ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo II
Rassegna giurisprudenziale delle MGF in Europa

Eleonora Ghizzi Gola, 2012

1. Italia

1.1 Il caso di Verona

Il 14 aprile 2010 il Tribunale di Verona ha emesso la prima sentenza (1) in seguito all'entrata in vigore della legge n.7/2006 che ha introdotto l'art. 583 bis c.p. (2) in materia di mutilazioni genitali femminili. I fatti risalgono a marzo 2006: una donna nigeriana, Gertrude Obaseki, viene arrestata mentre si accingeva ad operare un intervento sui genitali di una bambina di 20 giorni; la Obaseki era indagata in quanto sospettata di aver eseguito diversi interventi di circoncisione su bambini e bambine nigeriane. Attraverso l'ausilio di intercettazioni telefoniche la polizia veronese colse la donna mentre si presentava a casa della famiglia che aveva richiesto il suo intervento, munita del materiale sanitario necessario per praticarlo. Nei suoi confronti viene formulata una triplice accusa: violazione dell'art. 583 bis co. 1 e 3 per il reato di mutilazioni genitali femminili realizzato nella forma del tentativo, in concorso con il padre della bambina, per consumazione dello stesso reato ai danni di altra minore, in concorso con la madre e la zia di questa, e concorso formale di esercizio abusivo di una professione medica.

In sede di udienza preliminare, a seguito di una prima visita a domicilio effettuata da medici inviati dal P.M. per constatare il tipo di lesione inferta alla bambina, viene esclusa la fattispecie più grave del primo comma dell'art. 583 bis, per far rientrare l'intervento nell'ipotesi di cui al co. 2 della norma in questione. Trattasi comunque di intervento non riconducibile ad alcuna esigenza terapeutica praticato sull'organo genitale della bambina, pertanto rientrante nella sfera di applicabilità del nuovo reato. Il GUP quindi rinviava a giudizio l'imputata per le ipotesi di cui all'art 583 bis co. 2 e co. 3, venendo contestate anche le aggravanti del danno cagionato a una minore e il fine di lucro.

Di fondamentale importanza, nello svolgimento del processo, le perizie mediche, per verificare la reale entità del danno e le conseguenze prevedibili per la vita sessuale e riproduttiva della futura donna. Accusa e difesa presentano i pareri delle rispettive parti, in sostanziale disaccordo: i due consulenti dell'accusa, costretti ad effettuare un esame più invasivo sulla piccola in quanto impossibilitati, vista la "minuta cicatrice lineare" ravvisabile, a definire più puntualmente il tipo di lesione inferta, giungono alla conclusione che, per quanto sia pacifico che si sa trattato di una lesione di modica entità, sia ragionevole ritenere che la sensibilità risulti ridotta con ricadute sulla funzione della sessualità. Conclusione contestata dai consulenti della difesa che sostengono che il taglio longitudinale e mediano effettuato sulla superficie del clitoride non può aver compromesso in alcun modo la sensibilità clitoridea. I consulenti della difesa, piuttosto, esprimono preoccupazione per la futura vita sessuale della bimba, non tanto per danni fisici dovuti alla piccola lesione cui è stata sottoposta, quanto per fattori psicologici provocati dalla stigmatizzazione sociale della donna "mutilata", dovuta ai continui messaggi mediatici contro le pratiche escissorie (3).

Accolta la lieve entità della lesione, viene quindi riconosciuta l'attenuante speciale di cui all'art. 583 bis, co. 2, in quanto "la lesione ai genitali è stata minima e superficiale, tanto che è guarita in pochi giorni cicatrizzandosi, e che, dalla stessa, verosimilmente, non conseguirà alcun danno alla sensibilità clitoridea della bimba e della futura donna". Fattispecie, quella configurata dal co. 2, che porta a inoltrarsi verso il più insidioso cammino dell'elemento psicologico del reato: il dolo specifico (elemento non richiamato dal co. 1, dove la gravità delle lesioni previste comporta di per sé la menomazione delle funzioni sessuali) che punisce solo l'agente che abbia cagionato lesioni con il fine di menomare le funzioni sessuali della parte offesa. Il passaggio è problematico (4) e qui subentrano le difficoltà tipiche dei reati 'culturalmente orientati': dal momento che l'incisione riscontrata sul corpo della bambina non è riconducibile ad una limitazione permanente della sessualità della donna, la finalità della menomazione di cui al co. 2 può avvenire solo attraverso modificazioni fisiche o anche attraverso azioni simboliche? Il giudice nella motivazione, ricostruito il significato delle pratiche di mutilazione genitale femminile (5), avvalla la seconda ipotesi, affermando che "l'incisione [...] abbia anche una valenza di controllo della sessualità femminile" che configura il dolo specifico. Consapevole del terreno scivoloso su cui si muove, il giudice approfondisce con una breve digressione il delicato tema delle scriminanti in materia di reati culturali: non si può escludere la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato "sulla base del fatto che la condotta è stata posta in essere in forza di una presunta necessità di adeguarsi alle proprie tradizioni culturali e abitudini antropologiche, perché un'interpretazione del genere finirebbe di fatto con lo svuotare il senso della norma e col rendere vane le ragioni della sua introduzione nel nostro ordinamento", anzi, continua, "il fatto di realizzare una condotta obbedendo ad una propria tradizione culturale, non accettabile alla luce dei valori e dei principi del nostro ordinamento, lungi da costituire una scriminante costituisce proprio la ragione della incriminazione e della punizione".

Non sono affermazioni di poco conto; la giurisprudenza in materia di reati culturalmente orientati non è copiosa. Il giudice giustifica e sostiene la scelta del legislatore di creare una fattispecie di reato ad hoc culturalmente motivata. Il tema delle scriminanti culturali investe la giurisprudenza del difficile compito di dover valutare il peso da attribuire al fattore culturale nel giudicare la condotta di chi vive in un contesto di pluralismo giuridico, ovvero fa riferimento a più di uno schema articolato di norme, contemporaneamente vigenti e valide; compito oneroso specie laddove il legislatore penale non ha tipizzato una data condotta, dettata da ragioni di tipo culturale.

Nel novembre 2008 la Cassazione penale ha valutato il ricorso di un cittadino straniero (6), condannato dal Tribunale di Torino (con sentenza confermata dalla Corte di Appello di Torino) per il reato di maltrattamenti in famiglia, sequestro di persona e violenza sessuale in danno della moglie e violazione degli obblighi di assistenza familiare; il ricorrente lamentava che il giudice della condanna avesse "applicato schemi valutativi tipici della cultura occidentale [...] senza pesare, nella condotta del reo, la diversità culturale e religiosa che ha improntato le azioni da lui compiute e ritenute illecite". La sentenza, che rigetta il ricorso, tratta ampiamente del fenomeno dei reati culturali, con note di diritto comparato per prendere coscienza del delicato e inedito ruolo del giudice in tali ambiti. (7) Prendendo le distanze sia da un approccio assimilazionista "alla francese", che persegue l'inserimento dello straniero nel tessuto nazionale controbilanciato da una sostanziale rinuncia al suo bagaglio culturale, sia da quello multiculturalista "all'inglese", che prospetta una società costituita da identità culturali molteplici con eguale diritto di riconoscimento, l'Italia si posiziona su un piano intermedio, talvolta considerando la specificità culturale della persona straniera immigrata meritevole di maggior tutela (venendo configurata come circostanza aggravante la "finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso"), talvolta reprimendo penalmente una determinata condotta culturalmente orientata poiché in contrasto con i principi cardine dell'ordinamento italiano. Gli articoli citati dalla Cassazione sono proprio il 583 bis c.p. e il 556 c.p. che vieta la bigamia. Secondo la Cassazione, tipizzando la condotta e gli altri elementi del reato, in particolare l'elemento soggettivo, il legislatore scavalca la valutazione del giudice circa la sussistenza del dolo. Se questo venisse meno, sull'assunto che la condotta non era finalizzata a ledere il bene giuridico protetto, la norma si svuoterebbe del suo senso. Il giudice, laddove il legislatore ha ritenuto inevitabile criminalizzare una data condotta pur consapevole del fatto che essa venga posta in essere non con l'intenzione di ledere un bene giuridico, ha un ampio margine di discrezionalità limitato nella valutazione dell'elemento soggettivo del reato: non potrà escludere il dolo sull'assunto che l'imputato ha agito in osservanza di un dettame culturale poiché la ponderazione operata dal legislatore nel bilanciamento degli interessi ha ritenuto superiore, nel rispetto dei principi cardine che stanno alla base dell'ordinamento giuridico italiano, l'integrità del bene giuridico leso dalla condotta culturalmente orientata.

