ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo VI
L'amministrazione delle aziende sequestrate e confiscate

Pasquale Tancredi, 2010

Premessa: Alcuni casi di amministrazione di aziende sequestrate e confiscate

Di seguito abbiamo tentato di ricostruire le difficoltà di tipo strutturale, economico e burocratico che incontra un'impresa mafiosa, una volta che essa viene sottratta al circuito criminale ed immessa in un percorso di legalità. Per questo sono state intervistate alcune persone che nella loro esperienza diretta hanno seguito le vicende di aziende sequestrate e confiscate.

La prima intervista è stata realizzata a due Amministratori giudiziari, gli Avvocati Aulo Gabriele Gigante e Gaetano Cappellano Seminara (1), i quali hanno acquisto un'esperienza pluriennale in tema di amministrazione di aziende sottoposte a sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p. o assoggettate a sequestro ex lege 575/65. Con gli Amministratori abbiamo ripercorso le criticità che si incontrano nella gestione di un complesso aziendale sottoposto a sequestro e/o confisca.

Le altre due interviste, invece, riguardano due casi specifici di aziende confiscate. La prima è stata realizzata a Giacomo Messina, Presidente della cooperativa di lavoratori a cui è stata affittata, ai sensi dall'art. 2 undecies, comma 3 lett. a), l. 575/65, l'azienda "Calcestruzzi Ericina-Libera", in provincia di Trapani. Tale azienda è una delle due aziende confiscate in Italia ad essere stata affittata alla cooperativa di lavoratori. La peculiarità, inoltre, è che essa fa parte del progetto "Libera Terra", il primo su un'azienda confiscata, e quindi si ispira a quei valori che abbiamo visto in precedenza.

La seconda intervista è stata rilasciata da Andrea Giolitti, referente fiorentino dell'associazione "Libera", che ha seguito da vicino la significativa vicenda di un'azienda agricola, la "Suvignano SrL", confiscata a Monteroni D'arbia in provincia di Siena.

1 Le aziende in amministrazione giudiziaria. Il punto di vista degli Amministratori

Quando si parla di amministrazione giudiziaria bisogna precisare prima di tutto che essa colpendo imprese di diversa tipologia, quali ad esempio quelle edili, agricole, commerciali, industriali e dei servizi, deve necessariamente avvalersi di un staff multidisciplinare. L'amministratore giudiziario, quindi, per poter portare avanti il suo compito avrà bisogno dell'ausilio di professionisti ed esperti del settore in cui si è chiamati ad operare.

Secondo presupposto fondamentale dell'amministrazione giudiziaria è il rispetto assoluto della legalità. "L'Amministratore è, infatti, colui che nell'interesse dell'Autorità giudiziaria e dello Stato deve trasmettere e veicolare la produzione e la commercializzazione in legalità" (2). La gestione giudiziaria, pertanto deve recidere tutti quei rapporti e quei vantaggi che la precedente gestione mafiosa aveva conferito all'attività imprenditoriale. Quindi si è tenuti a rifiutare le forniture che, per esempio, abbiano provenienze sospette, oppure contatti con ambiti commerciali che siano, comunque, gestiti o controllati dalla criminalità organizzata. Il compito è proprio quello di sanare tutte quelle situazioni di illegalità presenti nell'azienda. Molto interessante è il caso emblematico che ha raccontato l'avv. Gigante. E' accaduto, infatti, che contestualmente alla sua nomina come amministratore di un'azienda di calcestruzzi è stato denunciato dalla Guardia di finanza a causa del mancato rispetto della normativa ambientale da parte dell'azienda. Ovviamente il procedimento è stato archiviato ma occorre riflettere sul fatto che una volta intervenuto il decreto di sequestro, l'azienda viene sottoposta a qualsiasi tipo di controllo e "l'Amministratore giudiziario diviene di fatto il "parafulmine" chiamato a sanare tutte le situazione di illegalità eventualmente presenti nell'attività imprenditoriale" (3).

Nel momento in cui l'Amministratore giudiziario ed il suo staff si immettono nella gestione delle aziende sequestrate e/o confiscate la situazione che si trovano davanti è piuttosto complessa. "L'adozione di una misura cautelare applicata a complessi aziendali provoca il medesimo effetto di una deflagrazione" (4). Infatti, i dipendenti vanno in fibrillazione, temendo per il prosieguo del rapporto di lavoro, i clienti si allarmano e cercano di dirottare altrove le commesse, i fornitori reclamano immediatamente il saldo dei crediti, il ceto bancario è solito preannunciare la revoca degli affidamenti, sollecitando l'immediato rientro, i mass media suscitano clamore, ingenerando nei più la convinzione che l'azienda assoggettata a sequestro, chiuda i battenti.

