata, la revoca o la sospende per il periodo di validità del titolo di soggiorno concesso (90).

Infine, lo Stato deve valutare l'opportunità di astenersi dal disporre il rimpatrio nel caso in cui l'interessato si trovi nelle more della definizione della procedura per il rinnovo del permesso di soggiorno, o altra autorizzazione che conferisce un diritto al soggiorno, attendendo il completamento della suddetta procedura (91).

3.4 La modalità di esecuzione del rimpatrio: partenza volontaria, allontanamento forzato, trattenimento

La definizione di rimpatrio adottata presenta contorni ampi, poiché essa ricomprende il processo di ritorno, sia esso volontario o forzoso, di un cittadino di paese terzo non soltanto verso il paese d'origine, ma altresì verso quello di transito, sulla base di accordi comunitari o bilaterali o di altre intese, e, verso un altro paese terzo in cui l'interessato decida volontariamente di recarsi e che lo accetti (92). In particolare la possibilità di inviare l'interessato in un paese di transito, in base ad accordi stipulati tra gli Stati coinvolti, prevista al fine di superare alcune difficoltà che gli Stati incontrano nella procedura di rimpatrio (come ad esempio la mancata cooperazione da parte dei paesi terzi interessati), desta preoccupazioni legate al fatto che tale possibilità sia prevista a prescindere dalla volontà della persona soggetta a rimpatrio. Inoltre, nonostante la direttiva stessa, i Trattati e la CEDU impongano obblighi agli Stati per ciò che concerne il rispetto dei diritti fondamentali, e, in particolare, il rispetto del principio di non-refoulement, vi è il rischio che

queste persone, una volta riportate nel Paese di transito, siano trattati, o persino detenuti, in modo non conforme al rispetto dei diritti fondamentali, e che, una volta obbligati a ripartire verso la loro terra d'origine - viste anche le forme ed i mezzi di collegamento e trasporto diverse da quelle che caratterizzano invece il territorio europeo - siano lasciati alla mercé di quegli stessi trafficanti che li hanno guidati e trasportati nella parte iniziale del loro viaggio verso il continente europeo.

Possibilità non del tutto peregrine, soprattutto per quel che riguarda i Paesi del bacino del mediterraneo che si affacciano sulla sponda africana: Paesi le cui forme di governo sono dittatoriali o, comunque, i cui Governi certo non si distinguono per attivismo e sensibilità verso i diritti umani o fondamentali delle persone (93).

3.4.1 La partenza volontaria

Le modalità stabilite dalla direttiva per lo svolgimento del processo di rimpatrio sono improntate alla gradualità (94). Di regola gli Stati dovrebbero procedere assegnando all'interessato un termine, compreso tra sette e trenta giorni, entro cui lasciare il loro territorio volontariamente. Tale termine può essere prorogato nell'interesse del cittadino di un paese terzo, per un "periodo congruo tenendo conto delle circostanze specifiche del caso individuale, quali la durata del soggiorno, l'esistenza di bambini che frequentano la scuola e l'esistenza di altri legami familiari o sociali" (95). Dall'altro lato, però, tale termine può essere ridotto o addirittura escluso in determinanti casi: quando sussiste pericolo di fuga, quando una domanda di soggiorno regolare sia stata respinta perché manifestamente infondata o fraudolenta, ovvero qualora l'interessato rappresenti un pericolo per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale (96). È lasciata facoltà agli Stati di stabilire se il termine per la partenza volontaria debba essere concesso in tutti i casi o solo su richiesta del soggetto interessato, ma, in questo secondo caso, egli deve essere informato della facoltà di richiedere l'assegnazione di un termine (97). Durante il periodo di tempo concesso per la partenza volontaria (che può comunque avvenire in qualsiasi momento prima della scadenza del termine), all'interessato possono essere imposti obblighi diretti ad evitare il rischio di fuga. È compito degli Stati membri definire nel dettaglio detti obblighi, la direttiva si limita a citarne alcuni a titolo esemplificativo: obbligo di presentazione periodica davanti all'autorità; costituzione di un'adeguata garanzia finanziaria; consegna dei documenti ovvero obbligo di dimorare in un determinato luogo.

In merito al rischio di fuga è importante sottolineare che la direttiva impone che esso sia valutato in relazione al caso individuale, dovendo consistere nella sussistenza di "motivi basati su criteri obiettivi, definiti dalla legge per ritenere che un cittadino si una paese terzo oggetto di una procedura di rimpatrio possa tentare la fuga" (98).

3.4.2 Allontanamento. Rinvio dell'allontanamento. Rimpatrio di minori non accompagnati

Alla regola della partenza volontaria, intorno alla quale si incentra la direttiva in linea con gli orientamenti precedentemente espressi a livello comunitario (99), è permesso derogare in alcune ipotesi tassative indicate dall'articolo 8, paragrafo 1 (100): quando non sia stato concesso un termine per la partenza volontaria, a norma dell'articolo 7, paragrafo 4, ovvero quando il termine assegnato sia scaduto senza che l'interessato abbia ottemperato all'obbligo di lasciare il territorio dello Stato membro. In questi casi lo Stato adotta tutte le misure necessarie per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio.

Nell'ipotesi in cui uno Stato membro opti per la concessione del termine soltanto su richiesta dell'interessato, la direttiva non dice quali possano essere gli effetti dell'omessa presentazione della richiesta. In particolare non si capisce se la conseguenza debba essere la stessa della mancata concessione del termine: l'esecuzione coattiva dell'espulsione ai sensi dell'articolo 8 della direttiva.

