ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo 1
Pericolosità e devianza

Maria Cristina Acri, 2010

1.1. Definizione di pericolosità

Voler dare una definizione di individuo pericoloso non è impresa semplice e i numerosi studi che si sono succeduti nel corso degli anni ne sono una dimostrazione tangibile. Per una spiegazione esaustiva occorre in primo luogo far riferimento al concetto di pericolosità, mettendo in evidenza che la ricostruzione di questo comporta rimandi ad un complesso vastissimo di significati e una serie di relazioni politiche e legislative. La nozione di pericolosità implica, inoltre, un richiamo al metodo scientifico positivo, affermatosi durante il XIX secolo, che segnò, assieme alla Scuola positiva, l'inizio di uno dei dibattiti più fervidi e articolati presenti nel campo della scienza penale. La levatura di tale diatriba è intuibile pensando al potere che ebbe di subentrare alla ancor giovane questione illuminista sui delitti e sulle pene (1).

Una volta chiarita la complessità della nozione di pericolosità è altresì comprensibile la sua inscindibilità dal soggetto che rappresenta il destinatario diretto di tale nozione, poiché il concetto di pericolosità nasce proprio in relazione all'indagine dei saperi sociologici ed antropologici e alle esigenze istituzionali e di controllo sociale (2).

Il soggetto agente è solo uno dei vari centri di imputazione che è possibile prendere in considerazione allorché si voglia inquadrare il concetto di pericolosità; ciò è dimostrato dal fatto che in epoca classica la pericolosità era riferita alla condotta mentre lo spostamento d'indagine al soggetto agente si ebbe col positivismo: fu a questo punto che l'individuo criminale assunse il rilievo di individuo pericoloso (3). La pericolosità del soggetto era infatti presupposto per l'applicazione di tutta una serie di misure a carattere "preventivo", il fine era infatti quello di inibire la ripetizione di condotte pregiudizievoli per la società, l'ordine pubblico e la moralità (4). Tuttavia, nella diffusione del concetto di pericolosità non mancarono rimandi più ampi, per cui si prese a parlare anche di "classi pericolose" per la società, includendo in tale astrazione gli individui che minacciano la stabilità della comunità sociale in cui vivono, più spesso a causa della loro indigenza e della loro bassa condizione sociale; era, infatti, frequente l'accostamento tra classe operaia e classe pericolosa poiché la povertà forniva una certa sollecitazione al comportamento criminale (5).

Complessità di inquadramento e pluralità di referenti non devono far dimenticare che la pericolosità, come concezione giuridica sorse durante il positivismo criminale e la sua questione era proiettata, al pari di quanto avvenne già nell'Illuminismo, verso una ristrutturazione degli istituti giuridico-penali (6). Il mutamento di prospettiva dall'attenzione sull'atto criminale in sé al soggetto delinquente, nonché la conseguente progressiva modificazione del sistema punitivo possono essere presi ad esempio (7): la pericolosità divenne protagonista della scena del sistema penale, il cui compito doveva essere di difesa della società quale "mezzo per combattere delitto e delinquenti" (8). Operazione facilitata dalla percezione della pericolosità nel senso comune, tanto da essere già citata in alcune sentenze ancor prima dell'affermarsi del positivismo (9).

1.2. L'individuo pericoloso: criminologia classica e critica foucaultiana

Sebbene il dibattito sulla pericolosità quale concetto giuridico si espanse segnando il XIX secolo, in una ricostruzione della figura dell'individuo pericoloso, in quanto rappresentante uno dei maggiori centri di imputazione di tale astrazione, non si può prescindere da una contestualizzazione storica più ampia e pertanto precedente l'epoca centrale della disputa sulla pericolosità. Infatti, da un punto di vista storico il primo spunto cui attingere, per una completa illustrazione dell'individuo pericoloso, è Cesare Beccaria, ritenuto il fondatore della criminologia classica (10), che in qualità di esponente delle teorie illuministe considerava l'uomo come essere razionale in grado di operare delle scelte consapevoli, la prima delle quali era quella di aderire al contratto sociale: questa adesione comportava la cessione di una parte della propria libertà allo Stato per ricevere in cambio il diritto ad essere protetto e alla sicurezza. In questo contesto, nel momento in cui un soggetto commette un delitto contravviene principalmente al patto sociale, di conseguenza non è solo colpevole nei confronti della sua vittima diretta ma si rende responsabile di un danno ben più ampio: un danno allo Stato e alla società. Il soggetto che commette un delitto mette a repentaglio la stabilità e la sicurezza dell'intera collettività perché il patto sociale coinvolge ciascun cittadino e lo Sato stesso subisce una minaccia dovendosi guardare da un attacco interno.

