ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Considerazioni conclusive

Roberto Perotti, 2006

L'ergastolo, disciplinato dal Codice penale agli artt. 22 e seguenti e 72 e seguenti, costituisce nel vigente diritto penale la sanzione più grave. Il carattere principale della pena dell'ergastolo è la perpetuità: condanna all'ergastolo vuol dire condanna a vita, questo è il suo carattere esclusivo. Il tenore originario della pena e il rigore esecutivo dell'Ordinamento penitenziario dell'epoca delineavano una pena con restrizione perpetua della libertà personale e perciò a carattere eliminatorio dalla vita sociale, anche per le gravi conseguenze indotte dalle pene accessorie. L'originaria identificazione dell'ergastolo con la "morte civile", in quanto pena perpetuamente desocializzante, risulta oggi notevolmente mitigata. Le modifiche più rilevanti sono state introdotte con le leggi n. 1634 del 1962, n. 354 del 1975, n. 689 del 1981 e n. 663 del 1986.

La legge 25 novembre 1962, n. 1634, ha ammesso l'ergastolano alla liberazione condizionale, quando abbia effettivamente scontato vent'otto anni di pena (art. 176, terzo comma, del Codice penale), che poi l'art. 28 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, ha ridotto a ventisei; il comma secondo dell'art. 22 del Codice penale è stato, poi, modificato dall'art. 1 della medesima legge nel senso che il condannato all'ergastolo può essere ammesso al lavoro all'aperto, ma tale beneficio, in seguito alle recenti modifiche, può essere concesso ai condannati per i delitti più gravi, dopo l'espiazione di almeno dieci anni di pena o purché collaborino con la giustizia a norma dell'art. 53-ter dell'Ordinamento penitenziario ovvero siano stati acquisiti elementi tali da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata (Legge 12 luglio 1991, n. 203 di conversione del Decreto legge 13 maggio 1991, n. 152).

Notevoli benefici sono stati, successivamente, apportati dalla Legge 26 luglio 1975, n. 354, concernente l'Ordinamento penitenziario. Questa legge ha abolito i cosiddetti "ergastoli", gli istituti penitenziari in cui veniva scontata la pena perpetua, per cui i condannati sono assegnati a normali case di reclusione. L'obbligo del lavoro non rappresenta più una caratteristica particolare dell'ergastolo, poiché adesso riguarda tutti i condannati a pena detentiva, come dispone l'art. 20, comma terzo, della legge. Anche l'isolamento notturno deve ritenersi caduto a seguito dell'art. 6, secondo comma, dell'Ordinamento penitenziario.

La perdita della capacità di testare non è più prevista come conseguenza dell'ergastolo, ma soltanto come effetto dell'interdizione legale (art. 32 del Codice penale). L'interdizione legale, come la decadenza dalla potestà sui figli minori non è caratteristica solo dell'ergastolo, ma consegue anche alle pene temporanee non inferiori a cinque anni, nei limiti della durata della pena. A seguito poi della modifica introdotta dall'art. 119, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), è caduta anche la nullità del testamento fatto prima della condanna.

La legge 10 ottobre 1986, n. 663, infine, sostituendo, con l'art. 14, l'art. 50, secondo comma, della legge penitenziaria n. 354 del 1975, ha ammesso anche il condannato all'ergastolo al regime di semilibertà, dopo l'espiazione di almeno venti anni di pena. L'art. 18 della stessa legge del 1986 ha consentito all'ergastolano, quando abbia dato prova di partecipare all'opera di riadattamento sociale, di ottenere la riduzione della pena, soprattutto finalizzata all'anticipazione della liberazione condizionale rispetto al termine minimo fissato dall'art. 176, terzo comma, del Codice penale.

