ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo I
Il pluralismo giuridico

Elisa Marchi, 2011

SOMMARIO: 1.1 Il pluralismo e la scienza giuridica: un'introduzione. 1.2 Il contributo dell'antropologia alla nascita e all'elaborazione del pluralismo giuridico. 1.3 Pluralismo giuridico classico: colonizzazione come terreno d'indagine per l'antropologia. 1.3.1 Il quadro giuridico dell'esperienza coloniale. 1.3.2 Il passaggio dall'evoluzionismo al pluralismo come paradigma di analisi dell'antropologia: le implicazioni negli studi delle società tradizionali. 1.4 Il pluralismo giuridico presso le società occidentali. 1.4.1 Riscoperta della dimensione sociale del diritto e l'affermazione delle prime teorie pluraliste in sociologia e teoria generale. 1.4.2 Nuovo pluralismo: il periodo dell'elaborazione di modelli teorici di pluralismo giuridico. 1.4.2.1 La teoria dei livelli giuridici di Pospisil. 1.4.2.2 La teoria dei campi semi-autonomi di Moore. 1.5 Il pluralismo giuridico nell'età post-moderna. 1.5.1 Interlegalità come nuova dimensione del diritto. 1.5.2 La nuova via del pluralismo giuridico: l'actor prospective 1.5.2.1 Passaggio da una concezione molare a una molecolare di pluralismo giuridico. 1.5.3 Il pluralismo normativo.

1.1 Il pluralismo e la scienza giuridica: un'introduzione

Condurre un'indagine sul pluralismo giuridico portata a confrontasi con definizioni e teorie prodotte da campi del sapere diversi rispetto a quello strettamente giuridico, come la sociologia, la teoria politica e l'antropologia, determinando un certo spaesamento in chi, da sempre, ha operato all'interno di un quadro giuridico positivista. Le università si fanno promotrici, in modo esplicito, del modello giuridico monistico fondato sull'eguaglianza pressoché assoluta tra diritto e legge (da intendersi, qui, come atto espressione del potere politico statale). (1) Alla luce di questo, possiamo, in prima battuta, sostenere che il pluralismo giuridico è un concetto capace di mettere in crisi questa costruzione monista del diritto per, poi, mostrare, nel corso del lavoro, come esso abbia avuto applicazioni diverse. Motta, in apertura di un suo recente saggio, (2) al fine di mostrare la poliedricità del concetto pluralista, lo rappresenta come un termine in continua evoluzione, capace di trovare applicazione in campi e contesti diversi, che vanno dalla teoria generale, alla sociologia, abbracciando tematiche svariate, dalla tutela dei gruppi oppressi, al recente dibattito sul multiculturalismo giuridico, senza dimenticare oggetti tradizionali come i diritti umani. La fortuna del pluralismo giuridico è dovuta alla sua capacità di offrire una nuova e diversa prospettiva di analisi rispetto a quella positivista-monista, rappresentando, per la scienza giuridica, uno strumento indispensabile di 'adeguamento' ai mutamenti socio-culturali che, negli ultimi anni, hanno investito i prodotti più significativi della modernità: lo Stato e il diritto.

Al fine di inquadrare un concetto così complesso, cerchiamo di capire cosa è il pluralismo giuridico ricorrendo ad una esemplificazione, per poi dargli una connotazione tecnico-teorica.

Ricorrendo ad una metafora possiamo dire che il pluralismo è una sorta di occhiale che, una volta indossato, ci obbliga a rileggere gli stessi fenomeni in una prospettiva differente. Facciamo un esempio: prendiamo il caso dell'infibulazione (3) femminile praticata da una donna somala in Italia. Indossando gli occhiali del positivista di tradizione giuridica occidentale, posso dire di vedere una palese violazione del diritto italiano, in particolare di quelle norme che tutelano l'integrità psico-fisica della persona, per cui, chi pratica materialmente tale rito, è sanzionabile penalmente. Indossando gli occhiali del pluralista di tradizione occidentale, prendo coscienza dell'esistenza di tutta una serie di norme extra-statali che disciplinano lo stesso fenomeno; tra queste norme annoveriamo i patti e le prese di posizione delle organizzazioni internazionali e regionali che condannano tale pratica; in questo caso ci moviamo ancora all'interno di un sistema valoriale e simbolico riconducibile alla tradizione occidentale. L'ultimo passo è quello d'indossare gli occhiali del pluralista, di tradizione occidentale ma sensibile alle differenze culturali, in questa ipotesi, si deve partire dal riconoscere che la pratica dell'infibulazione è la conseguenza fattuale di un sistema di norme 'tradizionali' che disciplinano le condotte dei singoli all'interno della comunità somala. A questo punto il quadro si presenta molto più complesso; vedo una donna che si trova di fronte a due norme diverse, quella statale, che qualifica l'infibulazione come reato, e la norma ' tradizionale' che le chiede di praticarla per essere accettata dal suo gruppo. In quest'ultima ipotesi il giurista è costretto a prendere coscienza che la vicenda, che in origine sembrava ovvia e semplice da risolvere con una sanzione penale, diviene più complessa, mettendo in causa tutta una serie di elementi, per la cui interpretazione, è necessario avvalersi di discipline diverse da quella giuridica, come l'antropologia e la sociologia capaci di mettere in luce il contesto sociale nel quale è calato il soggetto. Infatti, abbracciare l'ottica pluralista significa prendere coscienza dell'esistenza di una dimensione sociale dell'individuo, capace di influenzare le sue scelte e le sue condotte, che non si muovono più solo nell'ambito ristretto del diritto statale, ma sono influenzate da norme diverse che, nel nostro esempio, trovano la loro fonte nella comunità di appartenenza della donna e che sono capaci di indirizzare le condotte dei singoli anche se in contrasto con il diritto statale.

Per comprendere il ruolo che il pluralismo giuridico riveste all'interno della scienza giuridica è necessario soffermasi brevemente su concetti come monismo giuridico e diritto positivo, che hanno rappresentato un corollario indispensabile nell'affermazione dello Stato moderno. A tale fine mi avvarrò dell'analisi proposta da De Sousa Santos, il quale, partendo dal considerare la modernità come un paradigma, ci offre un quadro completo nel quale muovere la nostra analisi. Non essendo questa la sede per approfondire il pensiero di De Sousa Santas, basti, qui, indicare gli elementi essenziali. Per l'autore la modernità è un paradigma socio-culturale che si fonda su regolazione ed emancipazione. La regolamentazione è formata da tre elementi: 1- principio dello Stato; 2- principio del mercato; 3-principio della comunità; l'emancipazione si basa su tre principi di razionalità: 1- razionalità estetico-espressiva (le arti) 2- razionalità cognitivo-sperimentale (scienza); 3- razionalità pratico-morale. Il moderno si connota per l'egemonia dello Stato come centro del potere e del diritto e per l'egemonia della scienza su tutti gli altri ambiti socio-culturali. (4) Per una migliore comprensione dell'argomento, cerchiamo di approfondire l'elemento che più interessa la nostra analisi e cioè, la costruzione del diritto in epoca moderna in prospettiva alla nuova struttura di potere rappresentata dallo Stato-nazione.

Una delle caratteristiche essenziali della 'modernità' è l'accentramento di tutti i poteri, che nelle epoche passate erano dislocati in vari centri sociali, in un'unica struttura socio-politica, lo Stato-nazione. Corollario indispensabile per la realizzazione di questo progetto politico è la progressiva sottrazione di potere alle comunità locali a favore dello Stato. Funzionale a tale obbiettivo è il ricorso al monopolio statale della produzione giuridica, il quale, portando all'esclusione dal panorama giuridico di tutte le norme prodotte dalle formazioni sociali diverse da quelle espressamente riconosciute dallo Stato, fa si che, il diritto statal-legislativo divenga "l'unico ordinamento normativo, l'unico sistema di regolamentazione del comportamento dell'uomo in società". (5) Lo Stato prende il sopravvento sulla dimensione sociale creando uno stretto legame tra diritto e potere; il diritto è divenuto "strumento squisitamente potestativo, strumento di potere, strumento di controllo funzionalizzato alla piena affermazione del potere." (6)

È con l'affermazione della centralizzazione della produzione giuridica, che trova la sua massima espressione nelle codificazioni liberali, che il pluralismo, da intendesi qui come fatto, diviene qualche cosa da colmare, da gestire proprio perché si pone in contrapposizione all'idea di unificazione, completezza e certezza delle fonti giuridiche. La corrente di pensiero, che si fa promotrice dell'idea monista di diritto, secondo la quale il diritto è sinonimo di legge, e che è destinata a dominare la scienza giuridica nel corso dell'età moderna, è il positivismo giuridico. Infatti, questa corrente "nasce dalla spinta storica verso la legislazione, si realizza quando la legge diventa la fonte esclusiva del diritto e il suo risultato ultimo è rappresentato dalla codificazione". (7)

I tre elementi che contribuiscono all'affermazione del positivismo come corrente dominate il panorama giuridico sono: un nuovo paradigma che si afferma nelle scienze, una nuova psicologia del potere e l'emersione della borghesia (8).

Con la rivoluzione scientifica, avviata fra il XVI e il XVII secolo, si afferma un nuovo modo di concepire il mondo che innegabilmente, coinvolgerà anche il giuridico. La legge diviene lo strumento attraverso il quale l'uomo può trasformare e controllare la società, per cui, il diritto, posto coscientemente secondo una finalità razionale, diviene lo strumento attraverso il quale imprimere la struttura che si vuole fare assumere alla società. Il sovrano pone leggi generali e coerenti che dominano la società così come l'universo riposa su leggi naturali, universali e immutabili. La prevalenza della legge come fonte del diritto significa perseguire un ordinamento razionale. Come sostiene De Sousa Santos, la modernità si connota per l'egemonia della scienza sugli altri campi del sapere, (9) portando all'isomorfismo strutturale tra diritto e scienza, per cui, il diritto, risente, nella sua elaborazione e formulazione, degli schemi delle scienze positive e questo, in campo giuridico, si traduce nell'elaborazione di dottrine formalistiche che vanno, dal movimento delle Pandette al movimento francese per la codificazione, fino alla dottrina pura del diritto. (10) Queste dottrine formalistiche, che considerano il diritto come una costruzione teorica impermeabile rispetto al contesto sociale, risultano funzionali alla nuova costruzione del concetto di potere, totalizzante e accentrato, che caratterizza la modernità. Ricorrendo alle parole di Grossi, possiamo dire che, in questo contesto:

Non ogni potere politico dotato di effettività in una determinata proiezione territoriale, bensì un potere totalizzante, omnicomprensivo, che tende a controllare e a dominare ogni manifestazione sociale, una sorta di grande burattinaio che ha in mano tutti i fili e non intende rinunciarvi. Stato è, dunque, più una psicologia del potere che una quantità più o meno grossa di questo; come tale, è la novità che segna di incommensurabile discontinuità il terreno della modernità, intensificando la confinazione fra 'moderno' e 'medievale'. (11)

Lo Stato tende a eliminare tutti quei poteri autonomi che avevano connotato il panorama medioevale e l'ancién regime e, per farlo, si affiderà a una progressiva monopolizzazione del potere di produzione legislativa, che coinvolgerà anche la sfera privata che fino a quel momento era lasciata alle consuetudini. La riproduzione di quest'ultime, attraverso compilazioni, rappresenta il momento iniziale di un controllo sempre più forte del giuridico, che raggiungerà la sua massima espressione con le codificazioni. I rapporti sociali che fino a quel momento erano regolati da norme spontanee, che nascevano dalle stesse comunità che vi ricorreva, si trovano imbrigliati e controllati da un potere centralizzato che presto si farà il promotore delle esigenze di una classe, la borghesia. Con l'affermarsi di un'economia di mercato, i privilegi tipici dell'ancién regime, legati alla condizione cetuale e sociale del soggetto, costituiscono un ostacolo all'affermazione di valori come la volontà (libertà contrattuale) e la proprietà, che sono presupposti indispensabili per l'affermazione e lo sviluppo dell'economia capitalistica. Al fine di superare il precedente regime giuridico, è necessario ricostruire il soggetto di diritto in modo totalmente astratto dalle sue appartenenze sociali. Con la rivoluzione francese si afferma il principio dell'eguaglianza formale di fronte alla legge; l'appartenenza sociale non può più rappresentare un elemento di discrimine nell'applicazione del diritto, del quale, potenzialmente, qualunque soggetto può divenirne destinatario, a prescindere dalla posizione rivestita in ambito sociale. Il moderno si connota per un rapporto diretto tra Stato e individuo, non mediato dalle formazioni intermedie, le quali, scompaiano dal panorama giuridico; queste non operano più né come fonti di diritto, né come condizioni inerenti alla scelta della norma da applicare nel caso concreto.

La ricostruzione della concezione giuspositivistica del diritto, che vede da una parte il fenomeno della giuridicità rilegato al rispetto delle forme e dei modi stabiliti dallo Stato per la produzione giuridica e dall'altra il soggetto di diritto come unico ed astratto dalle sue appartenenze sociali, è il punto di paranza essenziale ai fini della nostra analisi, infatti, come sostiene Corsale, solo affermandosi un modello monistico, che si fonda sul monopolio della produzione e dell'amministrazione del diritto, si afferma l'esigenza di elaborare una serie di strumenti teorici (12) che permettano la recezione effettiva di tutto il materiale giuridico elaborato fuori dal sistema delle fonti statali legalmente previste. (13) In questo contesto, il pluralismo giuridico si presenta come uno strumento offerto, soprattutto alla sociologia, per ricercare il diritto non statale. Gli studi sul pluralismo giuridico mettono in crisi il paradigma convenzionale, che si fonda sull'idea del monopolio della produzione giuridica in capo allo Stato, poiché rilevano l'esistenza di più sistemi normativi che rinvengono la loro fonte nella società, svelando una relazione più complessa tra Stato e realtà sociale, che comporta il superamento dell'idea di un diritto unico a favore di una 'rete di diritti'.

A questo punto prossimo tornare alla questione iniziale: cosa è il pluralismo giuridico all'interno della disciplina giuridica?

Ricorrendo alla definizione di Corsale, quando parliamo di pluralismo giuridico dobbiamo distinguere tra 'pluralità di ordinamenti giuridici' e ' pluralismo giuridico'. La prima espressione è utilizzata dall'autore per indicare una situazione di fatto, costatato, descritta o ipotizzata di coesistenza di una molteplicità di ordinamenti che costituisce il punto di partenza per l'analisi giuridica o sociologica. Con pluralismo giuridico s'intende, invece, un modello teorico elaborato per rispondere a domande e problemi, in un contesto storico dato, in relazione alle esigenze dei soggetti sociali che si pongono tali domande o in relazione ai quali tali domande sono poste. (14) È in quest'ultima accezione che io lo utilizzerò, precisando che, il pluralismo giuridico è un modello teorico esplicativo che si colloca sul piano della descrizione dei fenomeni, non delle strategie di politica del diritto, per cui può essere utilizzato tanto dagli avversari dello statalismo, al fine di ridurre il potere statale, che dai sostenitori della restaurazione della centralità dello Stato, con lo scopo di ridurre la pluralità nell'orbita statale. (15)

Come scrive Sacco, riassumendo le tematiche più significative che questo approccio introduce all'interno del dibattito giuridico:

Il pluralismo giuridico porta la sua attenzione sui sottogruppi sociali, sull'interazione tra l'ordine delle comunità locali e l'ordine normativo superiore, sui trattamenti diversificati dei conflitti che si presentano entro il gruppo ristretto e di quelli che intervengono tra gruppi diversi; contrappone il diritto ufficiale e quello non ufficiale e prende a bersaglio l'identificazione del diritto con lo Stato (16).

Inoltre, il pluralismo, sul quale focalizzerò la mia analisi, è quello di tipo culturale che guarda alle ipotesi in cui il diritto, prodotto fuori dallo Stato, è espressione, non solo di una certa comunità, ma anche di una cultura. (17)

Questo significa porre l'accento, non solo sul problema della coesistenza di norme giuridiche diverse applicabili ad uno stesso soggetto, ma anche sul fatto che queste norme possono essere espressione di una certa visione del mondo che ci porta a trasporre il discorso nell'ottica del rapporto tra noi e l'altro, aprendo la strada a tutta una serie di problematiche che, una visione etnocentrica (18) del diritto supera facilmente fondandosi su un monismo indiscusso di valori e idee.

Tornando all'esempio della donna somala infibulata, l'approccio al diritto da me scelto, ci costringe ad uno sforzo ulteriore e cioè di capire perché la comunità somala pratica l'infibulazione, perché sono le donne stesse a praticala, perché le donne ne richiedono la pratica? La condanna dell'infibulazione proveniente dalle istituzioni internazionali e nazionali, e anche della mia coscienza di femminista, è espressione di un certo sistema valoriale che la donna somala può non riconoscere e non condividere. La grande sfida del diritto, (19) in un contesto multiculturalista, è proprio quella di prendere coscienza di questa complessità. L'analisi della realtà richiede di liberarsi dei panni del giurista positivista ed indagare campi del sapere diversi da quelli che siamo abituati a sondare. Questo rende il quadro giuridico, nel quale ci muoviamo, molto più complesso.

Non avendo la pretesa di analizzare in modo esaustivo tutti questi aspetti problematici, ciò che mi interessa sottolineare è come il concetto di pluralismo giuridico costituisca uno strumento attraverso il quale la scienza giuridica può dare 'voce' a quelle espressioni normative prodotte al di fuori dell'orbita statale, e che il positivismo giuridico aveva rilegato nell'ambiato del non giuridico o dell'illecito. La visione pluralista porta il giurista a prendere coscienza che l'ordinamento giuridico statale non è assoluto e universale, ma il frutto di una cultura data e che il soggetto di diritto, affermatosi a seguito della rivoluzione francese, astratto dalle sue appartenenze sociali, è una costruzione teorica eccessivamente semplificata rispetto al quadro sociale messo in luce da un approccio pluralista, il quale ci mostra un individuo calato in più gruppi sociali e chiamato a fare i conti, non solo con le norme prodotte dallo Stato, ma anche con quelle provenienti dalle comunità alle quali appartiene.

Nei prossimi paragrafi analizzerò l'evoluzione che ha connotato il pluralismo giuridico, mostrando come l'elaborazione e la successione dei vari modelli che fanno capo a tale concetto, siano strettamente legatati al contesto socio-culturale in cui sono stati elaborati. Il taglio che intendo dare alla mia analisi è di tipo culturale, cioè legata alle problematiche riguardanti il modo in cui l'ordinamento statale recepisce e considera l'altro. Da questo punto di vista il mio lavoro s'incentrerà prevalentemente sul pluralismo giuridico di matrice antropologica, poiché tale disciplina ha saputo ampliare il campo d'indagine del giurista a tutta una serie di norme che trovano la loro fonte al di fuori dell'ordinamento statale, ricorrendo a strumenti teorici liberi dai vincoli formali imposti dalla dottrina giuridica, costringendo il giurista a prendere coscienza della dimensione sociale del soggetto. Il grande merito dell'antropologia è stato quello di aprire il dibattito giuridico all'altro che nel tempo ha assunto sembianze diverse. In una prima fase, l'altro s'identifica con l'esotico, con il culturalmente lontano, per cui, questa lontananza tanto culturale che territoriale fa si che l'opera del giurista, al massimo, arrivi ad una comparazione tra sistema moderno e tradizionale, questo, come si vedrà, è il periodo dominato dal paradigma evoluzionistico connotato da grandi dicotomie: civile-incivile, modeno-tradizionale. In una seconda fase l'altro assume le sembianze dell'altro interno, cioè lo sguardo si posa su quei gruppi sociali, presenti nelle società moderne, e per i quali, i modelli sociologici e antropologici mostrano l'esistenza di propri sistemi di norme (ordinamenti 'giuridici') in alcuni casi contrari o alternativi a quello statale; pensiamo ai sindacati, ai gruppi etnici, ai gruppi religiosi, i gruppi criminali. Nell'ultima fase, quella post-moderna, l'altro diviene sinonimo di complessità. Le nuove correnti pluraliste non guardano più ad una società frammentata, composta da gruppi aventi un proprio ordinamento, ma al soggetto come momento di ricomposizione della complessità sociale; la diversità non deriva più dall'appartenenza ad un gruppo determinato ma è insita nel soggetto, il quale appartiene, contemporaneamente, a più ordini e gruppi, per cui, si fa portatore di multiculturalità.

