ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo 6
La sospensione della pena della reclusione nei confronti dei soggetti tossicodipendenti

Raffaella Tucci, 2011

SOMMARIO: 6. La sospensione della pena - 6.1. La natura dell'istituto: tra sospensione condizionale e affidamento terapeutico - 6.2. Chi può usufruire della sospensione ex art. 90 T.U - 6.3. Il rapporto tra sospensione pena e affidamento terapeutico - 6.4. La procedura di concessione della sospensione pena - 6.5. Conclusione della sospensione pena - 6.6. La riforma dell'istituto del 2006 - 6.7. Il sostanziale non utilizzo della misura.

6. La sospensione della pena

Come accennato, la legge n. 162 del 26 giugno 1990 ("Jervolino-Vassalli") introdusse con il suo art. 24 un nuovo istituto: la sospensione dell'esecuzione della pena detentiva, ora disciplinata dagli articoli dal 90 al 93 del T.U. in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope, adottato con D.P.R. 309/90. Lo scopo dell'istituto è sempre quello di far pressione sul tossicodipendente condannato affinché intraprenda un percorso di cura e riabilitazione. In questo caso il meccanismo disegnato mira soprattutto ad incentivare addirittura il completamento dell'intero percorso terapeutico o, nella formulazione originaria, almeno il suo inizio, ancor prima della condanna. Esso consentiva, infatti, di sottrarsi alla esecuzione della pena detentiva a chi, avendo commesso un reato "in relazione al proprio stato di tossicodipendenza", si fosse sottoposto od avesse in corso un programma terapeutico e socio-riabilitativo. Il principale merito di questa misura consiste, anche nella formulazione odierna che ne rende comunque più difficile l'accesso, nell'offrire una strada che eviti la carcerazione, e quindi la probabile ricaduta nell'uso della droga, a chi, avendo commesso un reato a causa della sua condizione di tossicodipendenza, abbia compiuto con successo un programma di recupero. Prima dell'introduzione della misura in commento non esisteva una disposizione di legge che potesse consentire al tossicodipendente di evitare il carcere, dopo avere ultimato proficuamente, in relazione ad una condanna connessa con il pregresso stato di soggetto dipendente, un programma di recupero. L'unica strada prevista in questa ipotesi era rappresentata dalla misura della grazia.

6.1. La natura dell'istituto: tra sospensione condizionale e affidamento terapeutico

Proprio il carattere incentivante dell'istituto ha posto qualche dubbio sulla sua natura. L'incentivo era, anche nella formulazione originaria dell'art. 90 T.U., rivolto, infatti, ad un facere in larga parte precedente all'espletamento della misura stessa -- aver completato o almeno intrapreso il percorso terapeutico e riabilitativo -- e solo marginalmente ricadente -- portare a termine il programma stesso quando esso era stato solo iniziato -- nel periodo della sua esecuzione. Per la dottrina maggioritaria e la Corte Costituzionale, queste caratteristiche configurano la sospensione pena ex art. 90 T.U. come una misura essenzialmente premiale: essa, secondo questa lettura, serve a ricompensare la scelta dei tossicodipendenti autori di reato che hanno dimostrato di volersi sottrarre alla rete della droga. La Corte Costituzionale (1) in particolare ha sostenuto che il presupposto dell'effettuazione di un programma terapeutico e socio riabilitativo, configura l'istituto come "volto a favorire il recupero dei tossicodipendenti, che [...] concretamente e meritevolmente abbiano mostrato di volersi adoperare per sottrarsi al giogo della droga e nello stesso tempo si siano astenuti dal commettere altri delitti (non colposi). Sicché, questa speciale sospensione dell'esecuzione della pena detentiva assume un carattere velatamente premiale (che l'accomuna con la disciplina, altrettanto speciale, della custodia cautelare e dell'affidamento in prova prevista rispettivamente dagli artt. 89 e 94 T.U. cit., ove è prevista per il tossicodipendente che si sottopone ad un programma terapeutico di recupero) ed una connotazione incentivante del recupero stesso (perché la mancata prosecuzione del programma comporta la revoca del beneficio).

Come mostrano anche le parole della Corte, che citano da un lato un istituto come l'affidamento terapeutico che la Corte stessa ha qualificato come modalità di esecuzione pena, pur parlando di istituto premiale, l'esatta natura giuridica dell'istituto della sospensione ex art. 90 e ss. T.U. appare ambigua e quindi molto discussa. Il problema nasce dalla sua disciplina che in parte sembra configurarla come un caso speciale, per quanto anomalo, dalla sospensione condizionale, regolata dagli articoli 163 e ss. c.p., pur presentando numerosi punti di contatto con la misura alternativa dell'affidamento in prova in casi particolari, regolata dall'art. 94 dello stesso T.U. Si è molto discusso se questa sospensione pena speciale prevista per i tossicodipendenti sia un'ibridazione dell'istituto codicistico della sospensione condizionale con la normativa sull'affidamento terapeutico, o al contrario nasca dall'innesto delle norme sulla sospensione condizionale della pena nel tronco dell'affidamento in casi speciali. Di fronte a questo dilemma, in dottrina qualcuno ha anche sostenuto che essa è caratterizzata da elementi peculiari che la configurano come non riconducibile a nessuno dei due istituti.

L'avvicinamento ad uno dei due istituti appare fondamentale soprattutto per sciogliere un'incongruenza sugli effetti di questa sospensione pena determinata dal contrasto tra la rubrica e la lettera dell'art. 93 T.U., incongruenza non eliminata neppure con la riforma del 2006. Questo articolo nella prima parte della rubrica, che suona Estinzione del reato. Revoca della sospensione, richiama evidentemente l'art. 167 c.p. relativo alla sospensione pena ordinaria che reca in rubrica Estinzione del reato. Il problema nasce dal fatto che la sua formulazione però non ripete quella del 1º comma dell'art. 167 c.p. secondo cui "se, nei termini stabiliti, il condannato non commette un delitto, ovvero una contravvenzione della stessa indole, e adempie gli obblighi impostigli, il reato è estinto". Disponendo invece che se il condannato "nei cinque anni successivi non commette un delitto non colposo punibile con la reclusione, si estinguono la pena e ogni altro effetto penale", l'art. 93 1º comma T.U. richiama le regole dell'art. 47 o.p. per l'affidamento ordinario e, come detto, applicabili, in forza dell'esplicito rinvio a queste disposizioni, all'affidamento in prova in casi particolari di cui all'art. 94 T.U. La dottrina maggioritaria ha dato rilievo non alla rubrica, ma alla normativa e ha considerato l'istituto una causa estintiva della pena, come l'affidamento, ma c'è chi attenendosi alla rubrica lo ha considerato una causa di estinzione del reato, come la sospensione pena codicistica.

Alcuni autori hanno sostenuto che, pur presentando alcuni elementi di raccordo con l'istituto della sospensione condizionale della pena, di cui agli artt. da 163 a 168 c.p., la sospensione esecutiva disciplinata dagli artt. 90 e ss. del D.P.R. 309/90, si discosta dalla causa di estinzione del reato di matrice codicistica soprattutto perché il suo contenuto impone un facere, quale l'osservanza del percorso riabilitativo. Questa tesi non appare molto convincente dato che già quasi dieci anni prima dell'approvazione del T.U. sugli stupefacenti la legge n. 689/1981 aveva modificato l'art. 165 c.p. stabilendo che il giudice possa subordinare la concessione della sospensione condizionale di cui all'art. 163 c.p. "all'adempimento dell'obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o provvisoriamente assegnata sull'ammontare di esso e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno; [...] salvo che la legge disponga altrimenti, all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato" e, "se il condannato non si oppone", perfino "alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna". I tempi in cui queste prestazioni devono essere compiuti sono addirittura fissati dalla stessa sentenza attraverso la quale il beneficio viene concesso. Il giudice poi, di norma (2), deve obbligatoriamente imporre uno di questi comportamenti quando concede la sospensione condizionale della pena a chi ne ha già usufruito. E' abbastanza evidente quindi che un facere può o deve essere previsto anche per la concessione della sospensione pena ex art. 163 codice penale. Merita di essere sottolineato, poi, che dalla sospensione pena per i tossicodipendenti ex art. 90 T.U. non derivava necessariamente un facere: questo era richiesto esclusivamente al soggetto che aveva solo iniziato il percorso terapeutico. Nessun nuovo comportamento attivo doveva invece essere tenuto dal soggetto che ha già compiuto il programma terapeutico. Inoltre il facere richiesto a chi aveva il programma terapeutico in corso non appariva certo più pesante di quello che può essere imposto ex art. 165 c.p., tenuto conto che la decisione di intraprendere il programma nonché il periodo iniziale di disintossicazione rappresentano sicuramente due momenti molto pesanti per il tossicodipendente, e che questi erano da considerarsi superati al momento della proposizione della richiesta della sospensione.