Per Beccaria l'elemento della razionalità è di estrema importanza ed è altresì connesso a quello dell'utilità e della proporzionalità della pena, infatti, l'individuo inteso come ente razionale è chiamato a valutare le conseguenze delle proprie azioni in termini di utilità ed è in quest'ottica che lo Stato dovrà agire nell'erogazione della pena: la prospettiva di una conseguenza svantaggiosa, rapportata alla gravità dell'atto criminoso, dovrà indurre il soggetto a compiere un'associazione di idee fra delitto e pena seguendo una logica di causa-effetto cosicché l'astensione dal commettere reati sarà data dalla prospettiva di uno svantaggio maggiore di quello che ne ricaverebbe dal reato stesso (11). Un ragionamento tale è suscettibile di applicazione oltre il singolo così da svolgere un'azione di deterrenza sociale alla commissione di reati.

E' evidente come anche in una dimensione "sociale" del crimine il vero oggetto del sistema punitivo è l'individuo corredato di interessi, su questi si deve far leva: la necessità di adattare l'assetto punitivo alle passioni e agli interessi che sollecitano il soggetto a infrangere la legge consentì l'emersione di un discorso sulla natura del crimine senza però giungere all'"oggettivazione che verrà resa possibile dallo strutturarsi del campo dell'antropologia positivista ottocentesca" (12).

Si iniziò prima col considerare il criminale come "mostro politico" in quanto disattende al patto sociale, successivamente venne presa in considerazione la "mostruosità comportamentale" (13); l'intervento più autorevole per una rilettura critica dell'evoluzione del concetto di individuo pericoloso lo si deve senza dubbio a Michel Foucault che contribuì, con le sue opere e i suoi studi, a mettere in evidenza come storicamente si poté assistere all'ingresso dei saperi psichiatrici nel campo della pratica penale, attraverso i quali si indagava "la razionalità immanente al comportamento criminale" (14) ma soprattutto miravano ad accertare l'esistenza nel soggetto di anomalie mentali che potevano risultare in relazione con l'infrazione commessa (15). E' in questo modo che le nozioni di "pericolo" e "perversione" iniziano a fronteggiarsi.

Nel delineare i caratteri tipici dell'individuo pericoloso nel passaggio dalla concezione classica a quella positivista, anche Foucault si rifà a Beccaria (16) e individua, prendendo le mosse dalla mostruosità del comportamento stesso, nel mostro politico la prima figura di mostro morale: il criminale che infrange il patto sociale fa prevalere i propri interessi egoistici su quelli della collettività. Emerge dunque una nozione giuridica di mostro, ciò rappresenta un'evoluzione rispetto al mostro naturale del medioevo rappresentato dall'insieme di quei soggetti che presentavano dei disordini naturali tali da mettere in crisi e stravolgere l'ordine giuridico (17).

L'idea della mostruosità comportamentale ha operato una trasposizione della categoria di mostro naturale all'ambito della criminalità pura e semplice, come asserì lo stesso Foucault: "A partire da questo momento si vede emergere un campo specifico: quello della criminalità mostruosa" (18). Il concetto di mostruosità resterà legato a quello di criminalità sebbene a partire dal XIX secolo il rapporto si invertirà: il criminale ha in sé un sospetto di mostruosità; l'individuo criminale che in un primo tempo appare come un mostro, perché in lui si manifesta un istinto appartenente alla natura selvaggia che esula dal corpo socio-normativo in cui è inserito, si evolverà fino ad essere considerato presto un "anormale" (19). Compare così il tema della plausibile natura patologica della criminalità, si affaccia l'idea che il criminale in quanto tale possa essere effettivamente un malato creando così un legame tra questione legale e questione patologica: "Ogni criminale potrebbe benissimo essere un mostro" affermava Foucault nelle sue lezioni sugli anormali (20), mettendo in luce quella che storicamente era stata una svolta nella storia della metodologia punitiva, giacché l'attenzione del potere punitivo si spostò progressivamente dal reato come fatto in sé al suo autore. Una possibile univoca definizione di individuo pericoloso come colui che "non è né veramente malato né (propriamente parlando) criminale" (21), data dallo stesso Foucault, sembra racchiudere appieno la completezza del significato di una nozione in evoluzione. Si ebbe così uno sdoppiamento nella figura del criminale creando l'immagine del delinquente, considerato nella totalità dei fattori che compongono la sua persona e che soprattutto manifestano il suo carattere.

1.2.1. L'individuo pericoloso in società: le "classi pericolose"

Il superamento dei principi classici ha permesso l'espandersi del discorso sulla personalità dei criminali e con questo anche la crescita di attenzione sui soggetti che venivano inquadrati nella categoria di individuo pericoloso. Al fine di una visione più completa, la trattazione di tale argomento rende opportuno considerare anche come la persona del singolo individuo si rapporti con gli altri; ciò per il fatto che ogni personalità è venuta formandosi in un contesto ambientale, normativo e sociale, subendone, per tanto, le influenze che spesso sono alla base di determinati comportamenti. E' quanto accade nel momento in cui si parla di classi pericolose, volendosi riferire, con tale terminologia, a quei gruppi che rappresentano un pericolo per l'intera compagine sociale: non è più il singolo a spaventare ma è l'insieme di più soggetti, che costituiscono talvolta vere e proprie associazioni votate al crimine.

