ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo 1
Il processo penale minorile nell'ordinamento vigente

Graziella Ortu, 2011

1.1 Il Processo Penale Minorile: percorsi storici e legislativi

Per inquadrare l'istituto della messa alla prova e comprendere le caratteristiche e le modalità della sua prassi applicativa è indispensabile ripercorrere, nei limiti che l'oggetto di questa trattazione impone, le tappe storiche più significative che dal secolo scorso hanno portato alla Riforma del Processo Penale Minorile e hanno contribuito a determinare la fisionomia del sistema attuale.

Gli aspetti più rilevanti di questo percorso, sui quali si soffermerà l'attenzione, attengono principalmente alla introduzione, per la prima volta nella storia del diritto processuale, di una giurisdizione minorile specializzata, avvenuta nel 1934 e pertanto di poco successiva all'emanazione del codice penale del 1930. E' del tutto comprensibile che entrambi questi corpi normativi fossero il frutto del contesto politico-sociale in cui le idee ed i valori giuridici ad essi sottesi sono maturati e pertanto, in piena aderenza ai canoni del vigente regime fascista, erano espressione, particolarmente nell'ambito che qui interessa, di una visione autoritaria dello stato che estende il proprio controllo su ogni aspetto della vita degli individui, a maggior ragione se trattasi di giovanissimi, nei cui confronti, ancor più che per gli adulti, si pone l'obiettivo di prevenire la devianza (1). In tale contesto la visione del minore deviante è quella di un "malato", che può essere curato solo attraverso la pena.

Le norme di rango internazionale e la Costituzione, portatrici di una serie di principi assai diversi ed innovativi rispetto a quelli frutto dell'ideologia fascista, hanno segnato invece un cambiamento radicale in punto di diritti di libertà e di diritti del cittadino influenzando profondamente il nuovo modo di concepire il minore e determinando l'assetto dell'ordinamento minorile attuale (2).

Particolare rilevanza ha assunto, quindi, l'attività interpretativa e di adeguamento ai principi fondamentali posta in essere dalla Corte Costituzionale che, soprattutto nella fase precedente alla riforma del processo penale minorile, ha realizzato una fondamentale opera di rilettura delle norme rispetto alle esigenze specifiche del minore, tenendo ampio conto dei temi sollevati dalla dottrina e facilitando la costruzione del corpus normativo che prenderà poi forma nel DPR 448/88.

Le prime norme aventi ad oggetto una tutela specificamente riferibile ai minori risalgono agli inizi del secolo scorso allorquando, sotto la spinta di gruppi umanitari, si emanarono disposizioni relative alla protezione dell'infanzia e dell'adolescenza. Si trattava, tuttavia, di norme mirate piuttosto a reprimere gli abusi, le violenze e le crudeltà cui i minori erano spesso oggetto e pertanto non ancora volte ad attribuire la dignità ed i diritti propri dello status di minore che gli ordinamenti moderni avrebbero poi riconosciuto. Le penose condizioni lavorative alle quali i minori erano costretti e le spesso misere condizioni familiari e sociali in cui gli stessi versavano, pur rappresentando un sostanziale diniego dei diritti primari ad essi riconoscibili, non hanno impedito una progressiva valutazione del disvalore etico e giuridico delle condotte più gravi e lesive di cui i minori fossero vittime.

Sintomatico di quanto ora si è detto è il fatto che, sino alla codificazione degli anni '40, il minore non fosse titolare di specifiche posizioni giuridiche soggettive soprattutto in ambito penale, non essendogli in particolare riconosciuta la qualità di persona offesa da reati contro l'onore, quali l'ingiuria e la diffamazione. Ciò tuttavia non impediva, in senso inverso, di considerare il minore che si fosse reso autore di reati alla stregua di un piccolo criminale, sulla base peraltro di distorte visioni etico-antropologiche e di trattarlo anche processualmente come tale (3).

E' tuttavia a partire dagli anni '30 sulla scia di principi e norme internazionali che comincerà a farsi largo nel nostro ordinamento penalistico, sia sostanziale che processuale, il riconoscimento di una autonoma e distinta rilevanza della personalità del minore che confluirà nel riconoscimento di una giurisdizione specializzata e di un trattamento differenziato.

Il primo intervento normativo mirato a far emergere l'esigenza di garantire che i minori fossero sottoposti ad una giurisdizione specializzata può farsi risalire alla Circolare del Ministro Guardasigilli Orlando del 11 maggio 1908, nella quale si dava indicazione affinché "fossero sempre i medesimi giudici ad occuparsi dell'istruzione e del giudizio dei processi contro minorenni ...; e che tali giudici studiassero con animo paterno la psicologia dell'imputato, trattandolo senza intimidazioni". Il medesimo atto sollecitava, inoltre, il giudice a "non limitarsi al mero accertamento del fatto, ma a procedere ad indagini volte a conoscere lo stato di famiglia del minore, le condizioni di vita, l'indole e il carattere di coloro che su di lui esercitano la potestà, ... a raccogliere tutte le notizie che possano dare un criterio esatto delle cause dirette o indirette per cui il minore è giunto alla violazione delittuosa della legge" (4).

I principi e gli indirizzi contenuti nella circolare Orlando portarono alla nomina con Regio Decreto 7 novembre 1909 di una Commissione, presieduta dal senatore Quarta, il cui lavoro si concluse con la formulazione di un progetto per l'istituzione di una "Magistratura per minorenni" che avrebbe dovuto costituire un organo giurisdizionale specializzato con il compito di vigilare sull'assistenza, la tutela, l'istruzione e la correzione del minore. Tale progetto costituiva senz'altro un primo importante avanzamento concettuale come si ricava, ad esempio, dalla previsione che nella fase istruttoria del processo fosse escluso l'arresto o la carcerazione preventiva. Tuttavia, in esso si riscontrano limiti rilevanti tra i quali certamente spicca l'attribuzione alla costituenda magistratura minorile del potere di giudicare esclusivamente reati di lieve entità, ai quali si sarebbero applicate misure assimilabili alle attuali sanzioni sostitutive, mentre restava in capo ai giudici ordinari il potere di accertare e giudicare i reati più gravi.

Nonostante le pur significative aperture, occorrerà attendere ancora a lungo affinché nel nostro ordinamento, a differenza di altri paesi europei ed extraeuropei, venisse istituita una giurisdizione minorile specializzata.

Le prime forme di separazione della giustizia minorile da quella ordinaria risalgono al periodo a cavallo tra la fine dell'800 e i primi anni del '900, anche se alla differenziazione tra gli organi giudicanti non sempre corrispondeva una relativa disciplina processuale. L'istituzione del primo tribunale al mondo per i minorenni risale al luglio 1899 a Chicago, dove fu istituita, sotto la spinta del Child-saving movement, la Juvenile Court. Si trattava di un Tribunale per i minorenni con un giudice specializzato che tutelava l'infanzia deviata, con una marcata impronta paternalistica.

Altre "corti giovanili" nacquero subito dopo a Boston, Denver e New York mentre in Europa la diffusione delle giurisdizioni specializzate per minorenni si affermò qualche anno più tardi. Il Regno Unito seguirà l'esempio nel 1904, seguito da Scozia e Irlanda, con il Children Act, legge con la quale venne abolita quasi del tutto la pena di morte per i minori e stabilito che nessun minore di anni sedici potesse essere condannato al carcere. Nel resto dell'Europa continentale l'esigenza di adottare il modello di giustizia minorile specializzata fu avvertita qualche anno dopo e segnatamente nel 1912 in Belgio e Francia, nel 1922 in Germania e Olanda. Da un'indagine condotta dalle Società delle Nazioni, nel 1931 ben trenta Stati avevano già provveduto all'istituzione di un tribunale per i minorenni.

In Italia l'introduzione di una giurisdizione specializzata, avvenne molto più tardi. In seguito ad un lungo e articolato iter legislativo si giunse all'emanazione del RDL 20 luglio 1934 n. 1404 recante "Istituzione e funzionamento del Tribunale per i minorenni", che ha introdotto nel diritto positivo norme ispirate ad una ormai da tempo avvertita consapevolezza di dover affrontare e valutare il fenomeno della devianza minorile con un diverso spirito e con più appropriati strumenti anche di tipo ordinamentale e processuale.

Va ricordato che chiari riscontri di tale nuova consapevolezza sono contenuti già nell'antecedente emanazione del Codice Penale del 1930 nel quale furono introdotte norme sulla non imputabilità dei minori di 14 anni, sulla diminuzione della pena nei confronti del minore tra i 14 ed i 18 anni capace di intendere e di volere, nonché nuovi istituti quali il perdono giudiziale, l'applicazione più ampia della sospensione condizionale, il riformatorio giudiziario.

L'ampiezza e la rilevanza di tale nuovo corpo normativo non esime tuttavia dal considerare che la cultura e lo spirito ad esso sottesi erano ancora assai distanti dal concepire il minore come una persona dotata di un proprio autonomo status, capace di prendere decisioni sulla propria vita e più in generale di autodeterminarsi (5).

Il mutamento di prospettiva in tal senso nei confronti del minore sarà il portato solamente delle idee e dei principi affermati nella Costituzione. E', infatti, soltanto dopo l'approvazione della Carta fondamentale che il minore sarà considerato non più soltanto un soggetto debole da proteggere ma, da un lato, un individuo in fase di crescita a cui devono essere garantiti in via generale tutti i diritti che sono riconosciuti ad ogni altro individuo e, dall'altro, un soggetto giuridico destinatario di speciali e specifiche garanzie e titolare di autonomi diritti. (6)

Allo stesso modo è sempre la Costituzione che, unitamente alle norme del diritto internazionale di riferimento, rappresenta anche in materia minorile il parametro attuativo di diritti fondamentali da parte del legislatore ordinario. La stessa legge n. 81 del 1987 - contenente delega al Governo per la riforma del codice di procedura penale - agli artt. 2 e 3 ha espressamente ricondotto ai principi costituzionali (oltre che alle norme delle Convenzioni Internazionali relative ai diritti della persona e al procedimento penale) la costruzione del nuovo sistema processuale, in particolare in relazione al passaggio ad un sistema penale di tipo accusatorio. (7) Nonostante la persistenza per diversi anni di alcuni retaggi derivanti dalle concezioni storicamente stratificatesi, (8) la Costituzione ha rappresentato un radicale cambiamento anche in punto di riconoscimento e di tutela dei diritti inerenti al minore. Rispetto alle codificazioni anteriori all'ordinamento repubblicano che consideravano il minore -neonato, bambino o adolescente- oggetto di diritti e aspettative altrui e non soggetto di diritti e di doveri, la carta costituzionale ha mutato definitivamente l'asse concettuale consentendo, attraverso l'estesa griglia di disposizioni in punto di diritti di libertà nonché di principi in materia penale e processuale, di porre le basi per l'istituzione di un distinto sistema di giustizia minorile (9).

Non vi è dubbio che il mutamento innescato dalla Costituzione abbia richiesto tempi lunghi, ma gli esiti sono stati comunque assai rilevanti in confronto agli assetti culturali e giuridici del periodo che ha preceduto la sua emanazione. Si consideri, a tal proposito, che seppure il già richiamato RDL 20 luglio 1934 n.1404 recante "Istituzione e funzionamento del Tribunale per i minorenni", avesse innovato la disciplina processuale riconoscendo la necessità di un trattamento differenziato nei confronti dei minori stessi, sul piano del diritto sostanziale la fonte principale, il codice penale, era rimasta ancorata ad una visione del minore che delinque come un soggetto affetto da vera e propria patologia, destinatario pertanto delle stesse sanzioni penali previste per i maggiorenni (sebbene ridotte in funzione della minore età), nonché di generiche misure di sicurezza (10). Come efficacemente espresso dalla dottrina, per lungo tempo e particolarmente negli anni anteriori alla Costituzione, l'intervento in materia penale minorile è stato quindi concepito come un'azione su un "piccolo uomo criminale", da perdonare o da punire ma non da inserire in una visione più ampia di recupero e di attuazione di un diritto all'educazione (11).

Del resto si è giustamente rilevato che tali retaggi culturali ed i conseguenti effetti sul piano normativo si sono protratti anche nell'ordinamento repubblicano sino al punto che neppure "la riforma del diritto di famiglia ha di fatto potuto impedire il permanere di norme che denotano una matrice ideologica, autoritaria e una concezione del 'bene' del minore del tutto datata" (12). Al minore non si riconosceva una propria autonoma e piena sfera di libertà, come confermato -a titolo di esempio- dalla previsione dell'art. 571 c.p., che puniva l'abuso dei mezzi di correzione con pene del tutto inadeguate; o dall'art. 573 c.p. che introduceva il reato di sottrazione consensuale di minorenne inserito nel titolo XI (Dei delitti contro la famiglia) al Capo IV intitolato dei Delitti contro l'assistenza familiare.

E' un dato storico-giuridico acquisito che in seguito all'istituzione del Tribunale per i minorenni nel 1934 e sino alla riforma del processo penale minorile del 1988 non si sono registrati altri decisivi sviluppi normativi originati dallo "specifico minorile" e alla sua tutela finalizzati. Ciò è vero altresì con riferimento alla pena irrogata ai minori condannati poiché "l'alleviarsi del repressivo, il ripensamento nell'alternativo, l'attenzione maggiore al recupero più che alla sofferenza restrittiva, hanno toccato il minore soltanto in quanto «beneficiato» dalla evoluzione dell'intera visione sul penitenziario che ha riguardato l'adulto" (13). Delle leggi emanate in questo arco di tempo il minore imputato ed autore di reati ha soltanto indirettamente beneficiato, mancando un intervento esclusivamente ad esso rivolto (14).

Occorrerà attendere la legge 28 luglio 1984 n. 398 (15) per avere un intervento legislativo in materia penale specificamente indirizzato ai minori, attraverso la previsione di una riduzione dei termini di carcerazione preventiva, l'esclusione dell'obbligatorietà dell'ordine di cattura, l'introduzione dell'obbligo (salvo particolari ragioni ostative) di applicare gli arresti domiciliari presso l'abitazione o una comunità in sostituzione della custodia cautelare in carcere. Si tratta senza dubbio di un primo passo in avanti verso la "decarcerizzazione" del minore, sebbene lo schema di intervento sia ancora fondato sul controllo (affidamento al servizio sociale) e sulla repressione (misura di sicurezza, detenzione, riformatorio e carcere).

Il principio della specificità minorile e della necessaria differenziazione della giustizia minorile rispetto a quella degli adulti subirà poi una sorta di arretramento concettuale con la legge di Riforma Penitenziaria n. 663 del 1986 (c.d. Legge Gozzini) e con la Legge n. 330 del 1988, che hanno introdotto una nuova disciplina dei provvedimenti restrittivi della libertà personale. Tali leggi, infatti, hanno esteso indistintamente all'adulto che ha commesso un reato le prerogative riconosciute al minore uniformando così il trattamento e sminuendo l'esigenza di diversificare l'intervento sanzionatorio in funzione ed in dipendenza delle differenti peculiarità tra le due categorie di soggetti.

