ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo terzo
Il Polo industriale penitenziario toscano e il programma esecutivo d'azione n. 14

Vittoria Furfaro, 2008

1. Il polo industriale penitenziario toscano

1.1 L'avvio del progetto

Sull'onda di ottimismo suscitata dall'approvazione della legge n. 193 del 22 giugno 2000, cosiddetta "legge Smuraglia", il Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria (PRAP) per la Toscana, nell'ottobre del 2000, ha lanciato l'idea di realizzare un Polo industriale penitenziario che coinvolgesse le carceri presenti nella Regione, al fine di far decollare il lavoro penitenziario così come previsto dall'art. 20 della legge sull'ordinamento penitenziario (l. n. 354 del 1975). L'incipit del fermento organizzativo per la realizzazione di tale progetto si è avuto in occasione di un Convegno tenutosi il 20 novembre 2000 a Firenze in occasione del quale si sarebbe discusso dei risultati conseguiti e conseguibili dall'attuazione di un'iniziativa comunitaria promossa dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria con il progetto "Polaris", volta in generale all'occupazione e alla valorizzazione delle risorse umane e in particolare, nell'ambito del progetto realizzato dall'amministrazione penitenziaria, alla sperimentazione di sportelli informativi utili ai detenuti ad orientarsi nella ricerca di occupazioni stabili, duraturi nel tempo, anche oltre il fine pena (1).

In occasione di tale convegno, infatti, il PRAP della Toscana ha reso nota la volontà da un lato di proseguire con l'attuazione del progetto Polaris, istituendo uno sportello unico, affiancato da una serie di sportelli interni alle carceri, gestito in collaborazione con i servizi all'impiego presenti nel territorio al fine di creare una sorta di banca dati dei possibili prestatori di lavoro detenuti ed ex detenuti; e dall'altro di costituire un polo industriale penitenziario in Toscana "che possa meglio facilitare l'incrocio fra domanda ed offerta di lavoro" (2). In realtà, prima ancora della pubblicizzazione del progetto sul polo industriale in occasione del convegno del 20 novembre, il PRAP della Toscana aveva diramato fra le direzioni di tutti gli istituti penitenziari toscani una lettera circolare avente ad oggetto la richiesta di un prospetto "dei locali idonei per l'installazione di produzioni industriali o artigianali" e qualora tali locali non fossero disponibili, di un impegno a progettarli, "onde costituire una mappa di tali risorse da proporre alle Associazioni industriali e alle cooperative sociali toscane in tavoli specifici" (3).

Il passo successivo è stato la convocazione da parte del PRAP Toscana, nell'imminenza dell'approvazione del primo decreto di attuazione della legge Smuraglia - peraltro rimandata al novembre dello stesso anno- di una prima assise in data 8 febbraio 2001, in occasione della quale costituire, un "pool integrato di operatori penitenziari ed operatori del privato sociale e degli enti pubblici o legati alla ricerca" al fine di "determinare una strategia efficiente per rispondere alla carenza quasi generale di lavorazioni penitenziarie e a quella di stabilire rapporti stretti e costanti con il mondo produttivo, privato e cooperativistico" per realizzare efficaci inserimenti lavorativi di detenuti ed internati ovvero di condannati ammessi al lavoro all'esterno o alle misure alternative alla detenzione (4). Gli argomenti posti all'ordine del giorno della prima Assise del Comitato interistituzionale per un polo industriale penitenziario toscano erano essenzialmente due: da un lato lo studio della normativa sul lavoro penitenziario, contenuta nella legge sull'ordinamento penitenziario e nel relativo regolamento d'attuazione nonché nella legge Smuraglia, al fine di cogliere tutte le potenzialità e i vantaggi connessi al lavoro penitenziario da tradurre poi in un "depliant illustrativo" da diffondere allo scopo "di attirare verso gli istituti che ne offrano le condizioni, l'imprenditoria pubblica e privata e quella cooperativistica" (5). Dall'altro lato l'identificazione di un primo sottogruppo di lavoro a cui attribuire il compito precipuo di delineare "un elenco di industriali e di cooperative da contattare" e provvedere conseguentemente ad attivare una serie di incontri con tali soggetti in modo da verificarne la disponibilità ad avviare attività lavorative entro gli istituti penitenziari toscani; e di un secondo sottogruppo di lavoro che si occupasse esclusivamente delle cooperative di lavoro non profit già esistenti o da promuovere "a cui fornire un'adeguata consulenza sia per aumentare gli investimenti di tali realtà sia per costituire una rete di interscambi proficui fra tutti gli operatori del settore" (6).

Nel giro di pochi mesi è stata poi convocata una seconda assise, in data 19 aprile 2001, nella quale si è provveduto innanzitutto a rendere note le adesioni di alcuni istituti penitenziari toscani (7), e si sono delineati i "tipi di intervento" immediatamente necessari per avviare la realizzazione del progetto di polo industriale toscano. In tal senso, è stata in primo luogo sottolineata la necessità di un adeguamento da parte degli stessi istituti penitenziari al nuovo assetto organizzativo delineato dal recente regolamento di attuazione della legge sull'ordinamento penitenziario, in particolare dando la disponibilità a cedere in comodato i locali per la produzione (art. 47 primo comma) e soprattutto modificando le condizioni di vita e di socialità dei detenuti lavoranti in modo da renderle compatibili con lo svolgimento di attività lavorative alle dipendenze di imprenditori esterni che fossero intenzionati ad istituire lavorazioni penitenziarie. In particolare sono stati richiesti a livello del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, la garanzia della copertura finanziaria per le ristrutturazioni e la messa a norma dei locali da adibire a produzioni industriali e stoccaggi (8); l'avvio di uno studio tecnico sui modelli di convenzioni da poter adottare con imprenditori e cooperative; ed infine, l'elaborazione e la diffusione di una circolare che affrontasse "sistematicamente la questione degli investimenti produttivi privatistici e cooperativistici in carcere" (9).

In secondo luogo, in occasione di tale riunione, è stata sollevata la necessità di coinvolgere nel progetto del polo industriale la Regione e gli enti locali, per convogliare in un unico centro propulsore tutte le iniziative di inclusione sociale aventi ad oggetto la formazione e il reinserimento lavorativo di persone in condizioni di svantaggio in quanto detenute o internate. Più dettagliatamente è stata prospettata l'idea di istituire "un'équipe specifica tra funzionari delle aree lavoro, industria, formazione e politiche sociali della Regione e referenti del PRAP per concordare un protocollo d'intesa e una convenzione sulle iniziative di supporto ai vari livelli del progetto per un polo industriale penitenziario toscano" (10). Infine nel corso della stessa assise, si è data pubblicità alle attività lavorative recentemente avviate in alcuni istituti, quali in particolare l'attività di tele-lavoro svolta dai detenuti del carcere di Prato su commessa proveniente dal Comune di Prato per l'elaborazione di un archivio toponomastico comunale informatizzato, e con riferimento al carcere di Porto Azzurro, la stipula fra il comune di Campo e il DAP di un protocollo d'intesa per supportare l'operato della locale cooperativa sociale "San Giacomo", la quale aveva avviato un progetto finalizzato ad impiantare nell'istituto una produzione di cosmetici (11).

A seguito della seconda assise, raccolte le adesioni di alcuni istituti penitenziari della Toscana, il PRAP invia alle rispettive direzioni una lettera circolare, con la quale viene richiesta la pronta comunicazione al medesimo provveditorato di tutte le informazioni concernenti i locali destinati o eventualmente destinabili a lavorazioni penitenziarie. In particolare lo scopo del PRAP è quello di avviare una mappatura dei locali a norma e dei locali, invece, da mettere a norma, in modo da poter calcolare l'ammontare delle somme da destinare alla manutenzione straordinaria e alla ristrutturazione degli istituti penitenziari stessi. Alla stessa data infatti, fra tutti gli istituti che hanno aderito all'iniziativa del polo industriale penitenziario, soltanto nel carcere di Gorgona risultano lavorazioni e impianti "a norma di legge e funzionanti", mentre gli altri istituti richiedono interventi di adeguamento e messa in sicurezza (12). Parallelamente il PRAP di Firenze indirizza una seconda lettera circolare all'Assessorato alle politiche sociali della Regione Toscana, con la richiesta, fra le altre, di mettere a disposizione delle direzioni penitenziarie "preposte ad attivare il rilancio delle attività produttive negli istituti ad opera di imprese private e cooperative, delle consulenze universitarie per gli aspetti tecnico-legali connessi alle singole iniziative" in modo da avere competenze più qualificate che potessero meglio orientare l'operato delle amministrazioni penitenziarie volto alla realizzazione del polo industriale (13).

Le richieste contenute nella lettera circolare indirizzata all'Assessorato alle politiche sociali, erano state peraltro avanzate nel corso di un incontro del 3 luglio 2001, fra gli staff penitenziari di tutti gli istituti toscani, alcuni funzionari della Regione Toscana e delle Province, professori universitari volontari dei Poli industriale e universitario ed esponenti di tutto l'associazionismo toscano e delle cooperative sociali, promosso dal PRAP per discutere dei progetti "Equal", al fine di "promuovere a livello territoriale la formazione di un partenariato di sviluppo da parte degli istituti penitenziari e dei servizi sociali orientato verso modelli di progettazione, che rispecchiassero le specifiche esigenze della complessa utenza detenuta ed ex-detenuta rispetto al superamento degli ostacoli all'integrazione socio-lavorativa" (14). La ratio dell'incontro consisteva nella necessità per le direzioni degli istituti penitenziari e per i Centri di servizio sociale per adulti (CSSA) - ora Uffici di esecuzione penale esterna (UEPE)- di "raccordarsi tempestivamente con le Province e con gli enti che sul territorio sono promotori o partner di Equal" al fine di addivenire in tempi ristretti alla formazione di partenariati di sviluppo.

In particolare in occasione di tale incontro venivano innanzitutto esaminati i dati sul lavoro nelle carceri toscane, dai quali emergeva una situazione critica dello stato attuale del lavoro penitenziario: più approfonditamente al 31 dicembre 2000, su una popolazione carceraria composta da 3.940 detenuti, soltanto il 37,6% del totale risultava "occupata" in un'attività lavorativa, di cui peraltro solo il 3,6% alle dipendenze di datori di lavoro esterni, mentre la stragrande maggioranza, pari al 34% della popolazione totale, lavorava alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria (15). A fronte delle pessime conclusioni traibili dai pochi dati esaminati, vengono proposti nel medesimo incontro, alcuni interventi realizzabili attraverso i progetti "Equal", che concernono in primo luogo il rilevamento delle qualificazioni professionali dei detenuti al fine poi di programmare i necessari e adeguati corsi di formazione; e in secondo luogo l'elaborazione di programmi di accompagnamento ed orientamento lavorativo e sociale, ponendo la dovuta attenzione, nella fase di reinserimento sociale, alla necessità strumentale al fine del reinserimento, di approntare "case o centri di accoglienza, con personale socio-relazionale, diffuse nella regione, per avviare forme di sperimentazione di restituzione al territorio dei soggetti, in grado giuridicamente e professionalmente di reintegrarvisi" (16).

Con riguardo al problema della preparazione e qualificazione professionale dei detenuti, nel 2002, in prospettiva dell'emanazione dei bandi regionali relativi agli stanziamenti del Fondo Sociale Europeo (P.O.R. 2003/2006), il PRAP Toscana invia agli Assessorati provinciali al lavoro e alla formazione professionale una missiva avente ad oggetto la richiesta di "voler valutare l'opportunità di prevedere per ciascuna provincia bandi specifici per i detenuti da realizzarsi negli istituti penitenziari e per i soggetti ammessi alle misure alternative alla detenzione" sottolineando "la rilevanza insostituibile della formazione professionale per il reinserimento sociale dei detenuti" (17). La richiesta è accompagnata da una relazione illustrativa contenente da un lato alcuni dati statistici sull'organizzazione e la frequenza di corsi professionali entro le carceri toscane nell'anno precedente, il 2001, da cui si evince l'insufficienza degli investimenti destinati alla formazione professionale (18); e dall'altro alcune "idee per il potenziamento e la razionalizzazione della formazione professionale negli istituti penitenziari toscani", relative ai tipi di corsi che potrebbero essere istituiti al fine di far acquisire ai detenuti competenze immediatamente spendibili sul mercato del lavoro (19), ed organizzati in maniera tale da coinvolgere la maggior parte della popolazione penitenziaria possibile attraverso moduli annuali che ne permettano la frequenza anche ai detenuti con pene medio-basse. Particolarmente significativo il fatto che venga sollecitata nella stesura del bando regionale, la previsione di incentivi economici per gli iscritti ai corsi di formazione professionale, in modo da non scoraggiarne la frequenza, sussistendo la "più che oggettiva necessità per la maggior parte dei corsisti di provvedere al proprio sostentamento con il lavoro" (20).

1.2 I programmi esecutivi d'azione n. 42 e 43 promossi dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e i POT del Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria della Toscana

Il Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria della Toscana, avviando le iniziative per il rilancio dell'attività lavorativa negli istituti della Regione subito a ridosso dell'approvazione della legge Smuraglia nel giugno del 2000, aveva di gran lunga anticipato le mosse del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP), che avvia invece i progetti per il potenziamento del lavoro penitenziario soltanto nel 2002, a seguito dell'adozione del secondo decreto attuativo della legge Smuraglia, (d. m. n. 87 del 25 febbraio 2002). Così la Direzione Generale dei detenuti e del trattamento, presso il DAP, comunica una nota ai provveditorati regionali dell'amministrazione penitenziaria al fine di rendere pubblica la decisione di "definire uno specifico programma esecutivo di azione (P.E.A.) avente l'obiettivo di incentivare lo sviluppo del lavoro all'interno delle carceri per favorire il reinserimento sociale dei detenuti" (21). Più precisamente tale nota contiene la richiesta di comunicare alla stessa direzione generale presso il DAP "l'organizzazione delle aree trattamentali con riferimento al lavoro penitenziario e il nominativo del funzionario responsabile" specificando "se alla trattazione della tematica in oggetto siano assegnati i funzionari/operatori che sono stati - a suo tempo - coinvolti nell'importante investimento formativo del progetto Polaris". Da ultimo la nota in esame esprime l'intenzione della Direzione generale di programmare riunioni periodiche "per la verifica e il monitoraggio delle attività esistenti e delle nuove progettualità, per convenire congiuntamente a prospettive di ulteriore sviluppo" e in particolar modo per verificare l'andamento dell'attuazione della legge Smuraglia.