La questione della legittimità costituzionale della pena dell'ergastolo è stata oggetto di numerose pronunce che hanno manifestato un preciso orientamento giurisprudenziale: il principio di rieducazione del condannato avrebbe un carattere meramente eventuale, mentre carattere fondamentale della pena sarebbe quello punitivo-retributivo (1). Le Sezioni unite della Corte di Cassazione, infatti, con ordinanza 16 giugno 1956 (2), affermarono la compatibilità dell'ergastolo con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, ritenendo "manifestamente infondata" la relativa eccezione. La Corte, infatti, sostenne che la pena dell'ergastolo non era incompatibile con la prima parte del terzo comma dell'art. 27 della Costituzione ("le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità"), perché l'inciso avrebbe riguardato soltanto le modalità di esecuzione della pena, ma non la specie di pena; circa la seconda parte del citato comma ("le pene devono tendere alla rieducazione del condannato"), la Corte sostenne che la rieducazione non doveva assicurare necessariamente il reinserimento sociale del condannato, poiché la finalità rieducativa era soltanto una delle diverse finalità della pena. Altro argomento per respingere la tesi dell'incostituzionalità della pena dell'ergastolo fu la considerazione che se la Costituzione aveva escluso, nell'ultimo comma dell'art. 27, solo la pena di morte, ciò significava, secondo "l'argomentum a contrario", che l'ergastolo era da ritenersi ammissibile.

La Corte costituzionale, con sentenza n. 264 del 1974 (3), ha dichiarato la legittimità costituzionale dell'ergastolo, enunciando la 'famosa' "teoria polifunzionale della pena" secondo cui: "Funzione (e fine) della pena non è certo il solo riadattamento dei delinquenti, purtroppo non sempre conseguibile. A prescindere sia dalle teorie retributive secondo cui la pena è dovuta per il male commesso, sia dalle dottrine positiviste, secondo cui esisterebbero criminali sempre pericolosi e assolutamente incorreggibili, non vi è dubbio che dissuasione, prevenzione, difesa sociale, stiano, non meno della sperata emenda, alla radice della pena". La Corte ha negato che una sanzione detentiva perpetua sia da considerarsi proscritta dall'ordinamento costituzionale, fondando la decisione, in particolare, sulla possibilità per il condannato, una volta "recuperato", di fruire della liberazione condizionale e ravvisando in questa possibilità l'attuazione del principio costituzionale.

Va, poi, menzionata la sentenza n. 274 del 27 settembre 1983 (4), che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il divieto di ammettere i condannati all'ergastolo al godimento degli sconti di pena consentiti dall'istituto della liberazione "anticipata", con conseguente riduzione dei tempi necessari ai fini della liberazione condizionale.

La sentenza 28 aprile 1994, n. 168, della Corte costituzionale ha ravvisato, invece, un'incompatibilità insanabile tra la pena perpetua e la minore età facendo leva sul particolare significato che la rieducazione finisce con l'assumere ove venga riconsiderata alla stregua della speciale protezione che l'art. 31 della Costituzione accorda all'infanzia e alla gioventù. La pena dell'ergastolo non è, quindi, più applicabile ai minori (5).

La Corte costituzionale stessa, successivamente, con ordinanza n. 337 del 1995, ha osservato che "la pena dell'ergastolo, nonostante il suo inquadramento nell'attuale tessuto normativo abbia, a determinati fini, provocato il venire meno della rigorosa caratteristica di perpetuità che all'epoca dell'emanazione del codice la connotava, deve considerarsi comunque una pena perpetua tanto da non ammettere scomputi che non incidano sulla natura stessa della pena". Ha poi aggiunto:

Ciò sta a significare che se, a taluni fini, la pena dell'ergastolo può assumere il carattere della temporaneità nel quadro di quelle misure premiali che anticipano il reinserimento come effetto del sicuro ravvedimento del condannato, da comprovarsi dal giudice sulla base non solo della buona condotta tenuta durante l'espiazione della pena, bensì, soprattutto, della sua partecipazione rieducativa, non è possibile detrarre dalla pena inflitta la misura corrispondente all'indulto, perché altrimenti, s'inciderebbe sulla natura stessa della pena quale irrogata in sede di cognizione con inevitabili riverberi non solo sulla misura ma sulla quantità della pena stessa.

