ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo terzo
La mediazione penale minorile

Nastassya Imperiale, 2007

1. Ambito di applicazione della mediazione nella giustizia minorile

L'esigenza di una risposta penale responsabilizzante è sentita con particolare intensità nell'ambito della giustizia minorile, poiché essa si trova a fare i conti con la condizione giovanile. Per questo, essa cerca di valorizzare tutte quelle risorse che possono favorire il recupero sociale del minore deviante, al fine di promuovere in lui una forte responsabilizzazione rispetto al fatto reato, e una presa di coscienza delle conseguenze del reato, in conformità dello spirito rieducativo che abbiamo visto caratterizzare il processo penale minorile.

Come ricordato, il processo penale minorile prevede una serie d'istituti finalizzati alla rapida espulsione del minore dal circuito penale, al fine di limitare i danni derivanti dal contatto del minore con l'apparato giudiziario. Espressione di questa sensibilità nei confronti del minore autore del reato, è anche il divieto per la persona offesa dal reato di costituirsi parte civile nel processo penale a carico del minore. A questo proposito Martucci rileva:

Proprio il proliferare di formule "liberatorie", determinato indubbiamente da una giusta attenzione per la specificità della condizione adolescenziale, pone un serio problema di rapporti con la parte offesa che, nel rito minorile, non ha neppure la possibilità di costituirsi parte civile, per cui la sentenza penale non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile per le restituzioni ed il risarcimento del danno causato dal reato (art. 10, II comma, D.P.R. 448/88). Tale preclusione, tesa ad evitare che la presenza di una "accusa privata" possa costituire fonte di stigmatizzazione per il ragazzo, si traduce oggettivamente in una penalizzazione per la vittima la quale si viene a trovare in una situazione psicologicamente assai difficile. (1)

Gli istituti del processo penale minorile, costruiti intorno alle esigenze educative del minore, possono essere vissuti dalla persona offesa in maniera negativa, acuendo il suo senso di sfiducia nei confronti delle istituzioni, e aumentando un maggiore senso d'insicurezza sociale.

In questo contesto, dunque, il passaggio dal sistema penale retributivo al sistema riparativo consente di prendere in maggiore considerazione le esigenze delle vittime di reato che i sistemi tradizionali di giustizia hanno sempre trascurato. L'adozione da parte della giustizia riparativa di un percorso di mediazione tra vittima e autore del reato, permette di costruire uno spazio all'interno del quale i protagonisti hanno la possibilità di esprimere i propri sentimenti in ordine al fatto che li coinvolge. Allo stesso tempo, l'assunzione di un percorso di mediazione, come modalità responsabilizzante, all'interno del processo penale minorile, può essere molto utile in vista del fine rieducativo che questo persegue.

La giustizia riparativa, come osserva la Gialuz:

Si caratterizza soprattutto per il mutamento del punto di osservazione del fenomeno criminale: questo va guardato non più, come nel sistema classico dei delitti e delle pene, dal punto di vista dell'autore del reato, ma da quello della vittima. In tale prospettiva, il reato perde la sua dimensione "unilaterale" e acquista una valenza "relazionale", configurandosi come una rottura del legame di coesistenza umana e sociale. (2)

Come precisa Francesco Di Ciò:

La mediazione, intesa come modalità responsabilizzante, può dare la possibilità al minore di rielaborare l'esperienza concreta del reato e ragionare sulle sue conseguenze. Proprio attraverso il diretto contatto con la vittima il minore può riconoscere, con l'aiuto del mediatore, la sofferenza che ha causato e spiegare all'altra parte le motivazioni che lo hanno indotto a commettere il reato. (3)

La mediazione penale minorile si svolge nell'ambito degli spazi normativi offerti dagli artt. 9, 27, 28 del D.P.R. n. 448 del 1988.

La prima esperienza di mediazione nell'ambito della giustizia penale minorile, è avvenuta ad opera del Tribunale di Torino, nell'ambito del contesto normativo dell'art. 9 del d.p.r. 448/88, relativo alla valutazione della personalità del minore. Infatti, è possibile distinguere una mediazione in fase pre-processuale, cioè durante lo svolgimento delle indagini preliminari, e una mediazione in fase processuale nell'ambito dello spazio normativo offerto dall'art. 28 del d.p.r. 448/1988.

Come osserva Ceretti:

La mediazione inserita nell'ambito dell'art. 9 del D.P.R. 448/1988 è stata introdotta per la prima volta all'interno del "progetto sperimentale" di Torino. Al contrario, i primi documenti dell'Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile non vi facevano esplicito riferimento. Il gruppo milanese, in piena concordanza con quanto contenuto invece nell'ultimo documento ministeriale (documento del 1/4/1996), reputa questo contesto normativo particolarmente significativo. (4)

1.1 La mediazione in fase pre-processuale

L'art. 9 del d.p.r. 448/88 offre un primo spazio applicativo alla mediazione, in fase pre-processuale. Tale norma impone di fare accertamenti sulla personalità del minorenne, stabilendo che "il pubblico ministero e il giudice acquisiscono elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne, al fine di accertarne l'imputabilità e il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto nonché disporre le adeguate misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili".

Il secondo comma dell'art. 9, prevede la possibilità per il pubblico ministero e il giudice di assumere informazioni da persone che abbiano avuto rapporti con il minorenne e sentire il parere di esperti, senza alcuna formalità di procedura. È proprio il secondo comma dell'art. 9 ha individuare un appiglio normativo per dare attuazione alla mediazione.