Tornando alla sentenza n. 979/2010, il giudice così argomenta la sussistenza del dolo specifico di cui al co. 2 dell'art. 583 bis c.p.; esclude anche l'ipotesi dell'ignoranza inevitabile della legge penale. (8) Pur constatando che a Verona nessuna campagna informativa era stata realizzata sul tema, la Obaseki, anche per l'attività che svolgeva, avrebbe potuto conoscere la legislazione vigente. La donna è quindi ritenuta responsabile del reato di esercizio abusivo della professione medica (art. 348 c.p.) e del reato di cui all'art. 583 bis co. 2 e co. 3. L'introduzione del nuovo reato, che ha tipizzato una fattispecie autonoma di reato di lesioni, ricalca i limiti edittali delle lesioni gravi e gravissime; alla Obaseki viene riconosciuta l'attenuante speciale della lesione di lieve entità ex co. 2, ritenuta prevalente rispetto alle aggravanti di cui al co. 3 (fine di lucro e minore età della vittima). Inoltre, "per adeguare la pena al concreto disvalore del fatto, nella valutazione del quale non si può tener conto, in favore degli imputati, delle motivazioni culturali e di rispetto delle tradizioni che li hanno spinti ad agire", viene condannata alla pena di 1 anno e 8 mesi di reclusione. I genitori delle bambine, il padre di una e la madre dell'altra, rispettivamente accusati in concorso con la Obaseki del reato tentato e di quello consumato, vengono condannati a 4 mesi di reclusione il primo, a 8 mesi la seconda. Ad entrambi vengono riconosciute, oltre l'attenuante speciale della lesione di lieve entità ex art. 583 bis co. 2, "le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante ex art. 583 bis co. 3 c.p., stante l'incensuratezza, le ragioni della condotta (posta in essere sulla base di forti spinte culturali e radicate tradizioni etniche) e il buon comportamento processuale, per la leale ammissione degli addebiti fin dal primo momento".

1.2 I due precedenti: prima dell'approvazione della legge n. 7/2006

La sentenza del Tribunale di Verona è di notevole importanza in quanto affronta un caso di Mgf a pochi mesi dall'entrata in vigore della legge che introduce il nuovo reato. I casi conosciuti e giunti in un aula di Tribunale sono un numero tanto esiguo da rendere ancora più forte il clamore della legge-manifesto. Prima dell'intervento legislativo gli organi giudiziari hanno applicato in materia penale il reato di lesioni: sono due i casi di cui si ha notizia.

Il primo caso riguardava una bambina di origini nigeriane, residente a Torino. (9) I genitori, appartenenti all'etnia Edo, hanno sottoposto la piccola all'intervento di mutilazione degli organi genitali durante un soggiorno in Nigeria. Al suo rientro, venne d'urgenza ricoverata all'ospedale di Torino. Il Tribunale per i minorenni dispose subito l'allontanamento dei genitori, i quali non smisero di prestare cure e attenzioni alla bambina in ospedale, su autorizzazione dello stesso Tribunale. L'indagine sul nucleo familiare portò ad assumere informazioni circa il significato dell'intervento secondo la cultura di appartenenza, in base alla quale una donna non sottoposta a tale intervento viene mal considerata dalla comunità. Evidenziata la positività della relazione familiare, il Tribunale riteneva che vi fossero le condizioni per riaffidare la bambina ai genitori. La vicenda, iniziata con la denuncia per lesioni personali gravissime, si risolse con l'archiviazione: il pubblico ministero ritenne che mancassero le condizioni per legittimare l'inizio dell'azione penale considerato che i genitori avevano inteso sottoporre la figlia a pratiche di mutilazione pienamente accettate dalle tradizioni locali del loro Paese. (10) In questo caso è evidente come fosse inevitabile scontrarsi con la mancanza del dolo: i genitori che effettuano mutilazioni sulle figlie non solo non pensano di "far male" ma sono convinti di agire per il bene delle figlie. (11)

La seconda vicenda, con esito diverso, risale al 1995 quando un padre egiziano, separato dalla moglie italiana, venne processato per aver sottoposto entrambi i figli minori, maschio e femmina, a interventi di mutilazione genitale durante una vacanza presso i parenti in Egitto. Le lesioni erano di grave entità: l'asportazione del clitoride subito dalla piccola le avrebbero cagionato l'indebolimento permanente dell'apparato genitale; stessa prognosi per il figlio, sottoposto all'intervento di circoncisione. Al padre si contestavano, oltre alle lesioni gravi volontarie, le aggravanti "di aver commesso il fatto contro i propri discendenti, di avere profittato di circostanze di luogo e di persona tali da ostacolare la privata difesa (avendo agito in danno di persona minore che si trovava lontana dal luogo abituale di dimora) e di avere commesso il fatto con abuso di autorità e coabitazione. La vicenda si chiuse con un patteggiamento; i fatti vennero qualificati come lesioni gravi e l'imputato venne condannato alla pena di due anni di reclusione.

1.3 Un confronto: il trattamento della circoncisione maschile

A novembre 2004 una donna, di origini nigeriane, accompagna al pronto soccorso pediatrico dell'ospedale di Padova suo figlio neonato, affetto da emorragia prepuziale. Il bimbo era stato sottoposto a circoncisione rituale da parte di una conoscente della madre, una signora nigeriana di Rovigo, di cui non è stata rivelata l'identità. Alla madre sono contestati i reati di lesione dolosa grave ed esercizio abusivo della professione medica. (12) Simile, seppur con esiti drammatici per le conseguenze sul piccolo, il caso di cui è stato investito il Tribunale di Bari nel 2008: un bambino di due mesi muore in seguito ad un non riuscito intervento di circoncisione effettuato da un concittadino nigeriano. (13)

In entrambe le sentenze, la prima questione affrontata è la liceità o meno della pratica di circoncisione maschile. Il legislatore, infatti, non si è deliberatamente espresso sul punto. Come ricorda la sentenza del Tribunale di Bari, "l'aver approvato una normativa che cita espressamente solo le mutilazioni degli organi genitali femminili, con esclusione di qualsivoglia riferimento alla circoncisione maschile non può essere considerata fattore neutro ascrivibile a mera svista o disinteresse del legislatore, ma ad una precisa scelta di campo del legislatore medesimo, specie considerando il dibattito culturale che ha preceduto l'introduzione di tale normativa"; deducendone che "non è, quindi, una pratica espressamente vietata".

La liceità della pratica è inoltre desumibile in virtù di un parere positivo in merito, espresso dal Comitato nazionale per la bioetica in data 25.9.1998 (14), argomentato riconducendo la pratica alle forme di esercizio del culto garantite dall'art. 19 Cost.; inoltre essa rientrerebbe in quei margini di disponibilità riconosciuta ai genitori dall'art. 30 Cost. in ambito educativo. Viene affermato altresì che, "nonostante lasci tracce indelebili e irreversibili, non produce, se eseguita correttamente, menomazioni o alterazioni nella funzionalità sessuale e riproduttiva maschile". L'apprezzamento quindi del tipo di danno cagionato sarà lasciato alla valutazione del singolo caso, ma la pratica, in sé, non è illecita. Il differente trattamento giuridico rispetto alle mutilazioni genitali femminili è evidente, e anche qui non si tratta di una svista del giudice, che continua: "anche se la circoncisione maschile determina la violazione dell'integrità pisicofisica del soggetto [...], appare difficile contestare, dato che è priva delle connotazioni fisiche, psicologiche e simboliche negative tipiche delle mutilazioni genitali femminili, e probabilmente anche per l'influenza dell'ebraismo, sia da tempo accettata dal costume e dalla cultura occidentali".

La questione quindi si sposta sul piano delle modalità della sua effettuazione: ci si chiede se, in assenza di ragioni profilattiche o terapeutiche, sia necessario l'intervento di un medico. La discussione, a monte, verte sulla qualificazione della circoncisione rituale come atto medico. Si giunge a questo punto a una conclusione importante, sempre ai fini del confronto con le corrispondenti pratiche effettuate sull'altro sesso: volendo leggere il concetto di salute previsto dall'art. 32 Cost. in chiave evolutiva, si può accogliere una nozione di salute non più circoscritta al solo benessere fisico, ma anche mentale e sociale. Il Tribunale di Padova afferma quindi che "la circoncisione rituale può apparire come volta al raggiungimento di un maggiore stato di salute, ad una forma corporea corrispondente all'idea di perfezione fisica e soddisfazione psichica [...] anche al fine di adeguarsi ad un'identità etnica o culturale".

In questo senso è bene riportare il passo avanti compiuto dalla Regione Toscana nella determinazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) in ambito sanitario. La Giunta Regionale (15) ha inserito la pratica di circoncisione nell'elenco delle prestazioni coperte dal Servizio Sanitario, ritenendo di "dover garantire la medesima prestazione anche quando erogata a fini religiosi".

Tornando alla nostra sentenza, il Tribunale, in definitiva, ritiene lecita la pratica di circoncisione maschile per motivi rituali e riqualifica come colpose le lesioni gravi, prima addebitate all'imputata a titolo di dolo. Infatti, per gli stessi motivi sopra esposti, è ritenuto pacifico che la madre abbia concorso a cagionare la malattia, ma "certamente non a titolo di dolo". Considerando che il reato di lesioni colpose gravi non è perseguibile d'ufficio e che il curatore speciale non ha esercitato il diritto di querela nei tre mesi dalla comunicazione della nomina, la madre verrà condannata per concorso nel delitto di esercizio abusivo della professione, per essersi rivolta non ad un medico ma a persona considerata esperta. Contro la sentenza la donna ha proposto ricorso in Cassazione, che si è così trovata a dover riaffrontare "la delicata questione in esame, per le implicazioni di carattere etico e giuridico" che emergono. (16) La giurisprudenza si mostra pienamente consapevole del ruolo peculiare e unico che è chiamata a svolgere quando deve muoversi sulle sabbie mobili dei reati culturalmente orientati. Specialmente laddove manca la volontà politica di compiere una scelta legislativa in un certa direzione, come è stato nel caso delle mutilazioni genitali femminili (ove comunque, come ha dimostrato la lieve entità della pena inflitta nel caso veronese rispetto alla pena edittale prevista dal testo della norma (17), il margine di discrezionalità lasciato al giudice nel bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti, permette di adeguare la decisione al caso concreto). Sta ad essa "verificare se è possibile conciliare - ed entro quali limiti - allo stato della legislazione vigente", le opposte esigenze di rispetto delle regole dell'ordinamento e "la volontà di determinate minoranze che rivendicano l'appartenenza alla propria etnia e l'osservanza delle proprie tradizioni". La Cassazione ribadisce che si debba escludere l'elemento soggettivo del reato di lesioni gravi contestato all'imputata in quanto il reato è commesso in condizione di conflitto esterno, ovvero in contrasto con le norme della realtà territoriale in cui è migrata, ma non di conflitto interno, essendo il suo comportamento espressione della fedeltà alle norme di condotta del proprio gruppo di appartenenza. A questo aggiunge la condizione di difficoltà nel recepire valori e divieti a lei ignoti, così assolvendo l'imputata anche del reato di cui all'art. 348 c.p. in quanto sussistono gli estremi dell'error iuris scusabile, annullando la sentenza impugnata.