La sospensione prevista dal T.U. è speciale in quanto rivolta ad un bacino d'utenza delimitato dalla specificità di essere stato tossicodipendente al momento della commissione del reato, e quindi non universale come quello a cui si rivolge la misura prevista dal codice. A parte questa evidente differenza, la diversità normativa più rilevante fra la sospensione codicistica e quella ex art. 90 T.U. è quella relativa agli organi preposti alla loro concessione e alla modalità per essa previste. Queste modalità fanno sì che i due benefici non si pongano mai come alternativi. Infatti, nel momento in cui il giudice di merito concede la sospensione pena ex art. 163 c.p. il condannato non deve scontare alcuna pena. La sospensione condizionale prevista dall'art. 90 T.U. può essere invece disposta dal Tribunale di Sorveglianza solo a chi "è stato condannato ad una pena detentiva". Essa è quindi concedibile solo nel momento in cui in sede di cognizione l'interessato non è ammesso a fruire dell'istituto contemplato dagli articoli 163 e ss. del codice penale. I due benefici dunque non possono coesistere poiché nel momento in cui si ottiene la sospensione pena codicistica, il soggetto condannato non è più esposto ad una pena da scontare concretamente. Diversamente, il problema di applicare l'istituto previsto dal T.U. si pone solo nel momento in cui in sede di cognizione l'interessato non è ammesso a fruire dell'istituto contemplato dagli articoli 163 e ss. del codice penale.

La sospensione prevista dal T.U. si configura dunque, a differenza di quella codicistica, come un istituto relativo alla fase dell'esecuzione della pena. Esso, pur non avendo come contenuto un programma riabilitativo, si avvicina, come ha sottolineato la Cassazione (3), alle forme della probation, in quanto tende ad esercitare un effetto dissuasivo rispetto all'uso di sostanze stupefacenti e a svolgere, perciò, sul comportamento dell'individuo, per il tramite di interventi psico-sociali, un'influenza che va oltre l'astensione dal commettere reati, obiettivo che è, invece, il solo della tradizionale sospensione condizionale della pena, che, come ricordato, determina l'estinzione del reato, e non della pena soltanto. Questa connotazione comporta che la sua concessione dovrebbe prescindere da tutti quei requisiti miranti a tener conto della condotta antecedente al reato e delle modalità della sua esecuzione, richiesti dall'art. 164 c.p. per la concessione della sospensione pena da parte del giudice della cognizione. Questa norma, infatti, esclude la concessione "se, avuto riguardo alle circostanze indicate nell'articolo 133", il giudice non ritiene di poter fare una prognosi positiva sul futuro comportamento del colpevole escludendo la commissione di nuovi reati. Essa inoltre non può essere concessa "a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta la riabilitazione", a chi è stato dichiarato contravventore abituale o professionale o è ritenuto talmente pericoloso da richiedere la comminazione di una misura di sicurezza personale. La configurazione di istituto proprio della fase esecutiva della sospensione prevista dal T.U. del 1990, a parte la presunzione operata dalla legge che la pericolosità del soggetto dipenda dallo stato di tossicodipendenza ormai neutralizzato o in via di neutralizzazione grazia al programma terapeutico (4), fa sì che la valutazione che deve compiere il Tribunale di Sorveglianza si debba basare su criteri più simili a quelli previsti per i normali istituti di probation, e quindi soprattutto sul comportamento tenuto dopo il reato, e non prima di esso, è più precisamente, data la struttura particolare dell'istituto, addirittura dopo l'inizio del percorso terapeutico.

6.2. Chi può usufruire della sospensione ex art. 90 T.U.

A differenza dell'affidamento in casi particolari, la sospensione pena prevista dal T.U. per quanto concerne i presupposti per la sua concessione è in primo luogo riservata, ai soli tossicodipendenti, e non anche agli alcool-dipendenti. Inoltre, essi devono essere stati condannati per un reato connesso al loro stato di dipendenza e devono aver concluso, o secondo la formulazione originaria anche solo intrapreso, un programma terapeutico e socio-riabilitativo. Da questa previsione si è dedotto che il beneficio non può essere concesso a chi fa uso solo occasionalmente di droghe, se questo uso non rende necessario il programma terapeutico e socio-riabilitativo. La questione è stata sottoposta alla Corte Costituzionale segnalando una possibile irragionevole disparità di trattamento (5). La Corte costituzionale, con sentenza n. 133 del 1992 (che ha accertato l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 90 D.P.R. 309/1990, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost.), ha ritenuto l'esclusione dalla fruibilità del beneficio dell'individuo solo occasionalmente dedito al consumo di stupefacenti conforme al principio di ragionevolezza, sostenendo che

nel caso di consumo occasionale ovvero di consumo abituale che non abbia causato alcuno stato di tossicodipendenza viene meno il presupposto della misura premiale nel senso che l'eventuale persistere del soggetto nel consumo della droga è pienamente ed integralmente nella sfera del libero arbitrio, sicché non è ingiustificatamente discriminante per la diversità delle situazioni poste in comparazione che non trovi applicazione la speciale misura della sospensione dell'esecuzione della pena, non essendo ipotizzabile alcuna terapia o riabilitazione del tossicofilo non tossicodipendente da incoraggiare o sostenere.

La Corte ha comunque contestualmente auspicato che il legislatore prevedesse una parallela misura premiale anche in favore di questa categoria di utenti della droga.

Un secondo presupposto, anche questo non previsto, come accennato, per l'affidamento terapeutico, richiede che il reato sia stato "commesso in relazione" allo stato di tossicodipendenza dell'autore. Questa locuzione ha suscitato qualche dubbio in dottrina. Alcuni (6) hanno sostenuto che ai fini della fruibilità della misura in esame non è sufficiente che il reato sia stato commesso durante il periodo nel quale l'autore era tossicodipendente, ma deve sussistere un nesso causale tra la motivazione al compimento del fatto penalmente rilevante e la condizione di tossicodipendente: è necessario in altre parole che emerga un rapporto di stretta connessione tra la situazione personale del condannato e la commissione del fatto di reato. Da questa tesi desumono l'applicabilità della misura esclusivamente per i delitti concernenti la violazione delle disposizioni del D.P.R. 309/1990. Altra parte della dottrina (7) ammette la concessione del disposto premiale dell'art. 90 anche tutti i reati collegati ad una tale conclamata condizione di dipendenza a prescindere dalla transeunte alterazione connessa ad un consumo diretto.

La dottrina maggioritaria sostiene che la norma è pensata per il soggetto che commette il reato allo scopo di procurarsi, più o meno direttamente, la sostanza stupefacente o psicotropa da cui dipende. Secondo questa tesi è sufficiente la sussistenza dello stato di tossicodipendenza al momento della commissione del reato, la "connessione" si avrebbe in altre parole anche quando viene commesso un qualsiasi reato, patrimoniale o non, sotto l'effetto di droga. Questa interpretazione comporta un'estensione decisamente più ampia della misura, facendovi rientrare anche i delitti contro il patrimonio, compiuti dal tossicodipendente per procacciarsi i mezzi necessari ad acquistare la dose giornaliera, nonché quelli, anche colposi, commessi sotto l'azione di stupefacenti e sostanze psicotrope. In via generale la misura è dalla giurisprudenza ritenuta applicabile in favore di chi, essendo tossicodipendente, ha commesso il reato a cagione della propria personale condizione, ovvero al fine di procurarsi i mezzi per sostentarla. La Cassazione (8) ha ritenuto la misura concedibile tanto per i reati commessi da chi fosse al momento del fatto in stato di tossicodipendenza, quanto per quelli la cui commissione sia stata direttamente motivata da detta patologica situazione.

Questa discussione si è intrecciata con l'intervento della legge n. 222/93, che elevando a quattro anni la pena detentiva sospendibile ha posto un problema relativo al significato dell'ultimo periodo del 1º comma dell'art. 90 T.U. soppresso dalla riforma del 2006. Con l'ultimo periodo del primo comma il legislatore del 1990 aveva disposto che la previsione contenuta nella prima parte del comma era applicabile anche per i reati previsti dal 5º comma dell'art. 73 dello stesso T.U. quando la pena detentiva comminata, o ancora da scontare, non era superiore ai quattro anni di reclusione, mentre in via generale la sospensione poteva essere concessa per una pena detentiva fino a tre anni (eventualmente anche congiunta a pena pecuniaria). Questa previsione aveva un chiaro significato: il legislatore riteneva questi reati, cioè quelli di piccolo "spaccio", tipici dei tossicodipendenti, e quindi, per la loro commissione, innalzava il limite di pena sospendibile rispetto a quello ordinariamente previsto, La sussistenza di questa fattispecie, è importante ricordarlo, prima del referendum del 1993 si presumeva in caso di possesso di una quantità di droga superiore alla dose media giornaliera. La legge del 1993, recante Disposizioni urgenti relative al trattamento di persone affette da HIV, modificò il primo comma dell'art. 90 portando a quattro anni il limite ordinario di pena detentiva sospendibile, tra l'altro modificò, come accennato anche l'art. 94, prevedendo che anche l'affidamento terapeutico potesse essere concesso entro lo stesso limite di pena. Con l'equiparazione del limite di pena generalmente sospendibile e quello sospendibile per la commissione di reati previsti dall'art. 73, 5º comma, dello stesso T.U., aveva perso ogni significato l'ultimo periodo del 1º comma dell'art. 90 T.U. Non vi era più alcun bisogno di questa specificazione, lasciava quindi perplessi il fatto che il legislatore non l'avesse abrogata. Quella norma a detta di molti era solo il risultato di un difetto di coordinazione che rimaneva a ricordare il favore del legislatore verso gli autori di quei reati.