Il ricorso a misure coercitive, secondo l'articolo 8, paragrafo 4, è consentito soltanto "in ultima istanza", nei confronti di un cittadino di un paese terzo che "oppone resistenza", e in ogni caso devono essere proporzionate e non eccedere un uso ragionevole della forza, inoltre esse devono essere attuate in conformità con la legislazione nazionale nel rispetto dei diritti fondamentali e della dignità e integrità fisica dell'interessato, nel suo superiore interesse (101).

Sono poi previsti casi di rinvio dell'allontanamento, alcuni dei quali sono obbligatori, altri facoltativi. Gli Stati devono rinviare l'allontanamento quando esso violi il principio di non-refoulement, ovvero in ossequio alla sospensione concessa a norma dell'articolo 13, paragrafo 2, il quale prevede che l'organo o autorità competenti a rivedere le decisioni connesse al rimpatrio possano sospenderne l'esecuzione (102).

Gli Stati hanno invece una mera facoltà di disporre il rinvio "per un congruo periodo", in relazione a specifiche circostanze del caso concreto (103), in particolare essi devono tenere in considerazione le condizioni fisiche o mentali dello straniero interessato e le ragioni tecniche come l'assenza di mezzi di trasporto o la mancata identificazione (104). Sia in caso di rinvio obbligatorio che facoltativo all'interessato possono essere imposti i medesimi obblighi previsti per il periodo di durata del termine per la partenza volontaria (105) di cui all'articolo 7, paragrafo 3 (106).

3.4.3 Il trattenimento ai fini dell'allontanamento

Nel sistema di rimpatrio delineato dalla direttiva 2008/115/CE il trattenimento in attesa di allontanamento si configura quale estrema ratio (107), potendo essere adottato soltanto alla duplice condizione della non efficacia di altre misure meno coercitive e della sussistenza dei presupposti richiesti dall'articolo 15. Quest'ultimo stabilisce che il trattenimento può essere disposto soltanto in presenza di un rischio di fuga, ovvero nel caso in cui il cittadino del paese terzo eviti od ostacoli la preparazione del rimpatrio o dell'allontanamento. Inoltre il trattenimento deve avere durata quanto più breve possibile, dovendo essere mantenuto soltanto per il tempo necessario all'espletamento della procedura di rimpatrio, e deve essere finalizzato esclusivamente alla preparazione del rimpatrio e/o ad effettuare l'allontanamento, stante il suo carattere di strumentalità. Come è stato affermato dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea,

il trattenimento ai fini dell'allontanamento è mantenuto solo per il tempo necessario all'espletamento diligente delle modalità di rimpatrio, purché sia necessario ad assicurare che l'allontanamento sia eseguito. (108)

A ulteriore conferma del fatto che il trattenimento deve essere strettamente funzionale all'esecuzione dell'allontanamento il paragrafo 4 dell'articolo 15 stabilisce che:

Quando risulta che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono più le condizioni di cui al paragrafo 1, il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata.

Su questo punto si è espressa anche la Corte di Giustizia, nella già citata sentenza Kadzoev, affermando che la "ragionevole prospettiva di allontanamento" non esiste "quando sembra poco probabile che l'interessato sia accolto in un paese terzo" entro i termini di cui all'articolo 15, paragrafi 5 - 6 (109), oltre i quali la sussistenza o meno di una ragionevole prospettiva di allontanamento non deve più essere presa in considerazione, dovendosi in ogni caso liberare l'interessato (110).

Il venir meno di ogni ragionevole prospettiva di conseguire l'obiettivo del rimpatrio, così come la decorrenza dei termini massimi, importa l'immediata liberazione dello straniero trattenuto; ciò che la direttiva omette di disciplinare è lo status dei cittadini di Paesi Terzi irregolari non rimpatriati. Essa afferma che gli Stati devono porre fine al soggiorno irregolare (111), allontanando il cittadino di Paese terzo, ovvero regolarizzando la sua presenza sul territorio, potendo in qualsiasi momento conferire un'autorizzazione al soggiorno (112). In questo modo la direttiva formalmente esclude che gli stranieri non rimpatriati possano rimanere in una sorta di 'limbo', inespellibili ma senza essere regolari. Il problema è che non vi è alcuna indicazioni su quale sia la strada che gli Stati devono percorre: se continuare a perseguire l'obiettivo dell'allontanamento, eventualmente imponendo misure che prevengano il rischio di fuga, ad eccezione, naturalmente del trattenimento, la cui durata massima è inderogabile, ovvero regolarizzare la posizione del cittadino di Paese terzo non allontanato (113).

La Commissione europea, nella Comunicazione sulla migrazione del 5 maggio 2011, COM(2011) n. 248, mostra di avere consapevolezza del problema e si impegna a presentare nel 2012 una Comunicazione, nella quale indicherà le misure da prendere in materia di rimpatrio, tra le quali "affrontare la situazione dei migranti in posizione di irregolarità che non possono essere rimpatriati" (114).

Il trattenimento può essere disposto da autorità giudiziarie o amministrative, con atto scritto e motivato in fatto e in diritto. Nel caso in cui quest'ultimo provenga da un'autorità amministrativa, la direttiva stabilisce che gli Stati membri

  1. prevedono un pronto riesame giudiziario della legittimità del trattenimento su cui decidere entro il più breve tempo possibile dall'inizio del trattenimento
  2. oppure accordano al cittadino di un paese terzo interessato il diritto di presentare ricorso per sottoporre ad un pronto riesame giudiziario la legittimità del trattenimento su cui decidere nel più breve tempo possibile dall'avvio del relativo procedimento. In tal caso gli Stati membri informano immediatamente il cittadino del paese terzo in merito alla possibilità di presentare ricorso.