Il Tribunale di Bari, in continuità con la decisione del Tribunale di Padova, afferma la liceità della pratica della circoncisione motivata da ragioni di ritualità religiose (18), escludendo che si tratti di lesioni dolose; tuttavia, sul presupposto della necessità di un intervento del medico, ritiene che l'inosservanza di tale obbligo, posto a tutela del diritto alla salute, costituisca una colpa (19) e condanna la donna per il reato di omicidio colposo ad un anno di reclusione.

2. Spagna

2.1 La prima sentenza di condanna per il reato di mutilazioni genitali

La Spagna, al pari dell'Italia, introduce nel 2003 una normativa specifica in materia di Mutilazioni genitali (20): la Ley Orgánica 11/2003, relativa a misure concernenti la sicurezza cittadina, la violenza domestica e l'integrazione sociale degli stranieri, ha modificato l'art. 149 del Codice penale spagnolo. La premessa di tale modifica, come si legge dal testo della legge che introdotto la nuova fattispecie, è la necessità dell'ordinamento giuridico di dare una risposta alle nuove realtà dovute al processo di integrazione degli stranieri in Spagna (21); la pratica in questione, continua il legislatore, è da combattere con la massima fermezza, a nulla rilevando le ragioni culturali o religiose che sorreggano una loro giustificazione. Viene aggiunto un secondo comma all'art. 149 c.p. che recita quanto segue: colui che cagionerà a un altro una mutilazione genitale in qualunque delle sue manifestazioni sarà punito con la pena della reclusione dai sei ai dodici anni. In caso di minore età o incapacità della vittima, sarà applicabile la pena dell'inabilitazione speciale per l'esercizio della patria potestà, tutela, curatela, custodia o affidamento per un tempo da quattro a dieci anni, se il giudice lo ritiene adeguato all'interesse del minore o dell'incapace. A questo si deve aggiungere che nel 2005 il legislatore, modificando la Ley Orgánica 6/1985 che permette alle autorità giudiziarie spagnole di perseguire extraterritorialmente determinati reati commessi da spagnoli o stranieri residenti, ha inserito a fianco dei delitti di genocidio e terrorismo anche quello di mutilazioni genitali femminili, sempre che i responsabili si trovino in Spagna (22).

Dal 2003 ad oggi l'unica sentenza di condanna ex art. 149 co. 2 c.p. è quella emessa dalla Audencia Provincial (Tribunale con giurisdizione sul territorio provinciale) della città di Teruel. (23) I fatti risalgono a una data non certa, compresa tra il 20 novembre 2009 e il 25 maggio 2010. Pochi mesi prima, a settembre 2009, la signora Eva María lascia la Repubblica del Gambia con Erica, la figlioletta neonata, per ricongiungersi al marito Abilio, residente in Spagna da dieci anni. Si contesta ai genitori di aver sottoposto la bambina alla pratica di infibulazione dopo la sua entrata nel territorio spagnolo. Differentemente da quanto abbiamo visto essere dibattuto nel caso italiano (24), qui non si discute della gravità della lesione inferta: Erica è sottoposta alla più cruda ed invasiva tra le pratiche di MGF, l'asportazione del clitoride.

La prima questione contestata dalla difesa è quindi la sequenza temporale degli eventi: Abilio sostiene che la bimba sia stata sottoposta all'intervento in Gambia; sarebbero stati i nonni a portarla da una sorta di 'sciamano', senza che la madre potesse opporsi a tale obbligo dettato dalla tradizione culturale. Fatti che non trovano riscontro nelle prove presentate a sostegno dall'accusa: Erica sarebbe stata portata al Centro medico per una visita in data 20 novembre 2009; qui la pediatra non avrebbe riscontrato alcuna anormalità nel corpo della bambina, così come risulta dal referto. Dodici mesi dopo, periodo in cui è documentato che la bambina non ha realizzato alcun viaggio fuori dal territorio spagnolo, nella visita di revisione obbligatoria secondo quanto stabilito dal programma "Niño sano", la pediatra ha potuto immediatamente constatare che Erica era priva del clitoride dovuto a rimozione e presentava una cicatrice che evidenziava che le era stato praticata la mutilazione da qualche mese.

Ricondotta quindi la responsabilità ai genitori, si affronta ora la solita delicata questione: possono essere ritenuti colpevoli a pieno titolo della lesione cagionata alla figlia, avendo agito nel rispetto di un dettame culturale? Erano consapevoli dell'illiceità della condotta in Spagna? Il giudice esordisce sostenendo che "il solo peso della tradizione [...] è insufficiente per fondare l'esenzione della responsabilità". Vengono riportate testualmente nella motivazione le parole con cui il legislatore ha giustificato l'estensione extraterritoriale del delitto di mutilazioni genitali femminili: "il fatto che le mutilazioni sessuali siano una pratica tradizionale in alcuni paesi di cui sono originari gli immigrati nei paesi dell'Unione Europea non può considerarsi una giustificazione per non prevenire, perseguire e punire una tale violazione dei diritti umani". L'attenzione ora si sposta sulla sussistenza o meno di un error de prohibición, concernente l'ignoranza circa l'antigiuridicità della condotta, che, in quanto elemento costitutivo della colpevolezza, porterebbe all'esclusione della responsabilità penale dell'attore. (25) A questo punto si distingue la condotta posta in essere dai due genitori: per Abilio è sicuramente inapplicabile l'errore di diritto. Oltre al fatto di risiedere da più di dieci anni in Spagna ed essersi pienamente integrato, il che rende ragionevole la sua conoscenza dell'antigiuridicità del fatto commesso (26), egli stesso affermò di esserne consapevole in una dichiarazione davanti al Giudice istruttore in cui affermava che l'intervento alla piccola Erica avesse avuto luogo in Gambia. Diverso il caso della moglie: giunta in Spagna pochi mesi prima dei fatti contestati, è ragionevole ritenere che non conoscesse l'illiceità della pratica, e che anzi la ritenesse necessaria per il bene della figlia. A sostegno di ciò, viene addotto che la donna non ha alcuna conoscenza della lingua spagnola e che gli unici rapporti sociali che intratteneva al di fuori della famiglia erano con compatrioti gambiani.

Il Tribunale condanna Abilio alla pena 'minima' prevista per il reato di cui all'art. 149 co. 2 c.p.: reclusione per sei anni; la moglie, considerato l'errore di diritto, a due anni.

2.2 La formula ampia dell'art. 149 co. 2

Diversamente dalla tipizzazione del reato di mutilazioni genitali effettuata dal legislatore italiano, quello spagnolo non differenzia la condotta a seconda del sesso della vittima. Inoltre la qualificazione del tipo di lesioni lascia un grande margine di indeterminatezza, non venendo indicato il grado di invasività della pratica tale da ricondurla alla fattispecie delle mutilazioni. La scelta di tale formulazione, se ha messo al riparo dal rischio di lasciare aperte nuove zone di impunità, apre il dibattito circa la riconducibilità di determinate condotte alla fattispecie tipizzata.

Sulla base dell'art. 149.2 del codice penale spagnolo, si potrebbe supporre che l'espressione "colui che cagionerà a un altro una mutilazione genitale in qualunque delle sue manifestazioni" sia interpretabile alla luce della classificazione dell'OMS, quindi che sia ad esso riconducibile qualsiasi pratica che cagioni una lesione agli organi genitali. Indubbiamente, la quarta tipologia della classificazione è quella che più problematica rispetto alla possibilità di incardinarla nella fattispecie prevista dalla disposizione normativa (27): è dubbia l'idoneità delle pratiche di incisione, puntura o incisione alla produzione del risultato dell'amputazione, seppur parziale, degli organi genitali esterni. Nessun episodio di questo genere è stato portato all'esame delle Corti spagnole sino ad ora: l'unico caso noto (vedi supra) non poneva dubbi circa la riconducibilità dell'intervento subito dalla bambina alla fattispecie di MGF. Sicuramente nei casi 'dubbi' il dibattimento avrà luogo su un campo di battaglia guidato da perizie mediche dell'accusa e della difesa.

Nonostante l'approvazione della L.O. 11/03 sia il punto d'arrivo di un dibattito sviluppatosi in molti Paesi europei di immigrazione che ha riguardato esclusivamente il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili, l'art. 149 co. 2 non opera distinzioni di sesso. È quindi, sulla carta, parimenti punito chiunque cagioni una mutilazione agli organi genitali maschili, in qualsiasi manifestazione essa avvenga. Sorge immediato porsi l'interrogativo circa la liceità della pratica di circoncisione maschile.

