ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo 3
Il progetto pilota per il rimpatrio assistito in Albania

Giulia Martini, 2007

3.1 Premessa

Il programma pilota per il rimpatrio dei minori non accompagnati nasce rivolto proprio all'Albania, per una serie di elementi, primo fra tutti la numerosa presenza di minori non accompagnati che è stata registrata nel corso degli anni. La vicinanza geografica, la situazione socio-economica del paese, già da tempo al centro di numerosi programmi di cooperazione italiana, ha permesso di sperimentare concretamente la procedura di rimpatrio assistito.

Nella prima parte del capitolo ho ritenuto utile inserire una breve analisi del contesto socio-culturale e del fenomeno migratorio albanese per tratteggiare lo sfondo da cui i minori provengono.

Successivamente ho descritto le varie fasi che portano al rimpatrio assistito di un minore albanese non accompagnato, così da poter analizzare quello che è stato definito un "intervento ponte, in parte svolto sul territorio nazionale e in parte nel paese di partenza" (1).

La prima parte della ricerca si è, dunque, svolta in Italia, attraverso incontri e interviste con il vice presidente del Comitato per i minori stranieri, dott. Mauro Valeri e con altri funzionari ministeriali, oltre che con alcuni assistenti sociali del S.S.I. - sezione italiana.

La seconda parte si è, invece, svolta in Albania, con interviste alla delegazione albanese del S.S.I. ed agli altri soggetti che nel corso degli anni si sono occupati dell'accoglienza e della strutturazione del progetto di reinserimento sociale del minore rimpatriato.

Durante la permanenza in Albania ho visitato le strutture, governative e non, presenti nei maggiori centri del paese che sono attive, con profili differenziati, nel realizzare interventi a favore dei minori rimpatriati o a rischio di emigrazione clandestina (2).

Presso la sede del Comitato per i minori stranieri a Roma e della delegazione albanese del S.S.I. a Tirana, ho avuto la possibilità di consultare i documenti contenuti all'interno di fascicoli relativi ad alcuni minori non accompagnati (3).

3.2 Breve analisi della cultura e del fenomeno migratorio albanese

Le migrazioni del popolo albanese e, in particolare, dei minori non accompagnati, dal 1991 ad oggi, data la vastità e la complessità, sono un argomento di difficile trattazione che non può essere analizzato in questo contesto. Ritengo, tuttavia, che, per contestualizzare e tentare di spiegare il fenomeno ai fini dell'indagine, non si possa prescindere dall'operare una, se pur sintetica, ricostruzione dei mutamenti in atto nel paese in seguito alla caduta della dittatura.

Il fenomeno migratorio ha inizio con la caduta del regime comunista per intensificarsi con le successive crisi interne (4). Pur essendo innegabile che la migrazione dei minori non accompagnati rappresenti, per le modalità con cui avviene e le conseguenze sociali che comporta, un fenomeno in larga misura a se stante, essa costituisce l'espressione speciale di un'esperienza collettiva più ampia.

Con il crollo del regime comunista nel 1990, l'Albania si apre ai contatti con gli altri paesi e con essi al libero mercato. E' in questa situazione caotica, caratterizzata da lacerazioni sociali e politiche, che si instaura una forma estrema di liberismo, priva di leggi per regolamentare l'iniziativa privata e supportare uno stabile progetto di crescita nazionale, con gravi conseguenze sia in campo economico che in campo sociale. Rapidamente la struttura sociale dell'Albania veniva sconvolta, lasciando gli abitanti in una situazione di profonda crisi di valori, dove le tradizioni relazionali sociali improntate alla solidarietà stanno lasciando il posto a un dilagante spirito individualista che mira all'acquisizione di vantaggi materiali per sé e per il proprio nucleo familiare. Il passaggio da un sistema basato sull'interesse collettivo ad un "sistema-giungla", in cui l'individuo deve autonomamente garantirsi la sopravvivenza, ha generato un disinteresse totale nei confronti della cosa pubblica, un disequilibrio tra diritti individuali e doveri collettivi (5).

Questo il quadro descritto da Pepa

l'ideologia comunista aveva svuotato la società di molti valori essenziali di convivenza e la creazione dello stato di diritto nasceva da presupposti molto precari. (...) Nella società maturò la convinzione che lo Stato per decenni aveva fatto quello che aveva voluto e che adesso l'individuo si sentiva legittimato a far prevalere i propri sentimenti. L'Albania visse per una decina d'anni l'assenza marcata dell'amministrazione pubblica, la mancanza della pubblica sicurezza e il convincimento collettivo che il capitalismo era libertà incondizionata dell'individuo. (...) La società albanese passò in pochi anni dalla "gabbia del collettivismo" al "volo dell'individuo", senza i requisiti storici necessari per affrontare una situazione politica del genere (6).

E' mancata, dunque, la possibilità e la capacità di operare una sintesi costruttiva tra antiche tradizioni e nuove acquisizioni, con un netto e totale rifiuto di quanto ereditato dal passato verso una libertà senza limiti (7).

A tal proposito Devole sostiene che

l'identità collettiva albanese subì danni gravi, proprio perché, durante il periodo totalitario, una parte delle sue fondamenta era stata ideologizzata (8).

Durante questo periodo di transizione l'Albania è stata destinataria di cospicui aiuti finanziari e di numerosi programmi di cooperazione internazionale (9), volti da un lato alla riqualificazione infrastrutturale, industriale ed economica del paese, dall'altro a dare sostegno alla popolazione civile. La filosofia combinata del supporto finanziario esterno e della cooperazione con il governo nazionale intendeva muoversi nella logica di permettere in tal modo la creazione di un rapporto di reciprocità tra i cittadini che si impegnavano a muoversi sul versante dei doveri civici e della legalità democratica, e la classe politica che accettava una precisa assunzione di responsabilità nei confronti del popolo.

Il crollo finanziario dei fondi d'investimento piramidali, creati per rispondere alla diffusa domanda di rapido arricchimento e appoggiati dal governo, avvenuto nel 1997 e la conseguente grave crisi che ha sconvolto l'intero paese ha segnato la fine di una democrazia di facciata, incapace di produrre sviluppo e salvaguardare i diritti umani.

Così Arnaud commenta in un suo articolo l'adesione di massa ai fondi piramidali

il paese intero si precipitò verso questa magica via d'uscita che doveva assicurare una ricchezza senza obblighi e un piacere senza limiti. E questo sogno infantile li fece vivere per due anni; meglio, riuscì a far dimenticare il mezzo secolo di sforzi che lo stalinismo gli aveva imposto - facendogli credere di avere raggiunto il livello di vita più alto d'Europa (10).

Le crisi economiche e sociali, succedutesi nell'arco di tutti gli anni novanta, sono parte di un complesso processo che è caratterizzato dallo scontro tra i simboli della modernità, proposti dal mondo occidentale, e i valori della cultura tradizionale, scossa nella sua identità e percepita ormai come inadeguata (11). La conseguenza della deregulation fu il cosiddetto "effetto forbici", il considerevole aumento del divario tra le classi economiche. L'Albania di oggi è, dunque, l'erede di un regime socialista in cui il disfacimento dello stato, l'inconsistenza della coesione societaria e la mancanza di lavoro sono stati all'origine di esodi massicci e incontrollati (12).

Significativa, a questo proposito, la sintesi di Cesari secondo la quale

il passaggio da un sistema sociale, basato sugli interessi della collettività e dove l'individuo e il suo agire erano considerati in virtù della comunità stessa, ad un sistema più individuale, in cui il soggetto deve preoccuparsi del suo ruolo e del suo status all'interno della società, ha portato lo smarrimento fra gli albanesi, costretti a confrontarsi con i simboli del capitalismo occidentale e con la presa di coscienza della drammatica situazione del proprio paese (13).

In tal senso Misha ha sottolineato come, nel cambiamento del sistema, si sia manifestata la "coscienza nazionale ferita dalla consapevolezza improvvisa della reale situazione in cui si trovavano l'Albania e gli albanesi" (14).

La cultura albanese fonda parte della propria identità sulla diversità nei confronti delle altre culture balcaniche, pur condividendone molti tratti e processi storici. Nel suo svilupparsi storico l'identità albanese, l'albanesità, come la definisce efficacemente Valeria Rossato (15), si è costruita come primato dell'appartenenza etnica, ben chiara e delimitata, non coincidente con la nazione Albania, né con lo Stato inteso come espressione giuridico-politica di questa realtà. Ciò che colpisce nella storia e nello strutturarsi dello stato albanese è quella originale forma di autorappresentazione di un popolo che individua il proprio modello autoidentitario nel primato dei valori dell'etnia in contrapposizione al concetto di stato. Tale convinzione ha radicato nel popolo albanese un sorta di "egocentrismo" per cui "a tutti i livelli e sotto tutti gli aspetti, gli Albanesi sono sempre stati il punto di riferimento di tutti i popoli del mondo" (16).

L'albanesità è movimento della memoria e non stasi della tradizione, è identità storicamente determinata che si manifesta all'interno del divenire culturale di un Paese. Essa nasce dall'intreccio tra la salvaguardia gelosa delle remote radici della nazione con l'integrazione dei contenuti più propriamente specifici dell'occidente europeo (17).

In questo panorama di enormi e profondi cambiamenti strutturali i minori albanesi hanno dovuto affrontare, come sottolinea un'analisi condotta dall'Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali, "tre crisi contemporaneamente: quella dello Stato albanese, quella del modello culturale e formativo, quella dell'adolescenza" (18). In tale contesto i giovani albanesi sono, da un lato, affascinati e colpiti dal mondo occidentale, ma al contempo portatori delle più tipiche tradizioni culturali albanesi, di cui sono forti assertori e vittime.

Senza più dover rispettare una vita le cui tappe significative erano fino a poco tempo fa imposte dallo stato e dalla famiglia, gli adolescenti hanno cercato e stanno cercando i propri valori autonomamente e spesso anche al di fuori dell'Albania.

Lo stato-famiglia è scomparso completamente, le strutture che ne determinavano la perpetuazione attraversano una fase di crisi e con esse la famiglia (...). Nel periodo socialista infatti la famiglia delegava tutto allo Stato, perfino l'educazione morale e civica dei propri figli, garantita dalla salvezza dei valori del partito e dell'ideologia; l'individuo cessava di esistere in quanto tale, completandosi nell'insieme del popolo-nazione ed essendone un semplice meccanismo, il cui sviluppo e completamento sociale avvenivano attraverso graduali "riti di passaggio" collettivi, quali, ad esempio, l'ingresso all'interno delle organizzazioni giovanili, scolastiche, lavorative, politiche (19).

Permane ancora, fortemente radicato, il senso di appartenenza che arriva a vincolare i rapporti umani a tutti i livelli. Significative, a tal proposito, sono le riflessioni di Pepa secondi cui

le decisioni non sono quasi mai prodotto di un singolo individuo. Le famiglie patriarcali hanno degli inscindibili legami morali e in questo tessuto è quasi impossibile prescindere dalla realtà crudele delle regole (20).

