ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo III
Il rapporto tra normativa e giurisprudenza

Eleonora Ghizzi Gola, 2012

1. Sull'opportunità dell'uso del diritto penale

1.1 Le leggi manifesto: criminalizzazione delle pratiche o delle culture?

Il diritto degli stranieri è forse la branca del diritto che conta il maggior numero di leggi manifesto; quelle leggi che hanno un valore più simbolico e politico che giuridico, quelle leggi che mirano a criminalizzare una categoria minoritaria di soggetti individuando in essi un nemico, utilizzandoli come capro espiatorio per cavalcare il sentimento della maggioranza. Si afferma così una politica repressiva largamente condivisa, che "utilizza la norma penale come strumento di politica criminale, apparentemente neutrale, in realtà finalizzata all'esclusione del culturalmente, razzialmente, etnicamente, religiosamente diverso". (1) Le leggi manifesto sono un chiaro esempio della superficialità con cui il legislatore fa uso del diritto penale per combattere un dato fenomeno, piuttosto che dar vita a un più impegnativo percorso di prevenzione dello stesso, partendo dalle cause piuttosto che limitarsi a sanzionarne le conseguenze. Se difficilmente si riuscirebbe a introdurre una norma penale che sanzionasse un comportamento, pur deprecabile, ma tenuto dalla maggioranza dei cittadini di un determinato Paese in virtù di un uso o di una consuetudine radicata nella cultura popolare maggioritaria, sono invece pochi gli ostacoli che il legislatore incontra nel momento in cui intende criminalizzare un comportamento praticato da una minoranza di persone straniere in osservanza della proprio dettato culturale. Stranieri che spesso non godono di quei diritti politici che permettono di dar voce alle proprie pretese.

Le leggi ad hoc introdotte dall'Italia e dalla Spagna (diversa la situazione del Regno Unito dove la norma emanata è caratterizzata dalla flessibilità che invece è per definizione assente nella legge manifesto) sono un chiaro esempio di disposizioni normative introdotte nell'ordinamento per i motivi sopra esposti. Esse infatti sono giuridicamente superflue: la condotta che puniscono era già prevista dal codice penale e i fatti a cui essa è astrattamente applicabile sono rarissimi (2) (ne siano riprova l'esiguo numero di sentenze). L'effetto cercato è, dal punto di vista giuridico, quello di ridurre l'efficacia delle circostanze attenuanti e quindi il potere del giudice di adeguare la pena all'entità del fatto: l'aver previsto un dolo specifico nell'art. 583 bis c.p. italiano risponde precisamente a tale esigenza. Importante sottolineare anche come la cornice edittale prevista per il reato di MGF in entrambi gli ordinamenti sia elevata: vengono ricalcati i minimi e i massimi delle lesioni personali gravissime. L'obiettivo di questa previsione dovrebbe essere quello di scoraggiare la commissione della pratica; in realtà l'effetto che si ottiene è spesso opposto: il rito continua ad essere praticato ma in condizioni di clandestinità. Un altro effetto negativo è la creazione del timore di ricorrere a strutture sanitarie in presenza di complicazioni anche successive alla mutilazione.

Guardando all'effettività delle leggi in questione, si deve constatare la problematicità di una legge imposta dall'alto a dei soggetti che operano nella convinzione di agire nell'interesse della "vittima" e in osservanza di un dovere loro impostogli. Etichettare la pratica come un male (3) finisce spesso per aumentare l'isolamento nei confronti della comunità che la pratica, che si sente oggetto di una discriminazione rivolta specificamente nei suoi confronti. Come sosteneva Tamar Pitch prima dell'approvazione della legge n. 7/2006, per evitare un effetto perverso, la norma avrebbe avuto senso solo qualora fosse stata richiesta dall'interno della comunità coinvolta: il dialogo diritto-società deve essere vivo anche laddove gli interessi di riferimento sono quelli di una minoranza culturale. Sintetizzando, gli effetti perversi cui la Pitch si riferiva sono: la chiusura della comunità su se stessa, vissuti di discriminazione, clandestinizzazione delle condotte, isolamento accentuato. (4)