In conformità a tale disposizione, il Pubblico ministero può richiedere agli operatori dell'Ufficio di mediazione di assumere informazioni sul minore, al fine di valutare l'opportunità di effettuare una mediazione tra il minore autore del reato e la vittima.

Questo contesto normativo è per Massimo Pavarini:

L'unica vera diversione, una strada cioè che consente di allocare l'esperienza mediatoria ancora "al di fuori", perché immediatamente "prima" del processo. Certo ed ovvio che l'esperienza mediatoria e già attraversata dall'ombra minacciosa del processo, nel senso che il minore deviante sarà fin troppo consapevole che se a quella non partecipa ed in quella non si adopera proficuamente, finirà per entrare nel tunnel del processo penale e quindi per assumere il rischio della condanna e quello della pena. (5)

La norma si rivolge al Pubblico ministero e al giudice, da ciò si evince che l'indagine sulla personalità del minore, può essere fatta in tutte le fasi del procedimento penale, qualora sia ritenuto utile al fine di disporre le opportune misure penali e civili nell'interesse del minore. Lo svolgimento della mediazione nell'ambito delle indagini sulla personalità del minore rappresenta inoltre, anche la maniera più immediata per intervenire sul minore, infatti, come osserva Francesco Malagnino:

Una siffatta prassi sarebbe tra l'altro idonea a favorire la più adeguata valutazione della personalità del minore, che in tal modo si confronta con il fatto reato commesso, nonché l'applicazione meno burocratizzata delle decisioni giudiziarie. Si ritiene inoltre che, in tal modo, si possa contribuire a stimolare e diffondere nei servizi una maggiore cultura ed attenzione verso il tema della conciliazione, nonché ad incrementare un "dialogo" ed una collaborazione con la magistratura in tal senso, condizioni, queste, indispensabili per poter adeguatamente realizzare un percorso di mediazione. (6)

Senza dubbio, il momento più opportuno per disporre gli accertamenti sulla personalità del minorenne è la fase delle indagini preliminari perché, come dice Maria Gabriella Pinna:

Essendo la personalità del minore non un'entità statica ma in continua e rapida evoluzione, per valutare l'imputabilità del ragazzo, e cioè la sua capacità di intendere e di volere, ed anche per valutare il suo grado di responsabilità ai fini della quantificazione della pena, si deve intervenire immediatamente dopo il fatto, non appena perviene all'autorità giudiziaria la notitia criminis. Gli accertamenti effettuati quando ormai sono passati mesi dal compimento del reato, dovendo in tal caso l'esperto fare un difficile percorso a ritroso nello sviluppo della personalità del minore, potrebbero dare risultati non soddisfacenti e approssimativi. (7)

Appare opportuno dunque collocare la mediazione nella fase delle indagini preliminari, per consentire al minore di prendere coscienza immediatamente delle conseguenze derivanti dal reato, al fine di promuovere in lui un processo di responsabilizzazione nei confronti della vittima, e dare a quest'ultima l'impressione di una reazione immediata da parte dello Stato al fatto illecito, consentendogli di svolgere un ruolo più attivo nel processo penale a carico del minore.

L'invio del caso all'Ufficio per la mediazione durante la fase pre- processuale potrebbe creare dei problemi riguardanti il rispetto della privacy da parte dell'Autorità giudiziaria, questo inconveniente sembra risolto mediante l'invio da parte della Procura di una comunicazione limitata all'indicazione del titolo del reato e alle generalità che servono all'ufficio di mediazione per contattare le parti. Inoltre, all'interno degli Uffici di mediazione ci sono dei referenti, il cui nome è conosciuto dall'Autorità giudiziaria, per il trattamento dei dati sensibili. I dati sensibili ricevuti dall'Ufficio per la mediazione sono generalmente custoditi in appositi archivi accessibili solamente al responsabile per i dati sensibili. Una conferma del fatto che la comunicazione tra Autorità giudiziaria e Uffici per la mediazione è molto limitata, emerge da una ricerca condotta nel 2002 da Anna Mestitz e Simona Ghetti, le quali osservano:

I mediatori chiedono anche più informazioni sui seguenti aspetti del caso: 1) la descrizione del reato commesso dall'autore e 2) la descrizione di tutto il processo giudiziario. L'esigenza dei mediatori di ottenere maggiori informazioni sui casi conferma che le comunicazioni con i magistrati non sono soddisfacenti. (8)

L'invio del minore all'ufficio di mediazione durante la fase delle indagini preliminari, consente al giudice di avvalersi in misura maggiore degli istituti del processo penale minorile, che consentono una rapida espulsione del minore dal circuito penale, come il proscioglimento per irrilevanza del fatto e il perdono giudiziale. Queste due pronunce, infatti, possono essere il risultato di un percorso di mediazione intrapreso dal minore, in grado di fare assumere al reato, in caso di esito positivo della mediazione, una dimensione meno negativa. Oltretutto, il percorso di mediazione intrapreso dal minore, favorisce un'immagine meno clemenziale a questi istituti, poiché con la partecipazione alla mediazione, il minore può dare prova di una maggiore responsabilizzazione, in conformità con il carattere educativo e responsabilizzante del processo penale minorile.

Presupposto, per avviare un tentativo di mediazione/ riparazione è il consenso del minore e quello della persona offesa. Infatti, senza il consenso dei due protagonisti del reato la mediazione non può avere luogo.

