ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo 1
Il casellario giudiziale - Cenni storici ed evoluzione

Guido Tozzi Pevere, 2007

1.1 Premessa

Le radici dell'istituto del Casellario giudiziale affondano nel terreno remoto del Diritto romano prima e di quello, frammentario, dell'epoca feudale poi. Attraversano quindi i secoli per vedere la luce, in forma organica, nel periodo napoleonico e nella patria natale del discusso condottiero.

Non è possibile, infatti, iniziare a trattare del Casellario giudiziale senza varcare gli italici confini e approdare in terra francese, madre dell'omologo istituto del Casier judiciaire. Si rende, infatti, necessario un breve excursus sulle vicende storiche di tale istituto in quanto, dall'esperienza di questo e delle migliorie apportatevi nel tempo, hanno preso vita nel nostro paese, appena unificato nel regno d'Italia, gli studi e gli atti governativi che avrebbero portato a breve alla nascita del nostro Casellario giudiziale.

1.2.1 Diritto Romano

Un breve accenno al diritto romano ci conduce alle pagine di Cicerone che, nel Pro Cluentio, riporta che "haerebat in tabulis publicis reus et accusator" (1); mentre lo stesso Plauto, nella commedia Rudens, conferma come si conoscessero pubblici archivi, in forma di tabulae (2), nelle quali era uso registrare i nomi di chi era accusato di crimini e di chi denunciava, oltre alla pena cui era condannato il reo.

D'altronde, la civiltà romana ben conosceva l'importanza del custodire informazioni sulla vita dei cives, potendo essere a ragione indicata come una delle antesignane della moderna archivistica. Così di nuovo Cicerone, nella orazione Pro Milone, accusa Clodio di avere incendiato il tempio delle Ninfe "ut memoriam publicam recensionis tabulis publicis impressam extingueret" (3); così legando indissolubilmente il concetto di memoria pubblica a quello della tenuta di pubblici archivi.

1.2.2 I registri medioevali

Essendo - tuttavia - mancato, nel diritto romano, un approccio al diritto penale paragonabile, anche solo alla lontana, alla ampissima elaborazione dottrinale civilistica, i giureconsulti del Medio Evo assunsero il compito di proseguire l'approfondimento e la diffusione del diritto romano, riprendendo dai Glossatori del Corpus juris giustinianeo i primi rilievi di diritto criminale.

Così, proprio nell'età 'di mezzo', non era raro che gli statuti e le prammatiche prevedessero registri in cui annotare le denunzie e le condanne che venivano presentate le une, comminate le altre.

In particolare, a titolo esemplificativo, si possono citare gli statuti di Bologna, Firenze, Perugia, Pavia che prevedevano i 'libri dei banditi', lo scopo dei quali appare esplicato sufficientemente dal nome loro attribuito. Per tutti, lo statuto di Cairo Montenotte (SV) prevedeva espressamente la presenza di un cancelliere a custodire tali registri, assieme alle altre scritture del Comune.

Così nel Basso medioevo i Comuni maggiori si dotarono, nei loro statuti, di libri in cui iscrivere i rei dei delitti più gravi, comportanti 'infamia' o 'indegnità' a ricoprire cariche pubbliche. Addirittura, seppure estemporaneamente, invalse l'uso di registrare le sentenze assieme ad un estratto del processo, come accadde con le 'Raspe' della Repubblica veneta o con i registri dei processi penali del regno di Napoli.

Nelle 'Raspe' (letteralmente: "copie delle sentenze criminali" (4)) venivano annotati - come riportato dall'onorevole Luigi Lucchini nella sua proposta di Legge per la riforma del Casellario giudiziale del 17 Maggio 1901 - "i nomi degli imputati, tanto condannati che assolti, il sunto delle relative sentenze, salvo poi a essere cancellati per conseguita riabilitazione" (5). Tuttavia, la presenza di una molteplicità di autorità legittimate ad emettere sentenze in materia penale, autorità che ricorrevano, tutte, ad autonome registrazioni, comportava indubbie difficoltà nella 'tracciabilità' dei precedenti penali di ognuno.

La Repubblica di San Marco, per ovviare a tale inconveniente - come poi accadrà in epoche ben più recenti per risolvere problematiche analoghe - unificò allora l'incombenza di procedere alle registrazioni, nelle mani dei 'Nodari primari dell'Avogaria' che, su richiesta di chi voleva assumere un pubblico incarico, dovevano rilasciare estratti che presero per la prima volta il nome di 'fedi'.

Nel regno di Napoli, invece, era previsto da apposite pragmatiche un 'libro ligato' nel quale registrare le querele, le "informazioni d'ufficio e senza querela" (6) e altri dati, secondo quanto disposto dalla Gran corte di vicaria.

1.2.3 Il precedente francese

E' tuttavia con il Casier judiciaire che si fece un decisivo passo avanti verso la realizzazione di un sistema omogeneo di registrazione di importanti dati penali. Già nel 1790 era stato creato in Francia un 'ufficio speciale di indicazioni', atto a raccogliere e registrare le decisioni pronunciate nel Dipartimento della Senna. La Prima repubblica aveva istituito poi, con Legge del 22 nevoso anno IV, il Ministero della police générale con compiti di sorveglianza sul territorio dello stato e di registrazione di chi aveva da render conto alla giustizia. Così il Casier judiciaire, che vide la luce grazie agli artt. 600, 601 e 602 del Codice d'istruzione criminale napoleonico del 16 Dicembre del 1808 (7), rispondeva a precise esigenze degli apparati di polizia e giurisdizionali francesi di avere "[...] in una dolorosa biografia, la esatta statistica di tutti i delitti ed una statistica ugualmente esatta delle persone dei colpevoli" (8), come chiosava l'oratore del Governo commentando tali articoli del Codice in sede di approvazione legislativa.

La ratio, tuttavia, che sottintende all'istituto d'oltralpe non deve essere individuata in esigenze di tipo meramente statistico, ma bensì nella necessità di disporre di uno strumento indispensabile sia al Giudice che alla società: "[...] al giudice per accertare la recidiva degli imputati e per l'apprezzamento morale che dee fare nel giudizio e nell'applicazione della pena, alla società in generale perché le condanne possono produrre conseguenze per l'esercizio de' pubblici uffici e dei diritti politici" (9).

I cancellieri francesi iniziarono, così, la raccolta e l'invio a Parigi delle notizie concernenti le sentenze (non solo penali) emesse dai Tribunali del regno. Queste, inviate trimestralmente sia al Ministero della giustizia che a quello della Polizia, rimasero, però, praticamente inutilizzate come "in grandi catacombe" (10), senza alcun ausilio per la giustizia. Ciò per due ordini di ragioni: in quanto le informative erano state accentrate presso un unico archivio per l'intera nazione ed in quanto vi erano oggettive difficoltà pratiche di consultazione dei tanti volumi nei quali erano raccolte.

Tali problematiche furono risolte negli anni a venire, innanzitutto nel 1833, quando i pesanti volumi del Casier furono sostituiti con tables mobiles perpétuelles, cioè con schede staccate che potevano essere archiviate e, successivamente, aggiornate in ordine alfabetico.

Rimaneva ancora irrisolto il problema dell'accentramento del flusso informativo, contro il quale si scagliò - lancia in resta - il Bonneville dè Marsangy in un discorso da lui tenuto, il 5 Novembre 1848, all'udienza solenne del Tribunale di Versailles, presso il quale era Procuratore.

L'idea del dotto, conservatore, magistrato era quella di riunire presso il Tribunale del luogo di nascita del condannato tutte le notizie sulle condanne da questi riportate in qualunque parte del territorio, con un'indubbia ottimizzazione delle possibilità di ricerca. De Marsangy, in un momento storico in cui il pensiero positivista iniziava a far muovere i primi passi all'antropologia criminale (11) e alla frenologia (12), sosteneva anche la necessità di inserire fotografie segnaletiche nei fascicoli dei criminali; ciò per permettere di scoprire nei caratteri generali della fisionomia del delinquente quegli indicatori della 'perversione' che più tardi sarebbero potuti servire nuovamente alla polizia.

Tale tesi, fu fatta propria dall'allora Guardasigilli Odillon Barrot e dette, poi, origine ad una vera e propria riforma del sistema che vide la luce il 6 Novembre del 1850, con una circolare del Ministro Rouher inviata ai Procuratori generali:

Il sera établi au greffe de chaque Tribunal civil, un casier destiné aux renseignements judiciaires. Ce casier sera divisé par compartiments, suivant l'ordre alphabétique. [...]. Ce casier sera placé dans un lieu non accessible au public, et autant que possible dans celui où sent conservés les actes de l'état civil. [...] Ce casier sera destiné à recevoir à classer par ordre alphabétique des bulletins constatant à l'égard de tout individu né dans l'arrondissement (13).

Il nuovo assetto del Casier lo presentò come un sistema abbastanza semplice di trasmissione dei 'bollettini': dalle Cancellerie dei Tribunali di adozione delle sentenze al Procuratore generale e, quindi, da questi alle Cancellerie del luogo di nascita del condannato.

In ordine a cosa dovesse essere registrato negli schedari del Casier, proseguiva la suddetta circolare prevedendo l'annotazione di:

1º Tout jugement ou arrêt devenu définitif rendu contre lui en matière correctionnelle;
2º Tout arrêt criminel rendu contre lui par la Cour d'assises ou par les tribunaux militaires;
3º Toute mesure disciplinaire dont il aurait pu être l'objet;
4º Tout jugement déclarative de faillite, s'il est commerçant;
5º Toute réhabilitation qu' il aurait obtenue, soit comme, condamné soit comme failli. (14)

L'unico aspetto ancora da affinare riguardava i soggetti dei quali non fosse noto il luogo di nascita, o che fossero nati fuori dai confini del regno; in questi casi il 'bollettino' veniva inoltrato alla Cancelleria dell'ultimo domicilio noto o, in mancanza, alla Cancelleria del Tribunale che aveva emesso il provvedimento giurisdizionale.