1.2 Il contributo dell'antropologia alla nascita e all'elaborazione del pluralismo giuridico

Il rilevante apporto offerto dall'antropologia all'elaborazione del modello pluralista è dovuto ai due elementi che connotano questa disciplina: l'oggetto di studio e il metodo operativo.

L'oggetto di studio dell'antropologia è la cultura. Non essendo questa la sede per approfondire il dibattito teorico che ha accompagnato l'evoluzione di questo concetto, (20) ai fini della nostra analisi basti rilevare l'elemento di novità che questo ha introdotto nelle scienze sociali; come sostiene Kilani, l'oggetto dell'antropologia è la descrizione dell'altro, (21) del diverso, di chi 'non è uno di noi'. L'antropologia, in quanto sapere della differenza, assume istituzionalmente come suo oggetto il 'confronto con l'Altro' (22). Per cui essa diviene la disciplina capace di "trascrivere l'alterità nel registro scientifico". (23) La culturarappresenta lo strumento elaborato dal mondo occidentale moderno per comprendere la diversità: "l'antropologia tenta di spiegar la qualità, le fonti, le ragioni, i modi, il senso e i problemi delle diversità che esistono tra gli uomini." (24) L'obbiettivo fondamentale, nella prima antropologia sociale, (25) "è quello di rintracciare analogie e differenze tra le varie società, individuare meccanismi comuni e, nello stesso tempo, spiegare le ragioni e i modi con cui si determinano le diversità." (26)

L'aver impostato, al suo primo apparire, la questione della diversità in termini di cultura, vale dire nei termini di quella "cosa" - la cultura, appunto - che rende oggettivamente diverse due società umane ma che, tuttavia, è presente in ciascuna di esse, ha fissato immediatamente la tonalità fondamentale attorno alla quale si sarebbe giocata la persuasività della spiegazione antropologica. (27)

Se l'oggetto di studio dell'antropologia è la cultura, quale elemento presente in tutte le società ma che le rende oggettivamente diverse, questa disciplina non può che fondarsi su un paradigma pluralistico.

L'altro aspetto innovativo della scienza antropologica è quello di ricomprendere, all'interno del concetto unitario di cultura, un insieme di elementi differenzianti che in precedenza si declinavano autonomamente. (28) Per comprendere questa affermazione basta analizzare quella che gli studiosi considerano la prima e più importante definizione sistematica di cultura elaborata da Tylor: (29)

"la cultura, o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell'insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l'arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra abitudine acquisita dall'uomo come membro di una società." (30)

Da questa definizione (31) si evince che fanno parte della cultura le abitudini acquisite che governano il comportamento degli individui, cioè l'ambito della cultura è l'ambito dei comportamenti che non sono innati ma che sono frutto di apprendimento; ogni cultura è connessa a una struttura sociale. Sussiste una sorta di corrispondenza fra culture e società, nel senso che, come ciascuna società possiede una propria cultura, allo stesso modo ciascuna cultura è cultura di qualche società. (32)

Dato che ciascuna società possiede una propria cultura, ciascuna cultura esprime un proprio diritto. (33) L'antropologia pone l'analisi del diritto in un'ottica diversa; oltre che studiarlo nella sua dimensione storica e spaziale, lo guarda nella sua dimensione culturale come prodotto di un dato mondo e modo di pensare, in un'ottica che è quella dell'alterità, cercando di abbandonare ogni etnocentrismo. Per l'antropologia nessuna società è del tutto priva di diritto, perciò ciascuna può divenire oggetto d'indagine. (34) Questo apre la strada ad una branchia specifica all'interno degli studi antropologici: l'antropologia giuridica, il cui oggetto di studio è una nozione di diritto universale, che possa trovare applicazione e riscontro in ogni società, non legata ai rigidi schemi imposti dal modello giuspositivista, ma più ampia, capace di abbracciare società diverse da quella occidentale. (35)

Dato che il diritto è presente in ciascuna società, ed esso non corrisponde solo al diritto statale, appare necessario elaborare una metodologia specifica che sia funzionale a rilevarlo. La metodologia alla quale ricorre l'antropologia giuridica è la ricerca sul campo, in particolare, il metodo della 'osservazione partecipante', (36) che consiste in una immersione totale del ricercatore nella società oggetto di indagine al fine di assumere il 'punto di vista dei nativi', attraverso colloqui ripetuti con i membri della società indagata e l'ausilio di informatori (37). Attraverso questa tecnica, s'individuano le norme seguite dal gruppo e le modalità di risoluzione dei conflitti, con un'attenzione particolare agli aspetti psicologici soggettivi del diritto, al fine di analizzare ciò che è percepito come giusto o sbagliato dal singolo soggetto. In questi termini l'indagine risulta essere particolare e legata ad una certa realtà. L'antropologia istaura un rapporto privilegiato con la società indagata ricavando da essa informazioni, dati specifici e diversificati, aprendo la strada ad un definizione ampia di diritto che superi quella giuspositivistica, che, nella prospettiva antropologica, non è che una delle varie forme di diritto elaborate dalle società umane.

Questa impostazione non è andata esente da critiche poiché, ampliando eccessivamente il concetto di diritto, rompe il confine tra ciò che è giuridico e ciò che è sociale. (38) Dall'altra però, abbandonare l'idea di diritto ancorata al concetto di legge, risulta più funzionale alla lettura di tutti quei fenomeni che, a partire dai primi del Novecento ad oggi, dalle lotte operaie alle grandi immigrazioni, hanno percorso la storia degli Stati occidentali, in alcuni casi avanzando pretese di riconoscimento nei confronti dello Stato, in altri opponendosi ad esso. L'antropologia con il suo concetto ampio di diritto, non ancorato ai formalismi teorici presenti in altre discipline, come la teoria generale, ha consentito di ampliare il panorama d'indagine facendo emergere dall'ombra tutta una serie di fenomeni, fino a quel momento ignorati ma che, di fatto, sono capaci di regolare ed indirizzare la vita dei singoli in modo anche più stringente rispetto al dettato legislativo statale.

I modelli di pluralismo giuridico, costruiti dall'antropologia sono liberi dai vincoli dell'impostazione giuspositivista e consentano un'analisi che parte, come si mostrerà in seguito, dalla società, dall'osservazione sul campo. Oggi, di fronte a società multiculturali e globali, chiamate a fare i conti con culture altre e con il superamento del sistema wefaliano degli Stati-nazione, la dottrina giuridica non può più ignorare l'esistenza di tutti quei fenomeni che si realizzano oltre lo Stato, in alcuni casi al di fuori delle sue leggi, fenomeni che vanno dalla nuova lex merctoria delle corporation internazionali, alle norme che regolano le comunità d'immigrati o le comunità dei nativi; in questo nuovo contesto il modello del pluralismo giuridico, offre uno strumento teorico per inquadrare queste nuove realtà.

Proseguirò la mia analisi cercando di evidenziare i passaggi più rilevanti delle vicende concernerti il pluralismo giuridico. Incentrando l'analisi prevalentemente sul filone antropologico, possiamo parlare di tre fasi nello studio di questo concetto, che corrispondono, all'incirca, a tre epoche storiche e sociali diverse:

1) Pluralismo classico: (39) in questo contesto il pluralismo è quel fenomeno di sovrapposizione giuridica esistente nei paesi coloniali, che vede la coesistenza, in uno stesso territorio, di due diverse forme di diritto: quello dei colonizzatori e quello degli autoctoni. (40) In questa situazione l'antropologia ha per oggetto di studio l'altro che possiamo definire 'esotico', 'lontano', 'non moderno', 'non civile', appartenete ad un contesto non occidentale. In questo quadro, l'alterità è costruita in relazione ad un noi che corrisponde alla società occidentale. Dato che il paradigma dominante è quello dell'evoluzionismo unilaterale, connotante una visione etnocentrica, il rapporto tra noi e l'altro si pone in un continuum nel quale, la società occidentale rappresenta il punto di arrivo del percorso evolutivo di tutte le società umane. Questo porta la scienza giuridica ad interpretare il diritto dell'altro ricorrendo alle proprie categorie, il tutto in vista di un'acculturazione giuridica che si presenta in linea con l'idea, secondo la quale, il diritto positivo-occidentale costituisce il punto di arrivo dell'evoluzione giuridico-culturale di ogni società.

2) Nuovo pluralismo: l'oggetto di studio diviene il pluralismo presente all'interno delle società industrializzate. (41) L'esperienza antropologica, formatesi all'interno dello spazio coloniale, viene utilizzata al fine di analizzare tutti quei fenomeni di pluralismo presenti nelle società occidentali. Attraverso l'elaborazioni di alcuni modelli pluralistici, si riconosce l'esistenza di tutta una serie di ordini, campi o livelli (42) sociali capaci di secernere un proprio diritto, mettendo definitivamente in crisi l'idea del monismo giuridico di stampo giuspositivistico. In questo contesto l'altro non è più l'altro esotico e lontano ma è l'altro interno; l'alterità diviene un fenomeno sincronico, per cui, il pluralismo sociale e giuridico divengono elementi connotanti anche le società occidentali. L'antropologia si presenta come la disciplina sensibile verso tutte le differenze presenti in società e capace, con i suoi modelli, di rilevarle. Dal punto di vista giuridico questo si traduce nel superamento del 'mito del monismo giuridico' a favore di un riconoscimento della società come fonte di produzione di norme.

3) Pluralismo come concetto post-moderno. A queste due categorie tradizionali di pluralismo giuridico deve aggiungersi una nuova prospettiva, che vede il pluralismo come strumento capace di interpretare una società sempre più globale e multietnica, dove, a fianco alle tematiche tradizionali del pluralismo come la critica all'idea monista e l'esistenza di una pluralità di ordinamenti in uno stesso contesto, si apre la strada ad una serie di nuovi campi di studio. Nell'ultima parte del primo capitolo, focalizzerò l'attenzione sul filone di pensiero pluralista che pone al centro della sua analisi l'individuo (actor prospective). Questo indirizzo è segnato dal passaggio dall'alterità, costruita in termini statici su identità rigide e gruppi chiusi, alla complessità, che vede l'individuo calato in una rete di appartenenze sociali, per cui, l'alterità non è più concepita come qualche cosa di esterno al soggetto, dovuta alla sua appartenenza ad un gruppo chiuso, ma è insita nel soggetto stesso che diviene portatore di multiculturalità. Questo, dal punto di vista giuridico, si traduce nel riconoscimento di un ruolo attivo dell'individuo nella scelta delle norme da applicare nel caso concreto, e di conseguenza, nell'individuazione del diritto effettivamente seguito.

1.3 Pluralismo giuridico classico: colonizzazione come terreno d'indagine per l'antropologia

La colonizzazione offre un terreno d'indagine privilegiato per l'antropologia consentendo, tanto lo studio di società tradizionali, mettendo in luce l'esistenza di sistemi di norme prodotte da aggregati sociali, tanto lo studio della coesistenza di due sistemi normativi nello stesso territorio: quello tradizionale (chiamato anche primitivo) e quello coloniale (chiamato anche moderno). In questa fase il pluralismo giuridico si presenta come una realtà fattuale con la quale gli antropologi sono chiamati a confrontarsi; per l'elaborazione di modelli teorici compiuti di pluralismo giuridico si dovrà attendere gli anni Settanta questo perché, come si vedrà meglio nel proseguo, la corrente che domina le scienze sociali fino ai primi anni del Novecento è l'evoluzionismo unilaterale, inoltre, la nascita dei modelli pluralistici sorge dall'esigenza di interpretare la realtà giuridica nelle 'società moderne'.

Nonostante questo, il terreno coloniale rappresenta un momento importante per l'evoluzione degli studi antropologici sul pluralismo, offrendo la possibilità di sperimentare la metodologia della ricerca sul campo che fino a quel momento era estranea all'approccio delle scienze sociali.

Gli studi nell'ambiente coloniale possono essere suddivisi in due fasi: quella dominata dal paradigma evoluzionista, e la fase del suo superamento che rappresenterà l'essenza di quelli che saranno gli studi successivi sul pluralismo.

1.3.1 Il quadro giuridico dell'esperienza coloniale

Procediamo ad una rapida ricostruzione del quadro giuridico degli insediamento coloniali, con particolare riguardo alle colonie francesi, al fine di meglio comprendere il ruolo che l'antropologia ha svolto in questo periodo.

Se la finalità della colonizzazione è quella di instaurare un controllo di carattere economico su un certo territorio, il diritto costituisce uno strumento fondamentale nelle mani del potere, per imporre il proprio dominio. Presso i territori coloniali, gli amministratori si trovano a dover fare i conti con consuetudini locali ben radicate, difficili da spazzar via con una semplice opera d'imposizione del diritto 'moderno'. La mancanza, nei territori coloniali, di autorità centralizzate si riflette nell'esistenza, sul piano giuridico, di una situazione di pluralismo, da intendersi qui, come fenomeno fattuale consistente nella coesistenza, in uno stesso territorio, di più 'diritti', aventi la loro fonte in gruppi sociali differenti ad esempio nella comunità famigliare, nel clan, nella tribù. I colonizzatori si trovano, così, a dover fronteggiare un diritto connotato da una matrice culturale differente, difficile da ricondurre agli schemi giuspositivistici e statali. Questo porta gli Stati a ricercare delle soluzioni, di carattere giuridico, funzionali ad imporre il loro controllo sul territorio. Morse (43) ha elaborato una classificazione generale dei diversi modi in cui si può articolare il rapporto tra diritto autoctono e diritto del paese colonizzatore:

1) Separazione: i rapporti tra i due diritti possono avvenire solo per emigrazione o conflitto, è il caso dell'atteggiamento delle colonie britanniche in America settentrionale nel XVII secolo nei confronti di alcune nazioni indiane con cui avevano concluso un trattato.

2) Cooperazione: il colonizzatore determina delle arie di competenza tra i due diritti attraverso vari criteri ad esempio quello territoriale, ratione personae e ratione materiae.

3) Incorporazione: è uno stadio più elevato di assoggettamento del diritto autoctono; questo è incorporato in quello del colonizzatore in tutti i campi in cui non vi siano contraddizioni troppo evidenti (il diritto di famiglia generalmente non è incorporato); l'incorporazione può sfociare in uno snaturamento del diritto tradizionale come il caso delle colonie inglesi in Asia e Africa, nelle quali le autorità coloniali hanno fatto applicare il diritto autoctono da giurisdizioni da loro create. (44)

Come sottolinea Rouland, in Africa, nel periodo coloniale, quasi tutte le amministrazioni hanno scelto la via della cooperazione tra diritto autoctono e diritto del colonizzatore. L'amministrazione francese è ricorsa alla tecnica del riparto tra diritto moderno e autoctono sulla base dei criteri della ratione materiae e ratione personae. In realtà la posizione tra i due diritti non è paritaria, infatti, chiunque può rinunciare all'applicazione del diritto autoctono a favore di quello moderno ma la soluzione opposta non è contemplata. Interessante è la scelta del criterio dell'ordine pubblico coloniale; con questo si subordina il riconoscimento e l'applicabilità delle regole autoctone ad una valutazione di moralità che è quella del colonizzatore, così vengono vietate le mutilazioni e i castighi corporali previsti da norme tradizionali, a titolo di sanzione penale. (45) Al fine di conoscere e controllare il diritto autoctono si procede alla redazione di compilazioni concernenti le consuetudini locali. Questo, secondo Rouland, rappresenta il momento più elevato di acculturazione giuridica delle popolazioni autoctone. Infatti, attraverso l'opera di reinterpretazione delle consuetudini sono attribuiti nuovi significati giuridici ad antiche tradizioni, mantenendo, formalmente, la consuetudine intatta. Questa tecnica consente di superare le situazioni di conflitto tra due sistemi normativi in modo non violento, attraverso la rilettura delle norme autoctone in modo che esse siano più conformi ai valori del colonizzatore. Questo mostra come lo Stato coloniale risponda alla coesistenza di due sistemi normativi in un'ottica di progressiva assimilazione giuridica delle popolazioni locali e lo fa ricorrendo alla tecnica della compilazione e della codificazione già sperimentate in Europa. In quest'attività il ruolo degli etnologi è residuale; come nota Rouland, anche se questi sono impiegati formalmente in ministeri e uffici, la loro attività non viene utilizzata dalle amministrazioni locali al fine di procedere alla redazione di compilazioni e codici, alla quale presero parte, in modo attivo, prevalentemente giuristi.

Questo atteggiamento trova fondamento nella concezione che in questo periodo, in campo giuridico e sociale, si ha del rapporto con l'altro, da intendersi come l'altro esotico, etnico, il quale viene letto in un'ottica evoluzionistica. Secondo il paradigma evoluzionistico, che domina le scienze sociali per tutto l'Ottocento, le società si evolvono in maniera lineare perseguendo degli stadi ben precisi, per cui le società primitive (quelle colonizzate), non sono che lo stadio iniziale di un processo evolutivo che vede come punto di arrivo le società moderne. L'evoluzionismo unilaterale costituisce un elemento giustificante la colonizzazione, infatti, fondandosi su un'idea di continuità tra società 'primitive' e società 'civilizzate', attribuisce all'opera coloniale la valenza di strumento attraverso il quale accelerare questo processo storico: sottomettere i popoli primitivi significa civilizzarli. In questo contesto, il diritto positivo di stampo europeo, è visto come il punto di arrivo verso il quale tutte le società devono tendere, per cui l'abbandono del diritto tradizionale a favore del diritto positivo costituisce un elemento di civilizzazione.

1.3.2 Il passaggio dall'evoluzionismo al pluralismo come paradigma di analisi dell'antropologia: le implicazioni negli studi delle società tradizionali

L'evoluzionismo può essere definito come quella teoria secondo cui, tutti i gruppi umani attraversano stadi identici nello sviluppo delle loro forme di organizzazione economica, sociale e giuridica. (46) Questo paradigma si fonda su una visione etnocentrica poiché, il modello preso a riferimento come punto di arrivo del percorso evolutivo, è sempre e solo quello offerto dalle società occidentali, all'interno delle quali lo studioso si colloca.

L'evoluzionismo unilaterale, che costituirà il paradigma dominante delle scienze sociali fino alla metà del XIX secolo, considera le società umane come un insieme coerente e unitario, sottoposto a leggi di trasformazione globali e generali, che fanno passare tutte le società attraverso fasi identiche nel loro contenuto e nella loro successione. (47) Le società primitive rappresentano lo stadio originario di sviluppo attraverso il quale sono destinate a passare le società industriali. (48) L'evoluzione giuridica è rappresentata dal passaggio dal gruppo sociale allo Stato come fonte del diritto. Dato che la storia di ogni società umana è segnata da un percorso lineare e non mutabile, in questo periodo non ha senso parlare di pluralismo come modello teorico attraverso il quale leggere la realtà ma, al massimo, il pluralismo giuridico costituisce un carattere specifico delle società primitive che le distingue da quelle 'civilizzate', per cui in via di superamento. (49)

Come ho sottolineato precedentemente, l'oggetto di studio dell'antropologia è la cultura. Tale concetto, in questo periodo, assume una portata che risente del paradigma evoluzionistico, infatti, pur ammettendo l'esistenza di una pluralità di 'culture', si rimane fortemente ancorati all'idea di una fondamentale unità della cultura come processo complessivo di evoluzione dello spirito umano. (50) Esiste una sola idea di cultura a cui tendere: quella delle società occidentali, civilizzate. In quest'ottica le altre culture non hanno una propria autonomia ma s'inscrivono in un percorso che necessariamente le porterà a confluire nella cultura civilizzata. In questo contesto il pluralismo è un fenomeno diacronico in cui una forma nuova e superiore sopravanza e cancella quella inferiore. (51)

Prima di analizzare i risultati delle prime ricerche condotte in ambiante coloniale, è necessario fare un breve cenno alla corrente dell'evoluzionismo giuridico che domina il XIX secolo. Questo, utilizzando un'espressione di Negri, è il periodo dei 'costruttori di cattedrali', (52) si cerca, attraverso le leggi dell'evoluzionismo, di fare la storia comparata di tutte le società conosciute, esotiche ed occidentali, collegate dalla regolarità degli stessi meccanismi diacronici. (53) Il metodo utilizzato non è quello della ricerca sul campo ma la ricerca è documentarle, svolta presso le biblioteche sulla base delle indagini etnologiche condotte da altri autori. Il favore verso una ricerca di tipo documentarle si giustifica sulla base della visione che, in quest'epoca, si ha delle culture esotiche considerate come il momento originario di un continnum evolutivo, desinate a confluire in quelle occidentali, di conseguenza, la loro indagine presente risulta priva di interesse scientifico.

