ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Considerazioni conclusive
Per una risposta complessa e condivisa nella lotta contro le MGF

Eleonora Ghizzi Gola, 2012

Il pluralismo giuridico è una delle sfide più impegnative che le società multiculturali si trovano a dover affrontare. La complessità di tale fenomeno coinvolge una molteplicità di fattori che richiedono di essere tenuti in debita considerazione nel momento in cui i pubblici poteri si accingono a farvi fronte. Le tensioni sociali che si agitano nella realtà multiculturale conducono a scontri difficili da dirimere; ad essi spesso le società multiculturali rispondono attingendo agli strumenti propri del diritto penale. È necessario che il diritto, come accade nelle delicate questioni attinenti al campo della bioetica, abbandoni quell'aura di purezza che lo caratterizza per sapersi confondere con la realtà, combinandosi con altre discipline e fornendo risposte che siano il frutto di un dialogo tra esse; se l'apporto dell'antropologia e della sociologia si rivela necessario nella predisposizione di strumenti giuridici efficaci, imprescindibile è l'apporto della giurisprudenza e della medicina per l'attenzione all'individualità dei soggetti che caratterizza il loro operato. Spesso si dimentica che al di là del contesto in cui è inserito l'individuo, uomo o donna, appartenente o meno a una minoranza culturale, immigrato o autoctono, è una persona, difficilmente imbrigliabile in categorie standardizzate.

La delicatezza e la complessità delle questioni che ruotano attorno alle Mutilazioni Genitali Femminili è data dall'incontro di molteplici fattori tra cui: i (diversi) connotati simbolici della pratica, la natura culturale della norma che la prevede, la minore età delle bambine ad essa sottoposte, le conseguenze sanitarie, l'eterogeneità delle posizioni delle donne e degli uomini appartenenti alle culture che la praticano, la condanna unanime a livello internazionale ed europeo, le difficoltà degli Stati nazionali a darvi attuazione, i dibattiti concernenti l'opportunità delle medicalizzazione e le proposte di riti simbolici alternativi. Abbiamo rilevato come i Paesi Europei di immigrazione di cui ci siamo occupati ritengano meritevole di condanna penale la pratica delle MGF, talvolta ricondotta alle fattispecie di reato già esistenti (Francia), talaltra costitutiva di un'autonoma fattispecie di reato (Italia, Spagna ed Inghilterra). La strada della criminalizzazione rischia di dimostrarsi inefficace sul piano della pratica del diritto e non si rivela adeguata nella prospettiva di un superamento a lungo termine del radicato rito tradizionale.

Il diritto penale nel contesto di una società multiculturale richiede un'opera di reinterpretazione dei suoi stessi istituti; i reati culturalmente motivati creano tensioni nella tradizionale dottrina penalistica, in particolare sul piano dell'elemento soggettivo del reato. Rilevante anche la discrasia che spesso si viene a creare sul piano della pratica del diritto: il giudice, nella valutazione del caso concreto, potrà giungere a conclusioni che collidono con l'intento della norma voluta del legislatore. Significative in questo senso le numerose sentenze esaminate, conclusesi con l'irrogazione di pene di entità assai minore rispetto a quelle previste dalla corrispondente cornice edittale, emanate da una "giurisdizione sensibile alla cultura" (1) allo scopo di associare la condotta dell'imputato al concreto disvalore del fatto. È fondamentale che la disposizione metta il giudice nella condizione di poter recuperare in ambito giurisprudenziale quelle specificità di natura, nel caso, culturale che meritano di essere presi in considerazione nella valutazione del caso concreto. Flessibilità deliberatamente assente laddove sia stata emanata una legge manifesto che mira a una criminalizzazione generalizzata, mal celando una sostanziale ineffettività: la mera repressione non porta a esiti positivi a lungo termine. In questo senso la soluzione normativa adottata dal Regno Unito si dimostra la più idonea ad affrontare il terreno scivoloso su cui si muovono i reati culturalmente motivati.

La politica del diritto da seguire nell'ottica di un supermento delle pratiche di MGF dovrà in primis essere di natura preventiva piuttosto che punitiva. Il percorso da affrontare è quindi molto più lungo e impegnativo e impone una considerazione globale del fenomeno in questione. Tra le misure che si inseriscono in questa strategia, di fondamentale importanza: il riconoscimento del diritto d'asilo alle donne e alle madri che fuggono dal proprio territorio per il fondato timore che esse o le figlie vengano sottoposte all'infibulazione o altra forma di mutilazione genitale, misure concrete per favorire l'empowerment delle donne immigrate, specialmente laddove appartenenti a culture minoritarie che le releghino a una condizione di subalternità (2) e il sostegno alle Organizzazioni non governative che operano nei Paesi in via di sviluppo per la realizzazione di campagne di sensibilizzazione e di progetti di cooperazione internazionale in ambito sociale e sanitario. Tali misure devono essere volte a instaurare un processo di interiorizzazione del cambiamento che possa portare ad un definitivo superamento del rito tradizionale, in quanto condiviso all'interno del gruppo.