In dottrina si è levata qualche voce che ha sostenuto che il mantenimento della norma indicasse, invece, la volontà del legislatore di preservare qualche condizione di favore agli autori dei reati di cui al 5º comma dell'art. 73 del T.U., o comunque che essa potesse essere utilizzata in via ermeneutica in questa direzione. Questa tesi si giocava sul significato da attribuire alla locuzione "la stessa disposizione". Se essa si riteneva riferita a tutte le condizioni previste dalla prima parte del 1º comma dell'art. 90, alla norma non si poteva attribuire alcuna incidenza. Qualche autore fece leva sullo spirito della norma sostenendo che il favor del legislatore si potesse tradurre in una interpretazione meno stringente del requisito della "connessione" tra stato di tossicodipendenza e le condotte di reati di detenzione o spaccio di un quantitativo minimo di droga, e che quindi in questo caso fosse sufficiente per la sospensione della pena che il soggetto fosse tossicodipendente al momento della commissione del reato. Questo sforzo ermeneutico sembra però la classica montagna che partorisce il topolino dato che la detenzione o lo spaccio di piccole dosi di droghe da parte di soggetti tossicodipendenti si può considerare in re ipsa connesso casualmente allo stato di dipendenza. Un'analoga considerazione si può fare in riferimento alla tesi di chi sostenne che la sopravvivenza dell'ultimo periodo del 1º comma dell'art. 90, consentiva di sostenere che, in riferimento a questi reati, si dovesse adottare una lettura formale di questo comma in grado di estendere il beneficio a favore di chi, sic et simpliciter, detiene o spaccia un quantitativo minimo di droga, senza essere legato ad essa da un vincolo di dipendenza abituale. Siccome il soggetto autore del reato doveva comunque essere in condizioni tali da essere ammesso a un programma terapeutico, l'impatto di questa tesi sarebbe stato al massimo di consentire la sospensione della pena anche ai consumatori occasionali il cui stato di salute era in qualche modo compromesso, usando un parametro fornito dallo stesso T.U. si sarebbe potuta estendere la sospensione della pena agli utenti della droga che, pur non essendo dipendenti in senso stretto, avessero comunque "problemi di tossicodipendenza", come abbiamo visto recitare l'art. 96 per definire la platea dei titolari al diritto del trattamento terapeutico intramurario.

Per quanto riguarda la determinazione della pena sospendibile la formulazione dell'art. 90 T.U. che parla di "persona condannata ad una pena detentiva non superiore a quattro anni, anche se congiuntamente a pena pecuniaria, [...] ovvero che [...] debba ancora scontare una pena di durata non superiore a quattro anni" chiarisce in modo netto che il legislatore voleva che si tenesse conto della pena che il condannato doveva effettivamente scontare, con esclusione dal computo sia delle pene già espiate, sia di quelle estinte per indulto od altra causa. Il 4º comma dell'art. 90 prevedeva che la sospensione potesse essere concessa, anche se la pena detentiva di quattro anni da scontare era il risultato di un cumulo di più condanne, purché tutte riportate prima dell'istanza di sospensione. Esso poi stabiliva, e ancora oggi stabilisce, che la sospensione pena non può essere concessa più di una volta. Parte della dottrina (9), in analogia con quanto avviene per l'affidamento, anche se per la sospensione pena ex art. 90 T.U. non era previsto l'istituto dell'esenzione della misura, riteneva ammissibile una seconda, o comunque una plurima, concessione della sospensione nei casi in cui i titoli esecutivi sopravvenuti all'ammissione al beneficio, ma relativi a fatti antecedenti all'intrapresa del programma terapeutico, non superassero cumulativamente il limite quantitativo fissato dalla legge. Il Tribunale di Sorveglianza di Milano però, con ordinanza del 14 aprile 1999, aveva evidenziato che, dato che l'art. 90, diversamente dall'art. 94, non rimandava alle norme dell'ordinamento, non era applicabile il disposto di cui all'art. 51-bis della legge n. 354/1975, dettata per disciplinare la sopravvenienza di nuovi titoli privativi della libertà.

Come più volte detto, l'ultimo requisito previsto per la sospensione pena era che il condannato si fosse sottoposto con successo, caso in cui la sospensione è ancora oggi concedibile, o avesse almeno in corso un programma terapeutico e socio-riabilitativo. A norma del 2º comma dell'art. 91, alla domanda doveva essere allegata una certificazione rilasciata dal Ser.T. competente ed attestante il tipo di programma terapeutico e socio-riabilitativo prescelto, l'indicazione della struttura ove il programma era stato eseguito o era in corso, le modalità di realizzazione e l'eventuale completamento del programma. La legge non indicava, e non indica, un limite di tempo entro cui, una volta compiuto il programma, si potesse, e tutt'oggi si possa, ottenere la sospensione pena. La Cassazione (10), con una sentenza ormai risalente, affermò che il programma deve essere attuato e completato in epoca prossima alla presentazione dell'istanza. Questa tesi non è molto convincente. Alla base di questo istituto sembra esserci, come accennato la presunzione che la pericolosità del soggetto dipenda dallo stato di tossicodipendenza e che una volta sostenuto l'appropriato trattamento per uscire da questo stato nulla più giustifichi l'esecuzione della pena. Per cui non sembra essere rilevante da quanto tempo il richiedente la sospensione della pena abbia compiuto il programma, ma solo che esso sia stato intrapreso dopo aver compiuto il reato, sia stato portato a termine con successo, e abbia funzionato, cioè che il soggetto non abbia più commesso reati. Il 2º comma dell'art. 90 T.U., infatti, prevede che la sospensione della pena non possa essere concesso se il richiedente ha commesso un altro delitto non colposo punibile con la reclusione, sola o congiunta alla multa, "nel periodo compreso tra l'inizio del programma e la pronuncia della sospensione". La commissione del nuovo reato è, infatti, assunta come indice che il programma non ha neutralizzato la capacità a delinquere e quindi la pericolosità del tossicodipendente. Qualora la condanna intervenga prima della decisione del Tribunale di Sorveglianza, questa, rappresenterà una condizione ostativa alla concessione della sospensione pena, qualora la condanna, intervenga dopo la sospensione, ma abbia ad oggetto un fatto antecedente ad essa, questa dovrà essere revocata per il sopravvenuto accertamento di una circostanza ostativa preesistente.

6.3. Il rapporto tra sospensione pena e affidamento terapeutico

Il nuovo istituto si rivolgeva dunque a chi, anche non più abitualmente dedito all'uso di droga, fosse stato condannato ad una pena, o comunque avesse un residuo pena, inferiore a quattro anni, per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza, così come era previsto anche per l'ammissibilità all'affidamento terapeutico, purché si fosse già sottoposto o avesse attualmente in corso un programma terapeutico concordato con il Ser.T. o con un ente autorizzato. Esso quindi in parte si sovrapponeva all'affidamento in casi particolari, in parte si presentava come complementare ad esso in quanto concedibile al condannato che avesse già portato a termine con buoni risultati un programma di recupero. Come vedremo l'area di sovrapposizione è stata eliminata dalla riforma del 2006 che ha riservato la sospensione pena solo a chi abbia già concluso il programma terapeutico.

La sovrapposizione si verificava nel caso dell'esecuzione della pena nei confronti di un tossicodipendente che aveva commesso il reato a causa del suo stato di dipendenza e che aveva, al momento dell'inizio dell'esecuzione, già intrapreso un programma terapeutico. Fatta salva questa ipotesi, l'alternativa fra i due istituti non si poneva mai, per la carenza dei presupposti di uno di essi. Nel caso di possibile utilizzazione di entrambi gli istituti il Tribunale di Sorveglianza poteva essere chiamato a pronunciarsi sulle due istanze alternativamente proposte. In questo caso in dottrina era pacifico che il criterio di scelta fra i due istituti non doveva essere il favor libertatis, non esisteva in altre parole un diritto del condannato al trattamento meno afflittivo. La situazione era piuttosto accostata al caso in cui il Tribunale di Sorveglianza fosse chiamato a scegliere tra due modalità alternative di esecuzione pena: il giudice doveva scegliere, tra gli strumenti volti a favorire la risocializzazione del condannato, quello più idoneo, da un lato, a evitare la reiterazione dei reati e, dall'altro, a favorire la conclusione positiva del trattamento terapeutico di recupero, tenuto conto delle condizioni soggettive del beneficiario. Questa tesi della dottrina è stata accolta dalla Cassazione che con due sentenze a distanza di pochi anni (11) ribadì che il criterio da seguire per ritenere applicabile la misura è la pericolosità sociale del soggetto condannato in via definitiva e la sua affidabilità. Con la prima sentenza (12) la Suprema Corte reputò legittimo dare luogo alla sospensione dell'esecuzione nel caso di soggetto che, avuto riguardo ai suoi trascorsi, al suo grado di reinserimento ed alla sua personalità, appaia probabilmente dotato di capacità di autocontrollo tali da consentirgli una gestione autonoma del programma di recupero. Mentre, ha ritenuto doversi preferire l'affidamento terapeutico quando, anche per la persistenza di un pericolo (comunque necessariamente limitato) di reiterazione dei reati, appaia, per converso, probabile che il soggetto non sia in grado di sottostare al programma riabilitativo se non in quanto affidato ad una struttura che in concreto lo segua e lo controlli. Il medesimo principio è stato esplicitato anche dalla sent n. 29019/2003 della Corte di Cassazione, secondo cui nella scelta tra l'istituto della sospensione dell'esecuzione della pena detentiva nei confronti di soggetto condannato per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza (art. 90) e quello dell'affidamento in prova al servizio sociale a scopo terapeutico per tossicodipendenti (art. 94), il criterio da seguire non può ispirarsi alla valutazione dell'opportunità e dell'idoneità del programma riabilitativo, trattandosi di requisiti previsti per entrambi gli istituti anzidetti, e neppure può ispirarsi ad un preteso principio generale dell'ordinamento, secondo cui, quando possibile, dovrebbe essere data alle pene concreta esecuzione, poiché ciò porterebbe alla pratica vanificazione del dettato di cui all'art. 90 D.P.R. 309/1990.