L'obbiettivo dell'evoluzionismo giuridico è ben rappresentato dalla prima grande opera di sintesi prodotta da questa corrente: Ethnologische Jurisprudenz di Post. L'obbiettivo dell'autore è di portata universale e consiste nello studio di tutti gli istituti giuridici di tutte le società umane al fine di dimostrare che il diritto è un fenomeno universale, per cui traducibile in una teoria unitaria. Quest'approccio determina generalizzazioni eccessive rispetto a diritto 'esotico' che verranno smentite dalla ricerca sul campo coloniale che mostrerà una realtà molto più variegata e complessa, segnando l'inesorabile declino di questa corrente (54).

Nonostante i limiti rappresentati dal paradigma dominate, il periodo coloniale costituisce l'inizio di una serie di studi che getteranno le basi per la futura elaborazione di modelli pluralisti. Il primo ad utilizzare nel 1901 il concetto di pluralismo giuridico è Van Vollenhoven (55) (1874-1933) fondatore dell'Adat Law School (56). Vollenhoven afferma che i sottogruppi associativi, inclusi in una società, secernono il proprio diritto. Questa intuizione sarà ripresa e confermata trent'anni più tardi dagli antropologi olandesi attraverso studi condotti presso le colonie indonesiane. Gli studi condotti sul territorio coloniale rilevano l'esistenza, presso le società indonesiane studiate, di distinti gruppi sociali e/o culturali che coesistono all'interno delle frontiere di un unico sistema politico ed economico. Benché l'appartenenza ad uno stesso sistema politico-economico li renda interdipendenti, i gruppi dimostrano di mantenere un certo grado di autonomia, soprattutto in alcune sfere della vita sociale, come quella familiare, ricreativa o religiosa, nelle quali i loro comportamenti si presentano anche molto differenziati. Gli studiosi non si soffermano sulle interazioni tra questi gruppi, questo perché il paradigma evoluzionista considera i gruppi sociali come unità culturali essenzialmente chiuse, per cui l'indagine dell'antropologo si esaurisce all'analisi del gruppo stesso. L'interazione tra i gruppi non è d'interesse scientifico dato che, nella visione evoluzionista, tutti i gruppi si evolvono seguendo identiche dinamiche.

Solo con il superamento del paradigma evoluzionista, le relazioni intercorrenti tra i gruppi presenti in una data società, divengono oggetto di studio antropologico. Tra le nuove correnti antropologiche, (57) che si affermano nei primi anni del Novecento e che determinano il definitivo superamento dell'evoluzionismo unilaterale, ricordiamo il relativismo culturale di Boas, (1858-1942) e il funzionalismo di Malinowski (1884-1942). Per il primo le società sono essenzialmente diverse poiché l'uomo eredita solo potenzialità genetiche il cui sviluppo dipende da un dato ambientale e sociale; (58) per il secondo la cultura è il mezzo attraverso il quale la singola comunità risponde ai bisogni naturali, la 'funzione' della cultura nel suo complesso è quella di soddisfare i bisogni che si presentano agli individui, perciò essa varia in relazione alle caratteristiche del nucleo sociale e del rapporto che esso intrattiene con l'ambiente. (59) Per queste nuove correnti, la cultura è un fenomeno sincronico, cioè si afferma l'idea che possano coesistere più culture diverse, ognuna dotata di tratti unici e differenziati; il pluralismo diviene il nuovo paradigma dell'antropologia.

Un altro aspetto di novità, apportato da queste correnti, è di tipo metodologico. La ricerca antropologica non si deve basare su documenti ma sul contatto diretto con l'oggetto di studio, la ricerca si svolge nel campo. (60) Malinowski introduce il metodo dell'osservazione partecipante, consistente in una partecipazione diretta e totale dello studioso alla vita della comunità indagata, fino ad acquisire il punto di vista dei nativi. Queste parole di Malinowski riassumono bene il nuovo senso che, per lui, deve avere la ricerca:

Studiare le istituzioni, i costumi e i codici o studiare il comportamento e la mentalità senza il desiderio soggettivo di provare di cosa vive questa gente, di rendersi conto della sostanza della loro felicità è, a mio avviso, perdere la più grande ricompensa che possiamo sperare di ottenere dallo studio dell'uomo. (61)

Il funzionalismo di Malinoski rappresenta, per le scienze sociali, una vera e prioria rivoluzione copernicana circa la modalità di costruzione della diversità esistente tra le società e presente in esse, infatti, il funzionalismo in antropologia "nasce dall'abbandono dei tentativi di spiegare le strutture sociali con la loro origine storica [Maine] e nella loro particolarità geografica ed epocale [Montesquieu], a favore di un tentativo di comprendere le funzioni che tali strutture svolgono a favore della società o di parti di essa [Malinowski]" (62). Questo in campo giuridico si traduce nell'esigenza di volgere lo sguardo verso le funzioni sottostanti agli istituiti giuridici, cioè ai bisogni sociali che essi soddisfano, questo porta a considerare il diritto come il prodotto di scelte che si rinvengono nella società e che sono influenzate dagli effettivi bisogni, credenze, usi che connotano ogni comunità umana e che la distinguono dalle altre.

Con queste nuove teorie, come quella di Boas e Malinowski, il concetto di cultura non è più qualche cosa di statico, immutabile ma diviene dinamico poiché questi autori pongono l'accento, anche se in modi diversi, sui risultati del contatto e dell'interazione tra i gruppi. Si abbandona l'idea evoluzionista che portava all'unità culturale; le società esprimono ciascuna una prioria cultura che la rende diversa dalle altre.

Il mutamento di prospettiva introdotto da queste nuove correnti determina, rispetto al contesto coloniale, un mutamento dell'oggetto d'indagine che non è più il gruppo culturale, inteso come unità chiusa, ma la più ampia società multietnica prodotto della colonizzazione. Gli studi si focalizzano sulle relazioni che s'instaurano tra i vari gruppi sociali. In questo senso sono da ricordare i lavori di Redfield, The Folk-Culture of Yucatan (1941) e Glukman, Analysis of Social Situation in Modrn Zululand (1958). Anche se non usano il termine pluralismo giuridico, le loro analisi sono fondate sulla teoria pluralistica presa nella sua accezione attuale, poiché considerano l'interazioni tra alcune comunità locali e l'ordine normativo superiore della società. (63)

L'opera che più di tutte rappresenta il mutamento di prospettiva e che apre la strada agli studi sul pluralismo giuridico attuale è Cheyenne Way (1941) di Llewellyn e Hoebel. Tale opera mette insieme prospettive differenti, quelle dell'antropologo Hoebel e quella del giurista Llewellyn e affronta questioni teorico-metodologiche, che costituiranno temi centrali del futuro dibattito antropologico. Le principali novità di tipo teorico-metodologico apportate da quest'opera, riguardano tanto l'approccio interdisciplinare, probabilmente influenzato dalla corrente del realismo che imperava in America negli anni Trenta, che il metodo d'indagine utilizzato, che influenzerà molti gli studi successivi: (64) il case-study. Questo metodo consente di rilevare l'esistenza del diritto anche in società prive di un potere politico centralizzato perché si focalizza sullo studio delle procedure di risoluzione dei conflitti. L'identificazione delle norme avviene attraverso la raccolta e la compilazione di singoli casi osservati direttamente o estratti dalla narrazione e da raffigurazioni simboliche, dai miti e dai riti, che costituiscono una fonte di primaria importanza nella metodologia antropologica. (65) Quello che gli autori cercano attraverso il case method approach è il diritto nel suo divenire. Il diritto emerge dal senso morale, dal senso di onestà e dallo stile di vita di un popolo. (66) Le pratiche, cioè gli atti posti in essere dai singoli e dai gruppi, divengono elementi essenziali per la comprensione del diritto, il quale, risulta essere strettamente legato al contesto sociale.

Con l'opera di Llewellyn e Hoebel, emerge un altro aspetto, che anche oggi connota il dibattito antropologico contemporaneo: il problema della definizione del concetto di diritto e quindi dei confini del campo d'indagine dell'antropologia giuridica. La posizione assunta da Hoebel rispetto alla definizione di diritto è emblematica di questa problematica:

Non tento di dare una definizione del diritto [...] Una definizione, infatti, contemporaneamente escute ed include. Demarca un ambito; inserisce qualcosa all'interno di esso ed esclude qualcos'altro: e l'esclusione è quasi sempre arbitraria. Io non desidero escludere nulla dall'ambito del giuridico (67).

Come ho mostrato in precedenza, uno degli aspetti caratterizzanti dell'antropologia giuridica è quello di aver elaborato delle nozioni molto ampie di diritto poiché, fondandosi sul presupposto dell'esistenza del diritto in ogni società, ha dovuto abbandonare i rigidi schemi definitori offerti dalla tradizione giuspositivistica che limitano il diritto all'atto espressione di un potere unitario, e ricercare una nozione di diritto che possa trovare impiego anche in società diverse da quella occidentale. A titolo esemplificativo ricordiamo la definizione di diritto data da Malinowski secondo il quale il diritto è dato da tutti quei meccanismi che garantiscono il controllo e l'ordine sociale, oppure la definizione di Pospisil secondo il quale una norma giuridica deve avere quattro requisiti: essere contenuta in una decisione formulata da un'autorità, prevedere come intenzione l'universale di applicazione ai casi simili, essere provvista di una sanzione e ingenerare un sentimento soggettivo di obbligo. Queste definizioni ampliano molto il concetto di diritto, in relazione alla prospettiva giuspositivistica, e rappresentano la base per il riconoscimento, all'interno delle società occidentali, dell'esistenza di diritti prodotti da gruppi sociali come le associazioni professionali, le comunità di stranieri, le fabbriche ecc. Ovviante questo ampliamento del 'campo giuridico' ha reso il confine tra ciò che è sociale e ciò che è giuridico, labile e sfumato, determinando un forte dibattito dottrinale concernete l'esigenza di marcare dei confini più rigidi tra ciò che è giuridico e ciò che non lo è (68). Non essendo questa la sede per una ricostruzione delle linee essenziali del dibattito, basti sottolineare che il problema di fondo, a mio avviso, discende dalla diversa prospettiva di analisi tra dottrina giuridica e antropologica; mentre la dottrina giuridica ha cercato di recepire i risultati degli studi antropologici all'interno dei canoni scientifico-giuridici ricercando una sistematicità teorica (69) volta, anche, a separare il campo del diritto da quello di altre discipline, l'antropologia studia le società in un'ottica più complessiva, nella quale il diritto non è che una delle varie forme di espressione dell'esistenza umana. L'antropologia non ha la finalità di scindere ciò è che giuridico da ciò che non lo è, ma semplicemente cerca di offrire degli strumenti che siano capaci di rendere intellegibili e comprensibili le società tra di loro, non a caso, come sottolinea Facchi, molti studi diantropologi del diritto, che riconducono le proprie ricerche sotto l'etichetta del pluralismo giuridico, sono arrivati a considerare irrilevante una definizione netta e generale di ciò che è o non è diritto, limitandosi a cercare nozioni con capacità operativa nei singoli ambiti di ricerca. (70)

Questo aspetto era ben noto al giurista Llewelly il quale, sostenitore di una giurisprudenza pratica e sperimentale e nemico del formalismo giuridico, vede il diritto come qualche cosa di integrato in ogni aspetto della società. Da questo punto di vista l'opera The Cheyenne Way rappresenta uno strumento con il quale, attraverso lo studio del 'mondo primitivo', si può offrire una lettura alternativa del 'mondo giuridico occidentale' e, in particolare, un'alternativa al pensiero giuridico formale (71). Emblematiche in tale senso sono le parole conclusive dell'opera The Cheyenne Way:

Ciò che lo stile giuridico dei Cheyenne rende accessibile agli americani [...] è la comprensione che in condizioni ideali, il mestiere o forse l'arte di conciliare la giustizia di lungo periodo, il diritto esistente e la giustizia del caso concreto, in modo ragionevolmente libero da passioni politiche devianti e da passioni personali, non è appannaggio del solo giudice professionista. Tale arte è presente anche altrove e per di più in modo diffuso. (72)

In queste parole traspare, così, uno degli aspetti più importanti che l'opera rileva e cioè, l'idea di un diritto che trova le sue radici nella società e che non è riducibile esclusivamente ad espressione dei poteri statali.

Se queste sono le tematiche teorico-metodologiche che, in modo pioneristico, l'opera mette in risalto, passiamo ad analizzare gli esiti della ricerca sul campo di Llewellyn e Hoebel, in modo da rilevare le peculiarità del modello pluralistico elaborato dai due autori.

Llewellyn e Hoebel mostrano la società di Cheyenne (73) come contenete un corpo di sottogruppi stratificati dotati ciascuno di diverse modalità di risoluzione delle controversie che danno luogo a distinti ordinamenti giuridici. Il soggetto appartiene contemporaneamente a più ordinamenti giuridici, la scelta della tecnica di risoluzione delle controversia da impiegare nel caso concreto, dipende dal livello in cui insorge la disputa. Se la controversia riguarda i membri di una famiglia, si ricorrerà a procedure di conciliazione che comportano la partecipazioni dei membri della famiglia interessata, ad esempio: in casi come la negligenza del marito nei suoi obblighi matrimoniali o gli abusive spouses, la famiglia (della moglie) arbitra il conflitto, regola il compromesso e stabilisce le punizioni (74). Se la controversia verte tra individui appartenenti a clan o tribù la decisione sarà adottata ad un livello superiore, da una istituzione politica che risponde ad una logica giuridica diversa (The Council of Fourty-four) e richiama differenti procedure e norme. (75)

In questo contesto, il pluralismo giuridico non rileva come modello teorico volto all'interpretazione della realtà, ma ha una valenza descrittiva della peculiarità giuridica della società dei Cheyenne. I due autori descrivono il sistema giuridico dei Cheyenne come armonico, fondato su una cooperazione sociale dominata da regole precise, dimostrando che il diritto e l'ordine possono esistere anche la di fuori delle società caratterizzate da un sistema di potere centralizzato. In questo caso il pluralismo è funzionale a mettere in risalto la fallibilità delle idee delle correnti giuridico-formalistiche, che pongano l'accento sul diritto statale come unico strumento capace di garantire l'ordine sociale, dimostrando che, anche un diritto di fonte sociale è capace di garantire armonia e cooperazione nelle relazioni sociali. Il fine esplicito dell'indagine culturale condotta, è quello di sottoporre l'idea occidentale del diritto alla revisione critica proveniente dalla comparazione con una cultura che prossimo definire tradizionale, (76) offrendo un banco di prova concreto per dimostrare la fondatezza della critica che il realismo giuridico muoveva alle teorie formalistiche.

Se la prospettiva dell'opera è quella di offrire una comparazione sistematica tra diritto moderno e tradizionale, funzionale ad avanzare una critica al formalismo giuridico, questa ne costituisce anche il più grande limite, infatti, Llewellyn e Hoebel considerano la società dei Chyenne come un nucleo chiuso e impermeabile rispetto all'ambiente esterno che nel caso specifico è costituito tanto dalla società americana che dal contatto con gli stessi ricercatori. Non si tiene conto del pluralismo che nasce dal contatto con la società occidentale americana, che ha determinato, per i Cheyenne, profondi mutamenti nelle strutture sociali e giuridiche. A questa critica se ne può aggiungere un'altra legata al metodo del case study il quale, guardando esclusivamente al momento del conflitto per rilevare l'esistenza del diritto, rischia di escludere dal panorama giuridico tutti i casi non litigati cioè le ipotesi di spontanea conformità alle regole. Come nota Nader, "le ipotesi di osservanza volontaria del diritto costruiscono, infatti, elementi di analisi di valore inestimabile, in quanto meglio capaci di offrire un immagine del diritto a tutto tondo" (77)

Per concludere: l'antropologia giuridica nasce dall'esigenza di ricercare, presso culture diverse, un corrispondente del concetto di diritto di 'tradizione occidentale', (78) prendendo coscienza dell'esistenza presso altri popoli di manifestazioni capaci di dirigere e indirizzare le condotte umane, anche se non espressi da un potere centralizzato. La ricerca di questo 'diritto' richiede di ricorrere a nuove metodologie che pongano lo studioso in un rapporto diretto con la società indagata, questo perché il diritto è visto come il prodotto sociale, di una certa comunità, per cui, in quest'ottica, il diritto statale diviene una delle possibili manifestazioni giuridiche esistenti.

Il grande merito di questa prima fase di studi sul pluralismo è l'allontanamento dal centralismo giuridico cioè, da quell'idea di accordare un'attenzione privilegiata allo Stato come fonte di produzione del diritto. (79) Questo tema sarà poi sviluppato negli studi condotti presso le società industriali, determinando il superamento dell'idea che l''ordine' sia il prodotto esclusivo di un movimento dall'alto verso il basso e dal centro alla periferia, cioè una conquista di coloro che detengono il potere. (80) Grazie all'elaborazione della teorie e della metodologia antropologica, i giuristi potranno porre la loro attenzione sul mondo sociale facendo emergere forme di giuridicità nascoste, che esistono oltre lo Stato, ridando voce alla società e alle sue richieste: "il pluralismo giuridico riscopre il potere sovversivo dei discorsi soppressi." (81)

1.4 Il pluralismo giuridico presso le società occidentali

Nel sistema giuridico-occidentale, nel quale prevale una concezione giuspositivista di diritto, la rottura del monismo giuridico e il riconoscimento della sussistenza di una pluralità di ordini giuridici capaci di produrre norme regolative delle istanze sociali, passa per una presa di coscienza dell'esistenza di una dimensione sociale del diritto. Sarà possibile avanzare le prime teorie pluraliste, una volta riscoperto il ruolo delle formazioni intermedie che, come abbiamo sottolineato precedentemente, lo Stato, al fine di garantire un controllo assoluto del potere, aveva superato a favore di un rapporto diretto con l'individuo.

La prima tappa per l'affermazione del pluralismo in campo giuridico è rappresentata dagli studi di sociologia, i quali hanno rilevato la matrice sociale del diritto, riscoprendo i gruppi come produttori di norme e avanzando così, una critica al modello monista. Questa critica si realizza anche nell'ambito della teoria generale del diritto attraverso le correnti antiformaliste, che troveranno, in Italia, la loro massima espressione nella teoria istituzionalista e pluralista di Romano. Negli anni Sessanta-Settanta l'antropologia, mutando l'oggetto d'indagine dalle società esotiche e lontane a quelle occidentali, offrirà nuovi modelli che risulteranno idonei all'interpretazione della realtà socio-giuridica occidentale.

1.4.1 Riscoperta della dimensione sociale del diritto e l'affermazione delle prime teorie pluraliste in sociologia e teoria generale presso le società industrializzate

L'idea che il diritto possa svilupparsi anche fuori dallo Stato si deve, come sottolineano molti autori, (82) alle teorie antiformalistiche di fine Ottocento inizio Novecento. Queste rappresentano il primo momento del riconoscimento degli enti intermedi tra cittadini e Stato, non solo come centri di socialità, ma anche di giuridicità.

Erlich, che da molti è considerato il padre della sociologia del diritto, (83) attraverso le sue tesi antistataliste e antiformaliste, ha gettato le basi per la costruzione di un modello pluralista che, oltre ad un ridimensionamento del ruolo dello Stato, comporta il riconoscimento di una serie di ordinamenti minori, prodotti degli aggregati sociali. (84) Erlich avanza la sua critica all'idea di un diritto riconducibile solo al dato legislativo, anche alla luce della sua esperienza personale. Provenendo da studi romanistici e vivendo in una regione dell'Impero Astro-Ungarico composta da ben nove gruppi etnici che convivevano in perfetta concordia tra di loro, afferma la non auspicabilità di un diritto unico dell'Impero, in quanto, secondo l'autore, nei rapporti giuridici quotidiani avrebbero trovato applicazione regole giuridiche completamente diverse da quelle codificate, le quali, avrebbero fatto capo ai gruppi sociali che coesistano all'interno dell'Impero. Secondo Erlich "anche nel tempo presente, come in ogni altra epoca, il centro di gravità dello sviluppo del diritto non si trova nella legislazione, né nella scienza giuridica, né nella giurisprudenza, ma nella società stessa." (85) Nella teoria del diritto 'incrementale' di Erlich, si rinviene la centralità del gruppo sociale sia come origine sia come fonte del diritto. Nel corso dei suoi studi l'autore mostra la larga corrispondenza tra ordinamento giuridico e ordinamento sociale, rilevando come le comunità e i gruppi che compongono la società moderna, come la famiglia, il gruppo parentale e i comuni, "siano la vera e propria fucina della formazione del diritto". (86)

Questo rappresenta un mutamento di prospettiva rispetto alle tesi positivistiche, soprattutto quelle di origine kelseniana, nelle quali il diritto trova la sua legittimazione esclusiva nella decisione del legislatore, dove esso è funzionale a rendere possibili future decisioni.