In entrambi i casi, il trattenimento, in quanto limitativo della libertà personale (115), deve essere sottoposto ad un controllo giurisdizionale, nonché, secondo il paragrafo 3 dell'articolo 15, periodicamente riesaminato su richiesta dell'interessato o d'ufficio. La norma aggiunge che, in caso di periodi di trattenimento prolungati, tale riesame deve essere sottoposto al controllo di un'autorità giudiziaria, senza però precisare cosa debba intendersi per "periodi di trattenimento prolungati", se il riferimento sia alla proroga massima consentita di 12 mesi di cui al successivo paragrafo 6, ovvero ad un minor tempo che spetta agli Stati membri fissare.

Dopo aver ribadito che il trattenimento deve perdurare soltanto per il tempo necessario ad assicurare l'esecuzione dell'allontanamento e fin quando sussistano le condizioni che lo legittimano, la direttiva lascia agli Stati membri la facoltà di determinarne la durata, stabilendo che essa non deve superare i 6 mesi (116). È però consentito prorogare il periodo di trattenimento per ulteriori 12 mesi, arrivando ad un totale di ben 18 mesi, qualora, "nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole" sforzo, le operazioni di allontanamento rischino di durare più a lungo. L'estensione del periodo di trattenimento può essere disposta quando la mancata esecuzione dell'allontanamento sia dovuta alla mancata cooperazione da parte della persona sottoposta a rimpatrio, ovvero a ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione da Paesi terzi (117). Nel primo caso si tratta di un comportamento omissivo da parte dell'interessato, che si limita a non collaborare al rimpatrio, differentemente da quanto richiesto per disporre il trattenimento iniziale, per legittimare il quale è necessario che egli eviti od ostacoli la preparazione del rimpatrio.

Ne consegue che per disporre il trattenimento si richiede - correttamente - un comportamento attivo, mentre per la sua successiva estensione fino al triplo del tempo (da 6 a 18 mesi) - rischiando così di andare ben oltre la ragionevolezza e la brevità richieste dalla stessa norma - si potrà prendere il considerazione anche il solo comportamento passivo (118).

Nella seconda ipotesi non è richiesto nemmeno un comportamento omissivo dell'interessato: l'estensione del trattenimento può essere disposta a causa di ritardi nell'ottenimento della documentazione dai Paesi terzi, così prescindendo completamente da qualsiasi responsabilità della persona trattenuta, su cui "graveranno le eventuali incapacità degli apparati burocratici interessati" (119). L'elevata durata del periodo di trattenimento è senz'altro uno dei punti maggiormente criticati della direttiva rimpatri sul piano del rispetto dei diritti fondamentali (120). In riferimento alla durata massima del trattenimento la Corte di Giustizia ha precisato che

l'art. 15, nn. 4 e 6, della direttiva 2008/115 dev'essere interpretato nel senso che non consente, quando il periodo massimo di trattenimento previsto dalla direttiva sia scaduto, di non liberare immediatamente l'interessato in quanto egli non è in possesso di validi documenti, tiene un comportamento aggressivo e non dispone di mezzi di sussistenza propri né di un alloggio o di mezzi forniti dallo Stato membro a tale fine (121).

Ulteriori perplessità destano le modalità del trattenimento delineate dalla direttiva. In primo luogo è previsto che il trattenimento avvenga in apposti centri soltanto "di norma", potendo gli Stati ricorrere alla sistemazione in istituti penitenziari, qualora non sia possibile "ospitare" l'interessato in uno dei suddetti centri (122). Quest'ultima previsione, da un lato alimenta l'associazione tra criminalità e immigrazione irregolare, dall'altro sacrifica le esigenze dei trattenuti, che, in particolare per coloro che rientrano tra le 'persone vulnerabili' (123), richiedono personale di formazione diversa da quella del personale penitenziario (124). L'articolo 16, paragrafo 2, prevede che la possibilità di comunicare con familiari, rappresentanze legali e consolari sia concessa "a tempo debito", espressione quanto mai indeterminata, che preoccupa in particolare in relazione alle esigenze di difesa (125). Devono comunque essere garantite le prestazioni sanitare d'urgenza e il trattamento delle malattie (126); inoltre gli stranieri trattenuti devono essere informati sulle norme vigenti e sui loro diritti e obblighi, nonché della possibilità di mettersi in contatto con quegli organismi e organizzazioni nazionali, internazionali e non governativi che possono accedere ai centri (127), eventualmente previa autorizzazione (128).

In mancanza di una, non meglio precisata, "altra soluzione", sono soggetti a trattenimento anche i minori non accompagnati e le famiglie con minori, con l'unico limite che esso deve durare "il più breve tempo possibile". Le famiglie devono poter usufruire di una "sistemazione separata che assicuri loro adeguato rispetto della vita privata" (129); per i minori (anche non accompagnati (130)) è prevista la possibilità di svolgere attività di svago consone alla loro età, e, "in funzione della durata della permanenza, è dato loro accesso all'istruzione" (131).