Il fenomeno delle classi pericolose divenne più sentito all'indomani dell'urbanizzazione nel periodo della Rivoluzione industriale; come hanno ben evidenziato Bolis e Chevalier nei loro testi a riguardo, illustrando rispettivamente la situazione in Italia e nella Parigi del 1800 (22), l'aumento della popolazione nelle città, dovuto sia alla migrazione dalle campagne che all'incremento demografico (23), provocò anche una maggiorazione del numero di soggetti criminali, spesso portati a delinquere dalla situazione di indigenza in cui versavano e per questo molte volte può risultare difficile una distinzione netta tra la classe disagiata e quella pericolosa: è per tale ragione che i soggetti criminali erano individuati all'interno della classe operaia, tuttavia si tratta di due nozioni formalmente separate; secondo Frégier (24) alla base del comportamento criminale erano il vizio e la povertà, di conseguenza i criminali erano da ricercare tra coloro che vivevano in condizioni precarie

[...] c'est l'union du vice et de la pauvreté qui va conduire au comportement criminalisé qui menace l'equilibre social [...] C'est donc necessariement au seine de la classe ouvrière qu'il faudra rechercher la classe «dangereuse» ou criminelle (25).

La fame e la miseria potevano alimentare fenomeni di violenza identificate come ondate di criminalità imputate alle classi criminali (26); ne consegue che quando si parla di classi pericolose non si fa riferimento solamente alla vasta serie di ladri, malfattori e altri soggetti violenti, ma il complesso di individui comprendeva anche oziosi, vagabondi e prostitute; dunque persone che non essendo impiegate in alcuna attività lavorativa lecita e riconosciuta stentavano a sopravvivere, quindi "in quanto poveri stigmatizzati perché delinquenti in potenza" (27).

In una simile impostazione concettuale non è più il singolo individuo pericoloso a spaventare, ma occorre guardarsi dall'intera classe dei suoi simili; l'atteggiamento di sospetto rivolto dagli abitanti delle città a queste nuove masse di popolazione è sintomatico sì di un mutamento sociale all'indomani dell'urbanizzazione ma anche di un'antica diffidenza verso soggetti lontani dalla realtà cittadina che non si confaceva loro, ai quali era facile attribuire la responsabilità di tutti i mali (28). La criminalità diventa organizzata nel senso che i delinquenti si associano perché così hanno più possibilità di sfuggire (o quantomeno tentare) alle forme di controllo, inoltre in certi casi è possibile assistere quasi ad una parità numerica tra i criminali e le persone impiegate nel controllo sociale (29).

Poiché si è già ribadito che la persona è sottoposta a molteplici influenze va chiarito che il solo vivere in una zona urbana in cui è presente una o più classi pericolose non è condizione sufficiente a rendere tutti gli abitanti della stessa dei criminali, sebbene è doveroso ammettere che ciò può costituire un fattore incentivante. Altre sollecitazioni sono senza ombra di dubbio rappresentate dalle condizioni di vita: in passato la maggior parte degli indigenti si dava al crimine perché costretta dalla fame e dalla necessità di sopravvivenza.

Vi sono fenomeni che più di altri mostrano il deterioramento della società urbana perché caratterizzati da una eccezionale peculiarità e definibili anormali in quanto fuoriescono dal quotidiano; tra le forme più estreme si annoverano l'infanticidio, la pazzia e la prostituzione (30) che pur coinvolgendo gruppi ristretti di individui sono funzionali a completare l'assetto sociale dell'epoca; essi sono infatti connessi alla società in modo quasi inscindibile, il fenomeno prostituzione è sicuramente uno di questi. Esso rappresenta un elemento estremamente importante nella vita della popolazione urbana, soprattutto tra gli strati più bassi della popolazione (31): in quanto si ricava agilmente il nesso tra la prostituzione e la minaccia che questo era per l'unità familiare. Tuttavia, la classe delle prostitute costituisce una questione a sé stante in quanto i soggetti che la compongono vanno analizzati considerando fattori non solo economici e sociali, poiché molte delle donne che si davano alla prostituzione non avevano mai fatto nessun altro tipo di lavoro, ma è necessario valutare aspetti più prettamente personali, psicologici ed anche biologici.

Se da un lato si è trattato delle classi pericolose, in qualità di gruppi di persone rappresentanti una minaccia alla stabilità della società nella sua interezza, e dunque in quanto individui dotati di una personalità composta da fattori eterogenei dovuti al contesto sociale e ambientale di riferimento; dall'altro non si può prescindere dal considerare questi soggetti nella loro individualità al fine di indagare quanto le componenti interiori incidessero sulla determinazione dei comportamenti criminali.