Il contributo di Erlich, non si arresta solo nel riconoscimento dell'esistenza del diritto al di fuori dello Stato ma, come nota Rouland, con Erlich si riconosce l'esistenza di un pluralismo giuridico di tipo orizzontale. Per Erlich, la società non è la somma dei singoli individui ma delle associazioni che li raggruppano e ciascun individuo obbedisce prevalentemente all'ordine giuridico interno della comunità alla quale appartiene, (87) questo significa che, il pluralismo è un fenomeno sincronico, che vede la coesistenza, in uno stesso territorio, di ordini giuridici diversi, (88) ai quali ciascun individuo è sottoposto.

Per quanto riguarda l'esistenza di un diritto al di fuori dello Stato, sulla stessa linea di Erlich possiamo annoverare altri autori come Gény (89), Deguit (90) e Gurvitch. Secondo quest'ultimo: "L'Etat est comme un petit lac profond, perdu dans l'immense mer du droit qui l'entoure de tous còtes." (91) Questo mare è rappresentato da una molteplicità di 'fatti normativi' generata da diverse forme associative, che si contrappongono al diritto dello Stato. Gurvitch è l'autore che ha introdotto, nella teoria del diritto francese, il concetto di pluralismo giuridico. Secondo l'autore esistono tre grandi tipi di diritto, la cui gerarchia varia in relazione al tipo di società:

//Diritto statale: il quale ha la pretesa di monopolizzare la vita giuridica;

//Diritto interindividuale o inergruppale: questa forma di diritto unisce tra di loro individui e gruppi (ad esempio per mezzo di un contratto). Questo tipo di diritto corrisponde ad una forma di socialità che si basa su scambi bilaterali tra individui o gruppi;

//Diritto sociale: deriva da una forma di socialità dove più individui si uniscono per formare un'entità collettiva (92).

Lo Stato è chiamato a mettere ordine negli scambi tra individui e gruppi perciò, lo sviluppo del diritto statale, dipende dal diritto prodotto nella società. (93)

In Italia, l'autore al quale si deve il primo contributo alla formulazione di un modello pluralistico all'interno della teoria generale del diritto, è Santi Romano. (94) Come sostiene Bobbio, (95) Romano, nella sua principale opera L'ordinamento giuridico, formalizza due distinte teorie: quella istituzionalista e quella pluralista. La prima si risolve in una critica al normativismo di stampo giuspositivistico, la seconda al monismo. (96)

Con la sua teoria istituzionalista Romano riscopre la dimensione sociale del diritto; "un ordinamento non si risolve solo in norme. Il diritto è anche norma, ma oltre che norma, e spesso prima di essere norma, è organizzazione e corpo sociale". (97) Il diritto è istituzione, per cui non si risolve esclusivamente nella legge promanata dal potere statale ma, trova il suo fondamento nella società, da intendersi come organizzazione distinta dai singoli individui e nella quale, il diritto sorge dall'esigenza di regolare la complessità dei rapporti che s'instaurano tra di essi. Ubi societas ibi ius, ogni organizzazione è capace di produrre proprie norme e di cerare un proprio ordinamento. (98)

Partendo da questa nozione di diritto, Romano elabora la teoria del pluralismo giuridico. Dato che ciascun'organizzazione ha un proprio diritto, il diritto può esistere al di fuori dello Stato e vi possono essere ordinamenti non statali come la Chiesa, il diritto internazionale, i centri ricreativi, la scuola, le istituzioni illecite. Ognuna di queste organizzazioni sociali è dotata di un 'regolamento interno', di cui lo Stato non si occupa, se non quando non vi sia un ricorso alla giustizia statale da parte di un membro che reputi una misura disciplinare interna lesiva dei propri interessi; questo significa che l'ordinamento giuridico di questi gruppi, è regolato da quello statale solo per una certa parte, restando autonomo per il resto. Secondo Romano un'organizzazione è giuridica in quanto dotata di un proprio ordine effettivo, negarne la giuridicità costituisce un apprezzamento di carattere etico; in quest'ottica la distinzione tra lecito e illecito mostra tutta la sua relatività, fondandosi su una visione stato-centrica del concetto di diritto. Il grande merito di Romano è di aver riconosciuto la giuridicità anche nelle manifestazioni di organizzazioni operanti fuori dallo Stato, e in alcuni casi da esso non riconosciute, mostrando un panorama giuridico complesso e variegato. Il limite di questa teoria si rinviene nella centralità che è, comunque, riconosciuta all'ordinamento statale. (99)

La nascita di questa teoria nei primi del Novecento è legata all'esigenza di trovare una risposta a quei fenomeni sociali che si stavano perpetuando e che costituivano la prova evidente della non totale corrispondenza tra Stato e società. In questo periodo si assiste all'ascesa dei gruppi acquisitivi, figli del capitalismo industriale, la cui massima espressione è rappresentata dai sindacati, i quali si organizzarono, attraverso strutture autonome, al fine di promuovere, di fronte allo Stato, gli interessi delle classi lavoratrici che non avevano ancora trovato un riconoscimento a livello legislativo. Questo fenomeno mette in luce una complessità sociale che rompe in modo devastante il mito dello Stato come modello 'perfetto' di gestione della società, il fenomeno del mutamento sociale diviene una variabile decisiva per la comprensione del mondo, (100) anche quello giuridico. A fronte di tutti questi mutamenti sociali dovuti all'affermazione di un'economia capitalistico-industriale, lo Stato moderno, secondo Romano, inizia a presentare elementi di disfunzionamento; (101) la concezione del cittadino-individuo come unico soggetto di fronte allo Stato è insufficiente per l'analisi giuridica, essendo una costruzione eccessivamente semplice. Romano mette in luce come la vita sociale degli individui non sia riconducibile esclusivamente al rapporto tra Stato e individuo, ma la sua vera essenza si rinviene in tutte le relazioni che s'instaurano tra le organizzazioni alle quali il soggetto partecipa. (102) Romano dopo aver riconosciuto che lo Stato non è l'unica fonte di produzione normativa, sottolinea l'importanza delle relazioni che si insatura tra i vari ordinamenti, non è un caso che la seconda parte della sua opera s'intitoli La pluralità degli ordinamenti giuridici e le loro relazioni rappresentando, un invito rivolto alla dottrina giuridica, a non limitare l'analisi al solo livello statale ma a tenere conto di un panorama molto più complesso, fatto di relazioni (di coesistenza, indifferenza e respingimento) tra Stato e le altre istituzioni che compongono il panorama sociale.

Questa teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici, elaborata nell'abito della teoria generale del diritto, ha il grande merito di offrire un nuovo occhiale attraverso il quale il giurista è chiamato ad interpretare la realtà, che si presenta molto più complessa di quella che si fonda sull'idea dello Stato come unico soggetto regolatore di tutti i fenomeni sociali. (103)

Un'applicazione di questo strumento teorico, è offerta da Grossi, il quale utilizza la teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici per mostrare come l'esperienza giuridica medioevale si risolva all'insegna della pluralità di ordinamenti, dove la produzione giuridica è lasciata alle forze dell'esperienza e dove il diritto si presenta congeniale alle istanze delle varie forze sociali, non imbrigliato nella forma legislativa, ma libero di esprimesi attraverso la dottrina e soprattutto la consuetudine. Quest'approccio metodologico ci consente di inquadrare il fenomeno giuridico medioevale ricorrendo a strumenti teorici propri della nostra tradizione giuridica, garantendo un continuum nella trattazione dell'argomento e dimostrando come il monismo giuridico non sia comune a tutte le società ma il prodotto della modernità. Anche in Francia l'analisi e lo studio dell'esperienza medievale è stata utilizzata da Gurvicth per dimostrare 'l'artificio giuridico della modernità', rappresentato, per l'autore, dalla concezione monistica del diritto. Gurvicth si serve della storia del diritto per dimostrare come il principio del monismo giuridico non trovi riscontro in tutte le società. Secondo l'autore, se la monarchia assoluta e la centralizzazione napoleonica hanno costruito una finzione unitaria attraverso il razionalismo delle codificazioni, l'esperienza medioevale, dominata dal pluralismo, costituirebbe una prova di come questo 'artificio' unitario non appartenga a tutte le società, di conseguenza, nel XX secolo, l'osservazione dei fenomeni giuridici, dovrebbe ricondurre alla riscoperta del pluralismo. (104)

Concludendo, il metodo teorico di Romano ci consente di dar luogo ad una rilettura della realtà medioevale dalla quale emerge l'esistenza di una dimensione giuridica pluralistica. Questa dimensione sarà superata con l'avvento dello Stato poiché, il monismo giuridico, e cioè l'idea che il diritto sia esclusivamente quello espresso e riconosciuto dallo Stato, rappresenta uno dei caratteri indispensabili per la realizzazione del progetto di accentramento del potere nello Stato moderno. Alcune delle espressioni normative prodotte dalle comunità intermedie saranno recepite dallo Stato nella forma di compilazioni prima e codici dopo, facendole rientrare così all'intano del diritto ufficiale, altre manifestazioni saranno tollerate e altre ancora represse (basti pensare agli scontri con il potere ecclesiastico). Il moderno, infatti, affidando allo Stato il potere monopolistico di filtrare, controllare e concedere il crisma della giuridicità unicamente in corrispondenza al progetto statale e ai suoi modelli, rilega nell'ambito del non giuridico una serie di espressioni normative che si formano in ambito sociale e che continuano ad esistere ed a regolare la vita dei consociati. Come abbiamo sottolineato precedentemente, sarà proprio l'esigenza di colmare questa cecità del modello monista-giuspositivista rispetto alla dimensione sociale del diritto, a condurre la dottrina verso l'elaborazione di un modello pluralista, capace di offrire un nuovo parametro di lettura della giuridicità, estendendola oltre i confini dello Stato. Una volta riconosciuta la 'dimensione sociale del diritto', il passo successivo è quello di interrogarsi sugli strumenti idonei a rilevarla, e in questo, un ruolo fondamentale è ricoperto dall'antropologia, che, in quanto disciplina giovane e non dominata dagli eccessi formalistici tipici della teoria del diritto, ha saputo elaborare una serie di modelli funzionali all'analisi dei vari contesti sociali, consentendo di rilevare tutti quegli ordini o ordinamenti capaci di produrre norme vincolanti per i loro appartenenti. Infatti, i primi studi sul pluralismo giuridico di matrice antropologica presso le società occidentali, si caratterizzano per l'elaborazione di modelli oggettivi volti a favorire l'analisi dei vari contesti sociali capaci di produrre norme, come nel caso dei modelli proposti di Pospisl e Moore. Le correnti successive del pluralismo, invece, si incentreranno sull'actor prospective. Queste teorie partano dal presupposto che l'individuo, in quanto calato in una dimensione 'pluriordinamentale', è chiamato ad operare continue scelte tra norme che rinvengono la loro fonte in una pluralità di ordini diversi. Come vedremo in seguito, quest'ultima prospettiva sta avendo un certo successo come strumento di analisi delle società multiculturali.

1.4.2 Il periodo dell'elaborazione di modelli teorici di pluralismo giuridico presso le società industriali

A partire dagli anni Settanta-Ottanta gli studi sul pluralismo giuridico di matrice antropologica si concentrano sulle società industrializzate. Il modello di pluralismo, che si era andato costruendo nel tempo grazie ai contributi di antropologi e sociologi, risulta utile alla lettura delle società moderne che, per effetto di una serie di fenomeni e mutamenti socio-culturali come la crisi dello Stato e la coesistenza di gruppi sociali diversi, necessita di nuovi strumenti teorici capaci di interpretare una realtà sempre più complessa. Il ricorso, da parte del mondo giuridico accademico, al concetto di pluralismo giuridico, si giustifica nell'incapacità delle teorie giuspositivistiche, che costruiscono il diritto come un'entità astratta dalla società, a rispondere ai mutamenti sociali. A partire dagli anni Sessanta in America e poi in Europa si assiste ad una serie di fenomeni, come le lotte per l'emancipazione femminile e dei neri d'America, il boom economico, il riconoscimento delle minoranze etniche, che, in modo dirompente, mostrano l'esistenza di una società diversificata e complessa, per la quale la formulazione di un diritto monista e astratto, di tradizione giuspusitivista, non sembra più capace di dare una lettura convincente. Se per molto tempo il diritto è stato considerato come qualche cosa di separabile dalla realtà sociale e riducibile alla legge, le nuove vicende storiche mostrano il contrario cioè, come esso sia legato alla realtà sociale, e chiamato a dare delle risposte ad essa. Si assiste, così, ad una nuova fase del pluralismo giuridico, che si connota per la recezione di questo concetto all'interno della disciplina giuridica. Come sostiene Roberts il pluralismo giuridico è l'espressione con la quale i giuristi hanno definito la loro attività, delineando i confini di una sotto-disciplina del mondo accademico e identificando una nuova area del mondo sociale più ampia per le loro attività professionali. (105) Il pluralismo giuridico è una creatura della scuola giuridica, (106) è un modo legalistico di guardare al mondo sociale, (107) è quello strumento attraverso il quale trasporre il pluralismo della realtà sociale all'interno del mondo accademico e giuridico, (108) ricorrendo all'elaborazione di modelli teorici volti ad offrire ai giuristi strumenti con i quali rileggere la realtà sociale e ridare nuovi confini al diritto. Il vantaggio di questi modelli è di offrire delle categorie astratte, idonea a comprendere, classificare e comparare una serie di fenomeni, restituendo un'organicità alla trasposizione della lettura sociale in un contesto giuridico. Tra i modelli teorici che hanno avuto un forte successo nel mondo accademico, ricordiamo quello di Pospisil e Moore, che, con i loro limiti, hanno saputo offrire ai giuristi una nuova lente attraverso la quale rileggere la società.

1.4.2.1 La teoria dei livelli giuridici di Pospisil

Pospisil celebre giurista e antropologo del diritto, nato a Olomouc in Cecoslovacchia, ha studiato diritto all'università di Praga, rimanendo impressionato dalla logica sistematica del diritto romano. Trasferitosi negli Stati Uniti, ha potuto rivedere la sua originaria impostazione legalistica, studiando sociologia all'università e conseguendo un master in antropologia. Terminata, nel 1952, la sua formazione sui libri, egli inizia a studiare società diverse, compiendo studi sul campo. A seguito di una seri di studi condotti, per circa venti anni sul campo, presso varie comunità come gli indiani Hopi in Arizona, i Kapauku Papuans della Nuova Guinea, i Nunamiut Eskimo in Alaska e le popolazioni del Tirolo in Austria, redige il secondo manuale di antropologia giuridica, Anthropology of Law, A Comparative Theory (1971), il quale come sostiene Motta (109) comincia là dove terminava il primo manuale The Law of The Primitive Man di Hoebel. Il manuale di Pospisil offre una teoria sistematica del pluralismo giuridico, che diviene uno strumento utilizzabile ai fini interpretativi della realtà, adattabile non solo all'analisi delle società esotiche o tradizionali ma anche alla società moderna.

Attraverso la sua teoria dei 'livelli giuridici', Pospisil mostra come ciascuna società sia costituita da un insieme di sottogruppi ordinati gerarchicamente, ciascuno dei quali possiede un proprio sistema giuridico. Questa struttura consente di suddividere la società in livelli giuridici, ogni livello giuridico è formato dalla somma dei sistemi giuridici dei sottogruppi di uno stesso tipo che possiedono un medesimo grado d'integrazione. L'integrazione è la capacità di un gruppo di comprenderne altri al proprio interno, a titolo di esempio formano diversi livelli giuridici i gruppi corrispondenti alle famiglie nucleari, al lignaggio, alle comunità di villaggio e alla nazione. Il grado d'integrazione funge da criterio ordinatorio determinando una gerarchia tra i vari livelli, mostrando come la suddivisione della società in sottogruppi non sia un fenomeno disordinato. Come nota Rouland, ricorrendo al sistema dei livelli giuridici non c'è differenza qualitativa ma soltanto gerarchica tra il diritto statale e ad esempio il diritto di un'associazione mafiosa o di una famiglia. (110)

Ciascun individuo appartiene a più sottogruppi, per cui, è soggetto a sistemi giuridici diversi, i quali, in alcuni casi, posso presentarsi in contraddizione tanto in senso orizzontale che verticale. In questa ipotesi il soggetto risolverà tale contraddizione attraverso la scelta del livello giuridico nel quale preferisce situarsi (ad esempio un mafioso potrà acquistare valori mobiliari secondo il diritto statuale e liquidarli seguendo il codice dell'Onorata Società). (111) Per maglio comprendere la teoria di Pospisil ricorriamo ad una esemplificazione proposta dalla stesso autore e riguardante la società dei Nunamiut (112). I Numamiut conoscono quattro livelli giuridici: la tribù, le frazioni di tribù, le famiglie allargate e le famiglie ristrette nucleari o poligamiche. Per l'autore, le relazioni tra tribù non appartengono al campo del diritto ma, del fatto, per cui, sono regolate dalla guerra, dalla vendetta e da accordi di cooperazione. Il diritto comincia con le tribù, ed è rappresentabile attraverso una gerarchia di livelli giuridici a ciascuno dei quali corrisponde un diverso sistema di regole e sanzioni. Ad esempio i litigi relativi al matrimonio e l'educazione dei figli sono regolati a livello di famiglia ristretta, quelli relativi a infrazioni di carattere economico (es. furto) sono regolati ai livelli superiori, quelli relativi ad omicidi sono regolati dai capi tribù. (113)

Attraverso questo modello si ricollega il diritto alla società, spostando l'attenzione sui sottogruppi che la compongono e che sono considerati come fonti di diritto. Nel campo interno alla tradizione giuridica occidentale, la costruzione di Pospisil è utile per far emergere aspetti non tenuti in conto dalla rappresentazione tradizionale del diritto, come i giudizi d'illegalità (di una regolamentazione a livello familiare, per esempio) o di criminalità (dell'organizzazione mafiosa, per esempio) (114). Questa teoria, infatti, ha il merito di rilevare l'esistenza del diritto in diversi 'livelli giuridici', situandolo in punti diversi del sociale, superando l'idea positivista di un diritto di esclusiva produzione statale. (115) Il limite di questo modello è di aver posto il rapporto tra questi livelli in termini esclusivamente verticale, attribuendo una collocazione privilegiata al diritto statale.

1.4.2.2 La teoria dei campi sociali semi-autonomi di Moore

Per Moore il diritto è uno strumento d'ingegneria sociale che, da una parte influenza la società e dall'altra, è il riflesso di una certa cultura, per cui, è influenzato da essa. Il diritto va considerato come un aggregato complesso di diverse componenti politiche e culturali, tra cui principi, norme, idee, regole, ma anche pratiche, usi e attività delle agencies di legislazione, amministrazione, giudizio ed esecuzione. (116)

Sulla base di questa premessa passiamo all'analisi del modello proposta dall'autrice nel suo famoso articolo Law and social change: The Semi-autonomous Social Field as an Appropriate Subject of Studies pubblicato nel 1973.

Moore ha elaborato il suo modello a seguito di due inchieste realizzate in ambienti socio-culturali molto diversi: nell'ambiente industriale del prêt-à-porter femminile di New York e presso i Chiaggia della Tanzania.

Dallo studio dell'ambiente newyorkese dell'alta moda, emerge una discrasia tra legislazione statale ed esigenze economiche del settore. Mentre il campo del prêt-à-porter si caratterizza per una domanda variabile che è influenzata dall'andamento delle mode, per cui necessitata di regole e norme altamente flessibili, il diritto statale in materia richiede una pianificazione contrattuale vincolata da obblighi di legge, presentandosi eccessivamente rigido e oneroso in relazione alle esigenza del settore. Questo gap giuridico viene colmato attraverso una serie di regole, prassi e consuetudini che si realizzano all'interno del campo dell'alta moda (social field), e che in alcuni casi si presentano anche in contrasto con il diritto statale ma che sono egualmente seguite, infatti, anche se la violazione delle norma contrattuali può essere fatta valere attraverso ricorso alla Corte, i titolari del diritto di azione non lo esercitano, poiché, questo mancato esercizio è ricompensato attraverso un sistema di favori e di relazioni sociali di tipo amichevole ed informale.