Passaggio preliminare per la gestione di un complesso aziendale è quello di individuare quale sia l'oggetto del decreto di sequestro. Se ad esempio, vengono sequestrate le azioni di una SpA questo non implica necessariamente che venga posto sotto misura cautelare l'intero complesso aziendale. Infatti, può tranquillamente accadere che l'Amministratore giudiziario si immetta nel possesso di beni immateriali quali sono le quote societarie, dovendo, quindi, confrontarsi con gli esistenti organi sociali, cioè il collegio sindacale, il consiglio di amministrazione o l'amministratore unico. Nell'impresa mafiosa poi, può capitare che i soggetti facenti parti di detti organi sociali siano sottoposti a qualche misura restrittiva della libertà personale poiché riconducibili all'associazione mafiosa, ovvero, siano latitanti. Diventa così difficile amministrare la società poiché si è impossibilitati a convocare un'assemblea dei soci. In questi casi allora occorre rivolgersi al Tribunale e far designare, attraverso una procedura di volontaria giurisdizione, il soggetto che convoca l'assemblea e la presiede, oppure, occorre stimolare le dimissioni di questi soggetti per poi nominare un nuovo CdA.

In realtà, proseguono i due Amministratori, capita molto più spesso che vengano sequestrate imprese mafiose sotto forma di SrL. La criminalità organizzata, infatti, preferisce tale assetto societario sia perché l'investimento iniziale è minore, visto che il capitale minimo richiesto è di 10.000 €, sia perché la sua funzionalità è maggiore rispetto a quella della SpA, non è infatti richiesta la presenza di un collegio sindacale, e, anche da un punto di vista fiscale vi sono meno oneri. In genere, tali società vengono intestate a familiari incensurati o alle cosiddette "teste di legno", per così celare il vero proprietario e sottrarre la società al rischio di essere sottoposte a misure di prevenzione patrimoniale. A tal proposito viene riferito il caso della più grossa misura di prevenzione patrimoniale mai emessa in Italia, oggi conclamata in confisca definitiva, applicata ad un costruttore palermitano, Vincenzo Piazza. In questo caso il Tribunale, nel 1994, dispose sia il sequestro delle quote sociali di alcune SrL facenti capo a questo soggetto sia la sospensione degli amministratori ai sensi dell'art. 3 quater, l. 575/65. L'imprenditore mafioso, infatti, aveva costituito una serie di SrL con oggetto sociale l'attività edilizia, e, con ciascuna di esse aveva realizzato un'iniziativa imprenditoriale diversa. Così facendo, ed intestando le varie società a familiari o "teste di legno", ha cercato di schermare le società, di frazionare il rischio di impresa e di impedire la sottoposizione delle aziende a misura patrimoniale. Con il sequestro sono stati ricostruiti gli organi sociali delle società in questione, rimasti gli stessi anche dopo la confisca definitiva del 2007. Tale provvedimento di sequestro, poi, si è caratterizzato dal fatto di rivolgersi esclusivamente alle quote rappresentative dell'intero capitale sociale, con esclusione dell'ingente patrimonio immobiliare rimasto iscritto al bilancio delle società tra le immobilizzazioni immateriali ovvero tra le rimanenze.

Oggi tutto il compendio aziendale facente capo a Vincenzo Piazza, nel corso degli anni è stato sequestrato e confiscato, confluendo, in esito all'operazione di fusione per incorporazione, ex art. 2501 ter c.c., in un unica società, la "Immobiliare Strasburgo SrL", con un unico proprietario, l'Erario, ed un unico CdA. Tale strumento di concentrazione ha consentito di abbattere i costi di gestione amministrativo-contabili e al contempo ottimizzare l'integrazione delle fasi produttive al fine di conseguire economie di scala.

Per comprendere, poi, ciò che è richiesto all'Amministratore Giudiziario è necessario effettuare una distinzione fra provvedimenti che implicano attività meramente conservative (custodie giudiziarie in senso stretto) e quelli che necessitano, invece, di attività gestorie (amministrazioni giudiziarie). Di sicuro non è sufficiente il nomen iuris per discriminare fra i due genus: a titolo esemplificativo il custode di un'azienda (ovvero di singoli beni) sottoposti a sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p. o ex lege 575/65, non può e non deve limitarsi ad una statica attività volta alla tutela della loro integrità ma, piuttosto, deve preoccuparsi di conservarne e, se possibile, incrementarne il valore economico. Quindi, compito fondamentale del Custode/Amministratore dei beni oggetto di sequestro giudiziario (come, d'altronde, di qualsiasi custode di beni o, ancora più in generale, di qualsiasi altra amministrazione giudiziaria) è, in linea generale, quello di conservare ed amministrare, quale organo ausiliario di giustizia (sicché nell'esercizio della funzione gli va riconosciuta la qualifica di "pubblico ufficiale"), i beni affidatigli, sostituendosi al loro titolare, al fine di preservarne e, se possibile, incrementarne il valore economico.