Fu una nuova circolare del 30 Agosto 1855 a dar vita ad un nuovo ufficio del Casier, quello centrale, al quale dovevano pervenire dalle varie Procure, tramite il Guardasigilli, le schede relative a stranieri o a persone di origine sconosciuta.

Per quanto riguardava la proposta di inserire foto segnaletiche, questa fu accolta successivamente e dette vita alla sperimentale raccolta di fotografie dei 'malfattori', che in breve raggiunsero un numero considerevole, non certo di facile consultazione. Così, Alfonso Bertillon, capo dell'ufficio di statistica di Parigi, introdusse un sistema, integrativo, basato sulle misurazioni antropometriche che permettevano una identificazione più sicura in caso di tentativi di cambio di identità. Il metodo, chiamato 'bertillonage' in onore del suo ideatore, intendeva rilevare le misure di determinate ossa del soggetto e prendere nota di tutti quei segni caratteristici (nei, cicatrici, colore degli occhi, forme del volto etc...) che potevano permetterne il riconoscimento. Grazie a questo metodo, che sarebbe a breve stato recepito anche da svariati altri stati come Inghilterra, Spagna, Belgio, Germania e Stati Uniti d'America, si potette osservare un sensibile aumento della recidiva; o meglio: dei casi di recidiva individuati dalla giustizia, che passarono dai cinquecentocinquanta del 1888 ai seicentoquattordici del 1890.

Le difficoltà, comunque, di individuare sempre con esattezza l'identità dei condannati furono sempre sentite e portarono, con Legge dell'11 Luglio 1900, a prevedere una pena da sei mesi a cinque anni per chi, celando la propria identità, avesse fatto iscrivere al cartellino di un altro una sentenza da lui subita.

1.3.1 La genesi del Casellario giudiziale italiano

Per quanto riguarda il nostro paese, prima dell'unificazione del 1861, non vi era l'abitudine di raccogliere informazioni sui precedenti penali degli imputati. Del pari, in generale, ci si limitava ad annotare le sentenze di condanna in registri tenuti dagli stessi Tribunali che le avevano emesse, senza alcun uso ulteriore rispetto a quello interno di semplice archiviazione. Ciò con esclusione delle province meridionali, che avevano già introdotto un sistema simile a quello francese: in particolare il Codice delle due Sicilie riproduceva, quasi pedissequamente, nel rescritto sovrano del 28 Agosto 1858, le disposizioni del codice napoleonico del 1808.

A parte tale eccezione, solo gli artt. 131 e 132 della legge di Pubblica sicurezza del 13 Novembre 1859 n. 3720, del regno di Sardegna di Vittorio Emanuele II, avevano disposto che si dovesse dare notizia all'autorità di Pubblica sicurezza delle sentenze di condanna emesse. La successiva ed omonima Legge, ormai 'italiana', del 20 Marzo 1865, tuttavia, non fece propria tale disposizione, mentre una circolare del 14 Settembre dello stesso anno ne prescrisse, inopinatamente, l'esecuzione.

In tal modo non sorgevano difficoltà quando un soggetto era stato precedentemente condannato, o solo imputato presso lo stesso circondario del Tribunale. Ci si limitava, quindi, ad allegare agli atti del processo l'attestato del Cancelliere, che veniva chiamato 'certificato di criminalità' o 'fede' o 'fedina penale', da definirsi 'netta' quando l'imputato non aveva precedenti. Discorso ben diverso, invece, per il caso in cui Tizio, oggi imputato presso il Tribunale di Firenze, fosse stato già condannato presso quello di Milano; in tale ipotesi, la ricerca del precedente avrebbe incontrato difficoltà insormontabili o, comunque, richiesto un dilatarsi ultra dimidium dei tempi necessari.

1.3.2 La proposta Ambrosoli

Così, dopo l'unificazione del regno d'Italia, fu il giurista Ambrosoli ad incentrare la sua attenzione sulla necessità di addivenire, rapidamente, ad un sistema che consentisse la tenuta di registri dei precedenti presso i luoghi di nascita dei cittadini, che fossero già stati condannati o imputati. Questi inviò, nel 1862, un memoriale al Guardasigilli che fu poi pubblicato, nel giornale "Il Monitore dei Tribunali" (15) con il titolo "Proposta di riforma del metodo attualmente in vigore nei Tribunali del regno per constatare le recidive degli imputati". Qui veniva proposto di seguire il modello francese, creando un 'Repertorio giudiziale' nel quale fare affluire: non solo le sentenze penali (ivi comprese quelle di non luogo a procedere ed i mandati di arresto), ma anche tutti quegli atti comportanti modificazioni dello status giuridico dei cittadini: quali interdizioni, fallimenti, e via dicendo.

1.3.3 Il decreto del 6 Dicembre 1865 n. 2644 e la relazione Cortese

La proposta Ambrosoli non trovò risposta, né subito, né in occasione della promulgazione del Codice di procedura penale del 26 Novembre 1865, ma fu sottoposta alla firma del Re immediatamente dopo, il 6 Dicembre dello stesso anno dal Guardasigilli Cortese, sotto forma di Decreto n. 2644 istitutivo del Casellario giudiziale.

Per cogliere appieno le istanze alle quali rispondeva l'istituto ed il suo funzionamento, può essere utile analizzare brevemente la relazione del Guardasigilli e gli articoli del Decreto che ne gettò le basi:

Art. 1. E' istituito in ogni Tribunale correzionale un Casellario giudiziale, in cui saranno conservate in estratto per le occorrenti ispezioni e certificazioni, tutte le seguenti decisioni divenute irrevocabili, concernenti persone nate nel territorio soggetto alla giurisdizione del Tribunale medesimo:

  1. le sentenze colle quali un imputato è dichiarato colpevole di reato criminale o correzionale, o di furto di campagna, senza distinzione se siano proferite da Giudici penali ordinari, militari o marittimi, purché il reato sia preveduto dal Codice penale comune; e senza distinzione se siano proferite in contraddittorio o in contumacia, eccettuate solo, in quest'ultimo caso, quelle dei Tribunali o dei Pretori alle quali si fosse fatta opposizione;
  2. le ordinanze e sentenze di non farsi luogo a procedimento, tranne quelle che furono proferite perché il fatto non è provato o non costituisce un reato e quelle per le quali è stato pronunziato il provvedimento accennato nell'art. 604 del Codice di procedura penale (16);
  3. i provvedimenti delle Corti e dei Tribunali contro minori di anni 14, che hanno commesso, senza discernimento, un crimine od un delitto;
  4. i decreti di condono, diminuzione o commutazione di pene criminali o correzionali, per grazia sovrana, ed anche di amnistia e di indulto, quando ne sia fatta applicazione a persona determinata;
  5. i decreti di riabilitazione ottenuti dai condannati.

Art. 2. E' istituito, nel Ministero di grazia e giustizia e dei culti, un Casellario centrale, in cui saranno conservate in estratto, per le occorrenti ispezioni e certificazioni, tutte le decisioni delle specie annoverate nell'articolo precedente che si riferiscono a persone straniere o di origine sconosciuta.

Art. 3. E' approvato l'unito regolamento, per la esecuzione del presente Decreto.

Art. 6. Il presente Decreto avrà esecuzione a cominciare dal 1 Gennaio 1866. (17)

A commento, il Guardasigilli enucleava i difetti del sistema vigente e tesseva le lodi di quello che andava a proporre, che avrebbe conseguito anche "il concorso reciproco internazionale nella repressione dei reati" (18), con la previsione dell'archiviazione anche di estratto delle sentenze straniere, emesse contro sudditi del regno. Seguiva, nella relazione, l'esposizione della critica che era stata mossa alla nuova proposta, da parte di alcune delle autorità alle quali era stato chiesto un parere preventivo: che potessero, cioè, andare sottratti o smarriti alcuni dei cartellini. Per evitare tali evenienze si propose, quindi, di creare un prontuario cronologico ed un repertorio nominativo, nei quali registrare i cartellini, al fine di individuare, nelle fasi di controllo, eventuali mancanze e provvedere in merito.

Degna di nota - anche al fine della valutazione funzionale ed 'etica' che andremo a fare dell'istituto - è poi la parte in cui il relatore veniva a disaminare l'utilità che si sarebbe avuta, dalla puntuale registrazione dei precedenti penali, non solo da parte di tale giustizia ma anche da parte dell'intera Pubblica amministrazione: "[...] nella formazione delle liste dei giurati, nell'accettazione od esclusione dei surrogati militari (19), nell'ammissione a pubblici impieghi, nella concessione di patenti e licenze per l'esercizio di qualunque ufficio, impiego o professione per cui sia necessario di conoscere qual grado di fiducia si possa accordare al privato [...]" (20).

Proseguiva, poi, la relazione prevedendo la possibilità di accesso alle informazioni contenute nel Casellario giudiziale anche da parte dei privati, che potevano essere interessati in modo tale che ne traessero "giovamento gli affari privati nei reciproci rapporti dei cittadini [...]" (21).

1.3.4 Il regolamento 6 Dicembre 1865 e le circolari attuative

A completamento dell'iter, normativo che avrebbe portato alla creazione del nostro istituto, fu promulgato, sempre in data 6 Dicembre 1865, un regolamento composto di ventisei articoli e previsto dal su riportato art 3 del Decreto. I due atti normativi furono inviati ai Magistrati con una circolare del 26 Dicembre 1865, la n. 66926, contenente indicazioni tanto minuziose e apparentemente secondarie che oggi farebbero certamente sorridere: dalle esatte dimensioni di cartellini e caselle, alla collocazione dell'armadio atto a contenerle, "munito d'imposte aventi robuste chiavi" (22), che "non si lascerà aperto se non quando sia presente il funzionario incaricato della custodia" (23).

A proposito dei funzionari addetti alla tenuta degli importanti archivi, proseguiva la circolare dicendo che si sarebbero dovuti scegliere tra "funzionari fidati ed intelligenti" (24), che avrebbero agito sotto la direzione dei Cancellieri. Questi, da parte loro, avrebbero dovuto soventemente controllare il repertorio e verificare, secondo ciò che ci si sarebbe potuti aspettare dall'età del condannato, che quest'ultimo fosse ancora in vita; utilizzando a tale scopo di verifica anche le informazioni in possesso di sindaci, istituti di pena, parrocchie. Interessante, a conferma dell'importanza che si attribuiva all'istituto, è anche notare che venivano stabiliti termini, abbastanza stretti, entro i quali procedere all'invio del certificato richiesto (tre giorni dalla trasmissione della domanda al Cancelliere).

Degna di nota è anche la raccomandazione di procedere in tempi rapidi alle registrazioni affinché, in caso di condanna a pene detentive di breve durata o a pene pecuniarie, non si corresse il rischio di sottoporre lo stesso soggetto ad un nuovo processo, senza poter avere avuto notizia, nelle more della registrazione, dei suoi precedenti.

L'opera di trasformazione dei registri antecedenti al 1866 e la creazione dei casellari locali fu - così - completata in tempi stretti, cosicché, nella Gazzetta ufficiale del 23 Maggio 1867, si annunciò l'entrata in funzione del Casellario centrale; si dovette attendere però il 1869 perché il Guardasigilli, con circolare del 15 Giugno, potesse manifestare la sua soddisfazione per il completamento della 'piccola rivoluzione' anche nella maggior parte dei Tribunali del regno. I vari chiarimenti e le istruzioni che erano stati, in itinere, dati furono poi raccolti in un'unica circolare del 12 Aprile 1886, la n. 1163, da parte del ministro Tajani (25). In ultimo, a seguito della entrata in vigore del nuovo Codice di procedura penale del 1889, le disposizioni sul Casellario giudiziale vennero con questo armonizzate, con R.d. n. 6509 del 10 Dicembre 1899.

1.4 La nascita del Casellario giudiziale

Questa la genesi normativa che fece veder la luce al nostro istituto: plasmato sulla creta ancora fresca dell'omonimo francese, del quale prese anche il nome con una semplice, ma apparentemente inopportuna, traduzione in italiano.

Il neologismo 'casellario', infatti, derivava da 'casella', cioè "ciascuno degli scompartimenti di una cassetta, o d'un mobile per tenervi separatamente e con ordine cose da non mescolare" (26), ma era l'aggettivo a suscitare dubbi sulla possibilità di prestarsi ad erronee interpretazioni letterali.

Per comprendere le ragioni dei dubbi sorti sulla nomenclatura dell'istituto, è necessario infatti ricordare che quanto creato col Decreto del 6 Dicembre 1865 n. 2644 differiva dagli intenti dell'Ambrosoli e dall'omologo francese, per avere circoscritto alla sola materia penale le registrazioni da operare.

Se il Casier judiciaire non conteneva, difatti, solo tali decisioni e poteva benissimo essere indicato con tale qualificazione, lo stesso non si sarebbe potuto, a ragione, dire per il neonato istituto italico, che avrebbe contenuto solo ed esclusivamente informazioni penali sui cittadini. Che, quindi, si sarebbe ben potuto definire, semplicemente, 'penale'. Tuttavia, a ben vedere, il termine 'giudiziale' può essere considerato come genus rispetto a quello, specifico e più circoscritto, di 'penale', apparendo quindi non troppo fondati i dubbi sulla correttezza della denominazione dell'istituto.

Per entrare, in ultimo, nel dettaglio del funzionamento del Casellario può risultare di una certa utilità fornirne una rapida e sintetica descrizione:

  • il cartellino doveva essere redatto entro quindici giorni da quando la sentenza era divenuta irrevocabile;
  • a seguito della compilazione, il Pubblico ministero o il Pretore attestavano (con un 'visto') la correttezza del cartellino;
  • lo inoltravano, quindi, al Procuratore del re presso il Tribunale del territorio di nascita della persona oggetto della annotazione o, nei casi di sua competenza, all'ufficio del Casellario centrale;
  • una volta ricevuto il cartellino vistato, il Procuratore doveva annotarlo nel prontuario cronologico e, una volta vistatolo anch'esso, inviarlo al Cancelliere per la collocazione nel Casellario;
  • il Cancelliere, a sua volta, registrava il cartellino in un repertorio, alfabetico, di 'controlleria' e lo collocava nella cassetta, in corrispondenza della relativa lettera; in caso di recidivo, il cartellino veniva aggiunto ai precedenti in ordine cronologico e con numerazione progressiva;
  • in caso di rilascio di un certificato del Casellario giudiziale, era compito del Cancelliere o del funzionario incaricato del Casellario centrale darne notizia in un ulteriore registro, quello dei certificati:
  • erano previsti, infine, cartellini di colore diverso per i recidivi in genere e per i recidivi nello stesso anno.

1.5 La richiesta dei certificati

I certificati del Casellario potevano essere richiesti sia da un'autorità del regno che dai privati, e da parte di questi ultimi anche per terze persone, sempre che vi avessero un, non meglio specificato, interesse legittimo o per adempiere a prescrizioni di Legge.

La richiesta doveva essere inoltrata al Procuratore del re del Tribunale di nascita della persona intestataria del cartellino; il Procuratore ordinava il rilascio al Cancelliere. A questo si potevano, invece, rivolgere direttamente i Giudici istruttori dello stesso Tribunale.

Era altresì prevista la, eventuale, riunione delle istruttorie, quando constava che altre autorità avessero fatto la medesima istanza di certificato del cartellino.

1.6.1 Problemi ermeneutici: dottrina e giurisprudenza

Appurato - grazie alla chiara lettera della norma, che esclude espressamente le sentenze contumaciali opposte emesse da Tribunali e Pretori - che fossero oggetto di registrazione solo i provvedimenti giurisdizionali penali definitivi, rimasero aperti alcuni problemi di carattere interpretativo: volti ad acclarare se si dovessero registrare i reati puniti da leggi speciali, le contravvenzioni, le sentenze di assoluzione.

1.6.2 Reati e contravvenzioni

Qualche dubbio suscitò, in dottrina ed in giurisprudenza, anche l'esatta delimitazione della tipologia di reato, per il quale annotare l'estratto delle sentenze di condanna, ferma la circoscrizione ai reati criminali e correzionali ed ai furti di campagna.

Con ciò si escludevano le contravvenzioni, cioè le condanne in materia di polizia, come chiaramente indicato dalla circolare del Guardasigilli del 15 Giugno 1869 n. 215, che spiegava anche i motivi di tale esclusione: il non gravare eccessivamente gli uffici e l'aver riconosciuto come una condanna in materia di polizia avesse ben poco peso, quale marcatore delle "cattive tendenze" (27) dei condannati.

L'esclusione delle contravvenzioni, tuttavia, dette origine ad una triplice disputa interpretativa sulla iscrivibilità o meno di:

  • sentenze di condanna per reati che sarebbero stati, per loro natura, puniti con pena correzionale, ma che fossero stati puniti con pena di polizia, a seguito dell'applicazione di attenuanti. La risposta venne dalla stessa circolare n. 215/1869 in senso affermativo;
  • sentenze di condanna per fatti previsti come contravvenzioni da leggi speciali ma puniti, poi, con pene qualificate come correzionali dal Codice penale. Anche stavolta la risposta fu in senso positivo, ad opera della giurisprudenza maggioritaria dell'epoca;
  • sentenze di condanna a pena correzionale, ma per reati previsti da leggi speciali e non dal Codice penale, stante la dizione dell'art. 1 del decreto istitutivo del Casellario giudiziale che affermava "purché il reato sia preveduto dal Codice penale comune". A tale proposito, tuttavia, fu notato come l'inciso fosse da riferirsi solo alle sentenze emesse dai Tribunali militari e marittimi, e come quindi il problema dovesse essere - anche stavolta - risolto in senso positivo. Del pari allo stesso risultato avrebbe fatto pervenire anche la, su richiamata, circolare n. 215/1869 che espressamente previde "[...] il cartellino di tutte le sentenze che, senz'alcuna distinzione, infliggono una pena pecuniaria che supera le lire cinquantuna", non essendoci ragione per escludere le condanne a pene correzionali "inflitte giusta le Leggi o sulla pubblica sicurezza, o sulla stampa, o sul contrabbando, o altra qualsiasi legge speciale".

1.6.3 Le sentenze di assoluzione

L'aspetto che più interessò Magistrati e giuristi - con posizioni spesso contrastanti - riguardò il fatto se si dovessero registrare o meno le sentenze di assoluzione e, in caso positivo, quali tra esse.

Prodromica rispetto a tale questione è la valutazione comparativa di due interessi contrapposti ed egualmente degni di tutela: quello all'informazione della società sulla correttezza del comportamento dei cittadini e quello (oggi, ad avviso dello scrivente, di certo preminente) del buon nome e della onorabilità del condannato ed, a maggior ragione, dell'imputato. Stante, per quest'ultimo aspetto, il brocardo per cui status illesae aestimationis est res inestimabilis (28), con esso deve essere valutata la circostanza che il Casellario non è un archivio chiuso in e su stesso, ma una fonte accessibile di informazioni che rivestono una marcata caratterizzazione pubblicistica, accanto ad un aspetto fortemente personalistico e privato.

Entrando nel merito della disputa interpretativa, essendosi prevista la registrazione presso il Casellario delle "sentenze colle quali un imputato è dichiarato colpevole di reato [...]" (29), il problema non si sarebbe a mio avviso neppure dovuto porre per le sentenze di assoluzione in senso tecnico, nonostante un gran da fare, all'epoca, di dottrina e giurisprudenza.

Così appare corretto quanto sostenuto, in tal senso, sia dal Majno (30) che dalla stessa Corte di cassazione di Palermo, la quale ebbe ad affermare che la Legge sul Casellario "esclude [...] l'annotazione della sentenza d'assoluzione divenuta irrevocabile" (31).

In senso contrario andò la circolare n 1163/1886 che, pur riconoscendo una marcata pratica giurisprudenziale in senso diametralmente opposto, cercò di sostenere l'opportunità di registrare anche le sentenze di assoluzione per insufficienza di indizi.