Merita di essere sottolineato che, come già accennato e come vedremo meglio in seguito, la prassi dei Tribunali di Sorveglianza fu al contrario orientata alla concessione di quella misura che consentisse il maggiore "controllo" del reo. Infatti, tra le due possibilità fu quasi sempre scelto l'affidamento, in quanto permetteva di seguire l'andamento della misura attraverso il C.S.S.A. (oggi U.E.P.E.).

Fino alla riforma del 2006, nulla si opponeva che potesse usufruire della sospensione pena chi, autore di un delitto commesso in relazione al proprio stato di tossicodipendenza, per il quale fosse stato condannato ad una pena inferiore ai quattro anni, avesse svolto o stesse svolgendo in carcere un programma di mera detossicazione fisica e volesse intraprendere un percorso socio-riabilitativo all'esterno; caso, questo, tra i più frequenti, essendo i programmi di riabilitazione psicologica, come abbiamo visto, molto difficili da attuare in carcere. La normativa originaria considerava, infatti, questa misura premiale concedibile genericamente alla persona che si fosse "sottoposta [...] un programma terapeutico e socio-riabilitativo". Il dubbio nasceva dal fatto che la legge richiedeva che il programma fosse anche "riabilitativo" ma sembra ragionevole ritenere che per l'accesso alla misura dovesse prevalere l'aspetto sostanziale su quello formale. Per cui, visto che la normativa dell'epoca prevedeva che si potesse continuare il programma in sospensione pena, non si sarebbe dovuto considerare ostativo il fatto che il percorso terapeutico fosse diviso formalmente in due programmi, uno di disintossicazione fisica e uno di riabilitazione psicologica. Appariva quindi plausibile che un tossicodipendente che stesse intraprendendo, o addirittura, avesse concluso, con successo un percorso carcerario di disintossicazione fisica, fosse considerato ammissibile alla sospensione pena. Con la legge n. 49/2006 questa ipotesi è venuta meno perché la norma, come più volte detto, presuppone che il "programma terapeutico e socio-riabilitativo" sia concluso con successo. Mentre non dovrebbe essere venuta meno la possibilità di chiedere la sospensione pena ex art. 90 T.U. per chi abbia avuto la fortuna di svolgere con successo in carcere un programma terapeutico e socio-riabilitativo e per chi abbia solo iniziato questo programma in carcere e poi concluso in libertà, casomai in affidamento terapeutico. Infatti, la nuova normativa prevede che il Tribunale di Sorveglianza "accerti che la persona si è sottoposta con esito positivo ad un programma terapeutico e socio-riabilitativo eseguito presso una struttura sanitaria pubblica od una struttura privata autorizzata ai sensi dell'articolo 116": il Ser.T. carcerario che elabora e segue il programma del detenuto durante la detenzione è, infatti, una struttura sanitaria pubblica.

Il Tribunale può poi trovarsi di fronte ad una richiesta di sospensione di esecuzione di una pena detentiva, fino a quel momento espiata in affidamento. Passare dalla misura dell'affidamento alla sospensione della pena, dal punto di vista del soggetto in esecuzione pena, presenta dei vantaggi e degli svantaggi. Un tal passaggio consente, in via immediata, al condannato di liberarsi dell'obbligo di osservare le prescrizioni, aggiuntive a quelle terapeutiche, imposte dal Tribunale di Sorveglianza (13). D'altra parte alla conclusione dell'affidamento terapeutico con andamento positivo, si estingue ogni effetto penale della condanna, mentre se si sospende la pena il condannato dovrà attendere cinque anni dalla sospensione per ottenere un effetto, che nonostante le correzioni apportate dalla legge n. 49/2006 sembra meno favorevole. L'espressione dubitativa è dovuta, come accennato, alla mancata definizione normativa delle "conseguenze penali" ed alla non perfetta coincidenza del dispositivo degli articoli 90 comma 3 e 93 comma 1, T.U.

Secondo quanto disposto dall'art. 90 comma 3, fino al 2006, la sospensione della pena, rendeva inapplicabili le misure di sicurezza, tranne la confisca, ma non aveva effetto sulle pene accessorie e gli altri effetti penali della condanna, lasciava poi sussistere le obbligazioni civili derivanti dal reato, mentre, se non veniva commesso alcun delitto non colposo punito con la reclusione, e veniva attuato il programma terapeutico dopo cinque anni, si dovevano estinguere "la pena ed ogni effetto penale". I suoi effetti erano quindi, almeno nell'immediato, molto meno vantaggiosi di quelli dell'affidamento terapeutico. Se la misura era premiale nella sua essenza, lo era molto meno nella regolamentazione dei suoi effetti accessori. La disciplina relativa ad essi mostrava chiaramente che il legislatore si era preoccupato di sospendere tutti quegli effetti penali che potevano intralciare il programma di recupero (14), ma non di utilizzare la loro sospensione per incentivare ulteriormente il percorso terapeutico. Il soggetto condannato con pena sospesa si vedeva assoggettare alla confisca e nei cinque anni successivi alla sospensione continuava a vedersi applicare le pene accessorie (15) e ad essere esposto agli altri effetti penali della condanna. In dottrina alcuni autori (16), sottolinearono l'incongruità del comportamento del legislatore che a pochi mesi di distanza ha modificato il 1º comma dell'art. 166, c.p., con la legge n. 19 del 7 febbraio del 1990, estendendo gli effetti della sospensione condizionale anche alle pene accessorie e, ha disposto che la sospensione della pena ex art. 90 T.U. non incidesse su di esse, finendo per assumere un atteggiamento punitivo nei confronti dei tossicodipendenti che avevano intrapreso il programma terapeutico, senza attendere la condanna. Trascorsi i cinque anni senza che il soggetto avesse compiuto delitti non colposi puniti con la reclusione, sebbene l'art. 93 primo comma prevedesse (e prevede) l'estinzione della " pena ed ogni effetto penale", è plausibile che le cose confiscate al condannato non venissero restituite (17). Oggi, per effetto delle modifiche introdotte dal legislatore, la situazione è quantomeno stata equiparata a quella della sospensione condizionale codicistica, per cui si sospendono anche le pene accessorie e gli altri effetti penali della condanna, ma continua a sopravvivere, oltre naturalmente alle obbligazioni civili derivanti dal reato, la confisca che invece l'affidamento dovrebbe estinguere e i cui effetti, pur continuando ancora oggi a prevedere l'art. 93 primo comma, che si estinguano "la pena ed ogni effetto penale della condanna", rimangono intoccabili (18).

Se sospensione pena e affidamento terapeutico erano già stati originariamente richiesti in via alternativa, la Cassazione ha sostenuto che la richiesta di sospensione dell'esecuzione pena in affidamento poteva essere rigettata, ai sensi del 2º comma dell'art. 666 c.p.p., già dal pubblico ministero o comunque con decisione adottata dal Tribunale di Sorveglianza, con la dichiarazione giudiziale che è ritenuta inammissibile una richiesta che costituisce una riproposizione di quanto già domandato (19). Anche questa decisione appare molto discutibile: in effetti, il Tribunale di Sorveglianza può considerare non sufficiente il programma terapeutico svolto dal richiedente e quindi optare per l'affidamento terapeutico. Se una volta concluso il programma terapeutico il soggetto propone domanda di sospensione pena ex art. 90 T.U. appare difficile considerare questa istanza una riproposizione di quella originariamente proposta, in quanto sono evidentemente mutate le sue condizioni in quanto si tratta di soggetto che ha concluso con successo il percorso richiesto dalla legge. In questo senso, la previsione del nuovo comma 6-bis dell'art. 94 T.U., secondo cui, come ricordato, "qualora nel corso dell'affidamento disposto ai sensi del presente articolo l'interessato abbia positivamente terminato la parte terapeutica del programma, il magistrato di Sorveglianza, previa rideterminazione delle prescrizioni, può disporne la prosecuzione ai fini del reinserimento sociale anche qualora la pena residua superi quella prevista per l'affidamento ordinario di cui all'articolo 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354", non indica una via esclusiva. Se, infatti, al termine dell'affidamento, il soggetto in esecuzione pena chiede la sospensione ex art. 90 T.U. il Tribunale di Sorveglianza può ben decidere di disporre questa misura premiale invece che l'affidamento ordinario, ipotesi molto remota visto il generale favor controlli che ha caratterizzato l'operato della magistratura di Sorveglianza in questi anni.

A tutt'oggi, come accennato, la sospensione pena appare concedibile, quando una persona, che ha già usufruito di due affidamenti terapeutici, riceve una condanna per un fatto antecedente al trattamento intrapreso durante il secondo, e il Tribunale di Sorveglianza, essendo già stata pronunciata la dichiarazione di conclusione con buon esito del secondo affidamento e non potendosi quindi estendere l'affidamento, non ritiene di poter concedere lo stesso in virtù della preclusione stabilita dal 5º comma dell'art. 94. Analogamente appare concedibile l'affidamento terapeutico per l'esecuzione di una pena compiuta dopo la sospensione condizionale, anche nel caso che la pena sia comminata per il reato che ha comportato la revoca della sospensione. Il legislatore non ha infatti stabilito nessuna preclusione all'intreccio fa le due misure. Così come, in mancanza di un espressa preclusione normativa, appare concedibile l'affidamento terapeutico per la pena derivante da un delitto non colposo, punibile con la reclusione, commesso nel periodo compreso tra l'inizio del programma e la pronuncia sull'istanza di sospensione, come anche per la pena dovuta a un delitto che ha comportato la revoca della sospensione, se la pena sospesa aggiunta alla pena per il nuovo delitto non supera il limite massimo previsto.