1.2 Per una battaglia concreta contro le MGF

La battaglia per l'eliminazione della pratica dell'infibulazione deve essere portata avanti con determinazione dalla Comunità internazionale e dai singoli Stati con l'ausilio delle organizzazioni sanitarie e umanitarie che operano per la salvaguardia dei diritti degli uomini, delle donne e dei bambini. Si tratta di pratiche lesive dell'integrità delle persone che le subiscono e sono complessivamente capaci di incidere negativamente e in modo irreversibile sulla qualità della vita della donna, poiché viene lesa l'integrità del suo corpo, l'identità sessuale, l'autonomia e la dignità. (5)

La storia di tutti i Paesi del mondo racconta di costumi, usanze, tradizioni, religioni, dense di significati, che l'uomo ha tramandato nei secoli e ha praticato con rispetto e attenzione. Veri e propri sistemi giuridici paralleli sono presenti in ogni luogo, siano essi di natura religiosa o culturale, che coesistono e si confrontano con quello vigente posto in essere dalle pubbliche autorità. I mutamenti sociali, economici, politici, i fenomeni globali, hanno fatto sì che i costumi evolvessero, le tradizioni mutassero, le usanze si adeguassero alle nuove esigenze della società. Il diritto ha avuto un ruolo non secondario in questo processo di adeguamento: la continua interazione con il tessuto sociale da cui proviene fa sì che talvolta si adegui a quanto già dettato dal basso, talvolta influisca su di esso, modificandolo o correggendolo quando ritenuto in contrasto con i principi e i valori considerati meritevoli di tutela, quindi protetti dall'ordinamento. Questo processo richiede tempo ma soprattutto un'interiorizzazione da parte della società civile perché il cambiamento possa essere duraturo, se non definitivo.

Nei "civilizzati" Paesi d'occidente, non dobbiamo volgere lo sguardo troppo addietro nel tempo per scorgere usanze "barbare", ritenute lecite dall'ordinamento giuridico vigente; comportamenti spesso discriminatori nei confronti del sesso femminile legati alla possessività, gelosia, predominio e voglia di piacere che molte culture condividono. (6) Solo fino a pochi decenni fa, in Italia, la commissione di un delitto perpetrato al fine di salvaguardare l'onore era sanzionato con pene attenuate rispetto all'analogo delitto di diverso movente. (7) Se poi torniamo nel XII secolo, in parallelo con le crociate, incontriamo una pratica che tocca da vicino la nostra tematica: nell'Europa cristiana era diffusa l'applicazione alle giovani spose delle cintura di castità, con effetti analoghi all'infibulazione. (8) Restando in Europa, nell'Inghilterra del 1800, al Guy's Hospital di Londra un rinomato ginecologo, Baker Brown, divenne noto per praticare, per la cura di alcune patologie quali l'epilessia, la catalessi e l'isteria, l'asportazione del clitoride e delle piccole labbra; interventi, egli sosteneva, per evitare la masturbazione, considerata la causa delle citate patologie. La polemica che ne scaturì portò ad abbandonare la pratica degli interventi dopo pochi anni. Essa venne tuttavia ripresa negli Stati Uniti alla fine del XIX secolo per eliminare il lesbismo: fino al 1925 furono attive molte associazioni che patrocinavano apertamente il controllo della sessualità femminile attraverso la clitoridectomia. (9)

Dobbiamo operare una distinzione tra la secolare pratica tuttora osservata da alcune etnie in osservanza della propria tradizione culturale e questi interventi, definibili come sperimentazioni mediche, frutto della fissazione di qualche "presunto" curatore. Le prime infatti sono radicate in una intera comunità e considerate come doveri: è profonda la convinzione di chi le pratica, un obbligo il suo compito di tramandarle alla generazione successiva. È per questo che una mera politica di criminalizzazione di questa pratica non porterà mai a un superamento condiviso della stessa, ma piuttosto a una sua perpetuazione in clandestinità. Il percorso da affrontare deve essere ben più impegnativo e dovrà coinvolgere diversi attori: le comunità coinvolte in primis. Se lo scopo condiviso, a livello internazionale e dei singoli Paesi, è lo sradicamento di questa pratica, sorge spontaneo chiedersi come questo possa avvenire se non si predispone un sistema di supporto medico, psicologico, sociale e formativo che agisca in funzione preventiva. Federica Botti individua una strategia di politica del diritto, condivisa nel campo della bioetica e i reati ad essa connessi, che accosta al diritto penale una serie di strumenti attinti dalle scienze mediche e sociali che consentano un intervento più efficace: un rapporto facilitato con il Servizio sanitario; misure amministrative dissuasive; la riconversione dei soggetti coinvolti come esecutori, destinandoli ad altre occupazioni o mestieri; (10) l'educazione a nuovi valori condivisi; il riconoscimento alla donna dei pieni diritti politici e sociali; la medicalizzazione delle pratiche indesiderate (che invece è nel caso condannata dal Parlamento Europeo); l'applicazione delle attenuanti previste per i reati a motivazione culturale. (11)