1.6.4 I provvedimenti istruttori di non luogo a procedere

Le maggiori difficoltà sorsero per quei provvedimenti che, in un certo qual modo, potremmo dire anticipassero, in fase istruttoria, un giudizio assolutorio: le sentenze e le ordinanze di non luogo a procedere. Infatti giova ricordare come l'imputato potesse essere prosciolto dall'accusa mediante due moduli diversi: l'assoluzione, ad opera del Giudice di merito, e la non opportunità di procedere penalmente, riscontrata dal Giudice dell'istruzione.

Per valutare le difficoltà poste da tale argomento, è necessario riprendere il numero 2 dell'art 1 del Decreto n. 2644/1865, che prevedeva il cartellino per tali provvedimenti, tranne che per quelli proferiti "[...] perché il fatto non è provato o non costituisce un reato" e per quelli con i quali "è stato pronunziato il provvedimento accennato nell'art. 604 del Codice di procedura penale".

L'ultima parte di tale formulazione prestava il fianco a diverse interpretazioni, soprattutto in quanto veniva a richiamare una norma che, non solo riguardava la fattispecie della cancellazione delle notizie riportate, ma era addirittura riferita all'antecedente storico del Casellario; cioè ai registri, che da questo erano stati sostituiti e nei quali doveva essere annotata qualunque imputazione, in qualunque modo il Giudice avesse statuito su di essa.

Così, la giurisprudenza delle più Corti di cassazione - che convissero fino alla riforma che portò ad una unica Suprema corte, custode della nomofiliachia - si organizzò attorno a due poli interpretativi opposti: basare l'ermeneusi solo sull'art. 604 c.p.p. (e, poi, intendere o meno come tassativi i casi in cui tale articolo consentiva di chiedere la cancellazione delle registrazioni) o, invece, integrarlo e conciliarlo con quanto previsto dall'art. 1 del decreto sul Casellario.

Dice in proposito il De Nava, nell'opera più volte citata, che "[...] dovendosi dettare una norma positiva per le decisioni da iscriversi, non era punto opportuno riferirsi ad un'altra legge che dispone quali decisioni, già iscritte, possano essere cancellate" (32). Ed aggiunge che "il dire che tutto debba essere segnato, salvo all'Autorità giudiziaria ad ordinare poi la cancellazione, significa render nullo il Decreto del 6 Dicembre 1865 e non si saprebbe poi in quale Legge rinvenire le norme secondo le quali il Casellario è regolato" (33).

Tale posizione rendeva ragione alla tesi che voleva escluse dal raggio di azione del 'famigerato' cartellino le sentenze di assoluzione e che interpretava, in maniera esemplificativa e non tassativa, l'art. 604 c.p.p.

1.6.5 L'insufficienza di indizi

Resta da dar conto delle ordinanze istruttorie di non luogo a procedere, per 'insufficienza di indizi', che non erano contemplate né dalla prima parte del numero 2 dell'art. 1 del decreto, né dall'art. 604 c.p.p. Per queste non è affatto pacifico che, stante la lettera della norma, fossero obbligatorie le registrazioni presso il Casellario. In questo senso il Lucchini (34), che si basò sulla già vista, precisa, esclusione delle ordinanze di proscioglimento 'perché il fatto non è provato' per assimilarle a quelle per 'insufficienza di indizi'.

Una simile interpretazione potrebbe, tuttavia, incontrare l'obiezione - prosegue il De Nava, che ci è sembrato meglio dar conto dei dubbi della dottrina su questo delicato punto - che le due espressioni si riferissero a fattispecie diverse: non esser provato il fatto sembrava far riferimento, in effetti, alla circostanza oggetto dell'imputazione; mentre la mancanza di indizi sufficienti pareva concernere la "reità specifica di un imputato per un fatto riconosciuto esistente" (35).

Neppure una circolare del Guardasigilli che già abbiamo menzionato, la n. 1163 del 12 Aprile 1886, riuscì a chiarire definitivamente la questione, pur prevedendo chiaramente che si dovesse far menzione nel Casellario:

1º delle sentenze, con cui la Sezione d'accusa dichiara di non esser luogo a procedere per insufficienza di indizi;

2º di quelle dei Tribunali e dei Pretori, colle quali è assoluto l'imputato per la stessa ragione, e

3º di tutte quelle, con le quali s'è dichiarata estinta l'azione penale in forza della prescrizione, o della desistenza del querelante, o dell'amnistia.

1.6.6 Reati minorili "senza discernimento"

Infine, va analizzato il problema dei provvedimenti emessi a carico di minori di anni quattordici, che avessero "commesso, senza discernimento, un crimine od un delitto" (36). Non è opportuno approfondire, in questa sede, il significato esatto di tale locuzione (che potrebbe riferire a cause che escludono la suitas della condotta, come alla non imputabilità del soggetto agente), quanto riflettere sulla circostanza che: se il minore avesse compiuto un fatto previsto dalla Legge come reato, ma senza sapere di commettere un reato, non lo avrebbe - in realtà - commesso; dato che, trattandosi di infra quattordicenne, l'ignoranza non poteva neppure essere ascritta a sua colpa. Ciò premesso, si sarebbe dovuti ricadere nella previsione normativa che esonerava dal cartellino, proprio perché il fatto commesso non costituiva reato. Coerente con la nostra ricostruzione era l'art. 8 c.p. che disponeva che il minore, agente senza discernimento, non avrebbe soggiaciuto a pena.

Invero, il numero 3 del medesimo articolo prevedeva la registrazione di quei provvedimenti di "disciplina e precauzione" (37), diversi da una 'pena' in senso tecnico-giuridico, che il Giudice poteva emettere a carico del minore, mostrando la volontà del legislatore che di essi si mantenesse memoria. Ciò portava ad una evidente distorsione del sistema, dal momento che: chi non avesse commesso in senso proprio un reato, ciononostante si sarebbe trovato con la fedina penale macchiata, venendovi annotato un provvedimento per il quale non era possibile né la cancellazione (ex art. 604 c.p.p.), né la riabilitazione (ex art. 847 c.p.p.).

Di nuovo si deve riconoscere, come per i provvedimenti assolutori per insufficienza di indizi, la più volte rimarcata duplice essenza del Casellario, sulla base della quale si sarebbero dovuti distinguere i cartellini per uso, potremmo dire, 'interno' alla macchina della Giustizia, rispetto a quelli divulgabili all'esterno.

E qui, ancora una volta, richiamiamo la nota circolare n. 1163/1886, la quale seccamente afferma che "in ogni caso è a tenersi presente, che qualunque dubbio dev'esser sempre risoluto nel senso d'ammettere notizia delle sentenze nel casellario, anziché d'escluderlo"; dando maggior pregnanza alle esigenze processuali, rispetto a quelle di riservatezza e tutela dei cittadini, oggetto delle attenzioni della giustizia.

Invece l'antesignano francese del nostro istituto, non a caso, prevedeva - grazie ad una circolare del 8 Dicembre 1868 - che i cartellini, comportanti informazioni su precedenti di minorenni, fossero di colore diverso dagli altri e venissero impiegati solo a fini processuali, su richiesta del Pubblico ministero; non potendosi rilasciare su domanda di altre Autorità pubbliche o di privati.

Per attenuare il rigore della normativa, la stessa circolare prima richiamata previde (italico, frequente, costume!) un escamotage atto a far raggiungere, al minore destinatario di un provvedimento di 'consegna ai genitori', gli stessi effetti della riabilitazione. Fu, infatti, previsto che il minore che avesse emendato il proprio stile di vita, imparando un mestiere o una professione, potesse adire il Giudice: dimostrando che lo scopo del provvedimento era stato raggiunto e chiedendo l'annotazione sul cartellino di "avvenuta emenda" (38).

1.7 Verso un nuovo assetto del Casellario giudiziale

Quanto abbiamo, brevemente e senza pretese di completezza, visto in tema di quali sentenze dovessero o meno essere registrate, mostra, assieme alle dubbiose alternanze delle giurisprudenza, l'esigenza di sottoporre l'intera materia a revisione.

Sulla scia, di nuovo, di quanto accaduto in Francia (con Leggi del 5 Agosto 1899 e del 11 Luglio 1900), la Camera dei deputati prese - in effetti - in analisi la proposta di Luigi Lucchini in data 17 maggio 1901, riconoscendo finalmente la necessità che la "fama dei cittadini" non venisse "in alcuna guisa offuscata" (39) dalla divulgazione di notizie contenute nei cartellini. Ci si mosse, cioè, sulla base della convinzione che si dovessero annotare solo le sentenze di condanna vera e propria, e che i certificati dovessero essere differenziati: a seconda che fossero necessari all'Autorità giudiziaria o fossero richiesti da altre Pubbliche amministrazioni o da privati. Questo perché si riconosceva, con forza, l'utilità dell'istituto e la necessità che contenesse più informazioni possibili sulla "delinquenza di chiunque [fosse] stato sottoposto a procedimento" (40), accanto, però, alla opportunità di limitare la pubblicità di quanto raccolto. Ciò altro non significava che distinguere il contenuto del Casellario, il cartellino, dalle certificazioni che si andavano a rilasciare.

Prodromica alla Legge di riforma dell'istituto fu una relazione del 13 maggio 1895, presentata dal procuratore generale Cosenza alla Commissione per la statistica generale e ripresa, mutatis mutandis, nella sua sostanza, dallo stesso Lucchini. Risulta utile riportare alcuni suoi passaggi più significativi, al fine di mostrare l'evoluzione della ratio che segnerà la Legge di riforma.

Proponeva, infatti, il Cosenza che:

  • si iscrivessero, oltre ai procedimenti penali, anche altre notizie riguardanti modificazioni della capacità personale o il fallimento;
  • il Casellario non fosse pubblico, ma riservato alle Autorità costituite e per quanto e nei limiti previsti dalla Legge;
  • i certificati non potessero essere rilasciati ai privati se non per loro stessi, esclusa ogni possibilità di ottenere copia di certificati di terzi;
  • fossero annotate solo le sentenze di condanna e solo se non fosse intervenuto decreto di riabilitazione;
  • fosse ammesso al Magistrato disporre la 'cancellazione condizionale' di una condanna, per evitare la sua pubblicazione sui certificati penali.