Il consenso prestato dai due soggetti deve essere spontaneo, non deve essere frutto di coartazione da parte di nessuno, a tal fine, sia il giudice, sia i servizi minorili possono solo proporre al minore e alla vittima la mediazione, ma spetterà a questi due soggetti decidere di parteciparvi. In conformità con la finalità della mediazione consistente nel promuovimento di un dialogo tra i due mediati, interrotto dalla commissione del reato.

La volontarietà della partecipazione del minore alla mediazione è oggetto di qualche perplessità da parte di Piercarlo Pazé, il quale dice che:

Non bisogna tacere che quando un minore non accoglie la proposta di mediazione alcuni (molti) giudici minorili escludono di potere pervenire a possibili soluzioni indulgenziali, interpretando il suo gesto come rifiuto di prendere consapevolezza della negatività del reato commesso, non adesione ad un progetto di ravvedimento e segnale di prognosi negativa. L'invio e l'itinerario dunque possono essere forzati e non connotati da spontaneità. (9)

Secondo questa prospettiva, quindi, la partecipazione del minore alla mediazione può essere frutto di una strumentalizzazione, perché può essere pensata come una mediazione imposta da un soggetto dotato di autorità come il giudice, e interpretata dallo stesso minore come una strategia difensiva più favorevole ai suoi interessi.

Infatti, come osserva Maria Gabriella Pinna:

E' facile prevedere che il minore indagato dia il consenso alla mediazione, solo nella speranza di alleviare la sua posizione sotto il profilo penale o comunque di ottenere qualche beneficio. È indispensabile, se non si vuole andare incontro ad un sicuro fallimento, evitare in questo campo qualunque forma di burocratizzazione e valutare bene, in quali casi la mediazione sia davvero utile e in quali invece, non sia opportuna. (10)

Anche secondo la Scardaccione:

Non può essere escluso il rischio di un'adesione del tutto formale e strumentale da parte del minore; anche in questo caso si tratta di una sfida che si ripete ogni qualvolta vogliamo introdurre nel sistema penale principi e modalità di intervento che ne prescindono la tradizionale funzione repressiva. (11)

L'introduzione della mediazione nella fase delle indagini preliminari può poi creare delle contraddizioni. Infatti, in questa fase è molto più alto il rischio di un contrasto tra il principio di presunzione di non colpevolezza del minore indagato, garantito dalle disposizioni processuali, e il fatto che la mediazione presuppone necessariamente un accertamento della responsabilità del minore, o una sua ammissione. Per questo motivo, quando la mediazione è inserita nell'ambito della fase delle indagini preliminari, sorgono problemi concernenti la presunzione d'innocenza del minore. Infatti, la mediazione ha come presupposto un'assunzione di responsabilità da parte del minore, assunzione, che in caso di esito negativo potrebbe pregiudicare la sua posizione all'interno del processo.

La stessa procedura seguita per dare inizio al percorso di mediazione, all'interno del quale avviene l'ammissione di responsabilità da parte del minore, avviene senza alcuna formalità, per cui senza le garanzie processuali previste dal codice di procedura penale ordinario per gli imputati adulti, le quali sono estese anche agli indagati ai sensi degli artt. 62 e ss. c.p.p.

Per ovviare a questi inconvenienti, è stato stabilito mediante degli accordi tra l'Autorità giudiziaria e gli Uffici di mediazione, che gli operatori dell'ufficio di mediazione comunicano al magistrato soltanto l'esito della mediazione, con una relazione sintetica, senza entrare nel merito della stessa, al fine di garantire ai mediati la più ampia riservatezza sulle informazioni emerse nel corso della mediazione. A questo proposito Piercarlo Pazè osserva:

Ci sono sicuramente alla rivelazione della mediazione alcuni limiti invalicabili. Il mediatore deve mantenere il segreto su confessioni, ammissioni o testimonianze rese dal minore o comunque acquisite altrimenti dai suoi genitori o dalla stessa vittima, relative al reato per cui si procede o ad altri fatti costituenti reato di cui comunque nel corso dell'attività mediativa venga a conoscenza. In particolare il mediatore- anche quando è dipendente dalla pubblica amministrazione ed anche se è stato un magistrato ad invitare il minore e la vittima a presentarsi davanti a lui- non ha l'obbligo di denuncia (previsto dagli artt. 361 e 362 c.p.) in quanto, nello svolgere l'attività di mediazione, egli non esercita una pubblica funzione giudiziaria o amministrativa che lo renda pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio (artt. 357 e 358 c.p.). Il mediatore deve anche rispettare il contratto esplicito stipulato con coloro che prendono parte alla mediazione, colpevole e vittima, che ciò che essi dicono avanti a lui non verrà riferito all'autorità giudiziaria che procede. Se ciò non fosse, la mediazione perderebbe quel suo carattere di "spazio protetto di parola" che le è connaturale. (12)

Il problema dell'utilizzabilità delle dichiarazioni rese prima e durante lo svolgimento del percorso di mediazione, è stato affrontato dalla legge istitutiva della competenza penale del giudice di pace, d.lgs. 2000, n.274, il quale al quarto comma dell'art. 29 ha espressamente stabilito che "in ogni caso, le dichiarazioni rese dalle parti nel corso dell'attività di conciliazione non possono essere in alcun modo utilizzate ai fini della deliberazione", cioè queste dichiarazioni non possono confluire nel materiale probatorio, inoltre il quinto comma della stessa legge precisa che l'avvenuta conciliazione delle parti è finalizzata alla remissione della querela.

Il problema si pone soprattutto, in caso di esito negativo della mediazione, poiché il diritto di difesa del minore può essere pregiudicato dall'ammissione della sua responsabilità, necessaria ai fini della partecipazione alla mediazione.