Il processo (di cultura giuridica prima ancora che di diritto positivo) che ha portato a orientare la scelta verso la differenziazione del trattamento in favore del minore ha visto giocare un ruolo fondamentale da parte della Corte Costituzionale la cui giurisprudenza ha anticipato e determinato i contenuti della riforma che verrà introdotta con il DPR 448 del 1988. Le pronunce dell'organo di controllo della legittimità costituzionale delle leggi hanno, infatti, sovente richiamato e sottolineato la funzione preminentemente educativa che spetta al processo minorile e sottolineato la necessità di creare un articolato sistema normativo, sempre più diversificato sia sul piano sostanziale che su quello processuale e mirato ad accelerare l'uscita del giovane dal circuito penale in ragione della specificità della sua condizione. Tappe significative in questa direzione sono rappresentate dalle sentenze n. 222 del 1983 e n. 168 del 1994. Con la prima pronuncia la Corte, sul presupposto del riconoscimento del diritto costituzionalmente tutelato del minore al proprio giudice naturale, ha dichiarato la illegittimità della disposizione dell'art. 9 del RDL 1404/34 con la quale si sottraeva al Tribunale per i minorenni la competenza a conoscere dei reati commessi in concorso da minorenne e maggiorenne.

Ancora più pregnante è la sentenza n. 168 del 1994 con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale degli articoli 17 e 22 del codice penale in quanto in contrasto con l'articolo 31 comma 2 in rapporto all'art. 27 comma 3 della Costituzione nella parte in cui i primi non escludono l'applicabilità della pena dell'ergastolo al minore imputabile (16).

Tale rilevante mutamento (ottenuto attraverso l'interpretazione giurisprudenziale della Corte Costituzionale) ha confermato le perplessità degli studiosi che da lungo tempo avevano asserito la incompatibilità del carcere a vita con le finalità educative della pena per il minore deviante, a prescindere dalla gravità del reato commesso (17).

Benché preceduta da importanti segnali di progressivo recepimento dei mutamenti concettuali in atto, sia attraverso la normazione diretta che l'interpretazione giurisprudenziale, la riforma vera e propria del processo penale a carico di minorenni ha preso le mosse ed ha trovato i suoi principi informatori nella legge delega per l'emanazione del nuovo Codice di Procedura Penale del 16 febbraio 1987, n. 81. In essa si evidenzia per la prima volta la mirata attenzione dell'ordinamento giuridico verso i bisogni fondamentali della crescita umana dei soggetti in formazione, il cui riconoscimento costituisce un dovere collettivo che non può essere in alcun modo trascurato. E' così che "da portatore di meri interessi che gli adulti avrebbero dovuto rispettare, il minore è divenuto progressivamente un portatore di autentici diritti che l'ordinamento è tenuto ad attuare anche rompendo, come nel caso dell'adozione, legami di sangue da sempre ritenuti incomprimibili" (18).

Come già accennato il processo culturale e giuridico verso il riconoscimento dello "specifico minorile" è stato altresì influenzato dai principi formatisi nella Comunità Internazionale che, fin dai primi anni del secolo scorso, ha in vario modo sostenuto la necessità che ogni Stato si dotasse di strumenti idonei a garantire ai minori una protezione rispettosa della loro condizione ed attenta alle loro naturali potenzialità. In tal senso si è preso atto che esiste un percorso verso l'età adulta caratterizzato da spesso naturali difficoltà di accettazione di nuove dimensioni e di comportamenti conformi all'assetto sociale di riferimento, tali da indurre la possibile manifestazione nel minore di sintomi di ribellione alla realtà e alle regole generalmente riconosciute.

Il contributo della Comunità Internazionale si è rivelato prezioso, inoltre, per aver indirizzato il percorso culturale che ha condotto gli Stati a formulare una base comune di regole in materia di giustizia penale minorile. Tale percorso non ha avuto un andamento omogeneo nelle varie società occidentali anche per la diversità di percezione del fatto reato, oltre che del minore stesso che commette il reato, propria di ciascun ordinamento. Tale diversità ha impegnato la Comunità internazionale nella non agevole impresa di identificare e porre regole che fossero generalmente riconosciute negli ordinamenti del più ampio numero di Paesi facenti parte di essa (19). E' indubbio infatti che le modalità di intervento nei confronti di un reato commesso da un minore ed il trattamento riservato a quest'ultimo determinano conseguenze di cui gli ordinamenti statuali devono necessariamente tenere conto, in particolare in termini di effettività dell'apparato giudiziario che applica le norme, di esigenza di dare risposte concrete alla vittima del reato, di garanzia di una difesa sociale contro l'aggressore che, in alcuni contesti storici, è considerato come criminalmente "adultizzato" in ragione dell'allarme sociale che desta (20). Per tali ragioni in molti Stati spesso hanno convissuto e si sono alternati interventi caratterizzati da eccessiva durezza nella punizione della condotta deviante e modalità di trattamento incentrate sul recupero e sulla socializzazione del minore autore di reati (21).

La progressiva introduzione di forme giurisdizionali specializzate nei vari ordinamenti indusse gli Stati a cercare di formulare principi e regole di condotta comuni attraverso strumenti di diritto internazionale la cui individuazione fu preceduta da complesse conferenze e comitati di studio al cui centro erano poste con sempre maggiore chiarezza le particolari esigenze dell'età minorile rispetto all'iter processuale e al trattamento del minore che delinque.

1.2 Le fonti internazionali e gli orientamenti

Appare opportuno considerare gli atti internazionali più significativi soffermandosi su quelli che maggiormente hanno contribuito a determinare l'attuale sistema della Giustizia Minorile. Occorre tener conto che i primi interventi a favore del minore hanno riguardato inizialmente il profilo della sua soggettività giuridica come destinatario di diritti mentre l'enunciazione di principi riguardanti la sfera del processo penale a carico di imputati minorenni avverrà soltanto successivamente.

All'inizio del secolo scorso risale l'approvazione di una prima "Convenzione sulla tutela del minore" nell'ambito di una conferenza di diritto privato tenutasi all'Aja nel 1902. Ad essa seguì nel 1913 la "Conferenza Internazionale per la protezione dell'infanzia" di Bruxelles che promosse la cooperazione internazionale in questo ambito. Qualche anno più tardi, nel 1919, invece, fu l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) che contribuì concretamente allo sviluppo del diritto minorile in ambito internazionale, chiedendo a tutti gli Stati l'impegno a "perseguire una politica interna tendente ad assicurare l'abolizione effettiva del lavoro infantile e ad aumentare progressivamente l'età minima per l'assunzione all'impiego o al lavoro ad un livello che permetta agli adolescenti di raggiungere il più completo sviluppo fisico e mentale" (22).

Nel 1923 venne quindi adottata dalla Union Internationale de Protection de l'Enfance la "Carta dei diritti del bambino", recepita dalla "Dichiarazione di Ginevra" nel 1924, che rappresenta il documento fondativo di tutti i successivi atti aventi ad oggetto la difesa dei diritti dei fanciulli (23). In tale documento per la prima volta si afferma il diritto del fanciullo ad una normale crescita psicofisica e spirituale e a ricevere una educazione idonea a garantirgli un futuro (24).

Gli eventi connessi allo scoppio del secondo conflitto mondiale esasperarono i già gravi problemi della condizione minorile e fornirono, anche da questa specifica angolazione, la ulteriore spinta al ripensamento dei valori comuni della civiltà giuridica e alla affermazione della dignità della persona umana. Tale sforzo portò nel 1948 all'approvazione della "Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo" da parte dell'Assemblea Generale dell'ONU che rappresenta il primo effettivo atto attraverso il quale i diritti umani divennero oggetto di tutela internazionale. Da un punto di vista più generale la Dichiarazione ha riaffermato alcuni importanti principi, quali la centralità della famiglia, la speciale assistenza di cui hanno bisogno madre e bambino, il diritto dei genitori a scegliere una adeguata istruzione per i figli minori. Pur non contenendo delle previsioni estensivamente dedicate ai minori, la Dichiarazione stabilì comunque alcuni principi che necessariamente si attagliavano alle tematiche minorili e che costituiranno la base per le successive dichiarazioni, carte e convenzioni intervenute su tali materie. Tra tali principi può richiamarsi l'articolo 1 che ha sancito l'uguaglianza e la libertà degli esseri umani, intesi nella ampia ed indistinta accezione di individui e pertanto a prescindere dalla loro età; gli articoli dal 2 al 9 che hanno affermato diritti e divieti in ordine alla salvaguardia della persona e alla sue libertà; l'articolo 26, incentrato sull'affermazione del diritto all'istruzione come strumento per il pieno sviluppo della personalità umana. Altre disposizioni della Dichiarazione hanno consentito di incidere sul piano più strettamente processuale lì dove, ponendosi particolare attenzione alla persona sottoposta a procedimento penale, si vietano la tortura, i trattamenti e le punizioni crudeli, inumane o degradanti e si riconosce il diritto di ricorrere ai competenti tribunali nazionali contro atti che violano le libertà fondamentali degli individui riconosciuti dalla stessa Dichiarazione.

I due atti internazionali di cui si è detto sopra, la Dichiarazione di Ginevra del 1924 e la Dichiarazione Universale del 1948, pur non comportando sul piano strettamente giuridico l'attribuzione di veri e propri diritti soggettivi, hanno senza dubbio consentito la piena presa di coscienza, a livello del diritto e della politica internazionali, della necessità di affermare l'area dei diritti fondamentali riconoscibili agli individui e pertanto di adottare ogni soluzione idonea ad eliminare gli ostacoli normativi e di fatto frapposti al loro effettivo esercizio. (25)

Un rilievo non trascurabile va riconosciuto, a livello europeo, alla "Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali" (26), approvata a Roma nel 1950, ed al protocollo addizionale di Parigi del 1952 che hanno recepito ed elaborato i principi sanciti dalla Dichiarazione Universale. Esse, nonostante la mancanza di specifici richiami alla materia minorile, sono divenute (in particolare la prima) parametro di riferimento e di indirizzo in sede di elaborazione giurisprudenziale e legislativa nel nostro paese.

I principi contenuti nella "Dichiarazione di Ginevra" del 1924 e nella "Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo", sono stati poi confermati nel preambolo della "Dichiarazione dei diritti del fanciullo", approvata dall'Assemblea Generale dell'ONU a New York nel novembre 1959 che diverrà il vero e proprio corpo di principi di riferimento per tutti gli ordinamenti delle democrazie liberali. Due sono i presupposti fondamentali che stanno alla base di questo documento, enunciati già nel preambolo: "La fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignità e nel valore della persona umana", e la convinzione che "il fanciullo, a causa della sua immaturità fisica ed intellettuale, ha bisogno di una particolare protezione, di cure speciali, compresa una adeguata protezione giuridica, sia prima che dopo la nascita" (27). L'aspetto di assoluta novità e rilevanza della "Dichiarazione dei diritti del fanciullo" rispetto alle altre Convenzioni e Dichiarazioni di cui si è detto, è costituito dalla affermazione, per la prima volta, di "un diritto non più sui minori, ma per i minori" (28). Allo stesso modo il documento mette in rilievo, con notevole carica innovativa, come "il superiore interesse del minore" ed il godimento dei diritti e delle libertà in esso sanciti rappresentino un vantaggio per la società nel suo insieme e non soltanto per i diretti destinatari delle sue previsioni. Tra le previsioni senz'altro più importanti della Dichiarazione vi è il riconoscimento del "diritto ad un'educazione che, almeno a livello elementare, deve essere gratuita e obbligatoria".

Emerge pertanto come già a partire dalla fine degli anni '50 si sia progressivamente fatta strada l'esigenza di guardare ai minori sia come i titolari delle posizioni giuridiche soggettive generalmente attribuite a tutti i cittadini (a prescindere dall'età), sia come i destinatari di ulteriori ed autonomi diritti inerenti in modo specifico alla loro propria qualità. Si realizza pertanto la progressiva ed irreversibile acquisizione che la tutela delle "peculiarità minorili" costituisce un interesse superiore e che la possibilità da parte dei più giovani di vivere secondo le regole della convivenza civile dipende dalla capacità degli Stati di assicurare loro adeguate condizioni di vita.

Queste acquisizioni saranno poi riprese e rafforzate con l'adozione del "Patto internazionale sui diritti civile e politici approvato dall'assemblea generale dell'ONU il 16 dicembre 1966, nel quale sono stati affermati per la prima volta una pluralità di principi basilari poi introdotti dalle successive normative in materia minorile (29). Tale documento fa propri, a sua volta, una serie di principi già espressi nella "Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta fondamentali", trasponendoli sul piano specifico del processo penale. A titolo di esempio, in tema di libertà personale, dopo aver affermato che «qualsiasi individuo privato della propria libertà deve essere trattato con umanità e con il rispetto della dignità inerente alla persona», specifica che «gli imputati minorenni devono essere separati dagli adulti e il loro caso deve essere giudicato il più rapidamente possibile» (art 10 comma 2) che, in sede di esecuzione della pena «i rei minorenni devono essere separati dagli adulti e deve essere loro accordato un trattamento adatto alla loro età ed al loro stato giuridico» (art. 10 comma 3), che le norme procedurali ove applicate ai minorenni debbano «tener conto della loro età e dell'interesse a promuovere la loro riabilitazione» (art. 14 comma 4).

Nonostante l'acquisita consapevolezza di cui si è detto, occorrerà attendere ancora diversi anni per giungere alla definizione sul piano internazionale delle "Regole Minime per l'Amministrazione della Giustizia minorile" approvate dal VI Congresso delle Nazioni Unite svoltosi a Pechino nel 1985 ed adottate con risoluzione dell'Assemblea Generale 40/33 del 29.11.1985. Tali regole costituiscono, a livello internazionale, la prima compiuta enunciazione di principi concernenti il diritto e la procedura penale minorile e hanno rappresentato il modello di riferimento a cui si sono ispirati i più recenti codici minorili adottati dagli Stati, ivi compreso il Codice di Procedura Penale Minorile adottato dall'Italia con il D.P.R. 448 del 1988.

La risoluzione ha ad oggetto tutti i fondamentali aspetti relativi alla tutela dei diritti del minore che entri in rapporto con la giustizia minorile configurando un vero e proprio corpo di principi e di indirizzi di grande importanza per i legislatori nazionali.

La rilevanza delle statuizioni in essa contenute si coglie già dalla prima parte dedicata ai "Principi generali" (30). Vi si afferma infatti in via prioritaria che la protezione dei minori può essere garantita efficacemente solo attraverso un'opera di prevenzione sociale e si fa espresso carico agli Stati Membri di porre in essere ogni sforzo proteso ad assicurare ai minori una compiuta partecipazione alla comunità di appartenenza proprio durante il periodo di vita in cui gli stessi sono più suscettibili di condotte devianti (art. 1).