6.4. La procedura di concessione della sospensione pena

La procedura per la sospensione esecutiva della pena è disciplinata, come lo era in origine quella dell'affidamento in casi particolari, dagli artt. 91 e 92 del T.U. stupefacenti. Come abbiamo già visto queste disposizioni ricalcano in larga parte le prescrizioni dettate in genere dal codice di rito per il procedimento dinanzi al Tribunale di Sorveglianza e quelle previste dalla legge n. 354/75 per l'ammissione al beneficio ordinario dell'affidamento in prova.

Una prima differenza, rispetto all'affidamento terapeutico, riguardava i criteri di determinazione del giudice competente all'esecuzione. Il 1º comma dell'art. 91, oggi soppresso, stabiliva la competenza in capo al Tribunale di Sorveglianza del luogo in cui l'interessato risiedeva, qualunque fosse la sua situazione, allo scopo di assicurare un collegamento più agevole con i servizi socio-sanitari locali (20). Limitatamente alle richieste provenienti dal condannato in libertà, a seguito della legge n. 165/98, la richiesta di sospensione della pena ex art. 90 T.U., come quella di affidamento in prova in casi particolari, deve essere proposta al Tribunale di Sorveglianza del luogo ove ha sede l'ufficio del pubblico ministero competente per la fase esecutiva della pena. In questo modo si è opportunamente attribuito allo stesso giudice la competenza a disporre ab origine entrambe le misure sostitutive della pena detentiva previste dal T.U. del 1990 a beneficio dei tossicodipendenti condannati (21). La differenza di competenza era invece permanente per le istanze presentate dopo l'inizio dell'esecuzione per le quali rimane valido il criterio della residenza stabilito dal 1º comma dell'art. 90, mentre per quelle di affidamento la competenza è determinata in base al luogo di esecuzione della sentenza di condanna a pena detentiva, ai sensi dell'art. 677 c.p.p.

Anche per la sospensione pene come per l'affidamento l'art. 91 prevedeva che se l'ordine di esecuzione non era stato eseguito l'istanza doveva essere presentata al pubblico ministero, il quale sospendeva l'ordine di esecuzione in attesa della decisione del Tribunale. Mentre nel caso in cui il soggetto fosse detenuto era previsto come per l'affidamento che il pubblico ministero disponesse la scarcerazione se non ostava il limite di pena. La giurisprudenza (22) aveva affermato anche in questo caso, che ferma la competenza, inderogabile, del Tribunale di Sorveglianza, il pubblico ministero doveva compiere la valutazione preliminare dell'ammissibilità dell'istanza. Naturalmente anche per la sospensione pena fino all'entrata in vigore della legge n. 49/2006 si sono posti tutti problemi relativi al rapporto tra le procedure stabilite dall'art. 91 T.U. e quelle introdotte con le modifiche apportate dalla legge n. 165/1998 all'art. 656 c.p.p. e in particolare si è posto il già analizzato conflitto giurisprudenziale relativo all'assoggettamento anche della misura della sospensione dell'esecuzione della pena detentiva ai divieti sanciti dai commi 7º e 9º dell'art. 656 del codice di rito.

Il 2º comma dell'art. 91 T.U. prevedeva che all'istanza di sospensione dovesse essere allegata "la certificazione rilasciata da un servizio pubblico per le tossicodipendenze attestante il tipo di programma e socio-riabilitativo prescelto, l'indicazione della struttura, anche privata, ove il programma è stato eseguito o è in corso, le modalità di realizzazione e l'eventuale completamento del programma". La giurisprudenza di legittimità (23) aveva affermato che l'omessa allegazione originaria poteva essere superata da una produzione successiva, ma pur sempre anteriore all'esame dell'istanza da parte degli organi competenti. Questa decisione era in linea con la generale previsione dell'art. 666, 3º comma c.p.p. sul procedimento di esecuzione, che concede di presentare memorie in cancelleria fino a 5 giorni prima dell'udienza, e seguiva per analogia la normativa che, come abbiamo visto, allora era vigente per l'affidamento terapeutico.

Non è previsto che il Tribunale accerti per la concessione della sospensione della pena la non preordinazione sia dello stato di tossicodipendenza, sia dell'esecuzione della terapia al conseguimento del beneficio. Essendo l'istituto pensato per premiare chi ha già concluso positivamente o, in origine, almeno intrapreso, un programma terapeutico, e quindi per incoraggiare questa scelta, la preordinazione dell'esecuzione della terapia è in qualche modo l'oggetto della norma, quello che conta è la modalità con cui è stato svolto e portato a termine il programma. Il 2º comma dell'art. 92 dispone infatti che ove lo ritenga adeguato, il Tribunale di Sorveglianza è investito del potere di "disporre gli opportuni accertamenti in ordine al programma terapeutico e socio riabilitativo effettuato". Questa previsione solleva problemi analoghi a quelli discussi in tema di accertamento dell'idoneità del programma disposto per l'affidamento terapeutico. Non essendo poi richiesto, a differenza di quanto previsto per la concessione dell'affidamento terapeutico, la condizione di tossicodipendenza al momento dell'esecuzione della pena, non è pensabile una sua preordinazione al fine di ottenere la misura, al più il condannato avrà potuto usare la condizione di dipendenza per giustificare la commissione del reato.

Per quanto riguarda l'ampliamento dei soggetti legittimati a presentare la domanda di sospensione, visto che l'art. 91, comma 1º, riconosceva tale legittimazione solo al condannato, in particolare per quanto riguarda l'estendibilità a questa istanza della disciplina dell'art. 57 o.p., valevano le considerazioni svolte per l'analoga questione discussa in tema di legittimazione a presentare la domanda di affidamento terapeutico, con qualche precauzione in meno, specialmente nel caso in cui il percorso terapeutico si fosse già concluso, facendo venir meno la necessità di garantire l'autonomia del paziente nella sua scelta. Non ponendosi problemi di scelta terapeutica la questione è completamente scemata, nel 2006, con la soppressione del primo comma dall'art. 91: oggi quindi appare plausibile che a presentare l'istanza siano i soggetti previsti dall'art. 57 o.p.

Anche relativamente al 1º comma dell'art. 92 che prevede l'inammissibilità dell'istanza se non è potuta avvenire la notifica al domicilio indicato nella richiesta e se l'interessato non compare in udienza valgono le considerazioni già fatte in tema di procedimento per la concessione dell'affidamento terapeutico. A questo proposito si deve però aggiungere che parte della dottrina è perplessa circa l'obbligatorietà della presenza dell'interessato all'udienza camerale per la sospensione pena. Alcuni sottolineano l'opportunità di questa prescrizione, volta a consentire al giudice, analogamente a quanto avviene per l'affidamento terapeutico, di stabilire un contatto con il richiedente, al fine di vagliarne la personalità e avere un ulteriore elemento per emettere il proprio giudizio prognostico sulla possibilità di un recupero dello stesso. Qualcuno fa invece notare che questa previsione può penalizzare il soggetto che sta continuando a combattere la dipendenza psicologica (24).

Rinvio alle problematiche discusse per l'affidamento terapeutico si può fare anche per la procedura prevista dal 4º comma dell'art. 91, T.U. Secondo la versione originaria di questo comma l'istanza per la concessione del beneficio sospensivo dell'esecuzione di una condanna detentiva poteva essere proposta dall'interessato, nei confronti del quale era già stato emesso l'ordine di carcerazione, al pubblico ministero presso la magistratura di Sorveglianza del luogo di residenza dell'interessato. Questo, previa verifica formale del presupposto temporale indicato dal 1º comma dell'art. 90, sospendeva con proprio decreto l'ordine di esecuzione della pena detentiva ed il condannato attendeva la decisione sulla richiesta di sospensione in stato di libertà.

6.5. Conclusione della sospensione pena

Gli effetti estintivi, intorno al cui contenuto c'è, come detto, qualche discussione, si verificano se chi si è visto concedere la misura nei cinque anni successivi non commette un altro delitto non colposo punibile con la reclusione (25) e, vigente la vecchia normativa, eventualmente fosse stato ancora in corso al momento della concessione, porta a compimento il programma terapeutico. Infatti, a norma del 2º comma dell'art. 93 T.U., l'abbandono del percorso terapeutico e riabilitativo comportava la revoca della misura. Lo stesso art. 93 prevede che la sospensione dell'esecuzione sia revocata di diritto se il condannato, nel termine dei cinque anni, commetta un delitto non colposo per cui venga inflitta la pena della reclusione (26). In quest'ultimo caso, la dottrina appare unanime nel ritenere che il termine di cinque anni attenga al momento in cui il delitto viene commesso e non a quello dell'intervenuta sentenza di condanna definitiva, anche se la revoca diverrà operante solo al momento del passaggio in giudicato della pronuncia di condanna. Il legislatore nel 2006 ha invece fissato con il comma 2-bis dell'art. 93 il termine da cui decorrono i cinque anni: tale momento coincide con la data di presentazione dell'istanza, a seguito del provvedimento di sospensione adottato dal pubblico ministero ai sensi dell'articolo 656 c.p.p. per i soggetti in libertà, e con la data della domanda di cui all'art. 91, comma 4, per i soggetti detenuti.