Di conseguenza, l'inserimento della mediazione nella fase pre-processuale può creare dei problemi di coordinamento tra le esigenze della mediazione e le garanzie processuali.

Ma per la Ruggieri:

L'inserimento dell'istituto in una fase che, seppure non ancora processuale, è soggetta ai principi del processo a tutela dell'indagato, comporta dunque la creazione di una sorta di "zona franca" rispetto ai principi che reggono l'istituzione processuale: con le conseguenze che il giudizio di colpevolezza, anche se virtuale, è circoscritto al giudizio relativo all'opportunità o meno di svolgere il tentativo di mediazione e che ogni dichiarazione dell'indagato in quella sede è sottratta alla disponibilità del magistrato. (13)

Per la Mannozzi:

La principale novità della norma sta comunque più che nel consentire un arricchimento della base dei giudizi diagnostico e prognostico- concernenti la colpevolezza e la rilevanza sociale del fatto, il primo, e la previsione del comportamento del minore, il secondo- nell'allargare il ventaglio degli obiettivi che una più approfondita conoscenza del minore consente di perseguire. L'indagine autorizzata dall'art. 9 p.p.m. è potenzialmente 'polidirezionale': parimenti orientata oltre che alla verifica del grado di imputabilità e alla formulazione del giudizio di colpevolezza, al compimento di una serie di scelte che vanno dalla decisione in merito alla rilevanza sociale del fatto (ex art. 27 p.p.m.), alla individuazione e/o applicazione delle misure cautelari e, ancora, dalla definizione del corredo di prescrizioni per la sospensione del processo con messa alla prova (ex art. 28 p.p.m.) alla scelta delle sanzioni sostitutive da applicare in caso di condanna. (14)

Infatti, quando il minore è inviato, fin dalla fase delle indagini preliminari, all'ufficio di mediazione, si dà la possibilità agli esperti di valutare la responsabilità del minore in ordine al reato commesso, al fine di individuarne le cause che l'hanno condotto all'illecito, e al tempo stesso di promuovere nel minore un nuovo concetto di responsabilità, non più inteso come responsabilità per il reato commesso, ma come responsabilità nei confronti della vittima del reato. In questo modo, il concetto di responsabilità subisce un cambiamento.

Per quanto attiene l'esito positivo del percorso di mediazione, in assenza di una disposizione normativa che ne riconosca rilevanza giuridica in fase pretrial, è possibile utilizzare come primo filtro la disposizione dell'art. 27 c.p.p. min., relativo all'irrilevanza del fatto. Di conseguenza, il proscioglimento per irrilevanza del fatto costituisce l'appiglio normativo che consente di dare rilevanza al percorso di mediazione/riparazione intrapreso dal minore, durante la fase pre-processuale.

Il percorso di mediazione, infatti, può dare al fatto reato una consistenza diversa da quella iniziale. In caso di esito positivo di essa, è possibile per il giudice effettuare un giudizio di rilevanza sociale del fatto sulla base dell'esito della mediazione. Infatti, la riconciliazione tra il minore e la vittima del reato consente di considerare il fatto reato "attenuato". In questo modo, la mediazione può dare concretezza a uno dei criteri previsti dall'art. 27 del d.p.r. 448/1988, quello riguardante la tenuità del fatto, necessario per la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto. Nella valutazione di questo requisito può dunque venire in rilievo il comportamento del minore avuto durante la mediazione, ed eventualmente le attività da questo intraprese per riparare le conseguenze del reato.

Infatti, come osserva la Mannozzi:

La mediazione- lavorando, per così dire, dall'interno del conflitto- ha in sé la capacità di gettare una nuova luce sull'intero fatto di reato. La stessa riparazione, se maturata attraverso la mediazione e se avvenuta prima dell'inizio del dibattimento 'riduce' significativamente la dimensione del danno, riducendo perciò l'efficacia ostativa di uno dei parametri per la valutazione della tenuità del fatto. (15)

Tuttavia, la tenuità del fatto non è l'unico requisito necessario per aversi un proscioglimento per irrilevanza del fatto. Nella valutazione, il giudice deve tenere conto anche dei requisiti dell'occasionalità del comportamento e del pregiudizio per le esigenze educative del minore derivante dalla prosecuzione del processo.

A tale fine, la mediazione può essere utile anche per il giudizio sull'occasionalità del comportamento, giudizio che consiste non soltanto nell'indagine dello stile di vita del minore, ma che investe anche il futuro comportamento del minore, il quale deve essere legato a una valutazione prognostica positiva. Tale obiettivo può essere facilmente raggiunto poiché la mediazione è un percorso che tende a promuovere nell'autore del reato una maggiore responsabilizzazione e una maggiore coscienza dei danni causati dalla sua condotta illecita, grazie al confronto diretto con la vittima del reato.

Mediazione e riparazione, quindi possono fornire delle valutazioni importanti ai fini dell'applicazione della sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, perché frutto delle osservazioni dei mediatori, unici soggetti che hanno avuto modo di verificare l'atteggiamento del minore nel corso della mediazione.

In questo senso, la sentenza di non luogo a procedere, presa in seguito alla conclusione di un percorso di mediazione intrapreso dal minore, può essere la conseguenza della constatazione di un processo di crescita del minore maturata nel suo corso, attraverso il riconoscimento delle sofferenze della vittima e dell'impegno di riparazione assunto nei suoi confronti. L'avvenuta maturazione del minore durante il processo di mediazione, può dare al reato una connotazione meno grave di quella originaria, dando in questo modo la possibilità al Pubblico ministero di chiedere la pronuncia di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto.