E' pertanto necessario fare ricorso a tutte le risorse familiari, sociali ed istituzionali al fine di ridurre al minimo l'intervento giudiziario e comunque adottare trattamenti efficaci ed umani nei confronti dei minori che vengano a trovarsi in situazioni di conflitto con la legge. Allo stesso modo assume grande importanza la diffusa e progressivamente acquisita coscienza della specificità dell'intervento penale nei confronti dei minori e della necessità di tenere conto delle esigenze particolari di questi soggetti. A tal fine non deve sfuggire che la risoluzione dà innanzitutto una espressa definizione di minore come "il ragazzo o il giovane che, nei rispettivi ordinamenti di riferimento, può avere a che fare con fatti penalmente rilevanti in un modo che è differente da un adulto" (31) così evidenziando in modo inequivocabile l'autonomia concettuale e le differenze che intercorrono tra il modo di considerare l'agire deviante degli adulti rispetto a quello dei minori (art. 3). Parimenti rilevante è l'affermazione del principio secondo cui la soglia della responsabilità penale non deve essere fissata ad un limite di età troppo basso e l'indicazione, come obiettivi del sistema della giustizia minorile, della tutela del minore e della proporzionalità della reazione e della pena da parte degli ordinamenti alle specifiche circostanze sia del minore che delinque che del reato stesso che viene commesso (art. 4). Ancora, si riconosce alle autorità competenti in sede di amministrazione della giustizia minorile la facoltà di adottare, tra le varie misure potenzialmente applicabili nei confronti dei minorenni, quelle ritenute più idonee in ogni fase e grado del processo, purché l'esercizio di tale potere avvenga secondo criteri di responsabilità e professionalità (art. 6). Inoltre si stabilisce che debbano essere assicurate al minore le stesse garanzie processuali riconosciute agli adulti tra cui la presunzione di innocenza, il diritto alla notifica delle accuse, il diritto alla difesa, il diritto all'interrogatorio e all'esame incrociato dei testi, il diritto a non rispondere e il diritto di impugnare i provvedimenti adottati (art. 7). Infine rientrano tra i fondamentali principi generali il diritto alla tutela della privacy ed il divieto di ogni forma di pubblicità inerente gli atti processuali relativi al minore stante il grave rischio che, la diffusione di tali fatti al di fuori della sede propria, comporti l'aprioristica identificazione del minore come soggetto deviante, con evidenti conseguenze per lo sviluppo della sua personalità (artt. 8-9).

La seconda parte della risoluzione (32) è dedicata alla fase istruttoria del processo e vi si enunciano le garanzie che devono essere assicurate al minore allorquando entri in contatto con il sistema giudiziario. In particolare si prevedono le cautele che devono essere adottate al momento dell'arresto, fra cui la tempestiva informazione ai genitori e ai tutori e la valutazione senza ritardo, da parte dell'autorità giudiziaria o comunque di altre autorità competenti, della possibilità o dell'opportunità di rilasciare immediatamente il minore privato della libertà personale (art. 10). Ciò che particolarmente interessa ai nostri fini è inoltre l'indirizzo di politica giudiziaria dato agli Stati, attraverso l'invito agli stessi a considerare, ove opportuno, il ricorso a misure extragiudiziarie. Si raccomanda, ove possibile, di non "ricorrere ad un formale processo da parte dell'autorità competente" (33) ma di privilegiare l'affidamento ai servizi sociali, ministeriali o locali, previo consenso dei genitori o del tutore oltre che del minore stesso. Ugualmente importante è altresì l'affermazione del principio della residualità della detenzione e della custodia cautelare che devono essere considerate unicamente misure di ultima istanza e confinate in periodi di tempo il più brevi possibili. A tali misure limitative della libertà personale devono preferirsi ed applicarsi, ove possibile, strumenti alternativi (una stretta supervisione, il collocamento presso famiglie o in centri educativi) garantendo comunque ogni cura, protezione e assistenza individuale sul piano sociale, educativo, professionale, psicologico, medico e fisico nonché, aspetto fondamentale, la separazione dagli adulti detenuti (art. 11).

La Risoluzione (34) considera il giudizio come la conseguenza della impossibilità di adottare misure di diversion, premurandosi di affermare anche nei confronti del minori, il principio del giusto processo e la necessità che il giudizio sia configurato e si svolga in un clima di comprensione, che permetta al minore di parteciparvi e di esprimersi liberamente (art. 14). L'esigenza di tutela del minore, fine ultimo delle previsioni adottate, comporta il divieto della pena capitale e di pene corporali nonché il potere da parte dell'autorità giudiziaria competente di sospendere in qualsiasi momento il procedimento. Il giudizio dovrà concludersi con possibilità per il giudice di ricorrere a misure il più possibile diversificate e flessibili, quali la probation (35), il collocamento in comunità, la mediazione penale (36), le sanzioni sostitutive, le pene pecuniarie, l'affidamento familiare ecc. Viene poi ribadita la riservatezza di tutti gli atti processuali e l'opportunità di un'applicazione sollecita e frequente del regime di libertà condizionale, oltre ad un largo ricorso a forme di semidetenzione, soprattutto in luoghi diversi dagli istituti penali.

La parte finale della Risoluzione è dedicata al trattamento in libertà ed al trattamento in istituti di pena (37). Nel primo caso si intende assicurare ai minori, in ogni fase del procedimento, una assistenza soprattutto educativa che favorisca il loro reinserimento nella società. Nei casi invece di detenzione in istituti di pena si stabilisce che la formazione e il trattamento dei minori ivi collocati debba avere l'obiettivo di assicurare assistenza, protezione, educazione e il raggiungimento di una competenza professionale che consenta loro di avere poi un ruolo attivo nella società.

Anche il Consiglio d'Europa con la Raccomandazione 87/20 approvata nel 1987 a Strasburgo ha indicato alcuni fondamentali principi informatori in materia di risposte sociali alla delinquenza minorile (38). In essa si ribadisce che ogni reazione dell'ordinamento in sede penale deve tenere conto dei bisogni e del modo di essere del minore che legittimano, ed anzi richiedono, un trattamento specializzato e mirano a far sì che la carcerazione costituisca una misura applicabile solo nei casi strettamente indispensabili. Tali presupposti concettuali implicano, secondo le indicazioni date dal Consiglio d'Europa, che l'attenzione dei legislatori debba essere concentrata su tre grandi aree di intervento: la prevenzione, l'uscita dal circuito giudiziario e la ricomposizione del conflitto.

Appare prioritario che gli Stati si facciano innanzitutto carico di compiere sforzi specifici per la prevenzione del disadattamento e della delinquenza giovanile attraverso l'attuazione di politiche di inserimento sociale dei giovani, l'introduzione di programmi specializzati a livello scolastico o a livello di organizzazioni giovanili e l'adozione di misure di prevenzione destinate a ridurre le occasioni che possano portare i minori a commettere violazioni.

L'uscita dal circuito giudiziario (diversion) e le forme di ricomposizione del conflitto (mediation) da parte dell'organo che esercita l'azione penale, devono mirare ad evitare ai minori la presa in carico da parte del sistema della giustizia penale e le conseguenze che ne derivano. Pur dovendosi tener conto delle differenze tra gli ordinamenti dei vari Stati e tra le realtà sociali sottostanti è comunque fondamentale, secondo l'indirizzo del Consiglio di Europa, configurare istituti e norme volti, da un lato, ad evitare l'indistinto ed automatico ingresso nella giurisdizione penale (attraverso la previsione di appropriati percorsi risocializzanti) e dall'altro a puntare (attraverso un'attività di mediazione) alla ricomposizione sociale e alla riabilitazione del minore. Questi strumenti sono finalizzati alla degiurisdizionalizzazione ed alla mediazione e presuppongono il pieno consenso del minore. Pertanto, per garantirne la loro efficacia, le legislazioni nazionali, nel rispetto delle situazioni specifiche, devono evitare (tranne in ipotesi eccezionali e per reati di particolare gravità) la custodia in camera di sicurezza ed il ricorso alla custodia cautelare; limitare la durata della detenzione; separare i minori dagli adulti; adottare provvedimenti limitativi della libertà personale soltanto previo parere del servizio sociale in ordine alle possibili misure alternative.

Secondo il Consiglio d'Europa, nella prospettiva di eliminare progressivamente il ricorso alla detenzione e di moltiplicare le misure sostitutive, gli Stati devono dare preferenza alle misure che:

  • favoriscono l'inserimento sociale e a quelle che comportano una sorveglianza e un affidamento in prova;
  • mirano a far fronte alla persistenza del comportamento deviante del minore attraverso il miglioramento delle sue attitudini sociali;
  • comportano la riparazione del danno causato dall'attività delittuosa del minore;
  • prevedono un lavoro nell'interesse della comunità, adatto all'età del giovane ed alle finalità educative dell'intervento.

Naturalmente se è vero che il mancato ingresso o l'uscita dal circuito della giurisdizione penale rappresentano un obiettivo fondamentale da perseguire non si può ipotizzare una rinuncia incondizionata alla giurisdizione in favore di procedimenti di diversion. Pertanto nei casi in cui gli ordinamenti statali considerino inevitabile l'applicazione di una pena limitativa della libertà personale occorre che gli stessi: (a) prevedano una gamma di pene adatte ai minori nonché modalità di esecuzione e di applicazione più favorevoli di quelle previste per gli adulti, principalmente per le misure di semi-libertà, di liberazione anticipata e di concessione e revoca della sospensione condizionale; (b) evitino la carcerazione dei minori insieme con gli adulti; (c) assicurino la formazione, sia scolastica che professionale dei minori durante la detenzione nonché un sostegno educativo dopo la fine della carcerazione.

Un ulteriore rilevante strumento di diritto internazionale è costituito dalla "Convenzione sui Diritti dell'infanzia e dell'adolescenza" approvata dall'Assemblea Generale dell'ONU a New York nel 1989 che prevede un ampio denominatore comune di principi a tutela di tutti i profili inerenti l'infanzia, accolti dalla gran parte degli Stati membri. (39) Di particolare rilievo ai fini del tema affrontato in questa sede è la previsione contenuta nell'articolo 4 della Convenzione ove si prevede espressamente l'onere degli Stati membri di promuovere l'adozione di leggi, procedure ed istituzioni "specificamente applicabili ai minori accusati o riconosciuti colpevoli di aver violato la legge penale" nonché di adoperarsi per adottare misure nei confronti dei minori senza ricorrere a procedimenti giudiziari.

L'Italia ha ratificato la Convezione con Legge n. 176/1991 impegnandosi a dar conto al Comitato ONU dei Diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, organo previsto dal medesimo atto internazionale ed avente il compito di verificarne l'attuazione presso i singoli Stati (40). Un ruolo molto importante in questo processo è assegnato anche alle organizzazioni non governative che hanno la facoltà, riconosciuta ed incoraggiata dallo stesso Comitato, di redigere un proprio rapporto alternativo o supplementare, strumento attraverso il quale tali organizzazioni esprimono il proprio punto di vista sull'attuazione dei principi sanciti dalla Convenzione (41). Il Governo italiano ad oggi ha presentato quattro rapporti, due sullo stato di attuazione delle misure adottate a livello nazionale rispetto alla "Convenzione sui Diritti dell'infanzia e dell'adolescenza", il primo nel 1993 e discusso nel 1995 e il secondo nel 2000 discusso il 31/1/2003 nel corso della XXXII sessione del Comitato. Successivamente, nel 2004, il governo italiano ha presentato due ulteriori rapporti per rendere conto della realizzazione dei principi contenuti in due protocolli opzionali della stessa Convenzione (si tratta del Protocollo Opzionale alla CRC concernente il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati e del Protocollo Opzionale alla CRC sulla vendita di bambini, la prostituzione minorile e la pornografia rappresentante minori).

In seguito al secondo rapporto del governo italiano e ai due rapporti relativi ai protocolli opzionali il Comitato ONU ha trasmesso nel gennaio 2003 (42) e nel giugno 2006 (43) le proprie osservazioni sullo stato di applicazione della Convenzione in Italia dimostrando un'attenta conoscenza della realtà italiana. Le raccomandazioni formulate hanno rappresentato un severo richiamo ed un contestuale stimolo per il Governo affinché si adottassero idonee politiche in conformità ai principi sanciti nella Convenzione stessa.

Di indubbio interesse ai nostri fini sono, in particolare, le raccomandazioni del Comitato in punto di riforma della giustizia minorile che, come indicato da tale organo, non può prescindere dai principi espressi negli artt. 37, 39 e 40 della Convenzione, nonché nelle altre norme elaborate dalle Nazioni Unite in materia, incluso tra le altre le già sopra discusse Regole minime di Pechino per l'amministrazione della giustizia minorile (44).

E proprio in riferimento alla manifestata intenzione, da parte del Governo italiano, di procedere con la riforma del sistema della giustizia minorile, il gruppo CRC ha seguito con attenzione lo sviluppo delle varie proposte di legge presentate nel corso delle legislature che si sono succedute, evidenziandone anche le criticità.

Ed in occasione dell'ultimo Rapporto Supplementare pubblicato nel novembre 2009, si rileva che l'auspicata riforma non è avvenuta, né tanto meno è iniziata la discussione parlamentare in merito (45).

In particolare si evidenzia come, ad oggi, in assenza di un organo unico specializzato in materia minorile e di diritto di famiglia nonostante l'ordinanza della Corte di Cassazione 8362/2007 ed altre decisioni successive che hanno confermato l'orientamento espresso, è continuata la suddivisone di competenze in tema di affidamento e mantenimento dei figli naturali, di spettanza del Tribunale per i Minorenni, e di quelli legittimi, per il quale è competente invece il Tribunale Ordinario.

Con riferimento alla procedura minorile penale, il Rapporto supplementare ribadisce la grave lacuna della mancata adozione della riforma dell'ordinamento penitenziario. Non sono, infatti, intervenute novità e risulta che i pochi progetti di legge presentati siano decaduti e che nell'attuale legislatura non sia stata assunta ancora alcuna iniziativa al riguardo (46). La riforma dell'ordinamento penitenziario, che dovrebbe prevedere un sistema ad hoc per i condannati minorenni, completerebbe il processo di riforma in materia minorile armonizzando l'aspetto dell'esecuzione della pena per i minorenni con i diritti di cui gli stessi sono titolari in base alle convenzioni internazionali ratificate dal nostro Paese e le regole delle Nazioni Unite. L'introduzione di istituti specifici consentirebbe, infatti, di riaffermare la centralità delle pene alternative alla detenzione quale efficace sostegno al percorso riabilitativo del condannato minorenne finalizzato all'effettivo reinserimento sociale dello stesso (47). Nonostante il mancato intervento del legislatore si sono avute numerose iniziative e dibattiti finalizzati a promuovere l'introduzione di uno specifico ordinamento penitenziario minorile, che hanno posto in luce la necessità dell'ulteriore previsione di più figure educative e di mediazione (penale, familiare, scolastica, dei conflitti di quartiere).

