ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Introduzione

Federico Giacomelli, 2006

La normativa italiana in materia di ordinamento penitenziario, avente cioè ad oggetto la disciplina dell'esecuzione della pena cui sono tenuti quanti hanno commesso dei reati per la punizione dei quali è prevista la pena detentiva, è ispirata al principio espresso dalla nostra Costituzione per cui "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato" (art. 27 terzo comma).

Questo concetto è ribadito e specificato ulteriormente dal primo articolo della legge intitolata "Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà personale" (legge n. 354 del 1975) in cui si dice che "nei confronti dei condannati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con il mondo esterno, al reinserimento sociale degli stessi".

La rieducazione dei condannati deve essere intesa, dunque, in armonia con il principio di laicità dell'ordinamento giuridico che rifugge da valutazioni afferenti alla sfera morale, quale offerta di interventi finalizzata al reinserimento sociale dei soggetti sottoposti a esecuzione di pena detentiva.

In questi termini si esprime, infatti, l'art. 1, 6º co., dell'Ordinamento penitenziario ove è previsto che il trattamento sia "attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti", ed ancor meglio l'art. 1 d.p.r. 30 giugno 2000, n. 230 (Reg. Ordinamento penitenziario), laddove stabilisce che:

"Il trattamento rieducativo dei condannati e degli internati è diretto, inoltre, a promuovere un processo di modificazione delle condizioni e degli atteggiamenti personali, nonché delle relazioni familiari e sociali che sono di ostacolo a una costruttiva partecipazione sociale".

Tenendo presenti questi principi generali la nostra indagine si è proposta di analizzare l'evoluzione dell'istituto dell'affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 della legge 26 luglio 1975), misura alternativa alla detenzione definita il "fiore all'occhiello" (1) della riforma penitenziaria. Abbiamo scelto di occuparci dell'affidamento in prova non solo perché è la misura di più ampia applicazione, ma anche perché la sua peculiare connotazione di misura "controllata ed assistita" la rende il principale strumento di attuazione del finalismo rieducativo della pena.

La moderna scienza penalistica (2) ha infatti spostato l'asse di interesse dalla pena, come riferimento concettualmente unico ed ultimo per garantire l'armonia dell'ordinamento, alla persona del reo, quale soggetto meritevole dell'interesse sociale pur in presenza del giudizio di riprovevolezza che la coscienza collettiva attribuisce ad alcuni degli atti da lui compiuti.

L'evoluzione delle modalità punitive (3) ha quindi assegnato alla sanzione penale una funzione rieducativa diretta a conseguire il reinserimento del responsabile nel contesto sociale.

L'obiettivo che ci siamo proposti è quello di verificare attraverso l'esame dell'evoluzione normativa dell'istituto e, della sua prassi applicativa, se la misura alternativa dell'affidamento in prova abbia realizzato lo scopo che la Costituzione assegna, ad ogni pena, ossia quella di punire e, allo stesso tempo, aiutare il condannato a reinserirsi nella società.

La nostra ricerca ha posto l'attenzione sulla misura dell'affidamento in prova al servizio sociale, quale strumento idoneo ad evitare per determinati soggetti condannati, la detenzione e quindi quel processo di "prigionizzazione" (4) che secondo la sociologia penitenziaria, alimenta e approfondisce l'antisocialità del detenuto rendendolo succube della subcultura della comunità carceraria e della sua ideologia.

L'indagine ha avuto come punto di partenza l'inquadramento storico - sistematico dell'istituto. L'affidamento in prova al servizio sociale ha mutuato i suoi caratteri essenziali dal probation system, abbiamo analizzato quindi le radici del probation, che sono da rinvenire nella prassi dei tribunali nordamericani del XIX sec. e nella pratica della common law inglese del XII - XIII sec. rievocando la figura di John Augustus, un calzolaio di Boston del XIX sec. unanimemente riconosciuto come il padre del probation.