Alcune ricerche effettuate nel paese sottolineano come l'istruzione e l'educazione abbiano mantenuto un alto valore sebbene il sistema educativo stia vacillando di fronte alle trasformazioni socio-economiche in atto (21). In realtà, l'istituzione scolastica non riveste più quel ruolo di 'veicolo' di simbologie e valori che aveva nell'edificazione civile, morale e politica dell'individuo durante il regime comunista e stenta ad appropriarsi di un altro ruolo. Inoltre, il progressivo fenomeno di urbanizzazione (22) e il conseguente spopolamento delle campagne che si è verificato a partire dal 1991, crea situazioni di grande disagio tali da determinare la congestione degli spazi. Le strutture non sono più in grado di far fronte all'enorme aumento della popolazione scolastica. Risulta conseguentemente necessario aumentare il numero di alunni per ogni classe e imporre la frequenza a turni alternati (mattina o pomeriggio) delle lezioni. Tale situazione - sommata al pessimo stato in cui si trovano le strutture scolastiche, obsolete e fatiscenti e alla disaffezione al lavoro degli insegnanti che ricevono salari bassissimi - incide negativamente sull'apprendimento e sulla percezione che i minori hanno della loro esperienza scolastica, vissuta come una perdita di tempo in relazione alla loro concreta situazione economica. In molti casi l'abbandono scolastico costituisce un primo passo verso la strada dell'emigrazione, rappresentando l'inizio di un processo di riduzione delle opportunità locali sperimentabili da parte dei giovani (23).

Pur essendo l'Albania un piccolo paese (la sua superficie è poco più grande della Toscana) al proprio interno si ritrova un universo variegato e complesso di culture, modi di essere e di pensare che si confrontano con i mutamenti in atto (24). Non è quindi possibile riferirsi genericamente all'intera Albania poiché le condizioni di vita della popolazione albanese non sono omogenee. Infatti, sostiene Devole che

[nel]l'iconografia dell'Albania (...) l'intreccio del postmoderno e del medioevale genera paesaggi surreali degni di certi film di fantascienza (25).

Per tentare di capire il retroterra culturale ed il vissuto dei minori è necessario conoscere almeno la zona di origine. Ci sono, infatti, profonde differenze sia tra le varie aree geografiche del paese, sia tra le zone rurali e quelle urbane e, non ultimo tra la condizione dei ragazzi e quella delle ragazze.

Le aree del nord sono rimaste maggiormente chiuse al nuovo, sia perché periferiche, lontane dal "centro" dei cambiamenti che è costituito dalla capitale Tirana, sia per una strutturale maggiore chiusura mentale. Queste zone sono considerate le aree depositarie della tradizione, dove vige ancora il Kanun (26), o meglio i valori che ne sono alla base e dove l'opinione della comunità domina i comportamenti dei giovani per i quali nulla è più grave della riprovazione da parte della collettività (27). Ogni segmento di vita del presente è legato alla tradizione.

Secondo un humus culturale e sociale ormai sedimentato da secoli, l'ingresso nel mondo adulto avviene con il termine della scuola dell'obbligo (28). Il ragazzo di quattordici anni, terminata la scuola, viene considerato adulto, in grado di intraprendere percorsi di vita in completa autonomia, oltre ad essere responsabile verso la famiglia (29). Le ragazze, superati i quattordici anni, trascorrono spesso gran parte delle loro giornate a casa aiutando nello svolgimento dei lavori domestici. Nelle aree rurali o periferiche possono dedicarsi alla pastorizia e all'agricoltura. La subordinazione all'uomo - sia esso padre, marito, fratello, zio o cugino - è ancora molto forte e condiziona ogni sfera della vita di una ragazza come la scelta sulla prosecuzione degli studi, le amicizie, la vita sentimentale (30).

La zona centrale del paese è assorbita dalla presenza della capitale che è una città in continuo movimento che vede convivere al proprio interno situazioni di estremo degrado e innovazioni e cambiamenti. Dalla caduta del regime Tirana ha triplicato la propria popolazione che si è per lo più accalcata nella periferia creando interi quartieri dal nulla, costruiti senza il minimo rispetto delle norme e senza servizi.

All'origine della scelta migratoria dei minori di questa zona ci possono, dunque, essere una serie di motivazioni che si intrecciano, quali la disgregazione del tessuto sociale e familiare del paese d'origine, la povertà economica, la disoccupazione, il lavoro nero, la crisi dell'istituzione scolastica, lo spirito d'intraprendenza, la volontà di emulare chi è già partito, l'attivazione di una anomala catena migratoria che rendono praticamente impossibile "isolare" la reale causa. Dalla ricerche effettuate (31) risulta, infatti, che i minori non accompagnati alla richiesta di indicare il motivo della partenza abbiano frequentemente risposto con frasi ed espressioni che si riferivano ad una pluralità di situazioni di disagio, personali, familiari, sociali e culturali che spingono alla fuga da una situazione ritenuta non più sostenibile.

I fattori di espulsione si rivelano, dunque, determinanti nella scelta migratoria. La ricerca di un lavoro, la totale sfiducia nelle classi dirigenti dei propri paesi di origine sembrano ricoprire un ruolo determinante nella decisione di intraprendere la migrazione. Un ruolo da non trascurare nell'analisi dei fattori di spinta è rappresentato dai compaesani già emigrati che, in occasione dei rientri in patria, fungono da "testimonial" (32). Essi, infatti, rappresentano l'immagine dell'immigrato che ha saputo sfruttare le opportunità offerte per migliorare le proprie condizioni di vita e, conseguentemente, quelle della famiglia, omettendo il riferimento alle difficoltà incontrate, alla delusione delle aspettative. Simbolo di ciò sono gli acquisti compiuti solo ed esclusivamente per ostentazione, a dimostrazione del successo della propria esperienza all'estero, per comunicare che, qualunque sia stato il sacrificio patito, ne è valsa la pena (33).

Un peso importante nella scelta di emigrare lo rivestono anche i fattori di attrazione, che rendono visibile e raggiungibile agli occhi del minore, la possibilità di migliorare la propria condizione di vita in un paese europeo.

L'emigrazione si produce proprio quando nella società locale di partenza non si riesce ad intravedere alcuna possibilità di soddisfare le proprie aspirazioni e i propri desideri, quando si avverte l'urgenza della fuga o dell'exit come unica alternativa per non soccombere, anche se migrare può diventare persino mettere a rischio la propria vita (34).

L'emigrazione diventa, agli occhi del minore, l'unico modo per realizzare i suoi sogni, gli obiettivi che si prefigge. La strada dell'emigrazione non appare fantasticata come una via semplice, anzi essa è carica di angosce e di rischi. In alcuni casi, la famiglia non spinge in alcun modo il minore ad emigrare o a lasciare la scuola per lavorare ma neppure osteggia tale decisione, acconsente a che il minore lavori, che si assuma responsabilità da adulto. A volte, al contrario, i minori sono indotti dal mandato familiare ad essere uomini, ad assumersi responsabilità quando ancora la loro struttura di personalità non è sufficientemente forte per sopportare le condizioni che incontrano nel contesto migratorio occidentale (35). E' la famiglia, infatti, che attribuisce a tale scelta una valenza positiva e salvifica per tutto il nucleo (36). La strategia familiare intreccia la scelta migratoria che viene ridefinita dai ragazzi con (e per) le proprie famiglie. La famiglia, dunque, continua ad influenzare l'esistenza dei minori e, vicendevolmente, i minori continuano a influenzare la famiglia. Il ruolo decisivo si manifesta nella decisione di partire ma anche nelle "scelte" della permanenza.

Risulta difficile ridurre ad un'unica tipologia i minori albanesi non accompagnati. Dalle segnalazioni e dalle indagini familiari emergono almeno quattro realtà, le cui distinzioni non sono mai troppo nette. La prima riguarda i "benestanti", cioè minori di famiglie con uno standard di vita abbastanza buono in Albania, che "inviano" i minori in Italia un po' come se li mandassero al college. Non tutti giungono con lo scafo, ma utilizzando forme di attraversamento apparentemente regolari del canale d'Otranto. Si tratta di minori che partono sapendo già dove andare a chiedere accoglienza e ben consapevoli dei propri diritti.

Un altro gruppo è composto dagli "avventurieri": sono minori per i quali i motivi economici non sono così determinanti per abbandonare il Paese; la loro è più un'esigenza di provare nuove esperienze in un Paese che offre maggiori possibilità consumistiche (37).

Un terzo gruppo è costituito invece dai "minori lavoratori", ragazzi che cercano di inserirsi in Italia per guadagnare soldi lavorando. Sono alla ricerca di un'occupazione che produca un reddito tale da non rendere vano l'investimento della migrazione (con i suoi costi e rischi). Vi sono, infine, i "minori trafficati", che vengono in Italia per essere costretti alla prostituzione o all'accattonaggio.

In molti casi, in particolare tra i minori appartenenti alle ultime tre tipologie, l'esigenza di guadagnare nel più breve tempo possibile il maggior numero di soldi e di accumulo di beni (in genere status symbol consumistici), li porta ad accettare condizioni di sfruttamento di vario genere, da quello lavorativo a quello sessuale. Non mancano segnalazioni di un racket attivo sulla costa albanese che organizza il viaggio del minore e l'accoglienza in Italia all'insaputa dei genitori, i quali vengono contattati e ricattati economicamente una volta che il minore dimostra di essere arrivato in Italia (38).

Le nuove migrazioni sono uno degli effetti del trionfo dell'economia-mondo e della cultura materiale che essa diffonde. Si può emigrare per sfuggire a una guerra civile o ad una carestia, per mantenere un'intera famiglia con un lavoro all'estero di basso livello (ma pagato dieci volte quello che si otterrebbe in patria), per costruirsi una casa nel proprio paese, ma anche per migliorare il proprio reddito, per "avventura" o per qualsiasi altro motivo. Ecco perché, contrariamente al senso comune, emigrano sia i poverissimi sia i laureati, i tecnici o gli studenti. (...) I migranti possono essere islamici ma non fondamentalisti, poveri ma non incolti, disposti a vivere all'estero parte della loro vita ma anche a ritornare, oppure a trasferirsi ma non ad assimilarsi in tutto alla cultura di destinazione. In breve, la condizione di migrante oscilla tra le necessità e la libertà, tra il bisogno e il progetto, tra le sicurezze precarie e l'insicurezza a cui è consegnata la ricerca di chances di vita (39).

I minori migranti sono inglobati in un sistema culturale che non è profondamente diverso dal nostro (conoscono lingue europee, spesso più di una, hanno identici modelli di riferimento, o modelli di successo, degli adolescenti italiani, vestono come questi...); vivono però condizioni periferiche, subalterne, caratterizzate da a-simmetria economica e sociale, rispetto ai minori nativi (40).

3.3 Analisi della procedura di rimpatrio assistito

3.3.1 La rete degli organismi coinvolti sul territorio

L'elevato numero di minori albanesi non accompagnati che, nel corso degli ultimi anni, hanno sperimentato la via dell'emigrazione clandestina, con il conseguente impatto che tale flusso ha avuto anche sulla struttura della società albanese e l'applicazione del rimpatrio assistito quale strumento per il loro reinserimento nel contesto d'origine, hanno contribuito a concentrare l'attenzione di numerose organizzazioni sulle problematiche connesse al complesso e variegato fenomeno dell'emigrazione minorile.

Contestualmente si è imposta come necessaria una riflessione sul ruolo che tali soggetti potevano ricoprire e sugli interventi che potevano predisporre. Per tentare di rispondere al meglio a tali esigenze, evitando dispersione di risorse e competenze, si è costituita una rete tra organismi che già erano presenti ed attivi in territorio albanese, di cui fanno parte il S.S.I. ed alcune O.N.G. italiane impegnate nella realizzazione di interventi di cooperazione a favore dei minori.

Le organizzazioni che si sono messe in rete sono in parte le stesse che hanno stipulato la Convenzione con il Comitato (41): V.I.S, C.E.F.A., E.N.G.I.M., a cui si aggiungono l'Associazione Papa Giovanni XXIII e l'associazione albanese Vatra.

Ciascuna di essa ha condiviso l'esperienza sviluppata in una determinata area d'intervento e/o contesto geografico del paese. In particolare V.I.S., ed E.N.G.I.M., forti della consolidata presenza della scuola professionale gestita rispettivamente dai salesiani a Tirana e dai Padri Giuseppini del Murialdo a Fier, hanno concentrato la propria azione nell'inserimento dei minori rimpatriati all'interno dei corsi di formazione.

L'associazione C.E.F.A. ha affiancato all'originario intervento in campo rurale (agricolo e zootecnico) nella regione di Elbasan, programmi di assistenza rivolti a minori e famiglie in gravi difficoltà e a donne che hanno subito violenze.

L'Associazione Papa Giovanni XXIII e l'associazione albanese Vatra si dedicano all'accoglienza e alla predisposizione di progetti di reinserimento per le donne trafficate realizzati in strutture protette con il supporto di personale qualificato.

Il S.S.I. rimane comunque l'interlocutore privilegiato che svolge funzioni di intermediazione e raccordo tra gli organi istituzionali dei due paesi ed attualmente unico soggetto cui è devoluta la gestione dell'accoglienza e la predisposizione del progetto di reinserimento del minore. Infatti, in forza della convenzione stipulata dalla sezione italiana del S.S.I. con il Comitato, la delegazione albanese può siglare accordi con i ministeri di riferimento albanesi cui afferisce la competenza in materia di rimpatrio dei minori non accompagnati (42).

Le cinque O.N.G. e il S.S.I. si sono coordinate per cercare di realizzare il lavoro secondo standard comuni. Ecco come Padre Carmelo descrive tale collaborazione

abbiamo collaborato tutti [i referenti delle O.N.G.], ci scambiavamo le informazioni per mettere a disposizione di tutti le nuove acquisizioni e soprattutto le specificità derivanti dai singoli contesti locali di intervento (43).

L'indicazione comune è stata quella di ampliare il raggio d'azione degli interventi includendovi tutti i minori in situazioni di disagio e a rischio di emigrazione clandestina e non solo i rimpatriati per evitare la diffusione del messaggio "se tu vieni in Italia hai diritto a tornare con un lavoro" (44).

Il coordinamento e il lavoro in rete diventano per questo una base dei futuri interventi di cooperazione rivolti al settore della migrazione minorile, e non solo, che consentono di raggiungere un risultato maggiormente efficaci in termini di tutela dei diritti dei minori.

3.3.2 La segnalazione e l'identificazione

I primi giorni sul territorio italiano rappresentano un momento cruciale dell'esperienza migratoria dei minori. Si tratta del momento in cui le conoscenze e le aspettative sul paese di destinazione vengono "testate" nel contatto con l'esperienza diretta. Gli eventi e gli incontri che si verificano nel periodo immediatamente successivo all'ingresso clandestino rivestono un ruolo cruciale per gli esiti del processo migratorio. Il minore può essere condotto, attraverso le forze di polizia o connazionali integrati, verso il sistema dei servizi offerti dagli enti locali e dal volontariato; oppure può essere inserito, attraverso contatti con i connazionali nelle reti dell'immigrazione irregolare. Decisiva è l'importanza che assumono i gruppi con i quali i minori vengono in contatto per la liceità o meno delle opportunità di cui essi si fanno portatori (45).

Così come disposto dall'art. 5 del D.P.C.M. n. 535/99 "i pubblici ufficiali, gli incaricati di pubblici servizi o i servizi sociali i quali vengono a conoscenza dell'ingresso o della presenza sul territorio dello Stato di un minore straniero non accompagnato sono tenuti a darne immediata notizia al Comitato per i minori stranieri" (46).

Una volta ricevuta la segnalazione, che può avvenire in seguito al rintraccio del minore sul territorio da parte dalle forze dell'ordine oppure può capitare che sia il minore stesso a presentarsi ai soggetti preposti, l'ente territoriale deve provvedere a garantire al minore non accompagnato la collocazione in un luogo sicuro, quale una comunità di pronta accoglienza. Per i servizi erogati ai minori non sono stati stabiliti standard uniformi per tutto il territorio nazionale, così si riscontrano situazioni molto diversificate (47).

E' compito specifico del Comitato accertare lo status di non accompagnato del minore straniero sulla base delle informazioni di cui all'art. 5. La norma prevede che sia l'autorità di Pubblica sicurezza (per prassi la Questura) ad accertare l'identità e l'età del minore, verificando l'eventuale presenza di familiari sul territorio. Nel caso di incertezza sulle generalità del minore e sull'età le autorità si avvalgono di esami medici (radiografia del polso) e di collaborazioni con le autorità diplomatico-consolari del paese d'origine (48).

Contestualmente il minore viene preso in carico dai servizi sociali del Comune che segnalano la presenza alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, al giudice tutelare per l'apertura della tutela e al Comitato per i minori stranieri. La segnalazione deve contenere tutte le informazioni disponibili, il più circostanziate possibili, ivi incluse le generalità, la nazionalità, le condizioni fisiche, il luogo di provvisoria dimora del minore, le misure adottate, eventuali informazioni sulla famiglia d'origine e sul percorso scolastico intrapreso, le sue condizioni di salute e di vita (49).

Presso il Comitato viene aperto il fascicolo relativo al minore segnalato all'interno del quale confluirà tutta la documentazione necessaria per la predisposizione del provvedimento finale, in particolare esso inizialmente conterrà: copia del documento di identificazione del minore (50), copia del permesso di soggiorno rilasciato dalla competente Questura, relazione dei servizi sociali che hanno in carico il minore circa il suo percorso di integrazione in Italia. A questi documenti si aggiungeranno la relazione delle indagini sulla famiglia d'origine del minore; copia della relazione dalla quale risulta che il minore è stato sentito in merito alla procedura di rimpatrio assistito ed il nulla-osta del Tribunale per i minorenni circa l'inesistenza di procedimenti a carico del minore (51).

In attesa della decisione del Comitato i minori si trovano in una situazione di incertezza che non permette la programmazione e la realizzazione di reali percorsi di inserimento. Gli enti locali privi di risorse umane ed economiche per affrontare un fenomeno così consistente hanno seguito le indicazioni del Ministero dell'Interno e del Comitato per i minori stranieri volte al rimpatrio assistito allo scopo di arginare il fenomeno dei minori non accompagnati (52). Si sono così create sacche di minori stranieri che vivono, per anni, in una sorta di limbo, in attesa di una decisione del Comitato in un paese che non provvede alla loro espulsione ma di fatto nega la possibilità di promuovere percorsi d'integrazione (53), avviando semplicemente interventi a bassa soglia.

E' quindi necessario che i tempi che intercorrono tra la segnalazione del minore al Comitato, l'avvio e la conclusione delle indagini e la decisione del provvedimento di rimpatrio o del non luogo a provvedere siano più brevi per ridurre il periodo d'incertezza del minore sul proprio futuro.

Dopo un periodo di ridotta attività il Comitato iniziò a disporre in maniera crescente il rimpatrio assistito dei minori anche in prossimità del raggiungimento della maggiore età, ignorando l'eventuale condizione di inserimento lavorativo o sociale raggiunto dal minore durante la permanenza in Italia (54).

La tendenza attuale, confermata dall'intervista al Dott. Valeri è quella di non decidere, lasciando che il minore superi la soglia della maggiore età, senza nessuno status definito, ricadendo nella condizione di clandestinità, "il Comitato sospende la decisione ma a 18 anni e un giorno diventa clandestino" (55).

In tal modo, il minore titolare di un permesso di soggiorno per minore età perde la possibilità di convertire il permesso. Ai sensi della normativa vigente, infatti, i minori titolari di permesso per minore età, al compimento della maggiore età, possono convertire questo permesso in un permesso di soggiorno per affidamento se ricevono un provvedimento di "non luogo a provvedere al rimpatrio" emesso dal Comitato per i minori stranieri oppure se vengono affidati ai sensi della legge n. 184/83 (ovvero con affidamento disposto dal Tribunale per i minorenni oppure disposto dai servizi sociali e reso esecutivo dal Giudice Tutelare). Il permesso per affidamento che viene rilasciato consente di lavorare e può essere convertito in permesso per studio o lavoro, al compimento dei 18 anni (56).

3.3.3 Le indagini familiari

La struttura d'accoglienza che ospita il minore, con l'ausilio delle schede di rilevazione dati per i minori stranieri non accompagnati presenti sul territorio (57), tenta di ricostruire la storia personale del minore.

Tali schede con un'eventuale relazione descrittiva vengono inviate al Comitato per l'avvio delle indagini in Albania, al fine di valutare la fattibilità di un programma di reinserimento nel contesto socio-familiare di provenienza. La funzione delle indagini è, infatti, quella di verificare la situazione specifica di ogni minore e valutare, nel rispetto del suo superiore interesse, l'eventualità che debba far ritorno in patria o possa rimanere in Italia.

Il Comitato estrapola dalle schede esclusivamente le informazioni che ritiene necessarie e sufficienti per contattare la famiglia e le comunica al S.S.I. chiedendo contestualmente di provvedere allo svolgimento dell'indagine. La scelta di non fornire tutti i dati contenuti nelle schede è stata attentamente ponderata, come mi ha spiegato il dott. Valeri, l'intento è quello di "rendere le indagini le più corrette possibili, senza condizionamenti provenienti dalle notizie già conosciute" (58), dato che compito del S.S.I. non è quello di svolgere una valutazione generale del minore ma limitarsi allo svolgimento delle indagini familiari (59).

In senso contrario, si è espressa di Lida Leskaj - direttrice del S.S.I. delegazione albanese - che ritiene utile avere una conoscenza più approfondita dei dati sul minore per poter preparare meglio l'incontro con la famiglia (60).

Le indagini familiari sono articolate in diverse sezioni. La prima parte della relazione è finalizzata alla raccolta dei dati relativi alle condizioni socio-economiche della famiglia. Oltre alla verifica dei dati anagrafici e del numero dei componenti della famiglia, si trova una breve analisi delle condizioni abitative, lavorative, economiche della famiglia. E' indicata la formazione, il percorso lavorativo pregresso e attuale dei genitori e degli altri componenti il nucleo.

La seconda parte, invece, si concentra sulla descrizione del vissuto del minore come il percorso di studio e le altre attività che svolgeva, le motivazioni che lo hanno spinto a progettare e realizzare il percorso migratorio. Viene chiesto alla famiglia se era favorevole alla partenza del minore ed in che modo questa è avvenuta, se conosce l'inserimento del minore nel contesto italiano, se si mantiene in contatto con lui e quali sono le loro opinioni in merito alla valenza del percorso migratorio intrapreso dal figlio. Vi è inoltre uno spazio nel quale, oltre ad essere indicati quali erano i rapporti del minore all'interno della famiglia, è prospettata l'ipotesi del rimpatrio assistito, per valutare in base alle reazioni della famiglia l'esistenza di elementi ostativi al rimpatrio.

Durante l'incontro l'assistente sociale informa i genitori sulle condizioni del minore in Italia e sulle concrete possibilità che ha di rimanervi. Facendo riferimento all'ingresso illegale senza un adulto di riferimento, viene spiegato ai genitori che al conseguimento della maggiore età il minore perderà tutti i benefici entrando nella clandestinità.

Alla fine dell'incontro con la famiglia del minore l'assistente sociale redige una relazione all'interno della quale esprime il proprio "parere" in merito al possibile rimpatrio, inviata al S.S.I. che poi la inoltra al Comitato (61).

Esaminata la consistenza e il contenuto di detta relazione (62), non appare fuori luogo sostenere che essa risulti del tutto inadeguata a stabilire se sia nel miglior interesse del minore il rientro in famiglia. La caratteristica delle indagini è infatti la superficialità del contenuto, che si riduce ad un agglomerato di dati e frasi senza alcun spessore cognitivo.

Attualmente il Comitato si avvale esclusivamente della collaborazione con il S.S.I. La stessa delegazione albanese del S.S.I. ha evidenziato le difficoltà incontrate nel contattare i familiari del minore sia per le condizioni ambientali - molti minori provengono da villaggi difficilmente raggiungibili oppure le famiglie si sono trasferite in altre città e risulta impossibile rintracciarle - sia per la scarsa collaborazione dei familiari che spesso evitano l'incontro con l'assistente sociale (63).

La struttura organizzativa del S.S.I. in Albania si avvale di assistenti sociali che hanno sede presso gli uffici di Tirana e di corrispondenti che non hanno un ufficio ma vengono contattati per la redazione delle indagini familiari da svolgere soprattutto nei villaggi più lontani e difficili da raggiungere. I corrispondenti si muovono con i propri mezzi per effettuare le indagini familiari e sono retribuiti sulla base delle indagini effettivamente svolte (64). Nel caso in cui le informazioni giunte dall'Italia e fornite dal minore non consentano l'individuazione della famiglia il corrispondente sopporterà le spese del proprio spostamento senza alcun rimborso data l'impossibilità di redigere la relazione sul contesto familiare.

Questo è il prevalente motivo per cui molte volte il S.S.I non si reca direttamente dalla famiglia ma effettua una convocazione presso i propri uffici di Tirana (65). I corrispondenti infatti, di fronte alla scarsezza delle informazioni non accettano l'incarico, rimandando la redazione delle indagini familiari all'ufficio centrale di Tirana.

Si può affermare che tale procedura non sia efficace rendendo complesso il contatto con la famiglia e aumentando il tempo necessario allo svolgimento delle indagini. La circolare del 2001, infatti, fissa il termine di 60 giorni dall'avvenuta segnalazione per l'avvio delle indagini familiari ma nulla dice circa il limite fissato per la valutazione successiva del Comitato e sull'emissione del relativo dispositivo (66). Appare, dunque, chiaro che il Comitato non è in grado di operare celermente.

All'esito dell'attività di indagine familiare, il Comitato sulla "base delle informazioni ottenute, può adottare, ai fini di protezione e di garanzia del diritto all'unità familiare (...) il provvedimento (...) di rimpatrio assistito dei minori presenti non accompagnati" (67).

Il buon esito di tale attività viene considerato dal Comitato condizione imprescindibile per l'attuazione della decisione di rimpatrio assistito (68). Solo se le informazioni in possesso del Comitato saranno tali da assicurare il ricongiungimento del minore con la sua famiglia (69), in attuazione del perseguimento del suo superiore interesse, il Comitato provvederà a disporre il rimpatrio assistito.

Dunque, la decisione sul futuro del minore prende forma in seguito ad un unico incontro tra l'assistente sociale del S.S.I. - delegazione albanese e la famiglia, spesso avvenuto in un ufficio del S.S.I., cioè in un contesto estraneo alla realtà di origine del minore, della quale non si dispone altro che di una conoscenza approssimativa ma all'interno della quale si auspica che il minore faccia ritorno.

Come già indicato precedentemente, prima di disporre il rimpatrio il Comitato deve sentire il minore ai sensi dell'art. 7 co. 2 del Regolamento. Nella maggioranza dei casi il minore viene sentito dai servizi sociali del Comune in cui è domiciliato e non direttamente dal Comitato (70).

Risulta necessario chiarire in merito a cosa il minore viene sentito: gli viene richiesta non solo un'affermazione di consenso o dissenso sul rimpatrio ma anche le motivazioni di essa. Come ricordato, non è chiaro quale peso debba avere la volontà del minore. Essa è ritenuta un elemento indispensabile ma non vincolante o per meglio dire, non risulta tale nell'ipotesi in cui la volontà del minore sia quella di rimanere in Italia (71).

Lida Leskaj sostiene che uno dei motivi per cui i minori non prestano il consenso al rimpatrio è dato dal consistente investimento che la famiglia ha fatto su di loro, mentre il progetto di reinserimento può arrivare ad offrire un massimo di 1.500 euro (72) per il corso, l'apprendistato o l'acquisto del materiale necessario all'avvio dell'attività.

3.3.4 Il rimpatrio assistito

Dopo la decisione del Comitato che dispone il rimpatrio del minore, viene inviato al S.S.I. il dispositivo del provvedimento. Il S.S.I. si attiva per organizzare la partenza del minore, prenotando il vettore e curando ogni altro aspetto tecnico-amministrativo del viaggio.

Dato atto che non sono concretamente individuate le modalità con cui deve essere effettuato il rimpatrio né i soggetti cui ne è devoluta l'esecuzione e che il Comitato non dispone di propri organi a ciò deputati, non è possibile fare altro che riferirsi alla prassi applicativa.

Il rimpatrio è eseguito dall'assistente sociale che ha in carico il minore, di concerto con gli operatori della struttura in cui il minore è ospitato e avvalendosi della collaborazione delle forze dell'ordine.

Ove il rimpatrio sia disposto contro la volontà del minore, i servizi sociali dell'ente locale potranno valutare se sia necessario l'intervento delle forze dell'ordine. In tal caso, devono essere adottate tutte le misure idonee a tutelare i diritti del minore al fine di rendere meno traumatica l'esecuzione del provvedimento (73). E' stato ritenuto opportuno che la presenza degli operatori del S.S.I. e il loro mandato per offrire un'alternativa al rientro in Albania, inizi con la presa in carico del minore al momento della partenza dal territorio italiano, per evitare il rischio che il S.S.I. sia percepito come l'ente che ha favorito il rimpatrio in luogo del Comitato (74).

Come anticipato nel capitolo precedente, in Albania il primo centro di accoglienza per i minori rimpatriati e/o vittime della tratta - Qendra Linzë - è stato creato con il supporto dell'Organizzazione Mondiale per le Migrazioni per poi passare sotto la gestione del Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali albanese ed è operativo da luglio 2004 (75). La peculiarità del centro consiste nell'accogliere oltre ai minori rimpatriati, ragazze/donne vittime della tratta (76) e anche stranieri irregolari in attesa di espulsione (77).

Appare, dunque, opinabile la scelta del governo albanese di "riunire" in un unico centro situazioni così differenziate che richiedono approcci ed interventi diversi. Infatti, come affermato dalla direttrice del Centro, Fatbardha Çako, le attività svolte all'interno del centro sono organizzate al solo fine di "trascorrere il tempo" (78), non essendo rivolte alla formazione professionale poiché il centro svolge funzioni di sola accoglienza. Fanno eccezione i minori trafficati che vi possono rimanere fino al compimento della maggiore età (79). Quando ho visitato il centro, vi erano ospitate complessivamente 15 persone, tra cui 2 minori rimpatriati (80).

La visita al Centro è stata possibile grazie all'interessamento di Lida Leskaj che ha concordato con la direttrice la possibilità dell'incontro. Dunque, mi sono recata in tale centro su indicazione del S.S.I. - delegazione albanese che, lo ricordo, è attualmente l'unico soggetto convenzionato per la realizzazione delle indagini familiari e dei rimpatri. A mia precisa domanda sul riaffidamento dei minori rimpatriati alla autorità albanesi, il dott. Valeri ha decisamente smentito che i minori rimpatriati dall'Italia potessero essere ospitati in tale struttura (81).

Di diverso avviso sono le dichiarazioni di Ludovica Kirschen - assistente sociale del S.S.I. sezione italiana - che, pur riconoscendo la carenza di strutture deputate all'accoglienza dei minori rimpatriati, non esclude che possano essere individuate soluzioni "alternative" al riaffidamento in famiglia del minore in territorio albanese (82).

In realtà, anche per i minori che sono stati riaffidati alla famiglia può rendersi necessaria una temporanea collocazione in strutture residenziali (83). Questa soluzione viene applicata poiché la maggioranza dei minori rimpatriati proviene da villaggi periferici mentre i corsi di formazione si svolgono nei centri urbani.

Se non sostenuto da concreti ed effettivi programmi di reinserimento nel contesto sociale di provenienza, nella maggior parte dei casi il minore, costretto a sperimentare la stessa situazione di disagio dalla quale era fuggito, tenterà nuovamente il percorso migratorio (84).

Il rimpatrio assistito è un'operazione che non si dovrebbe esaurire nel reinserimento del minore nella sua famiglia ma è un processo che comporta l'eliminazione di quelle forme di disagio o di privazione materiale che hanno spinto il minore ad abbandonare il proprio paese. La formulazione di programmi formativo-lavorativi in loco ed un sostegno economico temporale potrebbero garantire l'efficacia del rimpatrio assistito onde evitare che il minore tenti nuovamente la via dell'emigrazione, intervenendo su quelle cause del disagio che lo hanno portato ad emigrare (85).

Secondo Moreno Benini, che ha curato la redazione di alcune ricerche in Albania per conto dell'I.P.R.S., il background socio-culturale dei minori meriterebbe maggior attenzione, "troppo spesso le interpretazioni sono eccessivamente dipendenti da un'eziologia schiacciata nel presente o nel recente passato, trascurando il peso del contesto d'origine che continua a non essere indagato in profondità" (86) E' necessario capire quanto siano adeguati gli strumenti di sostegni e di assistenza affinché vengano percepiti come opportunità e costituiscano una tutela per l'intero nucleo familiare del minore, e quanto invece questi strumenti non risultino decontestualizzati rispetto all'ambiente sociale e culturale sul quale si vanno ad innestare.

In seguito al riaffidamento del minore alla famiglia o alle autorità responsabili il S.S.I. rilascia apposita attestazione da trasmettere al Comitato.

3.3.5 Il progetto di reinserimento

Una volta giunto in territorio albanese, il minore viene accolto dall'operatore del S.S.I. - delegazione albanese che provvede a riaccompagnarlo presso la famiglia o le autorità responsabili a cui il minore verrà affidato. Molto spesso i genitori e/o altri parenti del minore sono presenti alla frontiera e si occupano immediatamente della presa in carico del minore.

Il progetto di reinserimento dovrebbe essere elaborato insieme al minore e ai familiari (87). È necessario, inoltre, che ci sia una stretta collaborazione nel territorio albanese tra i soggetti interessati in modo da seguire più da vicino il percorso di reinserimento del minore.

Lida Leskaj ammette che la loro più grande difficoltà nel progettare gli interventi a favore dei minori rimpatriati continui ad essere l'estensione geografica dei casi. Infatti i minori provengono pressoché da tutte le zone dell'Albania, spesso da villaggi dove non ci sono centri di formazione professionale (88). Per ovviare a ciò inizialmente il S.S.I. ha proposto delle forme di avviamento al lavoro simili all'apprendistato che prevedevano, a proprio carico, il pagamento del corrispettivo pari al 60% della paga.

Ai minori che provengono da aree rurali nelle quali le opportunità formative sono inesistenti, viene proposto di frequentare un corso di formazione professionale spostandosi nel centro urbano più vicino ma "alla fine del corso il minore non sa dove usare la professione che ha appreso" (89).

Il percorso inizia con la frequenza ad un corso di formazione, si concretizza in un successivo o concomitante periodo di apprendistato retribuito con i fondi stanziati dal governo italiano ed in un inserimento lavorativo, se possibile nelle realtà locali di provenienza (90).

Successivamente, rilevato l'alto numero di minori che dopo aver frequentato il corso non riuscivano a trovare lavoro ed emigravano di nuovo, il S.S.I. ha scelto di supportare i minori rimpatriati nell'avvio di una piccola attività di produzione, attraverso "un incubatore di impresa" (91), sostenendoli finanziariamente e con azioni di tutoraggio nelle fasi di valutazione e di inizio dell'attività.

Nei ragazzi rimpatriati spesso traspare la disillusione, la sensazione di sconfitta che li lega al luogo di partenza, lontani da un contesto che poteva offrire loro maggiori prospettive (92).

Secondo Rando Devole, in linea generale, non sono da sottovalutare i

piccoli microrituali e [le] abitudini [che] mettono in crisi l'emigrante tornato in patria perché lo inducono a percepire in maniera più forte la distanza culturale acquisita durante l'assenza (93).

La predisposizione di programmi di assistenza formativo-professionale e di orientamento al lavoro, proposti al minore una volta completata la fase di rientro e ricollocamento presso il nucleo familiare di origine, potrebbero/dovrebbero contribuire a rendere "sensata" tale permanenza, investendo con nuova progettualità sul proprio futuro.

Per la delicatezza della condizione in cui si viene a trovare il minore rimpatriato, la sua situazione dovrebbe essere adeguatamente seguita e monitorata dal soggetto che ha curato il rimpatrio.

Non risulta, però, che tutti i minori rimpatriati siano inseriti in progetti. Tale preoccupante situazione è confermata da Ludovica Kirschen che, facendo appello alla non conoscenza della realtà locale in cui il minore tornerà a vivere, dichiara che la competenza alla predisposizione dell'eventuale progetto è del S.S.I. - delegazione albanese (94). Lida Leskaj della delegazione albanese del S.S.I. spiega come nel primo colloquio dopo il rimpatrio, dopo aver raccolto i dati necessari, venga proposto al minore un progetto di reinserimento che il minore può o meno accettare di seguire (95).

Se il minore accetta il progetto, verrà seguito dall'assistente sociale del S.S.I. che si incontrerà con lui una volta al mese per circa un anno al fine di monitorare l'andamento del percorso. Nel caso in cui, invece, il minore non acconsenta a seguire il progetto, gli incontri anche con i familiari saranno ripetuti per tentare di convincere il minore ad accettare la proposta. Se il rifiuto persiste, l'intervento del S.S.I. si esaurisce e il minore non sarà più seguito. Il S.S.I. si occuperà di segnalare il minore ai servizi sociali territoriali, se sono presenti (96), o ad O.N.G. che operano nella zona di provenienza del minore per un'eventuale supporto.

Lida Leskaj auspica una maggiore collaborazione con gli operatori dei centri d'accoglienza italiani, che - sottolinea - devono essere i primi a promuovere il rientro del minore in Albania avviando un progetto formativo che sia poi spendibile nel luogo di provenienza del minore. In concreto, poiché la maggioranza dei minori proviene da zone rurali, prive di strutture formative e possibilità occupazionali, risulta difficile ipotizzare un percorso "condiviso" tra le due realtà.

Dalle riflessioni sopra esposte si evince una contraddittorietà nell'intervento di reinserimento che da lato, dovrebbe essere secondario, e pertanto eventuale, al ricongiungimento con la famiglia, dall'altro sembra assumere carattere prevalente per favorire la permanenza del minore così da evitare una nuova emigrazione. Sostiene Petti che "dopo aver riportato il minore a casa, diventa prioritario trovare il modo di farcelo restare" (97). La predisposizione del progetto di reinserimento è, dunque, funzionale, secondo l'autrice, a svolgere un'attività di controllo sui possibili rientri in Italia.

Del tutto peculiare è l'esperienza del distretto di Fier. Le ricerche condotte dall'I.P.R.S. nella città, zona a forte tasso di emigrazione nel sud dell'Albania, presso alcune famiglie i cui figli minori erano emigrati illegalmente e si trovavano da soli in Italia, sottolineano l'importanza di capire quanto siano adeguati gli strumenti di sostegno e di assistenza affinché vengano percepiti come un'opportunità e costituiscano una tutela per l'intero nucleo familiare del minore per evitare che questi strumenti d'intervento risultino decontestualizzati rispetto all'ambiente sociale e culturale nel quale si inseriscono (98).

Tali ricerche sono state realizzate in collaborazione con i Padri Giuseppini del Murialdo che sono presenti nella città di Fier da molti anni dove dirigono una scuola professionale ed un centro per le attività ricreative.

Successivamente, hanno promosso un progetto, in collaborazione con il Comitato, rivolto ai minori che non erano partiti ma che erano a rischio di emigrazione clandestina realizzando i cosiddetti "rimpatri preventivi", interventi di orientamento e sostegno nella formazione professionale di minori a rischio di esclusione sociale provenienti da contesti poveri e marginali. Anche in questi casi viene redatto un progetto con il minore, coinvolgendo l'intero nucleo familiare, ma i contatti precedentemente instaurati con il minore e l'ascolto delle sue esigenze, rendendolo protagonista delle scelte e della costruzione del suo futuro, hanno costituito la differenza nella riuscita del progetto.

Sono state anche sperimentate esperienze di microcredito per l'acquisto del materiale necessario all'avvio di un'attività lavorativa, chiedendo la restituzione della metà della cifra entro un anno e considerando l'altra metà come un investimento a fondo perduto. I risultati sono più che positivi con la quasi totalità dei prestiti rimborsati. Spesso la quota restituita è nuovamente investita nella famiglia del minore per contribuire maggiormente alla loro indipendenza.

Note

1. Valeri M., Scarpelli S., I compiti del Comitato per i minori stranieri: prime considerazioni, in Gli Stranieri, n. 3/1999, p. 273.

2. Le strutture contattate e visitate sono state: a Tirana, Qendra Linzë, unico centro statale deputato all'accoglienza, tra gli altri, dei minori rimpatriati e Qendra Don Bosko struttura polivalente fondata e gestita dai Salesiani; a Shkodër, il villaggio della pace a Tarabosh e la casa famiglia, gestiti dalla Comunità Papa Giovanni XXIII; a Fier, il Qendra Murialdo, struttura polivalente fondata e gestita dai Padri Giuseppini del Murialdo; a Elbasan, il centro dell'associazione Tjetër Vizion; a Vlorë, le strutture dell'O.N.G. albanese Vatra. Per motivi di sicurezza non è stato possibile accedere al centro per il reinserimento delle vittime della tratta gestito da O.I.M. a Tirana e al centro Shtresa dell'associazione Vatra a Vlorë.

3. Una parte della documentazione, estratta dai fascicoli consultati, è riportata, a titolo esemplificativo, in appendice.

4. Cfr. Devole R., L'immigrazione albanese in Italia. Dati, riflessioni, emozioni, Agrilavoro Edizioni, Roma 2006, in riferimento a tale fenomeno che afferma l'esistenza di una "diasporizzazione dell'emigrazione albanese, ovvero di un processo ancora in fieri", cap. I e cap. 30. In tale senso, cfr. Barjaba K., Dervishi Z., Perrone L., op. cit., p. 514. Per un'analisi della diaspora degli intellettuali albanesi, vedi Carazzone C., op. cit., pp. 26 ss.; Sokoli N., Axhemi S., Emigration in the period of transition in Albania. The social-economic processes that accompany it, in Studi Emigrazione, n. 139/2000, pp. 523-525.

5. I.P.R.S., Tra i Balcani e il Mediterraneo: la mobilità culturale della frontiera albanese. Un'analisi dell'incidenza dei processi di modernizzazione sulla rielaborazione identitaria della gioventù albanese, in collaborazione con l'Italian Consortium of Solidarity (I.C.S.) con il contributo del Dipartimento Affari Sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri all'interno del programma Minori Albania, Roma 2000, pp. 71-72. Sull'argomento, cfr. la postfazione di Piro Misha nel volume Plasari A., La linea di Teodosio. Alle origini della questione albanese, Besa Edizioni, Lecce 1994; I.P.R.S., Il disagio giovanile in Albania: un'analisi sul ruolo della stampa nella rappresentazione dei fenomeni sociali, in collaborazione con l'Italian Consortium of Solidarity (I.C.S.), Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione Generale per l'Immigrazione, Roma 2002; I.P.R.S., S.S.I., I minori albanesi non accompagnati in Italia: alcune riflessioni sulle linee di intervento adottate, Roma 2001; Melossi D., Giovannetti M., I nuovi sciuscià, Donzelli Editore, Roma 2002, cap. II.; Campus A., (a cura di) Minori stranieri soli. Tra politiche di accoglienza e politiche di controllo. Un'analisi territoriale, Officina Edizioni, Roma 2004, p. 145, nello stesso volume, vedi le riflessioni di don Gino Rigoldi, pp. 231 ss.

6. Pepa E., Il Kanu albanese. Il pensiero giuridico sul diritto consuetudinario albanese, Shtëpia Botuese UEGEN, Tirana 2005, pp. 119-120. In tal senso, vedi I.P.R.S., Il rimpatrio volontario dei minori albanesi non accompagnati presenti in Italia: un'analisi psicologica delle condizioni di rimpatrio e di reinserimento, Presidenza del Consiglio, Dipartimento Affari Sociali, Roma 1999, pp. 60 ss.; Silva C., Campani G., op. cit., pp. 33 ss.

7. Romano Onofrio, nel suo saggio La demodernizzazione. Un'indagine sul mutamento socio-culturale in Albania, in Rassegna Italiana di Sociologia, n. 3/1997, p. 336, sostiene che in Albania si sia compiuto "qualcosa di molto simile ad un potlac - quell'evento raro e di alto valore simbolico in alcune società arcaiche, durante il quale veniva messa in scena la distruzione violenta e ostentatoria di enormi porzioni di ricchezza, al fine (...) di rinsaldare gli statuti e i legami comunitari minacciati da eventi esterni".

8. Devole R., op. cit., p. 99.

9. Oltre ai cospicui aiuti economici destinati dalla Comunità Europea, l'Italia fin dall'inizio della "crisi albanese" ha promosso iniziative umanitarie, tra le quali ricordiamo l'Operazione Italfor-Pellicano nel 1991 e la missione Alba nel 1997. Nello stesso anno venne istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il "Tavolo di Coordinamento per gli aiuti al popolo albanese" che ravvisando la necessità di realizzare interventi in loco impose l'individuazione di fondi da destinare a tali interventi. Con il Decreto Legge "Partecipazione italiana alle iniziative internazionali a favore dell'Albania" (n. 108/1997) fu stanziata una cifra pari circa a dieci miliardi di lire, poi raddoppiata in sede di conversione (Legge n. 174/1997). Per una critica al mancato coinvolgimento delle associazioni di immigrati albanesi, vedi Devole R., op. cit., p. 275.

10. Arnaud C., La follia delle aquile, in AA.VV, Shqipëria, in Derive Approdi, n. 14/1997, p. 24. Per un approfondimento sulle finanziarie piramidali e sulla crisi del 1997, vedi i saggi di Gustincich F., Alle radici del caos. Analisi politica e sociale dei fatti d'oggi e Barjaba K., La ribellione albanese: motivazioni regionali o politiche?, in Del Re E., Albania punto a capo, Edizioni SEAM, Roma 1997, pp. 169-189 e 204-217.

11. In tal senso, vedi Onofrio Romano, op. cit., p. 334, che sostiene come la società albanese sia 'abitata' da un minaccioso potenziale di disorganizzazione sociale poiché contiene al proprio interno una grave contraddizione tra il background culturale e le nuove istituzioni politico-economiche adottate.

12. Per una panoramica sulle migrazioni albanesi, vedi Pittau F., Reggio M., Il caso Albania: immigrazione a due tempi, in Studi Emigrazione, n. 106/1992, pp. 227-239; Barjaba K., Dervishi Z., Perrone L., op. cit., pp. 513-535; Sokoli N., Axhemi S., op. cit., pp. 521-529; Cesari A., Fanelli D., La migrazione albanese in Italia fra passato e presente, L'Harmattan Italia, Torino 2004; Dal Lago A., Non-persone. L'esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli Editore, Milano 2005, pp. 179 ss. Per una ricostruzione del quadro storico albanese vedi, tra gli altri, Dell'Erba N., Storia dell'Albania, Tascabili Economici Newton, Roma 1997; Jace R., Albania, Edizioni Pendragon, Bologna 1998; I.P.R.S., Tra i Balcani e il Mediterraneo: la mobilità culturale della frontiera albanese. Un'analisi dell'incidenza dei processi di modernizzazione sulla rielaborazione identitaria della gioventù albanese, pp. 49-63; Eichberg F., Panorama storico dell'Albania, 1878-1997, in Del Re E., op. cit., pp. 247-268.

13. Cesari A., Fanelli D., op. cit., p. 48.

14. Misha P., op. cit., p. 80.

15. Rossato V., Indagine sociologica sui minori a rischio di emigrazione clandestina, rapporto finale del progetto per il "Rafforzamento delle politiche e delle azioni di lotta all'esclusione sociale minorile in Albania", V.I.S. (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo) 2001, p. 7.

16. Barjaba K., in Del Re E., op. cit., p. 126; Devole R., op. cit., cap. 16.

17. Su questi concetti, cfr., I.P.R.S., Tra i Balcani e il Mediterraneo: la mobilità culturale della frontiera albanese. Un'analisi dell'incidenza dei processi di modernizzazione sulla rielaborazione identitaria della gioventù albanese, p. 165.

18. I.P.R.S., Il disagio giovanile in Albania: un'analisi sul ruolo della stampa nella rappresentazione dei fenomeni sociali, in collaborazione con l'Italian Consortium of Solidarity (ICS), Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione Generale per l'Immigrazione, Roma 2002, p. 13; in tal senso, cfr. Sbraccia A., Scivoletto C., op. cit., p. 184. Per una disamina approfondita sui bisogni educativi dei minori stranieri non accompagnati, vedi Peano Cavasola F., Rispondere ai bisogni educativi dei minori stranieri non accompagnati: una sfida impossibile?, in Minori Giustizia, n. 3-4/2002, pp. 113-129. Cfr., Republic of Albania, Council of Ministers - Office of the Minister of State for Coordination, Draft National Strategy for the fight against Child Trafficking and the Protection on Child Victims of Trafficking, Tirana 2004.

19. I.P.R.S., L'emigrazione dei minori albanesi non accompagnati: il caso di Fier, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione Generale per l'Immigrazione, E.N.G.I.M., Roma 2002, p. 16 ss. La ricerca analizza successivamente le trasformazioni in atto nella ridefinizione dell'assetto famigliare albanese:

"1) la famiglia disgregata è quella famiglia sulla quale le conseguenze della crisi hanno un effetto devastante: di fronte al cambiamento o sotto la pressione destrutturante delle spinte innovative, i nuclei famigliari più fragili e deboli, per motivi economici o psicologici, si sfaldano e le persone non riescono né a trovare nuove forme di aggregazione, né a tendere nostalgicamente all'indietro. In tale situazione i figli non hanno più alcun punto di riferimento (...) e sono completamente soli nelle loro decisioni;
2) la famiglia rurale è la scelta di coloro che, in tempi tanto difficili, cercano nella tradizione un rifugio sicuro: una tale famiglia si chiude in se stessa, idealizzando il suo ruolo protettivo e cooperativo e facendo della solidarietà tra i suoi membri un caposaldo per la sua esistenza e perpetuazione. La logica che sottende il suo funzionamento si basa su un'identità di clan, spesse volte idealizzata più che ancora esistente. Essa è tipica dei contesti rurali ma può riproporsi (...) in un ambiente diverso ed avere anche derive criminali. (...) Il minore viene inteso, secondo una logica rurale, come un soggetto che deve contribuire all'economia famigliare, sottoposto agli stessi vincoli e alle stesse norme dei componenti adulti. Il minore migrante può essere allora colui sul quale la famiglia investe e conta per la propria sopravvivenza;
3) le nuove famiglie. E' prevedibile che l'occidentalizzazione e la modernizzazione, comportando un nuovo assetto socio-politico ed una trasformazione culturale, avranno come risposta l'aggregarsi di nuclei famigliari secondo le tipologie dei paesi occidentali: famiglie nucleari di tipo borghese, (...) famiglie dalla struttura meno tradizionale. (...) Nel secondo caso, i minori più facilmente rischiano forme di disagio e malessere e possono perciò essere spinti ad emigrare". In tal senso, cfr. le riflessioni di Tushi G., Presentazione generale della situazione dei servizi sociali in Albania: nuove strategie, in Zoli A. (a cura di), Minori famiglia istituzioni, atti della conferenza del 1 dicembre 2005, Shtëpia Botuese Gjergji Fishta, Tirana 2005, pp. 19-25, secondo cui nella mentalità albanese ogni aspetto della vita era affidato allo Stato che doveva "prendere per mano l'individuo 'dalla culla fino alla tomba'". Per un'approfondita panoramica sul sistema giuridico albanese, in particolare sul diritto di famiglia, vedi Carazzone C., op. cit., capp. I-III.

20. Pepa E., op. cit., p. 59.

21. I.P.R.S., Tra i Balcani e il Mediterraneo: la mobilità culturale della frontiera albanese. Un'analisi dell'incidenza dei processi di modernizzazione sulla rielaborazione identitaria della gioventù albanese, cap. III; contra, Rossato V., op. cit., 2001; I.P.R.S., Il rimpatrio volontario dei minori albanesi non accompagnati presenti in Italia: un'analisi psicologica delle condizioni di rimpatrio e di reinserimento, Presidenza del Consiglio, Dipartimento Affari Sociali, Roma 1999, pp. 60 ss.; Romano O., op. cit., p. 333 ss.; Melossi D., Giovannetti M., op. cit., cap. II.

22. Sul fenomeno delle migrazioni interne, vedi Del Re E., op. cit., parte I, cap. III; Ambrosi P., Borda E., Rossi P. (a cura di), Un biglietto per "Lamerica". Reportage dall'Albania, in Missioni Consolata, n. 3/2006; Devole R., op. cit., pp. 105 ss.; Carazzone C., op. cit., p. 16.

23. Secondo Giovannetti M., op. cit., pp. 66 ss., si assiste ad una progressiva riduzione delle opportunità "sperimentabili" dal minore fino a giungere al punto in cui l'opzione dell'emigrazione resta l'unica praticabile. Il percorso inizia con l'abbandono scolastico, prosegue con il tentativo d'inserimento nel mercato del lavoro locale e con migrazioni stagionali o temporanee verso paesi confinanti (Grecia). Cfr, anche Sbraccia A., Scivoletto C., op. cit., cap. III; Silva C., Campani G., op. cit., pp. 53 ss.

24. In tal senso, vedi Gustincich F., Del Re E., Albania sull'onda degli anni, Argo, Lecce 1994, p. 5.

25. Devole R., op. cit., p. 281.

26. Il Kanun è la raccolta delle leggi consuetudinarie albanesi. Ha la forma di un codice ed è costituito da norme relative ad ogni aspetto della vita della comunità e dell'individuo in quanto parte di essa. Il kanun raccoglie al proprio interno l'essenza della tradizione giuridica del popolo albanese. Ufficialmente l'applicazione del kanun non è più in vigore ma, dopo la caduta del regime, è stata invocata per giustificare crimini di sangue. La vendetta viene presa come giustificazione per crimini che con essa - regolata da precise norme - non c'entrano affatto denotando una commistione tra i meccanismi della criminalità comune e quelli della criminalità "tradizionale". Certo, il kanun non può considerarsi diffuso in tutto il paese ma molti aspetti della attuale società albanese affondano le proprie radici in questa antica legge. Sul kanun, vedi i contributi di Del Re E., Albania punto a capo, Edizioni SEAM, Roma 1997, cap. III; Resta P. (a cura di), Il Kanun. Le basi morali e giuridiche della società albanese, Besa Edizioni, Lecce 2000; Pepa E., op. cit.; Carazzone C., op. cit., pp. 33 ss; lo splendido romanzo di Kadarè I., Prilli i thyer (Aprile spezzato), Guanda, Parma 1993; sull'applicazione del kanun, cfr. la pronuncia del Tribunale per i minorenni di Firenze, decreto del 15-28/01/2002.

27. Cfr. Ambrosi P., Borda E., Rossi P., op. cit., p. 35.

28. L'art. 98 co. 1 del nuovo Codice del Lavoro del 1996 non consente l'assunzione dei minori che non abbiano compiuto i sedici anni d'età. Si delinea, così, un gap tra l'età in cui il minore termina il ciclo d'istruzione obbligatoria - 14 anni e l'età in cui è legalmente consentito al minore di svolgere attività lavorativa - 16 anni. Sul tema, vedi Carazzone C., op. cit., pp. 42 ss.

29. Sulla tematica, vedi le riflessioni di N. Hodaj in AA.VV., Atti del seminario Focus sui minori migranti non accompagnati: in cerca di risposte efficaci per un aspetto problematico dei processi migratori, Modena 2003, pp. 16 ss.; Campus A., op. cit., p. 104; I.C.S., op. cit., p. 16; Bertozzi R., op. cit., pp. 25 e 58; Silva C., Campani G., op. cit., p. 37; Petti G., op. cit., p. 105.

30. Sulla condizione della donna in Albania, vedi Borda E., Essere donna in Albania, in Ambrosi P., Borda E., Rossi P., op. cit., pp. 42 ss.; Devole R., op. cit., pp. 131 ss.; le riflessioni di Leskaj L., intervista realizzata a Tirana il 23.8.2005.

31. Vedi, tra le altre, le ricerche condotte da Giovanetti M., 'Minori non accompagnati: racconti di viaggi, speranze, miserie. Analisi dei percorsi e strategie di "inserimento'", in Favaro G. e Napoli M. (a cura di), Come un pesce fuor d'acqua. Il disagio nascosto dei bambini immigrati, Guerini Edizioni, Milano 2002, pp. 125-156; I.P.R.S., L'emigrazione dei minori albanesi non accompagnati: il caso di Fier, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione Generale per l'Immigrazione, E.N.G.I.M., Roma 2002; Rossato V., op. cit., 2001; Melossi D., Giovannetti M., op. cit., cap. II; Sbraccia A., Scivoletto C., op. cit., cap. II e III.

32. Giovannetti M., op. cit., p. 135; Melossi D., Giovannetti M., op. cit., cap. II; I.P.R.S., S.S.I., I minori albanesi non accompagnati in Italia: alcune riflessioni sulle linee di intervento adottate, Roma 2001, p. 13; Ambrosi P., Borda E., Rossi P., op. cit., p. 36; Campus A., op. cit., p. 51; Bertozzi R., op. cit., p. 29; Devole R., op. cit., pp. 190-191; Sbraccia A., Scivoletto C., op. cit., p. 152.

33. Pittau F., Reggio M., op. cit., p. 229; Barjaba K., Dervishi Z., Perrone L., op. cit., p. 533.

34. Palidda S., Dieci spunti su immigrazione, politica e diritto, in Questione Giustizia, n. 4/2001, p. 678; In tal senso anche Giovannetti M. che sostiene come i minori stranieri "appartengano ad un mondo in cui la parola "speranza" acquista un significato soltanto quando si lega a progetti e comportamenti diretti verso un «altrove»", op. cit., p. 128.

35. Cfr. Rossolini R., Minori immigrati in istituto penale: proposte educative ispirate al principio dell'ibridazione culturale, in Minori Giustizia, n. 3-4/2002, pp. 130 ss.; I.P.R.S. I centri di primo intervento ed i minori immigrati non accompagnati: da una cultura dell'emergenza a una cultura dell'adolescenza?, Presidenza del Consiglio, Dipartimento Affari Sociali, Roma 2000, cap. I; Campani G., Lapov Z., Carchedi F., op. cit., p. 102; Melossi D., Giovannetti M., op. cit., cap. II; Campus A., op. cit., pp. 43 ss; Sbraccia A., Scivoletto C., op. cit., pp. 105 ss.

36. Nelle ricerche effettuate in Albania, l'I.P.R.S. pone l'attenzione sull'ambiguità dei messaggi che nelle situazioni di precarietà la famiglia rivolge al minore fino ad arrivare a quella che viene definita una sorta di "follia a due" in cui la famiglia attribuisce un compito, quasi una missione eroica al minore, riponendo in lui la speranza di risollevare le sorti della famiglia e il minore, che assume l'incarico, fantastica una famiglia ideale potente, unita che lo aiuta e lo protegge. Nella realtà, impietosamente emergono le rispettive condizioni di debolezza; cfr. I.P.R.S. Il rimpatrio volontario dei minori albanesi non accompagnati presenti in Italia: un'analisi psicologica delle condizioni di rimpatrio e di reinserimento, pp. 106-112; Carazzone C., op. cit., p. 78.

37. Melossi D., Giovannetti M., op. cit. cap. II; Valeri M., op. cit., p. 5; Sbraccia A., Scivoletto C., op. cit., pp. 148 ss.

38. I.P.R.S., I centri di primo intervento ed i minori immigrati non accompagnati: da una cultura dell'emergenza a una cultura dell'adolescenza?, Presidenza del Consiglio, Dipartimento Affari Sociali, Roma 2000, cap. III; Macchia G., Il traffico di immigrati, il caso Albania e le prospettive d'impegno, in Affari Sociali Internazionali, n. 2/1999, pp. 33-46.

39. Dal Lago A., Non-persone. L'esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli Editore, Milano 2005, pp. 251-252.

40. Rossolini R., Minori immigrati in istituto penale: proposte educative ispirate al principio dell'ibridazione culturale, in Minori Giustizia, n. 3-4/2002, p. 136.

41. Per maggiori dettagli su tale aspetto, rinvio al capitolo precedente.

42. Non esistendo in Albania una struttura governativa equivalente, per composizione e funzioni, al Comitato, la competenza sulle politiche in tema di rimpatrio assistito dei minori non accompagnati è ripartita tra più ministeri quali quello dell'Interno, degli Esteri, del Lavoro e delle Politiche Sociali.

43. Brano trascritto dall'intervista realizzata a Padre Carmelo Prestipino, referente per E.N.G.I.M. a Fier (Albania) il 23.09.05.

44. Valeri Mauro, intervista realizzata a Roma presso la sede del Comitato in data 20.02.2006. In tal senso si è espresso anche Padre Carmelo Prestipino, intervista realizzata a Fier presso il Qendra Murialdo il 23.09.2005.

45. Sulla centralità dei contatti, spesso casuali, nel primo periodo dopo l'arrivo che possono determinare un destino diverso, vedi Melossi D., Giovannetti M., op. cit., cap. III; Bertozzi R., op. cit., p. 229; Sbraccia A., Scivoletto C., op. cit., pp. 105 ss.; sul primo impatto nel territorio, ivi, cap. III; Devole R., op. cit., pp. 135-138.

46. Critiche a tale previsione sono venute da Miazzi L., Il rimpatrio assistito del minore straniero: ancora un caso di diritto speciale?, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 2/2000, p. 37. Sull'operato e sulla discrezionalità delle forze dell'ordine, vedi Sbraccia A., Scivoletto C., op. cit., pp. 191-198.

47. In tal senso, Valeri M., afferma che è necessario "elaborare, in collaborazione con gli enti locali, standard di accoglienza, che rispettino quanto previsto dalla Convenzione di New York", in Valeri M., Scarpelli S., op. cit., p. 274; A.N.C.I., Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome, Documento congiunto A.N.C.I. - Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome sul fenomeno dei minori stranieri non accompagnati, luglio 2004. Per una analisi comparativa tra le diverse realtà, vedi I.P.R.S., I centri di primo intervento ed i minori immigrati non accompagnati: da una cultura dell'emergenza a una cultura dell'adolescenza?, Presidenza del Consiglio, Dipartimento Affari Sociali, Roma 2000, cap. III; I.C.S., op. cit., p. 17; Valeri M., op. cit., p. 7; Campani G., Lapov Z., Carchedi F., op. cit., parte seconda; Bertozzi R., op. cit., cap. IV; per un'analisi generale del sistema di politiche sociali, ivi cap. II; Sbraccia A., Scivoletto C., op. cit., pp. 50 ss. Alcune realtà hanno introdotto strategie di approccio "in strada" per tentare di individuare i minori. A Roma sono state introdotte due figure innovative: il peer counselor e l'avvocato di strada. I peer counselors sono stati minori non accompagnati che hanno seguito un percorso formativo e lavorano come coordinatori delle unità di strada. Gli avvocati di strada contattano i minori informandoli sui loro diritti e cercano di accompagnarli nel percorso di emersione dall'irregolarità. Per un approfondimento del modello d'accoglienza di Roma, vedi Bertozzi R., op. cit., pp. 172-194; AA.VV., Orizzonti a colori. Interventi per la prevenzione della devianza e per il reinserimento sociale di minori stranieri sottoposti a procedimento penale, Save the Children Italia 2006. Per un'analisi del modello d'accoglienza in Veneto, vedi Butticci A., La realtà dei minori stranieri non accompagnati nella provincia di Venezia: attori locali ed interventi realizzati, Osservatorio Immigrazione della provincia di Venezia, Coses, Venezia 2003.

48. Articolo 5, co. 3 D.P.C.M. n. 535/99. Il Documento programmatico relativo alla politica dell'immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato per il 2004-2006 indicava come necessario "sottoscrivere accordi con le rappresentanze diplomatico-consolari dei paesi d'origine dei minori allo scopo di accelerare le procedure di identificazione e razionalizzare l'iter del riaffidamento del minore", D.P.R. del 13.05.2005.

49. La necessarietà della comunicazione al Comitato della presenza del minore non accompagnato sul territorio è contenuta anche nelle circolari del Ministero dell'Interno del 20.6.1998 e del 14.4.2000.

50. Non sempre i minori albanesi sono in possesso del passaporto. Spesso mostrano un certificato di nascita rilasciato dal comune di provenienza (quasi mai tradotto e legalizzato). In tal caso potrà essere richiesto all'Autorità Diplomatico Consolare un certificato di nazionalità che vale come documento d'identità per un anno dalla data di rilascio.

51. Le attività di backoffice relative ai fascicoli dei minori non accompagnati segnalati al Comitato sono state svolte dall'I.P.R.S. Cfr., I.P.R.S.Rapporto annuale sulle attività svolte a supporto del Comitato Minori Stranieri non Accompagnati, Comitato Minori Stranieri, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione Generale per l'Immigrazione, Roma 2003; I.P.R.S., Rapporto annuale sulle attività svolte a supporto del Comitato Minori Stranieri non Accompagnati, Comitato Minori Stranieri, Direzione Generale per l'Immigrazione, Roma 2004.

52. Alcune realtà locali, Torino e Modena, hanno attivato contatti diretti con organizzazioni che operano in Albania (CEFA) per raccogliere informazioni più precise sulle famiglie e per gestire in modo diretto la decisione sulla permanenza o sul rimpatrio dei minori. Vedi, Bertozzi R., op. cit., pp. 232 ss.

53. Cfr. le riflessioni di Rozzi E. negli atti del seminario Focus sui minori migranti non accompagnati: in cerca di risposte efficaci per un aspetto problematico dei processi migratori, p. 5, Campus A., op. cit., pp. 118 ss.

54. Cfr., Turri G.C., Minori stranieri non accompagnati: dalla legge Turco-Napolitano alla Bossi-Fini, in Minori Giustizia, n. 3-4/2002, p. 63.

55. Valeri M., intervista realizzata a Roma presso la sede del Comitato per i minori stranieri in data 20.02.2006, "a 18 anni noi dobbiamo chiudere la pratica e mandiamo una lettera [al minore e al suo tutore] nella quale diciamo che se non ci comunicano ulteriori informazioni chiudiamo la pratica". Cfr. Campus A., op. cit., pp. 118 ss.; Bertozzi R., op. cit., p. 102; Petti G., op. cit., p. 72.

56. Nella disciplina è intervenuta la pronuncia della Corte Costituzionale che ha equiparato il provvedimento di tutela all'affidamento. Per un esame più approfondito delle tipologie e delle problematiche relative al permesso di soggiorno, rinvio al cap. I.

57. Le schede sono riportate in appendice.

58. Dal testo dell'intervista realizzata a Roma presso la sede del Comitato il 20.02.2006.

59. In appendice è riportata una richiesta del Comitato rivolta al S.S.I. che successivamente è inoltrata alla delegazione albanese del S.S.I.

60. "Quando ci arrivano pochi dati ci troviamo in difficoltà", dal testo dell'intervista realizzata a Tirana presso la sede del S.S.I. il 23.08.2005; in tale senso anche Padre Carmelo Prestipino intervista realizzata a Fier presso il Qendra Murialdo il 23.09.2005.

61. Per una descrizione dettagliata delle indagini familiari condotte da I.C.S., vedi il Rapporto minori stranieri non accompagnati, rapporto finale del "Programma di assistenza ai minori stranieri non accompagnati", 2003.

62. In appendice ho riportato una relazione ritenuta tra le più "complete".

63. Difficoltà nel rintracciare e contattare la famiglia del minore, per incompletezza dei dati forniti, sono state segnalate anche da Padre Carmelo, referente per E.N.G.I.M. a Fier.

64. I corrispondenti coprono la zona di Shkodër e Malësia e Madhe, Peshkopja e Dibra, Kukës e Tropojë, Pogradec e Korça, i villaggi del distretto di Elbasan. Sono tenuti a frequentare i corsi di formazione/aggiornamento organizzati dagli uffici di Tirana del S.S.I.

65. Cfr. Petti G., op. cit., pp. 82-94.

66. Circolare del Ministero dell'Interno del 9.4.2001, Minori stranieri non accompagnati. Permesso di soggiorno per minore età, rilasciato ai sensi dell'art. 28, co. 1 lettera a) del D.P.R. n. 394/99.

67. Articolo 2, co. 2 lett. g) D.P.C.M. n. 535/99.

68. "Il vincolo per noi sono le indagini familiari, se sono negative il minore rimane in Italia, questo è stato un punto fermo", così si esprimeva MauroValeri, intervista realizzata presso il Comitato per i minori stranieri il 20.2.2006.

69. Per le problematiche inerenti il rimpatrio assistito quando non è finalizzato al reinserimento familiare del minore, rinvio al capitolo precedente.

70. In tal senso si esprimono l'articolo 7 co. 2 del D.P.C.M. n. 535/99 e le linee guida del Comitato del 2001.

71. "Per noi il giudizio che da il minore è molto importante ma va valutato con molta attenzione, se è un progetto realizzabile o meno, (...) se è nell'interesse della persona", Valeri Mauro, intervista realizzata a Roma presso la sede del Comitato il 20.02.2006.

72. Sintesi del pensiero espresso da Lida Leskaj nell'intervista realizzata a Tirana il 20.09.2005. Padre Carmelo Prestipino, referente per E.N.G.I.M. a Fier, dichiara che in alcuni casi è stato possibile ottenere lo stanziamento di una cifra maggiore per la realizzazione del progetto.

73. Tali misure possono consistere, ad esempio, in una collaborazione con gli operatori sociali, nel non indossare la divisa.

74. Cfr. Valeri Mauro, intervista realizzata a Roma presso la sede del Comitato il 20.02.2006, che sottolinea la complessità di tale scelta, "perché se metti insieme indagine e rimpatrio rischi di essere percepito come colui che decide nei confronti del minore al posto del Comitato". In tal senso si è espressa anche Lida Leskaj che ha spiegato come le famiglie dei minori ritengano gli assistenti sociali responsabili, "colpevoli", del rimpatrio del minore, intervista realizzata a Tirana presso la sede del S.S.I. il 23.08.2005.

75. Ho visitato il Qendra Linzë alla fine di agosto 2005. Il centro è costituito da due edifici che formano un unico complesso, originariamente era una base militare. Si trova lungo la strada che Tirana sale al monte Dajti in un luogo protetto dalla folta vegetazione. C'è una costante presenza delle forze di polizia per garantire la sicurezza degli ospiti.

76. Con riferimento al sostegno delle vittime della tratta, Daniele Fiorini, responsabile a Shkodër per la Comunità Papa Giovanni XXIII, afferma "sono andato da alcuni psicologi, ho visto alcuni colloqui [con le ragazze rimpatriate], ma sono assolutamente impreparati, danno solo farmaci, che sostegno possono avere queste ragazze?". Nel proseguo del colloquio ha dichiarato che, in collaborazione con l'associazione Vatra di Vlorë, organizza il ritorno delle minori in Italia perché quelle che venivano rimpatriate "o impazzivano o venivano uccise". E' utile ricordare che l'associazione Papa Giovanni XXIII è impegnata da tempo sul fronte della lotta al traffico di esseri umani e della protezione delle vittime della tratta.

77. Svolge quindi una funzione equivalente ai nostri C.P.T.

78. Dal testo trascritto dall'intervista realizzata a Tirana presso il Qendra Linzë il 24.08.2005.

79. "Fino ad oggi non sono stati registrati casi di permanenze così prolungate", Lida Leskaj intervista realizzata a Tirana presso la sede del S.S.I. il 23.08.2005.

80. Non mi è stato consentire intervistare i minori.

81. "Non sono i nostri quelli (...) Non diamo mai l'autorizzazione se non abbiamo delle garanzie da parte dello stato di origine del minore". Dal testo dell'intervista realizzata a Roma presso la Comitato per i minori Stranieri in data 20.02.2006.

82. Dal testo dell'intervista realizzata a Roma presso la sede del S.S.I. alla dott.ssa Ludovica Kirschen il 13.07.2005.

83. Tali strutture sono gestite dai Salesiani e dai Padri Giuseppini del Murialdo che dirigono anche i centri professionali.

84. Di tale opinione, tra gli altri: I.P.R.S., I centri di primo intervento ed i minori immigrati non accompagnati: da una cultura dell'emergenza a una cultura dell'adolescenza?, Presidenza del Consiglio, Dipartimento Affari Sociali, Roma 2000; Padre Carmelo Prestipino, referente per E.N.G.I.M. a Fier, intervista realizzata il 23.09.2005.

85. A tal proposito, cfr. le riflessioni contenute in I.P.R.S., Il rimpatrio volontario dei minori albanesi non accompagnati presenti in Italia: un'analisi psicologica delle condizioni di rimpatrio e di reinserimento, p. 134; Bertozzi R., op. cit., p. 254.

86. I.P.R.S., I centri di primo intervento ed i minori immigrati non accompagnati: da una cultura dell'emergenza a una cultura dell'adolescenza?, Presidenza del Consiglio, Dipartimento Affari Sociali, Roma 2000, p. 65.

87. In tal senso, cfr. Ciuffa A., op. cit., p. 205.

88. Padre Carmelo Prestipino, referente per E.N.G.I.M. sostiene che "il S.S.I. non ha la struttura adatta per offrire delle possibilità ai ragazzi, abbiamo fatto fatica a far capire loro che era necessario un progetto personalizzato per ogni ragazzo", in intervista realizzata a Fier il 23.9.2005.

89. Lida Leskaj, intervista realizzata a Tirana presso la sede del S.S.I. il 23.08.2005.

90. Secondo Petti G., op. cit., p. 90, in tal modo l'esito del progetto consiste nel "fornire mano d'opera a basso costo e priva di diritti per le aziende europee che esternalizzano la loro produzione nei paesi d'origine della manovalanza".

91. Petti G., op. cit., p. 93.

92. I.P.R.S., Il rimpatrio volontario dei minori albanesi non accompagnati presenti in Italia: un'analisi psicologica delle condizioni di rimpatrio e di reinserimento, pp. 130 ss.; cfr. anche S.S.I., I.P.R.S., op. cit., cap. II.

93. Devole R., op. cit., p. 169.

94. Sintesi del pensiero espresso da Ludovica Kirschen nell'intervista realizzata a Roma presso la sede del S.S.I. il 13.07.2005.

95. Sintesi delle affermazioni espresse da Lida Leskaj nell'intervista realizzata a Tirana il 20.09.2005. Cfr. Valeri Mauro, viene proposta "la possibilità di collaborazione con il S.S.I. ma non è un vincolo obbligatorio", intervista realizzata a Roma presso la sede del Comitato il 20.02.2006.

96. Daniele Fiorini, responsabile a Shkodër per la Comunità Papa Giovanni XXIII, afferma che in quel distretto i servizi albanesi sono praticamente inesistenti "forse i progetti scritti ci sono ma poi non vengono realizzati, dall'Italia vogliono solo che i minori siano allontanati"; dal testo intervista realizzata a Shkodër l'11.09.2005.

97. Petti G., op. cit., p. 66.

98. Ciuffa A., op. cit., p. 205; I.P.R.S., L'emigrazione dei minori albanesi non accompagnati: il caso di Fier, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione Generale per l'Immigrazione, E.N.G.I.M., Roma 2002, cap. I; cfr. anche la ricerche condotta da I.P.R.S. e S.S.I., I minori albanesi non accompagnati in Italia: alcune riflessioni sulle linee di intervento adottate, Roma 2001.