ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo primo
Il quadro normativo internazionale

Daniela Ranalli, 2010

Sommario: Premessa - 1. Le principali Convenzioni O.I.L. in tema di sicurezza sociale dei lavoratori migranti. -2. La Convenzione O.N.U. sui diritti delle persone con disabilità - 3. Le Convenzioni sullo status dei rifugiati e degli apolidi. - 4. La Convenzione europea dei diritti dell'Uomo.

Premessa

A livello internazionale e comunitario sono diversi gli strumenti normativi che stabiliscono un principio di parità di trattamento tra lo straniero (1) e il cittadino nell'accesso alle prestazioni di assistenza sociale; qui verranno esaminati i principali, con il duplice intento da un lato di comprendere quali siano i riflessi applicativi che tali norme ed affermazioni di principio hanno nell'ordinamento italiano, e dall'altro di fornire una ricostruzione organica e il più possibile completa della disciplina del diritto dei cittadini non comunitari di accedere alle prestazioni di sicurezza sociale, che allo stato attuale si presenta piuttosto frammentaria e confusa. A questo scopo si passeranno in rassegna i principali strumenti normativi internazionali che contengono una clausola di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale, a partire dalle Convenzioni O.I.L. sui lavoratori migranti, alla Convenzione O.N.U. sui diritti delle persone disabili, alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

Si esaminerà poi il dato normativo comunitario, mettendo in evidenza l'esplicita contraddittorietà con cui si sancisce il principio di parità di trattamento, mostrando come questo concetto che per definizione dovrebbe avere una valenza assolutamente unitaria, nella prassi trovi un'applicazione diversificata e siano individuabili diverse intensità di parità di trattamento a seconda della categoria del beneficiario. Il trattamento sarà più o meno paritario a seconda dello status, della nazionalità, del titolo di soggiorno del soggetto che chiede la tutela dei propri diritti.

Si farà riferimento inoltre alla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea e della Corte europea dei diritti dell'uomo. Entrambe le Corti hanno avuto un ruolo importante nel progressivo riconoscimento del diritto degli stranieri di accedere alla sicurezza sociale, assumendo tuttavia due punti di vista differenti. La Corte di Giustizia, sebbene abbia dato un contributo essenziale per la progressiva estensione ai cittadini migranti di tutto un corredo di diritti originariamente riservato ai soli cittadini dell'Unione, non si è spinta fino al punto di riconoscere una piena operatività del principio di non discriminazione tra stranieri e cittadini dell'Unione nell'accesso alle prestazioni di sicurezza sociale. In una prospettiva diversa, la Corte di Strasburgo ha garantito efficacemente il diritto dei cittadini migranti di accedere alla sicurezza sociale proprio attraverso un'applicazione piena e generalizzata del principio di non discriminazione in base alla nazionalità. Entrambe le Corti, tuttavia, hanno contribuito ad ampliare la tutela del diritto degli stranieri di accedere alle prestazioni di sicurezza sociale, e attraverso l'anticipazione per via giudiziale di quanto non espressamente sancito a livello normativo, hanno consentito che le istanze di tutela siano state soddisfatte dal basso, attraverso il ricorso del singolo alla tutela giudiziaria.

1. Le principali Convenzioni O.I.L. in tema di sicurezza sociale dei lavoratori migranti

L'Organizzazione internazionale del lavoro ha avuto un ruolo di primo piano nell'affermazione a livello internazionale di una serie di principi fondamentali che hanno orientato le politiche degli Stati aderenti e la disciplina giuridica che questi hanno dato al fenomeno migratorio. In particolare, le Convenzioni n. 97/1949 (2) e n. 143/1975 (3) sono state tra i primi documenti internazionali a definire lo status del lavoratore migrante e a regolare la condizione di tutti i lavoratori occupati negli Stati contraenti, riconoscendo in capo a questi la titolarità di una serie di diritti derivanti dalla condizione stessa di lavoratore, incluso il diritto alla sicurezza sociale (4).