Detto questo, l'Amministratore Giudiziario ricevuta la notifica del decreto di sequestro, è chiamato a compiere diverse attività. Innanzitutto dovrà prendere possesso dell'azienda e valutare il personale dipendente. Questo è un altro punto fondamentale. I lavoratori dipendenti dell'azienda mafiosa si trovano spesso in una situazione di irregolarità e quindi occorre sanare questa situazione assumendoli con regolare contratto. Una volta effettuata la regolare assunzione, occorrerà emanare degli ordini di servizio in virtù dei quali specificare i compiti e le responsabilità di ciascuno. Certo questa operazione non sarà sempre possibile, visto che in alcuni casi le aziende e gli annessi dipendenti risultano delle mere coperture di attività illegali che hanno poco a che fare con iniziative imprenditoriali lecite.

Dopodiché bisogna intrattenere i rapporti con il ceto dei fornitori. Per esempio è necessario controllare la presenza di assegni post-datati, a cui gli imprenditori fanno spesso ricorso. Infatti, se tali assegni venissero posti all'incasso, finirebbero per essere protestati per difetto di firma. Occorre poi effettuare la ricognizione dei ben aziendali, delle rimanenze di merci, materie prime e prodotti finiti, attraverso un inventario analitico.

Altrettanto importante è la contestuale verifica dei contenziosi: civili, amministrativi e tributari pendenti, per evitare di incorrere in preclusioni e/o decadenze di termini. Inoltre, ci sarà la necessità di ottemperare alla revisione contabile delle scritture, con particolare riferimento ai crediti, ai debiti ed alle disponibilità finanziarie. Fondamentale è anche controllare le dichiarazioni obbligatorie ai fini fiscali e previdenziali e comunicare all'Agenzia delle entrate ed agli Istituti di credito e Previdenziali l'adozione della misura cautelare.

La possibilità di accedere al credito è fondamentale per il proseguo dell'attività imprenditoriale, per cui occorre riavviare i contatti con le società bancarie ed eventualmente aprire nuovi rapporti bancari per meglio rendere conto delle attività di gestione. Per quanto poi riguarda l'attività produttiva, bisogna verificare la possibilità di proseguire l'attività aziendale secondo virtuosi percorsi di economicità. Occorre, infatti, salvaguardare i livelli occupazionali e al contempo verificare e, se possibile, migliorare il ciclo produttivo, istituendo, tra l'altro, un registro delle operazioni. Visto il clamore che suscita un provvedimento di sequestro di un'azienda occorre senz'altro rassicurare la clientela circa il prosieguo dell'attività aziendale. Infine, all'Autorità giudiziaria devono essere segnalati eventuali beni sfuggiti al sequestro.

Altro punto fondamentale è capire cosa significhi, in concreto, la differenziazione tra ordinaria ed straordinaria amministrazione, così come prevista dall'art. 2 septies, l. 575/65. L'opinione degli intervistati è che è da considerarsi pacifica la possibilità che l'Amministratore Giudiziario compia "atti di disposizione" dei beni affidatigli, non solo allorquando ciò sia necessario ma anche nell'ipotesi in cui ciò si rilevi opportuno al fine di salvaguardare il valore economico in funzione del quale ne è stato disposto il sequestro. La concreta delimitazione dei compiti del Custode/Amministratore ed i criteri alla cui stregua essi devono essere svolti, spetta, in ogni caso, al Giudice della cautela, il quale è tenuto a stabilire i criteri ed i limiti dell'amministrazione delle cose sequestrate, con lo stesso provvedimento a valere del quale è disposta la misura cautelare reale a valenza patrimoniale, ovvero con successivi provvedimenti, allorquando si ravvisi l'esigenza che i criteri ed i limiti della custodia debbano essere integrati o modificati per adeguarli alla fattispecie concreta. Sarà, pertanto, il giudice "delegato" alla misura cautelare reale, a stabilire quali atti il custode dei beni oggetto di sequestro giudiziario può compiere da solo e quali atti, invece, possano essere effettuati subordinatamente all'acquisizione della specifica autorizzazione. In mancanza di direttive del giudice, il Custode/Amministratore sarà legittimato a compiere gli atti di ordinaria amministrazione del bene sequestrato ovvero quegli atti, anche di straordinaria amministrazione e di disposizione che per loro natura si rivelino indilazionabili (es. vendita di beni immediatamente deperibili), mentre per gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione avrà bisogno della previa autorizzazione del giudice della custodia. Per stabilire, poi, se una determinata attività sia da qualificarsi di "ordinaria amministrazione" ovvero "eccedente l'ordinaria amministrazione", dovrà aversi riguardo non solo all'intensità degli effetti economico-giuridici di essa, ma anche alla natura del bene sequestrato. E', infatti, difficile enucleare criteri distintivi aventi valenza generale, anche se ovviamente dovranno considerarsi eccedenti l'ordinaria amministrazione gli atti traslativi o costitutivi di diritti reali sui beni sequestrati, così come, di converso, in giurisprudenza si è ritenuta eccedente l'ordinaria amministrazione, l'omissione, da parte del custode, degli atti necessari ad impedire la rinnovazione tacita di rapporti la cui instaurazione ecceda l'ordinaria amministrazione.