Per Vania Patanè la sentenza di non luogo a procedere rappresenta il filtro normativo che consente di formalizzare l'esito positivo della mediazione in fase di indagine preliminare, e osserva che la sentenza

in tale ipotesi vedrebbe, peraltro, stemperata la sua connotazione di provvedimento di stampo indulgenziale, in quanto preceduto da un momento di responsabilizzazione del minore. Questa, a ben vedere, è forse la forma più radicale di diversion fino ad oggi sperimentata dal nostro sistema, in grado di legittimare pratiche di mediazione in una fase comunque prodromica alla celebrazione del processo. Resta, comunque, sempre praticabile, rispetto a fattispecie di reato procedibili a querela, l'ipotesi che a conclusione di un tentativo di mediazione dall'esito positivo, il querelante proceda (sua sponte o dietro sollecitazione) alla remissione della querela, consentendo così la pronuncia di un provvedimento di archiviazione per la mancanza di una condizione di procedibilità. (16)

Altro filtro normativo per dare rilevanza giuridica all'esito positivo della mediazione in fase pre-processuale è l'applicazione dell'istituto del perdono giudiziale. Anche questo istituto, presuppone un giudizio prognostico favorevole sulla futura capacità a delinquere del minore indagato, e un eventuale esito positivo della mediazione può dare un contributo notevole al giudice in tale giudizio. Infatti, uno dei presupposti per la concessione del perdono giudiziale consiste nella presunzione che il minore si asterrà in futuro dal commettere ulteriori reati, e in tal senso, il buon esito della mediazione, promuovendo nel minore una maggiore responsabilizzazione, può offrire al giudice un elemento utile in tale giudizio.

Inoltre, l'uso della mediazione nell'ambito di una sentenza di perdono giudiziale eviterebbe alcuni effetti indesiderati che da questo istituto possono derivare, quali la deresponsabilizzazione del minore rispetto alle sue azioni, la banalizzazione della vittima e delle conseguenze del reato, e il senso d'impunità che può essere percepito dal minore nel momento in cui va esente da pena.

1.2 La mediazione in fase processuale

In fase processuale è possibile fare ricorso alla mediazione grazie all'espressa previsione legislativa contenuta nell'art. 28 del D.P.R. 448/1988. Tale norma, disciplina la sospensione del processo con messa alla prova che può essere disposta dal giudice quando affida il minore ai Servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, per lo svolgimento di un programma di osservazione, trattamento e sostegno, al fine di valutare la personalità del minorenne all'esito della prova. In caso di esito positivo della prova, il giudice dichiara con sentenza estinto il reato, a norma del successivo art. 29.

In particolar modo, è il secondo comma dell'art. 28 che prevede espressamente la possibilità per il giudice di impartire, con l'ordinanza di sospensione del processo "prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione con la persona offesa dal reato". Allo stesso modo, l'art. 27 disp. att. min., nel disciplinare il contenuto del progetto d'intervento per il minore, elaborato dai servizi minorili, stabilisce che esso deve contenere, tra le altre cose, "le modalità di attuazione eventualmente dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa". Perciò, l'art. 28 del d.p.r. 448/88 rappresenta lo spazio normativo all'interno del quale il legislatore ha espressamente previsto lo svolgimento della mediazione.

Perciò, in conformità a quanto disposto da tale norma, il legislatore ha disciplinato solamente un'ipotesi di mediazione 'processuale', inserita nella fase successiva all'esercizio dell'azione penale, nell'ambito di un provvedimento di sospensione del processo con messa alla prova, che può essere disposta solamente nell'Udienza preliminare e nel Dibattimento. Per Vania Patanè:

Ciò che lascia perplessi, nella dinamica applicativa della norma esaminata, al di fuori di possibili articolazioni e contenuti del progetto di intervento, è che la collocazione dell'attività di mediazione in una fase successiva all'esercizio dell'azione penale, all'interno di un istituto funzionalmente concepito come alternativa alla condanna, rischia di degradare la mediazione stessa ad una mera alternativa alla pena e non più al processo, intervenendo quando l'iter del procedimento ha già fissato i presupposti per sanzionare il comportamento attraverso forme più o meno rilevanti di composizione autoritativa del conflitto, con una conseguente, inevitabile stigmatizzazione del minore nel ruolo di imputato che la mediazione dovrebbe invece evitare. (17)

Per Martucci, invece:

L'importanza potenziale delle attività riparatorie e di conciliazione di cui alla norma citata, non risiede solo nel beneficio concreto e diretto apportato alla parte lesa, ma anche nel forte impulso che ne deriva al processo di reintegrazione sociale e, soprattutto, di maturazione del minore. Infatti, la riparazione del danno causato dalla condotta criminosa, oltre a soddisfare i bisogni della vittima, esercita una specifica azione educativa in quanto, stimolando la riflessione del ragazzo sul torto compiuto, potrebbe dissuaderlo del reiterare comportamenti simili per il futuro. (18)

Anche Moro è dello stesso parere, il quale afferma che:

Va rilevato come ne appare evidente la finalità fortemente educativa: le prescrizioni così impartite nell'ambito della sospensione del processo con messa alla prova tendono infatti a responsabilizzare al massimo il minore colpevole e a sviluppare un processo di rivisitazione dell'atto antisociale posto in essere e di superamento dell'offesa arrecata. (19)

Per quanto riguarda le modalità di attuazione della mediazione/riparazione nell'ambito della messa alla prova possono essere ipotizzate tre modalità di attuazione:

  1. previsione del risarcimento del danno, anche parziale, con i guadagni provenienti dall'attività lavorativa prevista dal progetto di messa alla prova per il minore;
  2. prestazione di attività a favore della vittima del reato, o del privato sociale;
  3. presentazione alla parte offesa di scuse formali.