Il secondo studio condotto dall'autrice riguarda una società tradizionale: i Chiaggia del monte Kilimangaro. Questi hanno conosciuto un mutamento economico e sociale profondo a seguito dell'introduzione del comunismo che ha prodotto una pianificazione economica, imponendo l'abolizione della proprietà e profondi mutamenti negli assetti economico-amministrativi. Nonostante questo, i mutamenti introdotti dal diritto statale hanno, per questa tribù, operato solo in modo superficiale, con il risultato che il diritto tradizionale ha continuato a regolare la distribuzione e la gestione delle risorse.

In entrambi i casi il diritto statale, mostra la sua incapacità a regolare in modo assoluto tutte le relazioni sociali, infatti, nei casi proposti dalla Moore, i comportamenti dei soggetti sono regolati da tre tipi di norme: legali, previste e sanzionate dallo Stato, non legali, non provenienti dallo Stato, e illegali contrarie alle prescrizioni statali. La peculiarità delle ultime due si rinviene nella fonte che non è lo Stato ma il campo sociale. Partendo da questi dati Moore elabora il suo modello, nel quale sostituisce il concetto di livelli proposto da Pospisil, con quello di campo sociale semiautonomo. Il campo sociale semiautonomo è definito, non attraverso il suo tipo di organizzazione (può essere o non essere un'associazione), ma attraverso un carattere di tipo processuale e cioè mediante il fatto che esso possa dar vita a norme e assicurare, mediante la forza o l'incitamento, la loro applicazione; per cui, il campo sociale semiautonomo, è lo spazio nel quale un certo numero di associazioni sono in relazione le una con le altre. Essendo il campo soggetto a vincoli esterni, Moore utilizza il termine semiautonomi, poiché ciascun campo non è autonomo e impermeabile verso l'esterno ma subisce delle influenze, così, in una società statale, anche se il diritto statale non esclude altri diritti, esercita su essi un vincolo (117) (es: se un mafioso intende eliminare un rivale nel farlo sarà tenuto a prendere delle precauzioni per evitare l'arresto da parte della polizia). Come mette in luce Rouland il modello pluralistico presentato dalla Moore è di tipo orizzontale dato che pone l'accento sulle influenze e pressioni che i campi esercitano tanto all'interno che all'esterno. Questo modello, come sottolinea Griffihs, ha il vantaggio di mostrare come l'individuo non sia soggetto solo al diritto statale ma anche regole prodotte da questi campi, (118) per cui la sua condotta risente tanto delle prescrizioni provenienti dal livello statale, che delle regole, giuridiche o non, emanate da entità multiple e coordinate in campi sociali semi-autonomi (119). Il merito di questa teoria è di aver identificato il campo sociale in termini di 'semi-autonomia' per "il fatto che può generare interamente norme, costumi, ma [...] è anche vulnerabile alle norme, alle decisioni e alle altre forze che provengono dal mondo più ampio che lo circonda." (120) Questa interrelazione tra i campi sociali da vita a quello che Moore chiama law as process (121) aprendo la strada a quelli che saranno i futuri studi sull'internormatività, che porranno l'individuo all'interno di una rete di diritti, in uno spazio giuridico che non è più chiuso e delineato ma, come vedremo in seguito, aperto e poroso.

Per concludere: Come ho mostrato precedentemente, all'interno della teoria generale del diritto, a partire dai primi del Novecento, le correnti antiformalistiche hanno avanzato una critica all'idea monista giuspisitivista di diritto, ponendo l'accento sull'esistenza di un diritto di fonte sociale. Queste tesi trovano riscontro negli studi antropologici condotti in territorio coloniali che hanno avuto il grande merito di posare lo sguardo sulla società come fonte e motore della giuridicità, riconoscendo l'esistenza fattuale del fenomeno pluralista. Affinché l'esperienza pluralista, emersa a livello coloniale, possa fornire un reale apporto all'interno della dottrina giuridica, si è dovuto attendere l'elaborazione dei modelli teorici di pluralismo giuridico, come quelliproposti da Pospisil e da Moore che rappresentano una sistematizzazione teorica dell'idea pluralista emersa in ambiente coloniale. Infatti, uno dei grandi ostacoli che il 'punto di vista antropologico' ha incontrato nel penetrare nel contesto giuridico, si rinviene nella concezione che i giuristi hanno della propria materia considerata come distaccata e autonoma dagli altri campi disciplinari, tanto che, per molto tempo, per i giuristi, è stato sufficiente considerare il diritto come un prodotto del potere, senza interrogarsi sulle ragioni sociali della sua costruzione. Una volta che l'antropologia ha posto l'accento sull'esistenza di sottogruppi come fonte di produzione normativa e sulla cultura come connotato caratteristico di ogni società capace di distinguerla dalla altre, la necessaria implicazione a livello giuridico è stata quella di ricercare dei modelli che fossero capaci, in modo sistematico, di tradurre la frammentazione sociale e culturale in un discorso giuridico. I modelli teorici della Moore e di Posipil, hanno il vantaggio di offrire degli strumenti astratti di lettura della realtà, come una sorta di ponte tra il mondo giuridico, connotato da schemi astratti e rigidi ereditati dal pensiero positivo che domina le scienze sociali, e il metodo etnografico tipico dell'antropologia, aprendo la strada, all'interno del mondo giuridico, alla visione di altre discipline.

Dal punto di vista dei contenuti i due modelli presentano delle differenze. Il modello di Pospisil propone una visione pluralistica verticale che si connota per una gerarchizzazione della molteplicità dei sistemi e sottosistemi di norme, (122) attribuendo al livello statale una posizione privilegiata. Il modello di Moore, introduce alcuni elementi di novità, infatti, raffigura gli individui, i gruppi e sottogruppo come soggetti a diversi ordinamenti in una prospettiva di pluralismo orizzontale; (123) in questo caso, la condotta del singolo è influenzata da norme provenienti da campi diversi, dove l'ordinamento statale non è che uno dei contesti capaci di influire sulla costruzione del diritto che troverà effettiva applicazione, il tutto in una nuova prospettiva quella del Law as process. Il diritto non è più visto come il prodotto della scelta statale ma come l'effetto delle interazioni normative che si realizzano all'interno dei campi sociali semi-autonomi, contendo il germe di quella che sarà l'evoluzione dei modelli di pluralismo giuridico fino all'interlagalità.

1.5 Il pluralismo giuridico nell'età post-moderna

Prima di affrontare i nuovi indirizzi che connotano il pluralismo giuridico è opportuno ricostruire sinteticamente il contesto socio-politico che caratterizza l'età contemporanea, questo al fine di avere un quadro completo per la comprensione dei nuovi modelli elaborati.

La società contemporanea si caratterizza per una crisi profonda del modello "moderno-occidentale" che si è affermato dopo la pace di Westfalia e che si è caratterizzato per un protagonismo indiscusso degli Stati-nazione. "Il modello Westfeliano presuppone l'esistenza di un'autorità politica dominante e unificata, dotata di potere supremo su una porzione di territorio chiaramente delimitata". (124) Lo Stato moderno si costruisce come entità di valori unificati e unici, spazza via ogni particolarismo per attribuire una dimensione universale al diritto, tanto attraverso un monismo assoluto, che troverà affermazione nelle correnti giuspositivistiche, che attraverso una visione universale, costruendolo su valori assoluti, perpetuabili attraverso un individuo astratto ed eguale. Questo modello, però, sarà chiamato a fare i conti con una società complessa, diversificata, particolare, fatta non solo di individui ma anche di gruppi.

Oggi, nell'era della globalizzazione, (125) la crisi di questo modello è dovuta ad una serie di fenomeni, che hanno creato una nuova dimensione spazio-temporale. (126) Tra questi possiamo annoverare: le nuove scoperte tecnologiche, soprattutto applicate ai mezzi di comunicazione, la nascita di un mercato globale e il pluralismo sociale. Le prime hanno avuto il grande merito di ridurre le distanze geografiche, favorendo contatti continui tra soggetti geograficamente e culturalmente lontani; internet ha rivoluzionato, non solo il contesto economico consentendo un numero di scambi commerciali elevatissimi ma, anche, quello sociale e relazionale, grazie alla possibilità di trasmissione di informazioni e dati in modo rapido. Il mercato globale, incide sulla crisi dello Stato richiedendo un adeguamento delle sue strutture socio-politiche alle esigenze dell'internazionalizzazione dei mercati, (127) tanto che, secondo alcuni autori, è divenuto il nuovo centro di potere decisionale, il nuovo motore dell'assetto socio-politico post-moderno. Se a livello globale assistiamo alla creazione di uno spazio comune, di una cultura di massa, per converso, a livello locale, assistiamo all'emersione di una serie di pluralismi socio-culturali, che portano alla creazione di una dimensione nazionale e locale socialmente variegata.

Brighenti ci offre un tentativo di ricostruzione di questa 'costellazione sociale' che connota lo spazio nazionale e locale. Secondo l'autore abbiamo:

  1. minoranze nazionali, a volte persistenti all'istituzione statale, a volte concorrenti a crearla (coloni);
  2. comunità di immigrati, che si distinguono dai coloni per il fatto di essere giunti dopo che l'istituzione statale è stata definita;
  3. un insieme eterogeneo di diversità che si originano nel corso della storia sociale della Stato: i soggetti emersi dai movimenti sociali degli anni Sessanta, che includono il femminismo, il movimento di presa dei coscienza dei neri in America, gli stili di vita omosessuali, i nuovi localismi creati dalla globalizzazione, come le sottoculture, che si sviluppano nelle aree urbane, e le controculture, che configurano stili di vita completamente 'altri' e inammissibili al paradigma sociale;
  4. gruppi religiosi. (128)

Da questo si evince che il mondo contemporaneo si connota per la coesistenza di due dimensioni apparentemente contrapposte: quella della globalizzazione, con una costruzione di spazi globali che connotono ambiti che vanno dal giuridico (129) alla cultura, (130) e quella locale, che si caratterizza per un ritorno a rivendicazioni particolari, di appartenenza a gruppi. Come sostiene Benhabib, oggi si assiste alla convivenza tra gli universalismi, inaugurati con la dichiarazione americana e francese e l'emersione di particolarismi nazionali, etnici, razziali, sessuali; l'integrazione globale procede di pari passo con la frammentazione socio-culturale, si parla oggi di 'lotte per il riconoscimento', 'movimenti per l'identità/differenze', 'movimenti per i diritti culturali e la cittadinanza culturale'. (131)

Dalle rovine della società moderna e delle sue istituzioni sorgono, da un lato, circuiti globali di produzione, consumo e comunicazione e, dall'altro, un ritorno alla comunità. (132) Questo porta ad interrogarsi sull'esigenza di ricercare nuove strutture socio-politiche che siano capaci di farsi interpreti di questo nuovo panorama, poiché, come sostiene Benhabib, lo Stato-nazione è troppo piccolo per affrontare i problemi creati da questo 'nuovo ambiente', basti pensare ai problemi ecologici, epidemiologici, informativi, dall'altro però è troppo grande per accogliere le aspirazioni di tutti quei gruppi che si stanno affermando e che fondano la loro appartenenza sulla base di identità costruite in modo esistenzialista (133).

Alla luce di questa complessità sociale connotata, tanto dalla riemersione di gruppi, nel quali si colloca l'individuo, che da un nuovo spazio sovranazionale, si assiste ad una complessizazione del panorama giuridico, chiamato a fare i conto con norme che trovano la loro fonte anche al di fuori dello Stato, tanto in un contesto locale che sovranazionale, determinando la necessità, per i giuristi, di rivedere i modelli teorici attraverso i quali interpretare e leggere la realtà. Come sostiene Facchi:

In questo quadro si manifestano una pluralità di fenomeni normativi, infra, supra e transnazionali, che non sono riconducibili all'ordinamento giuridico statale. Dunque anche i paradigmi classici del pluralismo giuridico, si sono dovuti e continuano a modificarsi così da poter rispecchiare e servire come strumento di analisi di questi nuovi fenomeni. Proprio le mutate caratteristiche delle società occidentali e l'imporsi di nuovi centri di produzione normativa hanno attratto sul pluralismo giuridico l'attenzione di prospettive differenti da quella della ricerca antropologica, dando luogo ad alcuni tentativi di ricollocarlo all'interno di teorie più ampie sulla società e sul diritto. (134)

Alla luce delle nuove esigenze il concetto di pluralismo giuridico è stato rivalutato e utilizzato per la costruzione di teorie neo-sistemiche del diritto, (135) originando degli aggiustamenti nella concezione di chiusura sistemica dell'ordinamento giuridico statale. I nuovi indirizzi si caratterizzano per un superamento dell'idea di pluralismo giuridico come pluralità di ordinamenti tra loro separati, considerandolo in una nuova ottica dell'interlegalità. La complessità del panorama sociale porta ad una duplice riflessione: da una parte si assiste al supermanto del monismo giuridico, che già era iniziato negli anni Settanta e che trova una nuova forza in autori autorevoli come Griffiths (136) e Vandelinden, dall'altra la nascita di un particolarismo localistico e di movimenti rivendicatori di identità, apre la strada ad una riflessione sul ruolo del soggetto nel contesto giuridico, che porterà alla costruzione di nuove teorie sul pluralismo che si caratterizzeranno per una nuova prospettiva incentrata sul 'punto di vista del soggetto'.

1.5.1 Interlegalità come nuova dimensione del diritto

La complessità spazio-sociale che connota il contesto attuale, ha portato ad avanzare una critica verso i modelli pluralisti elaborati negli anni Settanta, accusati di essere eccessivamente chiusi, non tendo conto delle molteplici appartenenze dell'individuo nella società contemporanea.

Uno dei contributi più importanti all'elaborazione delle nuove teorie sul pluralismo giuridico perviene da De Sousa Santos, il quale, a partire dalla distinzione operata da Merry (137) tra due tipi di pluralismo, quello post-coloniale e quello delle società capitalistiche moderne, sostiene che stiamo entrando in un terzo tipo di pluralismo, quello post-moderno. Per l'autore il pluralismo giuridico è il concetto chiave di una concezione post-moderna di diritto, il quale, non corrisponde al pluralismo giuridico dell'antropologia giuridica tradizionale, concepito come diversi ordinamenti separati anche se coesistenti in uno stesso territorio, ma si configura come un dibattito tra ordini giuridici sovrastatali-transnazionali, che coesistono nel sistema del mondo, con gli ordini giuridici statali e infrastatali. (138) Questa nuova dimensione giuridica si traduce, da un punto di vista fenomenologico, nell'intreccio e nell'interrelazione tra diversi tipi di norme (interlegalità), norme che hanno fonte molteplice ed eterogenea, ad esempio di origine religiosa, tradizionale, consuetudinaria, statale, sovrastatale e transnazionale. (139)

Dal punto di vista strutturale, De Sousa Santos avanza la sua analisi partendo dall'idea di contestualità del dritto cioè supera la costruzione, tanto cara alla modernità, di un diritto calato in uno spazio e in un tempo astratto, per attribuirgli una dimensione spazio-temporale. (140) Le spazialità sono potenzialmente infinite: la spazialità della casa, della scuola, dell'impresa ecc e lo stesso vale per le temporalità: quella del contadino, della donna, dell'escursionista ecc. Il diritto è contestuale, in quanto, ciascun contesto specifico, produce un proprio diritto. L'autore incentra la sua analisi sul contesto domestico, della produzione, della cittadinanza e della mondialità, poiché questi sono capaci di produrre un diritto avente una rilevanza tale da mettere in crisi il monopolio statale. Ognuno di questi contesti presenta una propria pratica sociale, forma istituzionale, meccanismo di potere, forma di diritto, modo di razionalità e pratica di emancipazione. A titolo di esempio, il contesto domestico ha costruito le relazioni sociali (i diritti e i doveri reciproci) fra i membri della famiglia, in particolare fra l'uomo e la donna e fra questi e i figli. In questo contesto l'unità della pratica sociale è la famiglia, la forma istituzionale è rappresentata dal matrimonio e dalla relazione parentale, il meccanismo di potere è il patriarcato, la forma di giuridicità è il diritto domestico, il modo di razionalizzazione è la massimizzazione degli affetti. (141) Il contesto della cittadinanza, che nella modernità è prevalso sugli altri, ha costruito le relazioni sociali della sfera pubblica tra i cittadini e lo Stato. L'unità della pratica sociale è l'individuo, la forma istituzionale lo Stato, il meccanismo di potere il domino, la forma di giuridicità il diritto territoriale (il diritto ufficiale statale) e il modo di razionalità è la massimizzazione della lealtà. (142)

Ciascuno di questi contesti è una comunità di sapere giuridico e di decisione giuridica. Essi non sono reciprocamente chiusi e impenetrabili ma sono articolati tra di loro e s'interpenetrano, infatti, ciascuno di essi è simultaneamente oggetto e soggetto di saperi giuridici, autore di decisioni giuridiche proprie e destinatario di decisioni giuridiche aliene. (143)

Nelle società attuali e nel sistema mondiale, la realtà giuridica appare, infatti, molto più complessa di quanto non appaia al pensiero politico liberale, e si presenta come una 'costellazione' di differenti legalità che operano ai livelli locale o infrastatale, nazionale e transnazionale. (144) L'ampio concetto di diritto adottato dall'autore, e l'idea di una dimensione spaziotemporale di esso, portano a concludere che, in realtà, le società moderne sono, in termini sociologici, formazioni giuridiche o costellazioni giuridiche. Esse non sono costituite da un unico ordine giuridico, ma da una pluralità di ordini giuridici differentemente interrelati. Ciò, ovviamente, solleva il problema del pluralismo giuridico, cui si associa l'idea che in una singola unità politica operino più di un ordine giuridico (145). "Le società moderne sono regolate da una pluralità di legal orders, correlati e socialmente distribuiti secondo modalità differenti." (146) Questi ordini però, al contrario delle costruzioni precedenti sul pluralismo, non sono chiusi e separati tra di loro, ma la vita socio-giuridica si caratterizza per una pluralità di spazi giuridici che agiscono simultaneamente su scale diverse; l'interazione tra di queste ci porta a parlare non più di diritto e legalità ma d'interdiritto e interlegalità. Come sostiene De Sousa Santos

Forse più che in ogni altra epoca, viviamo in un tempo di porosità e, pertanto, anche di porosità giuridica, di diritto poroso costituito da molteplici reti di giuridicità che ci obbligano a costanti transizioni e trasgressioni. La vita socio-giuridica di fine secolo è, così, costituita dalla interazione di differenti linee di frontiere giuridiche, frontiere porose e, come tali, simultaneamente aperte e chiuse. Questa intersezione io la chiamerei interlegalità, dimensione fenomenologica del pluralismo giuridico. (147)

L'interlegalità è descritta da De Sousa Santos come "un processo altamente dinamico, poiché i diversi piani giuridici non si muovono in modo sincronico e il risultato che ne consegue è un intreccio discontinuo e instabile di codici (in senso semiotico) legali" (148). Noi viviamo quindi in un'epoca di "porosità legale o legalità porosa, in cui una molteplicità di reti di legalità ci obbligano a costanti transizioni e trasgressioni." (149)

Questa nuova dimensione strutturale del pluralismo giuridico, che come vedremo è condivisa da altri autori, porta De Sousa Santos a focalizzare la sua attenzione sull'impatto che questa realtà ha sulle scelte, sulla vita e sulla coscienza personale dei singoli individui, che si trovano a vivere in differenti comunità giuridiche organizzate in reti di legalità, ora parallele, ora sovrapposte, ora complementari, ora antagoniste. In De Sousa Santos questo fenomeno, come abbiamo visto, prende il nome d'interlegalità, che porta l'autore ad interrogasi sull'esigenza di rivedere la costruzione liberale della soggettività giuridica, che si fondava sull'idea di un soggetto di diritto astratto e universale, per sostituirla con il collettivismo della soggettività, considerato come una delle vie possibili di costruzione d'una nuova teoria della soggettività giuridica. L'appartenenza simultanea del soggetto a più ordini porta a configurarlo come titolare di più soggettività. Si può parlare di quattro soggettività fondamentali, in quanto su di esse si fondano tutte le altre: individuale, della famiglia, della classe e della nazione. Ciascuna pratica sociale ha un legame privilegiato con una data soggettività, la quale, prevarrà sulle altre nel dare attuazione concreta a tale attività. (150) L'individuo assume così una dimensione 'multipla', divenendo il crocevia tra diversi ordini, norme e appartenenze sociali. Come vedremo meglio nel prossimo paragrafo, esso diviene il nuovo oggetto, sul quale si concentra l'attenzione di sociologi e giuristi chiamati ad elaborare nuovi modelli di pluralismo giuridico. L'individuo, infatti, in questo nuovo contesto, è chiamato ad operare continue scelte tra norme che hanno la loro fonte in ordini diversi, per cui il focus dell'analisi sul soggetto è in grado di restituire una certa sistematicità all'interno della complessità socio-giuridica che connota il post-modernismo.