Il Rapporto Supplementare si sofferma, poi, sulla Legge 251/2005 cosiddetta «ex Cirielli» che, come già evidenziato nei precedenti Rapporti, pone severi limiti alla concessione di benefici per i minorenni recidivi, e rispetto alla quale non si registra nessuna novità nell'ultimo anno. La Legge 251/2005 ha introdotto, anche per i condannati minorenni, limiti alla concessione di permessi premio, di misure alternative alla detenzione (quali ad esempio la semilibertà o l'affidamento in prova al servizio sociale) quando sia stata applicata dal giudice di merito la recidiva reiterata prevista dall'art. 99 comma 4 c.p.p.. Ed anche se, tale regime di aumenti obbligatori di pena non sembra aver avuto effetti particolarmente incisivi in ambito minorile, perché difficilmente un minore nel momento in cui commette reato avrà subito in precedenza una sentenza di condanna definitiva, condizione necessaria per la sussistenza della recidiva, è innegabile il macroscopico passo indietro compiuto dall'ordinamento italiano rispetto alle raccomandazioni delle Nazioni Unite.

Per completare il quadro vanno infine ricordati, tra i contributi internazionali in materia, le Direttive delle Nazioni Unite per la prevenzione delle delinquenza minorile adottate nel corso del VII congresso ONU tenutosi a Ryadh nell'agosto 1990. In tali norme di indirizzo l'organo internazionale ha delineato i punti qualificanti delle politiche volte alla prevenzione ed ha predisposto un Regolamento per la protezione dei minori privati della libertà personale affermando ancora una volta che "il sistema della giustizia minorile dovrebbe sostenere i diritti e la sicurezza dei minori, nonché promuovere il loro benessere fisico e mentale. La carcerazione dei minori dovrebbe essere l'ultima risorsa" (art. 1). In funzione di questo obiettivo le forme detentive o comunque limitative della libertà personale, ove non altrimenti sostituibili, devono permettere l'accesso a quelle attività che promuovono la salute e la considerazione del minore e ne sviluppano il senso di responsabilità.

La normativa internazionale ha in definitiva riconosciuto che l'interesse del minore è innanzitutto riconducibile al diritto all'educazione che non è comprimibile neanche in presenza di comportamenti devianti, costituendo l'unica possibilità di contrasto alla devianza minorile (48).

Le numerose norme e disposizioni internazionali sopra richiamate hanno fornito un ampio quadro di riferimento per le legislazioni nazionali, compresa quella italiana, determinando l'acquisizione di fondamentali principi tra cui il convincimento che l'adulto costituisca la proiezione dell'esperienza che il medesimo ha recepito nella sua infanzia ed adolescenza. Per tutelare la personalità del minore si rende necessaria la creazione di un apposito sistema penale improntato a principi di umanità, adeguatezza e proporzionalità che non sia lesivo delle esigenze educative, così da fornire al giudice strumenti flessibili e diversificati anche nel caso di condotte gravi (49).

Un approccio di questo tipo, focalizzato sulla personalità del minore piuttosto che sul fatto reato, non dovrà implicare una acritica ed incondizionata degiurisdizionalizzazione, senza garanzie e tutele; proprio per questo la stessa normativa internazionale assicura al minore accusato, imputato e condannato garanzie non minori di quelle riservate ai maggiorenni e subordina sempre l'adozione di provvedimenti di diversion al consenso del minore ed al controllo di legalità giurisdizionale (50). In vista di ciò la costituzione di un giudice specializzato è assunta dalla Comunità Internazionale come un necessario completamento della affermazione dei diritti del minore anche nel momento di rilevanza penale (51).

1.3 La Carta Fondamentalee l'opera interpretativa della Corte Costituzionale

Come preannunciato nel primo capitolo introduttivo nell'intento di delineare i percorsi storici e legislativi che hanno portato alla emanazione del DPR 448/88, unitamente alle norme ed agli atti di diritto internazionale, sul piano nazionale, la Carta Costituzionale diviene fondamentale riferimento per il legislatore ordinario.

Nella Costituzione italiana si ritrovano una serie di norme il cui contenuto è inerente, in via diretta o indiretta, alla materia minorile. Un primo gruppo è costituito da quei principi fondamentali e di generale ed indistinta applicazione, tra cui il riconoscimento dei diritti inviolabili dell'uomo ed il principio di uguaglianza sanciti dagli articoli 2 e 3, che attribuiscono valore primario alla personalità individuale ed all'esigenza di tutela della dignità e dell'autonomia della persona e pertanto anche al minore, sia nella sua specificità di singolo che di componente delle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità. In tale quadro lo stesso riconoscimento costituzionale della famiglia, operato dall'articolo 29 comma 1, implica che tale basilare formazione sociale sia tutelata principalmente come centro di protezione e di sviluppo dei soggetti che la compongono (e quindi in modo assolutamente rilevante dei minori) e non debba rappresentare un fattore di limitazione delle libertà e delle facoltà individuali. Quanto ora detto trova conferma nell'articolo 30, il quale stabilisce che, in caso di incapacità dei genitori, la legge debba provvedere a che siano assolti i loro compiti, e nell'articolo 31 che impegna la Repubblica alla protezione dell'infanzia e della gioventù.

Nei sopra menzionati principi risiede il fondamento delle numerose disposizioni di legge che impongono di decidere "nel preminente interesse del minore". La stessa Corte Costituzionale lo annovera tra gli interessi costituzionalmente garantiti (52). Ed è altresì proprio in ottemperanza al richiamato precetto che impegna alla protezione della gioventù (53) che trova ragione e fondamento la previsione di un Tribunale per i minorenni, organo giudiziario specializzato cui viene riconosciuta esplicita protezione costituzionale (54).

Sul piano più strettamente attinente al diritto penale e al diritto processuale minorile deve dirsi che le stesse norme che tutelano i diritti di libertà (art. 13), di esercizio del diritto alla tutela giudiziale e di difesa (art. 24), di personalità della responsabilità penale (art. 27) nonché di esercizio della funzione giurisdizionale (art. 111 e 112) devono comunque e necessariamente misurarsi con le disposizioni che tutelano l'infanzia e la gioventù. In materia minorile e familiare, in tutti i casi in cui si debba decidere in ordine ai diritti e alla condizione personale del minore, il procedimento è sottratto alla disponibilità delle parti ed è lasciato all'impulso d'ufficio, indipendentemente dalle richieste delle parti stesse, così come al Giudice è attribuito il potere non solo di ammettere le prove ma anche di ricercare le fonti di prova. Tali prerogative devono, però, armonizzarsi con i principi costituzionali, che impongono il contraddittorio (art. 111 Cost.) e il diritto di difesa (art. 24 Cost.).

Il delineato quadro costituzionale, fondamentale riferimento per la costruzione del sistema penale minorile, ha consentito ed imposto al legislatore nel corso degli anni, un continuo adeguamento ai precetti della Carta fondamentale unitamente alla rilevante opera di interpretazione posta in essere dalla Corte Costituzionale, (55). La suprema Corte, chiamata in più occasioni a definire la portata ed i limiti dei precetti costituzionali, ha espressamente riconosciuto in capo allo Stato un dovere di protezione dei minori da cui discende l'obbligo di predisporre tutti gli istituti finalizzati a tale scopo, ed ha esortato il legislatore ad attuare i principi alla previsione di tutti quegli istituti che implicano regimi e trattamenti differenziati rispetto agli adulti. E' proprio grazie a questa opera di interpretazione e di indirizzo si è rivelata determinante ad orientare la scelta in favore della creazione di un organo specifico, il Tribunale per i minorenni. Istituzione deputata a conoscere dei reati commessi dai minori, la cui composizione mista di giudici specializzati e cosiddetti giudici esperti conferma lo spostamento di attenzione, nel diritto penale minorile, dal fatto di reato alla personalità dell'autore al fine di garantire il più possibile il recupero del minore (56).

Proprio in ragione del perseguimento di tale fine la Corte ha da sempre mostrato il suo sfavore verso l'applicazione indistinta della pena detentiva nei confronti del minore autore di reato, affermando che la pretesa punitiva debba arretrare di fronte all'esigenza del recupero sociale del minore (57) e che il ricorso all'istituzione carceraria vada considerato come ultima ratio (58).

La giurisprudenza della Consulta può ritenersi rivolta al perseguimento di tre obiettivi fondamentali: l'affermazione della giurisdizione esclusiva del Tribunale per i minorenni nei confronti del minore che abbia commesso un reato; la necessità di compiere prognosi individualizzate; la tutela dei minori dal processo e nel processo con la conseguente necessità di garantire la rapida uscita dal circuito penale per minimizzarne gli effetti negativi.

Il primo dei richiamati obiettivi trova il proprio suggello, in particolare, nella sentenza n. 222/1983 che ha portato a compimento il disegno già in precedenza avviato con le sentenze n. 130/1963, 10/1966 e 198/1975. Con la detta pronuncia la Corte ha sancito definitivamente il diritto del minore al proprio giudice naturale che deve essere assicurato anche nel caso in cui il reato sia stato attuato in concorso con persona maggiorenne (59), che dovrà invece essere giudicata separatamente da un giudice ordinario. Di pari importanza è la sentenza n. 79/1989 con cui sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 3, 24 e 31 della Costituzione, l'art. 263 del codice penale militare di pace e l'art. 9 del R.D.Lgs. n. 1404/34, nella parte in cui sottraevano al Tribunale per i minorenni la giurisdizione sui reati militari commessi dai minori di anni diciotto appartenenti alle Forze Armate.

Il secondo obiettivo, la necessità di effettuare prognosi individualizzate, ha trovato esplicita affermazione nelle sentenze n. 46/1978 e n. 128/1987 in cui la Corte ha riconosciuto che il Giudice minorile debba essere libero da condizionamenti nel valutare i bisogni rieducativi e nel modellare la risposta penale all'età dell'imputato (60).

Il terzo obiettivo ha trovato affermazione, in particolare, nella sentenza n. 109/1997 con cui è stata dichiarata la parziale incostituzionalità dell'articolo 67 della legge 689/81 nella parte in cui, nei confronti dei condannati minorenni al momento del fatto, detta norma escludeva dalle sanzioni alternative dell'affidamento in prova al servizio sociale e della semidetenzione coloro che in passato fossero incorsi nella revoca della sanzione sostitutiva.

Indipendentemente dai richiamati obiettivi, l'opera di interpretazione delle leggi alla luce dei principi della Carta fondamentale ha consentito in numerose altre occasioni alla Corte Costituzionale di affermare la specificità minorile e di riconoscerne il carattere di interesse specialmente protetto. In tale chiave va letta la sentenza n. 16/1981 che ha dichiarato costituzionalmente legittime le limitazioni della pubblicità imposte al rito minorile in quanto espressione degli interessi alla protezione dell'infanzia ed alla valorizzazione dei bisogni minorili da ritenere prevalenti rispetto ad altri interessi pur aventi, a loro volta, riconoscimento costituzionale. Nello stesso senso vanno parimenti lette le pronunce con cui la Corte ha affermato l'incostituzionalità delle leggi di ratifica di trattati internazionali qualora lo Stato che invoca l'applicazione di norme finalizzate all'applicazione di disposizioni penali non contempli, a sua volta, norme che concretamente assicurino all'imputato minorenne un trattamento adeguato (61). Od ancora le sentenze n. 99/1975 e n.190/1975 che hanno sancito il diritto dell'imputato minorenne ad avere assistenza morale oltre all'assistenza tecnica.

L'importante opera di adeguamento della Consulta, pur non potendo rimediare alle omissioni legislative per l'evidente estraneità di tale fine rispetto alle funzioni di controllo di costituzionalità delle leggi attribuitele dalla Carta fondamentale, ha tuttavia costituito la base su cui il legislatore ha incardinato una più organica opera di riforma della giustizia minorile (62).

1.4 Il Processo Penale Minorile nel DPR 448/88

L'adozione nel nostro ordinamento di un nuovo sistema processuale penale per imputati minorenni, introdotto dal DPR 448/88, è il frutto di un lungo e complesso iter legislativo iniziato a partire dai primi anni '70. Inizialmente il dibattito parlamentare aveva preso in considerazione la possibilità di emanare una delega unica con la quale procedere contestualmente alla riforma del codice di procedura penale e del diritto processuale minorile. Tuttavia l'ipotesi di includere la riforma del processo minorile nella più generale riforma del processo penale fu successivamente accantonata, ritenendosi che la prima dovesse essere oggetto di un autonomo e sistematico provvedimento.

Appare opportuno ricordare che la prima legge delega per la riforma del codice di procedura penale n. 108 del 3 aprile 1974 contemplava due sole disposizioni riguardanti il processo a carico di minorenni, vale a dire "l'esclusione della connessione nel caso di imputati minorenni" e "l'esercizio facoltativo del potere di arresto del minore colto in flagranza di grave delitto" (63).

Lo scarso spazio da tale legge dedicato al processo penale a carico di imputati minorenni sollevò immediatamente il problema circa la sorte delle particolari disposizioni processuali contenute nel Regio Decreto Legislativo n. 1404 del 1934 recante "Istituzione e funzionamento del Tribunale per i minorenni" e comunque della adattabilità del nuovo modello che si andava delineando alle particolari esigenze processuali relative ai minori. Il delicato tema fu oggetto di una specifica analisi da parte del Consiglio Superiore della Magistratura e condusse alla identificazione di tre distinte linee di pensiero caratterizzate, la prima, dal convincimento che la Legge Delega dovesse contenere anche la riforma del Processo Penale Minorile; la seconda, all'opposto, favorevole ad una riforma del Processo Penale Minorile distinta da quella del processo ordinario; la terza, infine, orientata a sostenere l'opportunità che la Legge Delega autorizzasse il legislatore delegato ad apportare alcune modifiche alla disciplina minorile, escludendo tuttavia la possibilità di intervenire radicalmente sulla stessa modificandone i principali contenuti.

La seconda linea di pensiero prevalse, portando all'accoglimento dell'idea di introdurre una riforma del processo minorile attraverso un distinto ed autonomo provvedimento normativo e previo un idoneo e mirato confronto tra la Legge Delega di riforma del processo penale ordinario e le specifiche e peculiari esigenze della giustizia minorile. Pertanto, anche nel caso in cui il processo minorile fosse rimasto estraneo alla delega che prevedeva la riforma del processo penale, la riforma del rito minorile si sarebbe resa non soltanto parimenti urgente, ma avrebbe necessariamente avuto come parametro di riferimento il nuovo processo penale previsto per gli adulti.

Come sopra richiamato, la legge delega per il nuovo c.p.p. non autorizzava il Governo a procedere alla riforma del Regio Decreto del 1934 e soprattutto non prevedeva di modificare le strutture organizzative della giustizia minorile. Soltanto nel 1979 il Ministro di Grazia e Giustizia presentò alla Camera dei Deputati un disegno di legge che conteneva importanti modifiche alla delega del 1974, dando così il via alla "seconda e decisiva delega" (64). Il testo, approvato il 15 luglio 1982, enunciava i principi e i criteri per "la disciplina del processo a carico di imputati minorenni al momento della commissione del reato". A decorrere da tale atto prese definitivamente forma la decisione di procedere con una delega per la Riforma del Processo Penale Minorile autonoma e parallela a quella inerente il rito ordinario, (65) in ragione della specialità della materia minorile e della volontà di non appesantire ulteriormente la nuova disciplina codicistica, già di per sé complessa. A sostegno di tale ipotesi, d'altra parte, si era pronunciata anche la Corte Costituzionale dichiarando legittimi ed ammissibili più decreti legislativi purché si trattasse, come nel caso di specie, di materie autosufficienti e scindibili (66).