La Corte costituzionale, infine, con sentenza n. 161 del 4 giugno 1997 (6), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'ultimo periodo del comma primo, dell'art. 177 del Codice penale, nella parte in cui non prevedeva che il condannato alla pena dell'eragstolo, cui fosse stata revocata la liberazione condizionale, potesse essere nuovamente ammesso a fruire del beneficio se ne sussistessero i relativi presupposti.

La pena dell'ergastolo è sempre stata oggetto di controversie anche in dottrina, circa la sua utilità, ammissibilità e comunque compatibilità con le indicazioni contenute nell'art. 27 della Costituzione. La maggioranza della dottrina ritiene oggi che le provvidenze intervenute negli ultimi quarant'anni abbiano reso, di fatto, l'ergastolo "una pena detentiva temporanea (a durata minima predeterminata) suscettibile di protrarsi nel tempo fino alla morte del condannato" (7). La gran parte della dottrina è, inoltre, schierata per il mantenimento dell'ergastolo fino a quando, almeno, "non sarà stata scoperta un'alternativa che si dimostri effettivamente più valida sui versanti general e special- preventivo" (8). In particolare sulla congruità di questa sanzione sotto il profilo di politica penale e criminale è stato osservato che:

Di fronte alle opposte pretese di reintrodurre la pena di morte e di eliminare l'ergastolo, il principio di realtà sembra consigliare, tra i repressivismi ancestrali e gli illuminismi astratti, la soluzione intermedia di soprassedere all'abolizione dell'ergastolo in attesa di tempi più tranquilli per non indebolire, inopportunamente l'apparato intimidativo, come hanno realisticamente concluso altri paesi (es. codice tedesco riformato) ed ha indicato l'esito negativo del referendum abrogativo del 1981 (9).

Si è affermato, inoltre: "Pretendere oggi di eliminare l'ergastolo potrebbe essere, a tempi più lunghi, un lavorare a favore della pena di morte" (10).

L'ergastolo resta, invece, per una parte minoritaria della dottrina, una pena perpetua anche oggi. Gli aspetti di illegittimità, sia costituzionale che etico-politica della pena dell'ergastolo sono secondo questa parte della dottrina (11):

  1. Violazione del principio, stabilito dall'art. 27 della nostra Costituzione, secondo cui "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità". L'ergastolo è considerato una pena disumana perché sopprimendo per sempre la libertà di un uomo, ne nega radicalmente l'umanità. In questo senso oltre che disumana, essa è incompatibile con il principio della dignità del cittadino sancito dall'art. 3 della Costituzione. L'ergastolo, giacché pena "eliminativa", è in contraddizione con l'idea stessa della persona come fine e quindi del valore e della dignità della persona che è alla base dello Stato di diritto.
  2. L'ergastolo è in contrasto con il principio stabilito dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione, secondo cui "le pene devono tendere alla rieducazione del condannato". Carnelutti (12) e Ferrajoli (13) hanno chiarito che l'unico significato del termine rieducazione, che sia coerente con il paradigma liberale dello stato di diritto, i cui principali postulati sono la sovranità della persona sulla propria mente e la separazione fra diritto e morale, è quello di "reinserimento o recupero sociale".
  3. Il terzo profilo di illegittimità riguarda la violazione del principio di uguaglianza, poiché si è notato una pesante discriminazione tra ergastolani: alcuni dei quali ammessi, altri non ammessi al beneficio della liberazione condizionale e agli altri benefici previsti dalla legge Gozzini, sulla base di criteri per loro natura discrezionali (14). Si deve ricordare che la Corte costituzionale ha ritenuto legittima la pena dell'ergastolo, ovverosia non contrastante con il principio del finalismo rieducativo della pena, solo perché potrebbe non essere perpetuo (15). Questo significa, però, ritenere illegittimi gli ergastoli che per una ragione o per un'altra restano tali.
  4. La pena dell'ergastolo contraddice, poi, il profilo di giurisdizionalità delle pene, il quale esclude pene fisse non graduabili sulla base della valutazione del caso concreto, essendo, inoltre, soltanto facoltativa l'ammissione alla liberazione condizionale, che potrebbe non essere concessa. La stessa Corte costituzionale si è pronunciata a favore della tesi che assume come costituzionalmente imposta una commisurazione "individualizzata" della sanzione punitiva: ed, infatti, la Corte ha affermato che "in linea di principio, previsioni sanzionatorie fisse non appaiono proporzionate all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato" (16). Il profilo di ingiustizia diventa ancora più grave nel caso previsto dall'art. 73 del Codice penale, nel quale la pena dell'ergastolo si applica "quando concorrono più delitti, per ciascuno dei quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni".