E' emerso che da questo punto di vista la legge è carente, occorrerebbe un impianto normativo migliore, che permetta di gestire con più flessibilità i complessi aziendali in amministrazione giudiziaria. Gli intervistati portano l'esempio di una società che ha come oggetto sociale la compravendita di immobili. Si chiedono, infatti, "posso ritenere che l'alienazione di tali beni rientri nell'ordinaria amministrazione oppure è necessario avvalersi di un provvedimento autorizzativo così come previsto dall'art. 2 septies l. 575/65? E poi, se sono sottoposte a sequestro le quote di una società e non i suoi beni, l'amministratore giudiziario può chiedere lo stesso al Giudice l'autorizzazione a vendere gli immobili?"

Altro punto cruciale è che un'azienda sottoposta ad amministrazione giudiziaria, molto spesso, finisce in liquidazione oppure in fallimento. "La legalità ha un costo che molto spesso non ti consente di essere competitivo sul mercato" (5). Bisogna, infatti, immaginare che la precedente gestione mafiosa oltre ad avvalersi delle condizioni di intimidazione che l'hanno avvantaggiata sul mercato, è ricorsa anche a tutta una serie di violazioni di legge o elusioni della stessa che le hanno permesso di abbattere i costi in maniera considerevole. L'amministratore giudiziario, invece, è chiamato ad ottemperare a tutte le prescrizioni che la legge impone a seconda della tipologia di azienda che si trova ad amministrare. L'obietto, infatti, è quello di mantenere l'equilibrio economico finanziario dell'impresa, e, ove possibile incrementare la redditività. Si riesce a mantenere in vita un'attività imprenditoriale grazie al fatto che l'azienda sottoposta ad amministrazione giudiziaria può rinunciare all'utile di impresa, condizione che permette così di colmare quel gap iniziale che si ha rispetto alle altre aziende, mafiose ed anche non, che possono di fatto accettare anche il rischio di non rispettare od eludere le normative, abbattendo i costi.

Queste sono le difficoltà che deve affrontare un'Amministrazione giudiziaria di un'azienda sequestrata e/o confiscata. Anche la recente istituzione dell'Agenzia nazionale per i beni confiscati (6), che di fatto si andrà a sostituire agli Amministratori giudiziari, appare inadeguata al compito gestionale. "Come si può pensare di gestire un migliaio di misure di prevenzione patrimoniale con un organico di sole 30 persone? Basti pensare che il nostro studio di Palermo, che si occupa esclusivamente di gestione dei patrimoni sequestrati e confiscati, è composto da 30 persone, più 60 collaboratori esterni" (7). Questo perché l'Amministrazione Giudiziaria di una realtà imprenditoriale comporta l'imprescindibile esigenza di "vivere" l'Azienda, nel senso che l'Amministratore Giudiziario e, con egli lo staff multidisciplinare di professionisti che dovrà necessariamente affiancarlo, deve surrogarsi all'imprenditore destinatario della misura cautelare, senza soluzione di continuità, evitando di arrecare perturbamenti irreversibili nella conduzione dell'attività imprenditoriale stessa.

Per quanto riguarda, infine, la scelta professionale di svolgere il compito di Amministratore giudiziario, la risposta è stata chiarissima. Tale attività diviene quasi una scelta di vita, che implica una decisione forte e coerente. Gli intervistati hanno scelto, infatti, di stare dalla parte delle legalità e di occuparsi esclusivamente di questa materia rinunciando ad una parallela carriera da liberi professionisti, sicuramente più remunerativa, per scongiurare il rischio di venire a contatto con soggetti che in qualche modo possano essere riconducibili ai sodalizi mafiosi di cui magari gestiscono i patrimoni. Insomma si vuole evitare che l'Amministratore si trovi in situazioni di conflitto di interessi, scegliendo di stare esclusivamente dalla parte dello Stato e dell'Autorità giudiziaria.