Occorre a questo punto ricordare che la legge 16 febbraio 1987 n. 81 recante la delega al Governo per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale contemplava espressamente all'art. 3 una autonoma delega per la disciplina del processo a carico di imputati minorenni al momento della commissione del reato. Tale delega era tuttavia subordinata al rispetto dei principi generali del nuovo processo penale, prevedendo comunque che "essi potessero subire le modificazioni ed integrazioni "imposte dalle particolari condizioni psicologiche del minore, dalla sua maturità e dalle esigenze della sua educazione". Per tali ragioni, tra l'altro, lo stesso articolo 3 della legge delega prevedeva alcuni scostamenti dal modello generale del nuovo processo penale ed in particolare l'esclusione dell'esercizio dell'azione civile nel Processo Penale Minorile (direttiva b) (67); la non contemplazione della pubblicità delle udienze penali minorili (direttiva c) (68); la possibilità da parte del giudice di sospendere il processo per compiere un apprezzamento della personalità del minore (69).

L'articolo 1 del DPR 448/1988 ha recepito i principi e criteri direttivi della legge delega, disponendo che al procedimento a carico di imputati minorenni si applichino le disposizioni speciali contenute nello stesso decreto, rimandando alle disposizioni generali previste nel codice di procedura penale "per quanto da esse non previsto", nel rispetto del principio di sussidiarietà (70).

È opportuno precisare che il DPR 448/88 non ha espressamente abrogato la normativa prevista nel RDL n. 1404/1934. Infatti, poiché quest'ultimo conteneva sia disposizioni di carattere processuale (penale, amministrativo e civile) che ordinamentale, devono ritenersi abrogate senz'altro tutte le disposizioni di natura processuale, dato che il DPR 448/88 ha disciplinato l'intero procedimento penale a carico di minori; al contrario sono tuttora in vigore le altre disposizioni aventi diversa natura, contenute sia nel RDL nº 1404/1934 che in altre leggi non espressamente abrogate (71).

Da quanto sopra emerge pertanto il DPR 448/88, recante "Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni", costituisce la prima riforma sistematica dell'ordinamento processuale minorile.

Tale riforma si è compiuta contestualmente alla riforma dell'intero sistema processualpenalistico ed è stata informata anch'essa al più generale principio accusatorio rispetto al previgente ordinamento basato invece sul principio inquisitorio. La centralità del contraddittorio tra accusa e difesa, l'esclusione di un potere istruttorio privilegiato riconosciuto al Pubblico Ministero, la creazione di un organo giudicante imparziale fin dalla fase delle indagini preliminari, la previsione dell'udienza preliminare come filtro anteriore al dibattimento, hanno rappresentato fattori di rilevante innovazione che, nel sistema penale minorile, hanno enfatizzato la centralità dell'imputato e le sue esigenze di ritorno alla società civile in maniera matura e consapevole (72). In tal senso la riforma del processo a carico di minori è la prosecuzione dell'opera già da lungo tempo iniziata ed è pertanto in sintonia tanto con le precedenti evoluzioni del diritto minorile a livello nazionale che degli indirizzi dettati dalle norme internazionali sopra richiamate (73), entrambi volti a introdurre un rito capace di contemperare le esigenze di tutela della collettività con quelle educative e psicologiche di tali specifici imputati (74).

Vi è, tuttavia, la convinzione tra gli autori che si sono occupati della materia che la legislazione introdotta non configuri una vera grande riforma della giustizia minorile ma abbia riprodotto, con riferimento ai minori, un modello di processo non difforme da quello ordinario quanto a struttura e dinamiche, ma autonomo quanto all'individualizzazione ed alle peculiarità derivanti dall'età del suo destinatario (75).

Il processo minorile, pertanto, si incentra non solo sull'accertamento del fatto e delle responsabilità, ma soprattutto sulla conoscenza della personalità del minore la cui condotta in violazione di leggi costituisca una fattispecie di reato. A differenza di quanto stabilito per gli imputati adulti rispetto ai quali l'articolo 220 del Codice di Procedura Penale vieta accertamenti sulla personalità al di fuori di indagini relative all'esistenza di un vizio di mente totale o parziale, la normativa processuale minorile, invece, con la previsione contenuta nell'art. 9 del DPR 448/88, rubricato "Accertamenti sulla personalità del minorenne", ha abrogato l'art. 11 del RDL 1404/34, imponendo al Pubblico Ministero e al giudice di svolgere, prima di ogni altra indagine, accertamenti sulla personalità del minore, sulla situazione personale, familiare e socio-ambientale, per valutare, alla luce di essi, la rilevanza sociale del fatto commesso, l'imputabilità, il grado di responsabilità e la risposta penale più idonea da dare ad essa (76).

Il giudice, contrariamente alla normativa del 1934, non deve ricorrere ad indagini che evidenzino la capacità a delinquere o la pericolosità sociale del minore, ma deve effettuare un accertamento più ampio che si estenda al contesto familiare e sociale da cui il minore proviene, con l'intento di ottenere una più efficace opera di recupero e indirizzo del ragazzo anche attraverso il coinvolgimento di soggetti diversi da quelli istituzionali. Tale accertamento non ha un carattere facoltativo per il Giudice che è quindi tenuto a compierlo (77). Rimane ancora facoltà del Giudice, invece, disporre l'assunzione di informazioni o di pareri così come procedere all'osservazione diretta anche con l'ausilio di figure tecniche specializzate e senza l'obbligo di svolgere un particolare tipo di indagine (78).

La riforma ha cambiato l'approccio al minore imputato superando, così, le finalità terapeutiche, correzionali e trattamentali (79) che caratterizzavano il RDL 1404/34 ed assimilando i più moderni orientamenti che la dottrina aveva manifestato, in particolare, nel decennio precedente (80). L'atto deviante del minore viene considerato non più come il gesto di una persona immatura e pertanto l'accertamento del giudice non è più indirizzato a ricostruire le cause del comportamento illecito o a risalire ad eventuali "tare" che abbiano determinato una tendenza a delinquere (81), ma nei suoi confronti deve essere attivato un percorso di responsabilizzazione, utilizzando tutti gli strumenti messi a disposizione del giudice stesso dall'ordinamento.

Già in sede di legge 81/1987 contenente delega per l'emanazione del nuovo Codice di Procedura Penale era sottolineata la particolare attenzione riservata al minore. In essa, infatti, si precisava che "il processo a carico di imputati minorenni", rispetto al processo per adulti, deve realizzarsi "con le modificazioni ed integrazioni imposte dalle particolari condizioni psicologiche del minore, dalla sua maturità e dalle esigenze della sua educazione" e questo deve valere per ogni istituto ed intervento previsto nei confronti del minore.

La priorità attribuita al percorso rieducativo del minore ha, necessariamente, determinato modifiche notevoli nella concreta operatività degli istituti generali ed ha portato all'introduzione di istituti del tutto nuovi, come la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (82) e la sospensione del processo con messa alla prova (83), con lo scopo di evitare gli effetti stigmatizzanti o comunque controproducenti del contatto con l'apparato della giustizia (84).

Alcune disposizioni del DPR 448/88 costituiscono una mera precisazione ed estensione di principi già contenuti nella normativa previgente. Tra questi vi sono la non operatività della connessione con il coimputato maggiorenne (85); la esclusione della pubblicità delle udienze e l'obbligo di assoluta riservatezza (86); la previsione di ipotesi nelle quali esigenze educative specifiche consigliano il compimento di determinati atti processuali in assenza dell'imputato (87); la previsione della facoltatività, in ogni caso, dell'arresto in flagranza di reato e dell'applicabilità della custodia cautelare in carcere solo ai delitti più gravi; l'abbreviazione di durata dei termini massimi di custodia cautelare (88).

Altre disposizioni rappresentano, invece, vere e proprie novità non solo rispetto alla normativa previgente ma anche al nuovo codice di procedura penale. Tra queste vanno ricordate le norme che hanno introdotto l'inammissibilità di costituzione di parte civile; l'obbligo del giudice di illustrare all'imputato minorenne il contenuto e le ragioni anche etico-sociali della sentenza; il dovere di valutazione della personalità al fine di apprezzare i risultati degli interventi di sostegno, disposti anche mediante ricorso alla sospensione del processo; l'uso allargato delle sanzioni sostitutive; la funzione per lo più definitoria attribuita all'udienza preliminare e non piuttosto di primo filtro, come nel processo ordinario; l'istituzione di uno specifico casellario giudiziale con la previsione di riduzione dei casi di iscrizione; la possibilità di emettere provvedimenti di urgenza civili in sede penale (89).

Sulla base dei criteri indicati dall'art. 3 della legge delega, recepiti dal codice penale minorile, si è delineato un quadro normativo caratterizzato da una speciale attenzione alla personalità dell'imputato minorenne in relazione al processo penale al fine di ridurre al minimo il danno che ne possa derivare, sia in termini di giudizio sociale (per l'isolamento e la stigmatizzazione da parte della collettività) che dal punto di vista del trauma psichico. La salvaguardia della condizione minorile sia nella fase anteriore al procedimento che nel corso del processo, richiede che gli strumenti processuali siano sempre e comunque adeguati all'autore del fatto che per età, deprivazioni, disagio ambientale, si presenta come soggetto fragile, spesso confuso ed incapace di comprendere il significato degli eventi (90). Per tali ragioni una particolare attenzione deve essere prestata in sede di adozione di provvedimenti cautelari al fine di evitare il più possibile il rischio di adozione di misure che altrimenti vanifichino i percorsi educativi in atto favorendo l'ingresso del minore in un circuito delinquenziale (91).

Parimenti è stato previsto un allargamento dell'utilizzo delle sanzioni sostitutive ed a questo fine il giudice, con il medesimo provvedimento con cui dispone la condanna ad una pena detentiva, può ritenere più adeguata l'espiazione della pena attraverso forme limitative della libertà diverse dal carcere.

Affinché il processo non si risolva nel mero esercizio dell'azione penale, ma possa rappresentare uno stimolo per il minore ad una nuova gestione della propria vita, il legislatore ha ritenuto necessario introdurre altresì una rinnovata competenza e responsabilità dei servizi sociali, intesi come referenti qualificati degli organi della giustizia minorile (92). In particolare ed in modo certamente innovativo la legge ha stabilito che il giudice possa avvalersi, oltre che dei servizi giudiziari, anche dei servizi dell'ente locale rispetto ai quali vengono definiti nuovi compiti da coordinare ed integrare con quelli dei preesistenti servizi. Come correttamente rilevato (93), tale innovazione è espressione della volontà del legislatore di creare una solida rete di interazioni che sostengano il minore nel corso dell'esperienza processuale e consentano al contempo di individuare e sfruttare le risorse esistenti e praticabili nella rete sociale (famiglia, quartiere, scuola). L'esito del processo sarà tanto più positivo quanto più funzionerà l'azione integrata dei servizi e il raccordo col territorio, nella consapevolezza che il disagio minorile spesso si manifesta come difficoltà di gestire le dinamiche dei rapporti interpersonali (94).

Con la riforma del processo penale a carico di imputati minorenni il legislatore, oltre che a prevedere l'introduzione di istituti del tutto nuovi rispetto all'ordinamento precedente, ha inoltre introdotto una serie di deroghe rispetto al processo penale ordinario. Tra queste deroghe appare rilevante in questa sede richiamare il combinato disposto dell'art. 9 del DPR 448/88 e degli artt. 431 lett. e), 236 e 511 primo comma c.p.p., in virtù del quale tutti gli elementi utili alla valutazione della personalità dell'imputato confluiscono nel fascicolo del dibattimento e la documentazione relativa è pienamente utilizzabile, contrariamente a quanto avviene per gli adulti, rispetto ai quali vige invece il generale principio della formazione dibattimentale della prova e, con specifico riferimento alle perizie, si prevede il divieto in sede di accertamento della responsabilità penale di disporne l'ammissione ove esse siano finalizzate a stabilire l'abitualità, la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell'imputato e le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche (95).

Come anticipato, il dibattimento deve tenersi a porte chiuse (art. 33 primo comma c.p.p.m., in deroga all'articolo 471 primo comma c.p.p.) e quando questo sia necessario per ragioni educative, l'imputato può essere allontanato dall'aula (in deroga a quanto stabilito dall'articolo 475 cpp per il processo ordinario).

Il minore non può essere sottoposto all'esame incrociato a cura delle parti, potendo, invece, ai sensi dell'articolo 33 terzo comma c.p.p.m. essere esaminato esclusivamente dal giudice (in deroga al combinato disposto degli articoli 503 comma 2 e 498 comma 3 cpp).

Va ancora detto che la legge prevede l'accompagnamento coattivo innanzi al giudice per l'udienza preliminare o al giudice per il dibattimento al solo fine di consentire la valutazione della personalità (art. 31 c.p.p.m.). Nel corso dell'udienza preliminare il giudice ha l'obbligo di sentire l'imputato art. 31 comma 2 c.p.p.m.), mentre nel processo ordinario l'esame dell'imputato consegue unicamente a sua espressa richiesta (art. 208 c.p.p.) (96).

Non tutti i riti speciali disciplinati dal codice di procedura penale sono stati ritenuti idonei dal legislatore minorile a raggiungere le finalità proprie del processo a carico di imputati minorenni. In particolare, nel Processo Penale Minorile non sono ammessi l'"applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444 c.p.p.) e il procedimento per decreto (art. 459 c.p.p.) (97) e tale previsione, oggetto di censura da parte sia della dottrina che della giurisprudenza, ha comunque superato il vaglio della Corte Costituzionale che ha rigettato tutte le questioni di legittimità sollevate al riguardo (98).

E' invece ammesso il giudizio direttissimo solo se è possibile compiere gli accertamenti sulla personalità del minore e assicurargli l'assistenza effettiva (art. 25 c.p.p.m.). Il minore può fare richiesta di giudizio abbreviato e di giudizio immediato (99), ma in ogni caso non potrà omettersi l'accertamento sulla personalità del minore.

Altra deroga rilevante riguarda la persona offesa dal reato che, ai sensi dell'art. 10 c.p.p.m., non può costituirsi parte civile nel processo penale minorile. Ciò in quanto il legislatore ha ritenuto opportuno che la contesa privata rimanga fuori dal processo penale che deve essere centrato esclusivamente sul minore. Il danneggiato dal reato potrà quindi rivolgersi al giudice civile competente sia nell'ipotesi di giudizio penale già pendente che nel caso in cui questo debba ancora avere inizio. Indipendentemente dal diritto attribuito alla parte offesa, si ritiene sempre possibile promuovere la conciliazione tra quest'ultima ed il reo durante la fase delle indagini preliminari, in vista della messa alla prova da richiedere all'udienza preliminare.