Una simile considerazione si comprende maggiormente tenendo presente che durante il XIX secolo cresce l'interesse criminologico per la persona del criminale, si guarda con maggiore attenzione alle inclinazioni comportamentali. Il crimine è considerato fatto umano radicato nella vita dell'uomo (32), da qui si desume agevolmente il nesso con la personalità dell'autore del reato.

1.3. Evoluzione concettuale dell'individuo pericoloso: l'anormale e il delinquente

La riflessione sul concetto di criminale ha messo in luce come il reato, in quanto fatto contrario alla legge, sia divenuto punto di partenza di un'analisi ben più profonda e complessa che ha come fulcro il soggetto autore del delitto ed in particolare la sua natura comportamentale; si tratta di un'indagine volta a ricercare, ove possibile, la razionalità e l'intelligibilità che stanno dietro il comportamento criminale.

Prendendo in considerazione la persona del criminale nella sua interezza, si analizza ogni componente del suo carattere così che a suscitare interesse sono le sue tendenze e le sue pulsioni più irrefrenabili: si arriva a scandagliare la vita intima dell'individuo con lo scopo di rinvenire possibili tracce che possano fungere da segni premonitori del crimine da lui commesso. Una simile analisi vale maggiormente ex-post in quanto una semiologia della tendenza a delinquere prende in considerazione delle anomalie comportamentali che non sono di per sé reati e che potrebbero restare inosservate nel caso le stesse fossero riconducibili ad un soggetto che non avesse commesso alcun crimine. Ciò che più interessa è la storia personale del soggetto, o meglio è la sua personalità nella sua interezza, così, se ne emerge una difformità nel modo di agire, questa viene interpretata come un "disturbo" della condotta del soggetto. In questo modo è possibile comprendere più agevolmente il legame che si instaura tra due livelli apparentemente lontani: il piano giuridico-criminale e quello patologico.

Il delinquente è quindi considerato un soggetto che esiste al di là del delitto commesso, in questa chiave di lettura assume i connotati dell'anormale: figura ambigua poiché ha in sé i tratti del malato e i tratti del criminale, proprio a causa di tale duplicità esterna una pericolosità singolare la quale non può essere consegnata ad un'istanza solamente giuridica o solamente medica (33). Si presenta un caso per cui il potere punitivo non può esercitarsi in modo autosufficiente.

L'anormale permette all'insieme dei saperi psichiatrici di farsi strada nella pratica penale, sebbene la loro funzione originaria fosse esclusivamente quella di accertare l'imputabilità del soggetto, fu in seguito che l'osservazione delle anomalie comportamentali divenne strumento per scoprire un nesso tra queste e il crimine commesso, qualcosa che dimostrasse che quel dato delitto era proprio del suo autore poiché nell'uno si potevano riscontrare segni dell'altro. Tutto questo era dettato dalla volontà di dare una spiegazione ai crimini senza ragione che la pratica penale aveva difficoltà ad affrontare. L'interesse si posa dunque sull'istinto e sulle pulsioni, in particolare su quegli impulsi che deviano rispetto al loro regime specifico perché sfuggono al controllo (34) e portano al compimento di atti irrazionali.

La pericolosità, idea appartenente al piano giuridico, è dunque indagata attraverso una serie di istanze che sono peculiarità del piano patologico, come è proprio dei concetti di anormalità e perversione. Attraverso una simile trasposizione la devianza nel suo significato originario di comportamento in conflitto con le regole sociali, che dunque assume rilevanza criminale quando la trasgressione riguarda una norma giuridica, viene esaminata in qualità di devianza psico-patologica, cioè a partire da uno scostamento dalla normalità. Esistono comportamenti anormali suscettibili di rilevanza giudiziaria come avviene nel caso di reati a sfondo sessuale; accade anche l'inverso quando si considerano degli atti illegali come indicatori di anormalità comportamentale, quale la semplice inettitudine ad uniformarsi alle leggi della società.

La tendenza a sovrapporre i due piani, giuridico e patologico nelle loro estrinsecazioni di devianza criminale e anormalità psico-patologica segnerà per molto tempo il sistema punitivo nel suo complesso. Quest'ultimo, come ha ben esaminato Foucault nel suo testo già citato, Sorvegliare e punire, infatti nel corso della sua storia subisce uno spostamento progressivo d'interesse sull'oggetto delle sue indagini: dal reato all'individuo autore, concentrandosi primariamente sul "corpo" di questi e successivamente sulla sua "personalità" nel momento in cui esplora i suoi istinti e le sue pulsioni, ricercando un legame tra questi e il crimine commesso. L'anormale divenne così il nuovo oggetto di studio, assieme alle anomalie del suo comportamento.