Per Silvio Lugnano:

Il meccanismo delle "prescrizioni" giudiziali, che si pongono come condizioni della diversion, costituiscono, come dimostra l'esperienza tedesca, la negazione della spontaneità e rappresentano, piuttosto, un'espressione tipica di esercizio della giurisdizione "all'interno" del rapporto autore e vittima, mortificando proprio le potenzialità più genuine della mediazione, quale modello di risoluzione dei conflitti, facente leva sul riavvicinamento personale delle parti. (20)

Dai dati sull'applicazione della messa alla prova, emerge che mentre si registra un andamento crescente del numero dei provvedimenti di sospensione del processo per messa alla prova nel periodo 1996- 2005, ad eccezione dell'anno 2006 che vede un decremento del 12,1% rispetto all'anno precedente, si ricava invece un uso limitato delle prescrizioni riguardanti la conciliazione con la parte lesa, che nel 2006 sono state 187, e del risarcimento simbolico del danno, che sempre nello stesso anno sono state 73. Dalle statistiche si ricava una preferenza da parte dei servizi, a inserire nei progetti di messa alla prova prescrizioni riguardanti soprattutto l'attività di volontariato, l'attività lavorativa e di studio, come uniche attività che riescono ad assicurare le finalità risocializzanti dell'istituto. (21)

Tabella 1. Prescrizioni impartite ai minori messi alla prova ex art. 28 D.P.R. 448/88 secondo la nazionalità. Anno 2006
Prescrizioni Italiani Stranieri Totale
Attività di volontariato 908 103 1011
Attività lavorativa 791 153 944
Attività di studio 735 152 887
Attività socialmente utili 299 63 362
Attività sportiva 218 40 258
Permanenza in comunità 200 160 360
Conciliazione parte lesa 179 8 187
Attività di socializzazione 137 20 157
Risarcimento simbolico del danno 72 1 73
Altro 229 53 282

Silvia Larizza, ritiene che:

Data la rilevante valenza pedagogica di tali istituti, la disponibilità del minore a riparare e, se del caso, a riconciliarsi con la vittima del reato potrebbero, da soli, esaurire i contenuti del progetto di messa alla prova. Il legislatore ha dunque assegnato a questi istituti un ruolo marginale confondendoli tra le innumerevoli prescrizioni che possono essere imposte al minore nel suo percorso di prova. (22)

Per quanto attiene gli esiti della mediazione, non sussiste difficoltà nel caso in cui il minore si sia riconciliato con la vittima del reato, infatti, in questo caso, il giudice può tenere in considerazione sia il buon esito della mediazione, sia l'adempimento delle prescrizioni contenute nel progetto di messa alla prova, e pronunciare sentenza di estinzione del reato a norma dell'art. 29 del d.p.r. 448 del 1988.

Invece, in caso di esito negativo della mediazione possono sorgere delle difficoltà nell'interpretare il risultato ai fini della messa alla prova. È pacifico però che, se l'esito negativo della mediazione è dovuto all'ostracismo da parte della vittima di incontrare il minore, tale esito non può essere riversato sul minore, poiché il buon esito della mediazione dipende dalla volontà di entrambe le parti di incontrarsi per affrontare le conseguenze negative generate dalla commissione del reato.

La mediazione può, altresì essere attivata anche nell'ambito dell'applicazione delle sanzioni sostitutive previste nell'art. 32, comma 2 del d.p.r. 448/88, e delle misure alternative alla detenzione a norma dell'art. 47 comma 7 della legge 354/75.

Ai sensi dell'art. 30 del d.p.r. n. 448/88, infatti, è disposto che "con la sentenza di condanna il giudice, quando ritiene di dover applicare una pena detentiva non superiore a due anni, può sostituirla con la sanzione della semidetenzione o della libertà controllata, tenuto conto della personalità e delle esigenze di lavoro o di studio del minorenne nonché delle sue condizioni familiari, sociali e ambientali". Per questo motivo, quando il giudice dispone che il minore sia sottoposto a sanzione sostitutiva può, imporgli delle prescrizioni (non soltanto dal contenuto negativo), che siano funzionali alle sue esigenze educative, e tra queste prescrizioni non è escluso che il giudice disponga che il minore si adoperi in favore della vittima del suo reato.

Per quanto riguarda la misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale, disciplinata dall'art. 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354, legge sull'ordinamento penitenziario che in attesa di una disciplina specifica è applicabile anche ai minori, stabilisce al comma sette che con il verbale di affidamento al servizio sociale, "deve anche stabilirsi che l'affidato si adoperi in quanto possibile in favore della vittima del suo reato...". È evidente che un'attività di mediazione/riparazione intrapresa in fase esecutiva ha una valenza diversa da quella effettuata nelle prime fasi del procedimento penale, che pur promuovendo nel minore una maggiore consapevolezza delle conseguenze derivanti dalla sua condotta illecita, non consente di dare attuazione al principio di 'minima offensività' del processo, prolungando la sua permanenza all'interno del circuito penale.

2. Profili organizzativi della mediazione

In questa sezione riporterò alcuni aspetti riguardanti gli assetti organizzativi degli uffici di mediazione, avendo come punto di riferimento i risultati di un monitoraggio svolto sulle attività di mediazione penale dal Dipartimento della giustizia minorile avviato nell'anno 2003.