Nonostante debbano accogliersi con favore gli elementi del DPR 448/88 che hanno consentito al minore (attraverso regole processuali mirate e soprattutto distinte dalla riforma del processo ordinario), di mantenere la propria individualità rispetto all'adulto, l'opera di riforma è ritenuta, nel suo complesso, incompiuta da una parte rilevante della dottrina in relazione tanto al mancato intervento sul piano del diritto sostanziale che del trattamento sanzionatorio (100).

Alcuni attenti autori hanno sostenuto che l'attuale ordinamento giudiziario minorile non possa considerarsi un sistema idoneo a garantire pienamente l'attuazione e la promozione dei diritti riconosciuti ai soggetti in età evolutiva in quanto, malgrado i numerosi interventi sopravvenuti negli anni, la base legislativa che regola la materia è sostanzialmente ancora quella del 1934. Il sistema oggi vigente sarebbe pertanto non solo antiquato ma anche sostanzialmente illogico ed inefficace (101).

Tale critica si appunta in primo luogo sul fatto che, con il sistema attuale, non vi sarebbe garanzia per tutti i minori di ricevere uguale tutela da parte di un giudice sempre e ugualmente specializzato. Ciò in quanto le competenze in materia minorile sono attribuite non ad un unico organo giudiziario ma ad una pluralità di organi: il Tribunale per i minorenni, il Tribunale ordinario sia civile che penale, il Giudice Tutelare, il Procuratore Generale della Repubblica, la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario. La pluralità di attribuzioni determina, secondo tale visione, notevoli difficoltà ad individuare il giudice effettivamente competente determinando il rischio reale di adozione di provvedimenti contrastanti da parte di organi diversi. Inoltre, al fine di consentire un rapporto più diretto ed intenso tra giudice dei minori, famiglie e servizi, sarebbe opportuna una maggiore diffusione sul territorio dell'organo giudiziario specializzato, concentrato attualmente in modo tutt'altro che funzionale a tali bisogni. Allo stesso modo è affermata da tale dottrina la necessità di uno specifico sistema di reclutamento e formazione del giudice, poiché investire un giudice non specializzato della materia minorile non assicura di per sé la specifica conoscenza dei problemi minorili e l'adeguata sensibilità nell'affrontarli (102). Sarebbe pertanto auspicabile una riforma incardinata sul principio del giudice unico competente per tutte le questioni riguardanti i minori, in materia familiare, civile e penale, siano essi autori o vittime di reati, perché in tutti i casi il processo penale deve essere occasione di interventi unitari nei confronti della personalità in formazione. Il giudice dovrebbe essere autenticamente specializzato, opportunamente formato ed aggiornato ed il collegio giudicante dovrebbe avere una composizione interdisciplinare. La collocazione territoriale dell'organo giudiziario dovrebbe consentire la vicinanza con gli utenti e la facilità e tempestività dell'intervento insieme ad un raccordo con i servizi del territorio; sarebbe auspicabile infine che vi fossero organici rapporti tra organo giudiziario e servizi del territorio che ben conoscono le varie realtà e le risorse azionabili per risolvere i problemi (103).

Successivamente al DPR 448/88 una nuova proposta di riforma della giustizia minorile è stata varata nel marzo 2002 con i DDLL 2501 e 2517 presentati alla Camera dal Ministro Castelli nel gennaio del 2003.

La proposta in estrema sintesi prevedeva la soppressione delle competenze civili del tribunale per i minorenni (ad esempio in materia di adozioni nazionali ed internazionali, interventi limitativi o ablativi sulla potestà genitoriale, affidamento dei figli naturali) e il trasferimento delle medesime al tribunale ordinario con istituzione, a organico invariato, di una sezione specializzata, composta di soli giudici togati, addetta alla trattazione di tutti i procedimenti in materia di minori, di famiglia, di stato e capacità delle persone; il mantenimento del tribunale per i minorenni, con riduzione dei componenti onorari, per l'esercizio delle sole funzioni penali; un sostanziale inasprimento nella repressione dei reati commessi da minori, con ridimensionamento degli spazi operativi per un recupero sociale degli stessi (104). Si escludeva, infatti, la possibilità di disporre la sospensione del processo e la messa alla prova per i delitti di omicidio, tentato o consumato, e per i delitti di cui agli artt. 609 bis, 609 ter, 609 quater e 609 octies c.p. Si ripristinava, infine, la competenza in materia civile dei servizi sociali del Dipartimento della giustizia minorile che in seguito al DPR 24 luglio 1977 n. 616 era stata limitata in favore della sola competenza in materia penale, trasferendo ai servizi degli enti locali territoriali tutte le funzioni relative "agli interventi in favore di minorenni soggetti a provvedimenti delle autorità giudiziarie minorili nell'ambito della competenza amministrativa e civile".

Nel corso delle discussioni in Commissione Giustizia ed in seguito alle polemiche ed ai dibattiti scaturiti, come espressione della disponibilità al dialogo con le opinioni dissenzienti (rispetto agli originari disegni di legge del marzo 2002), tra le quali vanno ricomprese anche quelle di alcuni esponenti delle forze parlamentari della stessa maggioranza, al progetto di legge furono previsti una serie di emendamenti (105). I punti nodali del dissenso, riconducibili nella necessità che la giurisdizione civile e quella penale per i minori non venga separata, nell'esigenza di mantenere e valorizzare le professionalità dei giudici onorari, e, conseguentemente, nel bisogno di evitare qualsiasi attenuazione della specializzazione dell'organo giudiziario competente per l'intera materia, hanno avuto solo parzialmente seguito e non hanno condotto ad una revisione soddisfacente del testo (106). La riforma il 5 novembre del 2003 viene bocciata dalla Camera (107).

1.5 Il Diritto Penitenziario Minorile

Il quadro generale di riferimento del sistema processuale minorile deve necessariamente tener conto anche dei principi fondamentali della disciplina relativa all'ordinamento penitenziario. Tale corpo normativo, di molti anni precedente all'emanazione del DPR 448/88, non prevede norme specifiche applicabili al minore condannato, determinando così l'esigenza di riempire tale lacuna attraverso l'opera interpretativa e suppletiva della Corte Costituzionale, per sua natura non in grado di dare, tuttavia, un assetto sistematico alla materia.

In Italia manca tuttora un ordinamento penitenziario per i minorenni, atteso ormai da più di trent'anni. La riforma del sistema dell'ordinamento penitenziario, avvenuta con l'emanazione della L. 26 luglio 1975 n. 354, e delle disposizioni di attuazione previste dal D.P.R.29 aprile 1976 n. 431 e successive modificazioni (108), è stata adottata senza tener conto, se non in minima parte, delle esigenze specifiche proprie dei minori condannati, sul dichiarato presupposto che il legislatore avrebbe dovuto intervenire successivamente sulla materia. Infatti l'articolo 79 delle disposizioni finali e transitorie della legge 354/1975 espressamente dispone che le norme in essa previste "si applicano anche nei confronti dei minori degli anni diciotto sottoposti a misure penali fino a quando non sarà provveduto con apposita legge". Nonostante tale previsione, ad oggi nessun provvedimento legislativo è intervenuto, ed ancora vige un indifferenziato trattamento per adulti e minori che nella concreta gestione delle questioni carcerarie ha mostrato molte incompatibilità con le particolari esigenze minorili (109).

Il sistema sanzionatorio applicabile ai minori è, quindi, completamente mutuato da quello previsto per gli adulti. Ne consegue che le pene previste per i reati commessi da soggetti minori di età sono le stesse stabilite per gli adulti, vale a dire la reclusione, l'arresto, la multa, l'ammenda e, in sostituzione delle pene di breve durata, la semidetenzione e la libertà controllata. Su di esse opera unicamente la diminuente della minore età e la differenziazione tra adulti e minori si realizza su un piano meramente quantitativo, cioè della intensità della pena (110).

L'ordinamento penitenziario non è stato innovato neanche dalla riforma del processo penale minorile introdotto dal DPR 448/88 che, dovendo intervenire nel rispetto dei limiti imposti dalla delega, si è limitato alla previsione della competenza specifica della magistratura di sorveglianza in relazione alle modalità esecutive della condanna inflitta a minori e fino al raggiungimento del 21º anno di età (art. 3 comma 2) (111).

La necessità di un intervento innovativo dell'ordinamento penitenziario applicabile ai minori è di tutta evidenza, come dimostrano tra l'altro le previsioni contenute nella disciplina processuale introdotta dal DPR 448/88 in punto di misure precautelari e cautelari che impongono una serie di valutazioni volte alla salvaguardia della personalità del minorenne e alla necessità di non interrompere i processi educativi in corso. Da qui la eccezionalità delle ipotesi in cui è consentito limitare la libertà personale dell'imputato e il carattere residuale della custodia in carcere, con una progressiva diversificazione sempre più favorevole nei confronti dei minori rispetto al sistema previsto per gli adulti (112).

Come già accennato sopra, il sostanziale ritardo e vuoto normativo in punto di ordinamento penitenziario minorile hanno indotto, da un lato, i Giudici in sede applicativa ad adottare prassi interpretative a maglie larghe ed istituti come il perdono giudiziale o il proscioglimento per immaturità che, unitamente alla sospensione condizionale e alle sanzioni sostitutive, permettono al minore di evitare il carcere (113). Dall'altra parte le suddette mancanze hanno indotto la Corte Costituzionale, nell'esercizio della propria competenza in punto di controllo della conformità delle leggi alla Costituzione, a rivestire un ruolo sostanzialmente suppletivo ed integrativo. E' così che la Corte, investita di una pluralità di questioni di legittimità inerenti a tali aspetti, ha definito in qualche modo le linee guida che dovrebbero essere seguite dal legislatore che affronti il percorso di riforma dell'ordinamento penitenziario, ed ha ribadito le esigenze di recupero e di risocializzazione dei minori devianti, la funzione rieducativa della pena e la necessità di differenziazione del trattamento sanzionatorio rispetto a quello previsto per gli adulti.

Giova sul punto ricordare che la Consulta, chiamata a decidere sulla costituzionalità o meno di alcune norme dell'ordinamento penitenziario, ha espressamente affermato nella sentenza 450/1998 che "Nella perdurante inerzia del legislatore, che non ha ancora dettato una disciplina differenziata dell'esecuzione penale minorile [...], questa Corte ha censurato più volte norme di tale ordinamento, o altre norme, che stabilivano preclusioni rigide ed automatiche alla concessione di misure premiali, o alternative alla detenzione, o di altri benefici, in quanto, applicandosi ai minori, impedivano quelle valutazioni flessibili ed individualizzate sulla idoneità ed opportunità delle misure e dei benefici medesimi, che sono invece necessarie perché l'esecuzione della pena e in genere la disciplina delle restrizioni della libertà personali, siano conformi alle esigenze costituzionali di protezione della personalità del minore (114).

Analogamente con la sentenza 436 del 1999 avente ad oggetto le norme che prevedono il divieto triennale di permessi-premio per chi si sia vista revocata una misura alternativa, la Corte non ha esitato a precisare che tale divieto, allorquando applicato ai minori, confligge con i principi di rieducatività della pena e di protezione dei minori, garantiti dagli articoli 27 e 31 della Costituzione e tutelati dalla Dichiarazione dell'ONU del 20 novembre 1959 e dall'articolo 40 della Convenzione sui diritti del fanciullo. La Corte, pertanto ha sanzionato il rigido automatismo con cui dovrebbero applicarsi ai minori norme concepite per gli adulti, sottolineando come, in questi casi, sia fondamentale procedere a "valutazioni flessibili e individualizzate circa la idoneità delle misure per perseguire i fini di risocializzazione del condannato minore [...]".

Appare importante ricordare che altri ordinamenti europei (115) hanno sostituito alla pena detentiva per i minori altre forme di intervento più mirate, sul presupposto che il carcere abbia di per se stesso una finalità essenzialmente punitiva. E' così che si sono affermati in tali ordinamenti istituti quali i lavori di interesse generale, la mediazione, la riparazione comunitaria, l'accompagnamento al lavoro e l'attivazione di piccole esperienze imprenditoriali. Non vi è dubbio che tali istituti debbano essere compresi, valorizzati ed estesi nel nostro ordinamento per sostituire al massimo grado le esperienze carcerarie e dei riformatori (116).

In tale contesto appare come certamente assai insufficiente il temperamento del regime penitenziario operato nella prassi, attraverso il riconoscimento agli istituti penali per i minorenni di una autonomia organizzativa e regolamentare. Tale autonomia, unitamente al meno sbilanciato rapporto educatore-detenuto, al numero inferiore dei ristretti e a tutti gli interventi previsti nell'area della formazione, della ricreazione, della creatività, della scolarizzazione, dello sport, ha consentito di creare nei fatti un regime sostanzialmente differenziale per i minori rispetto a quello previsto per gli adulti (117).

Non vi è dubbio che sia sempre attuale ed urgente una riforma specifica dell'ordinamento penitenziario minorile, evidenziata in molte occasioni dalla stessa Corte Costituzionale anche sul presupposto del grave vuoto legislativo che, altrimenti, le proprie pronunce di illegittimità verrebbero a determinare in mancanza di un organico riassetto normativo ad hoc (118).

Note

1. F. Palomba, Il sistema del processo penale minorile, Giuffré, Milano 2002, p. 6.

2. S. Merlini, Autorità e democrazia nello sviluppo della forma di governo italiano, Giappichelli, Torino, 1997, p. 88.

3. Come riporta A.C. Moro, Un giudice per i minori, documento 23/11/2005, Minori e famiglia, "Per troppo tempo per il costume il minore è stato percepito più come un essere che solo attraverso l'itinerario educativo diviene persona ed acquista valore ... Del resto è sintomatico che, secondo Aries, il maggiore storico dell'infanzia, il bambino non contava nulla anche perché, sul piano non solo psicologico ma anche fisico, era solo una speranza d'uomo, in quanto la sua sopravvivenza era assai problematica e perciò non valeva la pena di affezionarsi a lui; che, secondo Bousset il bambino era solo un animaletto che non conta nulla; che, secondo il Card de Berulle la condizione infantile doveva essere considerata la più vile e abietta; che, secondo Cartesio era necessario liberarsi dall'infanzia come ci si libera dal male perché dal fatto che ogni uomo è dovuto essere prima un bambino dipendono i suoi errori una volta divenuto adulto".

4. Il testo della circolare è riportato in G. Novelli, "Note illustrative del Regio Decreto 20 luglio 1934 n. 1404, su l'istituzione e il funzionamento del Tribunale per i minorenni", in Riv. Dir. Penit., 1934, p. 802.

5. M. Cecere, La tutela dei diritti del minore nel sistema delle Nazioni Unite, in "Esperienze di giustizia minorile", 1990, II, p. 149-153.