In Italia l'introduzione del probation è legato all'avvio delle prime esperienze di servizio sociale nell'area della giustizia, intervenute nel sistema dell'esecuzione penale a partire dalla fine degli anni 40. Da quel momento cronologico è stato evidenziato il percorso che ha portato alla promulgazione della legge 26 luglio 1975, n. 354, sull'Ordinamento penitenziario, introduttiva delle misure alternative alla detenzione, tra cui appunto l'affidamento in prova al servizio sociale (art. 47).

Quindi ci siamo soffermati sull'importanza della "riforma" del'75, parlare dell'affidamento o più generalmente di "area penale esterna" significa infatti parlare di pena "flessibile", e cioè di un connotato che, nel nostro ordinamento, è stato introdotto e sviluppato dalla legge penitenziaria e dai successivi interventi novellistici ad essa relativi.

È affermazione ricorrente e difficilmente contestabile quella secondo cui la riforma penitenziaria ha attuato, a livello di legge ordinaria, il principio del finalismo rieducativo della pena, enunciato nell'art. 27 comma 3 Cost. Prima di allora la pena inflitta con la sentenza di condanna era tendenzialmente immodificabile, sia perché prevaleva nella cultura giuridica la concezione "retributiva" della pena, sia perché il comando contenuto nella sentenza di condanna era considerato intangibile, una volta che la sentenza stessa fosse divenuta irrevocabile (si parlava, in proposito, di "sacralità" del giudicato).

Il disegno, che porta il legislatore italiano tra gli anni 70 e 80 a privilegiare il settore dell'esecuzione esterna per ridimensionare il monopolio della pena detentiva, è agevolato dalla consapevolezza che in quel momento non c'è alcuna realistica prospettiva di pervenire ad una riforma del codice penale.

Si parte dunque pur sempre dalla pena detentiva, fermo restando che quella inflitta al termine del processo di cognizione non è più la pena da espiare, ma è la pena massima da espiare (una flessibilità in pejus, pur concepibile sul piano logico, contrasterebbe con elementari esigenze garantistiche e costituzionali) suscettibile di attenuazioni quantitative o qualitative in rapporto al singolo percorso rieducativo: attenuazioni che, per essere in sintonia con vincolanti coordinate costituzionali, portano alla creazione di un giudice specializzato (il tribunale di sorveglianza), il quale decide in esito a un processo giurisdizionale (il procedimento di sorveglianza).

Per meglio comprendere l'introduzione dell'affidamento in prova al servizio sociale e delle altre misure alternative nel sistema italiano, abbiamo analizzato gli accordi internazionali che hanno accompagnato la riforma e ci siamo soffermati sugli attuali indirizzi di sviluppo, che concernono l'applicazione nell'ambito dell'esecuzione penale dei condannati adulti di forme di giustizia riparativa.

Quindi sempre nella prima parte dell'indagine abbiamo evidenziato i caratteri salienti della disciplina giuridica dell'affidamento in rapporto all'evoluzione normativa che, dall'approvazione della riforma penitenziaria del 1975 ad oggi, ha inciso sull'ambito di applicabilità dell'istituto. Le modifiche introdotte con le riforme "Gozzini" (legge 10 ottobre 1986, n. 663) e "Simeone" (legge 27 maggio 1998, n. 165), hanno infatti ampliato il carattere premiale del beneficio e allargato il ventaglio delle possibilità di accesso alla misura.

E' stata prevista in particolare la possibilità di accedere alla misura anche a quei condannati che si trovano nello stato di libertà nel momento dell'emissione del provvedimento di esecuzione, senza dover entrare in carcere per sottoporsi all'osservazione prevista dall'art. 13 dell'ordinamento penitenziario.