1.5.2 La nuova via del pluralismo giuridico: l'actor prospective

Come già ho anticipato, analizzando le teorie pluraliste di De Sousa Santos, le nuove linee del pensiero pluralista si muovano verso la ricerca del ruolo che il soggetto ha nella nuova costruzione strutturale pluralista, che si connota per reti d'interlegalità. La moltiplicazione delle appartenenze dei soggetti, che vanno da gruppi che rivendicano le priorie identità (ad esempio gruppi nazionalisti, culturali, religiosi) alla cultura di massa, che ci rende sempre più impermeabili alle differenze, si traduce, da un punto di vista strutturale, nell'elaborazione del modello dell'interlegalità proposto da De Sousa Santos. Questo, porta ad una rivalutazione dell'individuo come punto di riferimento finale, attraverso il quale, cercare una composizione delle differenti identità normative e dei loro potenziali conflitti.

Come ho già anticipato, il pluralismo che interessa la mia analisi è quello di carattere antropologico, culturale, che guarda all'altro etnico. In questo contesto ci interessa prevalentemente l'appartenenza dell'individuo ad un gruppo culturalmente connotato: ad esempio al gruppo rom, senegalese, somalo. L'interrogativo che ci dobbiamo porre, a questo punto della nostra analisi, è se si possa ancora parlare di una netta frattura tra noi e l'altro, proiezione dell'idea, secondo la quale, i gruppi umani e le culture, si presentano come chiuse e impermeabili all'esterno, o se, alla luce della complessità del panorama sociale contemporaneo, non sia più opportuno superare questa concezione di chiusura tra culture, e guardare all'individuo come portatore di multiculturalità. Partendo da questo interrogativo mi sembra particolarmente interessante la riflessione proposta da Touraine in un suo recente libro Libertà, uguaglianza, diversità. Si può vivere insieme?. Secondo l'autore, "L'io ha perso la sua unità: è divenuto multiplo." (151) Per la comprensione di questa locuzione dobbiamo guardare al mutamento che ha investito il concetto di cultura. Come ho anticipato precedentemente, la cultura ha rappresentato 'lo strumento' attraverso il quale leggere le diversità umane, per cui la sua costruzione incide sul modo di considerare, classificare e qualificare la diversità. Volendo schematizzare un argomento molto complesso, prossimo dire che fino agli anni Sessanta-Settanta, ha prevalso una costruzione reificata di cultura, tanto da identificarla con elementi oggettivi quali, ad esempio, costumi, tradizioni, lingue, riti, ricondotti ad uno spazio sociale territorialmente determinato e temporalmente astratto. (152) In corrispondenza a questa elaborazione sostanziale di cultura, la diversità umana viene rappresentata attraverso la costruzione di gruppi ben definiti, situati in un territorio dato e in un tempo astratto, tanto da renderli entità statiche e chiuse verso l'esterno. Questo ovviamente incide anche sulla costruzione dell'identità dell'individuo, la quale viene a determinarsi in relazione alla sua appartenenza ad un gruppo determinato, favorendo la costruzione di identità rigide.

Le cose cambiano nella visione post-moderna dove, la nozione di cultura, viene associata a concetti di movimento e trasformazione, tanto che, nell'epoca della globalizzazione, le metafore della 'cultura globalizzata' sono legate a due assi: quello del mutamento spaziale e quello del mutamento temporale, in antitesi con la costruzione precedente che abbracciava un'idea di cultura territorialmente determinata e temporalmente statica. (153) In relazione al primo di questi assi possiamo ricordare l'idea di Clifford delle 'culture in viaggio' (154), oppure i concetti di 'deterritorializzazione' e 'delocalizzazione' della sfera culturale proposti da Appadurai e Hannerz (155); l'elaborazione, condotta dallo stesso Clifford e da altri, intorno al tema delle 'culture diasporiche', vale a dire di quelle culture, per esempio le comunità transnazionali o quelle virtuali, che si perpetuano in assenza di un ancoraggio a un territorio definito. Per quanto concerne invece il versante della trasformazione rispetto all'asse temporale, si può ricordare il ricorso all'idea secondo la quale la 'linearità' della continuità culturale si frantuma per l'intervento di una serie di fattori di 'contaminazione/distorsione', riprodotti attraverso le metafore biologiche dell''ibridazione' e del 'meticciato', quella linguistica della 'creolizzazione', quelle tecnologico-informatiche della cultura come 'articolazione', come 'cyborg' e come 'connessione'. (156)

Questo porta ad un'idea relazionale di cultura cioè, le culture come networks di prospettive, la cui autonomia e i cui confini devono essere intesi come caratteristiche "esistenti in grado variabile", (157) immerse in uno spazio globalizzato, in cui qualsiasi criterio di individuazione sparisce e nel quale le identità consolidate si rivelano per quello che sono: astrazioni dipendenti dall'assunzione di qualche punto di vista parziale (158). Nel mondo globalizzato, la necessità di restituire la sensazione di fluidità dell'ambiente sociale contemporaneo, porta a costruire la cultura, non come qualche cosa di reificato, e come tale statico e cristallizzato, ma come processualità, come insieme di meccanismi che trasferiscono significati senza che sia possibile ricostituire un contenuto comune sottostante a essi. (159)

Tutto questo ci mostra, come nel tempo attuale, i vecchi schemi di classificazione della diversità siano in via di superamento, cedendo il passo ad una costruzione più fluida dell'appartenenza sociale e di conseguenza anche della diversità. L'epoca attuale è segnata da profonde discontinuità ed incertezze circa il modo di concepire la cultura, come sottolinea Marchettoni "nel migliore dei casi, si continua a lavorare con un concetto di cultura che è esso stesso un ibrido, segnato da una profonda antinomia tra continuità e trasformazione, tra fedeltà alla sua matrice organicista e particolarista e apertura verso nuovi scenari" (160).

I gruppi umani non sono più rappresentabili in modo statico, ma sono fluidi e in mutamento. Questa fluidità del concetto di cultura si riflette in una fluidità di appartenenze per gli individui, che divengono portatori di multiculturalità.

Alla luce di questa molteplicità di appartenenze, l'individuo diviene la nuova via per la lettura della realtà multiculturale che consente di superare, da una parte la frammentazione sociale delle appartenenze professata dai comunitaristi, che ci fa vivere insieme ma separati, e dall'altra consente di contrapporre la specificità individuale, dovuta alla molteplicità delle appartenenze, all'astrattezza del modello d'individuo professato dai liberali. Questo garantisce il rispetto della differenza, la quale, però, non si rinviene più nell'appartenenza ad un gruppi chiuso e determinato, ma nelle scelte operate dal soggetto tra le varie norme prodotte dai tanti ordini in cui è calato, delineando così una personalità dinamica e in continua evoluzione.

Dal punto di vista giuridico, che interessa la nostra analisi, questa nuova costruzione, si traduce in una focalizzazione dell'attenzione di giuristi e sociologi sul soggetto e sulle sue scelte. L'individuo, essendo situato nel crocevia tra diverse reti di legalità, diviene il centro di composizione tra norme provenienti da vari ordini giuridici, per cui focalizzare l'analisi sul soggetto significa dare una lettura sistematica al complesso panorama giuridico.

Questa centralità dell'individuo porta alla trasformazione del paradigma sul quale si costruisce il pluralismo giuridico che, nato e sviluppatosi con riferimento ad una visione incentrata sui sistemi giuridici, ha progressivamente affinato una visione incentrata sui soggetti. (161) Questo ha determinato il passaggio da un pluralismo molare o oggettivo, cioè delle istituzioni e dei gruppi, ad un pluralismo molecolare o soggettivo cioè degli individui e delle loro scelte (162). Alcuni studiosi, già da tempo, hanno cominciato a formulare una nozione soggettivistica di pluralismo giuridico, (163) che fa riferimento, non ad una pluralità di sistemi giuridici, ma all'individuo soggetto a norme con fonti differenti. Questa tendenza si è accentuata in recenti saggi, (164) che ribadiscono l'importanza di focalizzarsi sul soggetto e sulle scelte che esso opera tra norme con fonti e contenuti differenti, talora conflittuali, in altri termini, di adottare una actor prospective, come strumento per fronteggiare la policentricità e la frammentazione dei sistemi giuridici. (165)

1.5.2.1 Passaggio da una concezione molare a una molecolare di pluralismo giuridico

Le teorie più recenti in materia di pluralismo giuridico si connotano per un mutamento di prospettiva che porta a focalizzazione l'attenzione sull'individuo, il quale, calato in una pluralità di dimensioni giuridiche, è chiamato ad opere delle scelte continue tra norme che rinvengono la loro fonte in più sistemi.

Uno dei principali autori, nei quali emerge con evidenza il mutamento paradigmatico che ha investito il pluralismo giuridico portando il passaggio da una prospettiva oggettiva ad una soggettiva, è Vanderlinden.

Negli anni Settanta, l'autore aveva elaborato una definizione di pluralismo che, in linea con le tendenze dell'epoca, possiamo definire oggettiva. Per Vanderlinden il pluralismo giuridico era concepito come: "l'esistenza, in seno a una determinata società, di meccanismi giuridici (166) diversi che si applicano a situazioni identiche." (167)

Con questa definizione Vanderlinden considerava esistente il pluralismo nelle ipotesi in cui in uno stesso ordinamento, si applicassero regole diverse in situazioni identiche: ad esempio l'immunità diplomatica o la distinzione durante il periodo coloniale tra diritto autoctono e diritto europeo. In questa costruzione il pluralismo si realizzava all'interno di un certo ordinamento dato: ad esempio quello statale, che risultava così chiuso rispetto ad altri sistemi. (168)

A partire dalla fine degli anni Ottanta lo stesso autore rimette in discussione la sua nozione di pluralismo giuridico accusandola di essere viziata da un monismo implicito, (169) passando ad una definizione che possiamo qualificare di tipo soggettivo. Secondo l'autore il pluralismo giuridico è da intendersi come "la situation, pour un individu, dans laquelle des mécanismes juridiques relevant d'ordonnancements différents sont susceptibles de s'appliquer à cette situation". (170) Questo modello pone al cuore della sistema del pluralismo giuridico l'individuo, realizzando il passaggio da una prospettiva oggettiva ad una soggettiva. Come sottolinea Eberhard, questo mutamento di prospettiva si fonda su una presa di coscienza da parte di Vanderlinden del fatto che tutti i sistemi giuridici sono monisti nel loro totalitarismo, per cui, negano l'esistenza del pluralismo; al fine di superare tale situazione è necessario guardare all'individuo come inserito in differenti reti sociali e giuridiche, (171) trovandosi così soggetto, non ad un solo diritto ma ad una pluralità di diritti. (172)

Vanderlinden parte dall'idea che l'individuo sia inserito in più ordini sociali (società multiple) ai quali corrispondono diversi ordini normativi suscettibili di rivendicare la qualificazione di 'giuridici' e di applicarsi contemporaneamente alla stessa condotta di un individuo. In questo senso, il pluralismo non s'iscrive in una società determinata ma a livello dell'individuo, in quanto punto di convergenza di ordini che egli considera come giuridici e prodotti dalle società a cui appartiene; questo significa che l'individuo non è sottoposto a un solo diritto ma a più diritti ed è chiamato a scegliere la norma da applicare nel caso concerto, giocando, così, un ruolo attivo nella definizione del diritto da applicare. Quindi, per Vanderlinden, pluralismo giuridico è "la sujétion simultanée de l'individu à plusieurs droits" (173) ed esemplifica questo sistema ricorrendo all'ipotesi di uno sportivo professionista il quale appartiene contemporaneamente ad almeno tre sistemi giuridici: il sistema sportivo, quello statale e quello europeo. L'applicazione dell'uno o dell'altro diritto dipenderà da una scelta da lui compita in relazione alle sue valutazioni personali.

L'actor prospective, cioè la prospettiva che guarda al soggetto, ponendolo al centro del sistema e considerandolo come portatore di multiculturalità, si rinviene, anche in altri autori come Macdonald e Chiba.

Il punto di vista dell'individuo assume rilevanza fondamentale in Mecdonald esponete delle pluralismo giuridico 'critico', nel quale troviamo, forse la manifestazione più radicale dell'actor prospective, questo perché, l'autore, nei suoi studi, ha evidenziato la corrispondenza del pluralismo giuridico ad un atteggiamento della coscienza individuale.

L'analisi di Macdonald si realizza nel terreno della prospettiva pluralistica orizzontale offerta dal modello di Moore, (174) nel quale, come si è visto precedentemente, emerge una nuova dimensione giuridica, che poi troverà sviluppo in autori come De Sousa Santos, nella quale si mette insieme, tanto il problema dell'internormatività, data dal fatto che i campi di Moore sono semi-autonomi, per cui aperti all'interazioni con norme provenienti da altri campi, che la questione dell'esistenza di nome latenti nei settori del diritto positivo, la quale determina un superamento della distinzione tra ciò che è diritto e ciò che non lo è, ampliando fortemente il campo giuridico. (175) Questo contesto consente a Macdonald di mostrare l'imponanza della prospettiva dell'attore, infatti, la coscienza individuale sembra essere l'unica forza in grado di esprimere, di volta in volta, la scelta a favore di quello o quell'altro ordine (176). L'individuo valuta criticamente, seleziona ed esprime opzioni tra diversi campi normativi interconnessi tra di loro. Per Macdonald "Interlegality [...] is not phenomenal but moumental. It is a matter of socio-cultural and individual psychology". (177)

Chiba è un autore che negli ultimi anni ha destato particolare interesse nell'ambito degli sudi sul pluralismo giuridico, sia per il fatto di offrire una prospettiva nuova, dovuta alla sua apparenza ad un sistema giuridico non occidentale, sia per la sua critica rivolta ai modelli di pluralismo giuridico provenienti dalla Western Legal Tradition, da lui accusati di etnocentrismo. (178) Chiba ci propone una prospettiva nella quale afferma tanto la presenza di affiliazioni giuridiche multiple del soggetto, che ricorda il concetto di interlegalità di De Sousa Santos, che l'importanza del punto di vista del soggetto, ricordando così la prospettava di Vanderlinden e Macdonald, i quali accordano importanza al punto di vista del soggetto, sempre situato all'intersezione di ordini giuridici diversi. (179) Non essendo questa la sede per analizzare in modo compiuto il pensiero di Chiba, basti qui indicare gli elementi essenziali della sua analisi.

Per Chiba l'"unità sociologica" del diritto non è limitata allo Stato ma si estende ad ogni organizzazione sociale che mantiene un proprio diritto, (180) tale unità è chiamata dall'autore: entità socio-giuridica. Nel suo modello di pluralismo, Chiba distingue tre livelli di scala giuridica: diritto minore, vigente nella giurisdizione di uno Stato, diritto dello Stato, diritto mondiale, che travalica il diritto statuale includendo, sia il diritto universale che quello regionale. Il diritto non presenta una forma semplice, Chiba identifica tre dicotomie valide per ciascun livello di diritto: quanto alla fonte di validità distingue tra 'diritto ufficiale/non ufficiale', il primo include quello statale e quello degli altri sistemi giuridici ufficialmente riconosciuti da quest'ultimo, il 'diritto non ufficiale' è quello che prevale tra la popolazione di un'entità socio-giuridica senza essere autorizzato da quello Statale; in base all'origine culturale, Chiba distingue tra 'diritto indigeno/trapiantato', il primo scaturisce dalla cultura originaria di un'entità socio-giuridica mentre il secondo è importato da culture straniere; quanto alle differenze formali, l'autore distingue tra 'regole/postulati', le prime sono espressioni verbali formalizzate che indicano particolari modelli di comportamento ai destinatari delle norme, i postulati giuridici sono particolari valori ed idee per sostenere, integrare o rivedere il diritto. Per l'autore ciascuna entità socio-giuridica è chiamata ad integrare e mantenere tutti i sistemi giuridici, correlati ma differenziati, che coesistono all'interno dei suoi confini così, ad esempio, anche l'unità socio-giuridica più semplice, come la famiglia estesa, è chiamata a tenere insieme tutti i diritti presenti all'interno dei suoi confini come il diritto di famiglia, religioso, locale e statale. Ciascuna entità socio-giuridica al fine di poter decidere circa i sistemi giuridici da adottare, rigettare o utilizzare, deve elaborare un postulato basilare di diritto che Chiba chiama 'il postulato identitario di una cultura giuridica'. (181) Esso può essere definito come il postulato giuridico fondamentale per l'identità culturale della popolazione in relazione al diritto, quello cha la giuda nello scegliere. In sintesi, per Chiba, la struttura del diritto presente in una entità socio-giuridica consiste in sistemi giuridici che coesistono pluristicamente e che sono integrati all'interno dell'entità per mezzo del postulato identitario. Per cui, per Chiba: "l'intera struttura operativa del diritto di ciascuna entità socio-giuridica è una forma di pluralismo giuridico, con tratti diversi da entità ad entità. Le differenze tra le stesse non sono altro che la presentazione dei tratti culturali del diritto delle entità individuali, comparabili tra loro come cultura giuridica." (182) La costruzione pluralistica offerta da Chiba si presenta, così, molto vicina al concetto di interlegalità elaborato da De Sousa Santos.

Chiba, come abbiamo anticipato, attribuisce importanza anche all'attore sociale, il quale si trova a dover scegliere il tipo di rapporto da instaurare con la realtà giuridica pluralista, "la persona in una condizione di pluralismo giuridico, non è soltanto un ricettore passivo della regolazione giuridica ma anche un agente attivo, grazie alla sua scelta di certe norme giuridiche alterative tra loro." (183)

L'aspetto interessante dell'opera di Chiba è dato dalla centralità che l'individuo riveste all'interno dei modelli elaborati dall'autore; infatti esso diviene tanto elemento di ricomposizione sistematica del diritto all'interno del modello pluralista per effetto delle scelte che è chiamato a compiere, che una sorta di anello di congiunzione nell'opera di comparazione tra due sistemi giuridici culturalmente diversi: quello occidentale e quello orientale. Per comprendere quest'ultima affermazione dobbiamo guardare a come Chiba, nella sua opera Legal Pluralism: Toward a General Theory through Japanese Legal Culture che analizza il modello di pluralismo presente nel diritto non occidentale giapponese, mostri l'individuo come elemento chiave per l'analisi del sistema giapponese. Data l'importanza che la cultura giuridica giapponese attribuisce all'actor prospectuve, Chiba individua alcune variabili che condizionano la scelta della norma da seguire da parte di un individuo in un ordinamento pluralista: queste sono official law (diritto riconosciuto dallo Stato), competing norms (precetti giuridici non riconosciuti dallo Stato), personal preference in choice between official law and competing norms (un concetto-valvola che comprende tutti i motivi di preferenza individuale), relationships between the parties (rapporti interpersonali), social appraisal (approvazione sociale). Ciò che colpisce del modello è l'importanza attribuita agli status dei personaggi coinvolti nella scelta giuridica, e il ruolo di grande rilevanza attribuito al contesto sociale, in contrasto con le società occidentali che, proclamando il monismo giuridico, ritengono di poter valutare le fattispecie con assoluta oggettività.

Chiba, riprende l'actor prospettive anche per costure un modello di pluralismo 'universale', funzionale ad un'opera di comparazione tra realtà occidentale e non. Il suo modello pluralista si traduce in una critica alla concezione monista del diritto, tipica del modello occidentale, attraverso un'elaborazione che, come abbiamo visto, si snoda su tre livelli di diritto, attribuendo al soggetto un ruolo fondamentale nella scelta del diritto da applicare.

Negli autori che abbiamo analizzato, il soggetto diviene il nuovo centro per l'analisi del pluralismo. L'individuo viene concepito come immerso in una rete di apparenze sociali e di legalità, divenendo portatore di multiculturalità. Questo, per quanto interessa la nostra analisi, porta a rivedere anche l'idea di appartenenza ad un gruppo culturalmente determinato, il quale non può più essere inteso in senso chiuso e rigido, ma esso rappresenta una delle tante appartenenze nelle quali il soggetto è calato.

Un tentativo di costruzione di un modello pluralista capace di interpretare la realtà multiculturale alla luce degli indirizzi più recenti sul pluralismo giuridico è offerto da Facchi la quale, come si vedrà nel prossimo paragrafo, preferisce parlare di pluralismo normativo.