Più incisivo ed adeguato si rivelerebbe tuttavia lo strumento del diritto civile che agisca nella fase preventiva: innanzitutto si eviterebbe di creare separazioni all'interno della famiglia (si noti che spesso i giudici hanno preferito affidare le minori infibulate alla famiglia, nella convinzione che questa avrebbe potuto garantire le migliori condizioni di assistenza, educazione e affettività) (12); in secondo luogo la riconciliazione permetterebbe di stimolare il dibattito e la mobilitazione e innescare nella comunità un processo di auto-educazione sull'importanza o meno della pratica. In Kenia, utilizzando procedure e strumenti propri del common law, sono state sperimentate con successo politiche del diritto di questo tipo. (13)

Per contrastare in modo efficace il fenomeno, quindi, appare necessario insistere sulla prevenzione, attivando campagne informative e iniziative di sensibilizzazione che portino a conoscenza delle conseguenze sanitarie dell'intervento e che instaurino un dialogo proficuo nel segno di una graduale evoluzione della pratica attraverso modalità meno invasive fino a un definitivo superamento della stessa. Tali campagne di sensibilizzazione dovranno parimenti prendere forma tanto nei Paesi di immigrazione (14) quanto in quelli di provenienza, dove la pratica è radicata nella cultura popolare, quindi combattuta dagli stessi Governi con minore, talvolta nulla, incisività. Lo scopo comune è prevenire le MGF e "farle regredire, come si conviene per usi e comportamenti superati dall'evoluzione del costume e dei rapporti sociali nel rispetto della persona umana". (15) Potrà essere necessario individuare passaggio intermedio che risponda al profondo significato attribuito al rito. Sosterremo in seguito come il "rito simbolico alternativo", contrariamente a quanto sostiene il Parlamento Europeo, possa essere un passo significativo nella direzione di un graduale e definitivo superamento della pratica delle MGF.

1.3 Il diritto d'asilo

Una delle maggiori critiche sollevate contro la legge approvata dal legislatore italiano è stata la scelta di non introdurre disposizioni concernenti la concessione dello status di rifugiato per le donne che fuggono dal proprio Paese per sottrarre se stesse o le proprie figlie alle MGF: è una grave lacuna che si dimostra contraddittoria con quanto declamato all'art. 1 della legge n. 7/2006, secondo cui la sua finalità sarebbe "prevenire, contrastare e reprimere le pratiche di mutilazione genitale femminile quali violazioni dei diritti fondamentali all'integrità della persona e alla salute delle donne e delle bambine". Come si può dunque respingere alla frontiera o rimpatriare nel suo Paese la donna che si sia allontanata dai Paesi di maggiore diffusione di queste pratiche proprio per sottrarvisi? (16)

La possibilità di concedere la protezione internazionale a questo gruppo di soggetti è stata prevista da altri Paesi occidentali e incoraggiata dall'ACNUR: abbiamo esaminato alcune sentenze emanate dalle Corti spagnole e inglesi che hanno riconosciuto a cittadine di Paesi terzi lo status di rifugiato per il fondato timore di subire una persecuzione nel Paese d'origine. Si è venuta affermando infatti la convinzione che le MGF possano essere assimilate alla persecuzione per motivi di genere: in tal senso si muovono dei significativi rapporti dell'Alto Commissariato nell'esortare i Paesi che accolgono i migranti politici a valutare con attenzione la sussistenza di tale rischio.