Stante la diversa natura dei due istituti, uno è modalità di esecuzione della pena e l'altro è sospensione della stessa, le regole relative alla revoca della sospensione pena sono notevolmente diverse da quella relative alla revoca dell'affidamento in casi particolari. Per l'affidamento terapeutico i comportamenti che incidono sul buon esito della misura devono essere realizzati nel periodo della pena da eseguire, o al massimo nelle more della pronuncia sul buon esito della misura stessa, mentre sulla revoca del beneficio della sospensione della pena incidono i comportamenti tenuti in un periodo, indipendente dalla durata della condanna, "di cinque anni successivi al provvedimento di sospensione".

L'accertamento di un'eventuale responsabilità penale relativa ad un delitto doloso punibile con la reclusione del soggetto ammesso a fruire della misura di cui all'art. 90 e rimesso naturalmente all'autorità giudiziaria risulterà dal casellario penale. Più complessa, data la mancata previsione dell'attivazione degli assistenti sociali dell'U.E.P.E. per seguire i condannati con pena sospesa ex art. 90 T.U., era la verifica dell'ingiustificata interruzione del programma di recupero. L'art. 123 del D.P.R. 309/90 disponeva che il Ser.T. territoriale dovesse trasmettere, previa espressa richiesta, al Tribunale di Sorveglianza una relazione sull'andamento del programma, sul comportamento del soggetto e sui risultati conseguiti dal beneficiario della misura.

La legge non prevede l'intervento del Magistrato di Sorveglianza nella procedura di revoca. Questo appare coerente con le caratteristiche della misura che, da un lato, non prevede un monitoraggio continuo sul condannato, infatti, anche nella versione originaria, assumeva il programma come già quantomeno iniziato e quindi concordato al momento della concessione della sospensione pena e non attribuiva alcun poter alla Magistratura di Sorveglianza di impartite al soggetto ulteriori prescrizioni rispetto a quelle già previste. Dall'altro, la configurazione della misura non lascia lo spazio per la sua sospensione provvisoria, diversamente da quanto succede per l'affidamento terapeutico; Quindi non c'è alcun ruolo per il singolo magistrato a cui invece nel quadro di quest'ultima misura sono affidati i rapporti con la struttura sanitaria responsabile dell'attuazione del programma terapeutico.

Fino alla riforma del T.U. del 2006 era aperto il problema della competenza in tema di revoca della sospensione dell'esecuzione. In assenza di una specifica disciplina normativa, si riteneva che alla revoca della sospensione, nell'ipotesi in cui il condannato si sottraesse al programma senza giustificato motivo, dovesse provvedere direttamente il Tribunale di Sorveglianza, competente ex art. 677 c.p.p. (e, quindi, secondo criteri diversi da quelli previsti dall'art. 91 primo comma T.U. per l'individuazione del Tribunale competente per la concessione della sospensione). Mentre, nel caso di perpetrazione di reati dolosi punibili con la reclusione, in analogia con la sospensione condizionale della pena, si riteneva che la competenza per la revoca fosse del giudice competente ad infliggere la nuova condanna e, solo in via subordinata, quella del giudice dell'esecuzione (27), ai sensi dell'art. 674 c.p.p. (che coincideva con il Tribunale di Sorveglianza che aveva emesso il provvedimento sospensivo della pena detentiva ai sensi dell'art. 90). La legge n. 49/2006 ha risolto la questione, attribuendo, esplicitamente, la competenza ad emettere il provvedimento di revoca al Tribunale di Sorveglianza che ha disposto la sospensione.

La diversa natura dei due istituti differenzia anche nettamente gli effetti della revoca della sospensione della pena da quelli dell'affidamento terapeutico. Infatti, il soggetto in affidamento subisce una limitazione della propria libertà per effetto di un provvedimento afflittivo che, come ha stabilito la Corte Costituzionale, è a tutti gli effetti una pena, tanto che, come abbiamo visto, l'intervento di una causa ostativa alla sua prosecuzione, imputabile al beneficiario, non coinvolge necessariamente l'intero periodo di pena trascorso in affidamento, che può essere considerato come pena eseguita. Al contrario, la sospensione della pena configura un periodo in cui il soggetto è "libero", per cui la sua revoca produce, inevitabilmente, l'esecuzione dell'intera pena sospesa.

6.6. La riforma dell'istituto del 2006

La riforma del 2006 ha risolto il problema della concorrenza tra sospensione pena e affidamento terapeutico, ma così facendo, a dispetto della scarsissima applicazione dell'istituto, ha, come accennato, notevolmente limitato la possibilità di accedere all'opzione premiale prevista dall'art. 90 D.P.R. n. 309/1990. Essa, infatti, consente la sua adozione nei soli casi in cui un tossicodipendente abbia già attuato, anteriormente all'esecuzione della condanna a pena detentiva, un programma di recupero.

Oggi dunque per la concessione della sospensione pena ex art. 90 T.U. devono sussistere: a) una condanna a pena detentiva che non superi, anche se residua, i 6 anni ovvero i 4 anni se relativa ad un titolo esecutivo comprendente un reato di cui all'art. 4-bis legge n. 354/1975 (in seguito alla novella di cui alla legge n. 49/2006); b) la commissione di un reato come conseguenza della personale condizione di tossicodipendenza; c) l'accertato esperimento da parte dell'interessato di un programma terapeutico e socio-riabilitativo intrapreso presso una struttura pubblica o privata autorizzata ai sensi dell'art. 116 D.P.R. n. 309/1990 già definito, od in corso alla presentazione dell'istanza, che si sia (comunque), concluso con un esito positivo; d) la dimostrazione del grave pregiudizio che deriverebbe dalla protrazione dello stato di detenzione; e) l'inesistenza di elementi legittimanti il pericolo di fuga. Per il resto, anche in questo caso, come per l'affidamento terapeutico, la modifica più appariscente del 1º comma dell'art. 90 riguarda l'aumento del limite di pena che consente la concessione della misura e l'esplicita previsione che ad essa possono accedere, anche in questo caso in analogia con quanto stabilito per l'affidamento terapeutico, i condannati di un reato di cui all'art. 4-bis o.p., ma con un limite di pena irrogata inferiore. In virtù di queste modifiche oggi, la disposizione consente al tossicodipendente condannato di fruire del beneficio sospensivo della pena detentiva, ove la sanzione irrogata dal Giudice, anche se congiunta a pena pecuniaria, costituente o meno residuo di maggior pena in parte già scontata, non sia superiore al limite quantitativo di 6 anni ovvero di 4 anni per reati compresi nell'art. 4-bis legge n. 354/1975.

Oggi dunque l'istituto dell'affidamento terapeutico (art. 94 T.U.) e quello della sospensione pena (art. 90 T.U.) hanno presupposti chiaramente distinti. L'affidamento in prova in casi particolari presuppone l'attualità dello stato di tossicodipendenza ed il serio intendimento del condannato di sottoporsi ad un percorso terapeutico e socio-riabilitativo con finalità detossicanti. La sospensione dell'esecuzione della pena trova il proprio fondamento nella situazione esattamente opposta, data dall'avvenuto completamento, con esito positivo, del percorso terapeutico da parte del richiedente, già condannato per un reato commesso a cagione del proprio stato di tossicodipendenza. Il legislatore ha dunque ritenuto di assecondare la prassi della Magistratura di Sorveglianza che, come visto, ha ritenuto l'istituto della sospensione pena meno adatto ai soggetti che hanno un programma in corso rispetto all'affidamento terapeutico che, grazie alle prescrizioni e i controlli, è sembrato contemperare meglio le esigenze di tutela della collettività da una parte e della salute dell'interessato dall'altra.

Come visto la legge n. 49/2006 ha poi profondamente modificato l'art. 91 D.P.R. n. 309/1990 che regola il procedimento applicativo della sospensione dell'esecuzione della pena detentiva.

Il comma 1º della disposizione, che individuava la competenza a decidere sulla misura in capo al Tribunale di Sorveglianza del luogo di residenza, è stato abrogato, in quanto ritenuto pleonastico, dato che la competenza a decidere a questo organo è già attribuita dal primo comma dell'art. 90.

Il 2º comma dell'articolo è stato novellato prevedendo che, come è stato disposto per l'istanza di affidamento terapeutico, la documentazione afferente l'esperimento del programma terapeutico e socio-riabilitativo presso una struttura pubblica o privata autorizzata (ai sensi dell'art. 116 D.P.R. n. 309/1990), nonché la certificazione della procedura di accertamento dello stato di tossicodipendenza del soggetto deve essere allegata all'istanza di sospensione a pena di nullità. Mentre sembra possa avvenire in un momento successivo l'acquisizione della relazione finale di cui all'art. 123 D.P.R. n. 309/1990 (28), prevista dal nuovo primo comma dell'art. 90. In questo caso però le conseguenze della previsione dell'allegazione all'istanza a pena di nullità è molto meno devastante, vuoi per lo scarso utilizzo della misura, vuoi, soprattutto perché, riguardando la certificazione un percorso ormai avvenuto, non si pone il problema dell'accesso alla misura di soggetti segnalati ai Ser.T. per la prima volta in conseguimento del loro arresto. Non si pone, in altre parole, il problema dei tempi ristretti per l'elaborazione del programma e la predisposizione delle certificazioni, che finisce per escludere molte persone con problemi di dipendenza dall'affidamento terapeutico.

E' stato infine riformulato il 4º comma dell'art. 91 prevedendo - nel caso in cui venga presentata una domanda di sospensione in relazione ad un ordine di carcerazione già eseguito -la competenza a decidere in capo al Magistrato di Sorveglianza competente in relazione al luogo di detenzione e non più in capo al pubblico ministero (in argomento all'abrogazione del comma 3 dell'art. 91).