3.5 Le garanzie procedurali

Le scarse garanzie procedurali avverso le decisioni di rimpatrio (e, se emesse con atto separato (132), le decisioni di divieto di ingresso (133) e le decisioni di allontanamento), sono contenute negli articoli 12 e 13 della direttiva. Il primo si limita a imporre che le decisioni di rimpatrio siano redatte in forma scritta, motivate in fatto e in diritto e che contengano l'indicazione dei mezzi di ricorso disponibili. È però previsto che le motivazioni in fatto possano essere ridotte se la legislazione nazionale consente di limitare il diritto di informazione per motivi legati alla salvaguardia della sicurezza nazionale, della difesa, della pubblica sicurezza, nonché per la prevenzione, le indagini, l'accertamento e il perseguimento dei reati (134). L'obbligo di traduzione, che, oltre ad essere previsto unicamente su richiesta dell'interessato può essere assolto anche solo oralmente, si limita ai "principali elementi delle decisioni connesse al rimpatrio", includendo tra queste le modalità di impugnazione, che devono essere tradotti in una lingua comprensibile, o 'ragionevolmente' supposta tale. L'illustrazione orale delle modalità di impugnazione, per di più in una lingua che può essere anche soltanto presumibilmente nota all'interessato, desta preoccupazione riguardo all'effettività dell'esercizio del diritto di difesa (135). Inoltre, nei confronti di cittadini di paesi terzi che siano entrati irregolarmente nel territorio dello Stato membro e che non abbiano poi ottenuto un'autorizzazione al soggiorno, è lasciata facoltà agli Stati di decidere di non applicare il paragrafo 2 dell'articolo 12, riguardante la traduzione. In tal caso le decisioni connesse al rimpatrio vengono adottare utilizzando un modello uniforme in base alla legislazione nazionale, di cui soltanto gli elementi principali devono essere contenuti in schede informative generalizzate che gli Stati devono predisporre in almeno cinque delle lingue più frequentemente usate o conosciute dagli stranieri irregolari (136). Prevedere che tutte le decisioni connesse al rimpatrio possano essere emesse utilizzando un modello uniforme stride con il principio, espresso nel considerando n. 6, secondo sui le decisioni "dovrebbero essere adottate caso per caso e tenendo conto di criteri obiettivi, non limitandosi quindi a prendere in considerazione il semplice fatto del soggiorno irregolare", con il rischio di una standardizzazione delle decisioni di rimpatrio (137).

Quanto ai mezzi di ricorso, secondo l'articolo 13, paragrafo1, essi devono essere effettivi, davanti ad un'autorità giudiziaria o amministrativa, ovvero ad altro organo competente, purché sia composto da membri imparziali, che offrono garanzie di indipendenza. Tali organi hanno la facoltà di rivedere le decisioni connesse al rimpatrio, potendo anche sospenderne l'esecuzione, salvo che la sospensione sia già applicabile secondo il diritto interno (138). Al cittadino del paese terzo interessato è riconosciuta la possibilità di farsi rappresentare da un legale, ed eventualmente avvalersi di una consulenza linguistica (139). Infine, il paragrafo 4 impone agli Stati di provvedere affinché

sia garantita, su richiesta, la necessaria assistenza e/o rappresentanza legale gratuita ai sensi della pertinente legislazione o regolamentazione nazionale in materia e possono disporre che tale assistenza e/o rappresentanza legale gratuita sia soggetta alle condizioni di cui all'articolo 15, paragrafi da 3 a 6, della direttiva 2005/85/CE (140).

La scadenza termine per l'attuazione di quest'ultima disposizione, a causa della difficoltà che essa presenta per alcuni Stati membri (141), è stata fissata al 24 dicembre 2011, un anno dopo quello stabilito per il recepimento delle altre parti della direttiva.

3.6 Il divieto di ingresso

Le decisioni di rimpatrio devono contenere un divieto di ingresso qualora non venga concesso un termine per la partenza volontaria, quindi nei casi previsti dall'articolo 7, paragrafo 4, ovvero nel caso in cui il termine concesso non sia stato rispettato e il cittadino di paese terzo non abbia quindi ottemperato all'obbligo di rimpatrio; gli Stati possono comunque corredare le decisioni di rimpatrio di un divieto di ingresso anche negli altri casi (142). Nell'ottica di favorire i rimpatri volontari, incentivando il rispetto del termine contenuto nella decisione di rimpatrio (143), la direttiva prevede che gli Stati valutino la revoca o la sospensione del divieto di ingresso se l'interessato è in grado di "dimostrare di aver lasciato il territorio di uno Stato membro in piena ottemperanza di una decisione di rimpatrio" (144).

La durata del divieto non può di regola superare i 5 anni, salvo che la persona interessata rappresenti una grave minaccia per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale, e deve essere determinata in considerazione di tutte le circostanze specifiche del caso individuale (145).

Agli Stati membri è lasciato un ampio spazio discrezionale in materia, infatti essi possono astenersi dall'emettere, ovvero revocare o sospendere un divieto di ingresso sia in casi individuali per motivi umanitari, sia per altri motivi in casi individuali o per alcune categorie di persone. Inoltre uno Stato membro può decidere di ammettere sul proprio territorio, rilasciando un permesso di soggiorno o altra autorizzazione, un cittadino di paese terzo colpito da divieto d'ingresso disposto da un altro Stato membro, previa mera consultazione di quest'ultimo e tenendone in considerazione gli interessi (146).

Note

1. A. Adinolfi, "La libertà di circolazione delle persone e la politica dell'immigrazione", in G. Strozzi (a cura di), Diritto dell'Unione europea - Parte speciale, Torino, Giappichelli, 2010, pp. 125-126.

2. G. Cellamare, La disciplina dell'immigrazione nell'Unione europea, Torino, Giappichelli, 2006, pp. 21 e ss.

3. Consentendo però a tre Stati (Regno Unito, Irlanda e Danimarca) di non accettare tale trasferimento di competenze.

4. L. Manca, L'immigrazione nel diritto dell'Unione europea, Milano, Giuffré, 2003, p. 171.

5. C. Favilli, I principali atti adottati dall'Unione europea in dieci anni di politica di immigrazione e di asilo, "Diritto, immigrazione e cittadinanza", 2009, 3, p. 14.

6. Originariamente prevista come parte della cooperazione GAI (cd. Terzo pilastro), con il Trattato di Amsterdam essa risultava ripartita tra il Primo e il Terzo pilastro.