L'ergastolo, a nostro avviso, non è una pena assimilabile alla reclusione, ma è una pena da essa quantitativamente diversa, assai più simile alla pena di morte che non a quella della privazione temporanea della libertà personale. La possibilità per il condannato alla pena dell'ergastolo di ottenere la liberazione, se egli collaborerà alla sua risocializzazione sottoponendosi al trattamento rieducativo, rimane pur sempre legata alla liberazione condizionale che è un istituto premiale. Nel nostro Paese, però, sono pochi gli stabilimenti penitenziari dov'è concretamente possibile la finalizzazione del trattamento al recupero sociale del condannato: sarebbe quindi auspicabile, prima di tutto, l'instaurazione di tutte le condizioni di funzionamento degli istituti previsti dall'Ordinamento penitenziario.

Si deve ricordare, poi, che una determinata categoria di delinquenti soffre il trattamento come una violenza, come un condizionamento ricattatorio, perché hanno "ispirato la loro condotta di vita ad un Super-io criminale e avvertono la società legale dello Stato di diritto come nemica" (17). In tali casi, considerando anche che la concessione dei benefici e delle misure alternative alla detenzione sono spesso legate al requisito della collaborazione con la giustizia, il problema della perpetuità della pena resta in tutta la sua interezza poiché non si realizzano le condizioni concernenti la liberazione condizionale, lo sconto di pena, la grazia e il condono.

La pena dell'ergastolo per la sua caratteristica di "perpetuità", il suo essere destinata a non finire mai, cambia la condizione esistenziale del detenuto e la sua raffigurazione del futuro, per questo motivo, a nostro avviso, dovrebbe essere abolita. L'abolizione della pena dell'ergastolo dovrebbe, però, avvenire nell'ambito di una riforma globale del Codice penale e quindi in un contesto di riequilibrio di tutte le pene. Il momento storico-politico non è, probabilmente, favorevole per l'abolizione della pena dell'ergastolo: si deve ricordare, infatti, che l'imminenza della scadenza elettorale non giova alla riapertura del dibattito sull'abolizione poiché la competizione politica è caratterizzata ormai da anni, dai temi dell'allarme sociale causato dalla criminalità organizzata prima e dal terrorismo internazionale adesso. Anche all'Estero, inoltre, il mantenimento della pena dell'ergastolo è stato ritenuto una scelta irrinunciabile: negli Stati Uniti, infatti, è stata approvata una legge federale che commina obbligatoriamente l'ergastolo ai plurirecidivi di gravi crimini commessi mediante violenza (18). In Francia, nel contesto del nuovo Codice penale entrato in vigore il primo marzo 1994, che ha sostituito il Code pénal Napoléon, fino ad allora vigente, è stata prevista una pena "effettivamente perpetua" ("peine de perpetuité réelle") (19).