Il PRAP della Toscana risponde prontamente alla nota del DAP, cogliendo l'occasione per fare presenti alcune difficoltà riscontrate nell'avvio dei progetti di rilancio del lavoro penitenziario. Si tratta di difficoltà sia di carattere economico, essendo necessaria la destinazione di cospicui fondi per la messa a norma e le ristrutturazioni dei locali destinati ai laboratori e alle lavorazioni penitenziarie; sia di carattere normativo, in quanto è stato riscontrato un nodo problematico relativo all'applicazione della legge Smuraglia, concernente il vincolo dell'art. 21 ord. pen., "che tradizionalmente non incontra il favore delle direzioni penitenziarie" sottolineando al contrario il fatto che "ben altri risultati si potrebbero ottenere qualora i benefici fossero applicabili anche ai semiliberi o agli ammessi all'affidamento in prova" (22).

Il DAP a seguito di un primo monitoraggio sullo stato del lavoro penitenziario nelle carceri di tutto il territorio nazionale, avvia due Programmi Esecutivi d'Azione (P.E.A.) per l'anno 2004, finalizzati rispettivamente alla razionalizzazione delle lavorazioni domestiche (P.E.A. n. 42) e alla razionalizzazione e al rilancio delle lavorazioni penitenziarie (P.E.A. n. 43). In particolare il P.E.A. n. 42 ha la finalità, attraverso la raccolta e l'analisi di dati statistici concernenti le attività domestiche svolte nei vari istituti penitenziari nei primi mesi dell'anno 2004, di consentire al DAP la "definizione di direttive in merito all'organizzazione del lavoro domestico con l'obiettivo di omologare le modalità di avvio al lavoro, e di aumentare il numero dei detenuti lavoranti ricorrendo a congrue modalità di lavoro part-time" (23). Invece il P.E.A. n. 43 è stato progettato in tre fasi: la prima destinata alla predisposizione e l'invio attraverso il coinvolgimento dei provveditorati, di "strumenti di rilevazione per l'acquisizione di notizie sullo stato delle lavorazioni negli istituti penitenziari e l'individuazione degli spazi da utilizzare per nuove lavorazioni"; la seconda fase finalizzata all'analisi delle commesse interne ed esterne, e soprattutto all'avvio di momenti di contatto con le Camere di commercio, industria ed artigianato nonché con il mondo dell'imprenditoria; e la terza ed ultima fase incentrata sulla "predisposizione di un progetto complessivo con l'indicazione delle lavorazioni da consolidare, da ristrutturare, da riconvertire e da avviare e l'elaborazione del relativo piano finanziario" (24). Entrambi i piani esecutivi d'azione testé citati prevedono infine l'avvio e la conclusione dei progetti in tempi piuttosto contingentati, avendo stabilito come periodo di esecuzione degli stessi un arco temporale compreso fra aprile 2004 e marzo 2005.

Dal canto suo, il provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria della Toscana provvede solertemente a dare avvio all'esecuzione dei P.E.A. n. 42 e 43, stabilendo alcune priorità da perseguire nell'immediato ed elaborando specifici "Piani Organizzativi Territoriali" (P.O.T.). Innanzitutto al fine di coinvolgere la realtà della cooperazione sociale nel tentativo di rilanciare il lavoro penitenziario, nel marzo del 2004 viene siglato un Protocollo d'Intesa fra il PRAP Toscana e Federsolidarietà-Confcooperative Toscana, ARCST-Legacoop, AGCI-Solidarietà toscana ed altre cooperative, con l'adesione degli Assessorati regionali al Lavoro, all'Industria e al Sociale, avente lo scopo di "promuovere programmi di intervento a favore dei detenuti, al fine di avviare progetti imprenditoriali finalizzati all'inserimento lavorativo intra ed extra mura e al recupero e reinserimento sociale degli stessi anche attraverso il ricorso all'istituto del lavoro all'esterno e alle misure alternative alla detenzione" (25).

Il presupposto basilare per la conclusione di tale protocollo d'intesa è rinvenibile nella circostanza della notevole attitudine dimostrata nel tempo dalle Confederazioni di cooperative aderenti, alla promozione dell'inserimento lavorativo di persone in stato di bisogno e a rischio di emarginazione sociale. Attraverso il protocollo d'intesa peraltro, il PRAP formalizza il proprio impegno a promuovere l'elaborazione di progetti in tema di lavoro penitenziario finanziabili dall'Unione Europea nonché a "sensibilizzare i direttori degli istituti penitenziari e dei C.S.S.A [ora U.E.P.E., NdA], individuando nelle singole realtà locali, di concerto con le cooperative sociali e/o loro consorzi, progetti idonei alla realizzazione di attività di recupero sociale ed inserimento lavorativo"; e ancora il PRAP esprime la propria intenzione "di valersi della previsione dell'art. 5 della legge 381/91 e della legge n. 193 del 22 giugno 2000 e si impegna a promuoverne l'applicazione in quanto possibile, sia con riferimento alla normativa in materia di attività contrattuale, sia con riferimento alla specificità di singole situazioni" (26). Le cooperative sociali ed i loro consorzi aderenti agli enti che hanno sottoscritto il protocollo d'intesa, viceversa, si dichiarano disposte ad impegnarsi in progetti di reinserimento socio-lavorativo di detenuti e condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione, obbligandosi "formalmente ad osservare tutte le disposizioni e ad ottemperare agli obblighi previsti dalle leggi inerenti all'esecuzione penale, all'attività lavorativa e alla tutela della salute dei lavoratori e ad ogni altra incombenza conseguente alla gestione ed organizzazione delle attività lavorative".

Il protocollo d'intesa del marzo 2004 prevede infine l'istituzione di un "gruppo di lavoro paritetico" composto da rappresentanti di ciascun ente firmatario ed avente sede presso il PRAP Toscana al fine di consentire un monitoraggio periodico sul raggiungimento degli obiettivi stabiliti dal protocollo stesso, attraverso una verifica generale degli sviluppi occupazionali nei singoli istituti penitenziari interessati dal coinvolgimento delle cooperative sociali aderenti all'intesa. Effettivamente a pochi mesi dalla conclusione del protocollo, vengono emanati due ordini di servizio da parte del PRAP di Firenze con cui vengono nominati rispettivamente il coordinatore del gruppo di lavoro paritetico per l'attuazione del protocollo d'intesa e la gestione di progetti per il reinserimento dei detenuti, e i rappresentanti dello stesso provveditorato in seno al medesimo gruppo di lavoro in modo da istituire una Commissione permanente per il Polo industriale, anche detta Commissione per il reinserimento lavorativo (27).

La Commissione appena formatasi, avvia lo studio dello stato delle produzioni penitenziarie in modo da elaborare una prima mappatura generale in base ai dati esistenti, integrati con eventuali aggiornamenti dei locali disponibili ai fini dell'impianto di lavorazioni penitenziarie. Il risultato di tale studio è l'individuazione dei primi tre istituti (C.R. Massa, C.R. Volterra, C.R. Porto Azzurro), presso i quali effettuare sopralluoghi di monitoraggio, attraverso visite svolte dagli stessi componenti della Commissione PRAP ai laboratori di tali istituti "per curare sia il rilevamento delle potenzialità da offrire ai terzi sia una sensibilizzazione diretta e non meramente burocratica degli staff penitenziari per un coinvolgimento e un'adesione efficace al progetto" (28).

Quasi contemporaneamente allo svolgimento degli iniziali sopralluoghi di monitoraggio vengono concluse le prime tre convenzioni aventi ad oggetto la cessione attraverso contratti di comodato, di locali ed attrezzature penitenziarie ad alcune cooperative sociali intenzionate ad avviare attività produttive e dunque procedere ad assunzioni progressive di detenuti, ai sensi della legge Smuraglia, presso la Casa Circondariale di Prato. La prima convenzione viene conclusa con la cooperativa sociale "L'Anfora" intenzionata ad avviare una lavorazione penitenziaria destinata alla produzione di campionari tessili attraverso la quale si sarebbe garantita l'iniziale assunzione di tre detenuti; la seconda convenzione, siglata con la cooperativa sociale "Panglos", aveva ad oggetto l'attività di trascrizione informatica di dati toponomastici su commesse comunali con la previsione di assunzione di otto detenuti, attività lavorativa da svolgersi peraltro presso il locale di studi del Polo Universitario dello stesso carcere di Prato; e infine la terza ed ultima convenzione riguardava lo svolgimento dell'attività di riciclaggio di rifiuti nella casa circondariale di Prato, gestita dal consorzio "Astir" e alla quale si sarebbe adempiuto assicurando l'assunzione di quattro detenuti.

Negli ultimi mesi del 2004 il PRAP della Toscana procede all'elaborazione e alla diffusione, anche attraverso le reti telematiche, del Primo bando pubblico di disponibilità avente ad oggetto "la cessione in comodato gratuito, a cooperative sociali e/o imprese, di locali, attrezzature e tenute agricole, presenti nei seguenti istituti: Casa di Reclusione di Massa, Casa di Reclusione di Volterra, Casa di Reclusione di Porto Azzurro" (29). Il bando contiene innanzitutto un invito alle imprese ad effettuare sopralluoghi nei laboratori prescelti presso i tre istituti indicati, in modo da avere un'idea più precisa sui locali la cui disponibilità è stata bandita dal PRAP per l'impianto di lavorazioni penitenziarie. Tuttavia lo stesso bando contiene in allegato alcune tabelle sulle caratteristiche dei laboratori e del tenimento agricolo oltre che "due schemi, che riassumono i vantaggi fiscali e contributivi per le imprese che assumono con contratto collettivo di lavoro, a tempo determinato o full time detenuti dentro gli istituti penitenziari, rilevando con comodato gratuito i locali e le attrezzature esistenti".

Lo stesso bando del resto prevede il decalogo degli impegni assunti dall'amministrazione penitenziaria nel concedere i propri locali in comodato, e degli impegni a cui avrebbero dovuto d'altro canto vincolarsi le imprese o le cooperative sociali che avessero mostrato l'intenzione di voler beneficiare dell'offerta. Per quanto concerne l'amministrazione penitenziaria, il bando prevedeva la "cessione in comodato gratuito di tutte le attrezzature, dei locali e dei terreni agricoli, dove questi sono ubicati, per un periodo non superiore ai dieci anni con possibilità di proroga; lo sgombero dei locali che si intendessero utilizzare per produzioni diverse; la sorveglianza, attraverso il proprio personale, dei detenuti e dei locali interessati alle produzioni; e infine la disponibilità ad accogliere specifiche richieste inerenti all'organizzazione e alla gestione dell'attività lavorativa". L'impresa o la cooperativa sociale interessata al bando invece avrebbe dovuto impegnarsi a "mantenere, anche se con eventuali diverse mansioni, i livelli occupazionali esistenti"; ad assicurare un "incremento delle suddette unità lavorative, in percentuale annua non inferiore al 10% a decorrere dal secondo anno contrattuale"; a garantire "l'applicazione dei contratti collettivi di lavoro e delle normative previdenziali ed assicurative vigenti"; ad assicurare un uso dei locali, macchinari e terreni affidati secondo l'ordinaria diligenza; ed infine a sottoporre la richiesta di "eventuali modifiche ai locali, magazzini e/o terreni" ad una preventiva autorizzazione della stessa amministrazione penitenziaria (30).

Già nel gennaio del 2005, a ridosso della pubblicizzazione del bando del PRAP volto alla cessione di locali penitenziari in comodato gratuito, si sono avute le prime adesioni di cooperative sociali: più specificatamente sono stati stipulati due contratti di comodato per altrettanti laboratori (metalmeccanico, falegnameria), tra la società "Carovana Lavoro" s.r.l., e la C.R. di Massa con specifici piani formativo-occupazionali e complessive cinque assunzioni di detenuti secondo il contratto collettivo nazione di lavoro di categoria, con l'adesione e il sostegno al progetto da parte del Comune di Massa. Contemporaneamente il PRAP ha ricevuto le "comunicazioni di interesse" al tenimento agricolo di Porto Azzurro da parte di Federsolidarietà e della cooperativa sociale "San Giacomo" e ancora di Federsolidarietà al laboratorio di sartoria di Volterra con la notizia informale di due eventuali cooperative locali interessate; nonché infine un'altra richiesta informale di comodato da parte di un'importante impresa nazionale metallurgica per un terzo capannone, presso l'istituto di Massa. Fin da subito, è emersa con tutta evidenza la maggiore propensione delle cooperative sociali rispetto alle imprese private ad avvicinarsi alla questione del lavoro penitenziario (31), nonostante l'impegno del provveditorato della Toscana fosse stato profuso egualmente nel coinvolgimento sia della cooperazione sociale che dell'imprenditoria pubblica e privata. Anzi a ben guardare l'interesse principale del PRAP era proprio il coinvolgimento dell'imprenditoria privata, attraverso una capillare diffusione delle informazioni concernenti gli incentivi economici previsti dalla legge Smuraglia al fine di facilitare il reinserimento lavorativo dei detenuti, stante la consapevolezza che le cooperative sociali assicurano una minore stabilità e sicurezza nel tempo dell'offerta lavorativa, essendo nella maggior parte dei casi legate a bandi pubblici di finanziamento (32).