7. "La nuova denominazione del Trattato sulla Comunità europea, lungi dall'essere meramente formale, rivela il ben più significativo cambiamento costituito della scomparsa della Comunità europea come soggetto giuridico e della sua sostituzione da parte dell'Unione europea (art. 1, par. 3 TUE) che acquisisce piena personalità giuridica anche nei settori della PESDC (politica estera e di sicurezza comune) e della GAI (Giustizia e affari interni)" C. Favilli, La competenza dell'Unione europea in materia di visti, asilo e immigrazione alla luce del trattato di Lisbona, ASGI.

8. Ivi.

9. Articolo 67, paragrafo 1 TFUE.

10. A. Adinolfi, "La libertà di circolazione delle persone e la politica dell'immigrazione", in G. Strozzi (a cura di), Diritto dell'Unione europea - Parte speciale, cit.

11. Si citano a titolo esemplificativo: Regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di Paese terzo; Regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 marzo 2006 che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen); Direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000 che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro; Direttiva 2003/86/CE del Consiglio del 22 settembre 2003, relativa al ricongiungimento familiare; Direttiva 2003/109/CE del Consiglio del 25 novembre 2003 che disciplina lo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo...

12. Nel 2001 la Commissione europea condivideva il potere di iniziativa legislativa con gli Stati membri. A partire dal 2004, al termine del periodo transitorio previsto con il Trattato di Amsterdam, la Commissione ha riacquistato il monopolio dell'iniziativa, pur avendo l'obbligo di esaminare qualsiasi proposta proveniente dagli Stati membri.

13. A. Liguori, Le garanzie procedurali avverso l'espulsione degli immigrati in Europa, Napoli, Editoriale Scientifica, 2008, p. 150.

14. Direttiva 2001/40/CE del Consiglio, considerando n. 3.

15. Direttiva 2001/40/CE, Articolo 2, lettera b).

16. L. Aleni, La politica dell'Unione Europea in materia di rimpatrio e il rispetto dei diritti fondamentali, "Diritto dell'Unione Europea", 2006, 3, p. 590.

17. Articolo 4, Direttiva 2001/40/CE.

18. Consiglio dell'unione europea, "Proposta di piano globale per la lotta all'immigrazione clandestina e alla tratta degli esseri umani nell'Unione europea", Doc. n. 6621/1/02 del 28 febbraio 2002, p.23.

19. Ivi, p. 22.

20. Libro verde su una politica comunitaria di rimpatrio delle persone che soggiornano illegalmente negli stati membri, COM (2002) 175 def. del 10 aprile 2002, p. 3.

21. Ivi, p.8.

22. Ibid.

23. Ibid., la necessità di agire in entrambe le direzioni è più volte ribadita nel testo.

24. Ivi, allegato I.

25. Ivi, p. 13. Facendo riferimento alla Direttiva 2001/40/CE sul riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di paesi terzi, la Commissione individua due possibili cause obbligatorie di allontanamento, ossia: 1) condanna del cittadino di un paese terzo per un reato punibile con una pena privativa della libertà di almeno un anno; 2) cittadino di un paese terzo è oggetto di una che non rispetta le normative nazionali relative all'ingresso o al soggiorno degli stranieri.

26. Ad esempio: cittadini di paesi terzi che sono residenti di lungo periodo, i familiari rispettivamente di un cittadino dell'Unione o di un cittadino dello Stato membro interessato, i rifugiati e gli individui oggetto di altre forme di protezione internazionale, i cittadini di paesi terzi nati in uno Stato membro che non hanno mai vissuto nel paese di cui sono cittadini.

27. Libro verde su una politica comunitaria di rimpatrio delle persone che soggiornano illegalmente negli stati membri, cit., p. 14.

28. Ivi, p. 15.

29. Ivi, p. 16.

30. Ivi, p. 18.

31. Consiglio dell'Unione europea 4 - 5 novembre 2004, Conclusioni della Presidenza, n. 11, Doc. n. 10679/2/04.

32. La procedura di codecisione, introdotta con il Trattato di Maastricht e definita ora la procedura legislativa ordinaria, è descritta dall'articolo 294 TFUE. Essa si caratterizza per il fatto di porre sullo stesso piano Parlamento europeo e Consiglio, i quali concorrono all'emanazione dell'atto.

33. In particolare, il percorso di adozione della direttiva è stato segnato dalle seguenti tappe: 01.09.2005 adozione da parte della Commissione; 02.09.2005 Trasmissione al Consiglio; 02.09.2005 Trasmissione al Parlamento europeo; 27.04.2006 Parere del Comitato delle Regioni; 05.06.2008 Discussioni al Consiglio; 18.06.2008 Parere del Parlamento europeo in prima lettura; 18.06.2008 Posizione della Commissione sugli emendamenti; 08.12.2008 Approvazione da parte del Consiglio in prima lettura; 16.12.2008 Sottoscrizione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio.

34. Direttiva 115/20008/CE, considerando n. 20.

35. Considerando n. 4.

36. Considerando n. 5.

37. Considerando n. 8.

38. Considerando n. 6.

39. Ibid.

40. Considerando n. 11.

41. Considerando n. 10.

42. Considerando n. 13.

43. Considerando n. 16.

44. Ibid.

45. Considerando n. 17.

46. Considerando n. 26: "Nella misura in cui si applica ai cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni d'ingresso ai sensi del codice frontiere Schengen, la presente direttiva costituisce uno sviluppo delle disposizioni dell'acquis di Schengen cui il Regno Unito non partecipa, ai sensi della decisione 2000/365/CE del Consiglio, del 29 maggio 2000, riguardante la richiesta del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord di partecipare ad alcune disposizioni dell'acquis di Schengen; inoltre, ai sensi degli articoli 1 e 2 del protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell'Irlanda allegato al trattato sull'Unione europea e al trattato che istituisce la Comunità europea e fatto salvo l'articolo 4 di tale protocollo, il Regno Unito non partecipa all'adozione della presente direttiva e di conseguenza non ne è in alcun modo vincolato, né è soggetto alla sua applicazione".