2 La cooperativa "Calcestruzzi Ericina-Libera". Il punto di vista del suo Presidente, Giacomo Messina

La vicenda della "Calcestruzzi Ericina" comincia nel 1991, quando gli impianti già esistenti vengono acquistati da una società, la "Calcestruzzi Ericina SrL", facente capo al boss mafioso Vincenzo Virga. Solo qualche anno più tardi, nel 1994, vengono sottoposte a sequestro le quote della società, e, nel 1996 viene sequestrata l'intera azienda con tutti i suoi impianti. Durante questa fase ovviamente vi era grossa preoccupazione da parte dei lavoratori per le sorti dell'azienda e per il posto di lavoro. Un'attenta amministrazione giudiziaria ha permesso che gli impianti rimanessero produttivi ed che l'azienda mantenesse gli ottimi standard produttivi già raggiunti. Le cose sono però cominciate a cambiare nel 2000, anno in cui l'azienda è stata confiscata in via definitiva. Con il provvedimento di confisca definitivo si è avuto un crollo delle commesse di circa il 50% e si è passati da 2.200.000 €di fatturato ad 1.100.000 €. La magistratura ha accertato che si era innescato un meccanismo di boicottaggio orchestrato dall'organizzazione mafiosa perché l'azienda divenuta di proprietà dello Stato non doveva più lavorare. Durante il sequestro la criminalità organizzata, infatti, aveva tutto l'interesse che l'azienda continuasse a lavorare poiché era sottoposta a misura cautelare e quindi vi era ancora la possibilità che venisse restituita agli originari proprietari, e quindi al sodalizio criminale. Nel momento in cui è intervenuta la misura ablatoria definitiva ed ancor più dopo l'arresto del proprietario Vincenzo Virga, nel 2001, si è attuato un boicottaggio totale dell'impresa. Addirittura si è arrivati al punto che non venivano più a richiesti neanche i preventivi per possibili lavori. Dalle intercettazione della magistratura è emersa la chiara volontà, soprattutto dopo l'arresto del boss, di far svalutare al massimo l'impresa e di farle sfiorare il fallimento per così riuscire a ricomprarla nel momento in cui l'Agenzia del demanio avesse deciso di metterla in vendita. E' addirittura emersa una presunta complicità di un funzionario dell'Agenzia del Demanio che stimò al ribasso il valore della Calcestruzzi, solo 400 mila euro, per favorire l´imprenditore scelto dalle cosche.

Durante questo periodo così difficile vi è stato l'intervento molto importante dell'ex Prefetto di Trapani Fulvio Sodano, il quale si è speso con tutte le sue energie affinché gli altri imprenditori venissero a rifornirsi presso tale azienda, visto che, anche durante l'amministrazione giudiziaria, essa aveva mantenuto un'ottima qualità produttiva. Ciò che ha salvato l'impresa dal fallimento è stata l'aggiudicazione, nel 2002, di una grossa fornitura per i lavori nel porto di Trapani.

Nel 2004 è cominciato un percorso di riconversione dell'azienda grazie all'incontro con l'associazione "Libera". La volontà era quella di far sì che l'azienda rimanesse nelle mani dei lavoratori, persone che hanno sempre lavorato per la "Calcestruzzi" anche prima che l'impresa venisse acquistata dalla compagine societaria mafiosa. In secondo luogo, si presentava l'esigenza di rinnovare la produzione. Sono stati così realizzati due importati obiettivi. Il primo è stato quello di rinnovare gli impianti di produzione del calcestruzzo; il secondo è stato quello di realizzare, accanto alle strutture completamente rinnovate per la produzione di calcestruzzo, un impianto di riciclaggio di inerti tecnologicamente all'avanguardia per il nostro Paese. Si è voluto costituire una vera e propria filiera imprenditoriale, che consente di recuperare materiali altrimenti destinati a finire in discarica, o peggio ancora abbandonati nell'ambiente, e di trasformarli in una risorsa. Nel 2008 si è costituita la cooperativa di lavoratori che è ancora in attesa del contratto di affitto di impresa da parte dell'Agenzia del demanio. Nel febbraio 2009, infine, è entrato in produzione il nuovo impianto. È un importante risultato reso possibile dall'azione comune della Prefettura di Trapani, di Forze dell'ordine e Procura della Repubblica, dell'Agenzia del Demanio e della Regione siciliana, dall'impegno costante di Libera, dal contributo di Unipol Banca e Unipol Gruppo Finanziario, di Anpar (8) e Legacoop. Sicuramente non dobbiamo poi dimenticare la passione e il senso di responsabilità di chi ha amministrato l'azienda per conto dello Stato e di chi ha continuato a lavorarci nonostante le difficoltà.

Al momento di reperire le risorse per questo progetti sono venuti fuori alcuni i limiti della legge 109/96. Essa prevede, infatti, che l'azienda possa essere affittata ad una cooperativa di lavoratori costituita dai lavoratori dell'impresa stessa ma senza oneri per lo Stato. Lo Stato, quindi, non può intervenire a supporto di queste realtà imprenditoriali, e di fatto tale disposizione ha rischiato di far saltare l'intero progetto. Nonostante questo, sono stati investiti 2,5 milioni di euro per il nuovo impianto. Di questi 700 mila euro provengono da un mutuo ventennale concesso da Unipol senza garanzie, grazie anche alla intermediazione del Presidente di "Libera", Luigi Ciotti. Altri 219 mila euro sono frutto di un escamotage studiato dall'amministratore giudiziario Luigi Miserendino per ovviare alla legge che non consente allo Stato di finanziare le aziende confiscate. Si è studiato, infatti, di inserire nella compagine societaria un´altra azienda in amministrazione giudiziaria, la "Immobiliare Strasburgo SrL" di Palermo confiscata al costruttore Vincenzo Piazza, ottenendo l'aumento di capitale appena visto. Grazie a quest'ultimo aumento di capitale vi è stata la possibilità di accedere ai Fondi regionali (POR) ottenendo un finanziamento di altri 1,13 milioni di euro. Infine, altri 500 mila euro erano presenti nel fondo aziendale; a questi si aggiungono altri 30.000 euro con cui si è costituito, grazie alle anticipazioni delle liquidazioni dei lavoratori, un minimo di capitale sociale per la cooperativa. E' in atto un grande sforzo da parte della cooperativa di lavoratori, soprattutto per il pagamento di un mutuo su beni che non sono di nostra proprietà ma sono solo in affitto.