A seguito di questi primi successi, si è indetto il Primo forum per un Polo industriale penitenziario, in data 7 marzo 2005, al quale hanno partecipato oltre che i componenti dell'apposita Commissione istituita presso il PRAP, i rappresentanti delle associazioni cooperativistiche e delle associazioni industriali della Toscana. Nell'incontro, i rappresentanti del PRAP hanno avuto cura di ribadire i risultati conseguiti a seguito del primo bando di cessione in comodato gratuito dei locali penitenziari disponibili per l'impianto di lavorazioni, sottolineando peraltro che qualora gli istituti penitenziari coinvolti non fossero stati in grado di mettere a disposizioni locali a norma ovvero idonei allo svolgimento di lavorazioni, avrebbero pur tuttavia potuto collaborare alla realizzazione del polo industriale, rilanciando "ciascuno sul proprio territorio, anche con l'aiuto delle locali associazioni imprenditoriali e delle camere di commercio, la diffusione delle informazioni sui vantaggi contributivi e fiscali della Legge Smuraglia, per le imprese che assumano detenuti o all'interno degli istituti o se sottoposti al regime di cui all'art. 21 dell'ordinamento penitenziario all'esterno dell'istituto" (33).

Il 15 luglio 2005 il PRAP trasmette alle direzioni di tutti gli istituti penitenziari nonché agli Centri di Servizio Sociale per Adulti [ora Uffici di Esecuzione Penale Esterna]toscani un comunicato stampa per rendere noto quello che viene definito un "vero e proprio evento nel campo del riorientamento sociale e professionale dei detenuti o di persone che possono richiedere di sperimentare percorsi formativi e lavorativi all'esterno del carcere, teso a promuovere condizioni di aiuto potenziate ed efficaci nel quadro di una reintegrazione sociale che significhi al tempo stesso sicurezza sociale". Più precisamente il PRAP vuole informare le direzioni penitenziarie e i CSSA "che su 36 progetti delle cooperative sociali - che hanno vinto il recente Bando ESPRIT- FSE (Fondi sociali europei)- ben 12 riguardano l'inserimento sociale e lavorativo di detenuti e detenute, insieme al potenziamento della cooperazione sociale, per il miglioramento ed una maggiore efficacia dei percorsi di aiuto". Inoltre viene reso noto che "in seguito alla campagna di sensibilizzazione e promozione del settore trattamentale e dell'Area penale esterna del PRAP, partecipano come partner a ben otto progetti - per un finanziamento complessivo di 645.209,84 euro - gli istituti penitenziari di Arezzo, Empoli, Massa, Pisa, Prato e i Centri di servizio sociale per adulti di Firenze, Massa, Pisa e Siena. Altri quattro progetti, relativi ai territori di Arezzo, Firenze e Pistoia, prevedono tra i beneficiari detenuti o persone, affidate all'area penale esterna al carcere". I progetti in questione, prevedono, peraltro "sia corsi di formazione e assunzioni dentro (Prato e Massa) e fuori le carceri, come soci lavoratori direttamente da Cooperative sociali, sia fasi fondamentali di accompagnamento nella comunità esterna" (34).

Grande attenzione è peraltro posta all'attività di formazione professionale dei detenuti, infatti in data 9 agosto 2005, il PRAP Toscana invia una lettera all'assessore regionale all'istruzione, alla formazione e al lavoro, nonché ai presidenti delle province toscane e agli assessori provinciali al lavoro e alla formazione, avente ad oggetto la richiesta di "destinare programmaticamente, come del resto già consolidato nel recente passato, dei fondi per Bandi regionali e provinciali specificamente destinati a detenuti/e e persone in esecuzione penale esterna al carcere" al fine di poter sviluppare percorsi formativi ed occupazionali appositamente calibrati su tale utenza (35).

Fra il giugno e l'ottobre del 2005 il PRAP riceve la richiesta di rilevamento di un locale della C.R. di Massa da parte della cooperativa sociale C.O.M.P.ASS. al fine di istituirvi un call center che lavorasse su commesse dell'Asl di Massa, prevedendo ivi l'assunzione di quattro detenuti a tempo pieno secondo il contratto collettivo nazionale di categoria di riferimento. A seguito della richiesta il PRAP esprime la propria approvazione alla proposta di convenzionamento con la cooperativa sociale C.O.M.P.ASS. Allo stesso tempo viene siglata una convenzione avente ad oggetto il comodato d'uso gratuito di terreni della C.R. di San Gimignano e di un locale del medesimo istituto da destinare a lavori di rimessaggio con la cooperativa sociale "Arche'" intenzionata ad impiantarvi una lavorazione finalizzata alla produzione dello zafferano attraverso l'assunzione di sette detenuti secondo il ccnl di riferimento.

Nello stesso periodo, fra il giugno e il settembre 2005, il PRAP Toscana procede all'individuazione, previo accordo con la Direzione, dei locali dell'istituto di Prato disponibili per produzioni industriali, reperendo così ben dieci locali per un totale di 720 metri quadri. Si procede dunque con un sopralluogo della Commissione del PRAP ai laboratori della C.C. di Prato e si elabora un piano di raccordo con la Direzione e lo staff penitenziario pratese in vista della preparazione e della pubblicazione del secondo bando di disponibilità di locali dell'amministrazione penitenziaria per l'impianto di lavorazioni da parte di imprese pubbliche o private ovvero da parte di cooperative sociali (36).

Il secondo bando di disponibilità ha immediatamente successo, infatti già ad un mese dalla sua pubblicazione si hanno alcune dichiarazioni di interesse da parte di imprese e cooperative sociali. Il 21 ottobre 2005 il Consorzio "Astir" formalizza la propria dichiarazione di interesse a rilevare i locali messi a bando della casa circondariale di Prato per attivare tre tipologie distinte di produzioni: la prima finalizzata alla riparazione dei cassonetti per la raccolta differenziata del Comune di Prato; la seconda e la terza rispettivamente volte alla riparazione di arredi urbani e alla produzione di manufatti impiegando materiali riciclati, per conto di una catena di negozi del gruppo per il commercio equo e solidale. Peraltro in data 2 agosto 2005, il medesimo Consorzio cooperativistico "Astir" aveva dichiarato la propria disponibilità a rilevare l'azienda agricola e le strutture della Casa di Reclusione di Porto Azzurro, dopo aver fatto rivisitare da un proprio agronomo il tenimento (37).

Al secondo bando risponde attraverso una dichiarazione di interesse al rilevamento dei locali di Prato anche un'impresa privata, la società Pointex, la quale invia una lettera alla direzione della C.C. di Prato, con cui richiede la concessione da parte della stessa di un periodo di tempo per valutare la proposta ed elaborare un planning di rilevamento per impiantare una propria produzione, prospettando l'eventuale assunzione di quindici detenuti.

A livello statale, peraltro, ad opera del DAP viene inviato a tutti i provveditorati regionali dell'amministrazione penitenziaria un sollecito all'attuazione dei P.E.A. n. 42 e 43, i quali "secondo la programmazione prevista inizialmente avrebbero già dovuto produrre i risultati definitivi entro la data del 30 marzo 2005" (38). A tal fine viene elaborato un nuovo piano esecutivo d'azione per l'anno 2005, il P.E.A. n. 24 destinato alla "razionalizzazione delle attività lavorative negli istituti penitenziari", che "rappresenta la continuazione e l'ampliamento dei P.E.A. n. 42 e 43 relativi al 2004" (39). In particolare ai fini della programmazione delle azioni future vengono richieste l'elaborazione di schede e report di aggiornamento sull'andamento del lavoro penitenziario e la programmazione di riunioni presso tutti i PRAP per una prima analisi a livello regionale.

Il PRAP Toscana provvede alle richieste del Dap, indicendo il secondo Forum per il polo industriale penitenziario toscano in data 10 ottobre 2005, al quale hanno partecipato anche rappresentanti del mondo cooperativistico ed imprenditoriale. In occasione di tale incontro, esponenti dello staff trattamentale si sono prodigati a mettere al corrente tutti i partecipanti dello stato attuale di realizzazione del POT relativo al polo industriale, in particolare evidenziando alcune difficoltà organizzative, quali quelle relative alla compilazione delle schede P.E.A. da parte delle direzioni penitenziarie, spesso pervenute al PRAP incomplete o inesatte, laddove invece tali schede dovrebbero costituire secondo la Commissione per il reinserimento lavorativo, il punto di partenza per qualsiasi progettazione. In secondo luogo, veniva sollevato il problema relativo alla scarsa preparazione e dunque alla necessità di organizzare corsi di aggiornamento delle aree trattamentali dei vari istituti penitenziari sulla legge Smuraglia e sulla recente riforma del mercato del lavoro (cosiddetta "legge Biagi" n. 30 del 2003, seguita dal d. lgs. n. 276 del 2003); inoltre veniva avanzata la richiesta di un vademecum sulle buone prassi in materia di organizzazione del lavoro penitenziario e in particolare sui "criteri di scelta per l'affidamento a terzi di laboratori, attività produttive, attrezzature e tenimenti nonché aziende agricole" presenti nei vari istituti penitenziari, con particolare riguardo ai "criteri e alla programmazione per i controlli e le verifiche sul rispetto dei contratti di comodato e dei diritti dei detenuti lavoranti". Infine veniva sottolineata ancora una volta, la necessità di "un impegno preciso e determinato in materia di attribuzione dei fondi per la messa a norma degli ambienti penitenziari" (40).

Per quanto riguardava poi dati concreti relativi all'assetto del lavoro penitenziario nelle carceri toscane, veniva evidenziato come su diciotto istituti presenti sul territorio regionale, soltanto in pochissimi erano presenti ed avviate lavorazioni penitenziarie (la C.C. di Prato, la C.R. di Gorgona, la C. R. di Massa e la C.R. di Volterra), mentre in tutti gli altri istituti si presentava una situazione piuttosto uniforme caratterizzata da un lato dall'inesistenza di locali messi a norma entro i quali potessero essere organizzate lavorazioni penitenziarie, e dall'altro lato dalla significativa circostanza per cui il lavoro penitenziario si sostanziava quasi esclusivamente, fatta eccezione per pochi tenimenti agricoli (N.C.P. di Sollicciano a Firenze, C.C. di Empoli, C.C. Gozzini a Firenze, O.P.G. di Montelupo Fiorentino, C.C. di Prato, e la C.R. di San Gimignano) in attività domestiche nelle quali i detenuti venivano impiegati con sistemi di rotazione inquadrabili nei contratti di part-time "verticale" (41).

Successivamente negli ultimi mesi del 2005, si è avuta un'intensa attività di programmazione e consultazione fra la Commissione per il reinserimento lavorativo del PRAP e il Consorzio Astir che ha determinato l'elaborazione di un piano regionale di rilevamento delle aziende agricole, dei tenimenti penitenziari e delle serre da parte dello stesso consorzio, finalizzato all'impianto di produzioni intensive e specializzate da inserire nei circuiti commerciali delle cooperative collegate al consorzio. Pertanto a tale programmazione sono seguiti dei sopralluoghi da parte del dirigente del consorzio Astir ai tenimenti di Sollicciano, del "Gozzini", di Massa Marittima, di Massa e di Montelupo Fiorentino nonché degli incontri con le rispettive direzioni. Lo stesso consorzio preannuncia un ampliamento nel 2006 delle attività tessili nella C.C. di Prato con conseguente incremento sia delle commesse ricevute sia dei detenuti da occupare; e sempre per il 2006 la richiesta di rilevamento della falegnameria sempre a Prato, per la produzione di manufatti per le amministrazioni locali (42).

Nel dicembre del 2005 viene inoltrato al PRAP il progetto regionale definitivamente elaborato dal consorzio Astir di rilevamento del tenimento agricolo di Porto Azzurro, con l'anticipazione dell'invio a breve di specifici progetti di rilevamento dei tenimenti, dei locali produttivi e delle serre relativi agli istituti di Sollicciano, "Gozzini", Montelupo Fiorentino, Massa Marittima e Massa. Il progetto è denominato "Biocarcere" e vuole creare un "circuito produttivo regionale (43), partendo dall'esperienza pilota presso la C.C. di Prato, con sbocco negli otto punti vendita delle cooperative appartenenti al consorzio e aventi sede nel pratese e sulla rete commerciale di riferimento" (44). Nel giro di poche settimane la Commissione esprime parere favorevole al progetto, giudizio peraltro condiviso dal Dirigente dell'Ufficio detenuti e trattamento intramurale presso il DAP, e a seguire pervenivano le valutazioni concordi della direzione di Porto Azzurro. Tuttavia soltanto nel marzo del 2006 è stato firmato il comodato tra la direzione della C.R. di Porto Azzurro ed il consorzio cooperativistico Astir (composto da venti cooperative ed avente a disposizione otto punti commerciali), per la cessione del tenimento agricolo e l'assunzione di dieci detenuti per tre ore giornaliere di lavoro. A seguire, nel settembre 2006 è stata stipulata la convenzione con lo stesso consorzio Astir per la cessione in comodato del tenimento agricolo di Sollicciano con la previsione di sette assunzioni per quattro ore giornaliere di lavoro cadauno.

Contemporaneamente, nel novembre del 2005 si è pervenuti alla conclusione dell'istruttoria concernente la proposta di istituire un servizio di prenotazione telefonica delle visite mediche (Cup-tel) nella C.R. di Massa dando l'avvio alla prima fase del relativo progetto, attraverso l'organizzazione di un corso di formazione professionale dei quattro detenuti, che sarebbero poi stati assunti dalla cooperativa sociale CO.M.P.A.S.S. per espletare il servizio pubblico di call center su commesse dell'Asl così come previsto dal progetto in esame.

Sempre nel novembre del 2005 il PRAP riceve una proposta da parte dell'impresa tessile "Martini e Pull s.r.l." di Prato, per conto della costituenda cooperativa sociale I.G.E.A., avente ad oggetto la cessione in comodato gratuito, a partire dal gennaio 2006, di un capannone di 800 mq ed uffici annessi della C.R. di Massa, attualmente adibito a magazzino, per installare una produzione tessile con macchinari propri e con l'ipotesi eventuale di prendere anche in considerazione il rilevamento dell'intera attività tessile dell'istituto, impiegandovi almeno inizialmente tre detenuti. La proposta è seguita da un sopralluogo del responsabile dell'impresa in questione nella C.R. di Massa e dall'immediato parere favorevole, dopo la relativa fase istruttoria attraverso le valutazioni della Commissione del Polo industriale e le valutazioni dei dirigenti dell'impresa, alla cessione da parte del PRAP dei locali richiesti, previa però costituzione regolare della Cooperativa sociale IGEA.

Ad un anno dalle ultime dichiarazioni d'interesse e convenzioni con cooperative sociale per la cessione in comodato di locali dell'amministrazione penitenziaria toscana -dicembre 2005 - non risulta alcuna ulteriore innovazione, anzi al contrario talune delle lavorazioni avviate o delle convenzioni stipulate hanno cessato di operare, mentre alcune delle dichiarazioni di interesse pervenute al PRAP non hanno avuto alcun seguito, rimanendo pertanto mere dichiarazioni d'intento. I dati più recenti a nostra disposizione sono ricavabili dalle schede relative ai comodati attivati dal PRAP della Toscana nel tempo e ancora vigenti al dicembre 2006. In particolare fra i diciotto istituti penitenziari toscani, soltanto cinque sono interessati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento di lavorazioni da parte dei detenuti alle dipendenze di terzi. Più specificatamente la C.C. di Prato è sede di lavorazioni impiantate dal consorzio cooperativistico Astir aventi ad oggetto un'azienda agricola e il progetto di raccolta differenziata per il comune di Prato, nelle quali risultano impiegati in totale dieci detenuti (45). Nella C.R. di Massa, invece, continuano ad operare l'impresa privata afferente al progetto "Carovana", supportata peraltro dal comune di Massa, avente ad oggetto attività nei settori metallurgico e di falegnameria, e la cooperativa sociale CO.M.P.A.S.S. la quale ha ivi organizzato un call center su commesse dell'Asl di Massa, con un totale di detenuti assunti pari a dieci unità (46). Nella casa di reclusione di Porto Azzurro proseguono la produzione di testi informatizzati per ipovedenti ad opera della cooperativa sociale "San Giacomo" (47), e la gestione dell'azienda agricola ad opera del consorzio "Astir", con un totale di sedici detenuti assunti. Infine presso la C.R. di San Gimignano continua a funzionare l'azienda agricola gestita dalla cooperativa sociale "Arche" per la produzione dello zafferano nella quale sono impiegati quattro detenuti, e nel carcere di Sollicciano ancora nel 2006 operano il consorzio "Astir", che conduce l'azienda agricola, e la cooperativa sociale "Ulisse", dedita all'attività di riparazione di biciclette, con un totale di 6 detenuti assunti (48).

Traendo alcuni dati complessivi, nei cinque istituti interessati da lavorazioni impiantate e gestite da imprese e cooperative sociali, a dicembre del 2006 risultano assunti come lavoranti alle dipendenze di terzi 44 detenuti distribuiti fra cinque istituti penitenziari toscani, mentre nel marzo del 2007 si ha un leggero miglioramento, dal momento che i detenuti alle dipendenze di terzi - peraltro dato questo relativo alle stesse carceri - risultano in totale 51, nonostante non vi sia stata l'introduzione di nuove attività lavorative (49).

1.3 Considerazioni sulle problematiche relative al rilancio del lavoro penitenziario alla luce del progetto sul polo industriale penitenziario toscano

Prima di elaborare delle considerazioni sulle difficoltà e gli ostacoli al rilancio del lavoro penitenziario, occorre fare una premessa e raccogliere un ultimo dato essenziale ai nostri fini. La premessa sta nel fatto che il progetto di polo industriale penitenziario è stato ideato e supportato alla luce delle fiduciose aspettative risposte nella legge Smuraglia, dunque sulla base dell'assunto secondo cui incentivando attraverso sgravi contributivi e fiscali l'assunzione di detenuti, si riuscisse finalmente a coinvolgere nell'universo a sé del penitenziario, imprese e cooperative sociali, le quali peraltro avrebbero potuto così introdurre entro gli istituti penitenziari tante opportunità lavorative quante fossero necessarie se non a risolvere definitivamente, quantomeno a ridimensionare notevolmente il problema relativo all'elevato tasso di disoccupazione di detenuti ed internati. Dunque inoltrandosi a formulare delle considerazioni di merito sul progetto di polo industriale, non ci si potrà esimere da una valutazione concernente la validità di tale premessa.

L'ulteriore dato rilevante ai fini delle nostre considerazioni riguarda il raffronto fra il quantum di detenuti occupati negli istituti penitenziari toscani prima dell'avvio del progetto di polo industriale, e il quantum di detenuti occupati a seguito della realizzazione, rectius sperimentazione del progetto stesso. Anche al riguardo tuttavia è necessaria una duplice premessa: da un lato si deve considerare che il progetto di polo industriale è tuttora in fieri, a meno di non voler concludere per un fallimento dello stesso, visti gli esigui risultati conseguiti, e proprio in tal senso si è parlato di sperimentazione. Dall'altro lato occorre premettere che i dati quantitativi che andremo ad esaminare forniscono soltanto delle indicazioni relative e meramente orientative, stante l'impossibilità di reperire dati certi e sicuri, se si tiene a mente che qualsiasi statistica sulla popolazione detenuta nasce già obsoleta stante il continuo turn over che la caratterizza (50).

Attenendosi ai dati raccolti dal PRAP della Toscana, al 31 dicembre 2000, dunque a pochi mesi dall'entrata in vigore della Smuraglia - sebbene la legge ancora non avesse trovato attuazione data l'attesa da parte d'amministrazione penitenziaria dei decreti attuativi - negli istituti toscani (51) su una popolazione carceraria pari a 3.940 unità, soltanto 1.483 detenuti risultavano occupati in un'attività lavorativa (pari al 37,6%), di cui 1.339 unità erano "lavoranti" alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria, e più specificatamente 180 nelle lavorazioni industriali, 102 nelle lavorazioni agricole, e la stragrande maggioranza nei "servizi interni": 954 nei servizi d'istituto e 103 nella manutenzione ordinaria dei fabbricati. Fra questi solo un'esigua componente risultava essere rappresentata da detenuti stranieri: 405 unità. Alla stessa data, inoltre, emergeva l'ulteriore dato per cui era lavorante alle dipendenze di terzi, e dunque non alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria, un numero assai modesto di detenuti, 144 di cui soltanto 7 stranieri, fra i quali la maggior parte in regime di semilibertà (tot. 105 di cui 10 in proprio e 95 alle dipendenze di terzi) e gli altri ammessi al lavoro all'esterno ex art. 21 ord. pen. (tot. 22, tutti peraltro dipendenti da terzi) (52).

A distanza di sei anni, dopo l'effettiva entrata in vigore della legge Smuraglia e l'avvio del progetto di polo industriale, dai dati relativi al 30 giugno 2007 emerge la seguente situazione concernente sempre l'ambito dei penitenziari toscani (53): su una popolazione carceraria di 3.145 persone, soltanto 1.219 detenuti (pari al 38,8%) risultavano "lavoranti". Di questi 1.106 (pari al 90,7% dei lavoranti) - di cui 427 stranieri- erano occupati alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria, e più specificatamente 94 detenuti risultavano addetti alle lavorazioni penitenziarie gestite in economia, 31 impiegati nelle colonie agricole, la stragrande maggioranza pari a 870 detenuti addetta ai servizi d'istituto, 87 reclusi addetti alla manutenzione ordinaria dei fabbricati e 24 impiegati in servizi esterni tramite l'ammissione al lavoro all'esterno ex art. 21 ord. pen.. Invece la popolazione detenuta e lavorante alle dipendenze di datori di lavoro diversi dall'amministrazione penitenziaria era pari a 113 unità (9,3% del totale dei lavoranti), di cui 13 stranieri e soltanto 2 donne; di questi risultavano in regime di semilibertà 54 condannati (49 dipendenti da terzi e 5 in proprio), mentre 36 detenuti erano ammessi al lavoro all'esterno e il resto alle dipendenze di imprese (3) o di cooperative sociali (20) operanti all'interno delle carceri (54).

Dal raffronto dei pochi dati testé citati, si possono dedurre alcune considerazioni: innanzitutto la percentuale dei lavoranti calcolata sull'intera popolazione penitenziaria sembra aumentata in termini relativi (pari al 37,6% nel 2000 e 38,8% nel 2007) ma ciò non è altrettanto vero se si considera il dato in valore assoluto, infatti a fronte di una diminuzione del numero di persone ristrette negli istituti penitenziari toscani, si riscontra anche un numero di lavoranti inferiore, da 1.483 occupati nel 2000 si perviene a 1.219 lavoranti nel 2007. Inoltre e paradossalmente rispetto alle aspettative risposte nel progetto di polo industriale, anche il numero dei detenuti occupati alle dipendenze di cooperative sociali e imprese diminuisce: da 144 detenuti del 2000 si scende a 113 nel 2007, di cui peraltro soltanto un'esigua percentuale occupata in attività all'interno del carcere (17,6%).

La situazione è ancora più critica se si pone attenzione ai dati relativi ai detenuti stranieri, infatti soltanto una minima percentuale è ammesso ad un'attività lavorativa (al 30 giugno 2007 gli stranieri lavoranti sono pari al 30% del totale degli stranieri presenti e al 14% dell'intera popolazione detenuta), la quale peraltro nella stragrande maggioranza dei casi si svolge in carcere e alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria (97% del totale degli stranieri lavoranti) e soltanto in rarissime occasioni all'esterno per imprese o cooperative sociali (3%).

Infine l'ulteriore quanto auto-evidente conclusione emergente dall'esame dei dati su riportati, concerne la tipologia di attività lavorative a disposizione dei detenuti: qualora questi svolgano un'attività alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria infatti, a parte la sporadica sussistenza di lavorazioni industriali o attività agricole gestite dalla stessa amministrazione, nella maggior parte dei casi si tratta di occasioni di lavoro attinenti ai "servizi interni", dunque tipici del mondo carcere e scarsamente professionalizzanti. Laddove invece i detenuti si trovino a lavorare alle dipendenze di terzi, cooperative sociali o imprese, emerge con estrema evidenza che la maggioranza fra gli stessi svolge un'attività lavorativa all'esterno dell'istituto penitenziario beneficiando di una misura alternativa - in senso ampio - quale la semilibertà o l'ammissione al lavoro all'esterno.

Ictu oculi, la conclusione da trarre parrebbe essere nel senso di escludere che l'avvio del progetto di polo industriale penitenziario abbia migliorato l'organizzazione del lavoro all'interno delle carceri toscane, attraverso l'auspicata implementazione del numero di posti di lavoro da offrire a detenuti ed internati nonché a condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro all'esterno. Anzi l'assetto del lavoro penitenziario parrebbe del tutto immutato, nonostante le sperimentazioni avviate, dal momento che non si è riusciti a ribaltare l'assunto per cui il lavoro dei detenuti si sostanza essenzialmente in attività alle dipendenze dell'amministrazioni penitenziaria concernenti i servizi interni. Tali conclusioni a loro volta vanificherebbero le speranze risposte nella legge Smuraglia, presupposto fondamentale al progetto stesso quale base normativa per il rilancio del lavoro penitenziario.

A questo punto però occorre individuare le ragioni di cotanto "fallimento", perché se le previsioni legislative hanno mancato l'obiettivo che avrebbero invece dovuto perseguire, evidentemente vi saranno dei motivi, i quali peraltro potrebbero essere attinenti o ad un'inadeguata impostazione, rectius individuazione della ratio alla base della medesima normativa, ovvero ad un'errata o parziale applicazione delle stesse. Per questa via del resto, si intraprende un discorso più generale, che non riguarda soltanto il progetto di polo industriale penitenziario, potendosi in astratto far valere per qualsiasi iniziativa volta al rilancio del lavoro dei detenuti.

Innanzitutto il primo dato che sovviene con estrema evidenza e relativo sia alla legge Smuraglia che all'esecuzione del progetto di polo industriale, concerne la tempistica, decisamente molto lunga: basti pensare che per l'emanazione dei due decreti attuativi della legge n. 193 si è dovuto attendere ben due anni, così come per il concreto avvio del progetto di polo industriale. I tempi molto dilatati sono peraltro giustificati dalla notevole burocratizzazione delle attività.

Da un lato infatti la stessa legge Smuraglia prevede una procedura molto laboriosa per la determinazione delle modalità e dell'entità delle agevolazioni e degli sgravi fiscali attraverso l'emanazione con cadenza annuale di un apposito decreto del Ministro della giustizia di concerto con vari altri ministeri interessati e a seguito del parere delle apposite commissioni parlamentari (55). Sul punto si è avuta anche una proposta di modifica legislativa avanzata dallo stesso Ministero della Giustizia e argomentata sul presupposto che l'intervento delle commissioni parlamentari attraverso il parere, ha implicato "che l'iter di formazione dello schema di decreto si compisse a mente del disposto dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (56), [...] e in particolare dei commi terzo e quarto che recano disposizioni concernenti i decreti ministeriali con valore regolamentare, introducendo, al riguardo il parere del Consiglio di Stato e il visto e registrazione della Corte dei Conti" (57). La proposta di cui si tratta in realtà precisa che il testo di legge non fa affatto cenno alle disposizioni dell'art. 17 della legge n. 400 del 1988, tuttavia l'espressa previsione della procedura consultiva dinanzi alle commissioni parlamentari avrebbe "a fortiori connotato in guisa di regolamento il decreto recante sgravi fiscali informandolo, nell'iter normativo, alle disposizioni che regolano l'attività di governo". Pertanto partendo dal presupposto che i decreti attuativi dovrebbero avere cadenza annuale, il Ministero della Giustizia ravvisa "la necessità di emendare le disposizioni recate dalla legge Smuraglia elidendo la fase consultiva davanti alle commissioni parlamentari, onde rendere più snello e sollecito l'iter di formazione del decreto attuativo" (58).

Nell'ottica di semplificare e velocizzare l'attuazione della legge Smuraglia, nella proposta di modifica testé citata viene avanzata un'ulteriore osservazione, concernente gli sgravi contributivi previsti per le cooperative sociali che assumano alle proprie dipendenze detenuti o internati. Infatti l'entità di tali sgravi, nel caso di assunzioni entro il carcere, è determinata "nella misura percentuale" fissata con apposito decreto del Ministro della Giustizia avente cadenza biennale (art. 4 comma 3 bis), mentre nel caso di assunzioni di detenuti ammessi ad una misura alternativa, l'art. 4 della legge n. 381 del 1990 prevede tout court l'azzeramento delle aliquote contributive. Pertanto volendo ridurre notevolmente i tempi di attuazione della legge, si potrebbe avallare l'idea di equiparare le due situazioni, azzerando in ogni caso le aliquote contributive in modo da evitare la necessità di un apposito decreto che ne stabilisca l'entità (59). A tale proposta però ha fatto seguito un intervento del Ministero dell'Economia e delle Finanze, attraverso il quale si è espresso parere contrario alla modifica legislativa adducendo come relativa motivazione la circostanza per cui l'eventuale riduzione a zero delle aliquote contributive potrebbe essere attuata già sulla base dell'art. 4 comma 3 bis, ovvero attraverso il decreto biennale, ineludibile in quanto garantirebbe una verifica amministrativa volta a "calibrare il beneficio nei limiti delle risorse previste" (60).

Dall'altro lato, inoltre, si è ritardato notevolmente nell'attuazione del progetto sul polo industriale a causa sia della burocratizzazione caratterizzante la procedura di individuazione del gruppo di lavoro a livello del Provveditorato dell'amministrazione penitenziaria toscano sia della sopravvenuta sovrapposizione fra le iniziative intraprese a livello regionale e le direttive provenienti dall'organo centrale dell'amministrazione interessata quale il DAP.

La laboriosità della procedura di emanazione dei decreti attuativi non è l'unica pecca della legge Smuraglia. Sono stati infatti, fin da subito, riscontrati altri nodi problematici. Il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, a ridosso della scadenza del termine di vigenza dei decreti attuativi della legge e dunque in previsione del rinnovo degli stessi, solleva alcuni dubbi interpretativi con l'auspicio di trovarne un'eventuale risoluzione negli emanandi decreti attuativi. In primis si è posto il dubbio concernente l'applicabilità della legge Smuraglia anche ai "semiliberi" dal momento che l'art. 3 nel prevedere la concessione di sgravi fiscali alle imprese, fa riferimento all'assunzione di persone "detenute" e non anche in misura alternativa. Peraltro il successivo decreto di attuazione (n. 87 del 2002) all'art. 1 limita la fruizione del beneficio fiscale soltanto alle imprese che assumano detenuti "presso gli istituti penitenziari" o ammessi al lavoro all'esterno. Tuttavia la condizione giuridica del "semilibero" è non soltanto affine a quella del detenuto ammesso al lavoro all'esterno, ma non sembra far venire meno la qualificazione di "detenuto" stante gli stretti legami che il beneficiario della misura conserva con l'istituto penitenziario. Dunque la soluzione interpretativa più corretta, ma soprattutto conforme al principio di ragionevolezza, dovrebbe consentire l'applicabilità della legge Smuraglia anche ai semiliberi. Probabilmente, invece, "la scelta di esclusione dal beneficio delle imprese che assumono semiliberi potrebbe essere dettata da problemi di bilancio" con notevoli ripercussioni sulla fattibilità del progetto di rilancio del lavoro penitenziario (61). Del resto la questione era già stata sollevata dal PRAP della Toscana, che aveva concluso nel senso di auspicare un ampliamento in tal senso dell'ambito applicativo della legge Smuraglia.

Altro dubbio interpretativo sollevato e peraltro contestualmente risolto dal DAP, concerne la tipologia di contratti di lavoro che le imprese devono concludere con i detenuti per poter beneficiare delle agevolazioni contributive e degli sgravi fiscali. Partendo dal presupposto che la legge Smuraglia prevede come requisito di applicazione la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, devono escludersi dall'ambito di ricaduta dei benefici previsti, sia la "borsa lavoro" che il "contratto di collaborazione coordinata e continuativa". Siffatta conclusione però osta notevolmente con la ratio della legge stessa, volta a favorire il reinserimento lavorativo dei detenuti, dal momento che in un gran numero di casi il detenuto è ammesso al lavoro presso un'impresa o una cooperativa proprio grazie alla fruizione di una borsa lavoro. Ponendo poi alle imprese tale vincolo contrattuale, evidentemente si rendono più gravose le eventuali assunzioni di detenuti, certamente non incentivandole.

Sempre con riferimento al rapporto di lavoro, viene rilevata un'ulteriore questione, relativa alla durata minima della vigenza del contratto ai fini della fruizione dei benefici; infatti la legge Smuraglia dispone a tal fine che l'assunzione deve avvenire per "un periodo non inferiore ai trenta giorni". Tuttavia anche tale previsione potrebbe ritorcersi contro l'intento di incentivare il lavoro penitenziario, se si parte dal presupposto che con riguardo ai detenuti e agli internati non si può prevedere a priori il periodo di permanenza in un determinato istituto, a causa per esempio di un possibile trasferimento. Pertanto le imprese potrebbero essere restie ad inoltrarsi nell'ambiente carcerario assumendo detenuti col rischio che per cause esterne al rapporto si troverebbero a non usufruire dei benefici fiscali. In casi di tal tipo, secondo il DAP si dovrebbe comunque riconoscere all'impresa la fruizione delle agevolazioni previste "per la parte maturata", non essendo infatti la stessa responsabile dell'interruzione del rapporto di lavoro.

Tuttavia il problema più grosso riscontrato relativamente all'applicazione della legge Smuraglia è di carattere economico, e concerne da un lato l'insufficienza dei fondi disponibili per il rilancio del lavoro penitenziario e dall'altro - parallelamente - l'incapacità per il DAP e i competenti uffici del Ministero dell'Economia di effettuare i dovuti controlli per verificare l'effettiva sussistenza della titolarità delle imprese di beneficiare degli sgravi. Già nel 2003 a pochi mesi dall'entrata in vigore del secondo decreto attuativo della legge Smuraglia, era di dominio pubblico la notizia dell'insufficienza dei fondi messi a disposizione per il finanziamento dell'iniziativa volta al reinserimento lavorativo dei detenuti, nonché della mancata previsione nella "legge finanziaria" relativa all'anno 2003 degli stanziamenti previsti dalla legge n. 193 (62).

Inoltre fin dal 2003, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha segnalato il problema relativo ai controlli ex ante delle imprese effettivamente titolari all'agevolazione fiscale, peraltro conseguibile solo a seguito di apposita convenzione con le direzioni degli istituti penitenziari. Infatti viene riscontrato un "eccessivo scarto fra l'importo dei fondi richiesti dall'agenzia delle Entrate, destinati a ripianare le minori entrate derivanti dagli sgravi fiscali operate dalle imprese, e l'importo risultante dal monitoraggio compiuto presso gli istituti di pena" (63). Tale divario viene spiegato dal DAP sulla base del fatto che lo sgravio costituendo un credito d'imposta, viene conseguito dalle imprese semplicemente "utilizzando il relativo codice tributo" senza alcuna preventiva verifica della sussistenza dei requisiti necessari per usufruire al beneficio, da parte dell'Agenzia delle Entrate. Né tanto meno sembra possibile ovviare al problema attraverso i controlli successivi dell'Agenzia, in quanto anche riuscendo a recuperare i crediti d'imposta non dovuti, questi andrebbero a rimpinguare l'Erario e non invece i fondi dell'amministrazione penitenziaria destinati ad incentivare gli investimenti delle imprese negli istituti penitenziari. La soluzione prospettata dal DAP al problema va nel senso di eliminare il meccanismo degli sgravi fiscali attraverso il credito d'imposta a "introducendo un'agevolazione fiscale che, attivata con il meccanismo della domanda preventiva, sarebbe in toto gestita dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dalla domanda dell'avente diritto fino alla concessione dell'agevolazione fiscale".

A seguito della nota del DAP, si è avviato un intenso carteggio fra lo stesso dipartimento, il Ministero della Giustizia, il Ministero dell'Economia e l'Agenzia delle Entrate, avente ad oggetto la proposta di modifica delineata dal DAP. Stante l'impegno dell'amministrazione penitenziaria di poter erogare l'agevolazione in tempi ristretti in modo da non penalizzare le imprese, e considerata "la ristretta platea delle imprese interessate", la proposta di sostituire il meccanismo del credito d'imposta con un'agevolazione gestita ed erogata direttamente dal ministero della Giustizia, non ha incontrato pareri contrari presso gli interlocutori (64). Tuttavia il DAP convoca in data 8 giugno 2004 una riunione di tutte le direzioni generali dello stesso dipartimento, in modo da verificare la concreta esperibilità di quanto previsto dalla proposta di modifica alla legge Smuraglia di cui si tratta. L'esito del dibattito è stato piuttosto negativo, in quanto da più parti si sono delineati probabili risvolti negativi della modifica così prospettata tali da scoraggiarne la proposizione, adducendo da un lato l'incapacità dell'amministrazione penitenziaria di fornire dati certi sul numero dei detenuti assunti dalle imprese nonché sul numero delle imprese effettivamente titolari delle agevolazioni, dall'altro l'eccessiva onerosità che andrebbe a gravare sulle direzioni degli istituti penitenziari in punto di controlli e monitoraggio sulla correttezza delle concessioni delle agevolazioni (65). Così che di fatto viene impedita la proposizione da parte del Ministro della Giustizia di qualsiasi modifica normativa.

Concludendo la valutazione sui pregi e difetti della legge n. 193 non si può prescindere dall'analisi del funzionamento in concreto della stessa. Così dai monitoraggi effettuati dal DAP sull'applicazione della legge Smuraglia relativi al periodo 1º luglio 2000-31 dicembre 2002 e al periodo 1º gennaio 2004-30 settembre 2004, si riscontra che sia il numero degli istituti penitenziari che il numero delle imprese e delle cooperative sociali interessate dalla concreta attuazione della stessa legge è piuttosto esiguo. Infatti, con riferimento specificatamente al provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria della Toscana, il monitoraggio rispecchia la seguente situazione: nel 2000-2002 risultano essere stati interessati dall'applicazione della legge Smuraglia soltanto 2 istituti penitenziari, per un totale di 25 detenuti ripartiti fra 5 imprese e 4 cooperative sociali. Nel 2004 invece si ha un istituto in più (3 in totale) ma una diminuzione delle imprese e delle cooperative coinvolte, in entrambi i casi in numero di 3, per un totale di 25 detenuti lavoranti - dato peraltro mantenutosi costante - alle dipendenze di tali datori di lavoro. Peraltro la maggior parte dei detenuti risultano impiegati in attività lavorative all'esterno del carcere (14 detenuti nel 2002 e 19 nel 2004) piuttosto che all'interno (11 nel 2002 e 6 nel 2004).

Ampliando l'orizzonte ai dati aggregati di tutti i provveditorati regionali, nel periodo 2000-2002 sono coinvolti nel progetto di rilancio del lavoro penitenziario avviato dalla Smuraglia soltanto 38 istituti e 415 detenuti, di cui 278 destinati ad attività lavorative all'interno del carcere e 137 in attività extra moenia, ripartiti fra un totale di 67 cooperative sociali e 39 imprese. Nel 2004 la situazione migliore in maniera quasi impercettibile per quanto riguarda sia il numero degli istituti penitenziari che quello delle imprese e delle cooperative sociali interessate dall'applicazione della legge n. 193: infatti nelle 40 carceri rilevate dal monitoraggio, risultano operanti 45 imprese (soltanto 6 in più rispetto al 2002) e 62 cooperative sociali (diminuendo di 5 unità nel confronto col 2002) dalle quali vengono impiegati in attività lavorative un totale di 612 detenuti, di cui 491 all'interno del carcere e 120 all'esterno.

Dai dati appena esaminati, sebbene siano evidentemente limitati e generici, sono ricavabili delle interessanti osservazioni: innanzitutto si può sostenere che generalmente i datori di lavoro maggiormente propensi a fornire occasioni di lavoro a detenuti e condannati ammessi alle misure alternative sono le cooperative sociali, che riportano un discreto primato rispetto alle imprese pubbliche o private. Secondariamente è da sottolineare il fatto che la maggior parte dei detenuti alle dipendenze delle imprese e delle cooperative beneficiarie delle agevolazioni ex legge Smuraglia, sono impiegati all'interno degli istituti penitenziari, risultato evidentemente consequenziale alla previsione legislativa. Tuttavia la rappresentazione prospettata dai monitoraggi concernenti il PRAP della Toscana suggerisce un andamento in controtendenza rispetto alle conclusioni testé delineate a livello generale: la maggior parte dei detenuti così ammessi ad esercitare il diritto-dovere al lavoro infatti svolge la propria attività al di fuori dell'istituto penitenziario. In realtà le conclusioni relative al PRAP Toscana, apparentemente in controtendenza, se incrociate e poste a confronto con i dati relativi all'assetto del lavoro penitenziario in generale, dapprima esaminati per il periodo 2001-2007, risultano invece pienamente in linea con il trend evidenziato da questa analisi: la maggior parte delle occasioni di lavoro offerte da soggetti diversi dall'amministrazione penitenziaria - imprese e cooperative sociali - risultato essere per lo più collocate all'esterno del carcere (66).

Questo, del resto, è facilmente spiegabile laddove si tengano in considerazione varie altre problematiche del penitenziario, venute già in evidenza a guisa di prova dei fatti durante la trattazione del progetto di polo industriale: innanzitutto la carenza di locali messi a norma, e dunque conformi alle previsioni di legge in punto di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori, nei quali impiantare eventuali lavorazioni penitenziarie, data anche e soprattutto la scarsità delle risorse finanziarie destinate all'edilizia penitenziaria; in secondo luogo la riluttanza dimostrata dalle direzioni penitenziarie nel garantire la disponibilità a cedere i propri locali in comodato gratuito alle eventuali imprese o cooperative sociali interessate a fornire opportunità lavorative ai detenuti. Dal canto loro le imprese e le cooperative sociali potrebbero fondatamente trovare talune difficoltà nel dover adattare i ritmi lavorativi alle regole della vita in carcere, cosicché sarebbe auspicabile o un'inversione di tendenza, caratterizzata da una maggiore propensione degli istituti ad organizzare la vita al proprio interno in funzione delle attività lavorative, ovvero una più incisiva utilizzazione dello strumento rieducativo delle misure alternative alla detenzione, e in particolare dell'ammissione al lavoro all'esterno, che, come si è detto, dipende più degli altri benefici dalla volontà e dalla disponibilità al riguardo delle direzioni penitenziarie (67).

2. Il programma esecutivo d'azione n. 14

Volgendo lo sguardo ad uno spaccato del pianeta carcere più ampio del solo Provveditorato per l'amministrazione penitenziaria toscano, pare interessante soffermarsi sul progetto del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria avente ad oggetto l'"affidamento a terzi del servizio confezionamento pasti negli istituti penitenziari" avviato e realizzato attraverso il Programma esecutivo d'azione n. 14, presentato per l'anno 2003. Si tratta di un progetto significativo in quanto volto a migliorare ed incrementare il lavoro penitenziario in maniera del tutto innovativa. Infatti l'obiettivo consiste nel convertire in vera e propria attività d'impresa un ambito lavorativo, quale quello del servizio mense, tradizionalmente risoltosi nello "zoccolo duro" dei cosiddetti "servizi domestici", ovvero di quelle attività lavorative tipicamente carcerarie svolte alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria.

Al contrario il P.E.A. n. 14 persegue lo scopo di affidare ad imprese esterne all'amministrazione penitenziaria, in particolare a cooperative sociali, l'organizzazione e la gestione del servizio mense. Inoltre lo stesso progetto prevede la possibilità di ampliare, laddove possibile, il novero dei destinatari dell'attività lavorativa di cui si tratta, finalizzando pertanto il servizio di preparazione e confezionamento dei pasti al soddisfacimento non solo delle esigenze della popolazione detenuta, ma anche delle richieste provenienti da eventuali ed auspicabili committenti esterni al carcere. Infatti la prospettiva del P.E.A. n. 14 consisteva essenzialmente nel far aumentare i posti di lavoro a disposizione dei detenuti presso il servizio mense, e in tal senso prevedeva la stipula di apposite convenzioni fra amministrazione penitenziaria ed imprese o cooperative sociali aventi ad oggetto "la ricerca di commesse esterne all'amministrazione che aumentino il volume d'affari e pertanto l'impegno lavorativo, ovvero a sviluppare attività parallele di trasformazione/produzione di alimenti per il mercato libero" (68).

I risultati che il P.E.A. n. 14 si proponeva di perseguire consistevano essenzialmente nel miglioramento del servizio mensa entro gli istituti penitenziari e nel favorire contestualmente la preparazione professionale dei detenuti, che sarebbero stati impiegati in tali attività lavorative; in secondo luogo e non meno rilevante era lo scopo di conseguire un risparmio di bilancio sia relativamente alla voce "mercedi" dei detenuti sia in relazione a quella corrispondente ai costi di gestione, in quanto entrambe le spese sarebbero gravate sui terzi affidatari del servizio mensa. Infine il progetto prevedeva di "testare" la spinta incentivante impressa dalla legge Smuraglia sulle imprese o le cooperative, ovvero di rilevarne le eventuali difficoltà applicative.

Il programma esecutivo d'azione in esame era stato progettato in tre fasi: la prima destinata all'individuazione attraverso apposite ricerche di mercato, delle imprese idonee allo svolgimento delle attività proprie del servizio mensa entro le carceri. In particolare a tal fine, erano previste delle specifiche condizioni sia per le direzioni degli istituti penitenziari concretamente impegnate nella ricerca dei soggetti economici eventualmente interessati, sia per le imprese o le cooperative sociali che avessero aderito all'iniziativa (69). Per quanto concerne infatti le direzioni penitenziarie, queste innanzitutto avrebbero dovuto preferire le cooperative sociali, visto che così facendo vi sarebbe stata la possibilità di un "affidamento diretto" della gestione del servizio come previsto dall'art. 5 della legge n. 381 del 1991 (70); in secondo luogo le direzioni avrebbero dovuto impegnarsi a cedere i locali e le attrezzature ivi presenti in comodato gratuito, mantenendo l'onere della manutenzione straordinaria. Le condizioni invece previste per le cooperative assegnatarie del servizio, consistevano essenzialmente nell'impegno a mantenere i livelli occupazionali già esistenti all'interno degli istituti in cui si sarebbero insediate, ed eventualmente aumentarli attraverso un corrispettivo incremento dell'attività produttiva da procurarsi tramite le commesse esterne. Inoltre le cooperative aggiudicatarie avrebbero dovuto preoccuparsi della preparazione professionale dei detenuti impiegati nonché affiancare ai lavoranti altri detenuti - in tirocinio o attraverso borse lavoro - in modo da evitare che la mobilità che caratterizza la popolazione penitenziaria potesse compromettere la regolarità, evidentemente necessaria, con cui si sarebbe dovuto garantire invece lo svolgimento del servizio mensa.

La seconda fase di attuazione del progetto avrebbe dovuto assicurare la stipulazione delle convenzioni con le cooperative sociali ovvero le imprese così come individuate al termine della prima fase. A tal fine il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria aveva diramato fra i provveditorati regionali una bozza di convenzione da stipularsi fra la direzione dell'istituto e la cooperativa sociale prescelta per l'affidamento del servizio mensa (71). Nella bozza di convenzione sostanzialmente venivano poste per iscritto le medesime condizioni previste come criteri di scelta delle cooperative sociali ovvero delle imprese a cui conferire la gestione delle attività in esame. Una clausola ulteriormente rilevante ai nostri fini, era quella secondo cui il datore di lavoro avrebbe dovuto impegnarsi a versare alla direzione dell'istituto la retribuzione del detenuto, al netto delle ritenute previste dalla legge, nonché direttamente ai familiari aventi diritto l'importo degli assegni familiari eventualmente spettanti ai detenuti lavoranti, in conformità peraltro a quanto previsto dall'art. 47 primo comma del D.P.R. 230 del 2000 (72). Infine la bozza di convenzione in esame prevedeva che le cooperative affidatarie del servizio mensa dovessero provvedere alla preparazione e al confezionamento dei pasti utilizzando le materia prime fornite dall'impresa di mantenimento, convenzionata a sua volta con l'istituto penitenziario (73).

La terza fase infine avrebbe dovuto consentire il monitoraggio dello stato attuativo del progetto e dei risultati conseguiti. Alla luce dei pochi dati in nostro possesso (74), peraltro raccolti a seguito del monitoraggio testé citato, si evince che il P.E.A. n. 14 è stato inizialmente attuato in via sperimentale nella C.C.N.C. di Roma Rebibbia, nella C.R. di Roma Rebibbia, nell'I.P. di Trani e nella C.C. di Ragusa (75). Più specificatamente il primo istituto a proporre la propria "candidatura" come sede di sperimentazione del progetto in esame è stata la Casa Circondariale N.C. di Roma Rebibbia nel marzo 2003, nella quale la cessione del servizio è entrata peraltro in piena attuazione a partire dal novembre 2003 a seguito della stipula della convenzione con un consorzio di cooperative sociali. In tale istituto penitenziario si è riscontrata la seguente situazione: prima dell'avvio del progetto risultavo 21 detenuti lavoranti, impiegati per 6,40 ore giornaliere per sei giorni la settimana; dopo la cessione del servizio i detenuti lavoranti al servizio mensa sono aumentati a 26 unità di cui 20 impiegati per 6,40 ore al dì per sei giorni la settimana e gli altri 6 con contratto di lavoro part-time riportando una media di 27 ore lavorative a settimana. Il problema che è stato subito riscontrato dalla cooperativa nell'organizzazione e gestione del servizio di preparazione e confezionamento pasti concerneva la necessità di ristrutturazione delle cucine, e dunque della messa a norma dei locali lavorativi.

Nell'aprile del 2003 si è avuta la disponibilità a dare esecuzione al P.E.A. n. 14 da parte della C.R. di Roma Rebibbia. Anche in tale istituto la convenzione avente ad oggetto la cessione del servizio mensa è stata conclusa con una cooperativa sociale, la quale ha incominciato concretamente ad operare soltanto a partire dal mese di ottobre del 2003. In tale carcere non si è avuto peraltro un significativo aumento del numero di detenuti impiegati nel servizio mensa, infatti a fronte di 10 detenuti impiegati prima della stipula della convenzione (per 5 ore il giorno per sei giorni la settimana), il numero dei lavoranti successivo a tale vicenda si è mantenuto costante: parimenti risultavano 10 detenuti addetti al servizio mensa, di cui 6 impiegati per 6,30 ore al dì per 6 giorni la settimana e 4 lavoranti per 4 ore giornaliere nell'arco sempre di sei giorni. La particolarità dell'istituto in esame è data dal fatto che è stato l'unico a poter vantare la destinazione di una borsa lavoro per favorire l'occupazione dei detenuti da parte di un Ente pubblico. D'altro canto è da rilevare come la C.R. di Roma Rebibbia fosse gravata dalla "tara" di disporre di locali totalmente inadeguati per la gestione di eventuali commesse esterne.

Ancora nel settembre 2003 viene conclusa un'apposita convenzione per la cessione del servizio mensa fra l'I.P. di Trani e una cooperativa sociale. Tuttavia quest'ultimo istituto quasi immediatamente dopo la stipula della convenzione è sede di lavori di ristrutturazione cosicché il numero dei detenuti diminuisce dai 12 impiegati alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria a soltanto 6 lavoranti alle dipendenze della cooperativa sociale a seguito della cessione. Infine nell'ottobre del 2003 anche la C.C. di Ragusa si offre quale sede di sperimentazione del P.E.A. n. 14 dando in gestione ad una cooperativa sociale il servizio mensa del carcere. Al pari di quanto successo nel caso dell'attuazione del progetto nella C.R. di Roma, anche nel carcere di Ragusa si ha una situazione sostanzialmente immutata per quel che riguarda il numero dei detenuti impiegati nelle attività di cucina, costantemente pari a 6 unità. In ambo gli istituti di Trani e Ragusa, viene però avvertito il problema della frequente turnazione dei detenuti, che rischia di compromettere la regolarità dello svolgimento delle attività lavorative in generale (76).

La realizzazione del P.E.A. n. 14 sebbene limitata a pochi istituti, è interessante ai nostri fini per due motivi in particolare: innanzitutto ci consente di avvalorare attraverso un ulteriore prova le conclusioni tratte dall'analisi del progetto di polo industriale penitenziario toscano. In particolare anche dagli esiti della sperimentazione della cessione a terzi del servizio mensa è confermata la deduzione secondo cui il numero di detenuti lavoranti non ha riscontrato un visibile aumento dall'entrata in vigore della legge Smuraglia e dai tentativi di rilancio del lavoro penitenziario che a seguito della stessa sono stati avviati (77); e parimenti il progetto in esame avvalora la constatazione per cui i datori di lavoro diversi dall'amministrazione penitenziaria sono per lo più - nel caso del P.E.A. n. 14 pressoché sempre - rappresentati da cooperative sociali. Tuttavia questa sperimentazione è particolarmente significativa in quanto ci offre l'occasione per approfondire alcuni aspetti del lavoro penitenziario non emersi nel corso della trattazione sul polo industriale toscano. Al riguardo lo spunto è fornito dalle valutazioni stilate dallo stesso Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, secondo cui i risultati ottenuti dalla realizzazione del P.E.A. n. 14 devono essere considerati un vero e proprio successo avendo comportato non pochi miglioramenti: in particolare secondo il DAP attraverso la cessione a cooperative sociali del servizio mensa, per quel che concerne l'amministrazione penitenziaria, si sono conseguiti innanzitutto un netto miglioramento del vitto di detenuti ed internati, un'economia di posti di polizia penitenziaria e infine un'ottima ricaduta sul piano economico e dunque sul bilancio degli istituti interessati dal progetto, essendo venuta meno la voce relativa alla corresponsione della mercede ai detenuti lavoranti presso il servizio mense essendo questo stato ceduto a terzi. Più specificatamente, sul fronte economico, l'amministrazione penitenziaria sopportava soltanto gli oneri relativi alla corresponsione del compenso della cooperativa per i pasti forniti ai detenuti nonché gli oneri conseguenti all'applicazione della legge Smuraglia (78), mentre la cooperativa avrebbe dovuto assolvere l'obbligo della remunerazione dei lavoranti nonché, come previsto nella bozza di convenzione a cui si è in precedenza fatto cenno, ai costi di gestione per il servizio svolto.