La Convenzione n. 97/1949 impone agli Stati firmatari di applicare agli immigrati legalmente soggiornanti, un trattamento non meno favorevole (5) di quello accordato ai cittadini riguardo importanti aspetti delle condizioni di lavoro e della sicurezza sociale. L'art. 6 definisce l'ambito di applicazione del principio di non discriminazione in base alla nazionalità, che si estende alle condizioni di lavoro, alle prestazioni di assicurazione sociale e al trattamento fiscale. Le condizioni di lavoro includono, oltre la remunerazione e la durata del lavoro, anche gli assegni familiari, quando questi fanno parte della remunerazione, e l'alloggio. Le prestazioni di assicurazione sociale comprendono quelle relative agli infortuni sul lavoro, malattie professionali, maternità, malattia, la vecchiaia, la morte, la disoccupazione e qualsiasi altro rischio coperto da assicurazione sociale in base alla legislazione nazionale.

Lo stesso articolo 6, tuttavia, prevede una riserva e una flessione del principio di non discriminazione per ciò che riguarda le prestazioni pagabili esclusivamente con fondi pubblici e ammette la previsione di disposizioni speciali da parte della legislazione nazionale che possano limitare l'accesso degli stranieri a questa categoria di prestazioni non contributive (6). Ne deriva una tutela piena ed efficace del principio di non discriminazione nei confronti l'immigrato lavoratore, per ciò che riguarda l'accesso a prestazioni finanziate mediante meccanismi contributivi, mentre si ammettono delle limitazioni all'operatività del principio nei confronti dell'immigrato non lavoratore in relazione all'accesso a prestazioni assistenziali, finanziate dalla fiscalità generale.

La formulazione del principio di parità di trattamento prescinde da qualsiasi condizione di reciprocità.

La Convenzione n. 102/1952 (7) impone agli Stati contraenti l'adozione di norme minime in materia di sicurezza sociale in ambito di prestazioni di malattia, maternità, invalidità, disoccupazione, vecchiaia, infortuni e malattie professionali, per i superstiti e altre prestazioni familiari. All'articolo 68 si stabilisce un importante principio per il quale i residenti che non sono cittadini devono avere gli stessi diritti dei residenti che hanno la cittadinanza. Tuttavia, sono ammesse delle disposizioni particolari riguardanti i non cittadini in tema di prestazioni finanziate prevalentemente o esclusivamente con fondi pubblici.

Un'esplicita affermazione del principio di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale tra cittadini e non cittadini, lavoranti negli Stati aderenti, è contenuta nella Convenzione n. 118/1962 (8), con il limite dell'applicabilità ai soli stranieri cittadini di uno Stato firmatario della Convenzione.

La Convenzione n. 143/1975 pone degli obblighi ancora più stringenti, imponendo agli Stati aderenti l'adozione di misure che assicurino un'effettiva parità di trattamento tra lavoratori stranieri e nazionali. All'art. 10 si richiede un ruolo attivo dello Stato mediante l'attuazione di una politica diretta a promuovere e garantire la parità di trattamento in materia di occupazione, di sicurezza sociale, di diritti sindacali, anche attraverso la predisposizione di misure che possano compensare le oggettive condizioni di svantaggio dei lavoratori migranti. Il principio di parità di trattamento ha una portata molto ampia, riferendosi all'intero settore della sicurezza sociale, senza richiamare alcuna distinzione tra prestazioni contributive e prestazioni finanziate dalla fiscalità generale. L'unico requisito richiesto per l'applicabilità della clausola di parità è la regolarità del soggiorno del soggetto che intenda invocarla (9), senza alcun riferimento alla durata o stabilità di tale soggiorno né a requisiti reddituali.

L'articolo 9 (10) prevede, inoltre, delle tutele anche per il lavoratore migrante irregolare, il quale deve beneficiare, per sé stesso e per i propri familiari, della parità di trattamento per quanto riguarda i diritti derivanti da occupazioni anteriori, in fatto di retribuzione, di previdenza sociale e di altre facilitazioni (11).

Le Convenzioni n. 97/1949 e n. 143/1975 sono state più volte richiamate dalla giurisprudenza di merito italiana (12), che ha ritenuto la normativa interna contrastante con il principio di parità di trattamento nella fruizione delle prestazioni di sicurezza sociale riconosciuto invece a livello internazionale (13).

2. La Convenzione O.N.U. sui diritti delle persone con disabilità

L'Italia ha sottoscritto la Convenzione O.N.U. sui diritti delle persone disabili il 30 marzo 2007 e la legge 3 marzo 2009 n. 18 ne ha autorizzato la ratifica (14). Lo scopo della Convenzione è promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità (15). La condizione di disabilità viene individuata nell'esistenza di barriere di diversa natura che possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione nella società, in condizioni di uguaglianza con gli altri, per le persone che presentano delle durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali.