Riteniamo, per questi motivi, utile rilanciare la proposta già fatta dal Presidente Gallo (20) di diminuire i casi in cui l'ergastolo è comminato, riservando questa pena a quegli illeciti che non solo sono oggettivamente gravi, ma "corrispondono anche ad un tipo e ad una costante univoca". Dovrebbe anche essere abbreviato il termine per la concedibilità della liberazione condizionale e, aggiungiamo noi, mantenuto l'ordinario procedimento dell'art. 176, antecedente alla normativa restrittiva del 1991/92, in modo da attenuare la potenzialità eliminatrice di questa pena, che Benjamin Constant (21), illustre scrittore illuminista, giudicò più afflittiva della pena di morte e nella quale vide un ritorno "alle più rozze epoche, un consacrare la schiavitù, un degradare l'umana condizione".

Note

1. Si deve ricordare che la stessa Corte costituzionale ha esteso i principi di cui al terzo comma dell'art. 27 della Costituzione non solo al momento della cognizione e di applicazione della pena, ma persino al momento della sua posizione normativa. Sentenza n. 313 del 2 luglio 1990, in tema di intervento del giudice nel patteggiamento.

2. Sezioni Unite Cassazione, 16 giugno 1956, in "Rivista italiana di diritto penale", 1956, p. 485; in "Rivista penale", 1956, II, p. 718; in "Giustizia penale", 1956, I, p. 226 e in "Giurisprudenza costituzionale", 1956, p. 805.

3. Corte costituzionale, sentenza 22 novembre 1974, n. 264, in "Giurisprudenza costituzionale", 1974.

4. Corte costituzionale, 27 settembre 1983, n. 274, in "Foro italiano", 1983, I, p. 223.

5. Corte costituzionale, sentenza 28 aprile 1994, n. 168, in "Giurisprudenza costituzionale", 1994, I, p. 1254.

6. Corte Costituzionale, sentenza 4 giugno 1997, n. 161, in "Giurisprudenza italiana", 1999, I, pp. 121 e ss, cit.

7. Marini G., Lineamenti del sistema penale, 1993, p. 930.

8. Nunziata M., Incredibile: ancora si propone l'abolizione della pena dell'ergastolo!?, in "Il nuovo diritto", 1995, I, p. 72.

9. Mantovani F., Diritto penale, III edizione, Cedam, Padova 1992, p. 776.

10. Mantovani F., Il problema della criminalità, Cedam, Padova 1984, p. 483.

11. Si veda in particolare Ferrajoli L., Ergastolo e diritti fondamentali, cit., pp. 81 e ss.

12. Carnelutti, La pena dell'ergastolo è costituzionale?, in "Rivista diritto processuale", 1956, I, p. 2.

13. Ferrajoli L., Ergastolo e diritti fondamentali, cit., pp. 81 e ss.

14. Si veda sentenza n. 135 del 2003, citata.

15. Sentenza n. 164 del 1974, cit.

16. Corte costituzionale, 2 aprile 1980, n. 50, in "Rivista italiana di diritto e procedura penale", 1981, p. 725.

17. Gallo E., Significato della pena dell'ergastolo, cit., p. 76.

18. Ci si riferisce al Violent crime control and law enforcement act del 1994, che ha introdotto la regola conosciuta come "tre sbagli e sei eliminato" ("three strikes and you're out", com'è compendiata da una frase che indica la regola del gioco del baseball, secondo al quale il battitore che manca per tre volte di colpire la palla è eliminato dal gioco). Chi venga riconosciuto colpevole per la terza volta, di un crimine violento è condannato obbligatoriamente (e quindi automaticamente) all'ergastolo. Ciò è stato fatto nonostante l'ottavo emendamento della Costituzione degli USA, vieti l'inflizione di pene crudeli e inusuali. La previsione legislativa è stata ritenuta coerente con tale dettato costituzionale.

19. Si veda Palazzo F., Papa M., Lezioni di diritto penale comparato, cit.

20. Gallo E., Significato della pena dell'ergastolo, cit., p. 77.

21. Constant B., Commento sulla scienza della legislazione di G. Filangieri, in appendice a Filangieri Gaetano, La scienza della legislazione, Tipografia della Società Belgica, Bruxelles 1841, p. 607.