Peraltro buoni risvolti sono stati rilevati anche con riferimento alla condizione di "lavoranti" dei detenuti impiegati alle dipendenze delle cooperative affidatarie del servizio mensa. Infatti secondo la valutazione del DAP, i detenuti in questione hanno conseguito una buona preparazione professionale in virtù della quale sono state acquisite abilità spendibili nel libero mercato del lavoro; in secondo luogo è stato assicurato loro un regolare contratto di lavoro con tutte le conseguenze che questo comporta in termini di tutele sociali, ma soprattutto è stata corrisposta una "retribuzione" più elevata rispetto alla "mercede" che avrebbero conseguito svolgendo la medesima attività lavorativa alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria. Quest'ultima utilità in termini economici è facilmente spiegabile se si tengono in conto due dati estremamente significativi: da un lato è previsto ex lege che la mercede da corrispondere al detenuto come corrispettivo per la prestazione di lavoro svolta possa essere inferiore fino ad un terzo rispetto al cosiddetto "minimo sindacale" previsto dal contratto collettivo nazionale di categoria che si applicherebbe nel caso di specie; dall'altro lato la mercede corrisposta dall'amministrazione penitenziaria risultava comunque inferiore rispetto alla retribuzione dovuta dal terzo datore di lavoro a causa della prassi piuttosto generalizzata del mancato adeguamento delle mercedi ai contratti collettivi entrati in vigore da ultimo.

Con riferimento al problema del mancato adeguamento delle mercedi ai contratti collettivi, si possono trarre informazioni illuminanti prendendo a campione uno dei quattro istituti penitenziari interessati dal progetto ex P.E.A. n. 14, essendo del resto la situazione pressoché ovunque uniforme. Innanzitutto si deve premettere che in tutte le quattro carceri testé citate, le mercedi risultavano risalenti ai minimi sindacali previsti dai CC.CC.NN.LL. del 1993. Così dai dati aggiornati al 30 luglio 2004, emerge quanto segue: nella C.C. di Roma Rebibbia N.C. l'importo trascritto nel capitolo di spesa 1766 "mercedi per servizi d'istituto" relativo ai soli detenuti impiegati nel servizio mense (tot. 21) risultava pari a 18.658,50 euro, a fronte di una somma di 31.393,32 euro che l'istituto avrebbe dovuto calcolare adeguando le mercedi ai contratti collettivi attualmente vigenti (79). La differenza fra l'importo effettivamente dovuto e l'importo effettivamente erogato è pari a 12.734,82 euro, con una media per detenuto di 50,53 euro in più nella "busta paga" mensile. Considerando che il mancato aggiornamento grava per un periodo di dieci anni, al detenuto risultano essere stati sottratti di fatto dal compenso dovuto per il periodo che va dal 1993 al 2003 precisamente 6.064,20 euro -ponendo come parametro di riferimento la somma prevista in conformità ai contratti collettivi più recenti si tratterà di un calcolo sicuramente approssimato per eccesso (80)- somma evidentemente non di poco conto (81).

Si tratta peraltro di una realtà, quella del mancato aggiornamento delle mercedi ai vigenti contratti collettivi, diffusa in tutti gli istituti dell'intero territorio nazionale così come rilevato dal DAP. Infatti in una nota relativa all'anno 2003 il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria constata l'insufficienza dei fondi destinati alla copertura dei capitoli di bilancio 1766 "mercedi per servizi d'istituto", 7361 "mercedi per le lavorazioni industriali e 7369 "mercedi per le lavorazioni agricole" ai fini in particolare dell'adeguamento ai contratti collettivi vigenti (82). Più specificatamente l'importo complessivo relativo ai tre capitoli di bilancio testé citati era in difetto di ben 16.112.118,65 euro per l'aggiornamento delle mercedi, così che sarebbe stato necessario uno stanziamento totale pari a 83.245.945,70 euro per far fronte alle spese sostenute dall'amministrazione penitenziaria a titolo di remunerazione dei detenuti lavoranti, senza peraltro poter in tal modo consentire un incremento del lavoro penitenziario.

Dunque in definitiva alla luce dei pochi dati tratti dalla sperimentazione del progetto di cessione a terzi del servizio mense, ancora una volta si sono potute dimostrare le particolarità e le carenze del lavoro penitenziario, che soprattutto nel caso in cui si svolga alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria risulta su molti, troppi, fronti diverso dal lavoro "libero". Le notevoli difformità così emerse, innanzitutto in punto di valenza acquisitiva di competenze e professionalità, consentono di porsi fondatamente il dubbio che il lavoro penitenziario riesca ad assolvere quella funzione di reinserimento sociale alla quale dovrebbe essere invece finalizzato.

Note

1. "Polaris" è un "progetto multiregionale di ricerca, formazione e intervento, per la creazione di servizi mirati all'orientamento professionale e alla collocazione nel mercato del lavoro di soggetti detenuti ed ex-detenuti". Si tratta di un progetto proposto nell'ambito dell'iniziativa comunitaria "Occupazione e valorizzazione delle risorse umane - settore Integra - II fase", cofinanziata con il Fondo Sociale Europeo (FSE).

2. Lettera circolare del PRAP di Firenze prot. n. 3223 del 31 ottobre 2000.

3. Lettera circolare del PRAP di Firenze prot. n. 3105 del 25 ottobre 2000. Del resto la medesima intenzione di avviare il progetto di realizzazione di un polo industriale penitenziario toscano era già stata ufficializzata all'Ufficio studi e ricerche del DAP in occasione di una relazione sull'andamento e il funzionamento degli istituti penitenziari toscani del 13 novembre 2000.

4. Lettera circolare del PRAP di Firenze di convocazione per la prima Assise del Comitato interistituzionale e aperto al privato sociale, senza data.

5. In particolare grande fiducia era posta nelle potenzialità offerte dalla legge Smuraglia, considerata "il puntello forse più decisivo per arrivare a convincere l'imprenditorialità esterna con o senza scopi di lucro a tentare di realizzare produzioni dentro gli istituti penitenziari ritenuti idonei"; vd. Relazione introduttiva alla prima assise, 8 febbraio 2001.

6. Ibidem.

7. Gli istituti di Prato, Firenze Sollicciano, Firenze "Gozzini", Massa, Montelupo Fiorentino, San Gimignano, Volterra, Porto Azzurro e Gorgona.

8. La "legge finanziaria 2000" n. 488 del 23 dicembre 1999, stanziava un'ingente somma di denaro da destinare all'edilizia penitenziaria, in particolare alle ristrutturazioni e alla messa a norma degli istituti in cui fossero presenti delle lavorazioni.

9. Relazione introduttiva e verbale del secondo incontro, 19 aprile 2001. Già in occasione della prima assise, erano stati sollevati alcuni dubbi interpretativi concernenti innanzitutto la nozione di "lavoro penitenziario" di cui all'art. 2 della legge n. 193 del 2000 rilevante ai fini della determinazione della retribuzione del detenuto lavorante; la possibilità di istituire comodati d'uso non gratuito dei locali da adibire a lavorazioni penitenziarie da parte di imprenditori esterni; la legittimità di convenzioni con cooperative sociali non profit per la gestione dei servizi interni; e infine la definizione di "criteri amministrativi per la gestione delle gare di appalto delle lavorazioni penitenziarie e soprattutto la scelta tra un'offerta e l'altra, attesa l'inidoneità di un criterio esclusivamente economicistico".

10. Ibidem.

11. In precedenza, e peraltro sempre attiva dal 2001, era già stata stipulata una convenzione avente ad oggetto la cessione in comodato dei locali della C.R. di Porto Azzurro per la produzione di testi informatizzati per ipovedenti tra lo stesso istituto di Porto Azzurro e la cooperativa sociale "San Giacomo".

12. Lettera circolare PRAP Toscana del 18 maggio 2001.

13. Lettera circolare PRAP Toscana del 12 luglio 2001. In particolare la consulenza avrebbe dovuto riguardare: l'impostazione delle convenzioni con imprese private, cooperative ed enti pubblici, l'attivazione delle corrette procedure sulla scelta delle cooperative cui affidare servizi ed attività produttive; la corretta applicazione della legge 626/1994 sulla sicurezza degli impianti, dei locali e delle produzioni; la scelta del tipo di contratto da dover stipulare a garanzia dei diritti dei detenuti e delle detenute lavoratrici; l'assistenza in caso di mancato rispetto delle convenzioni e dei contratti; e infine la valutazione complessiva degli aspetti tecnico-legali connessi ai progetti per il polo industriale penitenziario.

14. Verbale della seduta dell'incontro del 3 luglio 2001. Sui progetti "Equal" vd. supra cap. II.

15. Relazione introduttiva all'incontro del 3 luglio 2001 sui progetti "Equal". In particolare a seguito di tale incontro si è pervenuti all'elaborazione di ben quattro progetti da presentare nell'ambito dell'iniziativa comunitaria "Equal": il Progetto "Equal Coast Revitalisation" che "investe un aggregato territoriale molto ampio della Toscana costiera e mira ad attuare misure innovative di sostegno all'inserimento lavorativo di categorie svantaggiate"; il progetto "Network" che ha come ambito geografico di operatività la Toscana centrale (l'area metropolitana di Firenze, Prato, Pistoia) "ove mira a combattere la discriminazione delle "fasce deboli" alle prese con un mercato del lavoro in profonda trasformazione". E infine i progetti "PRO S.I.T. - Servizi d'integrazione territoriale" e "Impresa sociale Toscana sud", volti entrambi a rilanciare e favorire l'attività imprenditoriale nel terzo settore attraverso "la sperimentazione di "archetipi operativi" (cosiddette "buone prassi"), da generalizzare grazie ai network sociali".

16. Ibidem. È particolarmente importante il riferimento alla necessità di approntare "case e centri di accoglienza" per favorire il reinserimento socio-lavorativo di detenuti ed ex detenuti, in quanto in molti casi - soprattutto qualora si prenda in considerazione la massa di detenuti stranieri - si tratta di persone prive della disponibilità di un alloggio, elemento assolutamente necessario non solo per elementari esigenze di vita una vota terminata l'esecuzione della pena in carcere, ma ancora prima come presupposto essenziale per l'accesso ai benefici penitenziari, quali le misure alternative alla detenzione.

17. Lettera del PRAP Toscana del 7 giugno 2002.

18. Nel semestre 30 giugno-31 dicembre 2001, ai 21 corsi professionali, istituiti dalle province e da altri organismi, risultavano iscritti solo 158 detenuti, di cui 42 stranieri; dei 9 corsi terminati nello stesso semestre, su 81 iscritti (17 gli stranieri) 66 conseguivano il titolo (il 77,78%), 16 dei quali stranieri.

19. Le idee prospettate concernono la possibilità di istituire corsi finalizzati innanzitutto alla formazione nel settore della ristorazione turistico-alberghiera, in quanto "campo trainante dell'economia che determinerebbe più che probabili opportunità occupazionali"; in secondo luogo alla formazione informatica finalizzata ad abilitare al conseguimento del titolo di "operatore informatico"; e infine alla formazione mirata al conseguimento di qualifiche professionali nei settori agricolo e industriale, nel qual caso i corsi dovrebbero essere accompagnati da laboratori e attività produttive organizzati negli stessi istituti penitenziari.

20. Con riguardo al problema della preparazione professionale dei detenuti e dunque alla conseguente necessità di organizzare corsi di qualificazione professionale, pare opportuno menzionare il progetto "Chance" realizzato fra il 2003 e il 2005, in alcuni istituti penitenziari toscani. Si è trattato più approfonditamente di un progetto realizzato da diversi soggetti istituzionali e del privato sociale, con il coinvolgimento di agenzie formative e del Comune di Firenze, e consistente in "un intervento di informazione, orientamento e animazione motivazionale delle principali carceri toscane, in abbinamento alla realizzazione di specifici percorsi formativi, quali approfondimenti finalizzati alla professionalizzazione della popolazione carceraria detenuta ed in particolare in procinto di addivenire alle misure penali esterne, per l'agevolazione del reinserimento lavorativo e la riduzione delle discriminazioni". In particolare sono stati organizzati più percorsi formativi a seconda delle esigenze dell'utenza e delle probabili prospettive di impiego rinvenibili sul territorio di riferimento, consistenti in un corso per saldatori presso il carcere di Massa Carrara, un corso per agricoltore biologico presso il carcere di Sollicciano e presso il carcere di Porto Azzurro, un corso per quadrista assemblatore-cablatore presso il carcere di San Gimignano, e infine un corso per commis di cucina presso il carcere di Sollicciano (Femminile).
Il progetto "Chance" pare particolarmente significativo dal momento che è stato oggetto di un'approfondita analisi successiva alla conclusione dello stesso, dalla quale possono essere tratte importanti indicazioni. Prima però di elaborare alcune considerazioni, è bene fare riferimento a qualche dato concreto: gli allievi ammessi ai corsi sono in totale 65 mentre gli studenti che hanno conseguito il diploma sono 46. Gli abbandoni precoci (cosiddetti "drop-out") ammontano a 38 unità, ai quali però si è supplito attraverso l'inserimento di 21 nuovi partecipanti, che elevano il totale dei detenuti coinvolti nei corsi da 65 a 86. Dei 46 detenuti che hanno conseguito la qualifica soltanto un totale di 22 unità ha immediatamente conseguito un'occupazione, pertanto il livello di inserimenti lavorativi effettuati a fine corso riguarda, considerando il numero complessivo di detenuti coinvolti (86), una percentuale pari al 25% del totale. Sulla base di tale dato, si può concludere che uno su quattro dei detenuti che hanno frequentato il corso hanno poi speso la qualifica professionale in un'attività lavorativa. È evidente che si tratta di un successo, se così può essere definito, veramente stringato.
Altra considerazione particolarmente importante che può essere fatta sulla base dei risultati conseguiti dal progetto in esame, peraltro evidenziata nello stesso report stilato a fine corso, concerne le motivazioni alla base dei drop out, ovvero degli abbandoni precoci del corso. Infatti "sorprende l'elevata incidenza di detenuti che hanno abbandonato il corso per motivi economici, circa il 20% degli abbandoni. Si tratta di 8 detenuti (pari al 12% del totale) che hanno motivato il loro ritiro adducendo impellenti necessità economiche, pertanto hanno preferito accedere alle attività lavorative penitenziarie, il cui orario si sovrapponeva spesso a quello delle lezioni". D'altra parte il progetto "chance" non prevedeva un compenso per le ore di attività. "Appare evidente che l'accesso al corso è quindi stato possibile solo per i detenuti che avevano una minore pressione economica". Cfr. M. Rocco, I risultati quantitativi del progetto "chance", inedito.