6. F. Faccioli, I soggetti deboli. I giovani e le donne nel processo penale, F. Angeli, Milano, 1990, p. 137.

7. F. Verdoliva, Lineamenti del Processo penale minorile, principi generali, relazione tenuta al convegno dibattito sulle proposte di modifica al "sistema Giustizia", p. 27, Catanzaro 13 aprile 2002.

8. S. Di Nuovo, G. Grasso, Diritto e procedura penale minorile, profili giuridici, psicologici o sociali, con la collaborazione di Salvo La Rosa e Domenico Palermo, Giuffrè editore 2005, p. 34.

9. Molti autori condividono questo assunto: F. Bricola, Teoria generale del reato, in Nuovo Digesto italiano, XIX, 1974, p. 18 e ss; S. Di Nuovo G. Grasso, op. cit., S. Larizza, 2000, p. 89; A. C. Moro, 2002, p. 14. F. Verdoliva, op. cit.

10. Tale riduzione rimase modesta fino a che non fu consentito di ridurre la pena, del tutto sproporzionata per taluni reati come il furto, per la quantità di aggravanti speciali, attraverso il complessivo bilanciamento con le attenuanti. Tuttavia la riforma che ha consentito il bilanciamento fra attenuanti e aggravanti (ddl 11.04.19974 n. 99 convertito nella l. 07.06.74 n. 220), nell'intento di attenuare il peso sanzionatorio della risposta penale, ha finito con l'avere nei confronti del minore anche effetto di segno opposto. La diminuente della minore età, infatti, nella formulazione originaria andava sempre e comunque conteggiata per prima, mentre in quella riformata deve essere valutata unitamente alle attenuanti in confronto alle aggravanti. In questo modo nei casi in cui non si reputino prevalenti le attenuanti, essa non importerà per il minorenne una riduzione di pena.

11. A. C. Moro, cit., p. 4.

12. S. Di Nuovo, G. Grasso, cit., p.38.

13. G. Casciano, Nessun minore in carcere, Barbieri Noccioli & C., Empoli, 1989, p. 67.

14. Ad esempio la L. 689/81 ha introdotto le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi (semidetenzione, libertà controllata, pena pecuniaria), in particolare all'art. 54 prevedeva: "la pena detentiva può essere sostituita con le pene indicate nell'articolo precedente quando si tratta di reati di competenza del pretore, anche se giudicati, per effetto della connessione da un giudice superiore o commessi da persone minori degli anni diciotto".

15. L. 398/1984 recante "Nuove norme relative alla diminuzione dei termini di carcerazione cautelare e alla concessione della libertà provvisoria".

16. Precisa, inoltre, la Corte nella sentenza menzionata che "L'idea che dalla previsione della pena dell'ergastolo dovessero essere esclusi i minori faceva già parte del nostro patrimonio legislativo, essendo l'esclusione espressamente sancita dal codice Zanardelli del 1889 che, sul portato di codici pre-unitari, rimasti sostanzialmente in vita fino all'avvento di esso, prevedeva (sulla premessa della imputabilità piena a partire dai quattordici anni) all'art. 55, per gli imputati di età fra i quattordici ed i diciotto anni, la sostituzione di quella pena con la reclusione da dodici a venti anni, ed all'art. 56, per gli imputati di età fra i diciotto ed i ventuno anni, la sostituzione con la reclusione da venticinque a trent'anni".

17. S. Di Nuovo, G. Grasso, op. cit., pag. 47.

18. A. C. Moro, cit., pp. 6 - 7. "il riconoscimento che il minore è portatore di autentici diritti soggettivi non è venuto né da un legislatore illuminato né da una dottrina accademica attenta al nuovo che avanza: è stato esclusivamente un gruppo di giudici minorili che ... hanno progressivamente elaborato, con una giurisprudenza illuminata dai principi costituzionali, un compiuto statuto dei diritti del minore che successivamente anche la legislazione corrente ha affermato. Il giudice minorile quindi ... è divenuto il promotore ed il garante che i diritti non siano solo declamati ma concretamente garantiti".

19. A. C. Moro, Manuale di diritto minorile, Zanichelli, Bologna, 1996, pp. 356 - 357. S. Di Nuovo, G. Grasso, op. cit., pag. 50.

20. G. De Leo, L'interazione deviante, Giuffrè, Milano, 1981, pp 3 - 9.

21. Si consideri, ad esempio, che in Inghilterra alla fine dell''800, all'esito di un processo un bambino di nove anni fu condannato ad essere appeso al collo fino alla morte, per aver fracassato una vetrina con un bastone; mentre nel 1899 venivano condannati ai lavori forzati due ragazzini colpevoli di danneggiamento ad una porta ed era usata senza remore la terribile casa di correzione di Westminster; nello stesso paese tuttavia nel medesimo periodo nascevano i primi movimenti di opinione che affermavano l'esigenza di sottrarre i giovani delinquenti alle pene disumane, di tenere conto della loro età, di farsi, in qualche maniera, carico dei fattori sociali predisponenti e di sostenere il recupero e la risocializzazione. De Leo, op. cit.

22. Dalla Conferenza, che si tenne a Ginevra il 6 giugno 1973, scaturì la Convenzione n. 138 "Convenzione sull'età minima" entrata in vigore il 19 giugno 1976, ratificata dall'Italia nel 1981, con la quale tra le altre cose fu fissata l'età minima di ammissione dei bambini al lavoro nelle industrie a 14 anni e vietato il lavoro notturno per i ragazzi minori di 18.

23. La Carta era stata redatta dalla Signora Eglanite Jebb, fondatrice di "Save the Children Fund".

24. S. Di Nuovo, G. Grasso, op. cit., pag. 52.

25. F. Verdoliva, Lineamenti del Processo penale minorile, principi generali, relazione tenuta al convegno dibattito sulle proposte di modifica al "sistema Giustizia", Catanzaro 13 aprile 2002.

26. Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ecc.

27. V. Preambolo della Dichiarazione.

28. V. Verdoliva, op. cit., p 20 nota 3.

29. Il Patto è stato ratificato in Italia con la legge 25 ottobre 1977, n. 881 ed entrato in vigore l'anno successivo.

30. Artt 1 - 9.

31. Art. 2 lett. A.

32. Artt. 10 - 13.

33. Le cosiddette misure di diversion, nozione che esprime la possibilità di accedere ad alternative all'azione penale, sospendendola per attuare un trattamento psico-socio-educativo mediante appositi servizi e strutture. Istituto previsto essenzialmente in sistemi in cui vige il principio della facoltatività dell'azione penale.

34. Parte III "Giudizio e processo" artt. 15 - 22.

35. Con il termine probation si indicano generalmente quelle misure alternative, nonché le procedure per applicarle, che i giudici di numerosi ordinamenti possono adottare ove ritengano che la pena detentiva sia inappropriata, evitando così la condanna o la prosecuzione dell'azione penale, subordinatamente all'esito positivo di un percorso rieducativi realizzato sotto il controllo degli organi giudiziari e con l'aiuto di personale specializzato.

36. Istituto che mira ad una ricomposizione del conflitto generato dal reato tra vittima e autore del reato. Vedi paragrafo 3.11.

37. Parte IV artt. 23 - 25. Parte V artt. 26 - 29.

38. Ministero della Giustizia, Mediazione penale minorile.

39. A.C. Moro, doc. cit., pag. 11-12.

40. Il sistema di monitoraggio previsto dalla Convenzione prevede, infatti, che ogni paese che ha ratificato la Convenzione, debba sottoporre periodicamente un rapporto (il primo dopo due anni dalla ratifica e successivamente ogni 5 anni) sulla condizione dell'infanzia nel territorio nazionale, seguendo le indicazioni formulate dallo stesso Comitato.

41. La redazione del primo Rapporto Supplementare delle ONG risale al novembre 2001, il secondo al 18 novembre 2009. Con la pubblicazione del secondo rapporto supplementare si è concluso il primo ciclo di monitoraggio realizzato dal gruppo ONG CRC, avviato in seguito alla pubblicazione delle osservazioni del Comitato ONU indirizzate all'Italia nel 2003.

42. A. Saulini, Minori e giustizia in Italia alla luce delle raccomandazioni del Comitato ONU per i diritti dell'infanzia, documento pubblicato il 12.3.03.

43. Entrambi i documenti sono disponibili sul sito Treaty body database (in inglese). La versione italiana tradotta a cura di UNICEF Italia è disponibile anche nel sito del Gruppo CRC.

44. Con riferimento, in particolare, alla procedura minorile penale il Rapporto Supplementare ribadisce la grave lacuna della mancata adozione della riforma dell'ordinamento penitenziario. Non sono, infatti, intervenute novità ed i pochi progetti di legge presentati sono decaduti. La riforma dell'ordinamento penitenziario, che dovrebbe prevedere un sistema ad hoc per i condannati minorenni, completerebbe il processo di riforma in materia minorile armonizzando l'aspetto dell'esecuzione della pena con i diritti di cui gli stessi sono titolari in base alle convenzioni internazionali ratificate dal nostro Paese e le regole delle Nazioni Unite. L'introduzione di istituti specifici consentirebbe, infatti, di riaffermare la centralità delle pene alternative alla detenzione quale efficace sostegno al percorso riabilitativo del condannato minorenne finalizzato all'effettivo reinserimento sociale dello stesso. Cfr. anche A. Saulini, Minori e giustizia in Italia alla luce delle raccomandazioni del Comitato ONU per i diritti dell'infanzia, cit. p. 1-2. Per il testo integrale del Rapporto Supplementare v. in Gruppo CRC.

45. Il rapporto segnala che sono stati presentati due progetti di "Delega al Governo per l'istituzione delle sezioni specializzate per la famiglia e per i minori", presentato in data 29 aprile 2008 e "Istituzione di sezioni specializzate del tribunale e della corte d'appello per la tutela dei diritti dei minori e della famiglia", presentato in data 29 aprile 2008 assegnati alla 2ª Commissione Permanente (Giustizia) in sede referente il 27 maggio 2008, ma non ancora preso in esame.

46. È possibile scaricare il testo completo del Rapporto Supplementare al sito del Gruppo CRC.

47. A. Saulini, doc. cit.

48. Il Consiglio d'Europa nel 2003 ha diffuso attraverso una Raccomandazione del Comitato dei Ministri degli Stati membri le nuove modalità di trattamento della delinquenza giovanile ed il ruolo della giustizia minorile. V. Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, Raccomandazione - REC (2003) 20 concernente le nuove modalità di trattamento della delinquenza giovanile ed il ruolo della giustizia minorile.

49. A. Germanò, De Pueri juribus, in "Esperienze di giustizia minorile", 1990, II, p.47-49.

50. S. Di Nuovo, G. Grasso, op. cit., pag. 60.

51. A. Germanò, doc. cit., pp. 55-56.

52. Corte Cost. Sent. n. 25 del 1965, Sent. n.1617 del 1981.

53. Corte Cost. Sent. n. 222 del 1983.

54. A. Vaccaro, Il processo minorile: garanzie per i diritti dei minori e degli adulti, Relazione tenuta al 22º Convegno dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i minorenni e la famiglia, "Genitori, figli e giustizia: autonomia della famiglia e pubblico interesse", Parma, 13 e 15 novembre 2003.

55. Cfr. S. Larizza, p. 85 - 95; S. Di Nuovo, G. Grasso, cit.; A. Vaccaro, cit., p. 3.

56. Sostengono la necessaria specializzazione dell'organo giudiziario deputato a conoscere dei fatti commessi da minori A. C. Moro, 2002, op. cit., p. 103; G. Giostra, Il processo penale dei minori: quale riforma per quale giustizia, Giuffrè, Milano, 2004, p. 3. A. Vaccaro, op. cit. p.7.

57. Sent. 46/1978, Sent. 128/1987, 109/1997 ecc.

58. Di contro sono visti con favore tutti gli istituti introdotti dal legislatore dell''88 che, congiuntamente al proscioglimento per immaturità ed al perdono giudiziale, consentono di rendere effettivamente residuale il ricorso al carcere. Cfr. S. Larizza, doc. cit., p. 85 - 95. Con la Sent. 120/77 la Corte trovò proprio nella Costituzione il fondamento della previsione del Perdono Giudiziale, da considerarsi non un banale rimedio indulgenziale e deflativo, ma uno strumento penale attraverso il quale il legislatore persegue la funzione del pieno recupero del minore.

59. Il conflitto fra giudicati in questo caso è visto come un male minore rispetto al prevalente interesse nei confronti del minore.

60. Cfr. S. Di Nuovo, G. Grasso, op. cit., pag. 42.

61. È il caso della sentenza n. 128/1987 con cui si dichiarò l'incostituzionalità dell'art. 9 della L. 632/1974, che aveva consentito l'estradizione di un minore su richiesta di uno Stato che per il reato per il quale avanzava richiesta di estradizione, non prevedeva di tenere conto della minore età.

62. Opera di adeguamento, secondo alcuni autori, attuata attraverso le molte pronunce interpretative, e in qualche caso, come sostengono Di Nuovo e Grasso, addirittura manipolative, additive, o più semplicemente di accoglimento o di rigetto di questioni di legittimità rispetto a specifiche disposizioni di legge in contrasto con l'assetto costituzionale. S. Larizza, op. cit.; S. Di Nuovo, G. Grasso, op. cit.; A. Vaccaro, op. cit. G. Giostra, op. cit.

63. Cfr. G. Conso, V. Grevi, G. Neppi Modona, Il processo penale a carico di imputati minorenni, con il contributo di Giuseppe La Greca e Alida Montaldi, Cedam, Padova, 1990, Vol. 1 p. 76 - 84.

64. Cfr. G. Conso, V. Grevi, G. Neppi Modona, Il processo penale a carico di imputati minorenni, con il contributo di Giuseppe La Greca e Alida Montaldi, Cedam, Padova, 1990, Vol. VII.

65. Nel corso della IX legislatura erano state nel frattempo promosse alcune iniziative legislative destinate ad esercitare una certa influenza sulla legge delega: il disegno di legge ad iniziativa del Senatore Gozzini in materia di organizzazione e competenze degli uffici giudiziari e della magistratura per i minorenni; il disegno di legge in tema di ordinamento e competenze delle sezioni specializzate minorenni e la famiglia; il disegno di legge riguardante di tribunale per i minorenni e la famiglia; il disegno di legge in tema di riforma del sistema della giustizia minorile.

66. Cfr. Sent. n. 41 del 06.03.1965.

67. "Non ammissibilità, nel processo penale, dell'esercizio dell'azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno cagionato dal reato; conseguente esclusione della efficacia vincolante della sentenza penale nel separato giudizio civile ".

68. "Disciplina della esclusione della pubblicità delle udienze penali dinanzi agli organi della magistratura minorile e divieto di pubblicazione e di divulgazione, con qualsiasi mezzo, di notizie o immagini idonee a consentire la identificazione della persona nei cui confronti sono svolte indagini, imputata o condannata".