Si sono così create, ed oggi sussistono contestualmente, due species ben distinte di affidamento in prova, una definita "storica", concessa al detenuto, non prima che questi abbia scontato almeno un mese di carcerazione (art. 47, 2º co.); la seconda invece definita "anticipata" che vede l'ammissione del condannato alla misura, dopo la definitiva condanna, direttamente dallo stato di libertà (art. 47, 3º co.).

Inoltre sul piano normativo attualmente sono previste ben tre tipi di affidamento in prova al servizio sociale: l'affidamento che possiamo definire "ordinario" disciplinato dall'art. 47 dell'ordinamento penitenziario (oggetto della nostra analisi); l'affidamento in prova in casi particolari disciplinato dall'art. 94 del d.p.r. n. 309/1990 (recentemente modificato dalla legge 21 febbraio 2006, n. 44) (5); l'affidamento in prova per i soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria o comunque da altra malattia particolarmente grave, disciplinato dall'art. 47-quater.

Il piano del nostro lavoro nella sua seconda parte ha trattato della disciplina positiva dell'istituto, analizzando singolarmente i presupposti necessari per la concessione della misura e le cause di preclusione. In particolar modo lo sguardo verte sull'evoluzione giurisprudenziale del concetto di pena "inflitta" (art. 47, 1º co. Ord. Penit.), uno degli aspetti più controversi della norma dedicata all'affidamento in prova. L'indicazione testuale, apparentemente chiara, fu infatti spesso interpretata in modi diversi già negli anni immediatamente successivi all'entrata in vigore della legge n. 354/75, provocando così una vera e propria querelle giurisprudenziale, caratterizzata da pronunce tanto autorevoli quanto contrastanti, i cui principali punti di snodo sono rappresentati dalla sentenza della Corte Costituzionale 11 luglio 1989, n. 386, (6) e dall'art. 14-bis, 1º comma del decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356.

L'analisi si è quindi incentrata sul concetto di "prognosi di rieducabilità", elemento centrale nella disciplina della misura (art. 47 2º co. Ord. Penit.). Tenendo presente la distinzione tra le due species di affidamento sopra richiamate, abbiamo esaminato gli elementi utilizzabili dal Tribunale di Sorveglianza per formulare il giudizio prognostico. L'attenzione è stata rivolta alla fase di osservazione del condannato (detenuto oppure libero) che si svolge con il necessario supporto e contributo degli operatori del servizio sociale.

Per quanto concerne le cause ostative alla concessione, il lavoro si è concentrato sull'art. 4-bis Ord. Penit., inserito con l'art. 1 del d.l. 13.05.1991, n. 152, convertito in legge 12.07.1991, n.203 e successivamente modificato sollevando il problema del bilanciamento delle istanze rieducative e risocializzative con quelle di difesa sociale.

Particolare attenzione in questo senso, è dedicata alla recente novella del 5 dicembre 2005 con legge 251 (7), ove tramite l'art. 9 del testo viene aggiunta alle condizioni ostative previste dall'art. 656 del c.p.p. la "recidiva" prevista dal nuovo art. 99 quarto comma del codice penale.

Nella terza parte dell'indagine abbiamo analizzato il procedimento di concessione dell'affidamento in prova che costituisce un adeguato paradigma di riferimento per lo studio del procedimento di sorveglianza nei suoi aspetti di dettaglio.

In questo capitolo, si sono esaminate le varie fasi del suo svolgimento, seguendo i percorsi previsti e definiti nella normativa vigente: quello a cui possono accedere i condannati a pena detentiva definitiva che si trovino in stato di libertà che prende di norma le mosse dalla notifica, effettuata dal Pubblico Ministero in qualità di organo dell'esecuzione, e dalla contestuale sospensione dell'ordine di esecuzione e quello, più tradizionale che riguarda invece i detenuti, i quali, possono avvalersi della speciale procedura di cui al vigente art. 47, 4º co., Ord. Penit., che prevede, in seguito alla proposizione dell'istanza, la possibilità di una sospensione dell'esecuzione fino alla decisione dello stesso Tribunale di sorveglianza.