Occorre precisare come non tutte le pulsioni erano sintomo di anormalità, interessavano prima di tutto quelle che sfociavano in comportamenti criminali, tuttavia ne esistevano altre che si manifestavano in atti non necessariamente efferati ma che erano altrettanto condannabili sul piano sociale, si tratta di tutte le devianze appartenenti alla sfera sessuale del soggetto. Anche l'interesse per la sessualità subirà un'evoluzione, l'attenzione si poserà sempre più su quelle che possono ben definirsi "sessualità illegittime" (35).

1.4. Devianza e sessualità

Il soggetto deviante è colui che contravviene alle leggi, siano esse naturali o positive; la condotta irregolare viene perseguita al fine di ripristinare la situazione di normalità. Quando è posta in atto da un individuo che presenta segni di disagio comportamentale lo si definisce anormale e si pone l'attenzione proprio su quell'insieme di anomalie e disturbi per spiegare il crimine commesso. Alcune di queste difformità suscitano un interesse particolare perché si riconducono, più di altre, all'intimità del soggetto appartenendo alla sfera dei comportamenti sessuali. Un rinvio all'ambito della sessualità risulta quindi agevole quando si affronta un'indagine nel campo della devianza e dell'anormalità comportamentale, ciò dimostra quanto la sfera delle anomalie di comportamento sia pervasa da tempo dal problema della sessualità e delle sue conseguenze. Per tale ragione, prima di verificare in che termini si esplica questo legame, occorre analizzare il modo in cui il tema della sessualità assume valore nel contesto sociale e penale.

Nel corso dei secoli il discorso sulla sessualità subisce una progressiva restrizione allorché si è passati da una certa disinvoltura dei costumi dell'antichità ad una morigeratezza tipica dell'epoca moderna, per Foucault si può anzi parlare di "epoca della repressione" (36) dal XVII secolo, periodo che vide la nascita dell'ordine borghese e degli albori del capitalismo; in un contesto simile la sessualità viene ricondotta nei ranghi dei rapporti privati e qui, in un certo senso confinata, il tutto improntato verso una logica di profitto dove i corpi e le energie sono funzionali alla produzione. Si affaccia l'idea che per certi atteggiamenti l'eccesso di ostentazione sia sintomo di anormalità.

Tuttavia non bisogna tralasciare un elemento di estrema importanza per la questione, non si può, infatti, parlare della sessualità senza prendere in considerazione la sfera dell'istinto e delle pulsioni. A questo punto risulta possibile una deduzione logica: l'istinto sessuale è per sua natura connesso e indirizzato verso una copulazione, quindi tutto quanto non è rivolto verso quel fine specifico è soggetto ad essere letto come una deviazione rispetto alla prassi. Si comprende come un simile ragionamento includa una pluralità di elementi che stanno prima, e talvolta al di là, della copulazione in sé, ne consegue che la serie delle deviazioni diventa ambito di devianza, di anormalità.

La sessualità assume le sembianze di una minaccia alla quale si deve far fronte, prima di tutto attraverso una necessaria razionalizzazione della questione: il sesso ancor prima di essere condannato tout court deve essere gestito, regolato; s'intuisce come la figura più adeguata a tale scopo sia il potere politico. Il sesso diventa così "affare di Stato", più esattamente si può dire

Il sesso, nel XVIII secolo, diventa una questione di "polizia". Ma nel senso pieno e forte che si dava allora a questa parola, non repressione e disordine, ma sviluppo ordinato delle forze collettive e individuali [...] Polizia del sesso: il che non vuol dire rigore di una proibizione, ma necessità di regolare il sesso attraverso discorsi utili e pubblici (37).

Il passo successivo sarà di capire quanto e in che modo il potere entrerà nel quotidiano e nell'intimità dei singoli per attuare il controllo sui piaceri, come si porrà rimedio alle devianze. L'estrema importanza assunta dalla sessualità nel XIX secolo si spiega proprio in ragione della sua dipendenza col "controllo disciplinare, individualizzante" (38). Tendenzialmente il rapporto tra sesso e potere si struttura in termini di repressione, di fatto la reazione nei confronti di una sessualità troppo esuberante è quella dell'isolamento, se non addirittura quella della chiusura in luoghi appositi così come si avevano le case di correzione per i detenuti e le case di cura per gli ammalati, allo stesso modo si avevano le case chiuse per le prostitute. Quest'ultima categoria era inizialmente relegata in strutture dove si tendeva alla loro rieducazione mediante il lavoro (workhouses) (39). Tuttavia si dovette anche accettare l'esistenza di luoghi in cui "la sessualità selvaggia" trovasse sbocco perché un condizionamento troppo rigoroso e troppo generalizzato avrebbe potuto dare adito ad un fondamento di perversione degli istinti sessuali. Era sufficiente irrigidire l'indole delle perversioni, come avvenne, e caratterizzando il XIX secolo, epoca in cui si svilupparono anche i saperi psichiatrici che, chiamati a compiere l'analisi dei comportamenti irregolari, contribuirono notevolmente al rapporto tra sessualità e controllo sociale.

Il legame tra sessualità e devianza appare non solo delineato ma anche consolidato, il sesso è letto alla luce del suo rapporto con il potere e la legge permette di distinguere quali condotte sono legittimate e quali non lo sono, quali sono socialmente accettate e quali sono invece indice di anormalità. Se oltretutto le medesime pratiche sfociano in crimini, il problema della sessualità esce dalla sfera personale del singolo e diventa relazionale. Infatti, in un primo tempo a destare l'attenzione erano i comportamenti sessuali di tipo onanistico che un individuo poneva in atto come risposta a degli istinti che hanno natura anche fisiologica, e quindi questo modo di agire veniva posto come elemento alla base di una serie di malattie mentali e di comportamenti degenerati (40); successivamente l'interesse si amplia e si inizia a guardare verso quelle che si potrebbero benissimo chiamare "relazioni sessuali", riferendosi con quest'espressione a tutta la serie di comportamenti a carattere sessuale che un soggetto rivolge nei confronti di un altro.

Il rapporto tra le persone viene controllato sulla base di ciò che è permesso e ciò che è proibito anche per quanto riguarda i rapporti sessuali, dal momento che il potere politico non ha la capacità di vietare i piaceri dei singoli può quantomeno porsi nella posizione di regolarli. L'esigenza di controllo della sessualità non aveva come unico fine il contenimento dei comportamenti sregolati o addirittura criminali, il pericolo insito nel sesso era di natura biologica e medica: l'istinto sessuale è stato oggetto di un'analisi clinica così profonda da riconoscere tutte le patologie da cui il sesso può essere affetto ma anche le malattie che questo poteva trasmettere; si intuisce come il potere assuma ora il compito-dovere di proteggere la salute pubblica. L'importanza data al sesso e alla sessualità permette di spiegare il ruolo del potere politico nei suoi minuziosi controlli che lo hanno portato a realizzare "tutto un micro- potere sul corpo" (41).

1.5. Devianza sessuale femminile

Nell'affrontare il tema della sessualità connesso a quello di devianza, di cui il primo può divenire naturale specificazione del secondo, se analizzato in relazione alle sue estrinsecazioni più forti ed eccessive, fino a diventare pericolose, è ragionevole fare riferimento ai soggetti diretti interessati: chi è, dunque, considerato deviante e in particolare chi è più suscettibile di essere definito come un "deviante sessuale".

Se da un lato si può parlare di devianza sessuale facendo riferimento a quei comportamenti che sono condannati perché rivolti a soggetti deboli e indifesi come sono i bambini e le donne (42), dall'altro si può constatare che gli episodi e gli studi sulla devianza femminile in particolare sono meno numerosi rispetto a quelli che hanno per oggetto i comportamenti maschili dello stesso genere. Una spiegazione fa capo all'idea ricorrente che concepisce la donna come inferiore "sulla base della sua imperfezione spirituale" (43); tuttavia un'ulteriore motivazione è data dal fatto che storicamente si è letta la devianza femminile in due sole forme: prostituzione e follia (44). Non solo; tra le forme di crimini più facilmente attribuiti alle donne sono l'aborto, l'infanticidio e l'adulterio (45); tutti comportamenti strettamente legati alla condizione biologica delle donne.

Il corpo della donna è da questo punto di vista intriso di sessualità la quale, se non indirizzata verso le mete naturali dei rapporti coniugali e della filiazione, viene interpretata come segno di abnormità comportamentale. Questo tipo di pensiero è comprensibile se inserito in un contesto storico-sociale come può essere quello del XIX secolo, epoca in cui le donne erano inquadrate in ruoli prestabiliti: esse erano prima di tutto figlie, poi spose e madri (salvo non ovviassero per la vocazione religiosa); la loro condizione era delineata sulla base dei rapporti che esse avevano con gli uomini da cui dipendevano (46). I ruoli ordinari della donna erano intagliati secondo una moralità ben definita secondo la quale la realizzazione principale per una donna era la maternità. Si evince come ogni possibile discorso sulla sessualità femminile che esuli dalla finalità procreativa sia facilmente riportabile all'ambito della devianza; passaggio ancor più agevole affrontando il discorso inerente la prostituzione, qualificata come devianza prettamente femminile che permette di comprendere in modo efficace la stretta connessione tra la donna, la sua sessualità e il concetto di devianza.

E' da notare come la prostituzione, considerata nella sua accezione di devianza sessuale femminile, nel modo descritta fin qui, non si concretizzi in un crimine in senso classico, tale comportamento deviante manca infatti di una vittima tradizionalmente intesa (47); per tale motivo non risulta tecnicamente appropriato chiamare criminali le donne che hanno condotte devianti dettate da una sessualità definita anomala come nel caso delle prostitute. Nonostante la considerazione appena fatta, con il diffondersi del positivismo e l'avanzare delle teorie antropologiche la prostituta era considerata alla stregua della donna delinquente poiché essa raffigurava una regressione della donna normale (48).

Il limite tra pericolosità e degradazione appare nella donna prostituta con grande evidenza; si ricava la stretta correlazione tra campi alquanto diversificati tra loro quali sono quello dell'etica, del potere e del sapere scientifico poiché uno studio attento della donna prostituta non può trascurare di riferirsi ai concetti di devianza morale, pericolosità sociale e inferiorità biologica. Il minimo comune denominatore è rappresentato dalla sessualità di certe donne, questo rappresenta l'aspetto centrale da non tralasciare e da tenere sempre presente in questo contesto.

La donna prostituta è considerata deviante per l'amoralità della sua condotta: un'eccessiva libertà sessuale, non incanalata nelle forme consuetudinarie del matrimonio e della maternità è inconcepibile in un contesto sociale come poteva essere quello del XIX secolo e parte del XX; ne conseguiva una definizione di anormalità morale ricavata da comportamenti spiegabili anche altrimenti (49).

Questa amoralità era avvertita dalla società come minaccia alla stabilità delle famiglie, la sessualità fine alla procreazione è messa in allarme da una sessualità fine a sé stessa e per questo occorre contenerla entro certi ranghi: da qui si aprirà anche il lungo dibattito sulla regolamentazione della prostituzione.

Infine, per quanto riguarda il piano prettamente biologico, la donna già caratterizzata dall'inferiorità di genere vedeva la sua posizione aggravata dalla sua condizione di prostituta: essa era la rappresentazione del grado più basso di sviluppo femminile, idea resa ampiamente da Lombroso e Ferrero nel loro testo (50). L'interesse medico-scientifico per questa categoria di donne riguardò presto anche un altro aspetto: con il diffondersi delle malattie veneree, le prostitute costituivano una minaccia ulteriore per la società poiché rappresentavano il maggiore (ma non è errato affermare anche il primo) gruppo di contagio.

La sessualità, affermò correttamente Foucault nel suo La volontà di sapere (51), diede vita a tutta una serie di discorsi positivi mediante i quali si mise in atto tutta una serie di controlli sui comportamenti e sul corpo degli individui; la figura della donna prostituta può essere presa come esempio di quella normalizzazione che in termini foucaultiani rappresenta il bio potere: la regolamentazione attraverso le case chiuse può essere letta come una presa in carico del potere politico, e di polizia, delle prostitute che minacciavano la società proprio con il loro corpo.

Note

1. Il positivismo scientifico si affermò a meno di un secolo dell'età illuminista. Cfr. F. Tagliarini, Pericolosità, in: "Enciclopedia del Diritto", XXXIII, 1983, Milano, Giuffrè editore, p. 6.

2. G. Campesi, 2008, L'"individuo pericoloso". Saperi criminologici e sistema penale nell'opera di Michel Foucault, in: "Materiali per una Storia della Cultura Giuridica", XXXVIII, n, 2008, p. 122.

3. Cfr. F. Tagliarini, Pericolosità, cit., p. 7.

4. Cfr. D. Petrini, 1997, Il sistema di prevenzione personale tra controllo sociale ed emarginazione, in "Storia d'Italia", annale n. 12, La criminalità, Einaudi, Torino, p. 902.

5. In tal senso si sono espressi vari autori, tra i contributi più autorevoli G. Bolis, 1879, La polizia e le classi pericolose per la società: studi dell'avv. Giovanni Bolis, Zanichelli, Bologna; L. Chevalier, 1976, Classi lavoratrici e classi pericolose: Parigi nella rivoluzione industriale, Roma-Bari, Laterza; H. A. Frégier in C. Debuyst et al., 1998, Histoire des savoirs sur le crime et la peine, Montreal, Le presses de l'Universitè de Montreal, p. 160-164.

6. Cfr. F. Tagliarini, Pericolosità, cit., p. 8.

7. Un contributo autorevole in materia è dato da Michel Foucault, cfr. G. Campesi, 2008, L'"individuo pericoloso". Saperi criminologici e sistema penale nell'opera di Michel Foucault, cit.

8. M. Sbriccoli, 1997, Caratteri originari e tratti permanenti del sistema penale italiano, in: "Storia d'Italia", annale n. 14, La giustizia, Einaudi, Torino, p. 501.

9. Cfr. ivi, p. 511-512.

10. Cfr. P. Beirne, 1991, L'invenzione della criminologia: la "scienza dell'uomo" in "Dei delitti e delle pene" (1764) di Cesare Beccaria, in "Dei delitti e delle pene", 4, (1994, 2ª serie), p. 14.

11. Cfr. D. Melossi, 2002, Stato, controllo sociale, devianza, Bruno Mondadori, Milano, p. 29.

12. G. Campesi, 2008, L'"individuo pericoloso". Saperi criminologici e sistema penale nell'opera di Michel Foucault, cit., p.129.

13. Ivi, p. 130.

14. M. Foucault, Gli anormali: corso al College de France (1974-1975), Feltrinelli, Milano, 2000, p. 85.

15. Cfr. Ivi, p. 32.

16. Pur non criticandone la definizione di pericolosità.

17. Un caso tipico era quello degli ermafroditi, cfr. Ivi, p. 65 e ss.

18. Ivi, p. 73.

19. M. Foucault, 1976, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino, p.111.

20. M. Foucault, Gli anormali: corso al College de France (1974-1975), cit., p. 79.

21. Ivi, p. 65.

22. Cfr. G. Bolis, La polizia e le classi pericolose per la società, cit. e L. Chevalier, Classi lavoratrici e classi pericolose, cit.

23. La Parigi del XIX secolo, come sapientemente ricostruita da Chevalier, rappresenta un esempio lampante di ci ciò che avvenne in molte grandi città d'Europa e d'Italia in quel periodo storico.

24. Chef de bureau alla Prefettura di polizia della Senna a metà Ottocento che si adoperò per una descrizione dei criminali.

25. C. Debuyst, Histoire des savoirs sur le crime et la peine, cit., p.160.

26. Cfr. L. Chevalier, Classi lavoratrici e classi pericolose, cit., p.476.

27. G. Greco, 1985, Peccato, crimine e malattia tra Ottocento e Novecento, Edizioni Dedalo, Bari, p. 174.

28. Cfr. L. Chevalier, Classi lavoratrici e classi pericolose, cit., p. 471.

29. Cfr. Ivi, p. 87 (nota).

30. Cfr. Ivi, p. 354 e ss.

31. Gli studi di A. Parent-Duchatelet descrivono in modo accurato il fenomeno, come riporta anche Chevalier nel testo citato.

32. Cfr. F. Tagliarini, Pericolosità, cit., p.14.

33. Ivi, p.125.

34. Cfr. M. Foucault, Gli anormali: corso al College de France (1974-1975), cit., p. 267.

35. M. Foucault, La volontà di sapere, Universale Economica Feltrinelli, Milano, 1988 (Ripr. Dell'Ed. Feltrinelli, Milano, 1978), p. 10.

36. Ivi, p. 11.

37. Ivi, p. 26.

38. M. Foucault, 1998, Bisogna difendere la società, Milano, Feltrinelli, p. 217.

39. Cfr. D. Melossi, M. Pavarini, Carcere e fabbrica. Alle origini del sistema penitenziario, Società editrice Il Mulino, Bologna, 1977, p. 53.

40. Cfr. M. Foucault, Gli anormali, cit., p. 246.

41. M. Foucault, La volontà di sapere, cit., p. 129.

42. Un caso di studio di violenza sessuale è riportato da M. Foucault, Gli anormali, cit., p. 260 e ss. La vittima è proprio una bambina costretta ad assecondare la volontà di un contadino, l'episodio avvenuto nelle campagne francesi nella seconda del 1800 è indice soprattutto del cambiamento nella scala di valori anche in un contesto dove certe pratiche erano state tollerate fino a quel momento.

43. D. Chapman (1971), Lo stereotipo del criminale. Componenti ideologiche e di classe nella definizione del crimine, Einaudi, Torino, p. 30.

44. Cfr. T. Pitch (1975), Prostituzione e malattia mentale: due aspetti della devianza nella condizione femminile, in "La questione criminale", 2, Il Mulino, Bologna, p. 379-392.

45. Comportamento considerato, in Italia, reato solo se commesso dalla moglie, depenalizzato nel 1970.

46. Dipendenza non solo economica e materiale ma anche legale: secondo il Codice Pisanelli del 1865 la donna era giuridicamente sottomessa al marito.

47. L'assenza di una vittima ha fatto sì che la prostituzione sia spesso assente in molti codici penali, la dove si è cercato di codificarla lo si è fatto rinviando a principi come la morale, l'ordine pubblico.

48. Il testo di Lombroso scritto nel 1893, con G. Ferrero, La donna delinquente, la prostituta e la donna normale (Et al. Edizioni, Varese 2009) descrive la donna come appartenente a un sesso inferiore e traccia in modo esaustivo i caratteri peculiari della donna prostituta quale livello più basso dello sviluppo femminile.

49. Molte delle donne che si prostituivano lo facevano per necessità di denaro.

50. C. Lombroso, La donna delinquente, la prostituta e la donna normale, cit.

51. Cfr. M. Foucault, La volontà di sapere, cit.