Il testo richiama la Convenzione europea dei diritti dell'uomo ed ha una portata universale, si rivolge a tutte le persone disabili, indipendentemente dalla nazionalità (16), e alle quali garantisce il diritto ad un livello di vita adeguato e il diritto alla protezione sociale, facendo espresso riferimento all'inclusione ai programmi di protezione sociale e di riduzione della povertà, all'accesso all'aiuto pubblico per sostenere le spese collegate alla disabilità, all'accesso ai programmi di alloggio sociale e ai programmi e trattamenti pensionistici (17). Si specifica, inoltre, che le persone disabili godono di "uguale ed effettiva protezione giuridica contro ogni forma di discriminazione qualunque ne sia il fondamento" (18).

3. Le Convenzioni sullo status dei rifugiati e degli apolidi

La Convenzione sullo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 (19), prevede un principio di parità di trattamento per i rifugiati legalmente presenti sul territorio dello Stato in materia di sicurezza sociale, con esplicito riferimento all'estensione della clausola anche alle prestazioni assistenziali pagabili esclusivamente con fondi pubblici. Il principio si applica anche alle condizioni di lavoro, alla remunerazione, inclusi gli assegni familiari quando fanno parte della retribuzione, e all'accesso all'edilizia residenziale pubblica. L'art. 21 prevede che sia disposto un trattamento più favorevole possibile e in ogni caso non meno favorevole di quello concesso in generale agli stranieri, per quanto riguarda il diritto all'alloggio per i rifugiati regolarmente residenti. Le stesse clausole di parità in materia di prestazioni sociali e alloggio sono previste per gli apolidi che risiedono legalmente sul territorio italiano dagli artt. 21 e 23 dalla Convenzione di New York sullo status degli apolidi del 28 settembre 1954 (20).

L'impostazione della Convenzione di Ginevra circa il trattamento dei rifugiati è stata recepita nell'ordinamento comunitario con la Direttiva 2004/83/CE "recante norme minime sull'attribuzione a cittadini di paesi terzi o apolidi della qualifica di rifugiati o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta". All'art. 28 si stabilisce che gli Stati membri s'impegnano affinché le persone alle quali hanno concesso tale status ricevano "adeguata assistenza sociale, alla stregua dei cittadini dello stato membro in questione". La direttiva è stata recepita dall'ordinamento italiano con il d.lgs. n. 215/2007, che all'art. 27 prevede che "i titolari dello status di rifugiato di protezione sussidiaria hanno diritto al medesimo trattamento riconosciuto al cittadino italiano in materia di assistenza sociale e sanitaria".

4. La Convenzione europea dei diritti dell'uomo

La Convenzione di Roma del 1950 non detta disposizioni particolari per quanto riguarda i diritti sociali; questi sono richiamati tra i diritti fondamentali in quanto funzionali al rispetto della dignità umana, ma non sono previste delle disposizioni vincolanti per gli Stati perché ne garantiscano l'effettivo godimento.

Tuttavia i giudici di Strasburgo hanno avuto un ruolo di primo piano nella garanzia dei diritti sociali, spingendosi ben oltre la tutela assicurata dalla Corte di giustizia europea (21). Essi hanno offerto un'ampia protezione con riferimento alle prestazioni sociali, comprese quelle di tipo non contributivo, ritenendole qualificabili come diritti patrimoniali e come tali direttamente tutelate dall'articolo 1 del Protocollo 1. E attraverso questa originale interpretazione del diritto di proprietà, piena tutela è stata assicurata anche con riguardo all'accesso degli stranieri a tali prestazioni, mediante l'applicazione del principio di non discriminazione in base alla nazionalità, di cui all'art. 14 della Convenzione.

Tale indirizzo interpretativo si è affermato primariamente nella sentenza Gaygusuz c. Austria (22). Il caso (23) riguardava un cittadino turco, che aveva lavorato in Austria per diversi anni, e a cui era stato negato il diritto di percepire l'assegno d'urgenza (24), cioè un sussidio previsto dalla legislazione austriaca per le persone che erano decadute dal diritto all'indennità di disoccupazione, al fine di garantire loro un reddito minimo. Il rigetto viene motivato sul difetto della nazionalità austriaca.

La Corte accoglie il ricorso del signor Gaygusuz e riscontra la violazione dell'articolo 14 della Convenzione (25), in combinato disposto con l'articolo 1 del Protocollo 1.