1.5.3 Il pluralismo normativo

Alla luce del quadro complesso che ho delineato fino a questo momento, una ricomposizione di tutti questi punti di vista sul pluralismo giuridico, da quello oggettivo a quello soggettivo, la offre Facchi con il suo concetto di pluralismo normativo. L'autrice, presa coscienza della complessità della realtà socio-giuridica attuale, che bene è rappresentata dall'idea, sino a qui rilevata, di un individuo avente delle appartenenze multiple, considera il pluralismo giuridico come un modello (184) attraverso il quale interpretare la realtà multiculturale. (185) Facchi incentra la sua analisi prevalentemente sullo studio di comunità d'immigrati presenti presso le società occidentali, sottolineando come per la descrizione di queste non sia auspicabile il ricorso a modelli sistematici di pluralismo giuridico come quello di Romano o Moore. Infatti, per l'autrice, al contrario di quello che affama Griffiths, il pluralismo giuridico non è semplicemente in antitesi al monismo statalistico, ma lo eccede, introducendo una serie di livelli giuridici che, sebbene non si possano configurare tutti come sistemi giuridici, indubbiamente, contengono e producono norme cui il soggetto è sottoposto. (186) Per l'autrice la comprensione della realtà empirica attuale richiede di abbandonare l'idea dell'esistenza di più sistemi normativi, che spesso sono nozioni astratte, per guardare a quelle norme che orientano i comportamenti e le credenze degli individui. E' particolarmente vero in questo contesto che la nozione di pluralismo giuridico non implica necessariamente la compresenza di sistemi, ma anche soltanto di singole regole o meccanismi. Infatti, come abbiamo evidenziato sino a questo momento, una visone post-moderna ci mostra un individuo calato in più sistemi e soggetto a più norme, che non necessariamente trovano la loro fonte in 'enti sociali' o in 'campi sociali semi-autonomi', cioè in gruppi in grado di creare ed applicare una propria normativa autonoma, ma ci troviamo di fronte ad individui che seguono norme aventi origini in ordinamenti differenti. Questa situazione che in De Sousa Santos viene qualificata come interlegalità, porta Facchi a parlare di pluralismo normativo:

Personalmente preferisco parlare di pluralismo normativo, perché evita ambiguità, non propone un significato di 'diritto' troppo lontano dall'uso comune e dall'uso diffuso dei giuristi e permette di allargarsi ad un complesso di norme, che è sinceramente difficile considerare "giuridiche" ma che possono entrare in relazione con norme di diritto positivo o con norme istituzionali, si pensi al caso delle norme interne di una tifoseria calcistica o a varie prescrizioni rituali islamiche. (187)

Alla luce del concetto di pluralismo normativo, l'oggetto d'indagine, dell'analisi giuridica, non è più il gruppo culturalmente connotato come centro organico di produzione normativa ma l'individuo, il quale condensa in sé la scelta tra una pluralità di norme aventi fonti diverse. Questo ci porta ad un mutamento di prospettiva circa la modalità di costruzione dell'identità che, come abbiamo precedentemente accennato, non si fonda più su un gruppo culturalmente dato ma si costruisce sulla base della molteplicità delle apparenze del soggetto, è per questo che, a mio avviso, sarebbe opportuno sostituire il concetto di diversità con quello di complessità. "Non una ma più culture contribuiscono alla formazione di un'unica identità [...] Non soltanto le società sono dunque multiculturali ma anche le persone." (188)

Note

1. Sul punto si veda la critica che Norbert Rouland muove al sistema delle università giuridiche europee, accusato d'indifferenza versa la disciplina antropologica. N. Rouland, Anthropologie juridique, Paris, 1988, trad. it, Giuffrè, Milano, 1992.

2. R. Motta, Approccio classico e approccio critico al pluralismo giuridico, in "Materiali per una storia della cultura giuridica", n.2, 2004.

3. Infibulazione ed escissione sono due pratiche tradizionali diffuse in numerosissime popolazioni africane di religione sia musulmana che cristiana che animista. Si tratta di un intervento sui genitali femminili, con diversi gradi d'invasività, che vanno dalla puntura simbolica del clitoride fino all'infibulazione che consiste nella chiusura della vagina mediante cicatrizzazione e cucitura. Questa pratica ha una valenza sociale, che incide sul modo in cui la donna è concepita e percepita all'interno della società cui appartiene. Per approfondimenti si veda: A. Facchi, I diritti nell'Europa multiculturale: Pluralismo normativo e immigrazione. Laterza, Roma-Bari, 2001, pp. 41-63.

4. B. De Sousa Santos, Toward a New Common Sense. Law, Science and Politics in the Paradigmatic Transition, Routledge: New York/London, 1995. Per una ricostruzione sistematica del pensiero dell'autore di veda: S. Vida, Postmodernità e pluralismo tra retorica e utopia, in G. Bongiovanni (a cura di), La filosofia del diritto costituzionale e i problemi del liberalismo contemporaneo, CLUEB, Bologna, 1998.

5. N. Bobbio, Il positivismo giuridico, Giappichelli Editore, Torino, 1996, p. 236.

6. P. Grossi, L'ordinamento giuridico medioevale, Laterza, Roma-Bari, 2003, p.440.

7. N. Bobbio, op. cit., p. 117.

8. Sul punto si veda: N. Bobbio, Il positivismo giuridico, cit.

9. La scienza diviene il mezzo attraverso il quale esplorare ed interpretare la realtà, qui da intendersi come la totalità indipendente dall'uomo. Nelle epoche passate il ruolo, che oggi appartiene alla scienza, era rivestito dalla religione o dal mito. Per approfondimenti si veda: N. Rouland, op. cit., pp. 19-34.

10. S. Vida, Postmodernità e pluralismo tra retorica e utopia, cit., p.8.

11. P. Gossi, La legalità costituzionale nella storia del diritto moderno, "Cerimonia di chiusura Anno Accademico 2008-2009", Accademia Nazionale dei Lincei.

12. A sostegno dell'idea, secondo la quale l'esigenza di elaborare un modello pluralista insorge con la modernità come risposta al monismo giuridico che è indispensabile per lo Stato al fine di realizzare la sua pretesa di centralizzazione del potere, ricordiamo autori come: M. Corsale, "Pluralismo giuridico", Enciclopedia del diritto, Giuffré, Milano, 1983; J. Griffiths, What is Legal Pluralism?, in "Journal of Legal Pluralism and Unofficial Law", n. 24, 1986; G. Gurvitch, L'expérience juridique et la philosophie pluraliste du droit, Paris, 1935; R. Sacco, Antropologia giuridica, Il mulino, Bologna, 2007.

13. M. Corsale, "Pluralismo giuridico", Enciclopedia del diritto, cit., pp. 1005-1006.

14. M. Corsale, op. cit., p. 1003.

15. C. Faralli, Vicende del pluralismo giuridico. Tra teoria del diritto, antropologia e sociologia, in "Sociologia del diritto", n. 3, 1999, pp. 89-99.

16. R. Sacco, Antropologia giuridica, Il mulino, Bologna, 2007, p. 83.

17. In questo caso la dottrina parla di Folk-Law.

18. Con il termine etnocentrico intendo quell'atteggiamento che ci porta a considerare un'altra società in funzione delle nostre categorie ideali, questo, generalmente ci conduce a sottovalutarla.

19. In questo caso mi riferisco al diritto così come elaborato dalla tradizione giuridica occidentale e non al concetto di diritto elaborato nell'ambito dell'antropologia giuridica, che come vedremo in seguito, ha una portata più ampia sino ad includere anche norme prodotte in tradizioni e culture diverse.

20. Per un approfondimento si veda: L. Marchettoni, Cultura e tradizione, Jura Gentium, 2009.

21. Come vedremo nel corso del lavoro, oggi si avanza la critica all'idea di un oggetto antropologico costruito in termini sostanziali. Nell'ottica post-moderna, il concetto di cultura perde i suoi confini delineati e reificati per divenire fluido e mutevole. Questo mutamento si tradurrà in una diversa costruzione del modello pluralista che non si focalizzerà più sui gruppi, ma sul soggetto.

22. M. Kilani, L'invention de l'autre, Lausanne, Payot, 1994, trad. it., Bari, Dedalo, 1997, p. 267.

23. E. Le Roy, Le jeu des lois, Une anthropologie «dynamique» du Droit, "L.G.D.J.", Paris, 1999, p. 22.

24. E. Le Roy, Comparaison n'est pas raison: anthropologie et droit comparé face aux traditions non européenes, in Scritti in onore di Sacco, Milano, Giuffrè, 1994, I, p. 684.

25. L'antropologia strutturale è quel ramo dell'antropologia culturale che nasce in Inghilterra dall'opera di Henry Sumner Maine e Lewis Henry Morgan, il cui campo d'indagine concerne prevalentemente i fenomeni relativi alla struttura sociale. Essa si articola in quattro sottotipi più specifici: parentela, economia, politica e diritto.

26. F. Remotti, Temi di antropologia giuridica, Giappichelli, Torino, 1982, p.4.

27. L. Marchettoni, op. cit.

28. L. Marchettoni, op. cit.

29. Per un approfondimento sulle diverse nozioni di cultura elaborate da diversi campi del sapere, si veda: C. Kluckhohn, A.L. Kroeber, Culture: A Critical Review of Concepts and Definitions, Papers of the Peabody Museum of American Archaeology and Ethnology, Harvard University, vol. XLVII, n. 1, Peabody Museum, Cambridge, Mass., 1952, trad. it. Bologna, il Mulino, 1972.

30. E. B. Tylor, Primitive Culture: Researches into the Development of Mythology, Philosophy, Religion, Language, Art and Custom, London, Murray, 1871, trad. it. Cap. I, "Alle origini della cultura", in P. Rossi, Il concetto di cultura, Torino, Einaudi, 1970, pp. 7-29.

31. Edward Burnett Tyler, abbraccia una concezione reificata di cultura poiché la lega ad una serie di elementi oggettivi come la lingua, la tradizione, i costumi. Come vedremo in seguito, tale costruzione sarà superata con l'avvento delle concezioni post-moderne di cultura.

32. L. Marchettoni, op. cit.

33. Il precursore degli studi antropologici è Montesquieu (1689-1755), il quale nella sua opera, Lo spirito delle leggi, mette in luce le differenze tra costumi e leggi di vari popoli e ne cerca le cause. Secondo Montesquieu il diritto è un elemento del sistema socio-politico ed è strettamente dipendente dalla sua struttura, per cui, è essenzialmente diverso e cambia secondo le società, i luoghi e le epoche. Inoltre, nonostante che il paradigma dominate sia evoluzionista, l'autore sottolinea come la mutazione giuridica non sia determinata principalmente da grandi serie storiche, la cui successione tradurrebbe il cammino verso il progresso, ma dipende da fattori più prosaici quali le condizioni climatiche, demografiche, topografiche ecc, proprie di ogni società. Con un secolo di anticipo, Montesquieu getta le linee essenziali della futura disciplina antropologica.

34. F. Remotti, Temi di antropologia giuridica, Giappichelli Editore, Torino, 1982.

35. Sul punto di veda: R. Motta, Istituzioni incompatibili e pluralismo, in "Sociologia del diritto", n. 3, 1999; F. Remotti, Temi di antropologia giuridica, cit.; R.Sacco, Antropologia giuridica, cit.

36. Questa particolare metodologia è stata introdotta a partire dagli studi condotti da Bronislaw Malinowski nelle isole Trobriand.

37. Si tratta di membri della società indagata che instaurano un particolare rapporto con il ricercatore, divenendo un tramite tra lui e la società osservata. Attraverso l'informatore si acquisiscono informazioni sulla realtà indagata che sarebbe impossibile desumere dalla sola osservazione.

38. Per la critica all'idea di diritto elaborata in seno all'antropologia si veda: L. Alfieri, Esistono ordinamenti normativi non giuridici?, in (a cura di) A. Giasanti, G. Maggioni, I diritti nascosti, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1995; J. Griffiths, What is Legal Pluralism?, cit.

39. La prima ad utilizzare questa classificazione che suddivide il pluralismo in fase classica e nuova è S.E. Merry nel celebre articolo: Legal Pluralism, in "Law and Society Review", 1988.

40. S.E. Merry, in Legal Pluralism, cit., p. 872.

41. Ibid.

42. A seconda dei vari modelli elaborati, lo spazio sociale al quale si imputa la produzione di norme e che diviene oggetto di analisi, assume definizioni differenti. Ad esempio: in Posipil si parla di livelli, nel modello della Moore di campi sociali. Per una trattazione più esaustiva dell'argomento rinvio a quanto verrà trattato nei paragrafi successivi.

43. B.W. Morse, Indigenous Law and State Legal Systems of Administation of Justice in Africa and Indonesia: Conflict and Compatibility, in B.W. Morse e G. R. Woodman (a cura di), Indigenous Law and State, Foris Pubblication, Dordrecht, 1988, pp. 101-120.

44. Sul punto si veda: N. Rouland, Antropologia giuridica, cit., pp. 334-335.

45. È da notare come il diritto di famiglia non fu toccato dal diritto moderno e questo non al fine della tutela dei costumi e delle tradizioni degli autoctoni ma per ragioni di opportunità e strategia coloniale, si temeva che toccare queste consuetudini avrebbe determinato la disubbidienza all'amministrazione. Lo Stato si trova a fare i conti con tradizioni e norme così sentite e radicate tanto da arrestare la sua 'missione di modernizzazione' intrapresa in nome dell'evoluzionismo unilaterale ma animata da esigenze esclusivamente economiche.

46. N. Rouland, op. cit., p. 49.

47. N. Rouland, op. cit., p. 51.

48. Tra i fondatori dell'antropologia giuridica appartengono alla corrente evoluzionista Henry Sumner-Maine e Lewis Henry Morgan. Maine parla di tre stadi nell'evoluzione del diritto: inizialmente gli uomini pensano che il diritto provenga dagli dei che dettano le leggi ai sovrani, poi il diritto s'identifica con la consuetudine e infine s'identifica con la legge. Morgan parla di tre stadi dell'evoluzione dell'umanità: Stato selvaggio (caccia e raccolta, comunismo primitivo); Barbarie (addomesticamento degli animali, agricoltura, metallurgia; proprietà tribale i clan, famiglia patriarcale); Civiltà (invenzione della scrittura, della carta, del vapore e dell'elettricità; famiglia monogamica, proprietà privata, Stato).

49. L.G. Pes, Il pluralismo giuridico, 2003.

50. L. Marchettoni, op. cit.

51. A. Brighenti, Realmente distinti, ma inseparabili: il diritto e l'altro, in "Sociologia del diritto", n. 2, 2003, p. 41.

52. A. Negri, Il giurista dell'area romanista di fronte all'etnologia giuridica, Giuffré, Milano, 1983, p.83.

53. N. Rouland, op. cit., p. 53.

54. In Italia il principale sostenitore della corrente dell'evoluzionismo giuridico fu Giuseppe Mazzarella, la cui posizione fu fortemente criticata da Enrico Cerulli e Massimo Colucci che espressero le loro preoccupazioni di ordine teorico, anche a seguito dei risultati dell'esperienza coloniale italiana in Somalia.

55. Come nota Norbert Rouland, il ruolo che questo autore ha avuto, sia nell'affermazione dell'antropologia che nell'elaborazione del concetto di pluralismo giuridico è sottovalutata. Van Vollenhoven fu un vero precursore dei tempi e dei grandi temi che avrebbero animato il dibattito antropologico. Già nei primi del Novecento insiste sulla necessità che l'antropologa giuridica utilizzi le categorie di pensiero e la lingua degli autoctoni, si pose contro l'unificazione del diritto indonesiano a difesa del diritto degli autoctoni, incentrò il lavoro della sua scuola sullo studio delle consuetudini.

56. Si tratta della scuola olandese di diritto consuetudinario indonesiano che nonostante il dinamismo e la capacità innovativa dei suoi autori, non ha avuto il successo meritato, probabilmente, alla luce della mancata traduzione delle sue opere in lingua inglese e del campo d'indagine, l'Indonesia, che non destava lo stesso interesse dell'Africa. La scuola prende il nome da Adatrech o adat law che è un diritto consuetudinario ibrido la cui concezione ruota intorno al termine adat, traducibile, grosso modo, come 'consenso'.

57. Oltre le correnti sopra citate ricordiamo anche il diffusionismo di Fritz Graebner e il ritorno delle teorie neo-evoluzioniste negli anni Quaranta, opportunamente corrette, sotto il nome di evoluzionismo multilineare.

58. N. Rouland, op. cit., p. 56.

59. L. Marchettoni, op. cit.

60. Entrambi gli autori hanno condotto ricerca sul campo, il primo presso gli Inut e gli Indiani d'America del nord, il secondo presso le isole Trobiand in Melanesia.

61. B. Malinowski, Argonauts of the Western Pacific: An Account of Native Enterprise and Adventure in the Archipelagoes of Melanesian New Guinea, New York, Dutton and Company, 1922, trad. it. Newton Compton, Roma, 1973, p. 49.

62. "Funzionalismo" in Enciclopedia Garzanti di Filosofia.

63. N. Rouland, op. cit., p. 73.

64. Lo studio del diritto attraverso l'analisi dei casi di conflitto è una metodologia portante dell'approccio antropologico. Gli studi di molti autori contemporanei si incentrano sull'analisi delle dispute, tra i tanti possiamo annoverare: Laura Nader, Phillip Gulliver, Isaac Schapera e Simon Roberts.

65. A. Facchi, L'antropologia giuridica e i suoi confini, in A. Giasanti, G. Maggioni (a cura di), I diritti nascosti, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1995, p. 111; per un approfondimento sulla metodologia antropologica si veda: N. Rouland, Antropologia giuridica, cit., Cap.4, Metodologia; R. Sacco, Antropologia giuridica, cit.

66. L. Nader, The Life of the Law: Anthropological Projects, UC Press, 2002, trad. it. Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2003, p. 44.

67. In R. Motta, Teorie del diritto primitivo: un'introduzione all'antropologia giuridica, unicopli, Milano, 1986, p 56.

68. Per un approfondimento sull'argomento si veda: L. Alfieri, Esistono ordinamenti normativi non giuridici?, in A. Giasanti, G. Maggioni (a cura di), I diritti nascosti, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1995; S. Roberts, Contro il pluralismo giuridico. Alcune riflessioni sull'attuale ampliamento del campo giuridico, cit.; B. T. Tamanaha, The Folly of the Scientific Concept of Legal Pluralism, in "Journal of Law", Darthmounth, Aldershot, 1993.

69. Tentativi in questo senso sono rappresentati dai modelli neosistematici proposti da G. Teubner, The Two faces of Janus: Rethinking Legal Pluralism, in "Cardozo Law Review", 1993; per approfondimenti si veda: S. Roberts, Contro il pluralismo giuridico. Alcune riflessioni sull'attuale ampliamento del campo giuridico, cit.

70. A. Facchi, Prospettive attuali del pluralismo normativo, Jura Gentium, 2005.

71. L. Nader, op. cit., p. 41.

72. K. Llewellyn, A. Hoebel, The Cheyenne Way, University of Oklahoma Press, Norman, 1941, p. 335.

73. I Cheyenne, è una popolazione indigena dell'America del Nord che, dagli inizi del XIX secolo a seguito dei contati violenti con la cultura europea e americana, ha adottato un'economia basata sull'allevamento di cavalli e la caccia al bisonte. Il suo 'stile di vita' ha attratto da sempre l'immaginazione dell'uomo bianco, rappresentando uno scenario esotico all'interno della territorio americano.

74. L.G. Pes, Il pluralismo giuridico, 2003, p. 104.

75. L.G. Pes, op. cit., p. 105.

76. L. Nader, op. cit., p. 35.

77. L. Nader, op. cit., p. 45.

78. Con questo concetto indichiamo la nozione di diritto che si è affermata nella tradizione giuridica occidentale cioè quella che considera diritto come l'atto di espressione del potere statale, che nei paesi di civil law corrisponde alla legge.

79. S. Roberts, Contro il pluralismo giuridico. Alcune riflessioni sull'attuale ampliamento del campo giuridico, cit.

80. S. Roberts, op. cit.

81. G. Teubner, The Two Faces of Legal Pluralism, cit., p. 1443.

82. Sul punto si veda: M. Corsale, "Pluralismo giuridico", in Enciclopedia del diritto, cit, pp.1003-1026; A. Facchi, Pluralismo giuridico e società multietnica: proposte per una definizione, in "Sociologia del diritto", n.1, 1994.