Da questa vicenda vengono fuori alcuni limiti della legislazione rispetto al tema delle aziende confiscate. "I beni aziendali costituiscono il fanalino di coda della questione dei beni confiscati alle mafie" (9). Basti pensare, ad esempio, che i fondi PON sono destinati ai Comuni od ai Consorzi di Comuni per la gestione degli immobili confiscati mentre per le aziende confiscate non vengono stanziati fondi e risorse per permettere la continuazione della loro attività e la salvaguardia dei posti di lavoro. Purtroppo non vi è abbastanza sostegno alle aziende confiscate una volta che queste siano state destinate. Il punto cruciale è cosa accade nel post destinazione. Il bene aziendale produce anche legalità e quindi crea contrasto e difficoltà alle imprese che operano nell'illegalità. Questo può avvenire anche con il sostegno da parte dello Stato, che in qualche modo dovrebbe agevolare progetti di riavviamento economico di queste aziende ma anche, stante le parole dell'intervistato, delle amministrazioni locali, che spesso, invece, "vedono la presenza sul proprio territorio di un'azienda confiscata quasi come una disgrazia e non come una risorsa. I Comuni, ad esempio, potrebbero sostenere indirettamente tali imprese, considerando il rifornimento e l'affidamento di commesse a quest'ultime. Anche l'istituzione della nuova Agenzia nazionale sembra andare, purtroppo, nella stessa direzione, cioè non occuparsi di cosa accade alle aziende una volta che queste siano state destinate".

3 L'azienda agricola "Suvignano SrL". Una vicenda in attesa di definizione

La "Suvignano Srl" è un'azienda agricola, le cui quote sono state sequestrate nel 1996 a Vincenzo Piazza, immobiliarista di cosa nostra, e, confiscate in via definitiva nel 2007. Il complesso è costituito da una superficie agraria di circa 713 ettari, in cui vi sono tredici immobili (case coloniche), un fabbricato (l'ex magazzino), una vecchia fornace (ora adibita ad officina aziendale), una villa padronale ed un fabbricato con tanto di chiesa. Prima che l'azienda venisse gestita dall'Amministrazione giudiziaria si trovava praticamente in uno stato di semi abbandono. Questo perché tale struttura veniva per lo più utilizzata da Vincenzo Piazza come residenza estiva e come riserva di caccia.

Una volta intervenuta l'Amministrazione giudiziaria tale complesso è stato rivalutato. L'amministratore giudiziario ha costituito un tavolo tecnico costituito da soggetti della Regione Toscana, della Provincia di Siena, dell'Università di Pisa e dell'Istituto zootecnico siciliano. Tale tavolo ha così realizzato una strategia di impiego e di valorizzazione del bene. Si è realizzato una serie di migliorie utilizzando risorse provenienti da altre aziende confiscate, così come appena visto per il caso della "Calcestruzzi Ericina". Si è, infatti, ristrutturato gli immobili e i fabbricati presenti, sono stati coltivati 570 ettari a grano duro, orzo e avena, è stato realizzato un allevamento di ovini e suini, si è avviata la produzione di latte d'asina (utilizzato in alcuni settori sanitari), è stata avviata un'attività di agriturismo con 38 posti letto. Per quanto riguarda i dipendenti, attualmente sono presenti 4 dipendenti a tempo indeterminato tra cui un dirigente, 5 dipendenti a tempo determinato, 3 lavoratori con rapporto di soccida. Attualmente, dalla stima dell'Agenzia del demanio, la struttura ha un valore di circa 30 milioni di euro.

Le vicissitudini di questo bene sono cominciate nel 2007, anno della sua confisca definitiva. L'azienda, nonostante sia stata ben riavviata e gestita secondo criteri di buona economia dall'amministrazione giudiziaria, non ha ancora trovato una destinazione definitiva. A seguito della confisca definitiva, il comune di Monteroni d'Arbia insieme alla Provincia di Siena e alla Regione Toscana hanno presentato una proposta di gestione e di valorizzazione che tiene conto degli sviluppi dell'azienda sotto il profilo agricolo, turistico, venatorio, e soprattutto sociale, calibrato in relazione allo strumento di gestione. Inoltre le associazioni "ARCI" e "Libera" si sono proposte come partner di riferimento per il progetto relativo a "La Fattoria Didattica della Legalità". Anche la USL 7 ha manifestato l'interesse concreto e formale ad utilizzare uno o più poderi per ospitare un centro di accoglienza per minori e donne maltrattate.