Questi due elementi, il passaggio da una politica di criminalizzazione ad una di prevenzione e il margine di libertà dell'organo giudicante nell'affrontare questioni eticamente e culturalmente sensibili, sono, a nostro avviso, essenziali per un corretto uso del diritto penale in un società multiculturale.

All'interno di un percorso preventivo si inseriscono inoltre tutte quelle proposte di rito simbolico alternativo che mirano a un graduale superamento della pratica, partendo dal presupposto che la realtà non può essere "scavalcata" ma va "attraversata" (3). Le proposte si collocano, come via transitoria, nella prospettiva del "male minore" e della riduzione del danno, laddove vi sia il pericolo attuale che la degradante pratica tradizionale verrà effettuata; il rito simbolico alternativo eliminerebbe in questi casi irriducibili l'elemento della sofferenza per lasciare spazio ed esaltare unicamente gli aspetti positivi che la tradizione associa al rito, "nel rispetto delle scelte compiute dalle donne legate ad una tradizione che, per quanto crudele e dolorosa, fornisce di senso e motivo d'orgoglio la loro vita" (4). Avvallare tale possibilità non implica accettare il disvalore associato al rito tradizionale delle MGF né, come ha sostenuto la sterile critica di alcuni oppositori, "scendere a compromessi con i mutilatori", ma permette di rispettare le culture e le persone che ne sono portatrici, stante la ferma condanna nei confronti delle pratiche lesive e oppressive dei corpi e della condizione delle donne. Le proposte inoltre prendono vita dalla realistica premessa che una pratica antichissima e profondamente radicata nella cultura di alcuni popoli non possa essere sconfitta con una semplice affermazione di principio o con una legge che la vieti. Il rito, infine, si pone come una risposta che proviene dall'interno della cultura interessata, condizione essenziale per consentire una via d'uscita graduale e condivisa, e nell'ambito di un progetto mirato.

Concludendo, le tensioni che si vengono a creare nella pratica dei diritti all'interno di una società multiculturale possono risolversi senza sfociare in conflitti; è auspicabile una rivitalizzazione in senso antipaternalista e multiculturale del diritto, che si mostri aperto alla convivenza tra le diverse culture. Come afferma Alessandra Facchi, le ambizioni universalistiche, per essere compatibili con il pluralismo culturale, devono realizzarsi attraverso il dialogo interculturale: (5) come abbiamo più volte sostenuto, per affrontare istituti e pratiche discriminatorie è necessario individuare percorsi interni alle culture, evitando imposizioni dall'alto che spesso conducono ad effetti contrari a quelli auspicati, relegando le minoranze in condizioni di maggiore isolamento che le indurrà a perpetrare clandestinamente i comportamenti proibiti. Nei confronti della diversità culturale "non è ammissibile né il paternalismo né l'indulgenza, ma la critica rispettosa" (6) delle pratiche seguite da un gruppo minoritario che si pongono in collisione con i principi e i valori promossi dalla cultura maggioritaria.

Un approccio multiculturale al pluralismo normativo deve mostrarsi attento e sensibile, nella pratica del diritto, alle minoranze etniche presenti all'interno della società; la cultura giuridica deve sapersi mettere in gioco di fronte alla complessità del tessuto sociale impregnato di culture, religioni e tradizioni altre alimentate dagli inarrestabili flussi migratori, lasciando spazio a un atteggiamento non ostile al dialogo interculturale e rispettoso delle diversità. Ciò implica adottare soluzioni normative non meramente repressive che sfocino inevitabilmente in un conflitto senza via d'uscita tra le norme poste in essere dall'ordinamento giuridico vigente e quelle ritenute vincolanti all'interno di una data minoranza culturale, accettando soluzioni graduali e progressive che rappresentino quella ricercata armonia cui possono dar vita istanze dissonanti.

Note

1. L'espressione è di Denise Réaume.

2. L'empowerment delle donne è un punto ritenuto essenziale da A. Galeotti: ella ritiene che "le risorse di formazione ed economiche rivolte alle donne siano fattori strategici per un cambiamento dall'interno, per una liberalizzazione dal di dentro delle culture".

3. Così la Commissione Regionale di Bioetica della Regione Toscana in Prevenzione delle mutilazioni genitali femminili: liceità etica, deontologica e giuridica della partecipazione dei medici alla pratica di un rito alternativo, 9.03.2004.

4. Belvisi F., "Società multiculturale, diritti delle donne e sensibilità per la cultura", in AAVV, Diritti delle donne tra particolarismo e universalismo, cit., p. 521.

5. Facchi A., "Introduzione" in AAVV, Diritti delle donne tra particolarismo e universalismo, cit., p. 337.

6. Belvisi F., "Società multiculturale, diritti delle donne e sensibilità per la cultura" in AAVV, Diritti delle donne tra particolarismo e universalismo, cit., p. 516.