Nel 2006 la Audencia Provincial de Castellón de la Plana si interrogò sulla riconducibilità o meno della pratica di circoncisione maschile al comma 2 dell'art. 149 c.p. (28) Si afferma che la condotta di circoncisione di un minore non è costitutiva del delitto di mutilazione genitale, come sostenuto dal parere del medico forense: "se correttamente realizzata, la pratica non danneggia la funzionalità dell'organo leso nelle reazioni sessuali". È un rito, continua la sentenza, che risale alla tradizione ebrea e musulmana ed è tuttora praticato ed accettato in diverse parti del mondo.

2.3 MGF e diritto d'asilo

Diverse sentenze delle Corti spagnole hanno affrontato il rapporto tra mutilazioni genitali femminili e diritto d'asilo. Si tratta di casi in cui la donna, fuggita dal paese d'origine per aver subito l'intervento, per sottrarsi al pericolo di esservi sottoposta o per proteggere le figlie, chiede il riconoscimento dello status di rifugiato al paese di destinazione.

Il diritto d'asilo, riconosciuto nell'art. 13.4 della Costituzione spagnola, si configura come la protezione accordata a quello straniero a cui venga riconosciuto la condizione di rifugiato secondo quanto stabilito dalla Convenzione di Ginevra del 1951, ovvero colui "che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra". (29) L'istanza di riconoscimento dello status, purché non manifestamente infondata, sarà sottoposta al vaglio delle autorità spagnole che ne valuteranno l'ammissibilità sulla base dell'esistenza della persecuzione o del fondato timore e rischio reale di subirla, denunciata dal richiedente. La legge di diritto interno spagnolo n. 5/1984 regola il diritto d'asilo e la condizione del rifugiato, nel rispetto dell'art. 13.4 della Costituzione e in conformità alle diposizioni della Convenzione di Ginevra. Di cruciale importanza, ai nostri fini, la modifica operata dalla Ley Orgánica 3/2007 (30), che aggiunge una disposizione addizionale alla legge 5/1984: quanto disposto nel primo comma dell'art. 3 (31) sarà applicato alle donne straniere che fuggano dai loro paesi d'origine per un timore fondato di soffrire persecuzioni per motivi di genere.

Le due sentenze che analizzeremo sono rispettivamente emesse prima e dopo lo spartiacque segnato da questo intervento legislativo. Il primo caso riguarda la richiesta di asilo presentata da una donna nigeriana che affermava di essere fuggita dal suo paese per evitare di essere sottoposta ad un intervento di mutilazione genitale. (32) Brevemente, la storia della donna, è molto intensa: racconta di provenire da una famiglia professante la religione cristiana, minoritaria in Nigeria, pertanto di non avere adempiuto agli obblighi dettati dalla tradizione culturale maggioritaria. Il padre, ammalatosi gravemente, venne visitato da un medico nativo che sentenziò che la causa della malattia era dovuta al mancato rispetto delle usanze culturali, pertanto l'unica via di salvezza era mettersi in pari con la tradizione: innanzitutto gli veniva imposto di sottoporre le figlie all'ablazione. Nonostante la riluttanza da sempre espressa dalla famiglia nei confronti di tale pratica, la madre, autorizzò che la figlia più piccola, di due anni, subisse l'intervento. Fu così che la ragazza decise di fuggire, sicura che prima o poi avrebbe subito lo stesso "trattamento" della sorella. La Spagna non ammise la richiesta di protezione internazionale presentata dalla ragazza sul presupposto che la richiedente non allegasse nessuna delle cause previste dalla Convenzione di Ginevra come determinanti per la concessione della protezione. La donna presenterà ricorso, che verrà rigettato per le stesse motivazioni: la richiesta, si dirà, "non rientra nelle cause determinanti la protezione internazionale attraverso il diritto d'asilo", cause tassativamente stabilite dalla Convenzione di Ginevra, a cui si rimette la legge spagnola sul diritto d'asilo. Inoltre "non si allega alcuna prova del fatto che la richiedente non possa o, a causa del fondato timore di persecuzione, non possa godere della protezione del paese l'origine".

Esito differente ha avuto la richiesta presentata da un'altra donna, di origini algerine, dopo l'entrata in vigore della modifica del 2007. (33) In questo caso la donna ha subito maltrattamenti da parte del marito, di tipo fisico e psichico. La richiesta di protezione, inizialmente non accolta, poi rivista ed accordata in seguito al ricorso vinto dalla richiedente, si sostanzia sulla base del "fondato timore e rischio reale di soffrire un trattamento inumano o degradante" nel paese d'origine: vista l'evidenza che la donna è stata oggetto di una "grave persecuzione per motivi di genere per la sua appartenenza a un gruppo sociale", si concede il diritto d'asilo in quanto rientrante in una delle situazioni di persecuzione che integrano le cause contemplate dalla legislazione in materia d'asilo. (34) In pratica le "donne maltrattate" costituirebbero un gruppo sociale che rientra nel più ampio concetto giuridico di persone con diritto d'asilo. Il Tribunal Supremo, quindi, afferma che la Spagna ha l'obbligo di dare protezione a tutte quelle donne che soffrano delle persecuzioni per la loro appartenenza al genere femminile, come il matrimonio forzato o le mutilazioni di un organo genitale, sempre che i loro paesi d'origine non possano o non vogliano proteggerle. In particolare si richiama una sentenza emessa due anni prima dallo stesso organo giudicante, relativa a una richiesta di asilo da parte di una donna nigeriana. (35) Alla donna venne praticata una mutilazione genitale poco prima di essere stata promessa in sposa a un ricco uomo del suo villaggio, già marito di due mogli. Fuggita dalla Nigeria, passando per il Togo e il Ghana, giunse finalmente in Spagna dove chiese il riconoscimento dello status di rifugiato. Le viene contestato di non aver allegato documenti che accreditino la promessa del matrimonio forzato, né che abbia chiesto protezione in primis alle autorità del suo paese, posto che in Nigeria le mutilazioni genitali sono proibite dall'anno 2000. Non viene dunque valutata la sua richiesta di asilo, ma si tenne conto della situazione della donna, "brutalmente lesionata fisicamente e psicologicamente", autorizzandola a permanere sul territorio spagnolo per ragioni umanitarie. La donna quindi presentò un ricorso contro la decisione del Ministero dell'Interno, argomentando di rientrare in quanto stabilito dall'art. 1.A della Convenzione di Ginevra, essendo la mutilazione da lei subita una forma di violenza di genere, sufficiente per essere configurata come persecuzione agli effetti del riconoscimento della condizione di rifugiato e non solo per la concessione della permanenza per motivi umanitari. Si riporta un altro rapporto ACNUR in cui è messo in evidenza come alcuni paesi che sulla carta proibiscono le MGF, in realtà non sono in grado di garantire una protezione alle donne che vogliano evitare di sottoporsi a questo rituale, estensivamente praticato in tutto il paese; la Nigeria non è un'eccezione. Il Tribunal Supremo quindi accoglie il ricorso e annulla la decisione impugnata, riconoscendo alla richiedente il diritto d'asilo indebitamente negatole.

L'intervento legislativo ha quindi avuto il merito di identificare chiaramente come soggetti vulnerabili, quindi meritevoli di protezione, le donne che soffrano persecuzioni di genere nei paesi d'origine e che siano costrette a fuggire poiché i governi locali non possono o non vogliono garantire loro una protezione; come afferma la Guida di Protezione delle donne rifugiate di ACNUR, esse devono essere considerate un gruppo sociale agli effetti di determinare lo status della persona. Ciò non toglie che il giudice (36), al di là delle ipotesi configurate dal legislatore, possa ricondurre la violenza subita dalla richiedente nella più vasta categoria degli individui che vengano privati dei loro diritti civili, politici, economici, sociali e culturali, secondo quanto enunciato dalla Convenzione di Ginevra del 1951.

3. Francia

3.1 Il modello assimilazionista: la diversa scelta legislativa

La Francia risponde alla realtà multiculturale affermando un principio cardine della democrazia francese, che trova le sue radici nell'idea rousseauiana del principio di legalità: l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Il multiculturalismo come fatto viene ricoperto di un'ideologia egalitaria che fa sì che l'individuo sia avulso da qualsiasi tipo di caratterizzazione di ordine sociale, culturale o religioso nel momento in cui è soggetto alla legge, promanante dalla maggioranza. Le particolarità culturali non sono, quindi, rilevanti per quanto riguarda la titolarità di diritti e l'adempimento di obblighi, e non vengono formalmente considerate nella sfera pubblica. (37)

La possibilità di tipizzare un reato culturalmente orientato non viene presa in considerazione dal legislatore francese: le più note manifestazioni di pluralismo giuridico, come il velo islamico e la poligamia, sono state affrontate con la medesima politica assimilazionista. Posto che colui che risiede sul territorio nazionale ha il dovere di integrarsi nella cultura locale, tali fenomeni non sono consentiti in quanto contrastanti i principi fondamentali dell'ordinamento. È in nome del supremo principio di laicità che alle donne, la cui religione impone di coprire il capo con un velo, è vietato indossarlo in luogo pubblico. Ed è in nome del principio dell'uguaglianza dei sessi che è reato essere contemporaneamente il marito di più donne. A tutela delle donne stesse, così liberandole dal giogo maschilista che le costringe in una posizione di inferiorità rispetto all'uomo? O forse contro la libertà delle donne di professare liberamente la propria religione e rispettare la tradizione culturale in cui si riconoscono? L'annosa questione è forse irrisolvibile in via generale e astratta. Vedremo in seguito l'acceso dibattito che vede talvolta antagonisti, talaltra alleati femminismo e multiculturalismo.