2.1 Accordi interistituzionali stipulati per realizzare centri per la mediazione

Dallo studio effettuato dal Dipartimento di giustizia minorile, emerge che, i centri per la mediazione penale minorile che in Italia hanno stipulato degli accordi formali, con il Centro di giustizia minorile, fino a quella data, sono undici. La tipologia degli accordi utilizzati è sostanzialmente di due tipi: nella maggior parte dei casi è stato utilizzato il Protocollo d'intesa, e solamente in due casi è stato usato l'Accordo di programma. Tutti gli accordi stipulati hanno alla base una collaborazione tra gli enti locali (regioni, province e comuni), i servizi della giustizia minorile, e in alcuni casi vi è un'intensa collaborazione con la magistratura minorile, importante anche la presenza di attori del terzo settore.

I contenuti di questi atti possono presentare delle differenze a livello locale, infatti, come rilevano la Mastropasqua e la Ciuffo:

In alcune sedi il protocollo viene inteso come un quadro piuttosto agile volto a regolare gli impegni degli enti, mentre in altre uno spazio specifico viene dedicato anche all'approfondimento delle modalità attuative relative alla partecipazione dei diversi attori coinvolti. (23)

I rapporti con la magistratura sono molto positivi, data la presenza in alcuni centri di mediazione di operatori provenienti dalla giustizia minorile, inoltre tale collaborazione è molto importante anche ai fini di stabilire con la magistratura le modalità d'invio e di segnalazione dei singoli casi.

2.2 La formazione del personale

Dallo studio condotto dal Dipartimento della giustizia minorile, emerge che la maggior parte degli operatori dei centri di mediazione penale minorile, ha seguito un corso di formazione della durata di circa centottanta ore, suddivise in lezioni teoriche e partecipazione in attività pratiche.

Generalmente, la maggior parte dei centri di mediazione ha come modello teorico di riferimento quello francese del "Centre de Mediation e de formation à la mediation", di cui è responsabile la dott. Jacqueline Morineau. Alcuni Centri prendono ispirazione ad altri modelli teorici di riferimento, è stato il caso del Centro di mediazione penale di Trento fino al 2004, mentre Anna Coppola De Vanna, direttrice del Centro di mediazione di Bari, al fine di distinguere il modello umanistico di mediazione fondato sulle emozioni e sull'incontro con 'l'altro', dalle forme di mediazione che si basano invece sulle tecniche di negoziazione, utilizza il termine 'mediterraneo' e precisa:

Sul piano razionale non avevo ben chiaro che cosa potesse significare quel termine, ma sul piano emotivo esso rimandava ai colori, ai sapori, ai profumi, ai mestieri della nostra terra mediterranea, richiamando, in contrasto con le idee pragmatiche per le quali la mediazione è una forma di negoziazione, il clamore delle emozioni che risuonano nella stanza di mediazione e per le quali non è possibile realizzare alcuna forma di negotium. (24)

2.3 Il personale

Per quanto attiene alla composizione del personale che opera all'interno degli uffici di mediazione, dai dati emerge una composizione eterogenea. Gli uffici di mediazione sono composti da operatori della giustizia minorile (CGM, USSM, IPM), degli enti locali e del privato sociale.

Per quanto riguarda l'analisi delle figure professionali presenti all'interno degli uffici di mediazione, si rileva la presenza soprattutto di psicologi, educatori, avvocati, giudici onorari, assistenti sociali, insegnanti, criminologi, oltre al personale dell'area amministrativa.

Il numero degli operatori presenti nei centri di mediazione varia secondo la realtà locale, ma generalmente essi prestano la loro attività nel centro di mediazione in maniera part-time, data la provenienza da diverse istituzioni.

3. Il percorso di mediazione

In questo paragrafo sono illustrate le varie fasi in cui si articola il percorso di mediazione, le modalità di attivazione della mediazione, e le modalità che sono usate per contattare i destinatari del percorso di mediazione.

Anche in questo caso saranno utilizzati i dati emersi dallo studio condotto dal Dipartimento della giustizia minorile.

3.1 Invio dei casi e modalità di attivazione

I casi da inviare in mediazione generalmente sono decisi dall'Autorità giudiziaria, il più delle volte dal Pubblico ministero, nell'ambito del contesto normativo dell'art. 9 del d.p.r. 4448/1988, o dal giudice nell'ambito del contesto normativo dell'art. 28 d.p.r. 448/1988.

Le modalità di attivazione possono essere di tre tipi: un primo modo consiste nell'invio del caso da parte dell'Autorità giudiziaria, dopo aver acquisito il consenso del minore, direttamente al Centro di mediazione locale, oppure all'USSM.

Altre volte, autore del reato, vittima e Centro di mediazione sono contattati contestualmente per lettera dal Tribunale, in seguito sarà il Centro di mediazione a verificare la fattibilità della mediazione, e a raccogliere il consenso del minore e della persona offesa. In altri casi, può essere l'USSM che propone al minore un percorso di mediazione, e in caso di assenso del minore viene contattato il Centro di mediazione che provvederà allo svolgimento della mediazione.

I dati indicano che il tempo che trascorre in media dal momento della commissione del reato, all'invio del minore al Centro di mediazione, è di circa un anno. Tale intervallo può comportare delle conseguenze negative circa la fattibilità della mediazione.

3.2 Le modalità di contatto delle parti

Le modalità che gli uffici di mediazione usano per contattare il minore autore del reato e la vittima sono molte.