47. Considerando n. 27: "Nella misura in cui si applica ai cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni d'ingresso ai sensi del codice frontiere Schengen, la presente direttiva costituisce uno sviluppo delle disposizioni dell'acquis di Schengen cui l'Irlanda non partecipa, ai sensi della decisione 2002/192/CE del Consiglio, del 28 febbraio 2002, riguardante la richiesta dell'Irlanda di partecipare ad alcune disposizioni dell'acquis di Schengen; inoltre, ai sensi degli articoli 1 e 2 del protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell'Irlanda allegato al trattato sull'Unione europea e al trattato che istituisce la Comunità europea e fatto salvo l'articolo 4 di tale protocollo, l'Irlanda non partecipa all'adozione della presente direttiva e di conseguenza non ne è in alcun modo vincolata, né è soggetta alla sua applicazione".

48. Considerando n. 28: Per quanto riguarda l'Islanda e la Norvegia, la presente direttiva, nella misura in cui si applica ai cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni di ingresso ai sensi del codice frontiere Schengen, costituisce uno sviluppo dell'acquis di Schengen ai sensi dell'accordo concluso tra il Consiglio dell'Unione europea e la Repubblica d'Islanda e il Regno di Norvegia sull'associazione di questi due Stati all'attuazione, all'applicazione e allo sviluppo dell'acquis di Schengen, che rientra nel settore contemplato all'articolo 1, punto C, della decisione 1999/437/CE del Consiglio, relativa ad alcune modalità per l'applicazione del suddetto accordo.

49. Considerando n. 30: "Per quanto riguarda il Liechtenstein, la presente direttiva, nella misura in cui si applica ai cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni di ingresso ai sensi del codice frontiere Schengen, costituisce uno sviluppo delle disposizioni dell'acquis di Schengen ai sensi del protocollo tra l'Unione europea, la Comunità europea, la Confederazione svizzera e il Principato del Liechtenstein sull'adesione del Principato del Liechtenstein all'accordo tra l'Unione europea, la Comunità Europea e la Confederazione svizzera riguardante l'associazione della Confederazione svizzera all'attuazione, all'applicazione e allo sviluppo dell'acquis di Schengen, che rientrano nel settore di cui all'articolo 1, punto C, della decisione 1999/437/CE, in combinato disposto con l'articolo 3 della decisione 2008/261/CE del Consiglio, sulla firma, a nome della Comunità europea, e sull'applicazione provvisoria di alcune disposizioni di tale protocollo".

50. Considerando n. 29: "Per quanto riguarda la Svizzera, la presente direttiva, nella misura in cui si applica ai cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni di ingresso ai sensi del codice frontiere Schengen, costituisce uno sviluppo delle disposizioni dell'acquis di Schengen ai sensi dell'accordo tra l'Unione europea, la Comunità europea e la Confederazione svizzera riguardante l'associazione della Confederazione svizzera all'attuazione, all'applicazione e allo sviluppo dell'acquis di Schengen, che rientrano nel settore di cui all'articolo 1, punto C, della decisione 1999/437/CE, in combinato disposto con l'articolo 3 della decisione 2008/146/CE del Consiglio, relativa alla conclusione, a nome della Comunità europea, di tale accordo.

51. M. Borraccetti, Il rimpatrio dei cittadini irregolari: armonizzazione (blanda) con attenzione (scarsa) ai diritti delle persone, "Diritto, immigrazione e cittadinanza", 2010, 1, p. 23.

52. Regolamento CE n. 562/2006 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 marzo 2006, istitutivo del codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone.

53. M. Borraccetti, Il rimpatrio dei cittadini irregolari: armonizzazione (blanda) con attenzione (scarsa) ai diritti delle persone, cit., p. 24.

54. Articolo 2, paragrafo 2.

55. Per i presupposti del respingimento 'differito' si veda supra cap. II, § 2.2.

56. Nel testo inglese: "who are apprehended or intercepted by the competent authorities in connection with the irregular crossing", in quello francese: "arrêtés ou interceptés par les autorités compétentes à l'occasion du franchissement irrégulier".

57. Articolo 2, paragrafo 5, Regolamento CE n. 562/2006: "a) i cittadini dell'Unione ai sensi dell'articolo 17, paragrafo 1, del trattato, nonché i cittadini di paesi terzi familiari di un cittadino dell'Unione che esercita il suo diritto alla libera circolazione sul territorio dell'Unione europea, ai quali si applica la direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione europea e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri; b) i cittadini di paesi terzi e i loro familiari, qualunque sia la loro nazionalità, che, in virtù di accordi conclusi tra la Comunità e i suoi Stati membri, da un lato, e tali paesi terzi, dall'altro, beneficiano di diritti in materia di libera circolazione equivalenti a quelli dei cittadini dell'Unione".

58. Articolo 4, paragrafi 1 - 2.

59. In particolare è previsto che gli stati garantiscano un trattamento e un livello di protezione non meno favorevole di quanto disposto dagli articoli: 8, paragrafi 4 e 5; 9, paragrafo 2, lettera a); 14, paragrafo 1, lettere b) e d); 16 e 17.

60. C. Favilli, La direttiva rimpatri, ovvero la mancata armonizzazione dell'espulsione dei cittadini di Paesi terzi, Osservatorio sulle fonti, 2009, 2, p. 5.