La Corte assume che il diritto all'assegno d'urgenza spetta alle persone che siano decadute dal diritto al sussidio di disoccupazione e che soddisfino i requisiti richiesti dalla legislazione austriaca (26), la quale subordina il diritto alla prestazione al pagamento dei contributi. Il ricorrente aveva versato i contributi, per cui il rigetto era motivato esclusivamente sul difetto della nazionalità austriaca (27). I giudici ritengono che il diritto all'assegno d'urgenza sia un diritto patrimoniale, come tale pienamente tutelato dall'articolo 1 del Protocollo 1, e ravvisano la violazione del principio di non discriminazione con riferimento al godimento di tale diritto. Il trattamento è considerato discriminatorio in quanto non fondato su giustificazioni oggettive e ragionevoli; si specifica che gli Stati hanno un certo margine di discrezionalità entro il quale determinare se e in che misura siano giustificabili delle differenziazioni rispetto a situazioni analoghe, tuttavia devono essere delle giustificazioni molto forti per portare la Corte a ritenere compatibile con la Convenzione una differenza di trattamento fondata esclusivamente sulla nazionalità (28).

Nel ragionamento seguito dalla Corte si sottolinea, in prima battuta, il collegamento tra il diritto alla prestazione e il versamento dei contributi (29) e poi si afferma, in apparente contraddizione, che il diritto all'assegno d'urgenza, in quanto diritto patrimoniale, spetta al titolare indipendentemente dalla maturazione del requisito contributivo (30). La Corte sembra voler affermare che si tratta di un diritto originario, preesistente allo stesso adempimento degli obblighi contributivi (31), ma sono evidenti, nella lettura della sentenza, degli elementi di ambiguità, che vengono superati e chiariti con la sentenza Koua Poirrez c. Francia (32).

Qui il caso riguardava una cittadina ivoriana, affetta da una grave invalidità fisica, formalmente attestata, residente in Francia e adottata da un cittadino francese legalmente residente e occupato. La controversia aveva ad oggetto l'esclusione della ricorrente dal diritto di ricevere un sussidio per minorati adulti (Aah) (33), che fino al 1998 (34) era riservato esclusivamente ai cittadini francesi o appartenenti a uno Stato legato alla Francia da accordi di reciprocità. La Corte riscontra una violazione del principio di non discriminazione in base alla nazionalità riguardo il godimento del sussidio per minorati adulti, qualificabile come diritto di proprietà. In questo caso i giudici qualificano come diritto patrimoniale una prestazione sociale non contributiva e chiariscono l'affermazione, rimasta ambigua nel caso Gaygusuz, secondo cui il diritto patrimoniale non attiene necessariamente alla circostanza di un pregresso versamento di contributi (previdenziali) individuali. Nel caso precedente, l'incertezza di tale interpretazione era dovuta alle caratteristiche dell'assegno d'urgenza, poiché si trattava di una prestazione riservata esclusivamente a persone che erano state in precedenza lavoratori, e pertanto avevano versato i relativi contributi. Nel caso Koua Poirrez la Corte ribadisce che anche una prestazione sociale non contributiva, del tipo dell'assegno Aah, è di natura tale da fondare un diritto patrimoniale ai sensi dell'articolo 1 del Protocollo 1, e pertanto spetta ai soggetti che rispondono ai requisiti previsti dalla legge per l'erogazione, senza discriminazioni in base alla nazionalità. E' un'affermazione di estrema rilevanza, che fonda in capo agli stranieri la pretesa giuridica di vedersi riconosciuto il diritto di accesso alle prestazioni assistenziali, senza discriminazioni fondate sulla nazionalità (35).

Quanto sancito in queste due sentenze viene ulteriormente confermato e sviluppato in due recenti pronunce, Niedzwiecki (36) e Okpisz (37), che destano particolare attenzione in quanto ad essere censurata dalla Corte è la legislazione tedesca, che presenta dei rilevanti profili di affinità con la legislazione italiana in materia (38). I ricorrenti sono due cittadini polacchi immigrati in Germania, ai quali erano stati negati i benefici sociali previsti per i figli minori, a causa della disposizione di legge che prescrive l'accesso a tale tipo di prestazione ai soli stranieri titolari di un permesso di soggiorno permanente (39), e non anche ai titolari di un permesso di soggiorno temporaneo, soggetto al rinnovo ogni due anni. I giudici di Strasburgo ravvisano la violazione dell'articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l'articolo 8, che tutela il diritto al rispetto della vita familiare e privata. La differenza di trattamento tra stranieri fondata sulla tipologia del permesso di soggiorno non appare suffragata da motivazioni obiettive e ragionevoli, tale da giustificare una limitazione all'accesso di strumenti che favoriscono la tutela della famiglia.