69. "Dovere del giudice di valutare compiutamente la personalità del minore sotto l'aspetto psichico, sociale e ambientale, anche ai fini dell'apprezzamento dei risultati degli interventi di sostegno disposti; facoltà del giudice di sospendere il processo per un tempo determinato, nei casi suddetti; sospensione in tal caso del corso della prescrizione".

70. Principio già previsto con l'articolo 34 del RDL n. 1404 del 1934, il quale stabiliva che, in quanto non diversamente disposto, si continuassero ad osservare "le norme dei codici, delle leggi e dei regolamenti in vigore". La ricostruzione è operata da La Greca, op. cit., p. 18.

71. Cfr. S. Giambruno, Lineamenti di diritto processuale penale minorile, Giuffrè, Milano, 2004, p. 5.

72. E. Lanza, La sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato minorenne, Giuffrè, Milano, 2003, p. 25.

73. Si fa riferimento in particolare alle "Regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile" (c.d. "Regole di Pechino") dell'ONU e alla Raccomandazione n. 20 sulle "reazioni sociali alla delinquenza giovanile" del Consiglio d'Europa, approvate dal Comitato dei Ministri nella seduta del 17 settembre 1987. Quest'ultima in particolare ribadisce tre principi fondamentali che costituiscono la linea ideologica del DPR 448/88: il diritto del minore alle garanzie processuali; riduzione al minimo dei rischi derivanti dal contatto con il sistema giudiziario carcerario; la specializzazione degli operatori della giustizia minorile.

74. Vedi Relazione al Testo Definitivo, in Gazzetta Ufficiale, n. 250 del 24 ottobre 1988, Supplemento n. 2, 221.

75. S. Di Nuovo, Grasso, op. cit, p.156.

76. S. Gallo, La Giustizia Penale Minorile, Roma, 2003.

77. Innovazione introdotta soprattutto grazie al contributo della giurisprudenza antecedente l'approvazione della legge che ha sempre ribadito la necessità della motivazione esplicita dell'accertamento.

78. L'art. 11 del RDL 1404/34, "Forma del procedimento. Indagini sulla personalità del minore", prevedeva che si svolgessero "speciali ricerche" sui "precedenti personali e familiari dell'imputato, sotto l'aspetto fisico, psichico, morale e ambientale", e che, invece, il compito del giudice di "determinare la personalità" e "le cause della irregolare condotta" fosse soltanto eventuale.

79. F. Palomba, Il sistema del nuovo Processo Penale Minorile, Giuffré, Milano, 1989,182.

80. Vedi T. Bandini, U. Gatti, "Il concetto di immaturità", in F. Ferracuti (a cura di), Trattato di criminologia, medicina criminologica e psichiatria forense, Giuffré, Milano, 1989, vol. VI, 141; G.L. Ponti, P. Gallina Fiorentini, Imputabilità e immaturità nel procedimento penale minorile, in "Rivista italiana di medicina legale", 1983, 873; G. De Leo, L'osservazione della personalità nel Processo Penale Minorile: limiti scientifici e prospettive d'intervento, in "Esperienze di rieducazione", 1978, 4, 9.

81. C. Scivoletto, C'è tempo per punire, Angeli, Milano, 1999.

82. L'articolo 27 introduce nell'ordinamento penale un'eccezione al principio di obbligatorietà dell'azione penale, consistente nella potestà del giudice di pronunciare sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto se risultano la tenuità del fatto e l'occasionalità del comportamento e se l'ulteriore corso del procedimento pregiudica le esigenze educative del minore.

83. Con l'articolo 28 è stata prevista invece, la sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato. Si tratta di una causa di estinzione del reato applicabile senza limiti di pena, anche ai delitti puniti con l'ergastolo come vedremo più dettagliatamente in seguito.

84. R. Ricciotti, il nuovo processo penale, in AA.VV., Contributi allo studio del nuovo processo penale, Seminario della Corte d'Appello di Bologna (novembre-dicembre1988), a cura di Melchionda, Maggioli Editore, Rimini, 1989, pp. 249 e ss.

85. La riserva, in via esclusiva, al tribunale per i minorenni della giurisdizione su persona a cui si contesta alla commissione di reato nel corso della minore età è stata, come ricordato, affermata con le sentenze numero 130/1963, 10/1966, 198/1975 e compiuta con la sentenza numero 222 del 28/07/1983 con la quale si è statuito il diritto del minore al proprio giudice naturale. Diritto da assicurare anche nel caso in cui concorra nello stesso reato persona maggiorenne la quale, quindi, verrà giudicata separatamente dal giudice ordinario. L'indirizzo viene confermato anche successivamente nella sentenza numero 52 del 1995 che dichiara infondata la questione di costituzionalità sollevata a riguardo dell'articolo 14, secondo comma, c.p.p. e dell'articolo 3, primo comma, della legge delega 81/1987 in relazione agli articoli 3 e 24 della costituzione. Si ribadisce l'impossibilità del simultaneus processus anche nel caso di reato continuato realizzato a cavallo tra la minore e la maggiore età, attribuendo al compimento della maggiore età interruzione del reato continuato.

86. Tale previsione, già contenuta nell'articolo 16, R.D.L. n. 1404/34 è stata dichiarata legittima con la sentenza n. 17 del 10 febbraio 1981 della Corte Costituzionale che ha giudicato conformi al dettato costituzionale le sensibili limitazioni alla pubblicità imposte già dal rito minorile del 1934. Il dovere di protezione dell'infanzia e la valorizzazione dei bisogni minorili devono prevalere su altri interessi pur aventi a loro volta riconoscimento costituzionale.

87. Principio precedentemente contenuto nell'art. 16, R.D.L. n. 1404/34.

88. Entrambe le ipotesi erano già previste dalle L. n. 397 e 398/1994.

89. L'Autorità Giudiziaria può disporre provvedimenti in grado di tutelare l'equilibrio psico-fisico necessario alla crescita del minore. Tali provvedimenti possono, ad esempio, limitare la potestà dei genitori, possono imporre specifici impegni e comportamenti verso i figli, disporre il temporaneo allontanamento dalla famiglia, oppure nei casi più gravi, quello definitivo (adozione).

90. S. Di Nuovo, G. Grasso, op. cit., p. 159.

91. Di qui la previsione dei centri di prima accoglienza che in prima battuta accolgono gli arrestati, il ruolo della famiglia e delle strutture di tipo familiare quali le comunità, l'utilizzazione in casi estremi del contenimento carcerario.

92. L'articolo 6 DPR 448/88 prevede "In ogni stato e grado del procedimento l'autorità giudiziaria si avvale dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia. Si avvale altresì di servizi di assistenza istituiti dagli enti locali". L'art 13 disp. att. disciplina invece il coordinamento dei servizi.

93. C. Scivoletto, op. cit., p. 48.

94. La collaborazione tra i due servizi ha, talvolta, risvolti problematici, dovuti essenzialmente al fatto che i servizi del territorio sono tradizionalmente abilitati ad un intervento di tipo assistenziale mentre i servizi giudiziari, appartenendo all'area penale, sono creati con finalità correzionale.

95. V. per il procedimento ordinario l'art 220 cpp.

96. Cfr. L. Pepino, Commento al codice di procedura penale minorile commentato, in Esperienze di giustizia minorile, speciale 1989º, p. 9. G. Spangher, Commento al codice di procedura penale - Leggi collegate, I, Il processo minorile (a cura di M. Chiavario), Utet, Torino, 1994. S. Di Nuovo, G. Grasso, op. cit., p. 159.

97. Pur essendo evidente l'importanza di tutti gli istituti processuali, di rito e sostanziali, previsti dal nuovo codice per favorire una rapida uscita dal circuito penale, la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha ritenuto incompatibili col processo minorile il procedimento per decreto e l'applicazione della pena su richiesta (c. d. patteggiamento). Entrambi i riti appaiono inadeguati da un punto di vista pedagogico. Il patteggiamento implica una sorta di accordo sulla pena che prescinde da un accertamento processuale dei fatti e da una formale assunzione di responsabilità, presupponendo nell'imputato una capacità di valutazione e di decisione che richiede piena maturità e consapevolezza di sé. Deve escludersi che persona minorenne per quanto matura e adultizzata possa avere strumenti ermeneutici per affrontare in serena autodeterminazione, senza restare in balìa di difensore e genitori, una tale decisione. La condanna per decreto, invece, comportando la condanna ad una pena senza processo e senza che l'accusato possa discolparsi o anche solo conoscere le accuse non consente al giudice di effettuare quella adeguata valutazione della personalità del minore prescritta dalla legge e non avrebbe alcuna incidenza educativa posto che il minore, in caso di pena pecuniaria non ha alcuna autonomia patrimoniale.

98. Corte Cost. Sent. n. 135 del 1995.

99. Secondo alcuni autori, "pur non potendosi valutare, in astratto, in contrasto con le esigenze del processo minorile il ricorso al giudizio immediato, non poche volte appare inopportuno. Sottraendo il minore alla fase dell'udienza preliminare e precipitando da subito il minore nel dibattimento, la contesa sulle prove fra le parti processuali, pur necessaria, può mettere a dura prova le esigenze educative del ragazzo, addirittura conducendo alla incostituzionale compressione del diritto di difesa attraverso la formulazione dell'art. 28 comma 4". S. Di Nuovo, G. Grasso, op. cit., p. 259.

100. V. A.C. Moro, op. cit.; S. Grasso, op. cit; F. Verdolina, op. cit.; Scivoletto, op. cit.

101. A.C. Moro, op. cit.

102. Per esempio, nell'ordinamento francese, è previsto un tirocinio ordinario nelle funzioni minorili per tutti gli uditori giudiziari, indispensabile data la possibilità di attribuire a qualunque magistrato funzioni in questo delicato settore.

103. A.C. Moro, op. cit., p.10.

104. Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia, Documento congiunto ANM e AIMMF sui progetti di riforma della giustizia minorile (4.3.02) .

105. Per una nota dettagliata degli emendamenti si rimanda all'indirizzo Emendamenti presentati dal Governo in data 7 marzo 2003 al testo del disegno di legge n. 2517 in discussione alla Commissione Giustizia della Camera, 25 marzo 2003.

106. Ad esempio sull'opportunità di non separare la giurisdizione civile dalla penale, si propone l'unificazione delle attuali competenze penali del Tribunale per i Minorenni con le competenze civili già devolute nell'originario disegno di legge del marzo 2002 a sezioni specializzate da istituire presso i Tribunali ordinari e le Corti d'appello. Il Tribunale per i Minorenni verrebbe pertanto del tutto abolito.

107. Per conoscere le numerose voci che hanno criticato il progetto di riforma vedi Livia Pomodoro, In pericolo la giustizia minorile 27 marzo 2003); Giuseppe Pietrapiana, La relazione sulla giustizia minorile della Commissione Parlamentare per l'Infanzia: un'altra voce critica (certamente non "corporativa") sul progetto di riforma della giustizia minorile 15 marzo 2003, Documento ANM del 18 settembre 2003, 26 settembre 2003, ecc.

108. L. 10 ottobre 1986 n. 663 recante "Modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà" (c.d. legge "Gozzini") e DPR 30 giugno 2000 n. 230 recante "Norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà".

109. Per alcuni autori la detenzione stessa sarebbe del tutto inadeguata e contraria a qualsiasi obiettivo psicopedagogico e risocializzante. Cfr. S. Giambruno, op. cit.

110. Ad esempio ai sensi dell'art. 30 ter legge 663/86 con riferimento all'istituto del permesso premio i condannati minorenni godono per ciascun anno di una durata maggiore di quella stabilita per gli adulti, sia rispetto al singolo permesso (20 giorni invece che 15), che al numero complessivo di giorni (60 invece che 40).

111. Momento in cui il ristretto deve essere trasferito presso gli istituti degli adulti. L'art. 3 comma 2 dispone: "Il tribunale per i minorenni e il magistrato di sorveglianza per i minorenni esercitano le attribuzioni della magistratura di sorveglianza nei confronti di coloro che commisero il reato quando erano minori degli anni diciotto. La competenza cessa al compimento del venticinquesimo anno di età".

112. Art. 3 lett. h legge delega per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale. L'assetto voluto dal legislatore del 1988 è stato in parte modificato dal d.lgs. 14 gennaio 1991, n. 12, contenente disposizioni integrative e correttive della disciplina processuale penale e delle norme ad essa collegate" che, emanato sull'onda emozionale causata da una forte crescita della criminalità minorile ha, ampliato le ipotesi di custodia cautelare in carcere e 1'ambito applicativo delle misure precautelari dell'arresto in flagranza e del fermo. S. Giambruno, op.cit, p. 37.

113. S. Giambruno, Lineamenti di diritto processuale minorile, Giuffrè, Milano, 2004, p. 108.

114. Gallo Sabrina, Psicologia giudirica, Psicopatologia e Psicodiagnostica forense, (corso di formazione), Associazione italiana di Psicologia giuridica, Roma, 2003. La Giustizia Penale Minorile, Roma, 2003.

115. In particolare l'ordinamento francese dispone di un articolato sistema di pene alternative alla detenzione così strutturato: le misure educative (l'azione educativa in ambiente aperto, la protezione giudiziaria dei giovani maggiorenni, la libertà vigilata, la messa sotto protezione giudiziaria, la riparazione penale, il collocamento, i centri educativi rinforzati e i centri educativi chiusi); le misure probatorie o di controllo e le pene, alle prime appartengono il controllo giudiziario, la sospensione con messa alla prova, il lavoro socialmente utile, il controllo socio giudiziario e lo stage di cittadinanza. Sono poi previsti sei tipi di sanzioni educative (confisca dell'oggetto utilizzato per il reato o frutto del reato, interdizione dai luoghi dove è stato commesso il reato, incontrare le vittime e/o i coautori indicati dalla giurisdizione, misure di assistenza o di riparazione, obbligo di seguire uno stage di formazione) e sette ordinamenti di pena (libertà condizionata, collocamento sotto sorveglianza elettronica, sospensione e frazionamento della pena, permesso di uscire e autorizzazione ad uscire sottoscorta).

116. Per Sabrina Gallo, op. cit., si tratta di "monitorare a tappeto quanto di innovativo produce il territorio e programmare il superamento definitivo".

117. Infatti proprio nell'ottica di superare le rigidità del sistema normativo vigente e per promuovere la realizzazione di un ordinamento penale minorile sono state emanate, nel corso degli anni alcune circolari, in particolare ricordiamo la Circolare n. 60080 del 19 gennaio 1995 "Organizzazione e gestione tecnica degli IPM"; Circolare n. 5391 del 17 febbraio 2006 "Organizzazione e gestione tecnica degli IPM".

118. Per Stefano Grasso, in S. Di Nuovo, G. Grasso, op. cit. p. 525, con la Sentenza n. 125 del 25/03/1992, la Corte, non volendo in alcun modo "sottovalutare la pericolosità e la gravità del fenomeno della delinquenza minorile", esorta il legislatore ad adoperarsi per prevedere un organico sistema penitenziario che sia orientato all'effettivo recupero del minore.