La posizione sulle MGF è in linea con quanto detto: la Francia non prevede una diposizione specifica che punisca il reato, ma la lesione subita dalla vittima verrà ricondotta dall'organo giudiziario in una delle fattispecie già contemplate dal codice penale: lesioni lievi, gravi o gravissime fino all'ipotesi di omicidio colposo. Centrale quindi sarà l'interpretazione giurisprudenziale del singolo caso. (38) Dagli anni '80 del secolo scorso ad oggi decine di casi di mutilazioni genitali sono giunti nelle aule dei Tribunali francesi (tra il 1985 e il 2006 se ne sono contati 40). (39)

Prima di volgere l'attenzione verso alcuni casi più rilevanti selezionati tra la copiosa giurisprudenza di merito, è importante riportare un cambiamento che ha modificato la competenza dell'organo giudicante i casi di mutilazione genitale: dal 1979 al 1990 i casi di escissione sono stati giudicati dal Tribunal Correctionnel. Dagli anni Novanta, invece, la pratica non è stata più considerata un délit ma un crime e, quindi, di competenza della Cour d'Assises (40), così introducendo il giudizio di una giuria popolare. Il mutamento di qualificazione giuridica è avvenuto in seguito a un caso giudiziario concreto avvenuto alla fine degli anni Ottanta: una donna bretone, in preda a un raptus, aveva amputato alla figlia il clitoride e le piccole labbra. La Corte d'Appello di Parigi si dichiarò incompetente, rinviando gli imputati davanti alla Corte d'Assise in seguito alla qualificazione del fatto come crime. Nonostante il caso non avesse altro in comune con la secolare e tradizionale pratica dell'escissione a parte la condotta mutilatoria, il dibattito che si scatenò nell'opinione pubblica francese non esulò dall'uniformare le circostanze dei casi. Da quel momento le decisioni in materia di escissione verranno prese da una giuria popolare, dopo un procedimento molto più lungo e complesso, con una maggiore spettacolarizzazione e mediatizzazione del giudizio. (41)

3.2 Le numerose sentenze di condanna ...

La Francia è sicuramente al primo posto tra i paesi europei per il numero di casi giudiziari concernenti le mutilazioni genitali femminili; l'assenza di una norma ad hoc non è infatti sintomo di tolleranza nei confronti della pratica, che verrà caso per caso ricondotta a una già esistente fattispecie criminosa. Gran parte delle imputazioni sono state formulate facendo ricorso al reato di lesioni personali ex art. 222-9 del nuovo codice penale francese (42) che recita: le violenze che cagionano una mutilazione o un'infermità permanente sono punite con la reclusione di 10 anni e l'ammenda di 150.000 euro. L'art. 222-10 c.p. prevede invece le circostanze aggravanti che innalzano la reclusione a quindici anni: tra queste, rilevanti ai nostri fini la nº 1 (lesioni cagionate a un minore di 15 anni), la nº 2 (ai danni di persona vulnerabile dovuto all'età, a una malattia o infermità fisica o mentale), la nº 3 (ai danni di un discendente legittimo o naturale) e la nº 9 (con premeditazione). Lo stesso articolo aggiunge che la pena può arrivare fino a vent'anni di reclusione quando la vittima sia un minore di quindici anni e il delitto sia commesso da un ascendente legittimo, naturale o adottivo o da altra persona esercente la potestà sul minore. Nel caso l'evento si risolvesse con la morte della vittima, il riferimento normativo sarebbe l'art. 222-7 c.p., equivalente al nostro omicidio colposo, punito con quindici anni di reclusione.

Ripercorrendo alcune tappe dell'evoluzione giurisprudenziale, il primo processo risale al 1979. La Chambre Corrictionelle del Tribunale di Parigi condannerà a un anno di reclusione un uomo accusato di omicidio colposo per aver escisso una bambina di 3 mesi, drammaticamente causandone la morte. I genitori non vengono citati in giudizio. (43)

Significativa una decisione della Corte dei Cassazione del 1983 (44): in questa sentenza la Cassazione giunge a una qualificazione giuridica della condotta, considerando l'ablazione cui è stata sottoposta una bambina minore di 15 anni una forma di mutilazione, quindi sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 312 del vecchio c.p.: lesioni personali.

Nel 1989 una donna, proveniente dal Mali, viene accusata di aver fatto praticare l'escissione alla figlia neonata. (45) La denuncia, come spesso accade, venne presentata da una dottoressa del servizio sanitario. Il processo fu caratterizzato da una grande vivacità, che suscitò l'interesse dell'opinione pubblica francese: numerose furono le testimonianze e le perizie di specialisti, medici, esperti e antropologi. (46) Vennero condotti a processo i genitori come complici e la exciseuse come autrice materiale del reato, con l'accusa di lesioni volontarie commesse a un minore di quindici anni. La Corte condannò l'imputata principale a cinque anni di reclusione e i genitori a due anni con la condizionale. (47)

Dal 1984 al 1991 hanno avuto luogo quattro processi contro i genitori di bambine escisse che si sono conclusi con l'irrogazione di pene da uno a cinque anni di reclusione, sempre con la condizionale.

Nel 1991 due casi, ora sotto la competenza della Corte d'Assise, giunsero sotto i riflettori dei media: il primo ebbe luogo a Parigi, il secondo a Bobigny, nella periferia della capitale (48). Nel caso parigino le sentenze di condanna furono più pesanti e la vicenda divenne più un fatto politico che un processo giudiziario (49): sia la donna che praticò l'intervento, sia i genitori vennero condannati a cinque anni di reclusione. Il caso di Bobigny invece si distingue poiché la presenza di esperti delle comunità di provenienza degli imputati chiamati in loro difesa e il ruolo svolto da un avvocato senegalese che fece da interprete, permisero alla giuria popolare di avere più consapevolezza delle circostanze e dell'intorno culturale in cui l'evento ebbe luogo. In questo caso la sentenza fu più mite: l'autrice della lesione venne condannata a quattro anni di reclusione (di cui uno sospeso), tre dei genitori coinvolti vennero assolti, uno condannato a un anno di reclusione.

Assai nota la vicenda che vide protagonista Hawa Gréou, storica exciseuse della capitale francese. La donna, di origini maliensi, venne condannata dalla Corte d'Assise di Parigi (50) a otto anni di reclusione per aver praticato l'escissione a decine di bambine della capitale francese; la condanna, avvenuta nel 1999, è solo la tappa intermedia dell'intricato caso Gréou. Il primo episodio risale al 1984 quando la donna venne arrestata a seguito di una denuncia per disturbo della quiete pubblica: il suo vicino di casa non sopportava più le continue urla provenienti dall'abitazione della Gréou. Nel 1994 venne condannata a un anno di reclusione per aver cagionato "lesioni volontarie a una minore di quindici anni consistenti in una mutilazione". Di lì a poco una giovane donna denunciò di aver subito un intervento di mutilazione genitale, insieme alla sorella, identificando nella Gréou l'autrice della condotta; nel corso delle indagini si scoprirà che la Gréou era nota nella capitale e a lei si rivolgevano diverse famiglie di origini soprattutto senegalesi e maliensi per sottoporre le figlie al rito escissorio: si identificarono 48 vittime e 25 genitori vennero processati. La Corte condannò, oltre alla Gréou (condannata alla reclusione per otto anni e al pagamento di 12.000 € ad ognuna delle vittime, costituitesi parte civile) anche la madre delle ragazze da cui ebbe inizio la vicenda a due anni di reclusione; gli altri genitori furono condannati a pene che vennero sospese per la lieve entità. Il lato curioso della vicenda volle che Mama Hawa, dopo un periodo di riflessione e ripensamenti in carcere, scontata la pena, non solo smise di esercitare la sua "professione" (prima di lei svolta dalla madre e dalla nonna), ma scrisse un libro, a due mani con l'avvocatessa che difendeva le sue vittime, Linda Weil-Curiel, storica femminista e fondatrice della Ong Cams, per l'abolizione delle MGF.

Dal 2000 ad oggi si sono svolti una decina di processi "fotocopia": le condanne massime inflitte ai genitori delle bambine escisse sono state di cinque anni di reclusione. L'ultima sentenza, recentissima, risale al giugno 2012: una coppia di origine guineana è stata condannata a due anni di reclusione per aver fatto praticare alle quattro figlie il rito escissorio. Significativo il comportamento delle due sorelle più grandi, di diciotto e venti anni, che hanno deciso di non costituirsi parte civile e hanno pubblicamente difeso l'operato dei genitori, dicendo di non capire "perché si trovassero in tribunale".