21. Nota PU-GDAP-544010 del 13 dicembre 2002.

22. Lettera PRAP Toscana, senza data.

23. Scheda 1 di predisposizione del P.E.A. n. 42.

24. Scheda 1 di predisposizione del P.E.A. n. 43.

25. Protocollo d'intesa per la gestione di progetti integrati per il reinserimento di detenuti tra Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria per la Toscana e Federsolidarietà' - Confcooperative Toscana, ARCST - Legacoop, AGCI - Solidarietà Toscana, del 16 marzo 2004.

26. Cfr. supra cap. II.

27. Ordini di servizio del PRAP Toscana n. 5 del 30 giugno 2004 e n. 6 del 7 luglio 2004.

28. Scheda 1 di predisposizione dei POT, provveditorato Toscana.

29. Lettera del PRAP Toscana, prot. n. 24581_12 del 9 dicembre 2004 indirizzata ai seguenti destinatari: Unioncamere-Unione Regionale-Toscana; Camere di Commercio diArezzo, Firenze, Grosseto, Livorno, Lucca, Massa Carrara, Pisa, Pistoia, Prato, Siena; Confcommercio regionale Firenze; Associazione degli Industriali delle Province di Arezzo, Firenze, Grosseto, Livorno, Lucca, Massa Carrara, Pisa, Pistoia, Prato, Siena; Confindustria Toscana Firenze; Associazione Medie e Piccole Imprese di Arezzo, Firenze, Livorno, Massa Carrara, Pisa, Siena; API-Toscana (Confapi Toscana) Firenze; Confartigianato Imprese Toscana Firenze; Confartigianato Arezzo, Firenze, Grosseto, Livorno, Lucca, Massa Carrara, Pisa, Pistoia, Prato, Siena. In totale il bando è stato trasmesso a 19.500 indirizzi di posta elettronica.

30. Ibidem.

31. Al 28 gennaio 2005 il totale dei detenuti dipendenti da cooperative sociali in Toscana era pari a 67 unità, d cui 23 lavoranti dentro gli istituti, 32 in regime di semilibertà e 12 ammessi al lavoro all'esterno ex art. 21 ord. pen.

32. Intervista al dott. Salvatore Rigione, allora direttore e coordinatore dell'area pedagogica presso il PRAP di Firenze.

33. Verbale del Forum per il polo penitenziario toscano del lavoro del 7 marzo 2005.

34. Comunicato stampa del PRAP Toscana, prot. n. 133931 del 15 luglio 2005.

35. Lettera PRAP prot. n. 15084 del 9 agosto 2005. La stessa identica richiesta viene peraltro riproposta ai medesimi destinatari anche l'anno successivo; cfr. lettera PRAP, prot. n. 11952 del 26 giugno 2006.

36. Lettera del PRAP Toscana prot. n. 12 del settembre 2005, avente ad oggetto: "disponibilità a cessione in comodato gratuito di laboratori e tenimenti agricoli degli istituti penitenziari toscani. Secondo Invito alle Imprese e Cooperative Toscane: locali idonei della Casa Circondariale di Prato per oltre 720 mq".

37. Cfr. scheda POT del PRAP Toscana gennaio 2004-marzo 2006.

38. Nota DAP n. 212902 del 10 giugno 2005.

39. Nota DAP n. 305612 del 5 settembre 2005.

40. Lettera PRAP. Toscana indirizzata al DAP, prot. n. 202544 del 4 novembre 2005.

41. Cfr. supra cap. I.

42. Cfr. scheda POT del PRAP Toscana gennaio 2004-marzo 2006.

43. Più approfonditamente il Progetto "Biocarcere" prevede la realizzazione di produzioni agricole nelle quali utilizzare come fertilizzante il compost derivante dalla parallela attività di raccolta differenziata e riciclaggio di materiale organico.

44. Scheda progetto "Biocarcere" del 6 dicembre 2005.

45. Mentre è venuta meno la convenzione con la cooperativa "Anfora" a causa della crisi delle commesse nonché ha smesso di operare la cooperativa sociale "Panglos", la quale aveva invece impiantato un'attività di telelavoro su commessa del comune di Prato. Del resto non è stata neppure conclusa alcuna convenzione con l'impresa Pointex, la quale aveva prospettato l'interesse ad avviare presso lo stesso istituto una propria lavorazione.

46. Con riguardo alla C.R. di Massa non ha avuto seguito la dichiarazione di interessi dell'impresa "Martini e Pull s.r.l." finalizzata all'introduzione di una produzione tessile.

47. La stessa cooperativa sociale "San Giacomo" non è riuscita peraltro ad avviare l'attività di produzione di cosmetici, così come progettato.

48. Report PRAP relativo ai comodati risultanti a dicembre 2006.

49. Report PRAP relativo ai comodati risultanti a marzo 2007, stilato in data 30 aprile 2007.

50. Turn over causato da continui ingressi, scarcerazioni, decorrenza dei termini di custodia cautelare, accesso alle misure alternative alla detenzione, espulsioni.

51. C.C. di Arezzo, C.C.F. di Empoli, C.C. di Sollicciano - Firenze, C.C. "Gozzini" - Firenze, C.R. di Gorgona, C.C. di Grosseto, C.C. di Livorno, C.C. di Lucca, C.R. di Massa, O.P.G. di Montelupo Fiorentino, C.C. di Pisa, C.C. di Pistoia, C.R. di Porto Azzurro, C.C. di Prato, C.R. di San Gimignano, C.C. di Siena, C.R. di Volterra.

52. Relazione introduttiva all'incontro del 3 luglio 2001 sui progetti "Equal"; vd. supra § 1.

53. Si deve precisare peraltro che i dati aggiornati al 30 giugno 2007 sono di poco meno di un anno successivi al notevole deflazionamento della popolazione carceraria avvenuto a seguito dell'indulto (legge n. 241 del 31 luglio 2006) e pur tuttavia indice di un costante e repentino aumento della stessa. Basti pensare che al 31 luglio 2006 la popolazione carceraria toscana ammontava a 4.055 detenuti, di questi 1.636 sono stati "scarcerati" beneficiando dell'indulto, quindi al 31 agosto 2006 la popolazione risultava pari a 2.635 persone. Già al 31 dicembre 2006 il numero dei detenuti toscani era significativamente aumentato arrivando alle 2.864 presenze, per toccare quota 3.145 al 30 giugno 2007. E' del tutto evidente l'effetto deflazionante puramente transitorio dell'indulto. Per i dati utilizzati cfr. Situazione al 31 Dicembre 2005 e Toscana Notizie.

54. Cfr. la Situazione al 30 Giugno 2007.

55. Cfr. supra cap. II, § 2.

56. Recante Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della presidenza del Consiglio dei Ministri.

57. Il comma terzo dell'art. 17 citato così dispone "con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione".
Il comma quarto invece prevede che "i regolamenti di cui al comma 1 ed i regolamenti ministeriali ed interministeriali, che devono recare la denominazione di «regolamento», sono adottati previo parere del Consiglio di Stato, sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale".

58. Circolare del Ministero della Giustizia - Ufficio legislativo, prot. n. RM2600/6/1-14 del 19 dicembre 2003, indirizzata al Ministero dell'Economia e delle Finanze e al DAP.

59. Ibidem.

60. Nota del Ministero dell'Economia e delle Finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, prot. n. 137198 del 26 novembre 2003.

61. Lettera DAP - Direzione generale dei detenuti e del trattamento, Prot. n. 268069 del 26 giugno 2003.

62. Comunicato stampa Agesol, cit.

63. Circolare del Ministero della Giustizia - Ufficio legislativo, prot. n. RM2600/6/1-14 del 19 dicembre 2003, indirizzata al Ministero dell'Economia e delle Finanze e al DAP.

64. Cfr. nota del Ministero dell'Economia e delle Finanze - Dipartimento per le politiche fiscali, prot. n. 9041 del 18 novembre 2003; nota dell'Agenzia delle Entrate, prot. n. 315476 del 23novembre 2003; nota del Ministero dell'Economia e delle Finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, prot. n. 730 del 9 gennaio 2004.

65. Lettera del DAP, prot. n. 12989/4-11-FAS del 23 giugno 2004.

66. Del resto la medesima conclusione è avallata anche a livello nazionale dai dati aggregati di tutti i provveditorati regionali dell'amministrazione penitenziaria: infatti la statuizione per cui il lavoro dei detenuti alle dipendenze di terzi si concretizzi per lo più in attività lavorative fornite da cooperative sociali è confermato dagli stessi monitoraggi sull'applicazione della legge Smuraglia. Invece l'ulteriore statuizione secondo cui il lavoro alle dipendenze di terzi si svolga nella stragrande maggioranza dei casi all'esterno del carcere è facilmente dimostrabile sulla base dei dati costantemente orientati in tal senso ricavabili dalle statistiche del Ministero della Giustizia: con riferimento all'anno 2004 - rilevamento preso a titolo esemplificativo visto che il monitoraggio più recente sull'applicazione della legge Smuraglia si riferisce al medesimo periodo - il totale dei detenuti lavoranti non alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria era pari a 2.534 unità di cui 1.386 in regime di semilibertà e lavoranti presso terzi (105 in proprio), 447 ammessi al lavoro all'esterno ex art. 21 ord. pen., e 596 all'interno degli istituti penitenziari, di cui 449 alle dipendenze di cooperative sociali, 131 assunti da imprese e 16 in attività in proprio ex art. 51 D.P.R. 230 del 2000.

67. Vd. supra cap. II § 9.

68. Lettera circolare del DAP, prot. n. 409205 del 21 ottobre 2003.

69. Nota del DAP n. 254872 del 16 giugno 2003.

70. Cfr. supra cap. II § 1.3.

71. Lettera circolare del DAP, prot. n. 263739 del 23 giugno 2003.

72. Cfr. supra cap. I § 6.2 e 6.3.1.

73. Soltanto nell'eventualità del reperimento di commesse esterne, era prevista la possibilità che la fornitura delle materie prime non fosse vincolata all'impresa di mantenimento convenzionata con l'istituto penitenziario, ma al contrario che la cooperativa sociale affidataria del servizio mensa potesse rivolgersi liberamente al mercato esterno; cfr. lettera circolare del DAP, prot. n. 132972 del 6 aprile 2004.

74. Lettera del DAP, prot. n. 296669 del 10 agosto 2004.

75. In un momento successivo il P.E.A. n. 14 è stato esteso anche alla C.C. di Torino (dicembre 2003), alla C.R. di Padova (febbraio 2004) e alla C.C. di Sulmona (marzo 2004).

76. Pare significativo rilevare come nessuna delle cooperative che ha preso in carico il servizio mense negli istituti interessati dal P.E.A. n. 14 sia riuscita a reperire delle commesse esterne, al contrario di quanto previsto nella bozza di convenzione stilata dal DAP.

77. Nel caso del progetto ex P.E.A. n. 14 su quattro istituti coinvolti soltanto in uno si è avuto un incremento - del resto irrisorio- del numero di detenuti lavoranti al servizio mensa, infatti solo nella C.C.N.C. di Rebibbia si è avuto un aumento di 6 unità a fronte però di una diminuzione del numero di lavoranti nell'I.P. di Trani dove invece sono venuti meno altrettanti posti di lavoro.

78. In particolare l'amministrazione penitenziaria destinava come compenso al lavoro svolto dalle cooperative sociali una quota pari mediamente a 1,50 euro più IVA per ciascun detenuto, iscritta peraltro nella voce di bilancio 7361 relativa al "servizio delle industrie degli istituti di prevenzione e di pena"; cfr. lettera del DAP, prot. n. 296669 del 10 agosto 2004, cit.

79. Con riferimento alla C.R. di Rebibbia l'importo iscritto nella voce di bilancio corrispondente alle mercedi dei detenuti lavoranti (tot. 10) nel servizio mense era pari a 8.505 euro a fronte di una somma di 14.298,24 euro se fosse stata aggiornata ai contratti collettivi attualmente vigenti; invece per quanto riguarda l'istituto di Ragusa la differenza fra mercedi erogate e mercedi effettivamente dovute ammontava a 2.800 euro circa su un campione di 6 detenuti; e infine la voce di spesa di cui si tratta - per un totale di 12 detenuti- iscritta nel bilancio per l'anno 2004 del carcere di Trani risultava pari a 9.502,50 euro anziché 15.962,52 così come avrebbe dovuto essere calcolata in conformità agli attuali contratti collettivi.

80. Si deve inoltre tenere in considerazione il fatto che le somme riportate nelle voci di bilancio di cui si tratta sono dati aggregati, all'interno dei quali confluiscono infatti le mercedi di tutti i lavoranti addetti al servizio mensa, le quali si differenzieranno in punto di quantum monetario essendo verosimilmente relative a "categorie" [ora "livelli economici"] diverse.

81. Lettera del DAP, prot. n. 296669 del 10 agosto 2004.

82. Nota del DAP del 20 novembre 2003.