Sempre per quanto riguarda la procedura il legislatore del 2006 ha, inoltre, novellato il 2º comma dell'art. 90 prevedendo che la commissione di un delitto non colposo punibile con la reclusione, successiva all'inizio del programma e antecedente alla concessione, già prevista come fatto ostativo alla stessa concessione del beneficio, rende inammissibile la domanda.

La legge n. 49 ha risolto anche la problematica relativa alla mancanza di una normativa circa il sopraggiungere a carico del soggetto che si è giovato della sospensione pena di un nuovo titolo esecutivo che importi il superamento del parametro edittale previsto dalla norma (6 anni ovvero 4 anni, in presenza di delitti previsti dall'art. 4-bis legge 354/1975). Il legislatore ha infatti aggiunto all'art. 90 il comma 4-bis, secondo il quale alla misura prevista dall'art. 90 D.P.R. n. 309/1990 "Si applica, per quanto non diversamente stabilito ed ove compatibile, la disciplina prevista dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni". Ora è quindi pacifico che anche per questo istituto vale l'art. 51-bis legge n. 354/1975 per cui si procederà a revoca della misura solo nel caso di sopravvenienza di titoli privativi della libertà che determinino il superamento del parametro oggettivo per accedere alla misura sostitutiva della pena detentiva.

Per quanto riguarda la revoca va sottolineato che la nuova formulazione dell'art. 93 comma 2º, del T.U. sugli stupefacenti prevede espressamente che il Tribunale di Sorveglianza si pronunci sull'estinzione della pena al termine del periodo di sospensione.

E' stato poi previsto che "il Tribunale di Sorveglianza, qualora l'interessato si trovi in disagiate condizioni economiche, può altresì sospendere anche l'esecuzione della pena pecuniaria che non sia stata già riscossa". L'estensione della sospensione anche alla pena pecuniaria che non sia stata già escussa, in favore del soggetto che versa in disagiate condizioni economiche, è stata prevista anche per il buon esito dell'affidamento ordinario e, quindi, anche terapeutico.

Per quanto attiene al buon esito dell'affidamento il problema dell'estinzione della pena pecuniaria era stato a lungo oggetto di una controversia giurisprudenziale (29). Il Tribunale di Sorveglianza di Roma, che ha sempre adottato una giurisprudenza secondo cui il buon esito dell'affidamento estingue anche la pena pecuniaria, si era pronunciato (30) anche in favore dell'inclusione della pena pecuniaria negli effetti sospensivi della misura prevista dall'art. 90 D.P.R. n. 309/1990, quale disposizione tendente al recupero del condannato per violazione della legge sugli stupefacenti pur riferita all'esecuzione delle sole pene detentive, anche alla esecuzione di una pena non detentiva. La Cassazione invece si era presto orientata nel senso che il buon esito dell'affidamento non estingue la pena pecuniaria e riguardo all'affidamento ha sostenuto (31) che

L'istituto della sospensione dell'esecuzione della pena previsto, con espresso riferimento alla pena detentiva, dall'art. 90 t.u. sugli stupefacenti approvato con d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in favore di soggetti che siano stati condannati per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza, non può trovare applicazione - in considerazione, oltre che del testuale tenore della norma, anche delle sue specifiche finalità - con riguardo alla pena pecuniaria, il cui pagamento non può essere ritenuto di ostacolo al conseguimento dei risultati del programma terapeutico e socio-riabilitativo in vista della cui attuazione la sospensione viene disposta.

La scelta del legislatore è stata in generale accolta con favore anche dalla dottrina più critica della premialità dell'istituto che ha valutato l'innovazione comunque "apprezzabile [...] attesa l'indubbia valenza di tale possibilità sotto il profilo della risocializzazione dei condannati, anche se non avrebbe guastato un po' di lungimiranza in più nel concepire strumenti, che al condono del debito nei confronti dello Stato in favore del condannato, abbinassero forme di restituzione sociale e di risarcimento alle vittime dei reati" (32).

6.7. Il sostanziale non utilizzo della misura

La disposizione di cui all'art. 90 aveva suscitato in dottrina, oltre a qualche plauso, molte critiche per l'eccessiva genericità delle proprie disposizioni, capaci di creare dubbi interpretativi. Tuttavia, a distanza di quattro lustri dalla sua introduzione, l'utilizzo che della stessa è stato compiuto ne ha palesato la sostanziale inutilità. La genericità della normativa, la carenza di parametri certi per l'individuazione concreta di quali siano i reati commessi in relazione allo stato di tossicodipendenza, cui collegare l'applicazione della misura premiale, e la, conseguente, scarsa chiarezza dei confini entro cui deve essere utilizzata ha provocato la sua sostanziale emarginazione dagli strumenti quotidianamente adoperati dalla Magistratura di Sorveglianza.

La prima considerazione che si deve fare è che una vasta area di soggetti che poteva accedere all'affidamento terapeutico non aveva i requisiti richiesti dalla legge per ottenere la sospensione condizionale della pena. Essa, infatti, diversamente dall'affidamento in casi particolari, non poteva essere richiesta da quei tossicodipendenti che, non avessero ancora iniziato il percorso terapeutico, ma avessero intenzione di farlo e da tutti gli assuntori di sostanze stupefacenti al momento dell'esecuzione penale che avevano commesso un reato non riconducibile al loro stato di dipendenza, quindi in primo luogo da coloro che non erano tossicodipendenti al momento del reato.

Dopo la riforma operata dalla legge n. 49 del 2006, la fascia di soggetti che possono accedere al beneficio è stata sulla carta ulteriormente ristretta, escludendo anche tutti coloro che hanno il percorso terapeutico ancora in corso. Restrizione più teorica che effettiva, considerato che la giurisprudenza si era già da tempo orientata in modo pressoché compatto verso la concessione dell'affidamento terapeutico per questi soggetti, dato il maggiore controllo sull'andamento del percorso terapeutico che esso consente.

Gli unici dati disponibili su questa misura sono quelli raccolti, ma non resi pubblici, dal Consiglio Superiore della Magistratura, sulla base delle indicazioni dei Tribunali di Sorveglianza, il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, che non raccoglie i dati delle sospensioni delle pene, dato che non si tratta di una forma di esecuzione pena e che, quindi, non lo riguarda. Essendo poi i dati, in possesso del Consiglio Superiore della Magistratura, relativi ai provvedimenti adottati dai Tribunali, non ci sono dati relativi alle sospensioni pena ex art. 90 in corso anno per anno, ma solo sulle sue concessioni. Secondo i dati forniti dal Consiglio Superiore della Magistratura le sospensioni pena concesse dal 2002 al 2008 sono state: 166, a fronte di 1224 istanze (di cui 705 respinte e 353 dichiarate inammissibili) con una percentuale di concessione del 13,5% nel 2002; nel 2003 si registrano 99 concessioni a fronte 1255 istanze (di cui 724 respinte e 432 dichiarate inammissibili), con un tasso di concessione del 7,88%; nel 2004 le concessioni sono 173, le istanze 1219 (di cui respinte 686, quelle dichiarate inammissibili 360), con un tasso di concessione del 14,19%; nel 2005 si registrano 127 concessioni a fronte di 1031 istanze (di cui 572 domande respinte e 332 dichiarate inammissibili), con un tasso di accoglimento del 12,31%; nel 2006 anno dell'indulto, approvato a luglio, e della legge n. 49 (che fu in vigore tutto l'anno, dato che era stata proceduta del decreto di fine dicembre 2005) le concessioni furono solo 68, su 710 istanze (di cui respinte 287, e 355 inammissibili) con un tasso di accoglimento del 9,57 per cento; nel 2007, anno su cui si continuano ad avvertire gli effetti dell'indulto le concessioni furono solo 21, le istanze appena 180 (di cui 79 respinte e 90 dichiarate inammissibili) con un tasso di accoglimento del 11,66%; nel 2008, nonostante che gli effetti dell'indulto cominciassero a scemare, anche tenuto conto che la sospensione pena viene concessa soprattutto dalla libertà, le misure concesse furono comunque pochissime, 18, a fronte di sole 355 istanze (di cui 124 respinte e 213 dichiarata inammissibili), con un tasso di accoglimento del 2,25%.

Purtroppo, il Consiglio Superiore della Magistratura non ha dati più recenti, e quindi non si può valutare il proseguimento del trend. Questi dati mostrano sia lo scarsissimo utilizzo della misura, sia l'effetto delle restrizioni, anche tenuto conto dell'effetto dell'indulto del luglio 2006, introdotte dalla legge n. 49. Sul primo punto basta confrontare i dati delle concessioni delle sospensioni pene con quelle risultanti dalle statistiche del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria per rendersi conto dell'utilizzo marginale della misura premiale della sospensione ritenuta inadatta per la scarsezza dei controlli che essa consente: nel 2004 dai dati del D.A.P. risultano 3332 affidamenti terapeutici presi in carico dall'amministrazione penitenziaria, a fronte di 173 sospensioni pena concesse (le sospensioni sono quindi il 5,19% degli affidamenti); nel 2005 gli affidamenti terapeutici iniziati furono 3618 a fronte delle 127 sospensioni concesse (il 3,51%); nel 2006, anno dell'indulto, gli affidamenti terapeutici iniziati erano 2930, a fronte di 68 concessioni di sospensione pena (2,32%); nel 2007 iniziarono 1127 affidamenti terapeutici e furono concesse 21 sospensioni pene (1,86%); nel 2008 gli affidamenti terapeutici iniziati furono 1455, le sospensioni concesse 18 (1,23%). Per quanto riguarda l'impatto della legge n. 49, i numeri sono chiari, le pur poche concessioni dal 2006 subiscono una drastica riduzione: a fronte di un numero di sospensioni pena oscillante tra le 100 e le 170 tra il 2002 e il 2005, ne abbiamo 21 nel 2007 e 18 nel 2008 (33); le sospensioni pena passano dalla già modesta percentuale del 5,19% degli affidamenti terapeutici, alla percentuale quasi ridicola dell'1,23% di essi.