3.3 ...a pene lievi: perseguire ma non punire

Come si è visto dall'analisi delle sentenze più significative, nessuna condanna ha visto l'irrogazione di pene esemplari: tutti i processi svoltisi di fronte alla Cour d'Assises si sono conclusi con pene moderate. Si noti che la pena massima inflitta è stata di otto anni reclusione, ma si trattava di un caso di recidiva in cui erano state compiute 48 escissioni. (51) Le pene massime inflitte ai genitori sono state di cinque anni di reclusione, sempre accompagnati dalla sospensione condizionale della pena. Si può dunque affermare che in sede processuale la Francia, il paese che vanta il maggior numero di casi giudiziari di MGF in Europa, si toglie la maschera repressiva che sulla carta parrebbe indossare: la Francia ha deciso di "perseguire ma di non punire". (52)

Il primo punto nodale, che ha accomunato i diversi processi e che spesso ha determinato la lieve entità della pena irrogata, è l'assenza del dolo, l'elemento soggettivo del reato, in mancanza del quale viene meno la punibilità della condotta. I genitori che effettuano mutilazioni sulle figlie agiscono nella convinzione di far loro del bene, convinzione sorretta d'altra parte da elementi di fatto, documentati da etnologi e antropologi: le ragazze non mutilate rischiano l'isolamento dalla loro comunità, non possono trovare marito, non sono considerate veramente donne. (53) È evidente come per gli imputati "la consuetudine del proprio popolo costituisce un'obbligazione sociale e religiosa estremamente cogente, molto di più dell'interpretazione giurisprudenziale del codice penale di un paese estraneo" (54). Se l'accusa insiste sul fatto che l'interesse da proteggere è quello della minore, la difesa replica come non sia certo quale sia l'interesse della stessa, posto che il danno che comporta essere escluso dalla comunità avrà ricadute ben maggiori del danno dell'operazione. A questo proposito è interessante notare come lo svolgimento dei processi, soprattutto a partire dal momento in cui la competenza si è spostata alla Corte d'Assise, che prevede al fianco di giudici togati anche una componente laica, ne abbia influenzato l'esito. Laddove il Presidente della Corte ha permesso un dibattito attento sui fatti, sulla pratica dell'escissione e sugli individui coinvolti nel caso specifico, lasciando spazio a esperti e interpreti, l'influenza esercitata sulla giuria ha condotto talvolta a identificare come vittime gli stessi imputati! (55) Così come non può dirsi senza conseguenze il grado di mediatizzazione del processo, minore laddove la minore età degli imputati imponeva che si svolgesse a porte chiuse.

In secondo luogo emerge il tema dell'ignoranza della legge penale, ovvero del divieto di praticare il rito escissiorio nel territorio francese, dovuto alle difficoltà di comunicazione, all'isolamento di molte donne delle comunità che lo praticano e al peso della tradizione. Questo aspetto ha ovviamente interessato soprattutto i primi processi, risalenti agli anni Ottanta del secolo scorso, non potendo addursi tale inescusabilità nei più recenti casi giudiziari, visti il numero e la notorietà dei processi e il diverso grado di integrazione presupposta nelle seconde generazioni di immigrati.

In definitiva l'esperienza francese ha messo in luce le difficoltà di ricondurre la pratica dell'escissione alle categorie penalistiche tradizionali (56); in assenza di un reato ad hoc è inevitabile che l'organo giudicante si imbatta in una serie di ostacoli giuridici. Il processo si svolge su un campo minato da cause di giustificazione e di non punibilità, dove perizie mediche e pareri d'esperti hanno un ruolo determinante per l'esito della battaglia. Si è discusso a lungo in Francia circa l'opportunità di introdurre un reato specifico, discussione sedata dalla tradizionale linea mutilculturalista-assimilazionista francese. La scelta di ricondurre l'escissione rituale alla fattispecie corrente delle mutilazioni, con le aggravanti del caso, è stata d'altra parte considerata eccessivamente severa, anche dai sostenitori della via repressiva. Infatti la magistratura francese ha lungamente esitato prima di iniziare procedimenti penali a carico dei genitori e si è visto come, anche una volta intrapresa la strada della criminalizzazione, di fronte a casi concreti, le Corti abbiano emanato condanne molto più leggere rispetto alla pena massima prevista dalla cornice edittale dell'art. 222-9 c.p. e dalle relative aggravanti. (57)

4. Regno Unito

4.1 Criminalizzare ma non perseguire

La politica multiculturalista adottata dal Regno Unito è di segno inverso rispetto alla quella seguita dal vicino paese d'oltremanica: il modello inglese si ispira ad una concezione sostanziale dell'uguaglianza ed è quindi improntato ad un riconoscimento di fondo delle diversità culturali (58). Riconoscimento che si traduce in strategie politiche più tolleranti e pluraliste: dal punto di vista legislativo spesso le normative prevedono esimenti culturali che permettono di differenziare il trattamento sulla base dell'appartenenza a un gruppo culturale minoritario; dal punto di vista giudiziario basti rimandare alla secolare cultura del common law e il ruolo del corpo dei giudici nel sistema anglosassone.

Con riguardo al tema della mutilazioni genitali femminili, la Gran Bretagna è stato il primo paese europeo ad aver introdotto una normativa specifica; la battaglia contro le MGF è stata dichiarata nel 1985 con il Female Circumcision Act, poi sostituito del 2003 dal Female Genital Mutilation Act che, rispetto al precedente, ne ampliò l'applicabilità e innalzò la pena massima prevista. (59) Prima di volgere uno sguardo alla normativa, ricordiamo che essa non è, ad oggi, mai stata applicata: non si è svolto alcun processo in materia di mutilazioni genitali femminili.

Il Female Genital Mutilation Act 2003 punisce quelle "pratiche che includono la parziale o totale rimozione degli organi genitali femminili esterni per ragioni culturali o altre ragioni non terapeutiche", sul presupposto che "esse non siano necessarie dal punto di vista medico, siano estremamente dolorose e che cagionino serie conseguenze alla salute". Si passa quindi alla previsione dei savings, le nostre cause di giustificazione: è lecita l'operazione eseguita da un operatore sanitario autorizzato su di una ragazza "quando sia necessario per la sua salute fisica o mentale". Se non si discute circa la liceità di un intervento che comporti la rimozione di un'area tumorale, la questione si complica in riferimento alla delicata questione della salute mentale. Le Explanatory Notes annesse al Female Genital Mutilation Act 2003 non esulano dall'affrontare il punto controverso: "le operazioni necessarie per la salute mentale potrebbero includere, ad esempio, interventi di chirurgia estetica risultanti dall'angoscia [distress] causata dalla percezione di anormalità o interventi di cambio di sesso". (60) Tuttavia, si legge nel testo del FGM Act, allo scopo di determinare se un'operazione è necessaria per la salute mentale della ragazza, "non è rilevante se ella o altra persona creda che l'operazione sia dovuta in osservanza di un'usanza o un rituale". Questa significativa battuta d'arresto, di segno contrario rispetto al consueto apprezzamento del fattore culturale da parte della tradizione anglosassone, sancisce quindi l'illiceità dell'operazione quando questa venga compiuta nel rispetto di un dettame culturale, essendo irrilevante che l'inosservanza di tale usanza possa mettere a repentaglio la salute mentale della ragazza.

Sarà punito, continua la legge, non solo chi cagiona materialmente la mutilazione, ma anche "colui che agevoli e rafforzi l'intento di una donna di sottoporsi a tale intervento"; in questo modo si esclude la scriminante del consenso della vittima. La quarta sezione del FGM Act riguarda l'estensione extraterritoriale della condotta: sarà punito ogni atto posto in essere al di fuori del Regno Unito se commesso da un cittadino o da un residente nel territorio. Il colpevole, se ha agito on conviction on indictment, potrà essere condannato alla pena della reclusione fino a 14 anni (61) o con una pena pecuniaria (o entrambe); in caso di summary conviction la pena massima si abbassa a 6 mesi.

Come abbiamo anticipato, dal 1985 ad oggi nessun processo ha avuto luogo, nessuna sentenza di condanna è stata emessa. Si ha tuttavia notizia di due vicende: la prima risale al 1993 quando un medico di origini islamiche eseguì una mutilazione ai genitali di una bambina e in conseguenza di ciò venne espulso dall'ordine dei medici, ma non venne perseguito per il reato che avrebbe dovuto integrare la sua condotta. Il secondo caso avvenne nel 2000 quando un medico di origini indiane si offrì di eseguire una escissione per £50; il filmato che lo testimonia venne addirittura trasmesso in televisione. Il medico subì la stessa sorte del collega, senza alcuna conseguenza di tipo penale (62).

La posizione della Gran Bretagna rispetto al tema della MGF è ambiguo. Parrebbe un segno d'apertura la scriminante della salute mentale della donna, subito fatto rientrare con l'esclusione della motivazione culturale tra le cause di giustificazione del reato. D'altra parte la scelta di criminalizzare la condotta ma di non punirla in sede giudiziale è una chiara scelta di politica del diritto; ci si potrebbe chiedere se il FGM Act sia paragonabile ad una legge-manifesto, che se da una parte proclama a gran voce la scelta di punire, non resta che una mera dichiarazione d'intenti. Sarebbe forse un paragone azzardato considerando la sostanziale diversità dei sistemi giuridici continentali con quello anglosassone e quindi del ruolo degli atti legislativi. Sicuramente, tuttavia, in entrambi i sistemi è al giudice che viene lasciata l'ultima parola circa il diritto effettivamente valido sul territorio; sarà il potere giudiziario a decidere se le disposizioni normative debbano diventare lettera morta, condannandole al silenzio, anche contro il volere del legislatore.