La proposta di gestione prevede, anche, la disponibilità ad una collaborazione con l'Istituto zootecnico siciliano con cui l'Amministratore giudiziario aveva stipulato un protocollo di intesa per l'allevamento di alcune razze autoctone, il quale ha presentato, anch'esso, la sua candidatura all'assegnazione.

Dopo vari dubbi interpretativi il Demanio ha stabilito che il regime normativo da applicare è quello relativo ai beni aziendali, che non consente l'assegnazione diretta del patrimonio agli Enti locali ma solo l'affitto aziendale o la vendita. Secondo l'Agenzia del demanio, infatti, trattandosi di una confisca che riguarda le sole quote del capitale sociale e non i singoli beni immobili intestati alla società, si potrà applicare la sola disciplina riguardante le aziende confiscate (art. 2 undecies, comma 3, l. 575/65) e non quella riguardante gli immobili.

Nel corso del 2008 si sono succeduti vari incontri interistituzionali presso la Prefettura di Siena e presso l'Agenzia del demanio di Roma dai quali era scaturita la possibilità di assegnazione del bene come bene immobile, dopo che fosse avvenuta una liquidazione societaria, i cui debiti fossero assolti dagli Enti futuri assegnatari del bene. Per ottenere la certezza che questa strada fosse percorribile l'Agenzia del demanio ha richiesto un parere all'Avvocatura di Stato in data 22 agosto 2008. Il parere non riguarda nello specifico l'Azienda Agricola di Suvignano, che è solo una piccola parte di tutto il patrimonio confiscato, ma è riferito anche alle proprietà site in Palermo, appartenenti alla "Immobiliare Strasburgo SrL". A tutt'oggi, nonostante vari solleciti effettuati dallo stesso Demanio, il parere non è ancora arrivato. Comunque, nel corso di tale incontri, il Demanio aveva sempre ribadito che la destinazione avrebbe dovuto contemplare un forte coinvolgimento degli Enti territoriali toscani e il riuso sociale del bene, per cui era sempre stata scartata l'ipotesi della vendita.

Con l'entrata in vigore della legge n. 94 del 15 luglio 2009 avente per oggetto "Disposizioni in materia di sicurezza pubblica", all'art. 2, comma 20, è stato stabilito che la destinazione dei beni immobili e dei beni aziendali sia effettuata con provvedimento del Prefetto e non più dell'Agenzia del Demanio, su proposta non vincolante della stessa.

A seguito di questo cambiamento normativo l'Agenzia del demanio ha inviato la sua proposta al Prefetto di Siena prevedendo come unica strada possibile, per procedere all'assegnazione del bene, la vendita per un valore di circa 30 milioni di euro e dichiarando che l'Avvocatura dello Stato non esprimerà mai il parere su una questione del genere e quindi è inutile attenderlo.

Gli enti Locali ritengono che tale scelta sia un precedente estremamente pericoloso in quanto non garantisce rispetto al ritorno dell'azienda "in mani sbagliate" e soprattutto disattende completamente il principio ispiratore della norma che è quello teso a dare un'utilità a fini pubblici dei beni confiscati.

"Sul bene, quindi, non si è mai avviata un'azione coerente" (10). In questa vicenda c'è stato un grosso equivoco di fondo. Si è cercato di trovare, da parte di Enti locali ed Associazioni, una destinazione sociale per un bene confiscato che immobile non è. Un'azienda confiscata, infatti, deve trovare un altro tipo di destinazione, è la legge stessa che lo prescrive. Per questo erano stati anche avviati, da parte dell'intervistato, i contatti con l'Amministratore giudiziario del bene per presentargli un gruppo di competenza, composto da esperti nel settore industriale, finanziario e di marketing. Tale gruppo di lavoro si era focalizzato sul fatto che un'azienda confiscata alla mafia deve in primo luogo funzionare economicamente. Dopodiché deve perseguire anche una funzione sociale, che però non deve essere sostenuta dalle risorse pubbliche ma dall'attività dell'azienda stessa. E' importante, in questo senso, dare un segnale di funzionamento virtuoso. Il gruppo di esperti ha poi acquisito una documentazione preliminare e, viste le problematiche presenti sul bene è stato ritenuto che per poter agire concretamente fosse necessario l'appoggio di un soggetto forte, quale l'associazione "Libera". I contatti con "Libera" sono stati così avviati e si è prospettato un percorso che prevedeva la costituzione di un organismo di controllo e di un gruppo di lavoro, e, la progettazione e pianificazione di un piano industriale. Tale piano avrebbe ovviamente tenuto conto anche di una visuale sociale. "Libera", nonostante le sollecitazioni, non ha mai dato risposta a questa possibile prospettiva e quindi questo progetto è saltato.