Il primo problema da affrontare riguarda la carenza di protezione accordabile dallo Stato di provenienza del migrante: la Convenzione di Ginevra, il testo normativo di riferimento nel processo di riconoscimento dello status di rifugiato, presuppone che la protezione internazionale sia accordabile solo laddove lo straniero non possa o non voglia, a causa del timore di persecuzione, avvalersi della protezione del Paese di provenienza. Si è a lungo dibattuto, dopo che molti dinieghi erano già stati emessi, circa la messa al bando sulla carta delle MGF da parte di molti Paesi africani, a fronte della diffusa e indiscriminata perpetuazione della pratica: si è dimostrato come il mero divieto non fosse sufficiente a proteggere dal relativo rischio. Un altro passo importante è stato compiuto nel 1985 dal Comitato Esecutivo dell'ACNUR che ha attribuito agli Stati la libertà di riconoscere le donne perseguitate per mutilazioni genitali come "gruppo sociale", assimilando la mutilazione a una persecuzione politica, secondo quanto previsto dalla Convenzione di Ginevra. (17) Anche l'Unione Europea, con una risoluzione del Parlamento del 2001, ha espresso "la speranza che, nel loro lavoro per l'immigrazione nella Comunità e la politica di asilo [...] gli Stati membri adotteranno misure relative alla concessione di permessi di soggiorno e alla protezione delle vittime di questa pratica e riconosceranno il diritto d'asilo a donne e ragazze che rischiano di essere sottoposte a MGF".

2. Il rapporto tra normativa e giurisprudenza

2.1 Il pluralismo giuridico: il giudice come mediatore culturale

La scelta di analizzare il trattamento giudico delle MGF in Europa a partire dallo studio della giurisprudenza trova la sua giustificazione nel peculiare ruolo della figura del giudice nel destreggiarsi nell'intricato mondo del pluralismo giuridico e della bioetica. Affronteremo ora la prima questione.

Per "pluralismo giuridico" si intende la coesistenza di una molteplicità di codici normativi vigenti su uno stesso territorio: i consistenti flussi migratori hanno minato la compattezza culturale che caratterizzava le società occidentali prima dell'epoca della globalizzazione, contribuendo a creare una società multiculturale composta da minoranze etniche portatrici di un proprio bagaglio culturale, religioso e giuridico. Si viene quindi a creare, di fatto, una situazione di compresenza di norme con fonti e contenuti differenti che si applicano alle stesse situazioni giuridiche, che talvolta può sfociare in un conflitto: le minoranze spesso tendono a seguire il loro diritto particolare che sentono più cogente rispetto a quello valido nello Stato in cui si sono stanziati, riproducendo le istituzioni della comunità di provenienza ed applicando le norme tradizionali, considerate fondamentali per il mantenimento della propria identità. Il conflitto si verifica quando tali norme tradizionali si pongono in contrasto con i principi ritenuti fondamentali dall'ordinamento interno dello Stato di destinazione; qui, infatti, il legislatore tende a non accogliere la diversità di comportamento, anzi, abbiamo visto come alcuni Paesi (Italia e Spagna) intraprendano la più semplicistica via della criminalizzazione ricorrendo a "leggi manifesto". Semplicistica perché non affronta la complessità del problema e perché trova facilmente il consenso della maggioranza popolare. Diversa la strada seguita da altri (la Francia) che non condanna direttamente il comportamento culturalmente motivato, ma che risulterà illecito in violazione di una norma già vigente nell'ordinamento.

La legge generale mostra chiaramente i suoi limiti nel voler governare l'eterogeneità e la complessità del fenomeno del pluralismo giuridico. La legge, in una moderna democrazia, è espressione della sovranità popolare: il sistema maggioritario fa sì che le istanze di quelle minoranze identitarie, spesso già formalmente escluse dai processi decisionali, non vengano minimamente prese in considerazione. Lo strumento normativo non si dimostra flessibile nella considerazione dei particolarismi, portando a conclusioni inevitabilmente incapaci di cogliere la specificità della situazione. L'unica soluzione accettabile appare sempre più spesso essere deferire al giudice il compito di stabilire caso per caso i confini tra pratiche culturalmente accettabili e quelle che non lo sono perché, configurandosi come una decisione "su misura", non compromette in via di principio l'identità dei diversi gruppi. (18)