1.8.1 La riforma del Casellario giudiziale del 1902

Una prima, rapida, scorsa della lettera della nuova legge n. 87 del 30 Gennaio 1902 potrebbe, a questo punto, farci sospettare una insidiosa etero-genesi dei fini: in quanto sembrerebbe smentire quanto appena sostenuto, facendo apparentemente retrocedere a posizioni ben più intransigenti, rispetto a quelle operate da dottrina e giurisprudenza sull'impianto legislativo precedente.

In effetti il primo articolo recita testualmente:

Il Casellario giudiziale contiene, per estratto, tutte le decisioni definitive pronunziate [...]:

  1. in materia penale, senza distinzione fra quelle di condanna e quelle di assoluzione o di non farsi luogo a procedere, proferite in sede istruttoria o di giudizio, in contraddittorio o in contumacia: non esclusi i provvedimenti circa infermi di mente, minorenni e sordomuti;
  2. in materia civile e commerciale, ove dichiarino lo stato d'interdizione, d'inabilitazione o di fallimento.

Trattandosi di condanna penale, è fatta menzione del modo e del tempo in cui la pena venne scontata, ovvero se non lo fu, in tutto o in parte per amnistia, indulto, grazia, liberazione condizionale, o per altra causa.

Continuando, però, nella lettura della norma - che prosegue elencando cosa non deve essere menzionato nei certificati, a seconda che siano estratti dall'Autorità giudiziaria o richiesti da Pubbliche amministrazioni o da cittadini - si coglie l'essenza e la forza innovatrice della riforma che, come già detto, è mirata a tenere ben distinta la funzione di archiviazione delle sentenze, dalla possibilità che queste informazioni siano divulgate:

Art. 3. Nei certificati estratti dall'Autorità giudiziaria, per ragioni di giustizia penale, non deve farsi menzione:

  1. delle sentenze od ordinanze di assoluzione o di non farsi luogo a procedere, pronunziate da qualsiasi Giudice e per qualunque titolo, in giudizio o in sede istruttoria;
  2. delle condanne per fatti che una legge posteriore abbia cancellato dal novero dei reati o che, trattandosi di decisioni straniere, non siano preveduti come delitti nella legge italiana;
  3. delle condanne seguite da proscioglimento in sede di opposizione o di purgazione, di appello o di rinvio, di cassazione o di revisione;
  4. delle condanne per contravvenzioni, trascorsi cinque anni dal giorno in cui la pena fu scontata o la condanna estinta.

Art. 4. Nei certificati rilasciati a richiesta di una Pubblica amministrazione, fuori dal caso preveduto nell'articolo precedente, o dei privati cittadini, non deve farsi menzione:

  1. delle decisioni indicate nei primi tre numeri dell'articolo precedente;
  2. delle sentenze di fallimento, d'interdizione o d'inabilitazione, quando siano state revocate;
  3. dei provvedimenti presi circa infermi di mente, minorenni o sordomuti [...];
  4. delle condanne per contravvenzioni e di quelle in cui la pena sia stata convertita nella riprensione giudiziale (41);
  5. delle condanne estinte per amnistia o rispetto alle quali sia stata concessa la riabilitazione;
  6. di una prima condanna a pena pecuniaria o a pena restrittiva della libertà personale, sola o accompagnata da altra pena non superiore a tre mesi di reclusione o a tre mesi di detenzione, incorsa da persona minore dei diciott'anni, e non susseguita da recidiva a termine di legge;
  7. di ogni altra condanna alla multa o a pena restrittiva della libertà personale, sola o accompagnata da altra pena, non superiore a cinque anni di reclusione o a dieci anni di detenzione, trascorsi dieci anni dal giorno in cui la pena fu scontata o la condanna estinta, purché si tratti di condannato non recidivo e che non abbia successivamente commesso altro reato per cui gli sia stata inflitta la pena della reclusione.

Facile notare come la riforma abbia affrontato, risolvendoli, i dubbi ed i problemi ermeneutici che avevano caratterizzato la vita dell'impianto precedente, senza mortificare la quantità e la qualità delle informazioni contenute nel Casellario; facendo, però, tabula rasa delle molteplici querelle che abbiamo visto aver messo in discussione soprattutto la prima parte dell'art. 1 della Norma del 6 Dicembre 1865. Il tutto, poi, col lodevole corollario di avere apportato una, intuitiva, distinzione fra le notizie che si sarebbero potute ottenere, a seconda che a richiederle fosse stata l'Autorità giudiziaria o 'il resto del mondo'. Difficile resistere dal rimarcare, ad extrema abundantiam, come il fulcro attorno al quale si organizzò questa Legge del 1902 sia stato di una forte e lungimirante liberalità, se rapportato ai suoi precedenti: il riconoscere l'esigenza primaria di tutelare il buon nome dei cittadini, ponendoli al riparo dal danno che avrebbero potuto patire da un'arbitraria divulgazione di informazioni sui loro precedenti giudiziari.

Il che ci spinge a riportare, nuovamente, altri tre articoli del testo della legge, dalla cui lettura si ha conferma della suddetta attenzione al diritto alla riservatezza della 'fedina' dei cittadini:

Art. 2 comma 2. Il certificato è rilasciato [...] sulla domanda di ogni privato cittadino, se al proprio nome, senza che ne sia motivata la ragione, e, se al nome altrui, unicamente per produrlo in giudizio penale o civile, ovvero per ragioni di elettorato politico o amministrativo o di conferimento o esercizio di pubblici uffici.

Art. 6. Chiunque, essendo a conoscenza per ragioni di ufficio, delle iscrizioni contenute nel Casellario, le pubblichi o palesi indebitamente ad altri, è punito con la detenzione fino ad un anno o con la multa fino a tremila lire.

Art. 7. Chiunque ottenga, con frode, di farsi rilasciare un certificato penale al nome altrui, ovvero, ottenuto il certificato al nome altrui, se ne serva per uno scopo diverso da quello per cui gli è stato rilasciato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con multa sino a lire duemila.

1.8.2 Del dettaglio di alcune novità apportate dalla riforma

Prima di abbandonare questa riforma dell'istituto, può essere utile soffermarsi ancora su alcuni dei suoi articoli, che meglio ne evidenziano l'intento liberale e che, più platealmente, ne palesano le innovazioni teoriche oltre che procedurali.

Prima ancora, però, crediamo opportuno chiosare su quali sentenze (adesso anche dei Giudici speciali) dovessero essere oggetto di annotazione, potendo l'aggettivo 'definitivo' trarre in inganno. Invero, dovevano essere registrate le sentenze definitive, qui intese come di merito, contrapposte a quelle di mero rito, che fossero state anche 'irrevocabili'; intendendo, con tale specificazione, quelle per le quali fossero stati esperiti i mezzi di impugnazione e gravame, o per le quali questi non fossero più esperibili, per decorso dei termini previsti a pena di decadenza.

1.8.3 L'art. 604 c.p.c., le informazioni non penali, le sentenze di proscioglimento

Superate le precedenti incertezze dottrinali ed applicative, venne meno la stessa ragion d'essere dell'art. 604 c.p.p., dal momento che ricorrere all'Autorità giudiziaria, affinché le imputazioni si avessero 'per cancellate', fu reso superfluo e vano dalle nuove regole sui certificati. L'articolo dovette, così, essere re-interpretato, poiché nessuna iscrizione sui cartellini si poté più cancellare o solo darsi per eliminata. Forte della appena formalmente riconosciuta doppia funzione del Casellario, la stessa Corte di cassazione romana ebbe a precisare, in una sua massima (42), che non si dovesse cancellare, ma neppure trascrivere nel certificato penale, l'imputazione per la quale fosse intervenuta remissione di querela; dando così ampia ragione del principio informatore della riforma del nuovo secolo.

Un altro punto, degno di una qualche breve considerazione, appare l'apertura nei cartellini ad informazioni che poco o niente avevano a che fare con la giustizia penale, in quello che potremmo definire un riconoscimento tardivo delle idee dell'Ambrosoli, lungimirante faber del primo impianto legislativo organico del Casellario. Fu, infatti, previsto che fossero riportate notizie su eventuali inabilitazioni, interdizioni, fallimenti. Questa apertura, verso aspetti più squisitamente privatistico-commerciali dell'esistenza giuridica dei cittadini, venne approvata nonostante le perplessità espresse, in sede parlamentare, da alcuni giuristi, primo fra i quali il Nocito (43), che sottolineava la ridondanza di tale previsione, stante l'esistenza dell'albo dei falliti, ed il rischio di snaturare lo scopo dell'istituto.

Infine, merita certamente un cenno la discussione che accompagnò la sorte delle sentenze di proscioglimento, le quali - expressis verbis dell'art. 1 comma 3 - non dovevano apparire neppure nei certificati estraibili a richiesta della Autorità giudiziaria. Come si sarà notato, infatti, fu introdotta una sorta di piramidale divisione dei certificati penali: più ampi quelli richiesti dall'Autorità giudiziaria per ragioni di giustizia penale, più ristretti quelli accessibili dalla altre Autorità dello stato e dai privati. Così, si sostenne che spesso la formula assolutoria per "non provata reità" (44) altro non avrebbe indicato che una 'resa incondizionata' della Giustizia, incapace di provare la reità di chi, ben oltre un mero indizio di colpevolezza, ma lungi da prove concrete, avesse verosimilmente comunque delitto; ciò stante sembrò inopportuno escludere questa tipologia di sentenze di assoluzione dal novero di quelle, in qualsiasi modo, certificabili. Per contro si replicò - e la tesi, evidentemente, prevalse - con l'opportunità di 'blindare' tali sentenze all'interno degli schedari del Casellario, togliendo loro qualsiasi possibilità di certificabilità. Per i sostenitori di tale tesi, infatti, questo tipo di assoluzione avrebbe rappresentato comunque un sospetto gravante sull'individuo (non colpevole ma nemmeno innocente, potremmo dire con uno ossimoro di indubbia suggestione) e che su di esso avrebbe potuto gettare una funesta ombra di reità e striscianti effetti di demenutio capitis morale, ancor prima che legale.