4.2 Chirurgia estetica e piercing: quale trattamento giuridico?

Il dibattito sul tema dei piercing e della chirurgia estetica è molto acceso nei paesi anglosassoni. È bene distinguere le due situazioni: la prima questione riguarda la riconducibilità delle operazioni di piercing nella IV tipologia (residuale) delle mutilazioni genitali femminili stabilita dall'OMS (63); la seconda riguarda il trattamento giuridico da riservare agli interventi di Genital cosmetic surgery, spesso ascrivibili a gradi di invasività riconducibili alle prime tipologie della classificazione di cui sopra. Il punto della questione è il seguente: se le mutilazioni genitali femminili provocano forti reazioni di condanna in tutto il mondo, venendo etichettate come un "barbaro attacco alla sessualità e autodeterminazione delle donne", come rispondere alla richiesta di un crescente numero di donne occidentali di modificare i propri genitali con piercing ed operazioni chirurgiche? (64) Il paragone è giuridicamente stimolante laddove vi siano parità di condizioni: posto che non si tratta di operazioni di natura terapeutica, la donna che voglia sottoporsi all'intervento dovrà essere nelle condizioni, per l'età e lo stato di salute mentale, di esprimere il proprio consenso. Ci si chiede quindi: può la legge proibire ogni forma di MGF riconducibile a una pratica culturale, anche sulla donna adulta consenziente, e allo stesso tempo essere tollerante nei confronti degli interventi ai genitali di natura estetica?

Un recentissimo studio pubblicato in una rivista di ginecologia inglese ha ipotizzato tre casi limite con lo scopo di valutare la tenuta del Female Genital Mutilation Act 2003. (65) Il primo caso immagina una diciannovenne inglese, di origini eritree, che si rivolge a un chirurgo estetico per chiedere che le piccole labbra della sua vagina vengano ridotte e cucite insieme. Il medico, accertata la provenienza della donna da un luogo in cui la pratica delle MGF è diffusa, investigherebbe sulle motivazioni di tale intervento. La ragazza quindi confesserebbe il suo desiderio di sposare un uomo della sua comunità d'origine, non realizzabile a meno di sottoporsi all'intervento. In questa situazione, per quanto l'operazione sia dettata da una credenza culturale quindi esclusa dall'ambito delle scriminanti ammesse, le autrici prevedono la possibilità che il danno psichico causato dall'isolamento nella comunità possa essere ritenuto in sede giudiziaria un interesse superiore. Si prevede, in definitiva, che la sola volontà di obbedire a una tradizione non sarebbe ammessa tra i savings, ma se questo dovesse tradursi in un serio danno di natura psichica, verrebbero meno i presupposti per impedire l'esecuzione dell'intervento: così, rendendo lecita l'operazione, si avrebbe un notevole indebolimento della legislazione vigente.

Il secondo caso ipotizzato propone la vicenda di una ragazza ventunenne che si rivolge a un ginecologo per la riduzione delle grandi labbra della sua vagina: quando era piccola, le altre ragazze nello spogliatoio della palestra si facevano gioco di lei dicendo che erano troppo grandi. Convintasi di essere brutta e anormale, la ragazza si chiude in sé stessa maturando gravi problemi di socialità ed evitando ogni tipo di relazione sessuale. Venuta a conoscenza, tramite la pubblicità di alcune cliniche private, della possibilità di sottoporsi a interventi di Female genital cosmetic surgery (FGCS), decide di rivolgersi al suo medico. (66) Sarebbe perseguibile penalmente un medico che effettuasse tale intervento? Il punto da chiarire è ancora una volta l'ampiezza della scriminante della salute mentale. A tal proposito si ricordi che le Explanatory Notes che accompagnano il FGM Act specificano che rientrano nelle operazioni ammesse gli interventi di cambio di sesso e quelli dovuti a causa di una "percepita anormalità" [perceived abnormality]. Si esclude quindi la sussistenza di una responsabilità penale in capo al medico.

L'ultimo case study è quello di una diciottenne che si rivolge ad uno studio di piercing e tatuaggi per realizzare un piercing al clitoride, con lo scopo di aumentare il suo piacere sessuale. Nonostante nella letteratura medica esistano diversi studi relativi a questa pratica che affermano che essa non sia permessa dal FGM Act (67), in realtà non vi è una proibizione espressa. La questione tuttavia non è semplice: le note esplicative, infatti, non chiariscono la definizione del termine "mutilazione", restando così dubbia l'operazione di riconducibilità del "to pierce" al "to mutilate"; il piercing, infatti, potrebbe integrare la quarta tipologia delle MGF secondo la classificazione stilata dall'OMS.

La ricerca giunge quindi alla conclusione che la normativa inglese concernente le mutilazioni genitali femminili non è rigida; la struttura architettata dal legislatore è sempre a rischio cedimento a causa di un anello debole che dota la norma di quella flessibilità che consente di valutare il caso singolo: l'esimente della salute mentale. Le pressioni causate dalla comunità di appartenenza nel caso delle MGF e le pressioni della società nel caso delle FGCS possono causare un eguale distress tale da far rientrare nell'ambito della liceità gli interventi in questione.

4.3 Le Corti inglesi e le MGF: il diritto d'asilo

Nonostante non si siano svolti processi di tipo penale relativi a episodi di mutilazioni genitali femminili, le Corti inglesi hanno avuto modo di affrontare la questione in alcuni casi concernenti richieste di protezione internazionale avanzate da donne fuggite dal paese d'origine per evitare di essere sottoposte alla pratica. Le sentenze inglesi si distinguono per la lunghezza, la copiosità di dettagli, l'analiticità della ricostruzione della storia e delle circostanze del caso, la discorsività della vicenda.

Nel primo caso che prenderemo in esame, la House of Lords, in ultima istanza, ha affrontato un caso di diniego di concessione d'asilo da parte delle autorità inglesi a una ragazza di quindici anni, Miss Fornah, proveniente dalla Sierra Leone, la cui richiesta di protezione internazionale si fondava sul presupposto che il suo rientro nel paese d'origine avrebbe comportato la sua sottomissione alla pratica di infibulazione (68); la protezione non le venne concessa sulla base di due motivazioni: in primo luogo poiché "la pratica di MGF non rientra nella definizione di persecuzione intesa dalla Convenzione dei Rifugiati perché le donne a rischio di circoncisione in Sierra Leone non forma un particolare gruppo sociale ai sensi dell'art. 1.A della Convenzione": in secondo luogo perché la donna avrebbe potuto chiedere protezione alle autorità della Sierra Leone, "che manifestano la volontà di combattere la pratica". La House of Lords, riesaminato il caso attraverso un lungo processo argomentativo, ribalterà l'esito della precedente decisione, riconoscendo alla donna la status di rifugiato politico.

Il nodo della questione determinante la concessione o meno della protezione, così come è stato per le Corti spagnole (69), è dato dalla nozione di gruppo sociale cui fa riferimento la Convenzione di Ginevra all'art. 1.A. La riflessione operata dalla House of Lords si spinge a riconoscere lo status di rifugiato politico alla donna sulla base della sua appartenenza ad un determinato gruppo sociale che, nel caso in esame, coincide con tutte le donne della Sierra Leone. (70) Il ragionamento operato dalla Corte si basa su un documento dell'Alto Commissariato dell'ONU per i rifugiati (ACNUR) che detta delle linee guida per l'identificazione dei "gruppi sociali", come intesi dalla Convenzione di Ginevra e sull'analisi dell'art. 10 della direttiva 2004/83/CE del Consiglio Europeo che individua un gruppo sociale quando "i membri di tale gruppo condividono una caratteristica comune che non può essere mutata" e tale gruppo "possiede un'identità distinta all'interno del paese in cui vive, perché è percepito come diverso dalla società circostante". La categoria delle donne quindi potrebbe integrare la nozione di "gruppo sociale" laddove la convinzione circa l'inferiorità delle donne sia radicata negli abitanti del paese. (71)

Quanto all'effettività della protezione che le autorità della Sierra Leone accorderebbero alle vittime della pratica lesiva, la House of Lords rammenta che "la persecuzione è perpetrata dalle donne del villaggio di appartenenza, nella totale indifferenza dello Stato della Sierra Leone che, di fatto, accoglie e, in un certo senso, legittima la pratica dell'infibulazione".

La House of Lords quindi riconosce a Miss Fornah lo status di rifugiato politico in virtù della sua appartenenza al gruppo sociale costituito dalle donne della Sierra Leone, dal momento che "in quel paese le donne condividono una caratteristica comune che, in assenza di un cambiamento radicale nei costumi sociali, è immutabile, ovvero una posizione di inferiorità sociale rispetto agli uomini"; tale inferiorità "si manifesta anche con la pratica tradizionale delle mutilazioni genitali femminili, accettata dalla società sulla base dell'inferiorità istituzionalizzata nei confronti del sesso femminile. Sulla base di questi presupposti, la Corte "non ha dubbi circa il riconoscimento delle donne della Sierra Leone come un particolare gruppo sociale ai sensi dell'art. 1.A della Convenzione di Ginevra".

Note

1. Tribunale di Verona, sent. 14.4.2010, n. 979, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 3.2010, p. 209.

2. È opportuno riportare il testo integrale dell'art. 583 bis c.p. "1. Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili è punito con la reclusione da quattro a dodici anni. Al fine del presente articolo, si intendono come pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili la clitoridectomia, l'escissione e l'infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo. 2. Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate al co. 1, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre a sette anni. La pena è diminuita fino a due terzi se la lesione è di lieve entità. 3. La pena è aumentata di un terzo quando le pratiche di cui ai co. 1 e 2 sono commesse a danno di un minore ovvero se il fatto è commesso per fini di lucro".

3. Dalla relazione della Dott.ssa Catania, Parere sulle conclusioni espresse dalle consulenti dott.sse Bacciconi, Zaglia e Marcolongo.

4. Come osserva Miazzi L. in "Il diverso trattamento giuridico delle modificazioni genitali maschili e femminili, ovvero: dai reati culturali ai reati coloniali", cit., p. 107.