La pochezza dei dati relativi all'istituto e, in particolare il fatto che esso non sia menzionato in alcuna delle "Relazioni annuali al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze" sono la più chiara testimonianza della sua sostanziale non-applicazione ed irrilevanza pratica.

Note

1. Cfr. sentenza Corte Costituzionale 27 marzo 1992, n. 133, in Cassazione penale, 1992, p. 2612.

2. Unica eccezione è prevista quando la sospensione sia stata concessa ai sensi del quarto comma dell'art. 163 c.p. che prevede: "Qualora la pena inflitta non sia superiore ad un anno e sia stato riparato interamente il danno, prima che sia stata pronunciata la sentenza di primo grado, mediante il risarcimento di esso e, quando sia possibile, mediante le restituzioni, nonché qualora il colpevole, entro lo stesso termine e fuori del caso previsto nel quarto comma dell'articolo 56, si sia adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato da lui eliminabili, il giudice può ordinare che l'esecuzione della pena, determinata nel caso di pena pecuniaria ragguagliandola a norma dell'articolo 135, rimanga sospesa per il termine di un anno".

3. Cass. pen. sez. I, 4 giugno 1999, n. 4134, Rebellato, in CED 1999.

4. Parte della dottrina, facendo leva sulla disposizione di cui al 3º comma dell'art. 164 c.p. in tema di effetti dell'ammissione alla sospensione condizionale, secondo cui la concessione della misura rende ab initio inapplicabili le misure di sicurezza diverse dalla confisca, ha sostenuto che la sola sottoposizione al programma produce l'effetto di riassorbire la pericolosità sociale del condannato.

5. Merita di essere sottolineato che analoga remissione alla Corte non è stata fatta per la previsione che non consente la concessione della misura agli alcool-dipendenti, che pure sono generalmente equiparati ai tossicodipendenti in fase di esecuzione penale, anche se con forti perplessità della dottrina cfr. G. Grasso, "Misure alternative alla detenzione", cit.

6. Cfr. G. Amato, Droga e attività di polizia, cit.

7. V. Pistorelli, Stupefacenti, sostanze psicotrope, stati di tossicodipendenza, Giappichelli, Torino, 1990.

8. Cass. pen. sez. I, 14 giugno 2001 n. 35678, Lupo, in Cassazione penale, 2002, p. 3208.

9. A. Presutti, Tossicodipendenza e libertà personale. Misure processuali e penitenziarie, Milano, 1989.

10. Cass., 21 aprile 1993, Monteleone, Rassegna di studi penitenziari, 1994, p. 213.

11. Cass. pen. Sez. I, 30 novembre 2000 n. 6965, Gurrera, in Cassazione penale 2002, p. 3209; Cass. pen. 29019/2003 in CED 2003.

12. Cass. pen. 6965/2000 cit.

13. M. Canepa, S. Merlo, op. cit., pp. 291-293.

14. Cfr. G. Amato, Droga e attività di polizia, cit., p. 203; V. Pistorelli, Stupefacenti, sostanze psicotrope, stati di tossicodipendenza, cit., p. 143.

15. Stante il disposto dell'art. 19 c.p., le pene accessorie: a) in relazione ai delitti: l'interdizione dai pubblici uffici; l'interdizione da una professione o da un'arte; l'interdizione legale; l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese; l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione; la decadenza o la sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori; b) in relazione alle contravvenzioni: la sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte; la sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (Cass. pen. 1994/2004). Pena accessoria comune ai delitti e alle contravvenzioni è la pubblicazione della sentenza penale di condanna (Cass. pen. 11033/2005). Non rientra in tale novero invece, la sospensione della patente di guida ai sensi dell'articolo 222 C.d.S., attesa la sua collocazione fra le sanzioni amministrative (Trib. Napoli 23/01/2004).

16. G. Ambrosini, La riforma della legge sugli stupefacenti, Giappichelli, Torino, 1991, p. 150.

17. Il problema sul permanere degli effetti della confisca si pone anche per la sospensione condizionale prevista dal Codice, questa però non estingue "la pena ed ogni effetto penale" bensì il reato (art. 167, 1º comma) c.p.

18. Merita di essere sottolineato che, sebbene il suo esito continui ad essere meno favorevole a quello dell'affidamento terapeutico, in dottrina c'è chi ha molto criticato l'estensione degli effetti sospensivi, parlando di "magnanima opzione...non facilmente comprensibile", sostenendo, smentito come abbiamo visto dai fatti, che tale scelta "favorirà l'accesso ad un beneficio importante (tale addirittura da evitare l'espiazione di pena detentiva) a soggetti che, seppur tossicodipendenti, oggettivamente possono aver tenuto condotte di indubbia gravità o allarme sociale" (F. Fiorentin, Pena sospesa se il soggetto è recuperato, cit., p. 107-8).

19. Cass., 16 maggio 1995, Moscardini, in Cassazione penale, 1996, p. 2366.

20. Anche questa disposizione, come quella che stabiliva la competenza a decidere sull'affidamento terapeutico in base al luogo si svolgimento della terapia, fu criticata perché, secondo alcuni autori, consentiva al condannato di scegliere il giudice competente modificando la propria residenza in ragione degli orientamenti dei tribunali di sorveglianza.

21. F. Della Casa, "Democratizzazione dell'accesso alle misure alternative e contenimento della popolazione carceraria: le due linee-guida della nuova legge sull'esecuzione della pena detentiva: [commentario alla] L. 27/5/1998 n. 165", cit., p. 782.

22. Cass. Sez. Un. 27 giugno 2001 n. 29024, Tempesta, in Rivista Penale, 2001, p. 801.

23. Cass. pen. sez. IV, 14 febbraio 1997 n. 622, Arseni, in Cassazione penale, 1998, p. 949.

24. G. Amato, Droga e attività di polizia, cit., p. 204.

25. La norma diceva con "la sola reclusione", ma la dottrina ritenne priva di senso questa espressione considerando assurdo che non influisse sulla sospensione pena un reato punito con la reclusione e una pena pecuniaria, il legislatore nel 2006 ha corretto questa anomalia parlando delitti non colposi puniti con "la reclusione".

26. Cass. pen. sez. I, 12 gennaio 2000 n. 230, Bellonzi, in Cassazione penale, 2001, p. 2800, ha escluso che l'applicazione della pena detentiva su richiesta di parte, di cui all'art. 444 c.p.p., possa giustificare la revoca del beneficio.

27. La Corte di cassazione (Cass., 20 ottobre 1993, Boni, in Cassazione penale, 1995, p. 614.), chiamata a pronunciarsi sui limiti delle attribuzioni alla magistratura di sorveglianza rispetto alle diverse questioni di spettanza del giudice dell'esecuzione (riguardo alle quali non era stato specificato se ricomprendere o meno anche la revoca del provvedimento di sospensione dell'esecuzione della pena), ha affermato che "la esclusiva competenza della magistratura di sorveglianza in ordine ai meccanismi di cui agli artt. 90 e 91 D.P.R. 309/90 in materia di stupefacenti [...] ed a quello relativo all'affidamento in prova, contemplato dal successivo art. 94, non importa una vis attrattiva su tutte le questioni che si presentano nella materia dell'esecuzione della pena". La Suprema corte, proseguendo la propria disamina, ha individuato il limite della competenza dell'organo giurisdizionale di sorveglianza nella possibilità di modificare il titolo esecutivo, ma ha chiarito i confini di altre competenze sostitutive di quelle spettanti al giudice dell'esecuzione.

28. Articolo 123 Verifica del trattamento in regime di sospensione di esecuzione della pena nonché di affidamento in prova in casi particolari.
1. Ai fini dell'applicazione degli istituti di cui agli articoli 90 e 94, viene trasmessa dall'azienda unità sanitaria locale competente o dalla struttura privata autorizzata ai sensi dell'articolo 116, su richiesta dell'autorità giudiziaria, una relazione secondo modalità definite con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro della giustizia, relativamente alla procedura con la quale è stato accertato l'uso abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope, all'andamento del programma, al comportamento del soggetto e ai risultati conseguiti a seguito del programma stesso e della sua eventuale ultimazione, in termini di cessazione di assunzione delle sostanze e dei medicinali di cui alle tabelle I e II, sezioni A, B e C, previste dall'articolo 14.
1-bis. Deve, altresì, essere comunicata all'autorità giudiziaria ogni nuova circostanza suscettibile di rilievo in relazione al provvedimento adottato
.

29. R. Tucci, "Riflessioni sulla natura dell'affidamento in prova ai servizi sociali a seguito di una recente sentenza delle Sezioni Unite", cit.

30. Trib. Roma 06/08/1998 in Giurisprudenza di merito, 1999, p. 338 (nota Palladino).

31. Cass. pen. sez. I, 28 novembre 2000 n. 5326, Sallicati, in Cassazione penale, 2002, p. 3208.

32. F. Fiorentin, Pena sospesa se il soggetto è recuperato, cit., p. 107-8.

33. Il dato del 2006 di 68 concessioni è molto ambiguo, sia per gli effetti dell'indulto, sia perché un certo numero di istanze furono sicuramente presentate a fine del 2005 e quindi ricadevano sotto la vecchia normativa.