1.8.4 Le contravvenzioni, i minori, la 'sospensione'

Due parole, ancora, sulle contravvenzioni: fu trovata una soluzione compromissoria che non le cancellasse tout court dai cartellini, rischiando di mettere a repentaglio lo stesso istituto della recidiva, ma che non implicasse al contempo una macchia indelebile sulla fedina di chi vi era stato condannato. Ecco il perché di quella sorta (in termini assolutamente atecnici se non impropri) di 'prescrizione quinquennale' delle contravvenzioni, che non sarebbero state più certificabili, trascorso tale periodo dalla loro espiazione.

Ancora più evidente il favor rei che si volle riconoscere a chi, in giovane età, avesse per la prima volta attirato le attenzioni e gli strali della macchina giudiziaria, come appare dalle chiare parole del Gianzana, a commento del numero 6 dell'art. 4 della legge di riforma che stiamo analizzando:

Si volle [...] facilitare la redenzione morale di chi, ancor giovine, abbia una prima volta peccato. E tale compito si volle raggiungere allontanando da lui, in questa pur troppo faticosa lotta dell'esistenza, l'ostacolo che gli si frapporrebbe ad ottenere quel grado, o quell'impiego che, ove avesse il certificato macchiato da una condanna, difficilmente potrebbe conseguire (45).

Non crediamo ci si possa esimere dal notare l'evoluzione avuta, rispetto agli atti normativi che dettero il via al Casellario giudiziale nel nostro paese: quando l'attenzione era strettamente rivolta a stigmatizzare il condannato, al fine di valutarne la recidiva (considerata morbo sociale della peggior risma!), senza alcuna remora per gli 'effetti collaterali', che da tale stigma sarebbero potuti derivare.

Questa medesima, umana, ratio la si riscontra anche laddove si ammise la non menzione, trascorsi tot anni dalla condanna, a patto che il condannato non fosse incorso in comportamenti recidivi. Non senza acceso dibattito parlamentare, fu anche - ultima parte dell'art. 4 - introdotta la possibilità per il Giudice di abbreviare tale termine o di "[...] ordinare che non si faccia menzione della condanna nel certificato, fino a tanto che il condannato non commetta altro reato per cui gli venga inflitta la pena della reclusione". Necessita, a rischio di divenire ripetitivi, ricordare nuovamente come la notizia non sparisse, come per magia, dagli archivi della Giustizia ma come, semplicemente, non fosse conoscibile dalla Pubblica amministrazione e dai privati. Ma qui il passo fu ulteriore, essendosi prevista una sorta di 'sospensione condizionale' della certificabilità del precedente. Se il condannato, nei casi previsti dalla norma o nelle circostanze individuate dal Giudice, non cadeva nuovamente in errore, allora poteva beneficiare di tale non menzione, pronta - tuttavia - la sentenza a riapparire qualora questi avesse ceduto nuovamente alla tentazione del delinquere.

1.8.5 Il rilascio del certificato

Parte fondante della riforma, il meccanismo che ruotava intorno al rilascio dei certificati: da parte del Procuratore del re, quelli a richiesta di Pubbliche amministrazioni o privati; a cura del Cancelliere del tribunale, quelli richiesti dall'Autorità giudiziaria, ma anche in questo caso con imprimatur del Procuratore stesso. La motivazione di quello che potrebbe apparire come un inutile, specioso, aggravamento del procedimento risiedeva nella circostanza che i certificati non erano più, da adesso, la pedissequa riproduzione di tutto ciò che era conservato in atti; ma dovevano essere, al contrario, il frutto di un'attenta cernita tra ciò che era certificabile e ciò che, invece, non lo era. Appare così logico che tale attività fosse sottoposta al visto del Procuratore del re, per la maggiore preparazione giuridica che da lui ci si poteva aspettare.

Ennesimo punto in cui il 'nuovo' assetto dell'istituto prendeva le distanze dal suo antenato era, in ultimo, costituito dalla possibilità di richiedere il certificato di terzi. Mentre era prima permesso "per motivi degni di riguardo", i casi furono circoscritti ad un elenco che doveva essere considerato come tassativo: produzione in giudizio, ragioni di elettorato, adempimenti relativi a Pubblici uffici. Facile intuire come la precedente formula, ampia e generica, avesse creato problemi concreti non di poco conto, motivo per cui si ritenne opportuno circoscrivere in modo tassonomico i casi in cui era ammesso, per un privato cittadino, chiedere informazioni giudiziarie su un suo simile.

Infine diversa dal certificato è la 'dichiarazione', che doveva essere fatta in casi espressamente previsti da norme dell'ordinamento giuridico dello stato. Vi erano, infatti, istituti - quale, ad esempio, la possibilità di essere nominati giurati in un processo - che prevedevano, quale requisito, di non essere stati precedentemente prosciolti per insufficienza di indizi o per "non provata reità". Quei casi, già visti, che non riuscivano a far svanire le nubi del dubbio dall'orizzonte giuridico dei cittadini. Non essendo, come sappiamo, tali informazioni estraibili, in alcun modo, per mezzo dei certificati penali, ciò avrebbe significato rendere vane le suddette norme. La soluzione fu, quindi, trovata grazie alle dichiarazioni, destinate a non avere alcuna pubblicità e ad esaurire ogni loro effetto con il raggiungimenti dello scopo per il quale erano state emesse.

1.9 Il R.d. n. 107 del 13 Aprile 1902

Prima di entrare nel merito tecnico-giuridico della legge di riforma del Casellario del 1902, definita dal Lucchini "legge di giustizia e di equità", può essere di una certa utile suggestione riportare le parole di tale giurista, che parlò di legge

di vera profilassi sociale nei riguardi di tutta la convivenza sociale, perché appunto, come l'esperienza insegna e secondo l'indirizzo odierno della scienza e della legislazione, non è più con la repressione cieca, draconiana, brutale, che si ottengono gli effetti più efficaci e provvidi per la moralità e tranquillità pubblica, ma con una repressione serena, mite, umana, armata di pietà, d'indulgenza, di ragionevole tolleranza per i delinquenti primari e occasionali (46).

Pur presentata da cotanta enfasi, sull'impianto dell'appena analizzata L. 87/1902, la norma succitata rivide il funzionamento degli uffici preposti alla gestione del Casellario giudiziale, senza, peraltro, arrecare significativi cambiamenti e mantenendo sia gli uffici esistenti presso i Tribunali, che l'ufficio centrale dipendente dal Ministero di grazia e giustizia. Le funzioni di quest'ultimo vennero, tuttavia, ampliate: provvedere al regolare funzionamento degli uffici locali e svolgere funzioni di statistica giudiziaria. Per poter adempiere a questa nuova funzione di memoria archivistica, fu prevista la conservazione presso il Casellario centrale di tutte le informazioni che non dovevano essere conservate negli uffici periferici, oltre a copia di ogni cartellino conservato presso tali uffici.

Così si rende necessario soffermarsi nuovamente sul meccanismo, peraltro di scarso interesse teorico, della redazione e della trasmissione dei cartellini. Questi dovevano, in linea di massima, essere redatti in duplice copia: una per l'ufficio di competenza territoriale ed uno per l'ufficio centrale. Eccezione a tale regola riguardava i casi, sopra solo accennati, in cui il cartellino non doveva essere custodito presso i Casellari periferici ma solo presso quello centrale; ciò accadeva solo ed esclusivamente per quelle sentenze che non sarebbero mai potute essere oggetto di certificato: sentenze di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste o non costituisce reato, perché è esclusa l'imputabilità o la reità o per estinzione del reato.

Altra eccezione alla regola - che altro non faceva che riproporre in linea di massima quanto previsto dalla legge del 1865 - riguardava il caso in cui il condannato fosse straniero o cittadino nato all'estero o in luogo ignoto; in questi frangenti il cartellino destinato, di norma, al Casellario locale era inviato a quello del Tribunale di Roma mentre, nel caso dello straniero naturalizzato italiano, doveva essere inoltrato al Tribunale nel cui circondario era stato prestato giuramento al re ed alle leggi del regno. Si noti qui un cambiamento: la competenza primaria del Casellario centrale - chiamato da adesso a nuovi compiti - passò al Casellario del Tribunale romano, avendosi una tripartizione rispetto alla, ormai nota, divisione degli uffici del Casellario tra centrale e locali.

Ultima deviazione rispetto alla regola di formazione e trasmissione dei cartellini riguardò, in ultimo, il caso in cui fosse stato condannato un cittadino straniero; in tale ipotesi, stanti le numerose convenzioni internazionali del periodo, veniva redatta una terza copia del cartellino, da inviare al Ministero di grazia e giustizia e, da questo, allo stato estero di appartenenza del condannato.

Altro problema affrontato dal regio decreto del 1902 fu, poi, quello della cancellazione dei cartellini, con un approccio e per finalità ben diversi da quanto previsto dall'ormai superato art. 604 c.p.p. L'unico motivo per procedere a tale operazione essendo stato, come facile intuire, quello di non intasare gli archivi e di non conservare informazioni non più utili neppure a fini statistici. Coerentemente, si dispose la cancellazione dei cartellini a seguito di morte del loro titolare o a seguito del decorso del tempo:

  • in caso di condanne irrevocabili per delitti, trascorso un periodo di tempo equivalente a quello in cui la persona avrebbe compiuto ottant'anni;
  • per i proscioglimenti e le condanne contumaciali, trascorsi dieci anni dalla loro data;
  • trattandosi di contravvenzioni, dopo cinque da quando la pena fu scontata o la condanna estinta;
  • in caso di provvedimenti in materia civile o commerciale, trascorsi cinque anni dalla loro revocazione.