In queste pronunce della Corte, il diritto di accesso alle prestazioni sociali si emancipa dalla logica proprietaria che finora era stata posta a fondamento della tutela, e si riconosce l'esistenza di un trattamento discriminatorio nel godimento del diritto sancito dell'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che tutela il diritto alla vita familiare.

E' evidente dalla giurisprudenza della CEDU il riconoscimento di un principio di parità di trattamento in materia sociale dei cittadini non comunitari; occorre a questo punto misurare la portata di tale affermazione attraverso il coordinamento con la giurisprudenza della Corte di Giustizia e quella dei tribunali nazionali.

Note

1. In questo lavoro, il termine straniero verrà utilizzato secondo l'accezione del Testo unico sull'immigrazione, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, che all'art. 1 include sotto il termine stranieri i soli cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea e gli apolidi.

2. Ratificata e resa esecutiva in Italia con legge n. 1305/1952.

3. Ratificata e resa esecutiva in Italia con legge n. 158/1981.

4. Per maggiori approfondimenti, si veda A. Adinolfi, I lavoratori extracomunitari, Bologna, 1992, pag. 265 e ss. Per una ricostruzione delle principali Convenzioni O.I.L. in tema di sicurezza sociale dello straniero si veda anche A. Di Stasi, Profili di diritto della sicurezza sociale dello straniero, in Lavoratore extracomunitario ed integrazione europea. Profili giuridici, Bari, 2007, pag. 305 e ss. e S. Nappi, Il lavoro degli extracomunitari, Napoli, 2005, pag. 89 e ss.

5. Art. 6.

6. Sulla distinzione tra prestazioni previdenziali, di tipo contributivo, e prestazioni assistenziali, finanziate dalla fiscalità generale, si rinvia al paragrafo 1.3.

7. Ratificata in Italia con legge 22 maggio 1956, n. 741.

8. Ratificata con legge 13 luglio 1966, n. 657.

9. Art. 11, paragrafo 1: "Ai fini dell'applicazione della presente parte della Convenzione il termine "lavoratore migrante" designa una persona che emigra o è emigrata da un paese verso l'altro, in vista di un'occupazione, altrimenti che per proprio conto; esso include qualsiasi persona ammessa regolarmente in qualità di lavoratore migrante".

10. Art. 9, paragrafo 1: "Senza pregiudizio delle misure destinate al controllo dei movimenti migratori ai fini dell'occupazione, garantendo che i lavoratori migranti entrino nel territorio nazionale e vi siano occupati conformemente alla legislazione relativa, il lavoratore migrante deve, nei casi in cui detta legislazione non sia rispettata e in cui la propria posizione non possa essere regolarizzata, beneficiare, per sé stesso e per i familiari, della parità di trattamento per quanto riguarda i diritti derivanti da occupazioni anteriori, in fatto di retribuzione, di previdenza sociale e di altre facilitazioni. Una regola analoga è già prevista nel nostro ordinamento dell'art. 2126 c.c rubricato "automaticità delle prestazioni".

11. Si tratta di una regola già esistente nel diritto interno, equivalente al principio di automaticità della prestazioni enunciato dall'art. 2116 c.c.: "Le prestazioni indicate nell'art. 2114 sono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l'imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e assistenza [...]" e dall'art. 2126 c.c.: "La nullità o l'annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall'illiceità dell'oggetto o della causa".

12. Per un approfondimento sui riflessi applicativi delle due convenzioni nell'ordinamento italiano, si veda, M. Vrenna, Le prestazioni economico-assistenziali e gli immigrati extracomunitari, in Gli stranieri, 2004, n.1, pag 1 e ss.

13. Si distinguono in particolare le pronunce del Tribunale di Milano, ord. 13.3.2004 e del Tribunale di Monza, ord. 2.3.2005.