Generalmente, il mediatore cui è assegnato il caso spedisce al minore, ai genitori, alla vittima e agli avvocati, una lettera contenente l'invito al colloquio preliminare e un volantino illustrativo dell'attività svolta dall'ufficio di mediazione. In seguito, le parti sono contattate telefonicamente dall'ufficio di mediazione per individuare la data per lo svolgimento del colloquio preliminare.

3.3 Gli incontri tra le parti

I dati sul monitoraggio della mediazione penale minorile confermano che la mediazione ha inizio con un incontro separato del mediatore con la vittima e con l'autore del reato.

Gli incontri individuali, sono finalizzati a raccogliere il consenso delle parti per lo svolgimento del percorso di mediazione. Nel corso di questi incontri, il mediatore cerca anche di individuare quali sono le aspettative delle parti rispetto alla mediazione, le quali possono rivelarsi importanti ai fini del buon esito della mediazione.

In seguito ai colloqui preliminari, se le parti decidono di proseguire il percorso di mediazione intrapreso, si svolgerà una serie d'incontri diretti tra vittima e autore del reato, finalizzati al confronto sul conflitto generato dal reato e alla ricerca di un accordo di riparazione o alla riconciliazione dei due soggetti in conflitto.

Note

1. P. Martucci, La conciliazione con la vittima nel processo minorile, in G. Ponti (a cura di), Tutela della vittima e mediazione penale, Milano, Giuffrè editore, 1995, p. 159.

2. M. Gialuz, Mediazione e conciliazione, in F. Peroni, M. Gialuz, La giustizia penale consensuale. Concordati, mediazione e conciliazione, Torino, Utet, 2004, p.107.

3. F. Di Ciò, "Un modello 'mite' di giustizia: la mediazione penale minorile", in Prospettive Sociali e Sanitarie, A. 28, n. 4, 1998, p. 7.

4. A. Ceretti, "Progetto per un ufficio di mediazione penale", in G.V. Pisapia, D. Antonucci (a cura di), La sfida della mediazione, Padova, Cedam, 1997, p. 101.

5. M. Pavarini, Decarcerizzazione e mediazione nel sistema penale minorile, in L. Picotti (a cura di), La mediazione nel sistema penale minorile, Padova, Cedam, 1998, p. 16.

6. F. Malagnino, Le iniziative dell'ufficio centrale per la giustizia minorile nel campo della mediazione, in F. Molinari, A. Amoroso (a cura di), Criminalità minorile e mediazione. Riflessioni pluridisciplinari, esperienze di mediazione e ricerche criminologiche sui minori, Milano, Franco Angeli, 1998, pp. 31-32.

7. M.G. Pinna, La vittima del reato e le prospettive di mediazione nella vigente legislazione processuale penale, in F. Molinari, A. Amoroso (a cura di), Criminalità minorile e mediazione, cit., p. 117.

8. A. Mestitz, S. Ghetti, "Esperienze di mediazione penale: comunicazioni tra mediatori e magistrati minorili", in Mediares, n. 3/2004, p. 98.

9. P. Pazé, "Caratteri, potenzialità e limiti della mediazione nel procedimento penale minorile", in Mediares, n.6, 2005, p. 232.

10. M. G. Pinna, La vittima del reato e le prospettive di mediazione nella vigente legislazione processuale penale, in F. Molinari, A. Amoroso (a cura di), Criminalità minorile e mediazione, cit., p.119.

11. G. Scardaccione, "La mediazione nel processo penale minorile", in Famiglia e Minori, A. X, n. 19, 1998, p. 73.

12. P. Pazè, Caratteri, potenzialità e limiti della mediazione nel procedimento penale minorile, cit., p. 236.

13. F. Ruggieri, Obbligatorietà dell'azione penale e soluzioni alternative nel processo penale minorile, in L. Picotti (a cura di), La mediazione nel sistema penale minorile, cit., p.195.

14. G. Mannozzi (a cura di), La giustizia senza spada: uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale, Milano, Giuffrè, 2003, p.255.

15. G. Mannozzi, La giustizia senza spada, cit., p.264.

16. V. Patanè, Ambiti di attuazione di una giustizia conciliativa alternativa a quella penale: la mediazione penale, in A. Mestitz (a cura di), Mediazione penale: chi, dove, come e quando, Roma, Carocci editore, 2004, p. 33.

17. V. Patanè, Ambiti di attuazione di una giustizia conciliativa alternativa a quella penale: la mediazione, cit., pp. 31-32.

18. P. Martucci, La conciliazione con la vittima nel processo minorile, in G. Ponti (a cura di), Tutela della vittima e mediazione penale, cit., p. 162.

19. C.A. Moro (a cura di), Manuale di diritto minorile, Bologna, Zanichelli, 2002, p. 484.

20. S. Lugnano, La mediazione penale minorile per una nuova prospettiva di politica criminale, Napoli, La città del sole, 2000, pp.54-55.

21. Dati relativi all'anno 2006, pubblicati sul sito del Dipartimento per la Giustizia Minorile.

22. S. Larizza, Profili sostanziali della sospensione del processo minorile nella prospettiva della mediazione penale, in L. Picotti (a cura di), La mediazione nel sistema penale minorile, cit., p. 112.

23. I. Mastropasqua, E. Ciuffo, "I cento fiori della mediazione penale minorile. Indagine nei servizi della Giustizia minorile", in Mediares, n.4, 2004, p.110.

24. A. Coppola De Vanna, "Sulla mediazione mediterranea", in Mediares, n. 8/2006, p. 75.