5. Mentre il prof. Sala (docente di antropologia dell'educazione presso l'Università di Verona) e la Dott.ssa Cima (docente di pedagogia della mediazione all'Università di Verona), esperti della comunità nigeriana degli Edo-Bini cui appartengono le famiglie coinvolte, hanno insistito sulla funzione di iniziazione del soggetto e del suo riconoscimento come individuo nel proprio gruppo, che riguarda indistintamente bambini e bambine, gli stessi imputati, nel corso dell'interrogatorio, hanno dichiarato della funzione di controllo della sessualità femminile, affermando che "una donna deve subire questa operazione, senza la quale prova un desiderio sessuale anche eccessivo che può portarla a desiderare altri uomini oltre al proprio".

6. Cass. Pen., sez. VI, 26.11.2008, n. 46300 (sentenza citata nella motivazione della sentenza del Tribunale di Verona).

7. Il giudice assumerebbe, secondo l'espressione usata dalla stessa Cass. Pen., il ruolo di "mediatore culturale".

8. Si ricordi che i fatti risalgono a Marzo 2006, per l'esattezza 48 giorni dopo l'entrata in vigore della legge n. 7/2006.

9. Trib. Minorenni di Torino, decreto 17.7.1997, in Diritto, immigrazione e cittadinanza n. 2.2000, p.140.

10. Miazzi L., Vanzan A., "Modificazioni genitali: tradizioni culturali, strategie di contrasto e nuove norme penali", cit., p. 25.

11. Pitch T., "Il trattamento giuridico delle mutilazioni genitali femminili", cit., p. 506.

12. Tribunale di Padova, sent. 9.11.2007.

13. Tribunale di Bari, sent. 21.05.2009.

14. Comitato Nazionale di Bioetica, La circoncisione: profili bioetici, parere del 25.9.1998.

15. Giunta Regionale Toscana, Delibera 3 giugno 2002, n. 561, recante Definizione dei livelli essenziali di assitenza (LEA)- Determinazioni applicative.

16. Cass. Pen., sez. VI, 22.6.2011, n. 43646.

17. Fortemente criticata da alcuni rami dell'opinione pubblica. Si veda l'editoriale di F. Avenia pubblicato in Riv. Sessuol., vol. 34, n. 3.

18. Il rito, secondo la sentenza, trova la sua ragion d'essere nella stessa Carta Costituzionale.

19. Miazzi L., Il diverso trattamento giuridico delle modificazioni genitali maschili e femminili, ovvero: dai reati culturali ai reati coloniali, cit, p. 109.

20. Si noti l'assenza del riferimento alle sole mutilazioni concernenti gli organi genitali femminili.

21. Ley orgánica 11/2003, de 29 de septiembre, de medidas concretas en materia de seguridad ciudadana, violencia doméstica e integración social de los extranjeros.

22. Ley orgánica 3/2005, de 8 de julio, de modificación de la Ley Orgánica 6/1985, de 1 de julio, del Poder Judicial, para perseguir extraterritorialmente la prática de mutilación genital femenina.

23. Audiencia Provincial de Teruel, 15.11.11, n. 197.

24. Cfr. Tribunale di Verona, sent. 14.4.2010, n. 979.

25. Tale errore si costituirebbe se l'attore si comportasse credendo di agire lecitamente; non è estendibile ai casi in cui l'attore creda che la sanzione penale sia meno grave o disconosca la norma concretamente violata.

26. E' chiara la posizione del giudice nel rapporto tra antigiuridicità e pluralismo giuridico: è determinante nella verifica della sussistenza dell'errore che il soggetto sappia che la condotta è antigiuridica, a nulla rilevando che non la accetti come tale in virtù dell'obbedienza a un altro sistema di regole.

27. Torres Fernández, M., La mutilación genital femenina: un delito culturalmente condicionado, 2008. Pubblicazione nell'ambito del seminario "Mutilación Genital Femenina: aplicación del derecho y desarrollo de buenas prácticas en su prevención", tenutosi presso l'Università di Valencia il 30.10.08.

28. Audencia provincial de Castellón de la Plana, 21.9.06, n. 335.

29. Art. 1.A della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati.

30. Ley Orgánica 3/2007 de 22 marzo, per l'eguaglianza effettiva delle donne e degli uomini.

31. Art. 3.1 legge n. 5/1984: Si riconosce la condizione di rifugiato e pertanto si concederà asilo allo straniero che compia con i requisiti previsti negli Strumenti internazionali ratificati dalla Spagna, e specialmente nella Convenzione sopra lo Statuto dei Rifugiati, stipulata a Ginevra il giorno 28 luglio 1951 e nel Protocollo sullo Statuto dei Rifugiati, stipulato a New York il 31 gennaio 1967.

32. Audiencia Nacional, Sala de lo Contencioso, 12.01.06, n. 3665.

33. Tribunal Supremo, Sala de lo Contencioso, 15.06.11, n. 4013.

34. Viene citato un rapporto dell'ACNUR relativo alla difficile posizione sociale delle donne in Algeria e il trattamento discriminatorio cui sono sottoposte.

35. Tribunal Supremo, Sala de lo Contencioso administrativo, 11.05.09.

36. Cfr. Audiencia Nacional, Sala de lo Contencioso, 12.01.06, n. 3665.

37. Bellucci L., Immigrazione, escissione e diritto in Francia, in Sociologia del diritto n. 3.2006, p. 183.

38. Pitch T., Il trattamento giuridico delle mutilazioni genitali femminili, cit., p. 503.

39. Abdlucadir J., Care of women with female genital mutilation/cutting, in Swiss Med Wkly. 2011;140.

40. Bellucci L., Immigrazione, escissione e diritto in Francia, cit., p. 192.

41. Bellucci L., Immigrazione, escissione e diritto in Francia, cit., p.192.

42. Il codice penale francese è stato oggetto di riforma nel 1994. Molti processi di MGF si sono svolti sotto la vigenza del vecchio codice che prevedeva il reato di lesioni all'art. 312.

43. La sentenza non è mai stata resa nota. Se ne ha notizia grazie alla pubblicazione di una tesi in medicina legale.

44. Cour de Cassation, chambre criminelle, 20.08.1983.

45. Cour d'Assises de Paris, 3 octobre 1989.

46. Facchi A., "Il caso dell'escissione: da consuetudine a crimine" in Immigrati, diritti e conflitti. Saggi sul pluralismo normativo, CLUEB, Bologna 1999, pp. 41-63. La Facchi ricorda anche il "lato spettacolare" del processo, al quale assistette.

47. Rude-Antoine E., Des vie set des familles. Les immigrés, la loie et la costume, Editions Odile Jacob, Paris, 1997, p. 233.

48. Cour d'Assises de Bobigny, 1991.

49. Bronwyn Winter, Women, the Law, and Cultural Relativism in France: the Case of Excision, in Signs, Summer 1994, p. 946.

50. Cour d'Assises de Paris, 17.02.1999.

51. Cfr. Caso Gréou, Cour d'Assises de Paris, 17.02.1999.

52. Pitch T., Il trattamento giuridico delle mutilazioni genitali femminili, cit., p. 510.

53. Pitch T., Il trattamento giuridico delle mutilazioni genitali femminili, cit., p. 506.

54. Facchi A., Il caso dell'escissione: da consuetudine a crimine, cit., pp. 41-63.

55. Bellucci L., Immigrazione, escissione e diritto in Francia, cit., p.194.

56. Facchi A., Il caso dell'escissione: da consuetudine a crimine, cit., pp. 41-63.

57. Facchi A., Il caso dell'escissione: da consuetudine a crimine, cit., pp. 41-63.

58. Basile F., Immigrazione e reati culturalmente motivati. Il diritto penale nelle società multiculturali, cit., p. 60.

59. Il Female Genital Mutilation Act 2003 è valido in Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord. La Scozia si doterà del suo Female Genital Mutilation Act (Scotland) nel 2005.

60. Explanatory Notes, Female Genital Mutilation Act 2003, Section 1.6.

61. L'abrogato Female Circumcision Act 1985 prevedeva la pena massima di 4 anni di reclusione.

62. Poldersman S., Combating Female Genital Mutilation in Europe, A Comparative Analysis of legislative and Preventative Tools in the Netherlands, France, the United Kingdom, and Austria, European Master's Degree in Human Rights and Democratisation Academic year 2005/2006, p. 57.

63. Cfr. Tabella 1, Classificazione delle MGF (OMS) 2007.

64. Kelly B, Foster C., Should femal genital cosmetic surgery and genital piercing be regarded ethically and legally as female genital mutilation? In BJOG (International Journal of Obstetrics and Gynecology) 2012;119:389-392.

65. Kelly B, Foster C., Should female genital cosmetic surgery and genital piercing be regarded ethically and legally as female genital mutilation?, cit., p. 389.

66. Nonostante la quasi totalità degli interventi di genital cosmetic surgery abbiano luogo in cliniche private, nell'anno 2010 circa 2000 operazione sono state realizzate ad opera del Servizio Sanitario Nazionale.

67. Si stima che 2 donne su 1000 in Inghilterra abbiano un genital piercing.

68. House of Lords, 18/19.10.2006, Secretary of State for Home Department vs K. Fornah.

69. Cfr. Tribunal Supremo, Sala de lo Contencioso administrativo, 11.05.09.

70. Tanza D., Scheda di commento alla decisione 18/19.10.2006, Secretary of State for Home Department vs K. Fornahin Diritto, immigrazione, cittadinanza, n.2006, p. 97.

71. Tanza D., Scheda di commento alla decisione 18/19.10.2006, Secretary of State for Home Department vs K. Fornah, cit., p. 98.