61. Ibid.

62. Quest'ultimo con il dichiarato intento di eludere l'applicazione della direttiva, si vedano le dichiarazioni dell'allora ministro dell'interno Maroni riportate supra cap. II, § 1.2.

63. M. Borraccetti, Il rimpatrio dei cittadini irregolari: armonizzazione (blanda) con attenzione (scarsa) ai diritti delle persone, cit., p. 25.

64. Articolo 4, paragrafo 3, TUE.

65. Corte di Giustizia, sentenza 6 dicembre 2011, causa C-329/11 (Achughbabian).

66. Sentenza 6 dicembre 2011, causa C - 329/11, 'Achughbabian', nn. 17 - 25.

67. La garde à vue è una misura precautelare assimilabile al 'fermo di polizia' di cui all'articolo 384 del Codice di procedura penale italiano; L. D'Ambrosio, Se una notte d'inverno un... sans papiers. La Corte di Giustizia dichiara il reato di ingresso e soggiorno irregolare conforme e non conforme alla 'direttiva rimpatri', Diritto penale contemporaneo, p. 2, nota 2.

68. L. 552-1 Ceseda: "Quand un délai de cinq jours s'est écoulé depuis la décision de placement en rétention, le juge des libertés et de la détention est saisi aux fins de prolongation de la rétention. Le juge statue dans les vingt-quatre heures de sa saisine par ordonnance au siège du tribunal de grande instance dans le ressort duquel se situe le lieu de placement en rétention de l'étranger, sauf exception prévue par voie réglementaire, après audition du représentant de l'administration, si celui-ci, dûment convoqué, est présent, et de l'intéressé ou de son conseil, s'il en a un. L'étranger peut demander au juge des libertés et de la détention qu'il lui soit désigné un conseil d'office. Toutefois, si une salle d'audience attribuée au ministère de la justice lui permettant de statuer publiquement a été spécialement aménagée à proximité immédiate de ce lieu de rétention, il statue dans cette salle".

69. L. 621-1 Cededa: "L'étranger qui a pénétré ou séjourné en France sans se conformer aux dispositions des articles L. 211-1 et L. 311-1 ou qui s'est maintenu en France au-delà de la durée autorisée par son visa sera puni d'un emprisonnement d'un an et d'une amende de 3 750 Euros. La juridiction pourra, en outre, interdire à l'étranger condamné, pendant une durée qui ne peut excéder trois ans, de pénétrer ou de séjourner en France. L'interdiction du territoire emporte de plein droit reconduite du condamné à la frontière, le cas échéant à l'expiration de la peine d'emprisonnement".

70. Sentenza 6 dicembre 2011, causa C - 329/11, 'Achughbabian', n. 28.

71. Ivi, n. 29.

72. Ivi, n. 30.

73. L. D'Ambrosio, Se una notte d'inverno un... sans papiers. La Corte di Giustizia dichiara il reato di ingresso e soggiorno irregolare conforme e non conforme alla 'direttiva rimpatri', cit., p. 6.

74. Sentenza 6 dicembre 2011, causa C - 329/11, 'Achughbabian', n. 31.

75. R. Raffaelli, La direttiva rimpatri e il reato di ingresso e soggiorno irregolare francese: principi ed effetti della sentenza Achughbabian nell'ordinamento italiano, "Diritto, immigrazione e cittadinanza", 2011, 4, p. 75.

76. L. D'Ambrosio, Se una notte d'inverno un... sans papiers. La Corte di Giustizia dichiara il reato di ingresso e soggiorno irregolare conforme e non conforme alla 'direttiva rimpatri', cit., p. 9.

77. Sentenza 6 dicembre 2011, causa C - 329/11, 'Achughbabian', n. 37.

78. G. L. Gatta, Il 'reato di clandestintà' (art. 10 bis T.U.IMM.) e la 'direttiva rimpatri', Testo corredato da note, della relazione presentata al Corso di perfezionamento post-laurea su "Direttive dell'Unione europea e ordinamento italiano. Attuazione ed effetti della direttiva rimpatri" - Firenze, Università degli Studi, Facoltà di Giurisprudenza, 27 gennaio 2012, Diritto penale contemporaneo, p. 3.

79. Sentenza 6 dicembre 2011, causa C - 329/11, 'Achughbabian', n. 39.

80. Ivi, n. 41.

81. Ivi, n. 45.

82. Ivi, n. 48.

83. R. Raffaelli, La direttiva rimpatri e il reato di ingresso e soggiorno irregolare francese: principi ed effetti della sentenza Achughbabian nell'ordinamento italiano, cit.

84. C. Favilli, La direttiva rimpatri, ovvero la mancata armonizzazione dell'espulsione dei cittadini di Paesi terzi, cit., pp. 6 - 7.

85. Articolo 3, punto 2, direttiva 2008/115/CE.

86. E. Canetta, La disciplina comunitaria in materia di rimpatrio dei cittadini dei paesi terzi in posizione irregolare nel territorio degli Stati membri, "Diritto, immigrazione e cittadinanza", 2007, 3, p. 36.

87. Articolo 3, punto 4, direttiva 2008/115/CE.

88. Articolo 6, paragrafo 2, direttiva 2008/115/CE.

89. Articolo 6, paragrafo 3, direttiva 2008/115/CE.

90. Articolo 6, paragrafo 4, direttiva 2008/115/CE.

91. Articolo 6, paragrafo 5, direttiva 2008/115/CE.

92. Articolo 3, punto 3, direttiva 2008/115/CE.

93. M. Borraccetti, Il rimpatrio dei cittadini irregolari: armonizzazione (blanda) con attenzione (scarsa) ai diritti delle persone, cit., p. 27.