Specialmente laddove l'intervento legislativo viene omesso, viene "scaricata sulla giurisprudenza la responsabilità di una situazione giuridica complessa e contraddittoria" (19): la dottrina è arrivata a paragonare il ruolo svolto dal giudice in questo contesto a quello di un "mediatore culturale". Il suo compito non potrà infatti limitarsi a valutare la corrispondenza della condotta tenuta dall'imputato con la fattispecie legislativa astratta, ma il processo valutativo da seguire dovrà essere molto più articolato, allo scopo di associare al comportamento tenuto il concreto disvalore del fatto, rendendo giustizia "caso per caso". La Cassazione Penale italiana (20), nell'affrontare il tema dei reati culturali (trattasi, nel caso in specie, di un reato di maltrattamenti in famiglia posto in essere da un cittadino straniero; il ricorrente chiedeva che venisse rivalutato il suo comportamento "considerando la diversità culturale e religiosa che ha improntato le azioni da lui compiute [...] senza applicare gli schemi valutativi tipici della cultura occidentale"), esclude la possibilità di ammettere la strategia difensiva della cultural defense, propria dei Paesi di common law, che spesso porta a un'esclusione della punibilità dell'imputato, ma riconosce comunque la delicatezza del ruolo dell'organo giudicante che dovrà "assicurare ad un tempo: la tutela alle vittime, garanzie agli accusati e, a responsabilità accertata, la personalizzazione della condanna". Laddove il giudice si trovi dinnanzi a un illecito penale avente una motivazione culturale diversa da quella accettata dalla società giudicante, dovrebbe applicare la norma penale avendo accortezza di ciò, valutando l'opportunità di applicare eventuali attenuanti. (21)

I tribunali devono rispondere alla necessità, elusa dal legislatore, di adattare il quadro di principi e norme alle esigenze delle società multiculturali. (22) L'accesso alle Corti giudiziarie si presenta di frequente come l'unico strumento per una ponderata decisione che non sottovaluti la specificità degli elementi, appiattiti dal volere della maggioranza: la decisione giurisdizionale, più flessibile, valida per il caso singolo e per le parti direttamente coinvolte, pare adattarsi meglio alle esigenze regolative di un contesto sociale multiculturale; (23) non è un caso che le Corti giudiziarie siano percepite dai migranti come i loro referenti e gli organismi a cui affidare la tutela dei loro diritti. (24) La presa in carico della situazione concreta permette altresì di superare la superficiale riduzione degli individui come "portatori di culture" dai confini rigidamente definiti: etichettare la cultura altra come un bagaglio preconfezionato e immutabile è interpretabile come un segno di stampo, oserei dire nuovamente, colonialista, che esprime la nostra paura per l'ibridazione e il meticciato.

2.2 Etica, diritto e medicina

Altrettanto unico si rivela il compito affidato all'organo giudicante nell'affrontare le delicatissime questioni bioetiche, che nascono dalle riflessioni filosofiche emerse nel campo della medicina per rispondere a problemi di ordine morale. Si parla di "biodiritto" quale prodotto dell'interazione tra bioetica e diritto: esso si muove in un ambito operativo assai vasto, che ricopre diversi settori disciplinari (la medicina, la biologia, la filosofia, la religione) e coinvolge vari organismi (comitati di bioetica, associazioni professionali di medici, associazioni etiche). Il diritto deve affrontare la sfida dell'incertezza: le scienze con cui viene a stretto contatto non sono scienze esatte, ma scienze sociali. Nella separazione tra regole giuridiche e quelle della morale, "il giurista deve tenere conto che esistono degli usi, delle tradizioni culturali, delle credenze e dei modelli di comportamento che non sono chiaramente formalizzabili in regole generali e astratte dotate di sanzioni automatiche". (25)

Le questioni bioetiche, infatti, non trovano risposte condivise sul piano morale; si comprende l'impossibilità di trovarvi una soluzione giuridica accettabile: essa apparirà sempre "ingiusta" rispetto alla complessità dei casi concreti. (26) Si pensi ai problemi relativi all'eutanasia, alle manipolazioni genetiche e all'aborto. Il potere politico, generalmente, evita di prendere una posizione in una certa direzione, consapevole dell'impossibilità di trovare un consenso sufficientemente ampio, rimettendo la responsabilità di dirimere i conflitti in capo al giudice. Si tratta in realtà di una "depolicitizzazione formale" in quanto, in tal modo, si investono i giudici di questioni politiche confidando che assumano le sembianze di problemi privati; (27) giudici che, contrariamente all'organo politico, non possono esimersi dal dovere di decidere sulla questione posta alla loro attenzione. Anche qui, come nel campo dei reati culturalmente motivati, il ricorrente, spesso "costretto" a rivolgersi alle Corti in quanto si trova in una situazione non giuridicamente definita, incontrerà una decisione valida solamente per il suo singolo caso.