14. Convenzione siglata a New York il 13 dicembre 2006.

15. Così si legge all'art. 1.

16. Sui riflessi applicativi della Convenzione nell'ordinamento italiano, si veda Corte cost., 2 novembre 2009, ordinanza n. 285, in cui la Consulta dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 80, comma 19, l. n. 388/2000, in riferimento all'art. 117, primo comma, della Costituzione, in quanto la normativa censurata introduce l'ulteriore requisito del possesso della carta di soggiorno per l'accesso alle misure assistenziali, ponendo una discriminazione nei confronti dello straniero rispetto al cittadino, in violazione dell'art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e in violazione della Convenzione di New York sulle persone disabili.

17. Così si legge all'art. 28.

18. Così si legge all'art. 5.

19. Ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 24 luglio 1954, n. 722.

20. Ratificata e resa esecutiva dall'Italia legge febbraio 1962, n. 306.

21. Per maggiori approfondimenti sulla giurisprudenza CEDU in materia di diritti sociali si veda. G. Cinelli, La tutela dei diritti sociali nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, in riv. dir. sic. soc., 2006, n. 3, pag. 731 e ss.

22. Sentenza del 16.9.1996 sul ricorso n. 17371/90.

23. Il signor Gaygusuz aveva lavorato in Austria per undici anni, con alcune interruzioni; la sua condizione di disoccupato si era alternata a periodi in cui aveva percepito un'indennità per inidoneità fisica al lavoro, poi aveva ottenuto anticipatamente parte della sua pensione di anzianità a titolo di sussidio di disoccupazione e, allo scadere dei termini, come prescritto dalla legge austriaca, aveva fatto richiesta di continuare a ricevere la pensione fino ad allora maturata in forma di assegni d'urgenza. Si veda G. Cinelli, op. cit., pag. 735 e ss.

24. Allocation d'urgence.

25. L'articolo 14 non ha una valenza autonoma, ma prescrive il divieto di discriminazione in base alla nazionalità nel godimento dei diritti enunciati dalla Convenzione.

26. Art. 33 della legge sul sussidio di disoccupazione del 1977.

27. Così si legge nei paragrafi n. 39 e 40 della sentenza.

28. Così si legge al punto 42 della sentenza.

29. Paragrafo 39: "[...] Le droit à l'attribution de cette prestation sociale est donc lié au paiement de contributions à la caisse d'assurance chômage, condition préalable au versement des allocations chômage. Il s'ensuit que l'absence de paiement de ces contributions exclut tout droit à l'attribution de l'allocation d'urgence".

30. Paragrafo 41: "La Cour estime que le droit à l'allocation d'urgence, dans la mesure où il est prévu par la législation applicable, est un droit patrimonial au sens de l'article 1 du Protocole 1. Cette disposition s'applique par conséquent sans qu'il faille se fonder uniquement sur le lien qui existe entre l'attribution de l'allocation d'urgence et l'obligation de payer des impôts ou autres contributions".

31. Sul punto si veda G. Cinelli, op. cit., pag. 736.

32. Koua Poirrez c. France, 30.09.2003, sul ricorso n. 40892/98.

33. Allocation aux adultes handicapés.

34. Con la legge n. 98/439 dell'11 maggio 1998 il requisito di reciprocità è stato soppresso e sostituito da un requisito di residenza regolare, attestabile sulla base di qualunque tipologia di permesso di soggiorno con durata non inferiore ad un anno.

35. Sulle sentenze Gaygusuz e Koua Poirrez si veda anche G. Turatto, Riflessioni su una concezione della "cittadinanza" che non rispetta i diritti fondamentali garantiti ad ogni persona, in riv. giur. lav., 2004, n.1, pag 677 e seg. e W.Chiaromonte, Accesso al welfare e principio di parità di trattamento, in riv. dir. sic. soc., 2006, n. 3, pag.713 e ss.

36. Niedzwiecki c. Germania, 25 ottobre 2005 in causa n. 58453/00.

37. Okpisz c. Germania, 25 ottobre 2005 in causa n. 59140/00.

38. Sulle sentenze Niedzwiecki e Okpisz, si veda W. Chiaromonte, op. cit. pag.714 e ss.

39. La disposizione tedesca ricorda sicuramente l'articolo 80, comma 19, legge 388/2000, che limita l'accesso alle prestazioni sociali ai soli stranieri titolari di carta di soggiorno, escludendo invece gli stranieri, legalmente residenti e soggiornanti, ma in possesso di un titolo di soggiorno diverso.