94. C. Favilli, La direttiva rimpatri, ovvero la mancata armonizzazione dell'espulsione dei cittadini di Paesi terzi, cit., p. 7.

95. Articolo 7, paragrafo 2, direttiva 2008/115/CE.

96. Articolo 7, paragrafo 4, direttiva 2008/115/CE.

97. Articolo 7, paragrafo 1, direttiva 2008/115/CE.

98. Articolo 3, punto 7.

99. Libro verde su una politica comunitaria di rimpatrio delle persone che soggiornano illegalmente negli stati membri, cit., supra cap. IV, § 2.2.

100. F. Viganò, L. Masera, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, "Rivista italiana di diritto e procedura penale", 2010, 2, p. 570.

101. D. Liakopoulos, M. Vita, La disciplina giuridica dell'immigrazione irregolare in diritto comunitario, "Gli Stranieri", 2008, p. 219.

102. Articolo 9, paragrafo 1, lettere a) e b).

103. Quali ad esempio quelle previste dall'articolo 7, paragrafo 3 per l'ipotesi di proroga del termine per la partenza volontaria (minori che frequentano la scuola o esistenza di altri legami sociali o familiari).

104. Articolo 9, paragrafo 2, lettere a) e b).

105. Per gli obblighi che possono essere imposti a garanzia del rispetto del termine concesso si veda supra cap. IV, § 3.4.1.

106. Articolo 9, paragrafo 3.

107. C. Gabrielli, La mancata attuazione della direttiva rimpatri 2008/115/CE ed il "governo dei giudici" in attesa dell'interpretazione pregiudiziale della Corte di Giustizia, "Gli stranieri", 2011, 1, p. 49.

108. Corte di Giustizia, sentenza 30 novembre 2009, Kadzoev, causa C - 357/09, n. 64.

109. Corte di Giustizia, sentenza 30 novembre 2009, Kadzoev, causa C - 357/09, n. 67.

110. Corte di Giustizia, sentenza 30 novembre 2009, Kadzoev, causa C - 357/09, n. 60.

111. Considerando introduttivo n. 6, direttiva 2008/115/CE.

112. Articolo 6, paragrafo 4, direttiva 2008/115/CE.

113. C. Favilli, L'attuazione della direttiva rimpatri: dall'inerzia all'urgenza con scarsa cooperazione, "Rivista di Diritto Internazionale", 2011, 3, pp. 693-730.

114. Commissione europea, 4 maggio 2011, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio , al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni - Comunicazione sulla migrazione, COM(2011), n. 248.

115. B. Nascimbene, La "direttiva rimpatri" e le conseguenze della sentenza della Corte di Giustizia (El Dridi) nel nostro ordinamento, "Gli stranieri", 2011, 1, p. 9.

116. Articolo 15, paragrafo 5.

117. Articolo 15, paragrafo 6.

118. M. Borraccetti, Il rimpatrio dei cittadini irregolari: armonizzazione (blanda) con attenzione (scarsa) ai diritti delle persone, cit., p. 36.

119. Ivi, p. 37.

120. Organizzazioni internazionali, come Amnesty International, Save the Children, Human Rights Watch, Caritas Europa, hanno duramente attaccato la direttiva europea, accusata di sacrificare duramente i diritti dei migranti.

121. Corte di Giustizia, sentenza 30 novembre 2009, Kadzoev, causa C - 357/09, n. 71.

122. Articolo 16, paragrafo 1.

123. Definite dall'articolo 3, punto 9: "minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in gravidanza, le famiglie monoparentali con figli minori e le persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi si violenza psicologica, fisica o sessuale".

124. M. Borraccetti, Il rimpatrio dei cittadini irregolari: armonizzazione (blanda) con attenzione (scarsa) ai diritti delle persone, cit., p. 38.

125. Ibid.

126. Articolo 16, paragrafo 3.

127. Articolo 16, paragrafo 5.

128. Articolo 16, paragrafo 4.

129. Articolo 17, paragrafo 2.

130. Per i quali il paragrafo 4 prevede che "per quanto possibile" sia fornita loro "una sistemazione in istituti dotati di personale e strutture consoni a soddisfare le esigenze di persone della loro età".

131. Articolo 17, paragrafo 3.

132. Ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 6, gli Stati possono emettere un'unica decisione con cui disporre la fine del soggiorno regolare, il rimpatrio e/o l'allontanamento e il divieto di ingresso.

133. Si veda infra cap. IV, § 3.6.

134. Articolo 12, paragrafo 1, secondo periodo.

135. M. Borraccetti, Il rimpatrio dei cittadini irregolari: armonizzazione (blanda) con attenzione (scarsa) ai diritti delle persone, cit., 32.

136. Articolo 12, paragrafo 3.

137. C. Favilli, La direttiva rimpatri, ovvero la mancata armonizzazione dell'espulsione dei cittadini di Paesi terzi, cit., p. 10.

138. Articolo 13, paragrafo 2, secondo periodo.

139. Articolo 13, paragrafo 2, terzo periodo.

140. I paragrafi da 3 a 6 della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, definiscono le modalità con cui gli Stati possono disciplinare il diritto all'assistenza e alla rappresentanza legali nei confronti dei richiedenti asilo.

141. C. Favilli, La direttiva rimpatri, ovvero la mancata armonizzazione dell'espulsione dei cittadini di Paesi terzi, cit., p. 10.

142. Articolo 11, paragrafo 1.

143. C. Favilli, La direttiva rimpatri, ovvero la mancata armonizzazione dell'espulsione dei cittadini di Paesi terzi, cit., p. 10.

144. Articolo 11, paragrafo 3.

145. Articolo 11, paragrafo 2.

146. Articolo 11, paragrafo 4.