Inutile far notare come l'eliminazione dei cartellini, seppur disposta per motivi di basso profilo di economia processuale, non poteva non esplicare benefici effetti anche nei confronti delle persone cui essi si riferivano, definitivamente e finalmente al riparo da accidentali, erronee o arbitrarie divulgazioni delle loro disavventure giudiziarie. Con soddisfazione, immaginiamo, di chi - primo il più volte citato Lucchini - con lungimirante intuizione comprese il rischio recondito in un Casellario troppo facilmente accessibile o eccessivamente denso di notizie.

Il nuovo assetto del Casellario centrale, tuttavia, colpa l'inerzia del legislatore, prese le mosse a partire del 1906, in quanto solo con Legge n. 77 del 25 Marzo 1905 si provvide alla riforma tecnica, poi concretizzata con il regolamento approvato con R.d. n. 548 del 15 Ottobre 1905. L'intera materia convogliò poi, e fu riorganizzata, nel Testo unico approvato con D.m. del 5 Novembre 1908.

1.10.1 L'evoluzione del 1913 e del 1931

Prima di giungere a giorni a noi più vicini, si rende utile un breve excursus sui frequenti aggiornamenti della normativa, soprattutto attuativa e regolamentare, che riguardò il Casellario giudiziale nella prima metà del 1900. Non siamo certi se parlare di evoluzione o del suo esatto contrario. L'istituto del Casellario giudiziale aveva, infatti, compiuto i suoi primi anni di vita con un percorso che ne aveva aumentata l'efficacia, ma che ne aveva evidenziato anche il lato 'umano', attento a limitare la divulgazione delle notizie ai casi strettamente necessari. Ciò, tuttavia, aveva fatto crescere una certa 'insofferenza' negli operatori meno progressisti, portati a notare - più che altro - l'impossibilità per le Autorità dello stato di accedere a tutte le informazioni contenute nei cartellini.

Fu così che il nuovo Codice di procedura penale del 1913 venne a sancire, all'art. 621, la possibilità per l'Autorità giudiziaria di ottenere il certificato con 'tutte' le informazioni presenti negli archivi a nome di un dato cittadino. E non si fermò qui: prevedendo la stessa possibilità anche per altre Pubbliche amministrazioni, sia civili che militari, le quali avessero dovuto attribuire un titolo, un incarico, un diritto per cui fosse prevista, come conditio sine qua non, l'inesistenza a carico del designato beneficiario di determinate iscrizioni. Trattasi in realtà, a parere di chi scrive, di possibilità ben più vicina alle già esaminate 'dichiarazioni', che non ad un allargamento degli ordinari certificati penali; in quanto servivano ad un organo dello stato per adempiere un suo compito, esaurendo poi la loro funzione senza avere una validità certificativa generale.

In osservanza del nuovo dispositivo del Codice di procedura penale - che ebbe a innovare anche in tema di certificati ottenibili dai privati ed in tema di eliminazioni delle registrazioni - vennero, quindi, emanate disposizioni regolamentari, con R.d. n. 1178 del 5 Ottobre 1913, e sul funzionamento degli uffici del Casellario, con D.m. del 23 Dicembre 1913.

Le modifiche del sistema penale del 1931 portarono, poi ed ancora una volta, ad un adeguamento del nostro istituto, del quale si occuparono gli artt. 603-610 c.p.p., accanto al R.d. n. 778 del 18 Giugno 1931 ed al D.m. 6 Ottobre 1931. Tuttavia fu mantenuto, in buona sostanza, l'impianto che si era venuto ad imporre col 1902; con i distinguo che sarà opportuno fare, primo fra i quali la segnalazione che gli uffici territoriali del Casellario vennero trasferiti dai Tribunali alle Procure. Facendo, in ciò un rapido salto in avanti, è il caso di anticipare che la direzione dell'ufficio del Casellario giudiziale locale rimarrà fino al 1956 di competenza del Procuratore della repubblica, trasferendosi poi - grazie alla Legge 23 Marzo 1956 n. 182 - fra le attribuzioni dei dirigenti di segreteria delle Procure.

1.10.2 Iscrizioni iniziali e successive

Entrando brevemente nel dettaglio, l'art. 603 c.p.p. previde l'iscrizione iniziale di determinate informazioni, derivanti da provvedimenti irrevocabili del Giudice e destinate a trovare allocazione nelle certificazioni del Casellario. Queste informazioni furono elencate dal successivo art. 604, che omettiamo di riportare in quanto non venne a mutare di molto lo scenario che abbiamo descritto. Allargò, tuttavia, le iscrizioni alle "ordinanze emesse dal Giudice di esecuzione" ed ai "provvedimenti con i quali il condannato è stato dichiarato delinquente o contravvenente abituale o professionale" (specchio delle ideologie fasciste del periodo), oltre a quelli con cui "il Giudice ha ordinato il ricovero in manicomio e la revoca di tale provvedimento". Di nuovo si previdero, poi, casi in cui le sentenze non dovessero essere riportate, legati sopratutto alle contravvenzioni, al non aversi luogo a procedere perché il fatto non sussiste, ai casi di remissione di querela, amnistia, prescrizione.

Diverse dalle iscrizioni iniziali erano, poi, quelle 'successive', che furono oggetto di svariati, ripetuti, interventi legislativi ad opera del D.m. 29 Gennaio 1945, del D.l.lt. 2 Agosto 1945 n. 499, del D.l.lt. 5 Ottobre 1945 n. 748 e della L. 18 Giugno 1955 n. 517. Tali iscrizioni riguardavano lo svolgimento dei rapporti giuridici cui si riferivano le iscrizioni iniziali, con particolare - ed importante - riferimento alle modalità di esecuzione della pena. L'ultima parte dell'art. 604 c.p.p. recitava, infatti, che:

Nel Casellario si iscrive [...], se si tratta di condanna penale, la menzione del luogo e del tempo in cui la pena fu scontata ovvero la menzione che non fu in tutto o in parte scontata per amnistia, indulto, grazia, liberazione condizionale o per altra causa.

Proseguiva, infine, la norma prevedendo l'annotazione dei provvedimenti che "dichiarano o revocano la riabilitazione".

Queste notizie sulla 'vita' dei provvedimenti emessi si prescrisse venissero comunicate grazie a speciali modelli, definiti 'fogli complementari'. Di tali nuove annotazioni si occupò l'art. 14 del regolamento del R.d. 18 Giugno 1931 n. 778 che giova, anche stavolta, riportare per estratto e che fece un elenco dei tipi dei suddetti fogli:

  1. in materia penale:
    1. modalità di esecuzione delle pene principali ed accessorie;
    2. provvedimenti di cumulo, determinazione della pena da eseguire in caso di concorso;
    3. ordinanze di revoca dei benefici concessi in tema di esecuzione;
    4. provvedimenti circa l'esecuzione di misure di sicurezza;
    5. provvedimenti circa la riabilitazione (dichiarazione o revoca);
    6. ordinanze di correzione di errori materiali o di rettifica [...];
    7. sentenze di riconoscimento di sentenza penale straniera;
  2. in materia civile: la revoca dei provvedimenti iscritti;
  3. in materia fallimentare: le sentenze di omologazione dei concordato ed i provvedimenti di revoca del fallimento o di riabilitazione del fallito.

Queste annotazioni dovevano essere effettuate immediatamente dopo l'emanazione del provvedimento, a cura del Cancelliere dell'Autorità giudiziaria de qua o a cura del funzionario addetto dell'istituto di pena, e dovevano essere trascritte nella scheda del Casellario locale e comunicate a quello centrale.

1.10.3 Dai cartellini alle schede

Non per distrazione abbiamo parlato, all'ultima riga del paragrafo precedente, di 'schede' invece che degli, ormai familiari, cartellini. Questa è infatti una innovazione terminologica - non direi concettuale - della novella degli anni 30 del secolo scorso, rispetto a quanto accaduto ab initio e a quanto confermato anche sotto la vigenza del Codice di rito penale del 1913. E' ora il turno di tali schede di essere custodite in originale presso i Casellari periferici e, in copia, presso quello centrale; ed è compito dei Cancellieri il redigere, stavolta, la scheda per ogni provvedimento per il quale sia prevista dall'art. 604 c.p.p. La norma prevede, poi, un'ampia serie di minuzie e dettagli che non innovano, se non marginalmente, il nostro istituto e che non giova ripercorrere.

1.10.4 Della eliminazione delle schede

Se, per le già accennate ragioni di economia gestionale, era stata già prevista la automatica eliminazione delle schede a seguito del trascorrere del tempo, la novella del 1930 previde espressamente alcuni casi in cui le schede dovevano essere eliminate:

  • la notizia ufficiale della morte dell'iscritto;
  • il decorso di novanta anni dalla sua nascita;
  • l'annullamento delle decisioni iscritte;
  • il caso di registrazioni fatte per errore o erroneamente attribuite alla persona.

Sulla stessa materia venne, poi, ad incidere l'art. 605 c.p.p. come sostituito dalla Legge 18 Giugno 1955 n. 517, che fece tornare al sistema precedente, in un'ennesima alternanza di soluzioni simili, della quale l'istituto sembra essere stata vittima designata. Così, a parte il caso del decesso accertato della persona iscritta, si tornò agli ottanta anni dalla sua nascita ed al percorso già tracciato, del quale si abbreviarono ulteriormente alcuni termini, come nel caso delle contravvenzioni che si poterono eliminare trascorsi tre anni e non più cinque. Si previde una verifica ed una eliminazione mensile delle schede, con la comunicazione al Casellario centrale di quelle eliminate.

1.11 I certificati penali del secondo dopo guerra

Il periodo post bellico vide, come sopra appena accennato, una nuova riforma del Casellario giudiziale (dovuta alla novellazione del Codice di procedura penale ad opera della L. 517/1955) che merita approfondire almeno sotto il profilo dei certificati.

Si previde, infatti, che questi potessero essere chiesti (come prima) "per ragioni di giustizia penale" da ogni Autorità avente giurisdizione penale, ivi compreso l'intendente di finanza (47) limitatamente alle materie in cui poteva emettere decreto di condanna. Così i Giudici potevano accedere a 'tutte le iscrizioni' esistenti a nome di una determinata persona, a qualsivoglia titolo interessata da un procedimento giurisdizionale penale: dall'accusato, al querelante, alla parte offesa o ai testimoni. Questa possibilità, come già precedentemente successo, fu concessa anche alle altre Pubbliche amministrazioni e alle "aziende incaricate di pubblici servizi" (sic...) per il caso in cui ciò fosse richiesto dalle loro funzioni. Nei certificati ottenibili da tali Amministrazioni non giurisdizionali non dovevano apparire le sentenze di proscioglimento di minori, oltre alle sentenze di condanna a pena pecuniaria o detentiva non superiore a cinque anni, che fossero state emesse dei Tribunali militari alleati, come aveva già precisato l'art. 3 della Legge 18 Dicembre 1953 n. 921. Non si può non esprimere, in chiave critica, qualche perplessità sulle pericolose aperture operate dalla norma del 1955 che, per la prima volta, estende espressamente la possibilità per la Pubblica amministrazione di prendere visione dei precedenti di soggetti diversi dai 'condannati'.

Come già accaduto precedentemente, anche stavolta si previde la possibilità per i privati di ottenere il proprio certificato senza limitazione alcuna; oltre a quello altrui per le, ormai note, casistiche motivate da un legittimo interesse. Per un approfondimento sui tipi di sentenze delle quali non far menzione, non si può che rimandare alla lettura dell'art. 608 c.p.p. come sostituito dalla Legge 18 Giugno 1955 n. 517.

Sembra, infine, opportuno richiamare il successivo art. 609 c.p.p. che prescrisse - per la prima volta - che, nei certificati emessi per ragioni di elettorato, non si facesse menzione di provvedimenti diversi da quelli esplicanti i loro effetti su tale diritto elettorale.

1.12 Tre categorie di certificati

L'art. 28 del R.d. 18 Giugno 1931 n. 778, rimasto esente da novellazione, previde una tripartizione dei certificati che potevano essere estratti dal Casellario:

  1. certificato generale, atto a riportare tutte le iscrizioni esistenti sulla scheda di un individuo in materia penale, civile, amministrativa;
  2. certificato penale, destinato a mostrare le sole iscrizioni penali oltre all'espulsione dello straniero, qualora dovuta al compimento di un reato;
  3. certificato civile, circoscritto alle informative civili ed amministrative.

In tal modo si fece - expressis verbis - giustizia della querelle, sorta e vista e suo tempo, sulla denominazione del Casellario, appellato apparentemente in modo improprio come 'giudiziale'.

Note

1. Enciclopedia giuridica Italiana, Società Editrice Libraria, Milano, 1903, p. 904; traduzione libera dal latino: veniva indicato in tavole pubbliche il nome dell'accusato e dell'accusatore.

2. La parola tabula, infatti, non indica solo tavole bronzee ma anche il concetto più ampio di libri, registri, atti.

3. E. Casanova, Archivistica, Siena, 1928.

4. A. Da Monsto, L'Archivio di Stato di Venezia, Tomo I, Biblioteca d'Arte Editrice, 1937, Roma.

5. Enciclopedia Giuridica Italiana, cit., p. 905.

6. Ibid.

7. "Art. 600. Les greffiers des tribunaux correctionnels et des Cours d'Assises seront tenus de consigner par ordre alphabétique, sur un registre particulier, les noms, prénoms, profession, âge et résidences de tous les individus condamnés à un emprisonnement correctionnel ou à une plus forte peine: ce registre contiendra une notice sommaire de chaque affaire et de la condamnation, à peine de cinquante francs d'amende pour chaque omission
Art. 601. Tous les trois mois, les greffiers enverront, sous peine de cent francs d'amende, copie de ces registres au ministre de la justice et à celui de la police générale.
Art. 602. Ces deux ministres feront tenir, dans la même forme, un registre général compose de ces diverses copies".

8. G. De Nava, in Il Digesto Italiano, diretto da L. Lucchini, 1891, Unione Tipografica Editrice, Torino-Milano-Roma-Napoli, p. 241.

9. G. De Nava, op. cit., p. 242.

10. Bonneville de Marsangy, De l'amèlioration de la loi criminelle, Vol. I, p. 647.

11. Per tutti, Cesare Lombroso (1835 - 1909) che, rifacendosi alla dottrina di Galton della criminalità innata e biologicamente condizionata, sosteneva che la condotta antisociale del delinquente è condizionata da fattori indipendenti dalla sua volontà (ereditarietà e malattie nervose) che ne diminuiscono la responsabilità. In particolare, ne L'uomo delinquente, Lombroso sosteneva che i comportamenti criminali fossero determinati da predisposizioni di natura fisiologica, che si sarebbero rivelati anche esteriormente nella configurazione anatomica del cranio. Influenzato dalle teorie dell'evoluzione darwiniana, Lombroso sosteneva poi che il 'delinquente nato' avrebbe presentato delle caratteristiche ataviche, simili a quelle dell'uomo primitivo.

12. Dottrina pseudo-scientifica ideata dal medico tedesco Franz Joseph Gall (1778 - 1828), secondo la quale ogni funzione psichica dipenderebbe da particolari zone del cervello umano, così che dalla valutazione di particolarità morfologiche del cranio di una persona (linee, depressioni, bozze) si potrebbe giungere alla determinazione delle qualità psichiche dell'individuo e della sua personalità.

13. Così riportato da Giuseppe De Nava, op. cit., p. 244. Traduzione libera dal francese: "Sarà istituito presso la cancelleria di ogni tribunale civile un casellario destinato alle informazioni giudiziarie. Questo casellario sarà diviso per compartimenti, seguendo l'ordine alfabetico. Sarà posto in un luogo inaccessibile al pubblico e, per quanto possibile, sarà conservato insieme agli atti dello stato civile. Il casellario sarà destinato a ricevere e a classificare in ordine alfabetico bollettini riguardanti ogni individuo nato nel distretto".

14. Enciclopedia Giuridica Italiana, cit., pp. 905-906. Traduzione libera dal francese: 1º Tutti i giudizi o i 'fermi' divenuti definitivi che siano stati resi in materia correzionale; 2º Tutti i 'fermi' criminali emessi dalla Corte d'Assise o dai Tribunali militari; 3º Tutte le misure disciplinari riguardanti il colpevole; 4º Tutti i provvedimenti dichiarativi di fallimento emessi nei confronti di commercianti; 5º Tutti gli atti di riabilitazione che siano stati ottenuti sia in tema di condanne che di fallimento.

15. Anno III, 1862, pp. 785-792.

16. "Allorché, con ordinanza o sentenza divenuta irrevocabile, l'imputato sarà stato assolto, o si sarà dichiarato non farsi luogo a procedimento, o perché il fatto non costituisce reato, o perché consta non essere avvenuto il fatto che formò oggetto dell'imputazione, o è provato che l'imputato non l'ha commesso o non vi ha avuto parte, l'imputato potrà domandare che si abbia per cancellata dai registri penali la imputazione iscritta a suo carico.
La Camera di consiglio, la Sezione d'accusa, il Tribunale o la Corte d'Appello, da cui fu proferita la l'ordinanza o la sentenza, esaminati gli atti e sentito il pubblico ministero, pronunzierà sulla domanda; ed ove creda dover essere accolta, ordinerà che nei certificati penali a nome dell'imputato venga omessa quella imputazione. Se l'ordinanza fu pronunciata dal giudice istruttore provvederà sulla domanda la Camera di consiglio.
Se la sentenza sarà stata proferita dalla Corte d'Assise, provvederà sulla domanda la Sezione d'accusa.
Il detto provvedimento della Camera di consiglio o del Tribunale non andrà soggetto ad opposizione, e sarà annotato in margine de' registri penali".

17. G. De Nava, op. cit., p. 238.

18. G. De Nava, ibid.

19. Sorta di benefici che potevano essere riconosciuti a chi fosse stato escluso dalla leva militare.

20. G. De Nava, op. cit., p. 246.

21. Ibid.

22. Raccolta delle circolari emanate dal Ministero di grazia e giustizia e dei culti, Vol. 1, p. 529.

23. Ibid.

24. Ibid.

25. Bollettino del Ministero di grazia e giustizia, vol. 7, p. 121.

26. Fanfani P., Dizionario, Firenze, 1865.

27. G. De Nava, op. cit., p. 248.

28. Traduzione libera dal latino: la reputazione dell'incensurato è un bene inestimabile.

29. Art. 1 del decreto n. 2644 del 6 Dicembre 1865.

30. G. Borsani e L. Casorati, Codice di procedura penale italiano commentato, parte a cura di L. Majno, Vol. VII, p. 427 ss.

31. "Rivista Penale", Vol. XXVII, p. 26.

32. G. De Nava, op. cit., p. 249.

33. Ibid.

34. L. Lucchini, La Legge, vol. XXII, 1904, p. 386.

35. G. De Nava, op. cit., p. 253.

36. Art. 3 Decreto 6 Dicembre 1865 n. 2644.

37. 'Riconsegna' del minore al genitore o ricovero in quello che viene definito 'ospizio di correzione'.

38. L. Compagnone, Il casellario giudiziale ed il metodo Bertillon per accertare l'identità dei recidivi, Napoli, 1888 p. 561.

39. Enciclopedia Giuridica Italiana, cit., p. 904.

40. Ibid.

41. Questa era una sorta di 'ammonimento' che veniva rivolto dal Giudice, in pubblica udienza, sui precetti della legge violata e sulle conseguenze dell'azione delittuosa compiuta.

42. Cassazione Roma, 1 Luglio 1902, relatore Manduca, causa Baviola; in "Giurisprudenza Penale", 1902, p. 410.

43. Enciclopedia Giuridica Italiana, cit., p. 917.

44. Ibid.

45. P. Gianzana, in Enciclopedia Giuridica Italiana, cit., p. 920.

46. Atti Parlamentari - Discussioni, tornata del 3 Dicembre 1901, p. 6391.

47. Figura istituita con R.D. 26 settembre 1869 n. 5286, svolgente funzioni di accertamento tributario e di primo grado in questo tipo di contenzioso, corrisponde oggi al Dirigente regionale delle Entrate.