Attualmente la situazione del bene è completamente ferma e complici anche le imminenti elezioni regionali, prosegue l'intervistato, "non c'è un interlocutore politico che possa assumersi delle responsabilità su questa questione. Passeranno ancora dei mesi prima di sapere quale sorte toccherà a questo complesso aziendale". Conclude, poi, il Referente di "Libera" Firenze: "In Italia ci nutriamo moltissimo di retorica. La legge sui beni confiscati è stata un'operazione sacrosanta ed assolutamente basilare. C'è da dire però, che nel momento in cui questa legge è stata approvata è mancata la costituzione di una esperienza sistematica di lavoro che portasse un modello da adottare alle varie esperienze. Sarebbe stato opportuno individuare i punti critici e quelli positivi che emergevano dalle varie situazioni di aziende confiscate, e, soprattutto dare luogo a delle strutture tecniche che fossero in grado di garantire il successo di questi beni sotto due profili: il profilo economico ed il profilo sociale. Dai dati dell'Agenzia del demanio emerge che su 1091 aziende confiscate solo 60 sono quelle ancora attive. Questo dato è tragico e sconvolgente ed è il frutto di quella retorica che dicevo prima. L'indignazione nazionale non doveva esplodere soltanto quando il Governo, nell'ultima finanziaria, ha deciso di mettere in vendita quei beni che non saranno destinati, ma doveva esplodere già di fronte a dati così eclatanti. Il dato comporta una riflessione seria e spregiudicata, nel senso che bisogna smettere di raccontarci "balle" e guardare la realtà. Occorre un cambiamento radicale nella gestione delle imprese confiscate, le quali dovranno sottostare a regole di buona economia e di management nella loro organizzazione e gestione".

Questa vicenda appare per certi aspetti paradossale. Quando l'Azienda è stata posta sotto sequestro, nel 1996, si trovava in una situazione di improduttività, abbiamo visto essere utilizzata come residenza estiva. Grazie all'Amministrazione giudiziaria questa si è rivalutata ed ha cominciato diversi tipi di attività che hanno fatto incrementare notevolmente il suo valore. Sembrerebbe essere quindi un esempio virtuoso di come l'Autorità giudiziaria, attraverso l'Amministratore ed il suo staff, abbia saputo gestire ed incrementare il valore del bene, così come prescritto dallo stesso art. 2 sexies, l. 575/65. A questo punto nasce il paradosso, infatti, una volta che il bene è stato confiscato in via definitiva sono nati dei conflitti sulla possibile destinazione. Da un lato, l'Agenzia del demanio ha individuato come unica possibilità quella della vendita, poiché l'affitto sarebbe troppo gravoso per il potenziale affittuario per il mantenimento degli attuali standard economici e produttivi. Dall'altro, gli Enti pubblici e le Associazioni coinvolte hanno cercato di promuovere un riutilizzo sociale ed istituzionale di un bene aziendale, per scongiurare, tra l'altro, il rischio di possibili infiltrazione durante la vendita. Occorrerebbe ripensare alla legge 109/96 nella parte che riguarda le aziende confiscate. Magari coinvolgendo direttamente lo Stato e gli Enti locali una volta che le aziende siano state confiscate in via definitiva e vi sia la possibilità concreta che queste proseguano la loro attività di impresa. Si potrebbe, ad esempio, pensare a delle aziende pubbliche ed affittarle, oltre che alle cooperative di lavoratori già presenti, anche a costituende cooperative di soggetti scelti tramite bando pubblico, così come avviene per la gestione di alcuni immobili confiscati. Si potrebbe così coniugare l'aspetto prettamente economico ed industriale con quello sociale.

Note

1. Intervista rilasciata il 17 febbraio a Bergamo, presso un'azienda sottoposta a sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p.

2. Così come dichiarato dall'Avv. Cappellano Seminara.

3. Come ha affermato l'Avv. Gigante.

4. L'avv. Gigante ha così dichiarato.

5. Così ha dichiarato l'Avv. Gigante.

6. Così come concepita nel D.L. 04/2010.

7. Sul punto l'Avv. Cappellano Seminara è stato chiarissimo.

8. L'Associazione Nazionale Produttori di Aggregati Riciclati (ANPAR) nasce nel 2000 dalla volontà di alcuni imprenditori che, a fronte della loro esperienza maturata nel settore del riciclaggio di rifiuti speciali non pericolosi hanno deciso di divulgare la conoscenza acquisita nonché di unire le proprie forze per creare un canale alternativo nel settore della fornitura di materiale edile. ANPAR è pertanto un'associazione di categoria senza alcun fine di lucro né finalità commerciali. La mission dell'Associazione è quelle di diffondere la cultura del riciclaggio dei rifiuti inerti nonché di promuovere la qualità degli aggregati riciclati.

9. Come dichiarato da Giacomo Messina.

10. Come riferito da Andrea Giolitti.