Sicuramente di bioetica si tratta quando si affronta il tema della manipolazione del proprio corpo; di "bioetica a forte impronta multiculturale" nel caso specifico delle MGF. È lecito, ancora un volta, domandarsi se la scelta di introdurre norme ad hoc per intervenire in maniera repressiva contro la pratica dell'infibulazione non privi l'organo giudicante di quella libertà concessagli nel valutare questioni a forte connotazione etica e morale. Se anche si scegliesse la strada della criminalizzazione, "le materie eticamente sensibili devono essere trattate con strumenti che garantiscano un'ampia libertà del giudice attraverso la possibilità di ricorrere a strumenti di approccio graduale al problema" (28).

Note

1. Botti F., Manipolazioni del corpo e mutilazioni genitali femminili, cit., p. 185.

2. Miazzi L., Vanzan A., "Modificazioni genitali: tradizioni culturali, strategie di contrasto e nuove norme penali", p. 29.

3. Vedremo in seguito le critiche di alcune donne africane nei confronti dell'uso del termine "mutilazioni genitali" che non rispecchia l'eterogeneità e la differente invasività delle pratiche tradizionali.

4. Pitch T., "Il trattamento giuridico delle mutilazioni genitali femminili", cit., p. 508.

5. Botti F., Manipolazioni del corpo e mutilazioni genitali femminili, cit., p. 41.

6. Botti F., Manipolazioni del corpo e mutilazioni genitali femminili, cit., p. 41.

7. L'art. 587 c.p. recitava "Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell'atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d'ira determinato dall'offesa recata all'onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella".

8. Zolo D., Infibulazione e circoncisione, in Jura Gentium.

9. Botti F., Manipolazioni del corpo e mutilazioni genitali femminili, cit., p. 39.

10. Questo punto è di particolare importanza soprattutto quando si sviluppino progetti di cooperazione internazionale negli Stati del continente africano volti al superamento della pratica; un ostacolo spesso incontrato attiene al sostentamento economico delle esecutrici della pratica che spesso traggono dagli interventi effettuati la loro unica fonte di sostentamento. La previsione di un percorso di inserimento lavorativo risulta quindi fondamentale ai fini dell'accettazione del cambiamento.

11. Botti F., Manipolazioni del corpo e mutilazioni genitali femminili, cit., p. 229.

12. Cfr. Trib. Minorenni di Torino, decreto 17.7.1997.

13. Botti F., Manipolazioni del corpo e mutilazioni genitali femminili, cit., p. 211.

14. Campagne di questo tipo sono previste all'art. 3 della stessa legge n. 7/2006, ma non sono state realizzate nella maggior parte del territorio italiano, come afferma il giudice nella sent. 14.4.2010 n. 979 (a quattro anni dall'approvazione della legge): "nessuna campagna informativa era stata realizzata sul tema [...]".

15. Botti F., Manipolazioni del corpo e mutilazioni genitali femminili, cit., p. 230.

16. Miazzi L., Vanzan A., "Modificazioni genitali: tradizioni culturali, strategie di contrasto e nuove norme penali", cit., p. 30.

17. Botti F., Manipolazioni del corpo e mutilazioni genitali femminili, cit., p. 219.

18. Santoro E., Diritto e diritti: lo Stato di diritto nell'era della globalizzazione. Studi genealogici su Albert Venn Dicey e il rule of law, Torino, Giappichelli, 2007, p. 51.

19. Miazzi L., Vanzan A., "Circoncisione maschile: pratica religiosa o lesione personale?" in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 2.2008, p. 74.

20. Cfr. Cass. Pen., sez. VI, 26.11.2008, n. 46300.

21. Panorama di giurisprudenza europea sui c.d. reati culturalmente motivati, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, febbraio 2008, p. 49.

22. Facchi A., "Diritti", in E. Santoro (a cura di), Diritto come questione sociale, Torino, Giappichelli, 2010, p. 86.

23. Santoro E., "La democrazia è adatta alle società multiculturali?", cit., p. 351.

24. Santoro E., "La democrazia è adatta alle società multiculturali?", cit., p. 338.

25. Botti F., Manipolazioni del corpo e mutilazioni genitali femminili, cit., p. 33.

26. Santoro E., Diritto e diritti: lo Stato di diritto nell'era della globalizzazione. Studi genealogici su Albert Venn Dicey e il rule of law, cit., p. 52.

27. Santoro E., Diritto e diritti: lo Stato di diritto nell'era della globalizzazione. Studi genealogici su Albert Venn Dicey e il rule of law, cit., p. 55.

28. Botti F., Manipolazioni del corpo e mutilazioni genitali femminili, cit., p. 205.