83. Sul punto si veda: A. Febbrajo, Antropologia giuridica e sociologia del diritto, in "Sociologia del diritto", n.1, 2008; N. Rouland, Anthropologie juridique, cit.; R. Sacco, Antropologia giuridica, cit.

84. A. Febrajo, Sociologia del diritto, Il mulino, Bologna, 2009.

85. E. Ehrlich, Grundlegung der Soziologie des Rechts, Munchen-Leipzig, 1913, trad. it, Giuffré, Milano, 1976, p. 3.

86. E. Ehrlich, op. cit., p.16.

87. N. Rouland, Anthropologie juridique, cit, p 74.

88. Sul punto si veda: A. Brighenti, Realmente distinti, ma inseparabili: il diritto e l'altro, cit., p. 41.

89. Francois Gény afferma che la fonte reale del diritto è costituita dai concreti rapporti di vita in cui rileva la "natura sociale" e in cui il diritto è allo "stato grezzo". C. Faralli, Vicende del pluralismo giuridico. Tra teoria del diritto, antropologia e sociologia, cit., p. 91.

90. Léon Deguit intende il diritto come regola espressa dalla società che impone a ciascun individuo, in quanto membro del corpo sociale, di realizzare la solidarietà con gli altri. C. Faralli, op. cit.

91. G. Gurvitch, L'expérience juridique et la philosophie pluraliste du droit, Pedone, Paris, 1935 p. 52.

92. G. Gurvitch, op. cit.

93. Per approfondimenti si veda: N. Rouland, op. cit.

94. Oltre Santi Romano, in Italia vi sono altri autori che hanno assunto una posizione contro il monismo statalista. Tra questi Giuseppe Capogrossi che abbraccia un'idea ampia di diritto inteso come "esperienza giuridica" fino a comprendere tutta "l'esperienza concreta"; Antonio Pigliaru che analizza il conflitto tra l'ordinamento statale e una formazione spontanea, la comunità barbaricina; Widar Cesarini Sforza che mostra l'esistenza di un sistema stratificato di fonti dove, oltre a quelle statali, vi sono le consuetudini che rinvengono la loro origine nella società e la loro autonomia dal diritto statale può essere tale da dettare comportamenti in contrasto con esso.

95. N. Bobbio, Teoria e ideologia nella dottrina di Santi Romano, in Dalla struttura alla funzione, Edizioni di Comunità, Milano, 1977, pp.165-186.

96. Nomberto Bobbio, al contrario della dottrina maggioritaria che considera la teoria del pluralismo giuridico di Romano come corollario della teoria istituzionalista, sottolinea come non vi sia una corrispondenza diretta e necessaria tra teoria istituzionalista e teoria pluralista, così come non vi è necessaria corrispondenza tra monismo e normativismo. A sostegno della sua tesi mostra come Léon Deguit, seppur un istituzionalista, non fosse un pluralista o come Thon, uno dei maggiori normativisti, fosse contemporaneamente anche pluralista. Questo perché l'istituzionalismo e il pluralismo riguardano due piani diversi: l'istituzionalismo è un modello teorico che riguarda la definizione di diritto (diritto è istituzione), considerando la caratteristica centrale di quest'ultimo nel fatto di costituire organizzazione di gruppi umani, invece, il pluralismo è un modello per la comprensione del modo di presentarsi del fenomeno giuridico, non per la sua definizione. Per approfondimenti si veda: N. Bobbio, Teoria e ideologia nella dottrina di Santi Romano, cit, M. Corsale, op. cit.

97. S. Romano, L'ordinamento giuridico, Sansoni, Firenze, 1967, p. 64.

98. Una delle principali critiche mosse alla teoria istituzionale di Santi Romano è quella di non aver definito in modo compiuto il concetto di organizzazione che costituisce la parola-chiave del suo ragionamento giuridico. Infatti, Santi Romano definisce il diritto come organizzazione per cui esso si risolve in un'altra entità che l'autore non definisce anzi, spesso viene denominata con altre parole come: struttura, posizione, scopo caratteristico del diritto. Questo determina il problema di capire se il diritto è organizzazione o qualche cosa che sta dietro o prima di essa. Sul punto si veda: N Bobbio, Teoria e ideologia nella dottrina di Santi Romano, cit., pp. 172-174; M. Corsale, op. cit., 1007-1008.

99. Sul punto si veda: M. Corsale, op. cit.; N. Rouland, op. cit.

100. M. Corsale, op. cit., p. 1007.

101. Per un approfondimento sulla riflessione di Santi Romano sulla crisi dello Stato moderno si veda: S. Romano, Lo Stato moderno e la sua crisi, discorso per l'inaugurazione dell'anno accademico della R. Università di Pisa, Tipografia Vannucchi, Pisa, 1909, ora nel volume con lo stesso titolo, Milano, 1969.

102. S. Romano, Lo stato moderno e la sua crisi, cit., p. 15.

103. P. Grossi, L'ordinamento giuridico medioevale, cit., p 111.

104. G. Gurvitch, La déclaration des droits sociaux, 1946; trad. it., Milano, Edizioni di comunità, 1949.

105. S. Roberts, Contro il pluralismo giuridico. Alcune riflessioni sull'attuale ampliamento del campo giuridico, cit., p. 231.

106. B. Tamanaha, The Folly of the 'Scocial Scientic' Concept of Legal Pluralism, cit., p. 200.

107. S. Roberts, idem.

108. L'apertura del mondo accademico alle tematiche del pluralismo giuridico è dimostrata dalla creazione di un'associazione professionale internazionale nel 1978 la Commission on Falk Law and Legal Pluralism, che ha come oggetto di studio i rapporti tra folk-law e diritto statuale.

109. R. Motta, Teorie del diritto primitivo: un'introduzione all'antropologia giuridica, unicopli, Milano, 1986, p. 164.

110. Ritorna qui un tema che già abbiamo incontrato in Santi Romano, per il quale la giuridicità si rinviene anche al di fuori dello Stato e che rappresenta una costante degli studi sul pluralismo giuridico che sono volti a superare il monismo positivista che ancora il concetto di diritto esclusivamente alla produzione statale.

111. N. Rouland, Anthropologie juridique, cit., p. 79.

112. Alche se il modello di Leopld Pospisil è applicabile tanto alle società moderne quanto a quelle tradizionali, l'autore, essendo un antropologo, ricorre, al fine di formulare delle esemplificazione, alle società tradizionali da lui studiate.

113. N. Rouland, op. cit.

114. P. L. Pus, Pluralismo giuridico, cit., p. 130.

115. S. Roberts, Contro il pluralismo giuridico. Alcune riflessioni sull'attuale ampliamento del campo giuridico, cit., p. 237.

116. L.G. Pes, op. cit., p. 133.

117. S. F. Moore, Law and social change: The Semi-autonomous Social Field as an Appropriate Subject of Studies, in "Law and Society review", 1973, p. 719.

118. Sul punto si veda: J. Griffiths, What is Legal Pluralism?, cit., p. 29 ss.

119. S. F. Moore, op. cit.

120. S. F. Moore, Law as Process: an Anthropological Approach, Routledge, London, Boston, 1978, p. 55.

121. S. F. Moore, op. cit.

122. N. Rouland, Anthropologie juridique, cit.

123. R. Motta, Approccio classico e approccio critico al pluralismo giuridico, in "Materiali per una storia della cultura giuridica", n.2, 2004, p. 352.

124. S. Benhabib, The Rights of Others. Aliens, Residence and Citizenes, Press Syndicote of University of Cambrige; Trad. it, Cortina, Milano 2006, pp. 3-4.

125. Sul concetto di globalizzazione la letteratura è svariata a titolo di esempio citiamo: D. Zolo, Globalizzazione. Una mappa dei problemi, Editori Laterza, Roma-Bari, 2006.

126. Sul punto una letteratura svariata, a titolo di esempio citiamo: S. Benhabib, The Claims of Culture: Equality and Diversity in the Global Era, Princeton University Press, Princeton, 2002, trad it, Il Mulino, Milano, 2005; S. Benhabib, The Rights of Others. Aliens, Residence and Citizenes, cit.; A. Touraine, Pourrons-nous vivre ensemble? Egaux et différents, librerie Arthème Fayard, 1997, trad it, Il Saggiatore tascabili, Milano, 2009.

127. A. Touraine, Pourrons-nous vivre ensemble? Egaux et différents, cit., p. 21.

128. A. Brighenti, Realmente distinti, ma inseparabili: il diritto e l'altro, cit.

129. Questa complessità sociale porta, da una parte, ad uno spostamento del baricentro decisionale e operativo dallo Stato verso la dimensione locale e globale, dall'altra si assiste ad un ampliamento del potere dei giudici, soprattutto a livello globale, in un settore che, tradizionalmente, costituiva prerogativa degli Stati e dei parlamenti: la produzione giuridica, dando luogo al fenomeno della giurisdizionalizazione del diritto. Sul punto si veda: E. Santoro, Diritto e diritti: lo stato di diritto nell'era della globalizzazione, Giapichelli, Torino, 2008; D. Zolo, Globalizzazione. Una mappa dei problemi, Editori Laterza, Roma-Bari, 2006.

130. Sul punto si veda: D. Zolo, op. cit.

131. Sul punto si veda: S. Benhabib, The Rights of Others. Aliens, Residence and Citizenes, cit, p. 9.

132. A. Touraine, op. cit., p. 12.

133. Sul punto si veda: S. Benhabib, op. cit.

134. A. Facchi, Prospettive attuali del pluralismo normativo, Jura Gentium, 2005.

135. Sul punto si veda: B. De Sousa Santos, Droit: une carte de lecture déformé. Pour une conception post-moderne du droit, in «Droit et Societé», 10/1998; G. Teubner, The Two Faces of Janus: Rethinking Legal Pluralism, cit.; S. Roberts, Contro il pluralismo giuridico. Alcune riflessioni sull'attuale ampliamento del campo giuridico, cit.

136. Nella sua teoria ipercritica sul pluralismo giuridico, Jhon Griffiths sostiene che l'unico vero pluralismo è quello né riconosciuto né sancito dal diritto statale, quello che si oppone al mito monistico e vive nella realtà sociale; per cui, le diversità giuridiche che costituiscono pluralismo giuridico sono solo quelle non controllate e non ufficialmente riconosciute, proprie dei sistemi autoregolati dei campi sociali semi-autonomi. Per approfondimenti si veda: J. Griffiths, What is Legal Pluralism?, cit.

137. S.E. Merry, Legal Pluralism, in "Law and Society Review", 1988.

138. S. Vida, Postmodernità e pluralismo tra retorica e utopia, cit.

139. B. De Sousa Santos, Droit: une carte de lecture déformé. Pour une conception post-moderne du droit, cit., p. 382.

140. B. De Sousa Santos, op. cit.

141. B. De Sousa Santos, op. cit., p. 384.

142. Ibid.

143. Ivi, p. 386.

144. Le tesi di De Sousa Sanos sono elaborate a partire dagli studi sul campo condotti dall'autore. Tra i suoi studi più importanti ricordiamo quello di Pasargada. Ricorrendo al metodo del case study, mostra la situazione giuridico-sociale di Pasargada, nome fittizio di un quartiere abusivo (favela) realmente esistente di Rio de Janeiro, in cui vivono le classi popolari. A causa dell'inaccessibilità strutturale del sistema giuridico statale, in Pasargada si sono create strategie di adattamento volte ad assicurare, per le relazioni comunitarie, una condizione minimale di ordine sociale. Si tratta di una legalità interna, infrastatale o locale, parallela ma, a volte, configgente con, quella dello Stato. L'indagine sociologica condotta dall'autore attraverso un'osservazione partecipante e attraverso il metodo del case study evidenzia appunto, secondo la prospettiva del pluralismo giuridico, le relazioni che tale legalità infrastatale-locale, di Pasargada, intrattiene con il sistema giuridico ufficiale brasiliano.

145. S. Vida, op. cit.

146. B. De Sousa Santos, op. cit., p. 386.

147. B. De Sousa Santos, Stato e diritto nella transizione post-modena. Per un nuovo senso comune giuridico, in "Sociologia del diritto", n.3, 1990.

148. B. De Sousa Santos, Droit: une carte de lecture déformé. Pour une conception post-moderne du droit, cit., p. 382.

149. Ibid.

150. Sul punto si veda: B. De Sousa Santos, op. cit.

151. A. Touraine, Pourrons-nous vivre ensemble? Egaux et différents, cit., p. 13.

152. La reificazione dell'oggetto di studio in antropologia connota il lavoro, fino agli anni Settanta, di autori anche tra loro diversi come: Edward Burnett Tylor, Franz Boas, Bronislaw Malinowski.

153. L. Marchettoni, op. cit.

154. J. Clifford, Traveling Cultures, in L. Grossberg, C. Nelson, P. Treichler (a cura di), Cultural Studies, London, Routledge, 1991, trad. it., Boringhieri, Torino, 1999.

155. U. Hannerz, Cultural Complexity: Studies in the Organization of Meaning, New York, Columbia University Press, 1992, trad. it., Bologna, il Mulino, 1998.

156. Sul punto si veda: L. Marchettoni, op. cit.

157. Sul punto si veda: U. Hannerz, Cultural Complexity: Studies in the Organization of Meaning, cit., p. 339.

158. L. Moarchettoni, op. cit.

159. Secondo Clifford: "può darsi che il concetto di cultura abbia fatto il suo tempo. Forse, sulla scorta di Foucault, dovrebbe essere sostituito da una visione di potenti formazioni discorsive dispiegate globalmente e strategicamente. Tali entità almeno non sarebbero più strettamente legate alle nozioni di unità organica, di continuità tradizionale e di un permanente substrato linguistico e locale", in J. Clifford, The Predicamene of Culture: twentieth-Century Ethnography, Literature and Art, Cambridge, Mass., Harvard University Press, 1988, 'Su Orientalism', I frutti puri impazziscono. Etnografia, letteratura e arte nel secolo XX, Boringheri, Torino, 1993, p. 315.

160. L. Marchettoni, op. cit.

161. A. Facchi, Prospettive attuali del pluralismo normativo, cit.

162. A. Brighenti, op. cit.

163. Sul punto si veda: J. Vanderlinden, Return to Legal Pluralism: Twenty Years Later, in "Journal of Legal Pluralism and Unofficial Law", 1989.

164. Sul punto si veda: M. Chiba, Other Phases of Legal Pluralism in the Contemporary World, in "Ratio Juris", 11, 1998; H. Petersen, H. Zahle, Legal Policentricity: Consequences of Pluralism in Law, Darthmouth, Aldershot, 1995.

165. A. Facchi, op. cit.

166. Questa definizione godrà di molta fortuna in quanto molto ampia e comprensiva che contiene in sé una serie di spunti che verranno approfonditi o ripresi da autori successivi. Vanderlinden, non parla di norme ma di meccanismi giuridici, ricorrendo ad un termine molto più ampio, e riportando ancora in evidenza il problema, che già da tempo, tormenta il pluralismo giuridico, quello di una definizione di diritto che sappia superare i limitati gli orizzonti definitori imposti dal positivismo.

167. J. Vanderlinden, Le pluralisme juridique. Essai de synthése, in J. Glissen (a cura di), Le pluralisme juridique, Editions de l'Université de Bruxelles, Beuxelles, 1972.

168. A. Facchi, Pluralismo giuridico e società multietnica: proposte per una definizione, cit.

169. C. Eberhard., Penser le pluralisme juridique de maniére pluraliste - Défi pour une théorie interculturelle du droit, 1996.

170. J. Vanderlinden, L'utopie pluraliste, solution de demain au problème de certaines minorités?, Minorités et organisation de l'État, Bruxelles, Bruylant, 1998.

171. Per una ricostruzione delle ragioni che portano l'autore a prediligere come campo di studio le reti sociali, rispetto ai campi sociali semi autonomi della Moore o all'ordinamento giuridico di Romano si veda: J. Vanderlinden, Réseaux, pyramide et pluralisme.

172. C. Eberhard., Penser le pluralisme juridique de maniére pluraliste - Défi pour une théorie interculturelle du droit, cit., p. 7.

173. J. Vanderlinden, Réseaux, pyramide et pluralisme.

174. Per una ricostruzione del modello della Moore si veda il paragrafo 1.4.2.3.

175. Per Roderik Macdonald il campo giuridico si presenta come una sorta di iceberg, in cui la parte emergente corrisponde alle norme di diritto positivo, mentre quella sommersa risulta collegata ai presupposti taciti che orientano la vita di ogni gruppo.

176. R. Motta Teorie del diritto primitivo: un'introduzione all'antropologia giuridica, cit., p. 352.

177. R. A. Macdonald, Critical Legal Pluralism as a Costruction of Normativity and Emergence of, Law, Montréal, Ottawa, Canadien Istitute for Avanced Reserch, 1995, p. 22.

178. Il punto di partenza della riflessione di Masaji Chiba è l'insufficienza delle categorie elaborate dalla scienza giuridica occidentale per comprendere i sistemi non appartenenti alla Western Legal Tradition: sorge quindi la necessità di proporre una lettura del diritto da un punto di vista non-occidentale. "A noi non occidentali, ad esempio, rincresce l'indifferenza generale degli studiosi occidentali nei confronti dei propri esempi di pluralismo giuridico, fatta eccezione, in tempi recenti, per un crescente interesse nei confronti delle loro culture giuridiche." estratto da: Una definizione operativa di cultura giuridica nella prospettiva occidentale e non occidentale, in Concetti e norme. Teorie e ricerche di antropologia giuridica, in A. Facchi e M.P. Mittica (a cura di), Franco Angeli, 2000.

179. A. Brighenti, op. cit.

180. Masaji Chiba, quando parla di diritto fa riferimento ad una nozione operativa di questo. Per l'autore il diritto è: "l'intero sistema di una norma sociale -o i suoi fattori costitutivi-, che sanziona positivamente e negativamente la qualificazione di un certo modello di comportamento come diritto soggettivo e della corrispondente responsabilità per il modello di comportamento attribuito come dovere, poiché è sostenuto da un insieme particolare di valori e di idee, da un lato, e dalla legittima autorità/potere di una determinata unità sociologica, dall'altro." M. Chiba, Una definizione operativa di cultura giuridica nella prospettiva occidentale e non occidentale, cit., pp. 76-77.

181. Nell'opera di Masaji Chiba il concetto di cultura giuridica assume una rilevanza centrale, infatti l'autore parte dalla ricerca di una definizione operativa di cultura giuridica, che sia applicabile all'analisi dei casi concreti sottoposti alla sua attenzione, lasciando da parte concetti di forma e struttura giuridica che rinveniamo in autori come De Sousa Santos o Venderlinden. Il progetto ambizioso di Chiba è quello di ricercare una nozione di cultura giuridica che sia capace di interpretare la realtà tanto occidentale che non.

182. M. Chiba, Una definizione operativa di cultura giuridica nella prospettiva occidentale e non occidentale, in "Sociologia del diritto", n. 3, 1999, p. 81.

183. M. Chiba, Other Phases of Legal Pluralism in the Contemporary World, in "Ratio Juris", 11, 1998, p. 239.

184. Sul punto si veda: A. Facchi, I diritti nell'Europa multiculturale: Pluralismo normativo e immigrazione, Laterza, Roma-Bari, 2001.

185. Società multiculturale è una locuzione di difficile definizione rispetto alla quale il dibattito in dottrina è aperto e in continua evoluzione, infatti dipende dalla nozione di cultura alla quale si intende aderire. Molti autori considerano la società multiculturale come la coesistenza, in uno stesso luogo, di individui e gruppi caratterizzati da una propria cultura, connotando questa ultima in termini reificati, riconducendola alla diversità linguistica e religiosa. Sul punto si veda: L. Mancini, Società multiculturale e diritto. Dinamiche sociali e riconoscimento giuridico, CLUEB, Bologna, 2000; W. Kymilicka, Multicultural Citizenship: A Liberal Theory of Minority Rights, Oxford University Press, Oxford 1995, trad. it., Il Mulino, Bologna, 1999. Questa è la tendenza che prevale anche a livello internazionale, dove sempre più atti si muovono verso il riconoscimento di diritti a gruppi connotati da una appartenenza linguistica o religiosa.

186. A. Brighenti, op. cit.

187. A. Facchi, I diritti nell'Europa multiculturale: Pluralismo normativo e immigrazione, cit.

188. A. Gutman, La sfida del multiculturalismo all'etica politica, in "Teoria politica", n. 3, 1993, p. 15.