Essenziale è stata l'individuazione accanto ai riferimenti procedurali da seguire, anche quella dei parametri di valutazione e giudizio elaborati dalla giurisprudenza di legittimità sui quali il giudicante si basa ai fini della decisione, positiva o negativa, sull'ammissione del condannato al beneficio dell'affidamento in prova.

Infine nell'ultima parte della ricerca abbiamo posto lo sguardo sulle prescrizioni che il Tribunale di Sorveglianza impone al condannato e che si sostanziano in altrettante regole di condotta. Queste sono state suddivise in due gruppi a seconda del contenuto distinguendole tra prescrizioni di contenuto positivo (prescrizioni vere e proprie) e prescrizioni di contenuto negativo (interdizioni).

E' stato preso in esame nel quadro delle prescrizioni che il Tribunale è tenuto ad imporre al condannato, quella di adoperarsi a favore della persona offesa (art. 47, 7º co. Ord. Penit.) come base normativa della cosiddetta "mediazione penale" intesa come attività che, tramite la negoziazione tra la vittima ed il reo, mira a pervenire ad un accordo che sia in grado di soddisfare le esigenze di riparazione della prima e di offrire al secondo, mediante l'attivazione di un processo di responsabilizzazione circa le conseguenze del reato, una concreta opportunità di riabilitazione e recupero sociale.

Nell'analisi complessiva abbiamo sottolineato dunque il lavoro svolto dal servizio sociale, componente essenziale della misura dell'affidamento in prova, chiamato a svolgere un'azione congiunta di "controllo e aiuto" sul soggetto, che mentre (da un lato) dà al giudice sufficienti garanzie sul regolare svolgimento della prova, sostiene (dall'altro) l'affidato nelle eventuali difficoltà emergenti nel corso della prova stessa, aumentando le possibilità di giungere a una conclusione positiva della misura.

In questo contesto è stato fatto richiamo della legge 27 luglio 2005, n. 154 (cosiddetta legge Meduri) (8) che ha trasformato i "Centri di servizio sociale per adulti" (C.S.S.A.) in "Uffici di esecuzioni penale esterna" (U.E.P.E.).

Note

1. F. Bricola, L'affidamento in prova al servizio sociale: "fiore all'occhiello" della riforma penitenziaria, in Questione Criminale, Bologna, Il Mulino, 1976, p. 373.

2. M. Castaldo, La rieducazione tra realtà penitenziaria e misure alternative, in Dipartimento di scienze penalistiche, criminologiche e penitenziarie, Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli, Jovene, 2002, p. 1.

3. E. Santoro, Carcere e società liberale, Torino, Giappichelli, 1997, p. 1, ove si fà riferimento alla storiografia "Whig" (denominazione che nasce da un celebre libro di Herbert Butterfield intitolato The Whig interpretation of Histoy, pubblicato nel 1931), secondo la quale l'evoluzione delle modalità punitive si è realizzata lungo i binari fissati dall'umanitarismo religioso e dalla critica illuministica dell'assolutismo. Il cambiamento in quanto tale è considerato un progresso: i principali mutamenti delle pratiche penali vengono rappresentati come "riforme".

4. D. Clemmer, The Prison Community, Boston, Christopher Publishing House, 1940, p. 214.

5. Gazzetta Ufficiale n. 48 del 27 febbraio 2006 - Supplemento Ordinario n. 45. Conversione in legge, con modificazioni del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, recante misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonche' la funzionalità dell'Amministrazione dell'interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi.

6. Corte Cost., 11.07.1989, n. 386, FI, 1989, I, 3340, con nota di Albeggiani.

7. Gazzetta Ufficiale n. 285 del 7 dicembre 2005. Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione.

8. Gazzetta Ufficiale n. 177 del 1º agosto 2005, Delega al Governo per la disciplina dell'ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria.